(Convegno “Competenze e reali possibilità d’azione per gli Enti locali” tenutosi in Bologna il 18 novembre 2010)
Il diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri (art. 43, 2° tuel)
RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE
Avv. Diana Argenio del Foro di Bologna
1. Il diritto d’accesso dei consiglieri rispetto alla più generale disciplina ex L. 241/1990: l’esercizio del
munus publicum come presupposto legittimante; presunzione iuris et de iure dell’interesse accessivo;
assenza dell’onere motivazionale.
Con stretto riferimento agli atti degli enti locali, occorre innanzitutto tener distinti il diritto d’accesso
riconosciuto alla generalità dei cittadini e quello riconosciuto in capo ai consiglieri comunali e provinciali.
Nel primo caso, trovano applicazione l’art. 10 tuel (“1. Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e
provinciale sono pubblici…2. Il regolamento assicura ai cittadini, singoli ed associati, il diritto di accesso
agli atti amministrativi…”) e gli artt. 22 e ss. della legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990). La
richiamata normativa, come noto, prevede, ai fini dell’evasione di un’istanza d’ostensione, che la medesima
sia idoneamente motivata (art. 25, 2° l. 2441/90), suffragata dalla presenza, in capo al richiedente, di “un
interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata
al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, 1°, lett. b) L. 241/90) e, infine, rivolta esclusivamente nei
confronti di “documenti amministrativi” (art. 22, 1° lett. d) L. 241/1990).
Ben altra cosa, invece, quando il soggetto coinvolto si trovi ad esercitare una funzione pubblica.
In tale secondo caso, trova, infatti, applicazione la speciale e ben diversa disciplina di cui all’art. 43, 2° tuel,
in base al quale “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente,
del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni
in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge”.
A differenza del “comune” diritto accessivo, dunque, quello riconosciuto ai consiglieri presenta una ratio
diversa e particolare, giustificata dalla funzione ricoperta dal richiedente l’accesso (cd. munus publicum).
Non a caso, del resto, l’art. 43 tuel parla di “notizie ed informazioni utili per l’espletamento del proprio
mandato”: la richiesta ostensiva inoltrata dal consigliere non è infatti funzionale, come nel caso del diritto
d’accesso riconosciuto alla generalità dei cittadini, alla tutela di un proprio interesse personale e
giuridicamente rilevante, ma è strumentale al corretto svolgimento del munus publicum.
In particolare, l’accesso può servire a:
1)
2)
3)
4)
verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione;
avere piena cognizione di causa dell'operato dell'Amministrazione;
esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio
promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano al singolo rappresentante
(interpellanze, interrogazioni, ordini del giorno, mozioni).
verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino
correttamente la loro funzione”.
Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855.
“L’accesso ai sensi dell’art. 22 L. 241/1990 consente ai soggetti di
conoscere atti e documenti al fine di poter predisporre la tutela delle
proprie posizioni eventualmente lese; l’accesso ai sensi dell’art. 43
da parte del consigliere è finalizzato a consentire l’esercizio del
proprio mandato mediante la verifica dell’azione degli organi
dell’ente. (…) è una conseguenza necessitata, che al consigliere
comunale non può essere opposto alcun diniego (salvo i pochi casi
eccezionali e contingenti, da motivare puntualmente e
adeguatamente, e salvo il caso – da dimostrare – che lo stesso agisca
per interesse personale), determinandosi altrimenti un illegittimo
ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
“II diritto (soggettivo pubblico) codificato da tali disposizioni – come
è possibile evincere dalla chiara littera legis - è espressione del
principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza
esponenziale della collettività, ed in quanto tale è direttamente
funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere
comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico
connesso al mandato conferito (cfr. la locuzione <<ampia e
qualificata posizione di pretesa all'informazione spettante ratione
1
officii al consigliere comunale>> in Cons. Stato, sez. V, 08/09/1994,
n. 976)”
funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere
comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico
connesso al mandato conferito e, quindi, alla funzione di
rappresentanza della collettività. Il diritto ha una ratio diversa, quindi,
da quella che contraddistingue l'ulteriore diritto di accesso ai
documenti amministrativi che è riconosciuto, non solo ai consiglieri
comunali o provinciali, ma a tutti i cittadini (art. 7, legge n. 142/1990
applicabile agli atti degli enti locali) come pure, in termini più
generali, a chiunque sia portatore di un interesse personale e concreto
e per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in riferimento ai
documenti amministrativi detenuti da amministrazioni diverse dai
comuni e dalle province (art. 22 legge 7 agosto 1990, n. 241; art. 2
d.PR. 27 giugno 1992, n. 352)”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
“(siffatta) situazione giuridica, quantunque individualizzata in capo a
ciascun consigliere, presenta la sostanza di un diritto soggettivo
pubblico funzionalizzato, ovverosia implica l’esercizio di facoltà
finalizzate al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate
direttamente al Consiglio comunale; l’informazione in discorso è,
dunque, strumentale all’attuazione del generale potere di indirizzo e di
controllo politico- amministrativo ascritto a tale supremo organo di
governo dell’ente locale. Da queste premesse discende a mo’ di
corollario la conclusione che ogni limitazione all’esercizio del diritto
sancito dall’art. 43 interferisce inevitabilmente con la potestà
istituzionale del Consiglio comunale di sindacare la gestione dell’ente,
onde assicurarne – in uno con la trasparenza e la piena democraticità
– anche il buon andamento”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 4 maggio 2004, n. 2716.
“\Quanto ai mezzi di cui dispongono i consiglieri comunali per venire
a conoscenza dell’attività dell’amministrazione, quali le interpellante e
le domande, va osservato che non sussiste alcuna graduatoria secondo
il cui ordine acquisire gli elementi utili all’espletamento del mandato.
Ciascun consigliere è, quindi, libero di servirsi dei mezzi messi a
disposizione dell’ordinamento, scegliendo quelli ritenuti più consoni
al singolo caso. Inoltre, non si può non osservare, sul punto, come
l’esame diretto degli atti, attraverso l’esercizio del diritto di accesso,
dia la massima contezza della singola questione esaminata e come
possa, quindi, essere preferito l’accesso agli altri mezzi di conoscenza
offerti dall’ordinamento”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 9 dicembre 2004, n. 7900.
“I consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che
possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al
fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la
correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per
esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del
Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso,
le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale
locale. II diritto codificato da tale disposizione è direttamente
In virtù del suddetto munus publicum, si profilano due peculiari caratteristiche che differenziano il diritto
d’accesso dei consiglieri da quello normalmente riconosciuto alla generalità dei cittadini:
a) Mentre, ai fini dell’accesso di ex artt. 22 e ss. L. 241/1990 è specifico onere dell’istante dimostrare la
sussistenza di un proprio interesse “diretto, concreto e attuale”, nel caso dell’istanza ostensiva formulata da
un consigliere, l’esistenza ed attualità dell’interesse è presunta per legge.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 22 febbraio 2007, n. 929.
“L’esistenza e l’attualità dell’interesse, che sostanzia l’actio ad
exhibendum, devono ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in
ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo
svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti
del consiglio comunale”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
“L’interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate
informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione
civica non si presta, pertanto, ad alcun scrutinio di merito da parte
degli uffici interpellati in quanto, sul piano oggettivo, esso ha la
medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al
Consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale)”.
Cons. Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 5 settembre 2005, n. 5.
“L’interesse del consigliere ad ottenere determinate informazioni o
copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione non si presta ad
alcuno scrutinio di merito degli uffici in quanto ha la medesima
latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al consiglio, al
cui svolgimento è funzionale”.
TAR Marche, sentenza 11 settembre 2000, n. 1545.
“La richiesta da parte di un consigliere comunale di copia di atti
amministrativi agli uffici del proprio comune non può essere
subordinata alla sussistenza di un interesse personale e concreto;
infatti la prerogativa di ricognizione documentale costituisce
modalità di esercizio del munus pubblico di cui ciascun consigliere è
investito in quanto membro dell’organo amministrativo elettivo”.
b) Il consigliere (comunale o provinciale) non necessita di munire la propria richiesta di acceso di altra
motivazione se non quella dell’espletamento del mandato e, da parte sua, l’amministrazione richiesta non
può sottoporre ad alcun scrutinio il collegamento tra la predetta motivazione e la documentazione richiesta.
