Università della Calabria Dipartimento di Studi

Università della Calabria
Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia
QUADERNI DI AIÔNOS
Saggi di storia, storiografia e culture, dall’antichità all’età contemporanea
della rivista «Aiônos. Miscellanea di studi storici»

Direttore responsabile
Giovanna D S S
Comitato di direzione
Filippo B
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Katia M
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Comitato di redazione
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Comitato scientifico
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Università di Chieti–Pescara
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Università di Cassino e del Lazio Meridionale
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Roberto M  R
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Claudio R
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Jean–Luc V
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Université Catholique de Louvain
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Boghos L Z
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Università Ca’ Foscari di Venezia
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Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia
QUADERNI DI AIÔNOS
Saggi di storia, storiografia e culture, dall’antichità all’età contemporanea
della rivista «Aiônos. Miscellanea di studi storici»
I Quaderni di Aiônos si offrono come approdo naturale dei frutti più corposi dell’attività di ricerca di dottorandi, assegnisti di ricerca e docenti, svolta all’interno
della Sezione di Storia del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della
Calabria, che presentino nuova documentazione per i temi affrontati o nuove prospettive ai filoni di indagine consolidati negli ambiti disciplinari di questa struttura
scientifica. Della rivista «Aiônos. Miscellanea di Studi Storici» i Quaderni conservano
la dimensione mediterranea, europea ed extraeuropea e l’approccio diacronico
e interdisciplinare; sono altresì aperti ad apporti esterni su tematiche affini o di
analoga prospettiva.
Le opere pubblicate all’interno della collana sono sottoposte a peer review, valutate in forma anonima da almeno due revisori dell’ambito disciplinare di riferimento.
Sede della Redazione:
Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia
Università della Calabria
via Pietro Bucci (Cubo D)
 Rende (CS)
[email protected]
Il volume è stato pubblicato con il contributo del
Dipartimento di Studi Umanistici
Università della Calabria
Francesca Spina
U jornu senza pani, a sira l’aeroplani
Racconti di vita calabresi
sulla Seconda Guerra Mondiale
Prefazione di
Alessandro Portelli
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: ottobre 
Ringraziamenti
Numerosi sono i debiti di riconoscenza contratti per la realizzazione di questo
lavoro. Innanzitutto, desidero ringraziare, per la fiducia accordatami, il professore
Rosario Giordano il cui supporto è stato fondamentale nella fase di progettazione,
impostazione e pubblicazione del lavoro. Sono altresì molto grata alla professoressa
Giovanna De Sensi Sestito per aver consentito che il lavoro venisse pubblicato nella
collana Aiônos.
Ringrazio quanti, con grande disponibilità, mi hanno permesso di approfondire
alcuni dei temi trattati nel volume, in particolare la professoressa Gabriella Gribaudi
e il professore Alessandro Portelli per avermi segnalato e fornito alcuni testi.
Grazie alla professoressa Maria Rosaria Pizzuti per aver letto il manoscritto e
per i preziosi suggerimenti in merito alla forma del testo.
Un sentito ringraziamento va a tutti coloro che mi hanno aiutata a rintracciare i
testimoni da intervistare: Giulio Grilletta, Maria Caputo, Francesca Caputo, Valentina Grillo e Ilenia Taverna. Il grazie più grande lo rivolgo agli intervistati che ho
avuto il piacere e l’onore di conoscere e ascoltare. Li ringrazio per avermi accolto
nelle loro case, nelle loro vite e per avermi permesso di raccogliere le testimonianze
senza le quali il libro non avrebbe visto la luce.
Indice

Prefazione
Alessandro Portelli

Introduzione
Parte I
Costruzione e lettura
dei racconti di vita

Capitolo I
Il lavoro e la sua ‘storia’
.. Dalla fonte orale alla trascrizione,  – .. Le interviste, .

Capitolo II
La «guerra narrata»
.. Bambini in guerra. . . ,  – ... “Era quasi un’avventura. . . ”,  –
... Crescere in guerra,  – ... “Si campava cosi!”,  – ... Effetti
collaterali: l’individualismo e il mercato nero,  – .. I bombardamenti
aerei,  – ... Vivere sotto le bombe,  – ... Il destino, la fortuna,
le credenze,  – ... Ricoveri di fortuna,  – .. Gli sfollati raccontano. . . ,  – ... Vite che cambiano,  – ... . . . i pidocchi!,  –
... Tra razzismo e solidarietà,  – .. Soldati,  – ... Il fronte
e la prigionia,  – ... Tra obbedienza e trasgressione: sopravvivere al
fronte,  – .. Tornare e. . . ricominciare, .

