Università della Calabria Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia QUADERNI DI AIÔNOS Saggi di storia, storiografia e culture, dall’antichità all’età contemporanea della rivista «Aiônos. Miscellanea di studi storici» Direttore responsabile Giovanna D S S Comitato di direzione Filippo B Maria I Katia M Marta P Comitato di redazione Francesco C Benedetto C Renata C Rosario G Renato S Giuseppe S Gioacchino S Antonio Z Comitato scientifico Bruno A Irene F Roskilde University Università di Chieti–Pescara Maurice A Manuela M École des Hautes Études en Sciences Sociales Università di Cassino e del Lazio Meridionale Carlo C Roberto M R Università della Calabria Università degli Studi Roma Tre Jesper C Claudio R Syddansk Universitet Sapienza Università di Roma Alessandro C Jean–Luc V Università di Bologna Université Catholique de Louvain John D Boghos L Z University of Connecticut Università Ca’ Foscari di Venezia Università della Calabria Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia QUADERNI DI AIÔNOS Saggi di storia, storiografia e culture, dall’antichità all’età contemporanea della rivista «Aiônos. Miscellanea di studi storici» I Quaderni di Aiônos si offrono come approdo naturale dei frutti più corposi dell’attività di ricerca di dottorandi, assegnisti di ricerca e docenti, svolta all’interno della Sezione di Storia del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, che presentino nuova documentazione per i temi affrontati o nuove prospettive ai filoni di indagine consolidati negli ambiti disciplinari di questa struttura scientifica. Della rivista «Aiônos. Miscellanea di Studi Storici» i Quaderni conservano la dimensione mediterranea, europea ed extraeuropea e l’approccio diacronico e interdisciplinare; sono altresì aperti ad apporti esterni su tematiche affini o di analoga prospettiva. Le opere pubblicate all’interno della collana sono sottoposte a peer review, valutate in forma anonima da almeno due revisori dell’ambito disciplinare di riferimento. Sede della Redazione: Dipartimento di Studi Umanistici — Sezione di Storia Università della Calabria via Pietro Bucci (Cubo D) Rende (CS) [email protected] Il volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici Università della Calabria Francesca Spina U jornu senza pani, a sira l’aeroplani Racconti di vita calabresi sulla Seconda Guerra Mondiale Prefazione di Alessandro Portelli Copyright © MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre Ringraziamenti Numerosi sono i debiti di riconoscenza contratti per la realizzazione di questo lavoro. Innanzitutto, desidero ringraziare, per la fiducia accordatami, il professore Rosario Giordano il cui supporto è stato fondamentale nella fase di progettazione, impostazione e pubblicazione del lavoro. Sono altresì molto grata alla professoressa Giovanna De Sensi Sestito per aver consentito che il lavoro venisse pubblicato nella collana Aiônos. Ringrazio quanti, con grande disponibilità, mi hanno permesso di approfondire alcuni dei temi trattati nel volume, in particolare la professoressa Gabriella Gribaudi e il professore Alessandro Portelli per avermi segnalato e fornito alcuni testi. Grazie alla professoressa Maria Rosaria Pizzuti per aver letto il manoscritto e per i preziosi suggerimenti in merito alla forma del testo. Un sentito ringraziamento va a tutti coloro che mi hanno aiutata a rintracciare i testimoni da intervistare: Giulio Grilletta, Maria Caputo, Francesca Caputo, Valentina Grillo e Ilenia Taverna. Il grazie più grande lo rivolgo agli intervistati che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere e ascoltare. Li ringrazio per avermi accolto nelle loro case, nelle loro vite e per avermi permesso di raccogliere le testimonianze senza le quali il libro non avrebbe visto la luce. Indice Prefazione Alessandro Portelli Introduzione Parte I Costruzione e lettura dei racconti di vita Capitolo I Il lavoro e la sua ‘storia’ .. Dalla fonte orale alla trascrizione, – .. Le interviste, . Capitolo II La «guerra narrata» .. Bambini in guerra. . . , – ... “Era quasi un’avventura. . . ”, – ... Crescere in guerra, – ... “Si campava cosi!”, – ... Effetti collaterali: l’individualismo e il mercato nero, – .. I bombardamenti aerei, – ... Vivere sotto le bombe, – ... Il destino, la fortuna, le