Oleg Smirnov. Il jazz vissuto in Russia

Oleg Smirnov. Il jazz vissuto in Russia
Scritto da Guido Michelone
Sabato 20 Giugno 2015 00:00
Foto: da internet
Oleg Smirnov. Il jazz vissuto in Russia.
Oleg Smirnov, attualmente impegnato al Berklee College of Music di
Boston, è tra i maggiori jazzmen russi. Attivo a Mosca, fin dagli anni
Novanta, è noto via via come bassista, producer, compositore,
performer, nonché leader del gruppo EXIT project, di cui esistono ben
sette album: Live Electricity (2002), Hack The World (2005), Mystery
Journey of Girl with her Death (2007), Live at Golden Mask (2007),
Shanti Place (2010), LiveSplashes (2011), Color Splashes (2014).
Come musicista, Oleg Smirnov parte dal jazz per aprirsi a un felice
connubio di fusion, elettronica, world music, avanguardia colta,
riuscendo altresì a collaborare con solisti quali, ad esempio, i russi
Sergey Letov, Nikolay Rubanov Gregory Sandomirsky, Kirill Parenchuk,
il francese Alexandre Madeline e l'azero Emil Afrasiyab. Vanta altresì
un progetto in Gran Bretagna con l'icona pop Marc Almond, mentre
come didatta insegna arrangiamento contemporaneo, armonia jazz e
composizione. In quest'intervista racconta la non facile transizione
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dall'URSS alla Russia in fatto di jazz.
Jazz Convention: Cosa sai del cosiddetto jazz sovietico? Che ricordi
hai?
Oleg Smirnov: Devo tornare alla mia infanzia quando mio padre
utilizzava uno scaffale per una collezione di dischi in vinile. Ne ricordo
uno chiamato Jazz 66 pubblicato dalla Melodiya, casa discografica di
stato sovietica. L'album era caratterizzato da una raccolta di alcuni
notevoli esibizioni dal vivo dal Jazz Festival di Mosca appunto del 1966.
JC: Ma le vicende del jazz in URSS iniziano assai prima o no?
OS: La storia del jazz sovietico risale agli anni Venti. La prima jazz
band professionista apparve in diretta su Radio Mosca già nel 1928.
Tuttavia, il jazz come fenomeno culturale più ampio ha iniziato a
diffondersi in tutto il paese solo dopo il 1960. Le generazioni di
intellettuali dell'epoca post-Stalin sono cresciuti ascoltando quei dischi
Melodiya in vinile di artisti jazz sia nazionali sia stranieri, che di tanto in
tanto erano esposti a performance live nei festival jazz che erano pochi
e piuttosto irregolari nel paese, ma più spesso il jazz si ascoltava nei
teatri di varietà locali che presentavano i concerti di jazzmen nazionali
in tour. Le visite di jazzisti occidentali erano un'occasione rara e quindi
quasi sempre un evento sensazionale. Fu nei primi anni Settanta
quando le orchestre di Duke Ellington e Thad Jones & Mel Lewis
effettuarono i tour con successo nell'URSS ad avere una grande
risonanza pubblica, che ciò contribuì al crescente interesse per il jazz
come forma d'arte. Le autorità sovietiche avevano un atteggiamento
ambiguo, perché il jazz veniva associato allo stile di vita e all'ideologia
occidentali. Tuttavia, da metà dei Seventies jazz e popular music sono
stati ufficialmente introdotti nel sistema di educazione musicale
professionale statale, e dipartimenti jazz erano promossi in varie scuole
di musica e in conservatori di diverse città dell'Unione Sovietica.
JC: Ma com'era suonato il jazz in URSS?
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OS: Fin dai tempi sovietici ci sono state due importanti prospettive su
ciò che il jazz è. La prima - la cosiddetta ortodossia jazzistica concerne la comunità musicale che affronta il jazz come forma d'arte
predefinita, sostenendo che sia possibile aderire al jazz, provando a
riprodurlo con qualche tocco personale all'interno della cornice
prestabilita del genere. Proprio come in altri paesi, in URSS si
suonavano quegli standard swing e bebop (o gli stili più recenti) che la
scena jazzistica americana sviluppa in tutto il XX secolo, insieme ai
propri brani, composti ed eseguiti idiomaticamente. Questi jazzmen
cosiddetti "straight-ahead" guardano ai 'maestri' americani, riferendosi
al loro modo di suonare per tendenza e canone. E ci sono dunque
alcuni brillanti suonatori incredibilmente talentuosi in questa parte della
scena jazz russa. La seconda prospettiva sul jazz riguarda un punto di
vista diverso. Un secolo fa il jazz americano nasce dall'originale folklore
afroamericano. Tuttavia, il jazz si è diffuso gradualmente in tutto il
mondo e ha perso quel particolare sapore americano, incorporando la
musica autentica che è naturale alla cultura autoctona.