Conclusioni

Indice

Parte II
Le testimonianze

Capitolo I
«Guardavo i bombardamenti. . . sembrava un film!». I bambini
sfollati
.. Adua Marino,  – .. Domenico Tedesco,  – .. Nicola
Bianchi,  – .. Pasquale Torromino,  – .. Ugo Ranieri, .

Capitolo II
«E i piducchi avanzavini. . . ». I prigionieri
.. Damiano Dima,  – .. Francesco Lucente,  – .. Pasquale
Zito,  – .. Stefano Russano, .

Capitolo III
«Senza lucia, senza pani, senza nenti!». Racconti di donne
.. Filomena Lopilato,  – .. Franceschina Bisignano,  – .. Maria
Cavallo,  – .. Maria Vittoria De Biasi,  – .. Rosa Lizzi, .

Schede biografiche degli intervistati

Bibliografia
Storia, memoria, fonti orali,  – La seconda guerra mondiale,  –
Altri testi, .
Prefazione
A P
La guerra è una tragedia vissuta in molte forme, ma è anche una
tragedia continuamente raccontata. La domanda “papà” (o “nonno”)
che cosa hai fatto in guerra” è quasi uno stereotipo della trasmissione storica fra le generazioni — così come l’altra frase, “papà” (o
“nonno”), basta con questa guerra, ce l’hai già raccontata mille volte!”
rappresenta l’insofferenza dei tempi nuovi verso i drammi dei tempi
andati, la solitudine degli anziani e dei reduci. La guerra è un grande
evento politico globale (“mondiale”), ma è anche un evento locale (le
città distrutte, i paesi occupati) e un evento profondamente personale
(sia per chi l’ha combattuta sia per chi in guerra ha perduto qualche persona cara). Per questo non c’è memoria storica più intensa,
pervasiva e molteplice della memoria della guerra.
Questo è vero sempre, ma lo è ancora di più per le guerre moderne, soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale. Come mi
disse una volta un’operaia tessile di Terni (che allora aveva novant’anni), “la prima guerra mondiale l’hanno fatta lassù” (al fronte, eserciti
contro eserciti), “la seconda anche noi eravamo coinvolti” (il quartiere bombardato, la famiglia sfollata). Schematizzava, ma è un fatto
che dalla seconda guerra mondiale in poi (ma già prima, nelle guerre
coloniali italiane in Libia e in Etiopia), fino alle guerre odierne in
Medio Oriente e alle guerre quasi invisibili che si combattono tuttora
in Africa, la guerra è anche, soprattutto anzi, guerra ai civili, guerra
che uccide al fronte ma anche lontano dal fronte, guerra senza fronte,
guerra che ti piomba in casa sotto forma di bombe, che ti entra in
città sotto forma di eserciti occupanti. Per questo, è giusto che il
libro di Francesca Spina si apra e si chiuda con le storie di soggetti
generalmente ritenuti estranei o marginali rispetto a questa storia: i
bambini e le donne.
“Era quasi un’avventura”, dicono i narratori di Francesca Spina.
A suo modo, la guerra è stata a lungo raccontata come un’avventura
da chi l’ha combattuta: terre sconosciute, peripezie drammatiche, la