credenze, – ... Ricoveri di fortuna, – .. Gli sfollati raccontano. . . , – ... Vite che cambiano, – ... . . . i pidocchi!, – ... Tra razzismo e solidarietà, – .. Soldati, – ... Il fronte e la prigionia, – ... Tra obbedienza e trasgressione: sopravvivere al fronte, – .. Tornare e. . . ricominciare, . Conclusioni Indice Parte II Le testimonianze Capitolo I «Guardavo i bombardamenti. . . sembrava un film!». I bambini sfollati .. Adua Marino, – .. Domenico Tedesco, – .. Nicola Bianchi, – .. Pasquale Torromino, – .. Ugo Ranieri, . Capitolo II «E i piducchi avanzavini. . . ». I prigionieri .. Damiano Dima, – .. Francesco Lucente, – .. Pasquale Zito, – .. Stefano Russano, . Capitolo III «Senza lucia, senza pani, senza nenti!». Racconti di donne .. Filomena Lopilato, – .. Franceschina Bisignano, – .. Maria Cavallo, – .. Maria Vittoria De Biasi, – .. Rosa Lizzi, . Schede biografiche degli intervistati Bibliografia Storia, memoria, fonti orali, – La seconda guerra mondiale, – Altri testi, . Prefazione A P La guerra è una tragedia vissuta in molte forme, ma è anche una tragedia continuamente raccontata. La domanda “papà” (o “nonno”) che cosa hai fatto in guerra” è quasi uno stereotipo della trasmissione storica fra le generazioni — così come l’altra frase, “papà” (o “nonno”), basta con questa guerra, ce l’hai già raccontata mille volte!” rappresenta l’insofferenza dei tempi nuovi verso i drammi dei tempi andati, la solitudine degli anziani e dei reduci. La guerra è un grande evento politico globale (“mondiale”), ma è anche un evento locale (le città distrutte, i paesi occupati) e un evento profondamente personale (sia per chi l’ha combattuta sia per chi in guerra ha perduto qualche persona cara). Per questo non c’è memoria storica più intensa, pervasiva e molteplice della memoria della guerra. Questo è vero sempre, ma lo è ancora di più per le guerre moderne, soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale. Come mi disse una volta un’operaia tessile di Terni (che allora aveva novant’anni), “la prima guerra mondiale l’hanno fatta lassù” (al fronte, eserciti contro eserciti), “la seconda anche noi eravamo coinvolti” (il quartiere bombardato, la famiglia sfollata). Schematizzava, ma è un fatto che dalla seconda guerra mondiale in poi (ma già prima, nelle guerre coloniali italiane in Libia e in Etiopia), fino alle guerre odierne in Medio Oriente e alle guerre quasi invisibili che si combattono tuttora in Africa, la guerra è anche, soprattutto anzi, guerra ai civili, guerra che uccide al fronte ma anche lontano dal fronte, guerra senza fronte, guerra che ti piomba in casa sotto forma di bombe, che ti entra in città sotto forma di eserciti occupanti. Per questo, è giusto che il libro di Francesca Spina si apra e si chiuda con le storie di soggetti generalmente ritenuti estranei o marginali rispetto a questa storia: i bambini e le donne. “Era quasi un’avventura”, dicono i narratori di Francesca Spina. A suo modo, la guerra è stata a lungo raccontata come un’avventura da chi l’ha combattuta: terre sconosciute, peripezie drammatiche, la Prefazione morte data e rischiata, l’impatto con l’esercito, le armi, la gerarchia, i nemici, gli stranieri. . . Ma per i bambini l’avventura è anche spettacolo; tante volte ho ascoltato narratori che erano bambini nella città bombardata di Terni raccontare l’emozione e lo stupore dei bombardamenti notturni come se fossero fuochi artificiali. Sembrava un film, dicono ancora i personaggi di questo libro: ed è vero anche perché la guerra vissuta viene vista e ricordata anche attraverso i film visti, sia prima sia dopo. Non è tanto il film che realisticamente rappresenta gli eventi bellici, quanto lo sguardo e la memoria che si avvalgono del linguaggio cinematografico per organizzare e drammatizzare il racconto e proiettarlo su uno scenario più ampio. Ma sotto l’avventura si annida il trauma: per fare un esempio personale, la mia prima memoria (forse inventata — avevo meno di due anni — ma estremamente vivida e rispondente al vero) è di me avvolto in una coperta celeste in braccio a mia madre nel rifugio antiaereo di piazza Etruria a Roma. Le guerre di oggi, poi, sono soprattutto guerre contro le donne: lo stupro di massa, di cui resta memoria dolorosa in certe parti del Lazio (ma che è stato