(Convegno “Competenze e reali possibilità d’azione per gli Enti locali” tenutosi in Bologna il 18 novembre 2010) Il diritto di accesso agli atti da parte dei consiglieri (art. 43, 2° tuel) RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE Avv. Diana Argenio del Foro di Bologna 1. Il diritto d’accesso dei consiglieri rispetto alla più generale disciplina ex L. 241/1990: l’esercizio del munus publicum come presupposto legittimante; presunzione iuris et de iure dell’interesse accessivo; assenza dell’onere motivazionale. Con stretto riferimento agli atti degli enti locali, occorre innanzitutto tener distinti il diritto d’accesso riconosciuto alla generalità dei cittadini e quello riconosciuto in capo ai consiglieri comunali e provinciali. Nel primo caso, trovano applicazione l’art. 10 tuel (“1. Tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici…2. Il regolamento assicura ai cittadini, singoli ed associati, il diritto di accesso agli atti amministrativi…”) e gli artt. 22 e ss. della legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990). La richiamata normativa, come noto, prevede, ai fini dell’evasione di un’istanza d’ostensione, che la medesima sia idoneamente motivata (art. 25, 2° l. 2441/90), suffragata dalla presenza, in capo al richiedente, di “un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, 1°, lett. b) L. 241/90) e, infine, rivolta esclusivamente nei confronti di “documenti amministrativi” (art. 22, 1° lett. d) L. 241/1990). Ben altra cosa, invece, quando il soggetto coinvolto si trovi ad esercitare una funzione pubblica. In tale secondo caso, trova, infatti, applicazione la speciale e ben diversa disciplina di cui all’art. 43, 2° tuel, in base al quale “I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”. A differenza del “comune” diritto accessivo, dunque, quello riconosciuto ai consiglieri presenta una ratio diversa e particolare, giustificata dalla funzione ricoperta dal richiedente l’accesso (cd. munus publicum). Non a caso, del resto, l’art. 43 tuel parla di “notizie ed informazioni utili per l’espletamento del proprio mandato”: la richiesta ostensiva inoltrata dal consigliere non è infatti funzionale, come nel caso del diritto d’accesso riconosciuto alla generalità dei cittadini, alla tutela di un proprio interesse personale e giuridicamente rilevante, ma è strumentale al corretto svolgimento del munus publicum. In particolare, l’accesso può servire a: 1) 2) 3) 4) verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione; avere piena cognizione di causa dell'operato dell'Amministrazione; esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano al singolo rappresentante (interpellanze, interrogazioni, ordini del giorno, mozioni). verificare che il Sindaco e la Giunta municipale esercitino correttamente la loro funzione”. Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855. “L’accesso ai sensi dell’art. 22 L. 241/1990 consente ai soggetti di conoscere atti e documenti al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni eventualmente lese; l’accesso ai sensi dell’art. 43 da parte del consigliere è finalizzato a consentire l’esercizio del proprio mandato mediante la verifica dell’azione degli organi dell’ente. (…) è una conseguenza necessitata, che al consigliere comunale non può essere opposto alcun diniego (salvo i pochi casi eccezionali e contingenti, da motivare puntualmente e adeguatamente, e salvo il caso – da dimostrare – che lo stesso agisca per interesse personale), determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo al concreto esercizio della sua funzione, che è quella di Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. “II diritto (soggettivo pubblico) codificato da tali disposizioni – come è possibile evincere dalla chiara littera legis - è espressione del principio democratico dell'autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ed in quanto tale è direttamente funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito (cfr. la locuzione <<ampia e qualificata posizione di pretesa all'informazione spettante ratione 1 officii al consigliere comunale>> in Cons. Stato, sez. V, 08/09/1994, n. 976)” funzionale non tanto ad un interesse personale del consigliere comunale o provinciale, quanto alla cura di un interesse pubblico connesso al mandato conferito e, quindi, alla funzione di rappresentanza della collettività. Il diritto ha una ratio diversa, quindi, da quella che contraddistingue l'ulteriore diritto di accesso ai documenti amministrativi che è riconosciuto, non solo ai consiglieri comunali o provinciali, ma a tutti i cittadini (art. 7, legge n. 142/1990 applicabile agli atti degli enti locali) come pure, in termini più generali, a chiunque sia portatore di un interesse personale e concreto e per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in riferimento ai documenti amministrativi detenuti da amministrazioni diverse dai comuni e dalle province (art. 22 legge 7 agosto 1990, n. 241; art. 2 d.PR. 27 giugno 1992, n. 352)”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. “(siffatta) situazione giuridica, quantunque individualizzata in capo a ciascun consigliere, presenta la sostanza di un diritto soggettivo pubblico funzionalizzato, ovverosia implica l’esercizio di facoltà finalizzate al pieno ed effettivo svolgimento delle funzioni assegnate direttamente al Consiglio comunale; l’informazione in discorso è, dunque, strumentale all’attuazione del generale potere di indirizzo e di controllo politico- amministrativo ascritto a tale supremo organo di governo dell’ente locale. Da queste premesse discende a mo’ di corollario la conclusione che ogni limitazione all’esercizio del diritto sancito dall’art. 43 interferisce inevitabilmente con la potestà istituzionale del Consiglio comunale di sindacare la gestione dell’ente, onde assicurarne – in uno con la trasparenza e la piena democraticità – anche il buon andamento”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 4 maggio 2004, n. 2716. “\Quanto ai mezzi di cui