QUATTRO CHIACCHIERE CON EDITH STEIN
Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, è una delle figure più
straordinarie, affascinanti e complesse del Novecento, sia per la traccia indelebile che nel
solco di Edmund Husserl lasciò nella storia della filosofia, sia per la sua straordinaria
avventura umana e spirituale, che la portò dall’ateismo ad una conversione radicale al
Cattolicesimo e alla scelta vocazionale di entrare nel Carmelo, per vivere fino in fondo la
spiritualità di Santa Teresa d’Avila, e quindi concludere la sua esistenza nelle camere a
gas di Auschwitz, condividendo la sorte di milioni di ebrei europei, colpevoli solo di
appartenere al popolo di Israele.
Con Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia è, da Papa Giovanni Paolo II nel
1999, dichiarata compatrona d’Europa.
Di fronte ad una testimone così autentica e cristallina sono un po’ in difficoltà a farti delle
domande. Innanzitutto ti devo chiamare Edith o con il nome da carmelitana, Teresa Benedetta?
Rimanendo in ambito familiare preferisco Edith, anche perché Teresa Benedetta della
Croce è un nome molto impegnativo che suggella un cammino di ricerca alla verità che
caratterizza tutta la mia vita.
Edith, dove sei nata? Da che famiglia provieni? Com’è stata la tua infanzia?
Sono nata il 12 ottobre 1891 a Breslavia, città della Germania nella regione della Slesia,
dopo la Seconda Guerra Mondiale assegnata alla Polonia e rinominata in polacco:
Wroclaw. Sono l’ultima di undici figli, la mia famiglia era una famiglia della borghesia
ebraica cittadina e io sono nata proprio il giorno di Yom Kippur, ovvero la festa ebraica
più importante. Breslavia ha dato i natali anche al grande teologo evangelico Dietrich
Bonhoeffer, che in parallelo ha vissuto molti drammi che possono essere accostati ai miei.
La tua famiglia così numerosa e i tuoi genitori come influirono nella tua educazione e nella tua
crescita?
Mio papà, che aveva un’impresa per il commercio del legname, purtroppo morì quando io
avevo solo due anni; mia madre, rimasta sola, donna molto religiosa, caparbia e tenace,
un’autentica persona di carattere, si rimboccò le maniche e riuscì ad accudire alla famiglia
e a portare avanti l’azienda. Questo suo spendersi in favore degli obblighi familiari e delle
necessità dell’impresa, non trovò il tempo necessario per infondere ai figli una fede vitale.
Per cui anche tu fosti travolta dagli avvenimenti familiari e da una prospettiva di vita nella quale
Dio non era presente?
Infatti, non solo smarrii ogni riferimento a Dio, ma durante la mia adolescenza smisi, in
piena coscienza e con libera scelta, di cercare ogni riferimento al trascendente, al divino, al
mistero, quindi smisi di pregare.
E con la scuola come andò?
Bene, trascorsi i miei anni di gioventù studiando senza fatica, anzi conseguii
brillantemente la maturità, studiai assiduamente germanistica e storia, ma ciò che mi
attirava di più era la filosofia.
Effettivamente l’inclinazione che avevi per la filosofia prima o poi avrebbe inciso profondamente
nella tua vita.
Infatti nel 1913 mi recai a Göttingen, in Sassonia, per frequentare le lezioni universitarie di
Edmund Husserl, il più illustre dei filosofi tedeschi del tempo, e ne rimasi letteralmente
conquistata, conseguendo la laurea in filosofia con lui.
E poi che successe?
Dopo la laurea divenni sua discepola e sua assistente alla cattedra di filosofia, entrai a far
parte inoltre dell’“Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto”.
Si può dire quindi che eri una femminista “ante litteram”.
Fatte le debite proporzioni sì, anche se l’insegnamento di Edmund Husserl aveva il
sopravvento un po’ su tutto il mio modo di pensare.
Ma cos’è che aveva Husserl di tanto affascinante?