praticato in quegli anni anche su altri fronti, soprattutto in Germania) è diventato un’arma consapevolmente e sistematicamente usata nelle “pulizie etniche” delle guerre moderne. Ma anche in esperienze meno terribili, grava sulle donne anche in tempo di guerra il compito estremo della sopravvivenza. Non c’è luce, non c’è pane, non c’è niente, e diventa compito delle donne, specie quando gli unici uomini rimasti sono vecchi, invalidi e bambini, supplire a queste mancanze e tenere in vita le famiglie e le comunità, rischiando la vita sotto le bombe o fra eserciti ostili, non meno degli uomini al fronte. Un altro motivo di interesse del lavoro di Francesca Spina è proprio lo spostamento dell’asse geografico del racconto. Le storie del fronte sono quasi incidentali, non occupano più lo spazio privilegiato della narrazione di guerra. Già il fatto di parlare dal punto di vista della Calabria sposta l’attenzione, quasi sempre più focalizzata su regioni dove i combattimenti (e la resistenza) sono durati più a lungo. In questo senso, il lavoro di Francesca Spina si pone sulla scia di ricerche ormai classiche sulla guerra al Sud, come quelle di Gabriella Gribaudi (Guerra totale, sulla memoria dei bombardamenti alleati e dell’occupazione tedesca in Campania). Ma lo spostamento è ancora più radicale perché Francesca Spina ci conduce in due non luoghi per definizione: lo sfollamento e il campo di prigionia. E non a caso tutte Prefazione e due sono unificate dall’immagine avanzante dei pidocchi, simbolo di una riduzione allo stato di natura, all’elementarmente umano. L’esperienza degli sfollati è quella di un profondo sradicamento non solo dai luoghi abituali, ma dalla civiltà stessa. Famiglie urbane o di paese si trovano sbattute in un mondo rurale che non conoscono più e che gli è spesso ostile, a fare i conti con la lotta elementare per la sopravvivenza, quasi in un ritorno forzato allo stato di natura (“assolutamente niente” era la frase ricorrente nei racconti degli sfollati che ho ascoltato a Roma e a Terni). Per i prigionieri, lo spazio alieno del campo, circondato dallo spazio alieno di un paese straniero, è vissuto all’interno di un tempo sospeso, un’attesa di eventi sui quali non possono più niente. Il loro futuro dipende dall’andamento della guerra, ma su questo andamento loro non ci possono fare niente, sono solo lì rinchiusi che aspettano e inventano una nuova, provvisoria società. Questi sono solo alcuni dei temi di un libro ricco, complesso e partecipe, condotto con sicura competenza nel trattamento delle fonti orali e della loro rappresentazione. È proprio dalle fonti orali, dai racconti di persone con nome e cognome su esperienze specifiche, che lavori come questo prendono vita: al di là della puntualità storiografica, diventano esplorazioni del senso del passato e della storia in un’epoca che la guerra la ricorda a parola e la dimentica, per continuare a farla, nei fatti. Introduzione «Chi ha veramente costruito le piramidi? I faraoni che gli hanno dato il nome o le migliaia di operai che portavano la sabbia e le pietre sulle spalle?» . Un quesito, questo di Bertolt Brecht, che ha dischiuso un nuovo orizzonte, mi ha persuasa a scoprire l’altra storia, quella dei senza storia. Il lavoro, infatti, muove dall’interesse di entrare in una dimensione del vissuto della seconda guerra mondiale in Calabria attraverso le testimonianze di civili, alfine di ovviare a un “vuoto di memoria” che segna la nostra storia. Riuscire a dar voce ai silenzi della scrittura “ufficiale”, riuscire per una volta non a leggere, ma prestare l’orecchio a un “libro vivente”, poter interrogare la storia, ricevere risposte a domande che mi ponevo da tempo (quale fu l’atteggiamento dell’uomo semplice nei confronti della guerra? Qual è la prospettiva dei non eroi?) è stato affascinante, ma non semplice. Dapprima, è stato necessario educare il mio senso storico, «acquisire la capacità di percepire la lontananza del passato e, al tempo stesso, la sua permanenza nel presente». Di poi, introdursi nella vita di persone sconosciute alle quali è stato chiesto di addentrarsi nei meandri della memoria per ricordare, e ricordare non ciò che è stato fatto qualche giorno prima o eventi lieti della propria vita, ma la guerra e tutto ciò che di più funesto ad essa è