Andrea Drusini

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Andrea Drusini
Claude Lévi-Strauss
Andrea Drusini
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Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
Andrea Drusini
La figura di Claude Lévi-Strauss
nell’ambito delle Scienze delluomo
Che cosa so di Claude Lévi-Strauss?
Quando ho cominciato a leggere le
sue opere, negli anni ’70, il suo
incontro ha cambiato radicalmente
la mia vita. Allora, egli era già il più
grande antropologo del suo tempo:
fondatore dello strutturalismo
francese assieme a Georges Dumézil
e Émile Benveniste, alcuni anni
dopo egli era già un “Tesoro Nazionale Vivente”, secondo la bella
definizione giapponese.
Di formazione filosofica, LéviStrauss divenne etnologo in Brasile,
in seguito a una fase di rigetto del
mestiere di professore di Filosofia –
troppo ripetitivo – e grazie a una
curiosità non priva di commozione
per il modo in cui vivevano i suoi
simili nel mondo. Nel 1930, i percorsi di studio dell’antropologia non
erano strutturati come lo sono oggi,
e l’apprendista antropologo doveva
lavorare ‘sul terreno’ con le sue sole
forze, lontano dai confortevoli
laboratori moderni. Lévi-Strauss
organizzò diverse difficili spedizioni
nel Mato Grosso e in Amazzonia,
studiando varie tribù indigene come
gli indiani caduvei, bororo, nambikwara e tupi kawahib.
Ritornato in Francia, la minaccia
nazista lo costrinse, in quanto ebreo,
all’esilio, e a riparare negli Stati
Uniti dove la sua tesi Le strutture
elementari della parentela fece
l’effetto di una rivoluzione: dopo più
di 53 anni se ne discuteva ancora. La
scoperta di Lévi-Strauss si fondava
sull’intuizione che esistono delle
strutture inconsce che preordinano
fino al minimo dettaglio il funzionamento delle società umane. Il pensiero del grande antropologo si svilupperà in seguito in tutta la sua
ampiezza esplorando la magia, la
religione, le forme artistiche e quelle
di classificazione, e infine i miti,
supporto fondamentale per l’espressione delle emozioni collettive e nello
stesso tempo riflesso della struttura
della mente.
Pochi pensatori moderni hanno
saputo affrontare campi di interpretazione così vasti come Lévi-Strauss,
ma egli era guidato da una intuizione fondamentale di Edward Taylor:
“se ci sono delle leggi da qualche
parte, devono essercene dovunque”.
Questo immenso inventario di
conoscenze e di “recinti mentali”
rivelava una ricchezza così straordinaria da far riflettere – oltre gli
specialisti di scienze umane, tutti
coloro che abbiano voglia di osservare il mondo. Pertanto, l’opera di
Lévi-Strauss è un manuale di
pensiero che costringe l’intelligenza
ad aprirsi, una specie di vangelo
laico che induce a commuoversi
dinanzi alla vita. Ma Lévi-Strauss
era anche dotato di una preveggenza
ben superiore a quella dei suoi
contemporanei: basta leggere il suo
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testo Tristi tropici (1949) da cui è
tratta questa riflessione sull’Islam:
“ Che l’Occidente risalga alle fonti
del suo laceramento: interponendosi
tra il Buddismo e il Cristianesimo,
l’Islam ci ha islamizzati; quando
l’Occidente si è lasciato trascinare
dalle crociate ad opporglisi, e quindi
ad assomigliargli, piuttosto che
prestarsi – se non fosse mai esistito –
a quella lenta osmosi col Buddismo
che ci avrebbe cristianizzati di più, e
in un senso tanto più cristiano in
quanto saremmo risaliti al di là dello
stesso Cristianesimo. Fu allora che
l’Occidente ha perduto la sua opportunità di restare femmina” (LéviStrauss, Tristi tropici, 1955, p.398).
Con queste affermazioni, LéviStrauss aveva avvertito, con più di
cinquant’anni di anticipo, l’orrore
che i fondamentalisti musulmani
hanno delle donne, il futuro integralista del Pakistan e di altri Stati
fondamentalisti, l’odiosa persecuzione dei buddisti e la conseguente
spaccatura tra l’Occidente e l’Islam,
un problema ancora attuale. Mentre
i Talebani terrorizzavano e uccidevano in pubblico le donne per le strade
di Kabul, la frase apparentemente
oscura sull’Occidente ‘che non può
restare femmina’ ritrova tutto il suo
senso.