Ogni limitazione all’esercizio del diritto di acceso del consigliere interferirebbe, infatti, inevitabilmente con
la potestà istituzionale del consiglio comunale di sindacare la gestione dell’ente, onde assicurarne – in un
tutt’uno con la trasparenza e la piena democraticità – anche il buon andamento.
che il diritto in questione non incontra neppure limiti derivanti dalla
natura riservata agli atti richiesti, in quanto il consigliere è vincolato
all'osservanza del segreto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto
2006 n. 4855; Sez. V., 20 ottobre 2005 n. 5879; TAR Milano, Sez. I,
7 aprile 2006 n. 970; TAR Parma 26 gennaio 2006 n. 28)”
TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sentenza 4 dicembre
2006, n. 3107.
“Il diritto di accesso riconosciuto ai rappresentanti del corpo
elettorale locale ha una ratio diversa e più ampia di quella che
contraddistingue il diritto di accesso riconosciuto a tutti i cittadini dal
medesimo T.U.E.L. (art. 10), nonché dagli artt. 22 ss. della legge n.
241/1990; per cui da un lato il consigliere può accedere non solo ai
"documenti" ma, in genere, a qualsiasi "notizia" o "informazione"
utili all'esercizio delle funzioni consiliari, ma non è neppure tenuto a
motivare la sua richiesta, né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto
tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, perché altrimenti
gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire l'ambito
del controllo consiliare sul proprio operato; ed è per questo, infine,
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
“a differenza dei soggetti privati, il consigliere non è tenuto a
motivare la richiesta, né l'Ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la
richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi
dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito
del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, V Sez. 7.5.1996 n.
528, Cons. Stato, V Sez. 22.2.2000 n. 940, Cons. Stato, V Sez.
2
26.9.2000 n. 5109)”.
T.A.R. Lombardia – Brescia, 25/9/2001 n° 791). (…) La disciplina
del diritto di accesso dei Consiglieri Comunali, con riguardo agli atti
detenuti dal Comune occorrenti per il compiuto ed adeguato esercizio
delle proprie funzioni istituzionali, si pone in deroga alla
regolamentazione dettata dagli artt. 22 e segg. della L. 7/8/1990 n°
241, per la generalità dei casi, per cui non può farsi automatico
riferimento a quest’ultima per negare ai primi l’accesso agli atti del
Comune richiesti al suddetto scopo. Non può costituire valida
ragione di diniego, nemmeno l’asserita sussistenza di una “pratica e
obiettiva impossibilità di eseguire materialmente tale incombenza”,
essendo obbligo dell’amministrazione dotarsi di un apparato
burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria
competenza. La notevole mole della documentazione da consegnare
avrebbe potuto, semmai, giustificare la distribuzione nel tempo del
rilascio delle copie richieste”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
“(Correttamente) il giudice di prime cure è giunto alla conclusione
che la pretesa degli uffici comunali interpellati dal ricorrente di
conoscere le ragioni della domanda di accesso si risolvesse, a ben
vedere, in un surrettizio ed indebito sindacato sulle forme di esercizio,
da parte del consigliere comunale, dei propri compiti istituzionali,
sicuramente implicanti anche il controllo e la vigilanza sul buon
andamento e sulla corretta gestione amministrativa dell’ente.
(Pertanto, si ribadisce) l’inesistenza di un potere degli uffici comunali
di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di
informazione avanzate da un consigliere comunale e le modalità di
esercizio del munus da questi espletato. Ed invero, l’art. 43 del D.Lgs.
n. 267/2000 riconosce ai consiglieri comunali (e provinciali), per
l’utile espletamento del loro mandato, un latissimo “diritto
all’informazione” a cui si contrappone il puntuale obbligo degli uffici
«rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro
aziende ed enti dipendenti» di fornire ai richiedenti «tutte le notizie e
le informazioni in loro possesso». (…) L’interesse del consigliere
comunale ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti
detenuti dall’amministrazione civica non si presta, pertanto, ad alcun
scrutinio di merito da parte degli uffici interpellati in quanto, sul piano
oggettivo, esso ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e
controllo riservati al Consiglio comunale (al cui svolgimento è
funzionale)”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893.
“Il consigliere che esercita tale diritto non è tenuto a specificare i
motivi della richiesta, “né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo
per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero
arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato” (Sez.
V, 7 maggio 1996, n. 528). (…) I consiglieri comunali e provinciali
hanno diritto d'ottenere dagli enti d'appartenenza, dalle loro aziende e
dagli enti dipendenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso,
utili all'espletamento del loro mandato elettivo - anche mercè il
rilascio di copia dei documenti richiesti secondo le procedure
d'accesso ex l. 7 agosto 1990 n. 241 -, senza necessità di specificare i
motivi della richiesta, nè l'interesse sotteso come ogni altro privato
cittadino, in caso contrario pervenendosi alla paradossale situazione
per cui gli organi di governo dell'ente sarebbero arbitri di stabilire
essi stessi l'estensione del controllo sul proprio operato (Cons. Stato,
Sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940). (…) Il riconoscimento della
speciale protezione della posizione del consigliere comunale, poi, è
riconosciuta anche dal giudice penale e dalla magistratura contabile.
Il diritto del consigliere comunale di ottenere dal comune tutte le
notizie e le informazioni in possesso dell'ente medesimo ed utili
all'espletamento del proprio mandato trova come corrispondente il
dovere dell'ente territoriale di porre in essere le condizioni perché
venga concretamente esercitato, senza incontrare ostacoli o
atteggiamenti ostruzionistici, sicché un eventuale rifiuto, motivato in
modo apparentemente legittimo, ma, in sostanza, specioso o
pretestuoso, non può che risolversi in illegittima manifestazione
dell'attività amministrativa. (Fattispecie nella quale è stato impedito
ad un consigliere comunale di prendere visione degli atti di giunta)
(Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 1997, n. 4952). L'illegittimo diniego di
accesso opposto dal sindaco al consigliere comunale integra, dato il
chiaro ed inequivocabile disposto normativo in materia, un
comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto,
responsabilità amministrativa in capo al sindaco qualora dal predetto
diniego sia derivata la condanna del Comune al pagamento delle
relative spese di giudizio (C. Conti, regione Umbria, sez. Giurisdiz.,
5 giugno 1997, n. 284)”.
TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 26 maggio 2004, n.
1762.
“Il consigliere comunale, non essendo equiparabile a qualsiasi
cittadino in quanto esplicante un munus pubblico, non deve
specificare le finalità della richiesta di accesso dallo stesso formulata,
purchè legata alla propria funzione di consigliere comunale”.
TAR Sardegna, sez. I, sentenza 29 aprile 2003, n. 495
(Il caso: Con svariate istanze, il consigliere di un comune sardo
chiedeva l’esibizione e la copia di numerosi atti in possesso dell’ente.
Il vicesegretario comunale comunicava tuttavia: a) di non essere
materialmente in grado di soddisfare la pretesa per la mole della
documentazione richiesta e per l’esiguo personale a disposizione; b)
di ritenere la motivazione“espletamento del mandato”, indicata nelle
richieste, non sufficiente a giustificare l’accoglimento delle istanze;
c) di non poter quindi provvedere al rilascio delle copie dei
documenti domandati sino all’adozione di apposito regolamento per
la disciplina del diritto di accesso; d) di assicurare, comunque, la
trasmissione dei deliberati della Giunta Municipale).
“Si ricava con sufficiente chiarezza che: a) il consigliere comunale
non è tenuto a corredare la richiesta di accesso di altra motivazione
che non sia quella inerente all’esercizio del mandato; b) non possono
essere opposte alla detta richiesta esigenze di tutela della riservatezza
dei terzi, essendo i consiglieri comunali tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge (cfr. per l’affermazione dei
suddetti principi Cons. Stato, V sez., 22/2/2000 n° 940, nonché,
2. L’oggetto del diritto all’accesso: a) la richiesta di notizie ed informazioni ed il connesso obbligo della
P.A. di elaborazione dei dati.
L’art. 43 tuel riconosce al consigliere comunale o provinciale il diritto di acquisire – dagli uffici di
appartenenza (rispettivamente, comune e provincia) nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti – non già
(o, comunque, non solo) documenti od atti amministrativi in senso stretto (come avviene, invece, per i
comuni cittadini accedenti ai sensi del combinato disposto dell’art. 10 tuel e degli artt. 22 e ss. L. 241/1990),
ma “tutte le notizie ed informazioni in loro possesso”. Ne deriva che le predette notizie ed informazioni
possono ben essere il risultato di un’attività di elaborazione dati, che l’amministrazione richiesta sarà
obbligata a svolgere per evadere correttamente l’istanza ostensiva del consigliere.