Egli attirava il pubblico illustrando un nuovo concetto di verità: l’esistenza del mondo secondo Husserl - veniva percepita non solo in maniera kantiana, ovvero quello che noi
chiamiamo percezione soggettiva, ma la sua filosofia portava ad una visione molto
concreta della vita e della storia, definita come un “ritorno all’oggettivismo”.
E questo cosa significava?
La conseguenza indiretta del suo modo di intendere l’esistenza umana fu che molti
studenti ritornarono (o scoprirono) la fede cristiana.
Se non vado errato, gli anni in cui tu frequenti i corsi di Husserl coincidono con l’inizio della Prima
Guerra Mondiale.
È vero, in quel periodo dedicai molto tempo allo studio universitario, ma lo scoppio della
guerra mi spinse a frequentare un corso di infermiera e prestare servizio in un ospedale
militare. Nel 1916 seguii Husserl a Friburgo, dove conseguii la laurea con una tesi “Sul
problema dell’empatia”, la commissione universitaria premiò il mio lavoro “summa cum
laude”.
Anni intensi, sia pur segnati dalla tragedia della Grande Guerra, vero?
Proprio così. Di fronte a quel dramma, ad una tragedia che toccava tanti uomini e donne,
tante famiglie e tanti popoli, cominciai a leggere per cercare di trovare il senso di tutto
quello che avveniva nel mio Paese e sullo scenario europeo.
Ritornasti a Breslavia nella tua città?
Sì e mi misi a scrivere saggi di discipline umanistiche e a leggere disordinatamente tutto
quanto mi capitava sotto mano, che in un certo qual modo toccava l’ambito della filosofia.
Lessi Kierkegaard, Newmann, Sant’Ignazio di Loyola, finché una sera in casa di amici
trovai l’autobiografia di Santa Teresa d’Avila, la lessi in una notte, quando richiusi il libro
dissi a me stessa: “questa è la verità”.
La mistica spagnola si può dire che ha profondamente modificato la tua vita.
Proprio così. Qualche anno più tardi, il 1° gennaio 1922, ricevetti il Battesimo e qualche
settimana dopo lo comunicai a mia madre, mi recai a Breslavia e non appena entrai in casa
le dissi: “Mamma, mi sono convertita alla fede cattolica”. Con queste parole mi accorsi che
le davo un dispiacere, ma subito dopo ci abbracciammo piangendo lungamente.
I sentimenti legati ad una conversione sono difficili da esprimere, però prova a narrarci cosa provavi
dopo questo passo, vivendo una condizione di vita praticamente nuova.
Mano a mano che Dio si era impossessato del mio cuore, sentivo crescere dentro di me una
forza che mi spingeva a uscire da me stessa per dedicarmi sempre più agli altri. Un
impegno questo che cercavo di svolgere pienamente in ambito accademico.
Se da un lato ti sentivi al settimo cielo per aver incontrato il Signore e avere avuto il dono della fede,
sulla Germania calava una luce sinistra, quella dell’ideologia nazista che proprio in quegli anni
prendeva il potere.
Avvertii subito l’odio che i seguaci di Hitler nutrivano verso gli ebrei e questo incessante
ripetere che la razza ariana doveva liberarsi dai corpi estranei della società tedesca
identificati soprattutto in coloro che erano di religione ebraica, mi fece capire più che mai
che dovevo rendere testimonianza non solo della mia fede, ma anche del popolo a cui
appartenevo.
Subisti conseguenze in questo senso?
Mi fu tolta la facoltà di insegnamento in tutte le scuole della Germania, ma dentro di me
avevo preso la decisione di farmi Carmelitana, seguendo la regola di Santa Teresa d’Avila.
Prima però andai a casa a salutare i miei e ancora una volta l’incontro con mia mamma fu
struggente e pieno di sofferenza allo stesso tempo, in quanto lei, donna dell’antico popolo
d’Israele, vedeva la figlia sua entrare a far parte della Chiesa Cattolica, una cosa che per
quanto si sforzasse di capire non gli riusciva di intendere pienamente.