Come è stato detto, Claude LéviStrauss non è un filosofo nella piena
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accezione del termine, perché il suo
pensiero nasce dall’incontro col
reale, dal lavoro sul campo, con tutti
i disagi e lo straniamento che esso
comporta, davanti a esseri umani il
cui pensiero poggia su valori diversi
e radicalmente eterogenei rispetto ai
nostri: un’esperienza che spiazza al
punto di cambiare profondamente la
persona che si è. Sembra infatti che
non sia possibile diventare antropologi senza aver provato profondi
turbamenti, tra cui quello di rinunciare – almeno per un certo tempo –
alla propria civiltà. Ma perché
l’antropologo rifiuta la propria
società – specie in un Occidente oggi
così malsicuro di se stesso? Perché
l’antropologo si dedica con pazienza
e diligente passione allo studio di
popoli così diversi e così lontani dalle
sue abitudini? Lévi-Strauss risolve il
problema affermando che le caratteristiche dell’uomo sono le stesse
ovunque, che le differenze tra
l’europeo e i popoli primitivi sono
solo apparenti. Lévi-Strauss ha
scoperto così l’umanità comune a
primitivi e civilizzati, e con ciò, il
motivo centrale del lavoro di tutta
una vita.
Al ritorno nel suo paese, in un primo
momento l’antropologo fatica a
vivere tra i suoi, egli è come un
Lazzaro smarrito tra il mondo dei
morti e quello dei vivi: un abisso
separa le condizioni di vita di un
gruppo di amerindiani dell’Amazzonia da un intellettuale allevato in
Europa in una famiglia borghese:
senza acqua e senza elettricità, la
nuda terra come letto, divorato dalle
zanzare e dalle formiche l’europeo
sopporta, ma non si abitua; e quando
ritorna a casa, gli è difficile accettare
le comodità esagerate del suo paese,
quando si chiede: perché una distanza così grande tra poveri e ricchi?
Tutti gli antropologi hanno provato
questo senso di estraneità, di ingiustizia mista a vergogna per quello
che noi siamo qui e per come si vive
altrove: per questo l’Antropologia è
stata chiamata “il rimorso dell’Occidente”. Nessun antropologo può
ignorare il rimorso di appartenere a
un mondo che si è reso responsabile
Claude Lévi-Strauss
del massacro di un altro. Nell’isola
un tempo chiamata Hispaniola, oggi
divisa tra Haiti e Santo Domingo,
nel 1492 gli indigeni erano circa
100.000; un secolo dopo ne restavano solo 200. Nel frattempo, nonostante le guerre intestine, l’Occidente non cessava di arricchirsi: là si
muore di fame, qui si paga per
dimagrire. Da qui, la famosa invettiva di Lévi-Strauss, in Tristi tropici
(p. 36): “Ciò che per prima cosa ci
mostrate, o viaggi, è la nostra
sozzura gettata sul volto dell’umanità”.
Questa indignazione fu il fermento
dell’ opera di Lévi-Strauss, e nello
stesso tempo ne costituì il dilemma:
come si può studiare i ‘selvaggi’
senza mettere in pericolo la loro
integrità fisica e culturale? Perché
anche un semplice raffreddore può
devastare un’intera tribù. Fu proprio il progresso dell’Occidente
l’origine delle terribili mutilazioni
delle società primitive: per questo
motivo, l’antropologo è necessariamente un ecologista umanitario, un
conservatore dei fragili equilibri che
esistono tra natura e cultura, che ha
visto con i suoi occhi.
Tutto è sofferenza
Ebreo francese di origine alsaziana,
la brillante carriera del giovane
etnologo si fermò con l’insediamento
del governo di Vichy durante la
seconda guerra mondiale. Ben presto
licenziato, per salvarsi Lévi-Strauss
si imbarcò su una barcaccia dove
viaggiavano anche André Breton,
fondatore del surrealismo, e Victor
Serge, trozkista della prima ora.
Rifugiato a New York, Lévi-Strauss
visse a stretto contatto con i maggiori intellettuali d’America, come il
grande linguista Roman Jakobson.
Alla fine della guerra, a New York,
diviene consigliere culturale presso
l’ambasciata francese negli Stati
Uniti.
Dal 1948 tutto cambiò: Lévi-Strauss
divenne vice-direttore del Musée de
l’Homme, direttore della V sezione
dell’École pratique des hautes
études alla cattedra di Religioni
comparate dei popoli senza scrittura
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e poi, nel 1959, l’elezione al Collège
de France a una cattedra di antropologia sociale che occupò fino al 1982.
Infine, l’elezione al seggio 29
dell’Académie française nel 1973.
Nel 1954 scrisse uno dei suoi capolavori, Tristi tropici, che ebbe un
immenso successo in tutto il mondo
e che fu messa in scena all’Opera di
Strasburgo nel 1996. La prima frase
di Tristi tropici rimase famosa:
“Odio i viaggi e gli esploratori…”.