dispongono i consiglieri comunali per venire a conoscenza dell’attività dell’amministrazione, quali le interpellante e le domande, va osservato che non sussiste alcuna graduatoria secondo il cui ordine acquisire gli elementi utili all’espletamento del mandato. Ciascun consigliere è, quindi, libero di servirsi dei mezzi messi a disposizione dell’ordinamento, scegliendo quelli ritenuti più consoni al singolo caso. Inoltre, non si può non osservare, sul punto, come l’esame diretto degli atti, attraverso l’esercizio del diritto di accesso, dia la massima contezza della singola questione esaminata e come possa, quindi, essere preferito l’accesso agli altri mezzi di conoscenza offerti dall’ordinamento”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 9 dicembre 2004, n. 7900. “I consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale. II diritto codificato da tale disposizione è direttamente In virtù del suddetto munus publicum, si profilano due peculiari caratteristiche che differenziano il diritto d’accesso dei consiglieri da quello normalmente riconosciuto alla generalità dei cittadini: a) Mentre, ai fini dell’accesso di ex artt. 22 e ss. L. 241/1990 è specifico onere dell’istante dimostrare la sussistenza di un proprio interesse “diretto, concreto e attuale”, nel caso dell’istanza ostensiva formulata da un consigliere, l’esistenza ed attualità dell’interesse è presunta per legge. Cons. Stato, sez. V, sentenza 22 febbraio 2007, n. 929. “L’esistenza e l’attualità dell’interesse, che sostanzia l’actio ad exhibendum, devono ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del consiglio comunale”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. “L’interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione civica non si presta, pertanto, ad alcun scrutinio di merito da parte degli uffici interpellati in quanto, sul piano oggettivo, esso ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al Consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale)”. Cons. Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 5 settembre 2005, n. 5. “L’interesse del consigliere ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione non si presta ad alcuno scrutinio di merito degli uffici in quanto ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al consiglio, al cui svolgimento è funzionale”. TAR Marche, sentenza 11 settembre 2000, n. 1545. “La richiesta da parte di un consigliere comunale di copia di atti amministrativi agli uffici del proprio comune non può essere subordinata alla sussistenza di un interesse personale e concreto; infatti la prerogativa di ricognizione documentale costituisce modalità di esercizio del munus pubblico di cui ciascun consigliere è investito in quanto membro dell’organo amministrativo elettivo”. b) Il consigliere (comunale o provinciale) non necessita di munire la propria richiesta di acceso di altra motivazione se non quella dell’espletamento del mandato e, da parte sua, l’amministrazione richiesta non può sottoporre ad alcun scrutinio il collegamento tra la predetta motivazione e la documentazione richiesta. Ogni limitazione all’esercizio del diritto di acceso del consigliere interferirebbe, infatti, inevitabilmente con la potestà istituzionale del consiglio comunale di sindacare la gestione dell’ente, onde assicurarne – in un tutt’uno con la trasparenza e la piena democraticità – anche il buon andamento. che il diritto in questione non incontra neppure limiti derivanti dalla natura riservata agli atti richiesti, in quanto il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 agosto 2006 n. 4855; Sez. V., 20 ottobre 2005 n. 5879; TAR Milano, Sez. I, 7 aprile 2006 n. 970; TAR Parma 26 gennaio 2006 n. 28)” TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sentenza 4 dicembre 2006, n. 3107. “Il diritto di accesso riconosciuto ai rappresentanti del corpo elettorale locale ha una ratio diversa e più ampia di quella che contraddistingue il diritto di accesso riconosciuto a tutti i cittadini dal medesimo T.U.E.L. (art. 10), nonché dagli artt. 22 ss. della legge n. 241/1990; per cui da un lato il consigliere può accedere non solo ai "documenti" ma, in genere, a qualsiasi "notizia" o "informazione" utili all'esercizio delle funzioni consiliari, ma non è neppure tenuto a motivare la sua richiesta, né l'ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, perché altrimenti gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire l'ambito del controllo consiliare sul proprio operato; ed è per questo, infine, Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. “a differenza dei soggetti privati, il consigliere non è tenuto a motivare la richiesta, né l'Ente ha titolo per sindacare il rapporto tra la richiesta di accesso e l'esercizio del mandato, altrimenti gli organi dell'amministrazione sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'ambito del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, V Sez. 7.5.1996 n. 528, Cons. Stato, V Sez. 22.2.2000 n. 940, Cons. Stato, V Sez. 2 26.9.2000 n. 5109)”. T.A.R. Lombardia – Brescia, 25/9/2001 n° 791). (…) La disciplina del diritto di accesso dei Consiglieri Comunali, con riguardo agli atti detenuti dal Comune occorrenti per il compiuto ed adeguato esercizio delle proprie funzioni istituzionali, si pone in deroga alla regolamentazione dettata dagli artt. 22 e segg. della L. 7/8/1990 n° 241, per la generalità dei casi, per cui non può farsi automatico riferimento a quest’ultima per negare ai primi l’accesso agli atti del Comune richiesti al suddetto scopo. Non può costituire valida ragione di diniego, nemmeno l’asserita sussistenza di una “pratica e obiettiva impossibilità di eseguire materialmente tale incombenza”, essendo obbligo dell’amministrazione dotarsi di un apparato burocratico in grado di soddisfare gli adempimenti di propria competenza. La notevole mole della documentazione da consegnare avrebbe potuto, semmai, giustificare la distribuzione nel tempo del rilascio delle copie