(Il caso: l’appellante aveva richiesto, nella sua specifica qualità di
consigliere di un comune campano, l’elenco delle concessioni
edilizie rilasciate dal giugno 2002 al settembre 2005 e l’elenco delle
opere pubbliche appaltate nello stesso periodo, con l’indicazione di
tutti gli elementi relativi ed aveva, tuttavia, ricevuto dal comune di
appartenenza un diniego, in quanto – si leggeva in motivazione – non
si trattava di “documenti”).
TAR Umbria, Perugina, sez. I, sentenza 30 gennaio 2009, n. 21.
“Il consigliere comunale ha un diritto di accesso più esteso e più
tutelato di quello spettante alla generalità dei cittadini. (…) L’accesso
dei consiglieri comunali non è strettamente limitato agli atti
qualificabili come “documento amministrativo” in senso stretto”.
Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855.
3
“Tra l’accesso dei soggetti interessati di cui agli artt. 22 eseguenti
della legge n. 241 del 1990 e l’accesso del Consigliere comunale di
cui all’art. 43 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico
sull’ordinamento degli enti locali) sussiste una profonda differenza: il
primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e
documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie
posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un
istituto giuridico posto al fine di consentire al consigliere comunale
di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il
comportamento degli organi istituzionali decisionali del Comune”.
collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente
funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere
comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politicoamministrativa dell'ente, come confermato dalla giurisprudenza di
legittimità che ha precisato che il consigliere può accedere non solo
ai “documenti” formati dalla pubblica amministrazione di
appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia” od “informazione”
utili ai fini dell'esercizio delle funzioni consiliari (cfr. Cass. Civ. Sez.
III, sent. 3 agosto 1995 n. 8480, in materia di acquisizione della
registrazione magnetofonica di una seduta consiliare)”.
TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 7 aprile 2006, n. 970.
“Il diritto di accesso del consigliere comunale o provinciale è istituto
speciale rispetto al generale diritto di accesso disciplinato dagli artt.
22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241 e si estende ad ogni notizia
od informazione in possesso degli uffici, anche se la soddisfazione
della richiesta comporti un’attività di elaborazione dati, con il solo
limite della ragionevolezza e della non genericità della richiesta”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
“Alla disposizione in commento (art. 43 tuel) non sono applicabili le
regole procedimentali (e tanto meno i limiti contenutistici) dettate per
l’accesso previsto dalla legge n. 241/1990; il diritto all’accesso del
consigliere differisce da quello regolato dalla legge 241/1990 per
finalità ed oggetto, posto che il primo, oltre a potersi indirizzare
verso qualunque documento o atto, pubblico o privato, detenuto
dall’ente, può anche concretarsi nella richiesta di informazioni non
contenute in documenti e può comportare – nei limiti della
proporzionalità e della ragionevolezza – l’elaborazione di dati ed
informazioni”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
“Invero, la finalizzazione dell'accesso all'espletamento del mandato
costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l'accesso ed il
fattore che ne delimita la portata. Le disposizioni richiamate, infatti,
3. (segue): b) il parametro della “utilità” della notizia od informazione richiesta.
Dal termine “utili” contenuto nell’art. 43 tuel, non consegue alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri. Al contrario, l’aggettivo giustifica e chiarisce l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato
come funzionale all’espletamento del mandato. In altri termini, l’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità
dell’istanza ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non potrà essere disconosciuta in presenza di un
interesse all’esercizio adeguato alla funzione e non potrà essere sindacata dall’ente richiesto.
norma “de qua” abbia previsto tale diritto solo per le notizie e le
informazioni “utili” all’espletamento del mandato. Allorchè una
richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato
risulta, invero, insita nella stessa l’utilità degli atti richiesti al fine
dell’espletamento del mandato. Il riferimento alle notizie ed alle
informazioni “utili” contenuto nella norma in esame, diversamente
da quanto assunto dall’appellante, non costituisce affatto una
limitazione, se appena si considera l’intero contesto della
disposizione. Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai
consiglieri comunali per “tutte le notizie e le informazioni …….utili
all’espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le notizie
ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine
“utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna
limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì
l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile
all’espletamento del mandato”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
“Emerge chiaramente, infatti, che i consiglieri comunali hanno un
non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere
d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di
permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e
l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere
un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e
per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative
che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.”
Cons. Stato, sez. V, sentenza 4 maggio 2004, n. 2716.
“Poiché la surriportata norma attribuisce il diritto ai consiglieri
comunali di chiedere i documenti ravvisati utili all’espletamento del
mandato, la precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per
l’espletamento del mandato basta a giustificarla, senza che occorra
alcuna ulteriore precisazione circa le specifiche ragioni della
richiesta. Né, di contro a quanto sostenuto dall’appellante, il diritto di
accesso dei consiglieri comunali troverebbe un limite nel fatto che la
4. I singoli casi concreti.
Segue un breve e meramente esemplificativo elenco di casi affrontati in giurisprudenza, da cui desumere
l’esatto ambito oggettivo di applicazione del diritto d’accesso de quo.
►1) Il diritto d’accesso del consigliere opera, innanzitutto, nell’ambito delle competenze attribuite al
consiglio comunale o provinciale.
vista dell’approvazione del bilancio, ossia al fine di consentire lo
svolgimento dell’attività propria del mandato di consigliere”.
TAR Piemonte, sez. II, sentenza 17 marzo 2008, n. 435.
“Non sussistono ragioni che consentano di inibire l’accesso ai
mandati di pagamento emessi per la liquidazione dell’indennità di
risultato in favore del segretario comunale, trattandosi di documenti
che ineriscono l’esercizio dell’attività amministrativa dell’ente”.
TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, sentenza 31 luglio 2007, n. 492.
“Il diritto di accesso può esercitarsi per atti normalmente preclusi ai
terzi per ragioni di riservatezza, quali le relazioni riservate del
direttore dei lavori e del collaudatore di cui all’art. 13, 5° lett. d)
d.lgs. 163/2006”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 28 settembre 2007, n. 5020.
“La richiesta di accesso al libro mastro ed al libro cassa è legittima,
in quanto sufficientemente puntuale e pertinente, essendo avanzata in
Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855.
4
“La richiesta del consigliere comunale di acquisire l’elenco delle
concessioni edilizie e delle opere appaltate nel periodo giugno
2002 – settembre 2005 è legittima, in quanto la richiesta non appare
eccessivamente laboriosa e defatigante e potrebbe essere soddisfatta
– nei limiti di tempi ragionevoli e più celermente possibile – ove
fosse gravosa secondo i tempi necessari per non determinare
interruzione alle altre attività comunali”.
TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 7 aprile 2006, n. 970.
“Rientrano nel diritto di accesso le informazioni inerenti alla
gestione annuale del bilancio perché da eventuali irregolarità
gestionali potranno essere tratti motivi di iniziativa politica”.
Con la seguente ulteriore precisazione:
TAR Veneto, sez. I, sentenza 30 marzo 1995, n. 489.
“Il controllo politico amministrativo del singolo consigliere relativo
alle funzioni amministrative svolte dalla giunta e dal indaco non si
estende agli atti che il sindaco compie quale ufficiale di governo,
competendo al prefetto le funzioni ispettive repressive e/o sostitutive
nella materia”.
TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza 29 maggio 2006, n. 386.
“Il diniego all’accesso agli atti del P.R.G. motivato per ragioni
tecniche ed economiche è illegittimo, in quanto prevale il favor nel
senso della più ampia accessibilità intesa come tutela e garanzia
finalizzata al pubblico interesse”.
► 2) Il consigliere ha, poi, diritto di accesso verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o
risalenti ad epoche remote, essendo innegabile che, per ragioni connesse all’esercizio del munus pubblico,
possa essergli necessario ed utile conoscere approfonditamente pregresse vicende gestionali dell’ente
locale nel quale ricopre tale carica.
diversamente opinando – si ergerebbero ad arbitri delle forme di
esercizio delle potestà pubbliche”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
(il caso: il consigliere di un comune lombardo aveva formulato
istanza ostensiva rispetto a: a) Tutte le matrici delle ricevute dei
parcheggi degli ultimi 5 anni; b) Copia delle relative fatture di
acquisto di tali buoni e naturalmente i DDT; c) L’elenco di tutti i
nominativi che negli ultimi 5 anni hanno potuto maneggiare soldi del
comune; d) Copia dei versamenti fatti alla tesoreria comunale
dell’importo corrispondente alle ricevute vendute sempre degli ultimi
5 anni. Impugnato, dinnanzi al TAR Lombardia – Milano, il diniego
all’accesso formulatogli dal Comune di appartenenza, il consigliere si
era, tuttavia, visto negare l’accesso alle predette informazioni e
notizie anche da parte del giudice di primo grado, con la motivazione
che “il consigliere comunale non è legittimato a richiedere all’ente
locale l’accesso indiscriminato a qualsiasi documento detenuto dal
comune, anche se risalente ad un’epoca di molto antecedente rispetto
al periodo di espletamento del proprio mandato, traducendosi,
altrimenti, tale controllo nell’esercizio di una funzione ispettiva sulla
trascorsa attività dell’amministrazione, per nulla connessa
all’esercizio presente del mandato di consigliere comunale”. Di qui,
l’appello innanzi al Consiglio di Stato).
“Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella
norma in esame, non costituisce affatto una limitazione, se appena si
considera l'intero contesto della disposizione. Il diritto di accesso è
stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per “tutte le notizie e le
informazioni... utili all'espletamento del proprio mandato” e, quindi,
per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna
limitazione. Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non
consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei
consiglieri comunali, bensì l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto
ravvisato utile all'espletamento del mandato>> (cfr. la già citata
Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2004, n. 2716); ne discende
che l’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità della istanza
ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non può essere
disconosciuta in presenza di una richiesta relativa a documentazione
risalente ad un’epoca antecedente rispetto al periodo di espletamento
del presente mandato; invero, il diritto di accesso del consigliere
comunale investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali
implicazioni (cfr.: Cons. Stato, V Sez. 21.2.1994 n. 119, Cons. Stato,
V Sez. 26.9.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez. 2.4.2001 n. 1893)”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
(Il caso: un consigliere comunale aveva chiesto al Responsabile del
Servizio Lavori Pubblici ed Assetto del Territorio di un Comune
pugliese gli atti ed i documenti di un procedimento definito in una
passata consiliatura e relativo ad un progetto di cofinanziamento per
il restauro conservativo e recupero funzionale di un palazzo storico.
Il Segretario comunale ed il Responsabile del Servizio interessato
rilevavano che gli atti richiesti si riferivano ad un procedimento
ormai concluso e che il predetto palazzo storico, essendo stato
acquistato da un privato, non rientrava più nell’ambito dell’attività
istituzionale del Comune. Inoltre, Infine il Responsabile del Servizio
Lavori Pubblici, rigettava definitivamente le domande di accesso,
non avendo il consigliere precisato quale collegamento intercorresse
tra la richiesta di documenti e l’espletamento del mandato consiliare).
“Sul consigliere comunale, pertanto, non grava, né può gravare, alcun
onere di motivare le proprie richieste d’informazione, né gli uffici
comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché
l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti
relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote.
Diversamente opinando, infatti, la struttura burocratica comunale, da
oggetto del controllo riservato al Consiglio, si ergerebbe
paradossalmente ad “arbitro” - per di più, senza alcuna investitura
democratica - delle forme di esercizio della potestà pubbliche proprie
dell’organo deputato all’individuazione ed al miglior perseguimento
dei fini della collettività civica. L’esistenza e l’«attualità»
dell’interesse che sostanzia la speciale actio ad exhibendum devono
quindi ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in ragione della
natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del
mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del Consiglio
comunale. Occorre, d’altronde, soggiungere che l’attualità
dell’interesse all’accesso non può essere confusa - siccome di
converso adombrato nelle difese dell’ente appellante - con la
“attualità” dei documenti chiesti in visione, non potendo revocarsi in
dubbio che sovente i consiglieri comunali possano avvertire
l’esigenza di conoscere approfonditamente pregresse vicende
gestionali: tanto si verifica, ad esempio, qualora le fattispecie relative
ad affari già definiti siano tuttavia ancora in grado di spiegare i loro
effetti sul presente o allorquando la loro conoscenza si riveli
semplicemente utile alla più lata estrinsecazione del generale diritto
d’iniziativa dei consiglieri comunali o, ancora, alla formulazione, da
parte di costoro, di eventuali interrogazioni od altre istanze di
sindacato ispettivo. È, del resto, dirimente il rilievo che l’obbligo di
una pubblica amministrazione di permettere l’accesso agli atti
permane per tutto il tempo durante il quale essa continui a possedere
i documenti richiesti”.
Cons. Stato, Ad. Plenaria, sentenza 5 settembre 2005, n. 5.
“L’interesse del consigliere ad ottenere determinate informazioni o
copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione non si presta ad
alcuno scrutinio di merito degli uffici, in quanto ha la medesima
latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservato al consiglio, al
cui svolgimento è funzionale. Sul consigliere non grava un onere di
motivazione né gli uffici hanno titolo a richiederla, anche se si tratta
di procedimenti conclusi o risalenti nel tempo in quanto –
5
►
3) L’istanza ostensiva può, inoltre, attenere ad altre informazioni o notizie che, ancorché non
direttamente connesse alle competenze del consiglio comunale o provinciale, siano comunque pertinenti
all’esercizio del munus in tutte le sue potenzialità.
-----------------------------------------------Quindi----------------------------------------------------
a) è legittimo l’accesso a tutti gli atti afferenti all’attività dell’ente locale di appartenenza (fra cui, il registro
del protocollo generale del comune).
TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 26 maggio 2004, n.
1762.
“E’ illegittimo il diniego di accesso al registro di protocollo generale
del comune richiesto dal consigliere comunale, considerato che gli
atti afferenti all’attività del comune, compreso il registro di
protocollo generale, sono sicuramente ricompresi tra le notizie e le
informazioni utili all’espletamento del mandato dei consiglieri
comunali dell’ente medesimo, in quanto inerenti la funzione pubblica
esercitata dall’ente locale”.
TAR Sardegna, sez. II, sentenza 30 novembre 2004, n. 1782.
“Non può essere negato il diritto di accesso dei consiglieri comunali
al protocollo riservato del sindaco, adducendo esigenze di
riservatezza, considerato che la speciale normativa che detta il diritto
di accesso dei consiglieri comunali non prevede alcun limite in
proposito, fermo restando il dovere di mantenere il segreto <nei casi
specificamente determinati dalla legge>”.
TAR Lombardia, Brescia, sentenza 1° marzo 2004, n. 163.
“Sotto il profilo organizzativo, l’accesso al protocollo comunale non
deve creare intralcio all’attività degli uffici e pertanto
l’amministrazione può prevedere delle limitazioni, nell’orario e nella
facoltà di ottenere assistenza del personale addetto, che devono
essere proporzionate alle esigenze di servizio”.
TAR Emilia Romagna, Parma, sentenza 26 gennaio 2006, n. 28.
“Il protocollo è riconducibile alla categoria dei documenti suscettibili
di accesso e,in mancanza di specifiche indicazioni circa il periodo di
riferimento del documento oggetto della richiesta di ostensione,
l’istanza di accesso è evidentemente da intendersi come relativa ad
un arco temporale decorrente dalla data di presentazione dell’istanza
medesima e a valere per il futuro”.
---------------------------------------------- ----------------------------------------------------
b) possono formare oggetto di istanza ostensiva atti o informazioni relativi a soggetti privati (dunque,
terzi ed estranei rispetto all’ente locale), ancorché di natura riservata, purché pertinenti all’esercizio del
mandato e fatto salvo l’obbligo di segreto cui è tenuto il consigliere.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 21 febbraio 1994, n. 119
“il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto
le competenze amministrative del Consiglio comunale ma, essendo
riferito all’espletamento del mandato, investe l’esercizio del munus
di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni al fine di
una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia
dell’operato dell’Amministrazione comunale”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879.
“Il diritto di avere dall'ente tutte le informazioni che siano utili
all'espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione
derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è
vincolato all'osservanza del segreto (Cons. Stato, V Sez. 20.2.2000 n.
940 e Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2004, n. 2716)”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893.
“Con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali,
occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono
tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”
(articolo 43, comma 2 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267). La norma,
per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale,
intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le
informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il
consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di
comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione
normativa. In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra
la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa
all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad
acquisire le notizie ed i documenti concernenti dati personali, anche
sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce“trattamento”
autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge n. 675/1996;
decreto legislativo n. 135/1999), secondo le regole integrative fissate
dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli
atti organizzativi delle singole amministrazioni. Ma il consigliere
comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare
quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla
normativa in materia di tutela della riservatezza. Questi principi sono
alla base della decisione n. 940/2000 della Sezione, la quale ammette
l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide
sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione
dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi
interessi”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471.