Racconta come fu il tuo ingresso tra le Carmelitane.
Il 14 ottobre 1933 entrai nel monastero della Carmelitane di Colonia e il 14 aprile dell’anno
successivo ci fu la cerimonia della mia vestizione. Da quel giorno la mia nuova vita verrà
segnata da un nuovo nome: Suor Teresa Benedetta della Croce. Il 21 aprile del 1935 presi i
voti temporali. Nel settembre del 1936 mia madre morì e avvertii chiaramente che l’avevo
al mio fianco come fedele assistente per giungere alla meta, il cui traguardo lei aveva già
superato.
Quando emettesti i voti perpetui?
Il 21 aprile 1938 feci la mia professione perpetua e solenne dei voti monastici, per
l’occasione feci stampare sull’immaginetta distribuita ai presenti le parole di San Giovanni
della Croce: “La mia unica professione d’ora in poi sarà l’amore”.
Un programma di vita impegnativo se si tiene conto che l’odio contro gli ebrei divampava non solo
in Germania, ma in gran parte dell’Europa, alimentato dalla propaganda nazista.
Sì, effettivamente i nazisti fecero di tutto per annientare il popolo di Israele, bruciarono
sinagoghe, rinchiusero gli ebrei nei ghetti e sparsero terrore a piene mani fra la mia gente.
Fu a questo punto che i superiori decisero che non potevo più stare in Germania e nella
notte di capodanno del 1938 attraversai il confine per essere portata nel monastero delle
Carmelitane di Echt, in Olanda.
Trovasti più tranquillità nel Paese dei tulipani, oppure anche lì c’era la stessa situazione che c’era
in Germania?
Certamente non c’era la tensione che c’era in Germania, ma quando l’Olanda venne invasa
dalle truppe naziste si ripresentò il volto truce e demoniaco della svastica. Presi così
coscienza che dovevo compiere fino in fondo la volontà di Dio con una “Scientia crucis”
(la scienza della croce) che aveva caratterizzato il mio nome dal momento dell’entrata nel
Carmelo. Dal profondo del cuore pronunciavo incessantemente: “Ave, Crux, spes unica”
(ti saluto, croce, nostra unica speranza).
Se non vado errato, nel Carmelo di Echt fosti raggiunta da tua sorella Rosa, che anche lei si era
convertita al Cattolicesimo e seguendo le tue orme si era fatta anch’essa Carmelitana.
Si, ma fummo scovate dai nazisti, i quali irruppero il 2 agosto 1942 nel nostro monastero e
ci avviarono al campo di raccolta di Westerbork, da dove il 7 agosto fummo messe sul
treno insieme a migliaia di altri deportati destinati alle camere a gas di Auschwitz.
E ad Auschwitz fosti inghiottita dall’Olocausto che si compiva sul popolo d’Israele.
Giunta ad Auschwitz mi prodigai per tutte le persone del mio popolo che erano in preda
alla disperazione e allo sconforto. Mi occupai soprattutto delle donne, consolandole,
cercando di calmarle e avendo cura dei più piccoli.
Il 9 di agosto Suor Teresa Benedetta della Croce, insieme a sua sorella Rosa e a molti altri
del suo popolo, venne avviata alle camere a gas del campo di sterminio, dove trovò la
morte, una sorte toccata a sei milioni di ebrei e che noi oggi ricordiamo col termine Shoah.
Ebrea per nascita, cristiana per scelta, dopo un lungo cammino di ricerca, elevandosi alle
più alte vette della spiritualità delle due religioni che tanto avevano inciso nella sua
esistenza, è diventata esempio affascinante e luminoso per quanti cercano la verità con
amore tenace e coraggioso.
Il 1° maggio 1987 Giovanni Paolo II nel Duomo di Colonia, nella cerimonia liturgica di
beatificazione dichiarò che era: “Una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei
nazisti è rimasta unita con fede e amore al Signore crocifisso Gesù Cristo, quale cattolica
e al suo popolo, quale figlia d’Israele”.