Prefazione
morte data e rischiata, l’impatto con l’esercito, le armi, la gerarchia, i
nemici, gli stranieri. . . Ma per i bambini l’avventura è anche spettacolo; tante volte ho ascoltato narratori che erano bambini nella città
bombardata di Terni raccontare l’emozione e lo stupore dei bombardamenti notturni come se fossero fuochi artificiali. Sembrava un film,
dicono ancora i personaggi di questo libro: ed è vero anche perché la
guerra vissuta viene vista e ricordata anche attraverso i film visti, sia
prima sia dopo. Non è tanto il film che realisticamente rappresenta
gli eventi bellici, quanto lo sguardo e la memoria che si avvalgono
del linguaggio cinematografico per organizzare e drammatizzare il
racconto e proiettarlo su uno scenario più ampio.
Ma sotto l’avventura si annida il trauma: per fare un esempio
personale, la mia prima memoria (forse inventata — avevo meno
di due anni — ma estremamente vivida e rispondente al vero) è di
me avvolto in una coperta celeste in braccio a mia madre nel rifugio
antiaereo di piazza Etruria a Roma.
Le guerre di oggi, poi, sono soprattutto guerre contro le donne:
lo stupro di massa, di cui resta memoria dolorosa in certe parti del
Lazio (ma che è stato praticato in quegli anni anche su altri fronti,
soprattutto in Germania) è diventato un’arma consapevolmente e
sistematicamente usata nelle “pulizie etniche” delle guerre moderne.
Ma anche in esperienze meno terribili, grava sulle donne anche in
tempo di guerra il compito estremo della sopravvivenza. Non c’è
luce, non c’è pane, non c’è niente, e diventa compito delle donne, specie quando gli unici uomini rimasti sono vecchi, invalidi e bambini,
supplire a queste mancanze e tenere in vita le famiglie e le comunità,
rischiando la vita sotto le bombe o fra eserciti ostili, non meno degli
uomini al fronte.
Un altro motivo di interesse del lavoro di Francesca Spina è proprio lo spostamento dell’asse geografico del racconto. Le storie del
fronte sono quasi incidentali, non occupano più lo spazio privilegiato
della narrazione di guerra. Già il fatto di parlare dal punto di vista
della Calabria sposta l’attenzione, quasi sempre più focalizzata su
regioni dove i combattimenti (e la resistenza) sono durati più a lungo.
In questo senso, il lavoro di Francesca Spina si pone sulla scia di
ricerche ormai classiche sulla guerra al Sud, come quelle di Gabriella
Gribaudi (Guerra totale, sulla memoria dei bombardamenti alleati e
dell’occupazione tedesca in Campania). Ma lo spostamento è ancora
più radicale perché Francesca Spina ci conduce in due non luoghi per
definizione: lo sfollamento e il campo di prigionia. E non a caso tutte
Prefazione

e due sono unificate dall’immagine avanzante dei pidocchi, simbolo
di una riduzione allo stato di natura, all’elementarmente umano.
L’esperienza degli sfollati è quella di un profondo sradicamento
non solo dai luoghi abituali, ma dalla civiltà stessa. Famiglie urbane o
di paese si trovano sbattute in un mondo rurale che non conoscono
più e che gli è spesso ostile, a fare i conti con la lotta elementare
per la sopravvivenza, quasi in un ritorno forzato allo stato di natura
(“assolutamente niente” era la frase ricorrente nei racconti degli
sfollati che ho ascoltato a Roma e a Terni). Per i prigionieri, lo spazio
alieno del campo, circondato dallo spazio alieno di un paese straniero,
è vissuto all’interno di un tempo sospeso, un’attesa di eventi sui
quali non possono più niente. Il loro futuro dipende dall’andamento
della guerra, ma su questo andamento loro non ci possono fare
niente, sono solo lì rinchiusi che aspettano e inventano una nuova,
provvisoria società.
Questi sono solo alcuni dei temi di un libro ricco, complesso e partecipe, condotto con sicura competenza nel trattamento delle fonti orali e
della loro rappresentazione. È proprio dalle fonti orali, dai racconti di
persone con nome e cognome su esperienze specifiche, che lavori come
questo prendono vita: al di là della puntualità storiografica, diventano
esplorazioni del senso del passato e della storia in un’epoca che la guerra
la ricorda a parola e la dimentica, per continuare a farla, nei fatti.
Introduzione
«Chi ha veramente costruito le piramidi? I faraoni che gli hanno dato
il nome o le migliaia di operai che portavano la sabbia e le pietre
sulle spalle?» . Un quesito, questo di Bertolt Brecht, che ha dischiuso
un nuovo orizzonte, mi ha persuasa a scoprire l’altra storia, quella
dei senza storia.
Il lavoro, infatti, muove dall’interesse di entrare in una dimensione
del vissuto della seconda guerra mondiale in Calabria attraverso le
testimonianze di civili, alfine di ovviare a un “vuoto di memoria”
che segna la nostra storia.
Riuscire a dar voce ai silenzi della scrittura “ufficiale”, riuscire per
una volta non a leggere, ma prestare l’orecchio a un “libro vivente”,
poter interrogare la storia, ricevere risposte a domande che mi ponevo
da tempo (quale fu l’atteggiamento dell’uomo semplice nei confronti
della guerra? Qual è la prospettiva dei non eroi?) è stato affascinante,
ma non semplice. Dapprima, è stato necessario educare il mio senso
storico, «acquisire la capacità di percepire la lontananza del passato e, al
tempo stesso, la sua permanenza nel presente». Di poi, introdursi nella
vita di persone sconosciute alle quali è stato chiesto di addentrarsi nei
meandri della memoria per ricordare, e ricordare non ciò che è stato
fatto qualche giorno prima o eventi lieti della propria vita, ma la guerra
e tutto ciò che di più funesto ad essa è legato. Constatare, quindi, che
tracciare la storia dell’uomo non è semplice poiché nulla è ben definito,
ma al contrario, essa si presenta fluida e soggetta agli intrecci propri
del vissuto. Oltre a ciò, l’entusiasmo iniziale per tale esperienza è stato
scalfito da un limite di contesto, ovvero, la difficoltà nell’individuazione
dei testimoni da intervistare: la distanza di ben oltre sessanta anni dagli
avvenimenti, in effetti, ha ridotto nettamente il numero di persone con
le quali confrontarmi.
. F. F, Storia e storie di vita, Bari, Laterza, , p. .
. Mi riferisco alla scarsezza di studi e relative fonti scritte aventi ad oggetto la Calabria
del periodo bellico –.
. A. G, S. M (a cura di), Dalla memoria alla storia. Esperienze educative e questioni
teoriche, Soveria Mannelli, Rubbettino, , p. .