(Il caso: un consigliere comunale aveva chiesto al Responsabile del
Servizio Lavori Pubblici ed Assetto del Territorio di un Comune
pugliese gli atti ed i documenti di un procedimento definito in una
passata consiliatura e relativo ad un progetto di cofinanziamento per il
restauro conservativo e recupero funzionale di un palazzo storico. In
particolare, oltre a richiedere copia di carteggi intercorsi tra pubblici
ufficiali (Sindaco e commissario giudiziale), il (consigliere) chiedeva
altresì copia di una lettera – dal contenuto ignoto - spedita da certo
geometra, titolare dell’omonima impresa in concordato preventivo, già
proprietario del palazzo storico de quo).
“Al riguardo, giova aggiungere in fatto che l’appellato non si limitò a
pretendere copia di atti pubblici (delibere, verbali, ecc.), ma domandò
altresì di accedere a talune missive (…). L’argomentare dal Comune
muove dal rilievo, assolutamente pacifico, che ai controinteressati
all’accesso debba riconoscersi una legittimazione passiva, sia
procedimentale sia processuale, ogniqualvolta l’actio ad exhibendum
intrapresa concerna documenti meritevoli di rimanere riservati (e, nel
novero, di tali atti rientra sicuramente la corrispondenza privata, beneinteresse finanche protetto a livello costituzionale; art. 15 Cost.).
Sennonché il Collegio dissente dall’impostazione dogmatica sulla
quale poggia tale ricostruzione; in particolare, il postulato teorico che
va recisamente ripudiato è l’equazione tra il “diritto all’informazione”
del consigliere comunale ed il diritto di accesso disciplinato dalla L. n.
241/1990. In realtà, il primo – pur talora estrinsecandosi nelle tipiche
facoltà della visione e dell’estrazione di copia di documenti –
6
differisce dal secondo per finalità ed oggetto. (…) alla fattispecie
normativa delineata dall’art. 43 del D.P.R. n. 267/2000 non sono
applicabili le regole procedimentali (e tanto meno i limiti
contenutistici) dettate per l’accesso previsto dalla L. n. 241/1990. A
fronte di tale diritto soggettivo pubblico recede, pertanto, ogni altro
interesse, ivi inclusa la riservatezza di eventuali controinteressati,
sopravvivendo soltanto l’impenetrabilità di taluni “segreti reali”
rispetto ai quali la segretezza connessa alla qualifica rivestita dal
consigliere comunale (alla quale si riferisce l’ultimo periodo dell’art.
43, comma 2, T.U.E.L.) non costituisca un’idonea garanzia di non
divulgazione della relativa informazione. Non vi è chi non veda,
infatti, come l’ipotetica tutela dell’interesse partecipativo di ideali
controinteressati al diritto all’informazione del consigliere comunale
finirebbe per confliggere, frustrandola, con la stessa ratio primaria
della norma in esame”.
diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai
dati effettivamente utili per l’esercizio del mandato e ai fini di
questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle
che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della
corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere
di segreto “nei casi espressamente determinati dalla legge”, e “i
divieti di divulgazione dei dati personali (si pensi ad esempio all’art.
23, comma 4, della legge n. 675 del 1996, che vieta, salvo casi
specifici, la diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute)”.
Secondo la normativa dunque al consigliere comunale spetta una
“ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione
officii” (C. di S. Sez. V, 8 settembre 1994, n. 976), rispetto alla quale
non gli sono opponibili profili di riservatezza a condizione che i
documenti e le informazioni richiesti siano pertinenti all’esercizio del
mandato (non essendo altrimenti utili per il suo espletamento), e che
egli se ne avvalga a tale fine, e fermi restando gli obblighi di tutela
del segreto e i divieti di divulgazione di dati personali stabiliti dalla
normativa.
Per documenti e informazioni pertinenti all’esercizio del mandato si
devono intendere quelli idonei a chiarire la correttezza ed efficacia
dell’attività dell’Amministrazione, anche riguardo alla sua coerenza
con l’indirizzo politico amministrativo approvato, e perciò i
documenti recanti notizie e dati sull’andamento dell’attività
amministrativa che l’Amministrazione abbia formato o comunque
debba detenere. Rientrano fra questi, in primo luogo e di
conseguenza, quelli relativi a posizioni e fatti riguardanti rapporti
attivati dall’Amministrazione con altri soggetti per lo svolgimento
della sua attività. Nel caso in esame le informazioni e documenti
richiesti, salvi i tabulati telefonici indicati sub g), sono tutti
qualificabili come pertinenti e disponibili dall’Amministrazione
comunale, né riguardano, peraltro, fattispecie riferibili agli obblighi e
divieti sopra richiamati. Le notizie richieste concernono infatti
soltanto dati sul contenuto e le modalità dell’attività amministrativa
comunale, quale esplicata nei rapporti con soggetti da essa non
dipendenti (come è per i documenti sub a) -relativi agli aiuti post
terremoto- e sub d) ed e), ovvero con propri dipendenti in relazione
esclusivamente ad aspetti del rispettivo rapporto di servizio (come è
anche per la documentazione su singoli dipendenti, inclusa quella di
una “scheda personale” sui congedi e malattie, in cui non si richiede,
comunque, la specificazione di queste ultime). Non possono invece
essere richiesti all’Amministrazione i tabulati telefonici poiché,
prescindendo in questa sede da ogni altro profilo, si tratta in ogni
caso di documenti non formati né detenuti dall’Amministrazione.
Nella fattispecie, dunque, l’appellante ha richiesto, salvi quelli sub g,
documenti a cui ha titolo ad accedere e per i quali non si pongono
profili di riservatezza di dati personali dei soggetti interessati”.
Cons. Stato, sez. V, sentenza 26 settembre 2000, n. 5109
(Il caso: un consigliere comunale e capogruppo di minoranza aveva
richiesto all’ente locale di appartenenza (un Comune delle Marche),
fra le altre cose, taluni documenti attinenti ai rapporti
dell’amministrazione comunale con soggetti da essa non dipendenti
(segnatamente: gli atti notori per benefici di autonoma sistemazione
formulati da privati per avvalersi degli aiuti post-terremoto; il verbale
d’accertamento di trasferimento di residenza di un cittadino in
particolare; i tabulati telefonici degli ultimi cinque anni), taluni atti
dell’amministrazione (segnatamente: copia del nuovo piano
regolatore) e, infine, taluni documenti relativi al personale
dipendente (segnatamente: i tabulati delle presenze del personale che
ha effettuato lavoro; ammontare degli importi liquidati a ciascun
dipendente per ogni periodo; i tabulati delle presenze giornaliere ed
ordini di servizio emessi dagli amministratori al personale negli
ultimi cinque anni). Il Sindaco aveva negato l’accesso sulla scorta di
diverse motivazioni, fra le quali anche quella della natura riservata
dei dati richiesti in ordine a soggetti estranei all’amministrazione).
“(Dalla normativa viene assicurata) ai consiglieri comunali la
possibilità di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e
degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere dall’ente tutte
le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato, senza
alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal momento
che essi pure sono vincolati all’osservanza del segreto nei casi
specificati dalla legge. Tale facoltà va ora integrata con le
disposizioni sul diritto di accesso recate dal capo quinto della legge
n. 241/1990, in cui è prevista espressamente la possibilità di ottenere
copia dei documenti” (Sez. V, 20 febbraio 2000, n. 940; cfr. anche
Sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2045). Su tale normativa si è anche
pronunciato il Garante per la protezione dei dati personali (il 20
maggio 1998) affermando, in particolare, che (…) tale generale
---------------------------------------------------------------------------------------------------
c) possono formare oggetto di accesso anche i pareri legali richiesti dall’Amministrazione comunale, purché,
tuttavia, si tratti non di scritti defensionali relativi ad un giudizio in atto o potenziale, ma di mere consulenze
legali inserite nell’ambito dell’istruttoria del procedimento amministrativo (cd. pareri a natura
endoprocedimentale).
Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893.
(Il caso: L’appellante, ricorrente in primo grado, era consigliere
comunale di minoranza in un comune piemontese. In tale qualità,
aveva chiesto di conoscere la documentazione relativa al contenzioso
tra l’amministrazione comunale ed una s.r.l., riguardante la
costruzione del Palazzo del Ghiaccio e dell’annesso centro sportivo
polivalente. In particolare, veniva richiesta “copia del provvedimento
con il quale venivano segretati gli atti pervenuti dall’Avvocatura
dello Stato”. Il Sindaco aveva differito l’accesso, in base alla
motivazione che i documenti richiesti erano collegati ad una
controversia giudiziaria in atto. Trattandosi, nel caso de quo, di scritti
defensionali, il Consiglio di Stato ha escluso il diritto d’accesso).
