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BAND: SINCLAIR
TITLE: ELECTRIC BLACK SHEEP
LABEL: DISCO DADA
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BEAT MAGAZINE ONLINE
http://www.beatmag.it/beat_receinterna.php?id=2013
I Sinclair non sono Bob Sinclair, quello delle snervanti hit estive perfette per gli spot dei
telefonini, ma quattro ragazzi italiani figli dell‟elettropop anni ottanta. Electric Black Sheep è il
loro debutto, maturato dopo una lunga serie di live da cui hanno ereditato consapevolezza e un
bel contrattino discografico. Il problema è che se on stage i nostri possono anche far divertire
portando tutti a ballare, su disco il loro suono pare un miscuglio di idee sintetiche senza capo
ne coda. Un pastone sonoro in cui la famigerata tastierona tunz tunz è sempre in prima fila,
manco fossimo al deejay time di 15 anni fa, per creare un magma tamarro sotto cui tutto
soccombe, anche il buono che c‟era.
INDIE-EYE
http://www.indie-eye.it/recensore/2009/05/sinclair-electric-black-sheep-disco-dada-2009/
Con più che evidenti rimandi (per usare un eufemismo) al mondo dell‟ elettropop
contemporaneo che annovera tra le sue fila Fischerspooner, The Presets, Ladytron soprattutto,
ma molti altri, fino ad arrivare agli indiscussi padri Kraftwerk, poi via attraverso Depeche Mode
e perché no Visage, gli italianissimi Sinclair (da non confondere con l‟ omonimo Bob, l‟autore
preferito da Neri Parenti per i suoi fantastici cinepanettoni) cavalcano l‟onda. Occhi e orecchi
tutti per gli anni 80, con qualche virgola e parentesi che sottolineano che dagli anni 90 ci sono
passati e giù duro con ondeggiamenti del corpo su pavimenti che si illuminano.
Tutto effettato, tutto computerizzato, analogizzato, tutto cybertronico. Nulla di nuovo sul
fronte occidentale. Il disco però è carino, e soprattutto fatto per niente male. Temi semplici,
suoni non odiosamente default, voci che sono là dove devono stare. Escono per Disco Dada
Records, distribuzione Venus e promozione Prom-o-rama, produzione di Lorenzo Montanà.
Manca il pezzone, quello che sconvolge, quello che ti fa alzare dal divano sbronzo per andare a
ballarlo in pista, e alla lunga ci si stanca un pochino, ma il prodotto nel complesso c‟ è, a dire
che il mestiere del musicista elettroplastico lo sanno fare anche da noi.
AUDIODROME
http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=4925
La formazione italiana, elettronica e danzereccia, fa sostanzialmente una non troppo riuscita
operazione di revival di certa musica dance che negli Ottanta e soprattutto nei Novanta (specie
per quanto riguarda la scelta dei suoni) spopolava nelle discoteche. Tutto ciò non vuol
significare che alcune delle tracce contenute in questo loro esordio - come ad esempio “Me And
My Friends” o “Fake” - sfigurerebbero se venissero passate dal dj in una serata disco. Quello
che non convince di Electric Black Sheep è la poca personalità dimostrata dalla band, che non
spinge più di tanto l‟ascoltatore ad arrivare alla conclusione di questi quasi quaranta minuti di
beat, di parti cantate filtrate dal vocoder e sintetizzatori d‟altri tempi. In tutta sincerità, nel
2009 c‟è poco bisogno di un disco così. Forse solo gli appassionatissimi e i cultori del genere
potranno confutare quanto scritto sopra. (2/5)
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THE VIBES
http://www.thevibes.net/rec2009/sinclair_electricblacksheep.html
La curiosa copertina partorita dalla fantasia di Francesco Spampinato potrebbe far immaginare che questi Sinclair (il
nome non è da associare al noto dj Bob, considerato un talento forse solo dai fratelli Vanzina, da Sarkozy e da qualche
fedele seguace di qualche radio commerciale visto che sarebbe più corretto associarli semmai a Clive Sinclair, ideatore
del celeberrimo Spectrum, il glorioso antagonista del Commodore 64) siano sbucati dall'iperspazio di una realtà
parallela costruita da qualche estrosa divinità capace di aver creato una realtà parallela con l'ausilio di un Atari,
popolata di clipart, bizzarri tetraedri in esacromia, crani radioattivi e pile di dischi fuoriusciti da buchi neri su reticolati
nei quali ci saranno cascate delle palline bidimensionali. O ascoltando il loro sound vintage che di futuristico riserva
l'ammanto di qualche filtro estetico laptoppiano verrebbe da pensare che potrebbe trattarsi di alieni annoiati venuti a
bordo di mostriciattoli platform sulla falsariga dei noti equivalenti pixelati di Space Invaders. E forse in entrambe le