Introduzione
Tuttavia, sono andata avanti. Recuperando materiale sulla storia
orale, sull’uso delle sue fonti e leggendo articoli, saggi, libri di storici
come A. Portelli, G. Contini, L. Passerini, G. Gribaudi , ecc. ho
scoperto che, in una indagine di questo tipo, l’inconveniente, come
quello che mi si è precocemente palesato, deve essere convertito in
un punto di forza della ricerca.
Ho deciso, pertanto, di contattare l’autore di uno dei pochi libri
sul conflitto armato in Calabria , il dottor Giulio Grilletta, che ha
mostrato sin da subito grande interesse per il lavoro che mi preparavo
ad affrontare e mi ha così aiutata nell’individuazione di alcuni testimoni crotonesi: Ugo Ranieri, Pasquale Torromino e Adua Marino.
Conversando con gli ultimi due, ho poi avuto modo di intervistare i
rispettivi coniugi, Nicola Bianchi e Rosa Lizzi.
Nell’arco di due settimane sono perciò riuscita ad ascoltare ben
cinque testimoni i quali, tenendo conto dell’età che li ha visti protagonisti della vicenda bellica, hanno fornito delle narrazioni lunghe,
intessute di singolari aneddoti legati ad alcuni nuclei narrativi — sfollamento, guerra–avventura nei ricordi dei bambini, bombardamenti,
fame — illustrati e analizzati nella prima parte del lavoro.
Circa le restanti memorie, un considerevole aiuto è derivato da
alcuni intermediatori (miei familiari e loro conoscenti) che, accompagnandomi e assistendo agli incontri, hanno contribuito a rendere
gli intervistati più disinvolti nel raccontare.
Mi riferisco alle interviste a Francesco Lucente, Stefano Russano, Pasquale Zito, Damiano Dima giovani militi che, poco più che
ventenni, hanno dovuto affrontare la guerra e la prigionia, far dell’astuzia l’arma vincente per sopravvivere ai morsi della fame, al freddo,
alla vita. I loro racconti — tutti in dialetto strongolese — appaiono
laconici confrontandoli ai precedenti, ma la brevità è in questo caso
. Cfr. A. P, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, ;
G. C, A. M, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, Roma,
La nuova Italia scientifica, ; L. P, Storia e soggettività. Le fonti orali e la memoria,
Firenze, La nuova Italia, ; G. G, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste.
Napoli e il fronte meridionale –, Torino, Bollati Boringhieri, . Quanto agli articoli, cfr.
A. P, La forma dialogica e narrativa delle fonti orali, in «Archivi per la storia», a. XVI, n.,
gennaio–giugno , pp. –; L. P, La scrittura storica come forma di intersoggettività, in
«Contemporanea», a. XI, n. , luglio , pp. –; G. C, Fonti orali e storia delle identità
individuali e collettive, in «Rassegna degli archivi di stato», a. XLVIII, n. –, gennaio–agosto ,
pp. –.
. Cfr. G. G, KR –. Cronache di guerra, Cosenza, Pellegrini Editore, .
Introduzione