“(In linea generale e con riferimento al diritto d’accesso di cui alla L.
241/1990), la giurisprudenza ha codificato il principio, valevole per
tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad
uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto
professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono
sottratti all’accesso gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV, 27
agosto 1998, n. 1137). Detta pronuncia ha escluso che il diritto di
accesso dell’interessato possa estendersi ai documenti formati
dall’Avvocatura generale dello Stato ed indirizzati alla SACEgestione assicurativa del commercio estero, sottolineando la loro
concreta connessione con una lite in corso. (…)
Al riguardo è peraltro necessaria una puntualizzazione.
L’amministrazione può ricorrere alle consulenze legali esterne in
diverse forme ed in diversi momenti dell’attività amministrativa di
sua competenza. Le differenze tra i vari contesti si riflette anche sulla
disciplina dell’accesso ai documenti:
1. Può verificarsi, in primo luogo, l’ipotesi in cui il ricorso alla
consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita
istruttoria procedimentale. In tale eventualità, il parere è
richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua
funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella
motivazione dell’atto finale. Ne deriva che, in detta eventualità,
la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto
privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della
relazione tra professionista e cliente, è soggetto all’accesso,
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perché oggettivamente correlato ad un procedimento
amministrativo.
2. Una seconda ipotesi è invece quella in cui, dopo l’avvio di un
procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche
meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche
attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione
obbligatoria che precede il giudizio in materia di raporto di
lavoro, l’amministrazione si rivolga ad un professionista di
fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva
(accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di
eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.). In detta
eventualità, il parere del legale non è affatto destinato a sfociare
in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire
all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per
tutelare i propri interessi. Ne deriva che, in questo caso, le
consulenze legali restano caratterizzate dalla nota di
riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale
del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione,
la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto
costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore
a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento.
3. Si può profilare, ancora, un terzo gruppo di ipotesi, nelle quali
la richiesta della consulenza legale interviene in una fase
intermedia, successiva alla definizione del rapporto
amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente
l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale
procedimento precontenzioso. Anche in casi di questo genere, il
ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire
all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive,
in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può
considerarsi quanto meno potenziale. Ciò avviene, in
particolare, quando il soggetto interessato chiede
all’amministrazione l’adempimento di una obbligazione, o
quando, in linea più generale, la parte interessata domanda
all’amministrazione l’adozione di comportamenti materiali,
giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una
situazione che si assume illegittima od illecita.
Con riguardo alla fattispecie in esame, il collegio osserva che la
pendenza della lite rende palese l’esigenza di garantire il segreto,
proprio perché il parere dell’Avvocatura pare rivolto a delineare la
condotta processuale più conveniente per l’amministrazione, anche
nella prospettiva eventuale di una transazione (ipotizzata negli atti
depositati in giudizio). (…) Va precisato, poi, che la prevalenza del
segreto professionale si manifesta con pienezza anche in relazione
alle amministrazioni locali e nei riguardi delle richieste formulate
dai consiglieri comunali (…) Non è plausibile, invece, la tesi
secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, potrebbe accedere
a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo
solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie. In tal modo,
l’accesso ai documenti del consigliere comunale, ritenuto prevalente
anche sul segreto professionale, assumerebbe una portata oggettiva
più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni
giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a
livello costituzionale). Il mandato politico-amministrativo affidato al
consigliere esprime certamente il principio democratico
dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della
collettività, ma, nell’attuale contesto normativo, non può autorizzare
un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati
alla conoscenza dei documenti amministrativi e con sacrificio degli
interessi tutelati dalla normativa sul segreto.(…) Non si può
trascurare, poi, che, nella presente vicenda, la salvaguardia del
segreto si connette anche alla specifica disciplina prevista dal
regolamento dell’Avvocatura generale dello Stato, in materia di
accesso. La richiesta del consigliere, incidendo su documenti formati
da un’amministrazione diversa da quella locale di appartenenza,
incontra i limiti previsti dalla disciplina fissata in tale ambito. Ciò
chiarito, nella presente fattispecie il differimento dell’accesso
riguarda il solo parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato
in relazione ad una lite ancora non definita, ed alle possibilità di una
soluzione di carattere transattivo. Pertanto, si tratta, di una
determinazione conforme all’assetto normativo che tutela il segreto
professionale, anche nei riguardi delle pretese all’accesso formulate
dai consiglieri comunali”.
TAR Toscana, sez. II, sentenza 6 aprile 2007, n. 622
“In primo luogo, ai sensi dell’art. 43 Testo Unico Enti locali
n.267/2000 il consigliere comunale ha diritto ad ottenere dagli uffici
del proprio comune “tutte le notizie e le informazioni utili
all’espletamento del mandato” e tra questi la giurisprudenza ha
espressamente contemplato anche “pareri legali richiesti
dall’Amministrazione comunale onde prenderne conoscenza e poter
intervenire a riguardo” (vedi C.d.S. 4.5.2004 n. 2716) nell’esercizio
delle prerogative di verifica politica e gestionale dell’attività
dell’organo giuntale e dell’apparato amministrativo in genere, tipica
espressione del mandato elettorale.
In secondo luogo va, altresì, disatteso l’assunto del Comune nella
misura in cui esclude che il parere abbia natura
endoprocedimentale e che la delibera giuntale che lo ha recepito sia
stata assunta nell’esercizio di poteri amministrativi: invero al
riguardo la natura endoprocedimentale del parere deriva dal fatto
stesso che la Giunta comunale lo richiama espressamente nelle
premesse poste alla delibera con cui ha deciso di sporgere denuncia
alla Procura della Repubblica (…).
Né risulta pertinente il richiamo fatto dall’amministrazione comunale
al principio secondo cui, essendo il segreto professionale
specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’eccesso
gli scritti “lato sensu difensionali” (ai sensi del D.P.C.M. 26.1.1996
n. 200, art. 2): infatti nel caso di specie – come sopra detto - si tratta
di un parere le cui conclusioni hanno costituito il presupposto della
deliberazione di sporgere querela per diffamazione, adottata
all’unanimità dalla Giunta comunale e, quindi, non è configurabile la
diversa ipotesi del parere legale reso (in relazione a lite in potenza)
nell’ambito di rapporto fiduciario e riservato intercorrente tra
difensore ed assistito e non reso – invece – pubblico (sia pure nelle
sole conclusione) attraverso la confluenza del medesimo in un
procedimento amministrativo della cui determinazione conclusiva
costituisce il supporto istruttorio tecnico (vedi in termini T.A.R.
Sicilia, Catania, sez. 1, 11.2.2006 n. 11 nonché C.d.S. 15.4.2004 n.
2163 e 13.10.2003 n. 6200).
Infine (a confutazione di quanto asserito dal Comune resistente negli
atti difensivi) va ribadita la particolare posizione dei consiglieri
comunali (come è il ricorrente) cui l’ordinamento – come già sopra
detto – riconosce il diritto di ottenere dagli uffici comunali tutte “le
notizie e le informazioni utili all’espletamento del loro mandato”
(vedi T.U. n. 267/2000): in conseguenza il consigliere comunale in
questione ha titolo ad acquisire la documentazione relativa alla citata
delibera giuntale n. 14/2006 al fine di poter esercitare le prerogative
(di valutazione dell’attività dell’organo esecutivo di vertice)
connesse all’esercizio del mandato elettorale”.
Non conforme alla tesi giurisprudenziale maggioritaria:
TAR Lombadia, Milano, sez. I, sentenza 12 gennaio 2010, n. 17.
(Il caso: il consigliere comunale di minoranza di un Comune
lombardo chiedeva, vedendoselo tuttavia negato, l'accesso alla
documentazione relativa ad un ricorso per decreto ingiuntivo
presentato nei confronti una società privata e poi ritirato dalla stessa
Amministrazione comunale ricorrente. In particolare, l’istanza
estensiva aveva ad oggetto: a) il ricorso presentato al Tribunale
civile; b) la richiesta da parte del giudice incaricato di integrazione
documentale ex art. 640 c.p.c.; c) il parere di un legale che avrebbe
suggerito all'Amministrazione di ritirare la richiesta di decreto
ingiuntivo).