legato. Constatare, quindi, che tracciare la storia dell’uomo non è semplice poiché nulla è ben definito, ma al contrario, essa si presenta fluida e soggetta agli intrecci propri del vissuto. Oltre a ciò, l’entusiasmo iniziale per tale esperienza è stato scalfito da un limite di contesto, ovvero, la difficoltà nell’individuazione dei testimoni da intervistare: la distanza di ben oltre sessanta anni dagli avvenimenti, in effetti, ha ridotto nettamente il numero di persone con le quali confrontarmi. . F. F, Storia e storie di vita, Bari, Laterza, , p. . . Mi riferisco alla scarsezza di studi e relative fonti scritte aventi ad oggetto la Calabria del periodo bellico –. . A. G, S. M (a cura di), Dalla memoria alla storia. Esperienze educative e questioni teoriche, Soveria Mannelli, Rubbettino, , p. . Introduzione Tuttavia, sono andata avanti. Recuperando materiale sulla storia orale, sull’uso delle sue fonti e leggendo articoli, saggi, libri di storici come A. Portelli, G. Contini, L. Passerini, G. Gribaudi , ecc. ho scoperto che, in una indagine di questo tipo, l’inconveniente, come quello che mi si è precocemente palesato, deve essere convertito in un punto di forza della ricerca. Ho deciso, pertanto, di contattare l’autore di uno dei pochi libri sul conflitto armato in Calabria , il dottor Giulio Grilletta, che ha mostrato sin da subito grande interesse per il lavoro che mi preparavo ad affrontare e mi ha così aiutata nell’individuazione di alcuni testimoni crotonesi: Ugo Ranieri, Pasquale Torromino e Adua Marino. Conversando con gli ultimi due, ho poi avuto modo di intervistare i rispettivi coniugi, Nicola Bianchi e Rosa Lizzi. Nell’arco di due settimane sono perciò riuscita ad ascoltare ben cinque testimoni i quali, tenendo conto dell’età che li ha visti protagonisti della vicenda bellica, hanno fornito delle narrazioni lunghe, intessute di singolari aneddoti legati ad alcuni nuclei narrativi — sfollamento, guerra–avventura nei ricordi dei bambini, bombardamenti, fame — illustrati e analizzati nella prima parte del lavoro. Circa le restanti memorie, un considerevole aiuto è derivato da alcuni intermediatori (miei familiari e loro conoscenti) che, accompagnandomi e assistendo agli incontri, hanno contribuito a rendere gli intervistati più disinvolti nel raccontare. Mi riferisco alle interviste a Francesco Lucente, Stefano Russano, Pasquale Zito, Damiano Dima giovani militi che, poco più che ventenni, hanno dovuto affrontare la guerra e la prigionia, far dell’astuzia l’arma vincente per sopravvivere ai morsi della fame, al freddo, alla vita. I loro racconti — tutti in dialetto strongolese — appaiono laconici confrontandoli ai precedenti, ma la brevità è in questo caso . Cfr. A. P, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, ; G. C, A. M, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, Roma, La nuova Italia scientifica, ; L. P, Storia e soggettività. Le fonti orali e la memoria, Firenze, La nuova Italia, ; G. G, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale –, Torino, Bollati Boringhieri, . Quanto agli articoli, cfr. A. P, La forma dialogica e narrativa delle fonti orali, in «Archivi per la storia», a. XVI, n., gennaio–giugno , pp. –; L. P, La scrittura storica come forma di intersoggettività, in «Contemporanea», a. XI, n. , luglio , pp. –; G. C, Fonti orali e storia delle identità individuali e collettive, in «Rassegna degli archivi di stato», a. XLVIII, n. –, gennaio–agosto , pp. –. . Cfr. G. G, KR –. Cronache di guerra, Cosenza, Pellegrini Editore, . Introduzione corroborata dalla meticolosità e linearità della narrazione. Damiano Dima e Paquale Zito, ad esempio, hanno fornito testimonianze contrassegnate dalla frammentarietà dovuta rispettivamente alla difficoltà nell’esprimersi e alle ridotte capacità uditive. Maria Cavallo e Domenico Tedesco li ho intervistati grazie a due amiche, loro nipoti. Peculiarità di entrambi i racconti la discorsività e gli aneddoti relativi allo scampo da un bombardamento. Il corpus di récits de vie mette in rilievo il nesso tra diversità dei vissuti e unitarietà dell’esperienza storica: nonostante le differenze di ceto e istruzione, appaiono forti i tratti comuni tra le testimonianze per ciò che concerne l’umana esperienza del disorientamento e della costrizione; appaiono