corroborata dalla meticolosità e linearità della narrazione. Damiano
Dima e Paquale Zito, ad esempio, hanno fornito testimonianze contrassegnate dalla frammentarietà dovuta rispettivamente alla difficoltà
nell’esprimersi e alle ridotte capacità uditive.
Maria Cavallo e Domenico Tedesco li ho intervistati grazie a due
amiche, loro nipoti. Peculiarità di entrambi i racconti la discorsività e
gli aneddoti relativi allo scampo da un bombardamento.
Il corpus di récits de vie mette in rilievo il nesso tra diversità dei
vissuti e unitarietà dell’esperienza storica: nonostante le differenze di
ceto e istruzione, appaiono forti i tratti comuni tra le testimonianze
per ciò che concerne l’umana esperienza del disorientamento e della
costrizione; appaiono forme di comunicazione e livelli stilistici che
mostrano un profilo complesso della cultura dei gruppi “subalterni”
ai quali gli intervistati appartengono. Nonostante tutto, il corpus pone
problemi di analisi per l’essere prodotta a partire da un incontro tra
ricercatore e testimone, ma chiarimenti a riguardo saranno esposti
in seguito.
Siffatta raccolta di memorie non intende opporsi alla “mendace” storia ufficiale: «non esistono fonti bugiarde e fonti sincere, ma
solo una maggiore o minore capacità degli storici nell’utilizzarle» .
Dunque, una delle finalità della presente indagine è considerare macrostoria e storia soggettiva complementari, offrendo una visione
della seconda guerra mondiale dalla prospettiva dell’uomo comune.
Anche io come Sandra Landi «non mi sono soffermata sui fatti,
ma solo sul modo con cui queste persone si sono rapportate ad essi,
come la guerra ha sconvolto o trasformato la loro esistenza, come la
quotidianità ha vissuto il grande evento. Non la realtà così come era
quindi, ma come è stata vissuta dai protagonisti, realtà soggettivizzata,
filtrata attraverso l’io e la sua memoria» .
La memoria, allora, diventa fonte storica quando coglie l’esperienza
quotidiana, ed è per tal motivo che, in questa analisi, è l’oralità ad essere
assunta come elemento caratterizzante e funzionale alla ricerca. La
fonte orale costituisce a tutti gli effetti un approccio innovativo alla
metodologia dell’indagine storica, poiché mette in discussione la
pretesa oggettività del documento storico tradizionale, configurando
soggetti storici nuovi per atteggiamenti e forme espressive, fornendo
. G. C, op. cit., p. .
. S. L, La guerra narrata. Materiale biografico orale e scritto sulla seconda guerra mondiale,
Venezia, Marsilio, , p. .

Introduzione
spunti per la conoscenza della realtà con la quale sono in stretta connessione. L’esperienza umana, infatti, difficilmente è riconducibile
alle dimensioni della storia ufficiale.
Questi, dunque, i presupposti di un lavoro che mira alla lettura
ravvicinata di un evento bellico che in riferimento al Meridione è
stato poco trattato, laddove esiste una ricca letteratura sul Nord Italia
(fra i testi più noti: L’anello forte e Il mondo dei vinti di Revelli, La
guerra narrata di Landi, Dalla memoria alla storia , a cura di Grasselli
e Maletta). Nel panorama letterario relativo al Meridione costituiscono eccezione Quando uscimmo dai rifugi. Il Mezzogiorno tra guerra e
dopoguerra (–) di G. Chianese e il libro di G. Gribaudi, Guerra
totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale
–, uno dei più interessanti per struttura narrativa e importanza attribuita all’aspetto introspettivo. Quanto alla Calabria, non
esiste alcun lavoro sui racconti di vita di civili o ex soldati e prigionieri, mentre ne sono stati pubblicati alcuni di taglio cronachistico
che poco spazio lasciano all’aspetto introspettivo, all’umanizzazione
della storia.
L’insufficienza di studi trova ragion d’essere nel discredito verso
la documentazione orale sottovalutata per molto tempo. La diffidenza verso i risultati di operazioni in cui agiscono soggettività degli
intervistati e intervistatori, anziché di registrazioni “oggettive” e neutrali, è purtroppo stata grande, e non solo negli ambienti degli storici
ufficiali.
Il discorso storico sulle fonti orali, difatti, in Italia arriva tardi. Probabilmente ciò «dipende dal fatto che da noi lo storicismo, con il suo
culto della verità fattuale, dei fatti “come sono veramente accaduti”, ha
avuto nello sviluppo crociano, post–crociano e anche crociano marxista,
un grosso ruolo». Note sono appunto «tutte le polemiche che i crociani conducevano nei confronti di chi si occupava di storia del mondo
subalterno, quasi che la storia del villaggio non fosse vera storia» .
Ebbene, in Italia l’elevata valenza “ideologica” assegnata alla ri. N. R, L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, Torino, Einaudi, .
. N. R, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Torino, Einaudi, .
. A. G, S. M (a cura di), Dalla memoria alla storia. Esperienze educative e
questioni teoriche, Soveria Mannelli, Rubbettino, .
. G. C, op. cit., p. .
. G. C, Il problema storiografico delle fonti orali e il ruolo dell’intervistatore, in «Archivi per
la storia», a. XVI, n. , gennaio–giugno , pp. –.