richieste”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. “(Correttamente) il giudice di prime cure è giunto alla conclusione che la pretesa degli uffici comunali interpellati dal ricorrente di conoscere le ragioni della domanda di accesso si risolvesse, a ben vedere, in un surrettizio ed indebito sindacato sulle forme di esercizio, da parte del consigliere comunale, dei propri compiti istituzionali, sicuramente implicanti anche il controllo e la vigilanza sul buon andamento e sulla corretta gestione amministrativa dell’ente. (Pertanto, si ribadisce) l’inesistenza di un potere degli uffici comunali di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazione avanzate da un consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato. Ed invero, l’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000 riconosce ai consiglieri comunali (e provinciali), per l’utile espletamento del loro mandato, un latissimo “diritto all’informazione” a cui si contrappone il puntuale obbligo degli uffici «rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti» di fornire ai richiedenti «tutte le notizie e le informazioni in loro possesso». (…) L’interesse del consigliere comunale ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione civica non si presta, pertanto, ad alcun scrutinio di merito da parte degli uffici interpellati in quanto, sul piano oggettivo, esso ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservati al Consiglio comunale (al cui svolgimento è funzionale)”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893. “Il consigliere che esercita tale diritto non è tenuto a specificare i motivi della richiesta, “né gli organi burocratici dell’ente hanno titolo per richiederli perché, in caso contrario, questi ultimi sarebbero arbitri di stabilire l’estensione del controllo sul loro operato” (Sez. V, 7 maggio 1996, n. 528). (…) I consiglieri comunali e provinciali hanno diritto d'ottenere dagli enti d'appartenenza, dalle loro aziende e dagli enti dipendenti tutte le notizie e informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del loro mandato elettivo - anche mercè il rilascio di copia dei documenti richiesti secondo le procedure d'accesso ex l. 7 agosto 1990 n. 241 -, senza necessità di specificare i motivi della richiesta, nè l'interesse sotteso come ogni altro privato cittadino, in caso contrario pervenendosi alla paradossale situazione per cui gli organi di governo dell'ente sarebbero arbitri di stabilire essi stessi l'estensione del controllo sul proprio operato (Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 2000, n. 940). (…) Il riconoscimento della speciale protezione della posizione del consigliere comunale, poi, è riconosciuta anche dal giudice penale e dalla magistratura contabile. Il diritto del consigliere comunale di ottenere dal comune tutte le notizie e le informazioni in possesso dell'ente medesimo ed utili all'espletamento del proprio mandato trova come corrispondente il dovere dell'ente territoriale di porre in essere le condizioni perché venga concretamente esercitato, senza incontrare ostacoli o atteggiamenti ostruzionistici, sicché un eventuale rifiuto, motivato in modo apparentemente legittimo, ma, in sostanza, specioso o pretestuoso, non può che risolversi in illegittima manifestazione dell'attività amministrativa. (Fattispecie nella quale è stato impedito ad un consigliere comunale di prendere visione degli atti di giunta) (Cass. pen., sez. VI, 7 marzo 1997, n. 4952). L'illegittimo diniego di accesso opposto dal sindaco al consigliere comunale integra, dato il chiaro ed inequivocabile disposto normativo in materia, un comportamento caratterizzato da colpa grave; sussiste, pertanto, responsabilità amministrativa in capo al sindaco qualora dal predetto diniego sia derivata la condanna del Comune al pagamento delle relative spese di giudizio (C. Conti, regione Umbria, sez. Giurisdiz., 5 giugno 1997, n. 284)”. TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 26 maggio 2004, n. 1762. “Il consigliere comunale, non essendo equiparabile a qualsiasi cittadino in quanto esplicante un munus pubblico, non deve specificare le finalità della richiesta di accesso dallo stesso formulata, purchè legata alla propria funzione di consigliere comunale”. TAR Sardegna, sez. I, sentenza 29 aprile 2003, n. 495 (Il caso: Con svariate istanze, il consigliere di un comune sardo chiedeva l’esibizione e la copia di numerosi atti in possesso dell’ente. Il vicesegretario comunale comunicava tuttavia: a) di non essere materialmente in grado di soddisfare la pretesa per la mole della documentazione richiesta e per l’esiguo personale a disposizione; b) di ritenere la motivazione“espletamento del mandato”, indicata nelle richieste, non sufficiente a giustificare l’accoglimento delle istanze; c) di non poter quindi provvedere al rilascio delle copie dei documenti domandati sino all’adozione di apposito regolamento per la disciplina del diritto di accesso; d) di assicurare, comunque, la trasmissione dei deliberati della Giunta Municipale). “Si ricava con sufficiente chiarezza che: a) il consigliere comunale non è tenuto a corredare la richiesta di accesso di altra motivazione che non sia quella inerente all’esercizio del mandato; b) non possono essere opposte alla detta richiesta esigenze di tutela della riservatezza dei terzi, essendo i consiglieri comunali tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge (cfr. per l’affermazione dei suddetti principi Cons. Stato, V sez., 22/2/2000 n° 940, nonché, 2. L’oggetto del diritto all’accesso: a) la richiesta di notizie ed informazioni ed il connesso obbligo della P.A. di elaborazione dei dati. L’art. 43 tuel riconosce al consigliere comunale o provinciale il diritto di acquisire – dagli uffici di appartenenza (rispettivamente, comune e provincia) nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti – non già (o, comunque, non solo) documenti od atti amministrativi in senso stretto (come avviene, invece, per i comuni cittadini accedenti ai sensi del combinato disposto dell’art. 