JC: Ma c'era un'identità tipicamente sovietica del miglior jazz?
OS: Credo che il volto più originale del jazz sovietico sia quello del
jazz dell'era post-sovietica, a mio avviso, dovrebbe essere associato
con l'arte d'avanguardia e con i precursori nella cosiddetta nuova
musica improvvisata: discendevano del jazz e cercavano di uscire dai
generi convenzionali e di fondere varie forme artistiche e musicali, a
volte, in apparenza incompatibili, nella ricerca e nel perseguimento di
un nuovo quid espressivo. Ci sono stati numerosi artisti importanti in
questa scena, ma il più autentico oracolo in questa direzione è stato un
prodigio carismatico: un compositore, pianista, improvvisatore e filosofo
come Sergey Kuryokhin, la cui influenza è difficile da sottovalutare sulla
musica, sull'arte e sul movimento intellettuale sia del tardo jazz
sovietico e di quello russo odierno.
JC: Come è stata vissuta la transizione dall'URSS alla Russia, da
Gorbacev a Eltsin, nella Storia del jazz?
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OS: I tardi anni Ottanta e l'inizio dei Novanta sono stati il momento
della grande transizione nella società russa e l'unico periodo della
nascita di un'arte d'avanguardia e dell'interesse del grosso pubblico nel
disperato tentativo di colmare la lacuna concettuale lasciata dopo la
caduta dell'ideologia comunista. Figure come Kuryokhin erano frequenti
alla TV di stato e i dibattiti filosofici erano una cosa comune sui talk
show. Insieme con Kuryokhin, artisti come la cantante Valentina
Ponomareva, i sassofonisti Vladimir Chekasin e Sergey Letov sfidano la
comune comprensione dei generi sonori, mescolando il jazz
convenzionale assieme al folk e alla classica e con precisi dispositivi di
improvvisazione libera, fino a ottenere un prodotto artistico
semanticamente provocatorio. Gli eventi culturali e politici nel paese
attraggono l'attenzione dei critici occidentali per ciò che era accaduto
nel jazz sovietico. Molti notevoli artisti russi jazz sia mainstream sia
sperimentale sono stati in tour in giro per il mondo impegnati in varie
collaborazioni con colleghi occidentali come John Zorn, Bill Laswell, Jan
Garbarek, eccetera. Alcuni di loro, come i pianisti Mikhail Alperin e
Vyacheslav Ganelin, la cantante Sainkho Namchalak e il trombettista
Valery P?n?marev emigrarono in America o in Nord Europa per affinare
e proseguire la propria carriera. Nel frattempo, gli anni Novanta hanno
inoltre visto l'affermarsi di una scena jazz più tradizionale in Russia con
tante comunità locali di jazz emergente nelle principali città, in
particolare nella parte europea del paese. I grandi nomi del jazz
russo-sovietico sono stati in tour nelle sale pubbliche dove si fa musica,
sparse sul territorio, in genere condividendo un concerto con i jazzisti
del posto.
JC: Che differenze hai riscontrato tra il pubblico americano e quello
russo in merito al jazz?
OS: Certo, il contesto culturale specifico definisce come viene
percepito e suonato il jazz. Da quando il jazz è nato nella cultura
americana, facendone parte indiscutibilmente, la gente qui può
facilmente riferirsi al jazz, perché da sempre è qualcosa di abbastanza
informale, ma dal grande orientamento sociale e comunitario.
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Diversamente dagli Stati Uniti degli anni Trenta, in Russia il jazz non è
mai stata una musica popolare. Quindi non ha il sapore o il senso di
spettacolo e di intrattenimento come ha tradizionalmente negli Stati
Uniti. In una certa misura, in Russia il jazz è stato incorporato nella
grande arte assieme alla musica classica, all'opera e al balletto. Così è
più spesso suonato in sale da concerto locali piuttosto che nei jazz club,
che al momento sono ancora pochi. Oggi penso che il jazz, tra slancio e
generosità, venga percepito seriamente in Russia. Tuttavia, è molto
meno ascoltato di un tempo e, in effetti, non è compreso da molte
persone In tal senso la scena jazzistica, così come la cosiddetta
industria del jazz, risultano significativamente assai più piccole in
Russia che nei paesi occidentali o in certe ex repubbliche sovietiche.