Quasi tutte le idee dell’opera di LéviStrauss sono contenute in nuce in
Tristi tropici. Appassionato di
geologia, sotto l’influenza di Freud e
di Marx, Lévi-Strauss cercò appassionatamente un modello di “geologia umana”. Una dimensione estatica pervade tutta l’opera di LéviStrauss: e la prova migliore si vede
nella musica, alla quale consacrerà
molti studi. Perché, come dice
Emmanuel Chabrier (1841-1894),
musicista francese e padre dell’impressionismo, la musica è una di
quelle intelligibilità in cui si riconciliano lo spazio e il tempo, come nel
cammino compiuto dal giovane
Parsifal nell’opera di Wagner,
quando il “puro folle” diventa il
redentore. Il fatto è che la musica
sfugge al pensiero perché non
“significa” nulla, innalzando un
muro contro cui il metodo va in
pezzi.
Lévi-Strauss e la medicina: incontro
tra il medico e lo sciamano
Nel momento stesso in cui Sartre
decretava il trionfo della fenomenologia tedesca affermando il primato
dell’esistenza sull’essenza, mentre
Jacques Lacan dava una rivoluzionaria rilettura di Freud spurgandolo
dalla neurofisiologia, Lévi-Strauss
pubblicava l’articolo Lo stregone e la
sua magia, ora contenuto in Antropologia strutturale, 1958, pp. 189209) sul meccanismo della guarigione attraverso i simboli. Nello stesso
anno, egli pubblicava L’efficacia
simbolica, un articolo basato su un
lungo incantesimo degli indiani
Cuna di Panama, cantato dallo
sciamano durante un parto difficile.
Accompagnato da suffumigi di fave
Claude Lévi-Strauss: Tavola rotonda 9 giugno 2010 - Padova
di cacao e da immagini sacre preparate per l’occasione, il trattamento
dello sciamano non si avvale di
alcuna manipolazione fisica: non
inserisce la mano nell’utero per
girare il feto, non tocca il corpo, non
incide. Quel che fa lo sciamano –
scrive Lévi-Strauss – è una manipolazione psicologica dell’organo
malato. Lo sciamano conduce la
donna dove vive Muu, potenza
fabbricatrice dei feti che si è impadronita dell’anima che sta per
nascere. Le immagini sacre nuchu
acconciate con enormi cappelli che
evocano il glande, risalgono faticosamente il cammino che conduce dalla
vagina all’utero, affrontando le
doglie rappresentate dagli animali.
L’importante è dare un nome al
dolore, perché una volta nominati, i
dolori vengono eliminati, e una volta
narrato, il cammino di Muu mostra
il percorso al neonato che può
compiere così la discesa attraverso
l’utero e la vagina.
Questa tecnica incantatoria assomiglia al parto senza dolore sperimentato in Francia a partire dagli anni
’50, poi sostituito dalla tecnica della
peridurale. Secondo Lévi-Strauss,
l’efficacia simbolica “consisterebbe
appunto in questa ‘proprietà induttrice di cui, le une rispetto alle altre,
sarebbero dotate strutture formalmente omologhe, edificabili con
materie prime differenti, ai differenti stadi del mondo vivente: processi
organici, psichismo inconscio,
pensiero riflesso. Nel caso preciso del
parto presso i Cuna, la proprietà
induttrice sostiene l’incantesimo
sciamanico, che emana dal pensiero
riflesso e che agendo sull’inconscio si
riflette sull’organismo. Nel caso
degli antidepressivi, al contrario, la
proprietà induttrice proviene da una
modificazione organica e il cammino
si compie nel senso opposto. Su
questo punto, Freud, confortato
dalla sua ipotesi psico-chimica
dell’inconscio, non avrebbe eccepito.
stregone suo malgrado, è ancora più
rivelatrice. Quesalid non credeva alle
stregonerie, e decise di farsi iniziare
per smascherare gli abusi dei guaritori. In effetti, egli scoprì un sistema
costituito da illusionismi, pantomime, canti, simulazione di trance,
crisi nervose, tecniche con lo scopo
di vomitare, il tutto coronato dall’impiego di un sacchetto pieno di
sangue che lo stregone nascondeva
tra le gengive per poi sputarlo come
simbolo veridico della malattia da
guarire. Un altro trucco si basava sui
cosiddetti ‘sognatori’, delle spie
incaricate di tendere le orecchie per
comunicare di nascosto allo sciamano eventuali dissensi all’interno
delle famiglie. A questo punto,
Quesalid era convinto di avere
scoperto tutto ma, scoprendo tutto,
si era ficcato in una trappola.
Quesalid, infatti, fu chiamato al
capezzale di un malato che lo aveva
sognato come suo guaritore. Nell’impossibilità di rifiutare, Quesalid
guarì il suo primo malato e spiegò a
se stesso la guarigione con la fiducia
che il paziente riponeva nei suoi
poteri.
Come paragonare sciamano e
psicoanalista?