10 tuel e degli artt. 22 e ss. L. 241/1990), ma “tutte le notizie ed informazioni in loro possesso”. Ne deriva che le predette notizie ed informazioni possono ben essere il risultato di un’attività di elaborazione dati, che l’amministrazione richiesta sarà obbligata a svolgere per evadere correttamente l’istanza ostensiva del consigliere. (Il caso: l’appellante aveva richiesto, nella sua specifica qualità di consigliere di un comune campano, l’elenco delle concessioni edilizie rilasciate dal giugno 2002 al settembre 2005 e l’elenco delle opere pubbliche appaltate nello stesso periodo, con l’indicazione di tutti gli elementi relativi ed aveva, tuttavia, ricevuto dal comune di appartenenza un diniego, in quanto – si leggeva in motivazione – non si trattava di “documenti”). TAR Umbria, Perugina, sez. I, sentenza 30 gennaio 2009, n. 21. “Il consigliere comunale ha un diritto di accesso più esteso e più tutelato di quello spettante alla generalità dei cittadini. (…) L’accesso dei consiglieri comunali non è strettamente limitato agli atti qualificabili come “documento amministrativo” in senso stretto”. Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855. 3 “Tra l’accesso dei soggetti interessati di cui agli artt. 22 eseguenti della legge n. 241 del 1990 e l’accesso del Consigliere comunale di cui all’art. 43 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (testo unico sull’ordinamento degli enti locali) sussiste una profonda differenza: il primo è un istituto che consente ai singoli soggetti di conoscere atti e documenti, al fine di poter predisporre la tutela delle proprie posizioni soggettive eventualmente lese, mentre il secondo è un istituto giuridico posto al fine di consentire al consigliere comunale di poter esercitare il proprio mandato, verificando e controllando il comportamento degli organi istituzionali decisionali del Comune”. collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politicoamministrativa dell'ente, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità che ha precisato che il consigliere può accedere non solo ai “documenti” formati dalla pubblica amministrazione di appartenenza ma, in genere, a qualsiasi “notizia” od “informazione” utili ai fini dell'esercizio delle funzioni consiliari (cfr. Cass. Civ. Sez. III, sent. 3 agosto 1995 n. 8480, in materia di acquisizione della registrazione magnetofonica di una seduta consiliare)”. TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 7 aprile 2006, n. 970. “Il diritto di accesso del consigliere comunale o provinciale è istituto speciale rispetto al generale diritto di accesso disciplinato dagli artt. 22 e ss. della legge 7 agosto 1990 n. 241 e si estende ad ogni notizia od informazione in possesso degli uffici, anche se la soddisfazione della richiesta comporti un’attività di elaborazione dati, con il solo limite della ragionevolezza e della non genericità della richiesta”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. “Alla disposizione in commento (art. 43 tuel) non sono applicabili le regole procedimentali (e tanto meno i limiti contenutistici) dettate per l’accesso previsto dalla legge n. 241/1990; il diritto all’accesso del consigliere differisce da quello regolato dalla legge 241/1990 per finalità ed oggetto, posto che il primo, oltre a potersi indirizzare verso qualunque documento o atto, pubblico o privato, detenuto dall’ente, può anche concretarsi nella richiesta di informazioni non contenute in documenti e può comportare – nei limiti della proporzionalità e della ragionevolezza – l’elaborazione di dati ed informazioni”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. “Invero, la finalizzazione dell'accesso all'espletamento del mandato costituisce, al tempo stesso, il presupposto legittimante l'accesso ed il fattore che ne delimita la portata. Le disposizioni richiamate, infatti, 3. (segue): b) il parametro della “utilità” della notizia od informazione richiesta. Dal termine “utili” contenuto nell’art. 43 tuel, non consegue alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri. Al contrario, l’aggettivo giustifica e chiarisce l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato come funzionale all’espletamento del mandato. In altri termini, l’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità dell’istanza ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non potrà essere disconosciuta in presenza di un interesse all’esercizio adeguato alla funzione e non potrà essere sindacata dall’ente richiesto. norma “de qua” abbia previsto tale diritto solo per le notizie e le informazioni “utili” all’espletamento del mandato. Allorchè una richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato risulta, invero, insita nella stessa l’utilità degli atti richiesti al fine dell’espletamento del mandato. Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella norma in esame, diversamente da quanto assunto dall’appellante, non costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l’intero contesto della disposizione. Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per “tutte le notizie e le informazioni …….utili all’espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l’estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all’espletamento del mandato”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. “Emerge chiaramente, infatti, che i consiglieri comunali hanno un non condizionato diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine di permettere di valutare - con piena cognizione - la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale.” Cons. Stato, sez. V, sentenza 4 maggio 2004, n. 2716. “Poiché la surriportata norma attribuisce il diritto ai consiglieri comunali di chiedere i documenti ravvisati utili all’espletamento del mandato, la precisazione che la richiesta di accesso è avanzata per l’espletamento del mandato basta a giustificarla, senza che occorra alcuna ulteriore precisazione circa le specifiche ragioni della richiesta. Né, di contro a quanto sostenuto dall’appellante, il