forme di comunicazione e livelli stilistici che mostrano un profilo complesso della cultura dei gruppi “subalterni” ai quali gli intervistati appartengono. Nonostante tutto, il corpus pone problemi di analisi per l’essere prodotta a partire da un incontro tra ricercatore e testimone, ma chiarimenti a riguardo saranno esposti in seguito. Siffatta raccolta di memorie non intende opporsi alla “mendace” storia ufficiale: «non esistono fonti bugiarde e fonti sincere, ma solo una maggiore o minore capacità degli storici nell’utilizzarle» . Dunque, una delle finalità della presente indagine è considerare macrostoria e storia soggettiva complementari, offrendo una visione della seconda guerra mondiale dalla prospettiva dell’uomo comune. Anche io come Sandra Landi «non mi sono soffermata sui fatti, ma solo sul modo con cui queste persone si sono rapportate ad essi, come la guerra ha sconvolto o trasformato la loro esistenza, come la quotidianità ha vissuto il grande evento. Non la realtà così come era quindi, ma come è stata vissuta dai protagonisti, realtà soggettivizzata, filtrata attraverso l’io e la sua memoria» . La memoria, allora, diventa fonte storica quando coglie l’esperienza quotidiana, ed è per tal motivo che, in questa analisi, è l’oralità ad essere assunta come elemento caratterizzante e funzionale alla ricerca. La fonte orale costituisce a tutti gli effetti un approccio innovativo alla metodologia dell’indagine storica, poiché mette in discussione la pretesa oggettività del documento storico tradizionale, configurando soggetti storici nuovi per atteggiamenti e forme espressive, fornendo . G. C, op. cit., p. . . S. L, La guerra narrata. Materiale biografico orale e scritto sulla seconda guerra mondiale, Venezia, Marsilio, , p. . Introduzione spunti per la conoscenza della realtà con la quale sono in stretta connessione. L’esperienza umana, infatti, difficilmente è riconducibile alle dimensioni della storia ufficiale. Questi, dunque, i presupposti di un lavoro che mira alla lettura ravvicinata di un evento bellico che in riferimento al Meridione è stato poco trattato, laddove esiste una ricca letteratura sul Nord Italia (fra i testi più noti: L’anello forte e Il mondo dei vinti di Revelli, La guerra narrata di Landi, Dalla memoria alla storia , a cura di Grasselli e Maletta). Nel panorama letterario relativo al Meridione costituiscono eccezione Quando uscimmo dai rifugi. Il Mezzogiorno tra guerra e dopoguerra (–) di G. Chianese e il libro di G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale –, uno dei più interessanti per struttura narrativa e importanza attribuita all’aspetto introspettivo. Quanto alla Calabria, non esiste alcun lavoro sui racconti di vita di civili o ex soldati e prigionieri, mentre ne sono stati pubblicati alcuni di taglio cronachistico che poco spazio lasciano all’aspetto introspettivo, all’umanizzazione della storia. L’insufficienza di studi trova ragion d’essere nel discredito verso la documentazione orale sottovalutata per molto tempo. La diffidenza verso i risultati di operazioni in cui agiscono soggettività degli intervistati e intervistatori, anziché di registrazioni “oggettive” e neutrali, è purtroppo stata grande, e non solo negli ambienti degli storici ufficiali. Il discorso storico sulle fonti orali, difatti, in Italia arriva tardi. Probabilmente ciò «dipende dal fatto che da noi lo storicismo, con il suo culto della verità fattuale, dei fatti “come sono veramente accaduti”, ha avuto nello sviluppo crociano, post–crociano e anche crociano marxista, un grosso ruolo». Note sono appunto «tutte le polemiche che i crociani conducevano nei confronti di chi si occupava di storia del mondo subalterno, quasi che la storia del villaggio non fosse vera storia» . Ebbene, in Italia l’elevata valenza “ideologica” assegnata alla ri. N. R, L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, Torino, Einaudi, . . N. R, Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Torino, Einaudi, . . A. G, S. M (a cura di), Dalla memoria alla storia. Esperienze educative e questioni teoriche, Soveria Mannelli, Rubbettino, . . G. C, op. cit., p. . . G. C, Il problema storiografico delle fonti orali e il ruolo dell’intervistatore, in «Archivi per la storia», a. XVI, n. , gennaio–giugno , pp. –.