“(Si ritiene) che il primo (ricorso per decreto ingiuntivo) ed il
secondo (richiesta del giudice di integrazione dei mezzi probatori)
degli atti richiesti attengono ad un procedimento giurisdizionale da
considerare estinto a seguito della rinuncia dell'Amministrazione e,
pertanto non rientrano in quella categoria di atti ai quali l'accesso può
essere negato anche al Consigliere comunale che ne faccia richiesta;
il terzo atto, invece, rientra tra gli atti di consulenza che gli organi
decidenti della Amministrazione acquisiscono al fine di meglio
conformare la propria azione a criteri di legittimità e di opportunità e
che pertanto non possono formare oggetto di accesso, senza violare il
segreto professionale del legale e la stessa privacy dell'organo
decidente che deve restare libero nell'acquisizione dei pareri che
ritiene necessari alla formazione di una propria sua corretta volontà e
nella loro conseguente valutazione”.
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d) possono formare oggetto di accesso anche gli atti degli enti partecipati dall’ente locale di
appartenenza.
Comune; dalla partecipazione pubblica discende l'esercizio di attività
certamente rientranti nella più generale attività dell'ente locale, che
giustifica e legittima quindi la richiesta documentazione.
In conclusione, risulta evidente, anche alla luce di recenti indici
normativi, che le società partecipate pubbliche, siano esse strumentali
agli enti partecipanti o concessionarie o affidatarie di servizi pubblici
locali, restano assoggettate alle regole di buona amministrazione
imparziale, secondo il principio di legalità, di cui all’art. 97 Cost. e al
capo I della legge n. 241 del 1990. Finché questi strumenti
societari impiegano soldi pubblici per lo svolgimento di funzioni
pubbliche o per l’erogazione di servizi pubblici, non è consentito
che il rivestimento formale privatistico possa consentire ad essi di
sottrarsi alle regole di trasparenza e di controllabilità che
indefettibilmente caratterizzano la funzione e il servizio pubblici.
E così come è consentito al consigliere comunale di controllare
l’operato dell’ente di appartenenza, così deve essergli consentito di
controllare il modo in cui operano gli strumenti societari di cui l’ente
di appartenenza intende avvalersi per il perseguimento (ancorché
indiretto) di quelle stesse finalità pubblicistiche (di funzione o di
servizio) appartenenti al suo ambito di competenza.
TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza 28 gennaio 2010, n. 448.
(Il caso: Cinque consiglieri comunali richiedevano ad una società
consortile tra pubbliche amministrazioni l’accesso a “tutte le delibere
approvate dal consiglio di amministrazione”, accesso negato dalla
società richiesta, a motivo che la medesima costituiva “soggetto di
diritto privato, comunque non astretto alle regole di cui alla Legge
241/90 in tema di accesso”).
il vero thema decidendum della controversia non si individua tanto
nella questione dell’applicabilità alla società consortile resistente del
capo V della legge n. 241 del 1990, applicabilità esclusa nel diniego
impugnato, che è questione in realtà pacifica ed espressamente risolta
dagli articoli 22, comma 1, lettera e) e 23 della legge ora citata (onde
la palese erroneità ed illegittimità al riguardo della impugnata nota
negativa della società consortile prot. n. 10282 del 30 giugno 2009,
che andrà annullata), quanto nella più seria questione di quali siano le
peculiarità e i limiti dell’esercizio del sindacato ispettivo dei
consiglieri comunali, riconosciuto come forma speciale di accesso ai
documenti dell’ente locale di appartenenza dall’art. 43 del t.u.e.l. (di
cui al d.lgs. n. 267 del 2000), e se tale potere di sindacato si possa
estendere (e, se sì, in che misura) alle società partecipate dall’ente
locale cui appartengono i consiglieri comunali che agiscono.
Ciò premesso, e venendo al merito, il Collegio, uniformandosi alla
prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 2004, n.
7900; Id., 5 settembre 2002, n. 4472), propende per la risposta
affermativa. (…) La giurisprudenza richiamata ha esteso senz’altro
agli atti degli enti partecipati il diritto di accesso dei consiglieri
comunali previsto dal richiamato art. 43 del t.u.e.l., ricorrendo
senz’altro l’eadem ratio e l’omogeneità di funzione dell’istituto. Se è
vero, infatti, che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti
gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato,
ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di
causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione,
nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di
competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del
Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti
del corpo elettorale locale, è altrettanto vero che queste ragioni
speciali che giustificano il sindacato dei consiglieri comunali sugli
atti comunali devono valere parimenti anche allorquando le funzioni
e i servizi comunali non sono svolti ed espletati direttamente dal
Comune, ma per il tramite di appositi strumenti societari partecipati.
Le disposizioni richiamate, infatti, – ha soggiunto la richiamata
giurisprudenza – collegano l'accesso a tutto ciò che può essere
effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo
consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita
politico-amministrativa dell' ente (…). Nell’ambito di questo
collegamento funzionale devono coerentemente essere incluse anche
le delibere delle società strumentali (o concessionarie di servizi
pubblici), partecipate dal Comune, che costituiscono uno strumento
mediante il quale si svolgono i compiti pubblicistici e le competenze
del Comune di appartenenza. L’estensione di tale potere di sindacato
dei consiglieri comunali agli atti e ai documenti delle società
totalitariamente o maggioritariamente partecipate dagli enti locali,
operata dal Giudice amministrativo nelle richiamate pronunce, sulla
base di una lettura sostanzialistica della normativa di riferimento,
risulta inoltre coerente alla giurisprudenza amministrativa in materia
di società miste, la cui costituzione per la gestione dei servizi
pubblici locali – ha ricordato il Consiglio di Stato – “costituisce un
modello organizzativo e gestionale sì alternativo a quello dell'azienda
speciale, ma non per questo del tutto alieno a connotati e finalità
sostanzialmente pubblici, perché, ai fini dell'identificazione di un
soggetto pubblico, la forma societaria assume veste neutrale ed il
perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sé in
contraddizione con il fine societario lucrativo - art. 2247 c.c. - (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 03/09/2001, n.4586; cfr.: <<Il modulo
organizzativo della società mista per azioni ex art. 22 comma 3 lett.
e), l. 8 giugno 1990 n. 142 (a prevalente capitale pubblico) delinea
una forma di gestione diretta del servizio pubblico nel cui ambito non
solo il rapporto tra pubblica amministrazione e società è di natura
giuspubblicistica, ma soprattutto la società stessa diviene organo
indiretto dell'ente, deputato allo svolgimento del servizio
affidatole>> Cons. Stato, sez. V, 19/02/1998, n.192)”. La natura di
società di capitale non preclude, pertanto, l'esercizio del diritto de
quo, atteso che la proprietà della medesima è in parte imputabile al
Cons. Stato, sez. V, sentenza 9 dicembre 2004, n. 7900.
(Il caso: un consigliere comunale presentava ad una s.p.a. (ex
azienda speciale di un Comune pugliese) preposta all’erogazione dei
servizi pubblici di trasporto e di distribuzione di energia elettrica,
un’istanza di accesso ai seguenti documenti: atto di acquisto del ramo
d’azienda; atto di acquisto di un immobile. La s.p.a. richiesta negava
l’accesso, comunicando che <trattandosi di documentazione inerente
l’espletamento del mandato di Consigliere Comunale, ogni decisione
in ordine all’istanza è di competenza del Comune>. Comunque, il
Consiglio di Amministrazione della s.p.a., preso atto del diniego di
accesso già espresso dal Presidente, ne condivideva le ragioni, sia per
essere la società medesima una s.p.a. e non più una azienda speciale
del Comune, sia per ragioni di tutela della concorrenza).