diritto di accesso dei consiglieri comunali troverebbe un limite nel fatto che la 4. I singoli casi concreti. Segue un breve e meramente esemplificativo elenco di casi affrontati in giurisprudenza, da cui desumere l’esatto ambito oggettivo di applicazione del diritto d’accesso de quo. ►1) Il diritto d’accesso del consigliere opera, innanzitutto, nell’ambito delle competenze attribuite al consiglio comunale o provinciale. vista dell’approvazione del bilancio, ossia al fine di consentire lo svolgimento dell’attività propria del mandato di consigliere”. TAR Piemonte, sez. II, sentenza 17 marzo 2008, n. 435. “Non sussistono ragioni che consentano di inibire l’accesso ai mandati di pagamento emessi per la liquidazione dell’indennità di risultato in favore del segretario comunale, trattandosi di documenti che ineriscono l’esercizio dell’attività amministrativa dell’ente”. TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, sentenza 31 luglio 2007, n. 492. “Il diritto di accesso può esercitarsi per atti normalmente preclusi ai terzi per ragioni di riservatezza, quali le relazioni riservate del direttore dei lavori e del collaudatore di cui all’art. 13, 5° lett. d) d.lgs. 163/2006”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 28 settembre 2007, n. 5020. “La richiesta di accesso al libro mastro ed al libro cassa è legittima, in quanto sufficientemente puntuale e pertinente, essendo avanzata in Cons. Stato, sez. IV, sentenza 21 agosto 2006, n. 4855. 4 “La richiesta del consigliere comunale di acquisire l’elenco delle concessioni edilizie e delle opere appaltate nel periodo giugno 2002 – settembre 2005 è legittima, in quanto la richiesta non appare eccessivamente laboriosa e defatigante e potrebbe essere soddisfatta – nei limiti di tempi ragionevoli e più celermente possibile – ove fosse gravosa secondo i tempi necessari per non determinare interruzione alle altre attività comunali”. TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 7 aprile 2006, n. 970. “Rientrano nel diritto di accesso le informazioni inerenti alla gestione annuale del bilancio perché da eventuali irregolarità gestionali potranno essere tratti motivi di iniziativa politica”. Con la seguente ulteriore precisazione: TAR Veneto, sez. I, sentenza 30 marzo 1995, n. 489. “Il controllo politico amministrativo del singolo consigliere relativo alle funzioni amministrative svolte dalla giunta e dal indaco non si estende agli atti che il sindaco compie quale ufficiale di governo, competendo al prefetto le funzioni ispettive repressive e/o sostitutive nella materia”. TAR Abruzzo, L’Aquila, sentenza 29 maggio 2006, n. 386. “Il diniego all’accesso agli atti del P.R.G. motivato per ragioni tecniche ed economiche è illegittimo, in quanto prevale il favor nel senso della più ampia accessibilità intesa come tutela e garanzia finalizzata al pubblico interesse”. ► 2) Il consigliere ha, poi, diritto di accesso verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote, essendo innegabile che, per ragioni connesse all’esercizio del munus pubblico, possa essergli necessario ed utile conoscere approfonditamente pregresse vicende gestionali dell’ente locale nel quale ricopre tale carica. diversamente opinando – si ergerebbero ad arbitri delle forme di esercizio delle potestà pubbliche”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. (il caso: il consigliere di un comune lombardo aveva formulato istanza ostensiva rispetto a: a) Tutte le matrici delle ricevute dei parcheggi degli ultimi 5 anni; b) Copia delle relative fatture di acquisto di tali buoni e naturalmente i DDT; c) L’elenco di tutti i nominativi che negli ultimi 5 anni hanno potuto maneggiare soldi del comune; d) Copia dei versamenti fatti alla tesoreria comunale dell’importo corrispondente alle ricevute vendute sempre degli ultimi 5 anni. Impugnato, dinnanzi al TAR Lombardia – Milano, il diniego all’accesso formulatogli dal Comune di appartenenza, il consigliere si era, tuttavia, visto negare l’accesso alle predette informazioni e notizie anche da parte del giudice di primo grado, con la motivazione che “il consigliere comunale non è legittimato a richiedere all’ente locale l’accesso indiscriminato a qualsiasi documento detenuto dal comune, anche se risalente ad un’epoca di molto antecedente rispetto al periodo di espletamento del proprio mandato, traducendosi, altrimenti, tale controllo nell’esercizio di una funzione ispettiva sulla trascorsa attività dell’amministrazione, per nulla connessa all’esercizio presente del mandato di consigliere comunale”. Di qui, l’appello innanzi al Consiglio di Stato). “Il riferimento alle notizie ed alle informazioni “utili” contenuto nella norma in esame, non costituisce affatto una limitazione, se appena si considera l'intero contesto della disposizione. Il diritto di accesso è stato, infatti, attribuito ai consiglieri comunali per “tutte le notizie e le informazioni... utili all'espletamento del proprio mandato” e, quindi, per tutte le notizie ed informazioni ritenute utili, senza alcuna limitazione. Dal termine “utili” contenuto nella norma in oggetto non consegue, quindi, alcuna limitazione al diritto di accesso dei consiglieri comunali, bensì l'estensione di tale diritto a qualsiasi atto ravvisato utile all'espletamento del mandato>> (cfr. la già citata Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2004, n. 2716); ne discende che l’utilità dell’accesso (id est, la strumentalità della istanza ostensiva all’esercizio del munus pubblico) non può essere disconosciuta in presenza di una richiesta relativa a documentazione risalente ad un’epoca antecedente rispetto al periodo di espletamento del presente mandato; invero, il diritto di accesso del consigliere comunale investe l'esercizio del munus in tutte le sue potenziali implicazioni (cfr.: Cons. Stato, V Sez. 21.2.1994 n. 119, Cons. Stato, V Sez. 26.9.2000 n. 5109, Cons. Stato, V Sez. 2.4.2001 n. 1893)”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. (Il caso: un consigliere comunale