Nella cura sciamanica, lo stregone
offre una rappresentazione spettacolare e si prende cura, al posto del
malato, della trasformazione della
guarigione; nella cura psicoanalitica,
lo “stregone” psicoanalista tace ed è
il malato che si trasforma: il dispositivo è comunque paragonabile
perché lo “stregone”, nei due casi,
non rappresenta altro che il gruppo,
animato dalla stessa credenza.
Insieme alla Storia della follia di
Michel Foucault, le affermazioni di
Lévi-Strauss fecero la fortuna della
corrente anti-psichiatrica, riabilitando la figura del ‘folle’ nelle società
occidentali, in un periodo in cui i
dissidenti sovietici venivano neutralizzati da una psichiatria particolarmente repressiva.
egli afferma anche che il pensiero
primitivo corrisponde alla tecnica del
bricolage, ma nello stesso tempo,
esso mostra una sensibilità più ricca
per i dati sensoriali come i colori, gli
odori, i suoni; egli ha scoperto che i
termini di parentela sono paragonabili ai fenomeni linguistici; grazie a
Marcel Mauss, dopo aver letto il
saggio sul dono, comprese che i
fenomeni universali devono essere
studiati sia nella loro forma inconscia che in quella conscia: perché in
tutto il mondo il dono è legato
all’obbligo della reciprocità? perché
il tabù dell’incesto si trova in tutte le
società? Che dire poi dell’analisi
comparativa tra lo sciamano e lo
psicanalista, entrambi partecipi di
strutture strettamente connesse?
Lévi-Strauss ha dimostrato che
anche il mito di Edipo svolge il suo
ruolo in tutte le culture, e che in
ogni parte del pianeta i miti affrontano gli stessi grandi enigmi dell’esistenza umana: con questo, l’antropologo sancisce che il principale interesse dell’antropologia è costituito
dallo studio del pensiero umano,
costituito da “protocolli normativi
dell’inconscio”.
La storia di Quesalid
Lévi-Strauss sostiene che il pensiero
primitivo ha una struttura essenzialmente logica, e pertanto esso costituisce il sotterraneo fondamento
comune di tutto il pensiero umano:
“ Ils sont des Christes d’une autre
forme et d’une autre croyance/ ce
sont les Christ inférieurs des obscures
espérances”
Raccolta da Franz Boas trai
kwakiutl (indiani della British
Columbia), la storia di Quesalid ,
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Epilogo
Lévi-Strauss considera l’antropologia, più che una disciplina, uno stile
di vita; per questo ha sempre incitato i suoi studenti a viaggiare e a fare
ricerca sul campo, anche all’interno
della loro stessa società. L’antropologo rifiuta consapevolmente il
proprio milieu per immergersi in
una civiltà ‘altra’, una specie di rito
per estraniarsi e immergersi in un
mondo diverso, da cui guardare, con
uno ‘sguardo da lontano’, la nostra
cosiddetta civiltà. Ed ecco come il
grande antropologo vede il nostro
futuro, ponendo in calce all’ultimo
suo scritto del 2008 una frase di
Apollinaire, riferendosi ai suoi
selvaggi:
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Claude Lévi-Strauss
(Apollinaire, Alcools)
SLIDE
Parte finale della lezione inaugurale
pronunciata da Lévi-Strauss al
Collège de France il 5 Gennaio 1960,
quando gli venne ufficialmente
affidata la cattedra di Antropologia
sociale:
“Permetterete dunque, miei cari
colleghi, che dopo aver reso omaggio
ai maestri dell’antropologia sociale
all’inizio di questa lezione, le mie
ultime parole siano per quei selvaggi, la cui oscura tenacia ci offre
ancora modo di assegnare ai fatti
umani le loro vere dimensioni:
uomini e donne che, nell’istante in
cui parlo, a migliaia di chilometri di
qui, in una savana rosa dai fuochi di
sterpi o in una foresta grondante di
pioggia, fanno ritorno all’accampamento per dividere un magro nutrimento, ed evocare insieme i loro dei;
quegli Indiani dei tropici, e i loro
simili sparsi per il mondo, che mi
hanno insegnato il loro povero
sapere in cui consiste, tuttavia,
l’essenziale delle conoscenze che voi
mi avete incaricato di trasmettere ad
altri; ben presto, ahimè, destinati
tutti all’estinzione, sotto il trauma
delle malattie e dei modi di vita – per
essi ancora più orribili – che abbiamo portato loro; e verso i quali ho
contratto un debito di cui non mi
sentirei liberato nemmeno se, al
posto in cui mi avete messo, potessi
giustificare la tenerezza che mi
ispirano, e la riconoscenza che ho
per loro, continuando a mostrarmi
quale fui tra loro, e quale tra voi,
vorrei non cessare di essere: loro
allievo, e loro testimone.
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