Tuttavia, l'annuale Gnesin Russia Academy del Music Jazz Festival
attira decine di giovani musicisti provenienti da tutto il paese.
JC: Ma oggi esiste un'identità del jazz russo?
OS: Credo che il jazz russo abbia la sua identità e si trovi al crocevia
di una profonda e scuola russa autentica di musica classica e di
improvvisazione jazz. È inoltre possibile aggiungere un po' di folklore
russo originale per rendere il quadro completo. Artisti come Arkady
Shilkloper, Vladimir Volkov e Ivan Farmakovsky sono brillanti esempi di
tale identità. Alcuni della generazione più giovane, come il pianista
Evgeny Lebedev, uniscono il meglio dei due mondi, grazie appunto a
un vasto background classico, europeo e russo, unito al jazz americano
contemporaneo, insomma un sapere condito dall'esperienza della
recente scena alternativa newyorchese.
JC: Ci puoi raccontare quello che stai facendo sul piano musicale?
OS: Beh, per cominciare, non ho l'identità del jazzista mainstream. Io
suono jazz, tuttavia, come bassista. Penso piuttosto a me stesso come
a un produttore musicale che utilizza abbondantemente il linguaggio
jazzistico in termini di dispositivi che possono organizzarsi via via in
forma di composizione, strumentazione e improvvisazione. Ma non mi
limito esclusivamente al linguaggio jazzistico, perché mi piace utilizzare
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generosamente altri strumenti musicali a portata di mano.
JC: E di Exit project cosa ci dici?
OS: Exit project è stato avviato più di dieci anni fa ed è un diretto
discendente dall'epoca post-sovietica, figlio intellettuale della scena
avanguardista, così come è memore di alcune influenze globali. Noi
abbiamo registrato e suonato con la vecchia generazione di musicisti
jazz come Sergey Letov (Kuryokhin) e Nikolay Rubanov (Auktyon). Il
collettivo ha poi voluto fare esperimenti con diversi generi sonori,
nonché con strumenti di editing musicale, come l'innovativo formato
digitale 3plet, con noi pionieristico.
JC: Ma per te non c'è ovviamente solo Exit project...
OS: I due progetti in cui siamo stati impegnati negli ultimi anni sono
diversi a livello musicale e concettuale. Il primo, Son Cherished Most, è
un progetto multimediale che è disciplinato da un assioma filosofico
espresso a parole. La musica ha un ruolo importante, ma vive insieme
alle immagini visive e alla poesia, servendo a illustrare l'idea
esistenziale precisata a nel testo letterario. Il video documentario che
abbiamo girato elabora in modo approfondito il tema stesso. Il secondo,
Color Splashes, è una collaborazione tra la nuova generazione di
musicisti carismatici e forse ancora non dispongono di un quadro
concettuale solido come quelli che li hanno preceduti. Si tratta
comunque di una performance dal vivo, collettiva, molto energica e
appunto molto colorata. I colori sono presi in prestito dal mondo della
musica jazz, fusion, elettronica come pure dalla musica classica
moderna. Credo sia interessante far notare che il progetto ha ricevuto
un accogliente successo di critica negli Stati Uniti. Entrambi i progetti
sono multistilistici e transgenere. Per esempio, a volte, sento musicisti
jazz che vanno dicendo vi è una grande quantità di elettronica nella mia
musica, mentre alcuni artisti elettronici sostengono che vi sia "troppo
jazz"!
JC: I tuoi progetti musicali per il futuro?
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Scritto da Guido Michelone
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OS: L'idea a cui ora sto pensando e di cui ho effettivamente iniziato a
scrivere e organizzare alcuni brani sarà, per la prima volta, qualcosa
che coinvolge la voce e i testi letterari. Voglio selezione e rielaborare un
po' di celebri canzoni in maniera jazzistica e al contempo in uno stile
composito. A livello tematico queste canzoni inevitabilmente
dovrebbero riflettere gli stati d'animo che noi tutti condividiamo nel
mondo odierno. Anche in questo caso, vorrei soffermarmi su lato
esistenziale, perché oggi c'è molta incertezza; tra le molte esperienze
contrastanti, le persone sembrano immerse in mezzo a deliri di
onnipotenza. Paul contrario l'arte dovrebbe essere il mezzo simbolico
per aiutare le persone a vivere bene sino in fondo la propria vita.
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