aveva chiesto al Responsabile del Servizio Lavori Pubblici ed Assetto del Territorio di un Comune pugliese gli atti ed i documenti di un procedimento definito in una passata consiliatura e relativo ad un progetto di cofinanziamento per il restauro conservativo e recupero funzionale di un palazzo storico. Il Segretario comunale ed il Responsabile del Servizio interessato rilevavano che gli atti richiesti si riferivano ad un procedimento ormai concluso e che il predetto palazzo storico, essendo stato acquistato da un privato, non rientrava più nell’ambito dell’attività istituzionale del Comune. Inoltre, Infine il Responsabile del Servizio Lavori Pubblici, rigettava definitivamente le domande di accesso, non avendo il consigliere precisato quale collegamento intercorresse tra la richiesta di documenti e l’espletamento del mandato consiliare). “Sul consigliere comunale, pertanto, non grava, né può gravare, alcun onere di motivare le proprie richieste d’informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiederle ed conoscerle ancorché l’esercizio del diritto in questione si diriga verso atti e documenti relativi a procedimenti ormai conclusi o risalenti ad epoche remote. Diversamente opinando, infatti, la struttura burocratica comunale, da oggetto del controllo riservato al Consiglio, si ergerebbe paradossalmente ad “arbitro” - per di più, senza alcuna investitura democratica - delle forme di esercizio della potestà pubbliche proprie dell’organo deputato all’individuazione ed al miglior perseguimento dei fini della collettività civica. L’esistenza e l’«attualità» dell’interesse che sostanzia la speciale actio ad exhibendum devono quindi ritenersi presunte juris et de jure dalla legge, in ragione della natura politica e dei fini generali connessi allo svolgimento del mandato affidato dai cittadini elettori ai componenti del Consiglio comunale. Occorre, d’altronde, soggiungere che l’attualità dell’interesse all’accesso non può essere confusa - siccome di converso adombrato nelle difese dell’ente appellante - con la “attualità” dei documenti chiesti in visione, non potendo revocarsi in dubbio che sovente i consiglieri comunali possano avvertire l’esigenza di conoscere approfonditamente pregresse vicende gestionali: tanto si verifica, ad esempio, qualora le fattispecie relative ad affari già definiti siano tuttavia ancora in grado di spiegare i loro effetti sul presente o allorquando la loro conoscenza si riveli semplicemente utile alla più lata estrinsecazione del generale diritto d’iniziativa dei consiglieri comunali o, ancora, alla formulazione, da parte di costoro, di eventuali interrogazioni od altre istanze di sindacato ispettivo. È, del resto, dirimente il rilievo che l’obbligo di una pubblica amministrazione di permettere l’accesso agli atti permane per tutto il tempo durante il quale essa continui a possedere i documenti richiesti”. Cons. Stato, Ad. Plenaria, sentenza 5 settembre 2005, n. 5. “L’interesse del consigliere ad ottenere determinate informazioni o copia di specifici atti detenuti dall’amministrazione non si presta ad alcuno scrutinio di merito degli uffici, in quanto ha la medesima latitudine dei compiti di indirizzo e controllo riservato al consiglio, al cui svolgimento è funzionale. Sul consigliere non grava un onere di motivazione né gli uffici hanno titolo a richiederla, anche se si tratta di procedimenti conclusi o risalenti nel tempo in quanto – 5 ► 3) L’istanza ostensiva può, inoltre, attenere ad altre informazioni o notizie che, ancorché non direttamente connesse alle competenze del consiglio comunale o provinciale, siano comunque pertinenti all’esercizio del munus in tutte le sue potenzialità. -----------------------------------------------Quindi---------------------------------------------------- a) è legittimo l’accesso a tutti gli atti afferenti all’attività dell’ente locale di appartenenza (fra cui, il registro del protocollo generale del comune). TAR Lombardia, Milano, sez. I, sentenza 26 maggio 2004, n. 1762. “E’ illegittimo il diniego di accesso al registro di protocollo generale del comune richiesto dal consigliere comunale, considerato che gli atti afferenti all’attività del comune, compreso il registro di protocollo generale, sono sicuramente ricompresi tra le notizie e le informazioni utili all’espletamento del mandato dei consiglieri comunali dell’ente medesimo, in quanto inerenti la funzione pubblica esercitata dall’ente locale”. TAR Sardegna, sez. II, sentenza 30 novembre 2004, n. 1782. “Non può essere negato il diritto di accesso dei consiglieri comunali al protocollo riservato del sindaco, adducendo esigenze di riservatezza, considerato che la speciale normativa che detta il diritto di accesso dei consiglieri comunali non prevede alcun limite in proposito, fermo restando il dovere di mantenere il segreto <nei casi specificamente determinati dalla legge>”. TAR Lombardia, Brescia, sentenza 1° marzo 2004, n. 163. “Sotto il profilo organizzativo, l’accesso al protocollo comunale non deve creare intralcio all’attività degli uffici e pertanto l’amministrazione può prevedere delle limitazioni, nell’orario e nella facoltà di ottenere assistenza del personale addetto, che devono essere proporzionate alle esigenze di servizio”. TAR Emilia Romagna, Parma, sentenza 26 gennaio 2006, n. 28. “Il protocollo è riconducibile alla categoria dei documenti suscettibili di accesso e,in mancanza di specifiche indicazioni circa il periodo di riferimento del documento oggetto della richiesta di ostensione, l’istanza di accesso è evidentemente da intendersi come relativa ad un arco temporale decorrente dalla data di presentazione dell’istanza medesima e a valere per il futuro”. ---------------------------------------------- ---------------------------------------------------- b) possono formare oggetto di istanza ostensiva atti o informazioni relativi a soggetti privati (dunque, terzi ed estranei rispetto all’ente locale), ancorché di natura riservata, purché pertinenti all’esercizio del mandato e