“La peculiarità del caso sottoposto all’esame del Collegio attiene alla
particolare natura del soggetto nei confronti del quale l’istanza
ostensiva è diretta: si tratta, invero, di una società di capitali a
partecipazione pubblica (comunale) totalitaria - nata dalla
trasformazione dell’Azienda speciale del Comune - preposta
all’erogazione dei servizi pubblici del trasporto urbano e dell’energia
elettrica. Orbene, questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che è
legittima la richiesta di informazioni nei confronti di una società a
prevalente capitale comunale, svolta da un consigliere comunale, con
riferimento sia all'art. 24 l. 27 dicembre 1985 n. 816, che prevede che
i consiglieri comunali, per l'effettivo esercizio delle loro funzioni,
hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente
e degli atti preparatori in essi richiamati, sia all'art. 31 comma 5 l. 8
giugno 1990 n. 142, che stabilisce che gli stessi hanno diritto di
ottenere dagli uffici comunali e dalle loro aziende ed enti dipendenti,
tutte le notizie ed informazioni in loro possesso, utili all'espletamento
del mandato (Cons. Stato, sez. V, 05/09/2002, n.4472). La lettura
sostanzialistica racchiusa nella citata decisione, lettura condivisa dal
Collegio, risulta coerente alla giurisprudenza di questo Consesso in
materia di società miste la cui costituzione, per la gestione dei servizi
pubblici locali, qualora si renda opportuna in relazione alla natura o
all'ambito territoriale di questi, costituisce un modello organizzativo e
gestionale sì alternativo a quello dell'azienda speciale, ma non per
questo del tutto alieno a connotati e finalità sostanzialmente pubblici,
perchè, ai fini dell'identificazione di un soggetto pubblico, la forma
societaria assume veste neutrale ed il perseguimento di uno scopo
pubblico non è di per sè in contraddizione con il fine societario
lucrativo - art. 2247 c.c. - (cfr. Cons. Stato, sez. V, 03/09/2001,
n.4586; cfr.: <<Il modulo organizzativo della società mista per azioni
ex art. 22 comma 3 lett. e), l. 8 giugno 1990 n. 142 (a prevalente
capitale pubblico) delinea una forma di gestione diretta del servizio
pubblico nel cui ambito non solo il rapporto tra pubblica
amministrazione e società è di natura giuspubblicistica, ma
soprattutto la società stessa diviene organo indiretto dell'ente,
deputato allo svolgimento del servizio affidatole>> Cons. Stato, sez.
V, 19/02/1998, n.192). La natura di società di capitale non preclude,
pertanto, l’esercizio del diritto de quo, atteso che la proprietà della
medesima è imputabile al Comune; dalla partecipazione pubblica
discende l’esercizio di attività certamente rientranti nella più generale
9
attività dell’ente locale, che giustifica e legittima quindi la richiesta
documentazione. (…) Si osserva, infine, in ordine ai gravissimi danni
paventati dalla difesa della s.p.a. che per espressa previsione
normativa (art. 43 del Testo unico enti locali) i consiglieri che
esercitano il diritto di accesso sono tenuti al segreto nei casi
specificamente determinati dalla legge”.
Contra
TAR Toscana, sez. I, sentenza 7 giugno 2005, n. 2785.
(Il caso: La ricorrente, nella sua qualità di consigliere di un Comune
toscano nonché di presidente della commissione speciale di indagine
su problemi delle Terme, si rivolgeva al presidente pro tempore del
consiglio d’amministrazione di una S.p.A. avente ad oggetto sociale
l’esercizio di tutte le attività di valorizzazione, sfruttamento e
promozione delle acque termali del compendio di Montecatini. In
particolare, il consigliere richiedeva l’accesso a specifici documenti
inerenti l’assetto e l’attività gestionale della società medesima,
società di cui il Comune in questione e la Regione Toscana erano
appunto soci, ciascuno per il 50% delle quote azionarie).
“Nel caso all’esame la richiesta di accesso formulata dalla ricorrente
nella sua qualità di consigliere comunale non può trovare
accoglimento per il fatto che la società partecipata non può
considerarsi “ente dipendente”, ai sensi e per gli effetti della norma
di cui al citatati art. 43, comma 2, del Dlgs. 267/2000. (…) E allora
se l’accesso consentito al consigliere comunale dalla norma di che
trattasi è diretto a rendere concreta la possibilità di conoscere
documenti considerati utili all’espletamento del mandato, un siffatto
“diritto” può essere fatto valere unicamente nei confronti di quegli
organismi che rientrino integralmente nell’ambito istituzionale e
amministrativo dell’Ente esponenziale in nome e per conto del quale
il mandato rappresentativo viene esercitato. Opinare diversamente
significherebbe attribuire al consigliere comunale un privilegio che la
normativa in questione non ha inteso affatto recare, dovendo peraltro
qui osservarsi del pari come una tale limitazione sussista nella specie
anche per un Consigliere Regionale che, in ipotesi, volesse esercitare
il diritto di accesso (stante, invero, la perfetta omogeneità delle
posizioni qui emergenti).Va da se che le ragioni ostative sopra
illustrate non hanno motivo di essere ove la ricorrente si munisca del
previo, eventuale, assenso ad ottenere l’accesso ai documenti
richiesti da parte della Regione Toscana. Conclusivamente, il diniego
di accesso opposto al consigliere comunale si appalesa immune dai
vizi di legittimità dedotti col proposto ricorso che, pertanto, va
respinto”.
(N.d.A.: si precisa che la sentenza de qua ha erroneamente non
tenuto conto del testo degli artt. 22 e 23 della L. 241/1990. In
particolare, l’art. 22, comma 1° lett. d) (come novellato dalle L.
15/2005 e L. 80/2005) chiarisce che deve intendersi, per documento
amministrativo,“ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica,
elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti,
anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti
da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico
interesse indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica
della loro disciplina sostanziale”. Per parte sua, l’art. 23 (che, con
l’entrata in vigore delle l. 15/05 e 80/05, è rimasto immutato)
specifica che “Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita
nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende
autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di servizi
pubblici”. In altri termini, la richiamata e più attuale normativa,
ulteriormente riconfermata dopo la novella ex L. 69/2009, prevede,
già in capo al comune cittadino, la possibilità di accedere ad atti
detenuti da enti a partecipazione pubblica. A maggior ragione, la
predetta possibilità dovrà essere riconosciuta ed accordata a soggetti
che, come i consiglieri comunali e provinciali, esercitano un munus
publicum).
Cons. Sato, sez. V, sentenza 5 settembre 2002, n. 4472.
(Il caso: il consigliere di un Comune lombardo presentava istanza di
accesso agli atti amministrativi nei confronti di una società
partecipata, in maggioranza, dal Comune di appartenenza. In
particolar modo, l’istanza era stata formulata sul presupposto che la
società de qua aveva aumentato i costi di riferimento dei lavori svolti
per il Comune. L’accesso veniva negato, ritenendo la società
richiesta che: 1) la partecipazione azionaria comunale lasciava
comunque immutata la natura di persona giuridica privata della
S.p.A.; 2) i documenti di cui si esigeva l’ostensione erano documenti
“riservati” attinenti alla gestione dei conti della S.p.A.; 3)
l’esibizione dei predetti documenti era da intendersi indebita, in
quanto avrebbe prodotto un’inammissibile attività di controllo non
già sulla “spesa del Comune”, ma su conti interni di gestione privata
della società o, meglio, sulla spesa privata di un soggetto del tutto
autonomo che non era un’azienda comunale, anche se partecipata dal
Comune).
“La problematica sottoposta all’esame del Collegio (riguardante la
legittimità della richiesta di informazioni nei confronti di una società
a prevalente capitale comunale, svolta da un consigliere comunale e
motivata dalla necessità di conoscere le ragioni degli aumenti dei
costi relativi ai lavori svolti dalla medesima società) è già stata
esaminata e positivamente (nel senso della legittimità della richiesta)
risolta da questa Sezione (cfr. per tutte C.S. V n. 940/2000), con
argomentazioni che devono essere condivise e ribadite. Invero, nella
fattispecie, indipendentemente dal riferimento alla normativa
generale di cui alla L. n.241/1990, trova applicazione la specifica
normativa di cui (…) all’ art.43, comma 2, del D.Lgs 18 agosto 2000,
n.267. Dal riportato complesso normativo si evince chiaramente
come tali disposizioni – che vanno lette, interpretate ed applicate nel
più generale contesto delle disposizioni sul diritto di accesso previste
nel capo V della legge n.241/1990 –, consentano e in qualche modo
favoriscano la legittimità dell’esercizio del diritto di accesso da parte
dell’originario ricorrente attuale appellato, in quanto svolto
nell’ambito dell’espletato suo mandato di Consigliere comunale e per
finalità intrinseche allo svolgimento di tale mandato. Né sussistono
le censure e le problematiche concernenti pretese violazioni del
diritto alla riservatezza, e quelle relative alla dichiarata natura
privatistica della Società Concossola, in quanto da un lato i limiti
propri dell’esercizio del diritto specifico di accesso e le modalità
della sua fruizione stabiliti dalla richiamata normativa garantiscono
ex se sulla necessarietà del rispetto esterno delle informazioni
medesime che possono legittimamente essere conosciute solo
nell’ambito e per le finalità previste dalla legge e quindi senza alcun
pericolo-danno per la riservatezza dei dati e informazioni “private”; e
dall’altro perché la natura di società di capitale non preclude
l’esercizio del diritto, atteso che la proprietà della medesima è per
quota maggioritaria imputabile al Comune, partecipazione da cui
discende l’esercizio di attività certamente rientranti nella più generale
attività del Comune, che giustifica e legittima quindi la richiesta
documentazione”.
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