ipotesi sul piano puramente ideale non ci si allontana troppo dalla realtà...quantomeno da quella musicale, visto che
dalla formula musicale ricavata da aggregati di sensazioni (o bisognerebbe parlare di memorie?) 80ies, di suggestioni
dadaiste e di sfavillii glamoureschi vagamente borderline, emerge un discreto campionario di aromi abandonware al
punto che a qualcuno è parso di intravedere fin dall'iniziale ritornello di Instability ("Time's running out") un
improbabile anello di congiunzione fra il countdown di Out Run, quello di Puzzle Bubble, gli psicofarmaci e le credenze
apocalittiche sui vaticini dei cataclismi profetizzata chissà come da qualche scomparsa civiltà pre-colombiana. Nel
frullatore questi quattro cow-boys del vintage riescono a metterci gli ingredienti giusti: ritmiche incalzanti, suoni
indovinati, groovettini ad 8-bit, un immagine che impatta facilmente sul pubblico perfettamente aderente all'estetica in
cui sembrano riconoscersi e persino una maliarda voce femminile - quella della sbarazzina Daniela Castellucci, che
riesce a tenere bene il palco forte delle doti teatrali maturate in qualità di attrice in seno al Gruppo Teatro Danza
Genesi -, nota tutt'altro che stonata che tra le band indie tira moltissimo in tempi recenti (ne abbiamo avuto conferma
girovagando per l'Italia per le varie selezioni dei vari Arezzo Wave e contest assimilabili che spuntano come funghi tra i
locali della penisola) e riuscendo al contempo ad agganciarsi ad un sound che flirta alla grande con il mainstream, di
cui sono stati e sono tuttora portabandiera musicisti quali i Fischerspooner, le Ladytron e altre lentine graduate
(rigorosamente colorate!) per correggere la vista lungimirante ma oramai compromessa dalla cataratta e da qualche
grado di diottria perso per troppe ore passate a giocare al ping-pong della Mattel nel corso degli anni dagli
intramontabili Kraftwerk!
Questa pecora nera dal vello folgorato da scariche promette bene fin dai primi belati, avendo brucato fra gli sterminati
prati di silicato dove primeggiano tanto vegetazione sempreverde (Korg MS20, il mitico Moog l l'altrettanto leggendario
Juno 106) quanto nuove forme di vita sintetica dall'alto potere nutrizionale (dal Novation al divertente Kaos Pad con
tutte quelle lucine intermittenti sulla matrice!!!), foraggi di un'intera era di produzione musicale in batteria per cui
sono pochi i camuffamenti proposti. Quando Federico Agnoli inneggia "Me and my friends when we were young" e alla
replica della Castellucci, vengono inevitabilmente in mente i Righeira su basi dei New Order di Blue Monday,
intassellando un'alea nostalgica sulle pareti dell'iperspazio discotecato da cui verrebbero i nostri, mentre il serialismo
che spesso intaccava i comportamenti fino a farli percepire più stereotipati del gel di De Michelis nell'ottima Habit &
Paranoia, la traccia che nella sua semplicità e nella sua immediatezza siamo sicuri che potrebbero centrare in pieno il
cuore (secondo noi a forma di mela) dei tanti ultratrentenni sulla strada degli "anta" condannati ad un futuro in cui di
certo vi sono solo una congerie di forme acute della sindrome di Peter Pan! Smiagola in maniera sublima ancora la
Castellucci su un incedere che ci ricorda il neoromanticismo un po' plasticoso degli Ural 13 Diktators in Faded Colors,
titolo che potrebbe far pensare ad una celebrazione sonora del dithering!!! Spunta una basettina di maniera alla Meg
elettrofintopunk in Fake, che ci dà l'aria di essere un ripensamento della colonna sonora di Lola Corre densa com'è di
quei "run" incrociati ai "fake" ripetuti a squarciagola in maniera ossessiva. Una buona copia di Miss Kittin & The Hacker
che celebravano fra cocaina spruzzata nell'aria con gli schiumogeni e finistrini oscurati la morte di Frank Sinatra ci pare
di udire nella trascinante Red Lights, mentre spunta un honky-tonky nella canzone che potrebbe aderire all'attualità
delle più nevrotiche realtà urbane di The Routine song. Altra bella botta di energia dal sapore panna-e-fragola delle
"bigbabol" nella danzereccia Ethanol e un ricettario con coktail di tranquillanti combinati a stimolanti e trattamenti
dermici pre-lifting viene stillato nell'emblematica Plastik man, prima di chiudere in bellezza con le impallinature
ipersature di Thermodynamic ego - bella la citazione quella che si sembra una citazione di Capricorn -, che chissà
perchè ci fa venire in mente una teeny che si vanta per aver assaggiato la coca-cola alla ciliegia o la fanta alla banana.
Alla fine è difficile isolare fra le dieci tracce una traccia che possa primeggiare fra le altre, ma certo non può dirsi che i
Sinclair non sappiano ben destreggiarsi nel cifrario vintage e nei suoi plasticosi registri. E neanche ci pare che lesinino
quella qualità che qualcuno suole qualificare "danceability" che non fa meravigliare quando tra le note biografiche di
questa formazione si legge che ha condiviso il palco con gente del calibro di Cassius o Louie Austen... Ad ascolto
ultimato indipendentemente dal sudore che avrete versato ballando sui loro palleggi robotici o dall'espressione un po'
ebefrenica che vi si potrebbe disegnare sul volto, vi lasceranno la speranza di ballarli su qualche spiaggia o di vederli
esibire nel corso dell'imminente estate all'insegna di una crisi che sembra non aver risparmiato le coscienze al punto
da rendere anelabile una fuga mentale verso gli anni a cui sembrano ineludibilmente agganciati i Sinclair sicuramente
più spensierati degli attuali.
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/recensione/4335/Sinclair-Electric-Black-Sheep.html
Sappiamo da mo' che gli 80 son tornati: Ray Ban, spalline, colori accesi e facciata uberbarocca.
La 'musica da bere' poi ha già segnato il passo e i cloni di quegli anni li senti ovunque. Gli
ingredienti sono le solite tastiere, le voci pulite, un immaginario sognante party, VIP areas
(come diceva la vecchia gattina belga) e cotillon innaffiati da champagne.
Il disco dei Sinclair si situa in questa galassia di suono: i riferimenti vanno ovviamente a quegli
anni, ai primi Depeche Mode, alla voce distillata di Valerie Dore e alla progressività
moroderiana. Il tutto aggiornato con il migliore software per 'far finta' di essere ancora là.
Buona produzione e motivetti catchy che alla lunga stancheranno però anche gli aficionados.
(5/10)
ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/sinclair-electric-black-sheep/
Il mondo della musica (e non solo!) si divide sostanzialmente in due: quelli che amano e quelli
che odiano gli anni „80. Da una parte, i detrattori di una musica elettronica nascente e
sperimentale, di una new wave ancora tutta da inventare; dall‟altra, gli estimatori di quei primi
vagiti artificiali, certi che senza l‟avvento del sintetizzatore la musica di oggi non sarebbe a
questi livelli. Insomma, esisterebbero i Radiohead senza i Depeche Mode? Come credo sia
facilmente comprensibile, io appartengo a questa seconda categoria. Ecco perché quest‟album
non poteva che essere nelle mie corde.
Nato dal profondo amore per un decennio così contrastato, Black Electric Sheep è l‟opera prima
di un gruppo che però vanta già un nutrito pubblico ed una serie di date in giro per il mondo
sullo stesso palco di Cassius e del nostro Marco Passarani. Quattro personaggi provenienti da
esperienze e background diversi si ritrovano a manipolare strumenti vintage per creare suoni
tanto retrò quanto permeati di contemporaneità.
Già, perché non c‟è solo l‟attaccamento al passato in questo disco. Giuste dosi di vecchio e
nuovo si fondono, e la dotazione contemporanea, fatta di laptop e Kaos Pad, va a braccetto
con moog e drum machine d‟annata, per dare attualità a sonorità che altrimenti rischierebbero
di rimanere imprigionate in una sorta di cronobolla temporale. Il risultato sono una decina di
brani decisamente orecchiabili e ballabili, tra cui spiccano Fake e Routine song, buoni per i
dance floor del ventunesimo secolo.
Il leit motiv dei Sinclair emerge anche nella parte grafica. La cover di Electric Black Sheep è
opera di Francesco Spampanato, artista multimediale molto stimato a livello nazionale ed
internazionale, che ha voluto riprendere qui colori e composizioni tipici degli anni „80, in
perfetta sintonia con la filosofia portata avanti dalla band.
Anche se i Sinclair sono riusciti nella loro volontà di fondere due secoli, la valutazione
complessiva di quest‟opera prima resta però mediocre. L‟album manca di una propria
personalità ed originalità, quella che invece dovrebbe emergere da una tanto stimolante ricerca
musicale. Ma resta comunque un ottimo punto di partenza per far sì che anche i più ostinati
denigratori del synth pop tentino un timido avvicinamento a questa corrente. (2,5/5)
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OUTUNE
http://www.outune.net/dischi/pillole/pop-elettronico-sinclair-electric-black-sheep-2009.html
Funziona, funziona davvero questo trend di buttare nel mixer ritmi rock, sporcarli di suoni
computerizzati, metterci dentro sonorità revival anni ‟80 e early 90s, e shakerare il tutto a
dovere. Funziona a tal punto che ora ci si buttano con discreti risultati anche gli italiani Sinclair
(un nome che inganna, richiamando alla mente il DJ dai capelli unti che accende le estati di
mezza Europa), con questo disco davvero carico di buona volontà e ottimo ritmo, ma al tempo
stesso vagamente privo di carattere. Dalle nostre parti arrivano decisamente con un certo
ritardo rispetto, ad esempio, ai più completi e validi Hey Hey Radio, mentre all‟estero di queste
cose se ne sentono da almeno un paio d‟anni.
Da non sottovalutare comunque, specialmente, nel caso si debba programmare la playlist di
una serata movimentata, dalla quale si sia preventivamente deciso di bandire, di Sinclair, il
francese Bob.