fatto salvo l’obbligo di segreto cui è tenuto il consigliere. Cons. Stato, sez. V, sentenza 21 febbraio 1994, n. 119 “il diritto di accesso del consigliere comunale non riguarda soltanto le competenze amministrative del Consiglio comunale ma, essendo riferito all’espletamento del mandato, investe l’esercizio del munus di cui egli è investito in tutte le sue potenziali implicazioni al fine di una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’Amministrazione comunale”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 20 ottobre 2005, n. 5879. “Il diritto di avere dall'ente tutte le informazioni che siano utili all'espletamento del mandato non incontra alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, in quanto il consigliere è vincolato all'osservanza del segreto (Cons. Stato, V Sez. 20.2.2000 n. 940 e Consiglio di Stato, Sezione V, 4 maggio 2004, n. 2716)”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893. “Con riguardo alla posizione specifica dei consiglieri comunali, occorre chiarire la portata della espressione normativa “essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge” (articolo 43, comma 2 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267). La norma, per la sua collocazione sistematica e per il suo significato letterale, intende ribadire la regola secondo cui, lecitamente acquisite e le informazioni e le notizie utili all’espletamento del mandato, il consigliere, di regola, è autorizzato a divulgarle. Un divieto di comunicazione a terzi deve derivare da apposita disposizione normativa. In tale prospettiva si spiega, coerentemente, il rapporto tra la disciplina sulla protezione dei dati personali e la pretesa all’accesso del consigliere comunale. Questi è legittimato ad acquisire le notizie ed i documenti concernenti dati personali, anche sensibili, poiché, di norma, tale attività costituisce“trattamento” autorizzato da specifica disposizione legislativa (legge n. 675/1996; decreto legislativo n. 135/1999), secondo le regole integrative fissate dalle determinazioni ed autorizzazioni generali del Garante e dagli atti organizzativi delle singole amministrazioni. Ma il consigliere comunale non può comunicare a terzi i dati personali (in particolare quelli sensibili) se non ricorrono le condizioni indicate dalla normativa in materia di tutela della riservatezza. Questi principi sono alla base della decisione n. 940/2000 della Sezione, la quale ammette l’accesso del consigliere comunale anche nei casi in cui esso incide sulla riservatezza dei terzi, senza affrontare la diversa questione dell’accesso ai documenti coperti dal segreto, per la tutela di diversi interessi”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 settembre 2005, n. 4471. (Il caso: un consigliere comunale aveva chiesto al Responsabile del Servizio Lavori Pubblici ed Assetto del Territorio di un Comune pugliese gli atti ed i documenti di un procedimento definito in una passata consiliatura e relativo ad un progetto di cofinanziamento per il restauro conservativo e recupero funzionale di un palazzo storico. In particolare, oltre a richiedere copia di carteggi intercorsi tra pubblici ufficiali (Sindaco e commissario giudiziale), il (consigliere) chiedeva altresì copia di una lettera – dal contenuto ignoto - spedita da certo geometra, titolare dell’omonima impresa in concordato preventivo, già proprietario del palazzo storico de quo). “Al riguardo, giova aggiungere in fatto che l’appellato non si limitò a pretendere copia di atti pubblici (delibere, verbali, ecc.), ma domandò altresì di accedere a talune missive (…). L’argomentare dal Comune muove dal rilievo, assolutamente pacifico, che ai controinteressati all’accesso debba riconoscersi una legittimazione passiva, sia procedimentale sia processuale, ogniqualvolta l’actio ad exhibendum intrapresa concerna documenti meritevoli di rimanere riservati (e, nel novero, di tali atti rientra sicuramente la corrispondenza privata, beneinteresse finanche protetto a livello costituzionale; art. 15 Cost.). Sennonché il Collegio dissente dall’impostazione dogmatica sulla quale poggia tale ricostruzione; in particolare, il postulato teorico che va recisamente ripudiato è l’equazione tra il “diritto all’informazione” del consigliere comunale ed il diritto di accesso disciplinato dalla L. n. 241/1990. In realtà, il primo – pur talora estrinsecandosi nelle tipiche facoltà della visione e dell’estrazione di copia di documenti – 6 differisce dal secondo per finalità ed oggetto. (…) alla fattispecie normativa delineata dall’art. 43 del D.P.R. n. 267/2000 non sono applicabili le regole procedimentali (e tanto meno i limiti contenutistici) dettate per l’accesso previsto dalla L. n. 241/1990. A fronte di tale diritto soggettivo pubblico recede, pertanto, ogni altro interesse, ivi inclusa la riservatezza di eventuali controinteressati, sopravvivendo soltanto l’impenetrabilità di taluni “segreti reali” rispetto ai quali la segretezza connessa alla qualifica rivestita dal consigliere comunale (alla quale si riferisce l’ultimo periodo dell’art. 43, comma 2, T.U.E.L.) non costituisca un’idonea garanzia di non divulgazione della relativa informazione. Non vi è chi non veda, infatti, come l’ipotetica tutela dell’interesse partecipativo di ideali controinteressati al diritto all’informazione del consigliere comunale finirebbe per confliggere, frustrandola, con la stessa ratio primaria della norma in esame”. diritto di accesso del consigliere comunale, da esercitarsi riguardo ai dati effettivamente utili per l’esercizio del mandato e ai fini di questo, deve essere coordinato con altre norme vigenti, come quelle che tutelano il segreto delle indagini penali o la segretezza della corrispondenza e delle comunicazioni, nonché rispettando il dovere di segreto “nei casi espressamente determinati dalla legge”, e “i divieti di divulgazione dei dati personali (si pensi ad esempio all’art. 23, comma 4, della legge n. 675 del 1996, che vieta, salvo casi specifici, la diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute)”. Secondo la normativa dunque al consigliere comunale spetta una “ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione ratione officii” (C. di S. Sez. V, 8 settembre 1994, n. 976), rispetto alla quale non gli sono opponibili profili di riservatezza a condizione che i documenti e le informazioni richiesti siano pertinenti all’esercizio del mandato (non essendo altrimenti utili per il suo espletamento), e che egli se ne avvalga a tale fine, e fermi restando gli obblighi di tutela del segreto e i divieti di divulgazione di dati personali stabiliti dalla normativa. Per documenti e informazioni pertinenti all’esercizio del mandato si devono intendere quelli idonei a chiarire la correttezza ed efficacia dell’attività dell’Amministrazione, anche riguardo alla sua coerenza con l’indirizzo politico amministrativo approvato, e perciò i documenti recanti notizie e dati sull’andamento dell’attività amministrativa che l’Amministrazione abbia formato o comunque debba detenere. Rientrano fra questi, in primo luogo e di conseguenza, quelli relativi a posizioni e fatti riguardanti rapporti attivati dall’Amministrazione con altri soggetti per lo svolgimento della sua attività. Nel caso in esame le informazioni e documenti richiesti, salvi i tabulati telefonici indicati sub g), sono tutti qualificabili come pertinenti e disponibili dall’Amministrazione comunale, né riguardano, peraltro, fattispecie riferibili agli obblighi e divieti sopra richiamati. Le notizie richieste concernono infatti soltanto dati sul contenuto e le modalità dell’attività amministrativa comunale, quale esplicata nei rapporti con soggetti da essa non dipendenti (come è per i documenti sub a) -relativi agli aiuti post terremoto- e sub d) ed e), ovvero con propri dipendenti in relazione esclusivamente ad aspetti del rispettivo rapporto di servizio (come è anche per la documentazione su singoli dipendenti, inclusa quella di una “scheda personale” sui congedi e malattie, in cui non si richiede, comunque, la specificazione di queste ultime). Non possono invece essere richiesti all’Amministrazione i tabulati telefonici poiché, prescindendo in questa sede da ogni altro profilo, si tratta in ogni caso di documenti non formati né detenuti dall’Amministrazione. Nella fattispecie, dunque, l’appellante ha richiesto, salvi quelli sub g, documenti a cui ha titolo ad accedere e per i quali non si pongono profili di riservatezza di dati personali dei soggetti interessati”. Cons. Stato, sez. V, sentenza 26 settembre 2000, n. 5109 (Il caso: un consigliere comunale e capogruppo di minoranza aveva richiesto all’ente locale di appartenenza (un Comune delle Marche), fra le altre cose, taluni documenti attinenti ai rapporti dell’amministrazione comunale con soggetti da essa non dipendenti (segnatamente: gli atti notori per benefici di autonoma sistemazione formulati da privati per avvalersi degli aiuti post-terremoto; il verbale d’accertamento di trasferimento di residenza di un cittadino in particolare; i tabulati telefonici degli ultimi cinque anni), taluni atti dell’amministrazione (segnatamente: copia del nuovo piano regolatore) e, infine, taluni documenti relativi al personale dipendente (segnatamente: i tabulati delle presenze del personale che ha effettuato lavoro; ammontare degli importi liquidati a ciascun dipendente per ogni periodo; i tabulati delle presenze giornaliere ed ordini di servizio emessi dagli amministratori al personale negli ultimi cinque anni). Il Sindaco aveva negato l’accesso sulla scorta di diverse motivazioni, fra le quali anche quella della natura riservata dei dati richiesti in ordine a soggetti estranei all’amministrazione). “(Dalla normativa viene assicurata) ai consiglieri comunali la possibilità di prendere visione dei provvedimenti adottati dall’ente e degli atti preparatori in essi richiamati nonché di avere dall’ente tutte le informazioni che siano utili all’espletamento del mandato, senza alcuna limitazione derivante dalla loro natura riservata, dal momento che essi pure sono vincolati all’osservanza del segreto nei casi specificati dalla legge. Tale facoltà va ora integrata con le disposizioni sul diritto di accesso recate dal capo quinto della legge n. 241/1990, in cui è prevista espressamente la possibilità di ottenere copia dei documenti” (Sez. V, 20 febbraio 2000, n. 940; cfr. anche Sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2045). Su tale normativa si è anche pronunciato il Garante per la protezione dei dati personali (il 20 maggio 1998) affermando, in particolare, che (…) tale generale --------------------------------------------------------------------------------------------------- c) possono formare oggetto di accesso anche i pareri legali richiesti dall’Amministrazione comunale, purché, tuttavia, si tratti non di scritti defensionali relativi ad un giudizio in atto o potenziale, ma di mere consulenze legali inserite nell’ambito dell’istruttoria del procedimento amministrativo (cd. pareri a natura endoprocedimentale). Cons. Stato, sez. V, sentenza 2 aprile 2001, n. 1893. (Il caso: L’appellante, ricorrente in primo grado, era consigliere comunale di minoranza in un comune piemontese. In tale qualità, aveva chiesto di conoscere la documentazione relativa al contenzioso tra l’amministrazione comunale ed una s.r.l., riguardante la costruzione del Palazzo del Ghiaccio e dell’annesso centro sportivo polivalente. In particolare, veniva richiesta “copia del provvedimento con il quale venivano segretati gli atti pervenuti dall’Avvocatura dello Stato”. Il Sindaco aveva differito l’accesso, in base alla motivazione che i documenti richiesti erano collegati ad una controversia giudiziaria in atto. Trattandosi, nel caso de quo, di scritti defensionali, il Consiglio di Stato ha escluso il diritto d’accesso). “(In linea generale e con riferimento al diritto d’accesso di cui alla L. 241/1990), la giurisprudenza ha codificato il principio, valevole per tutti gli avvocati, siano essi del libero foro o appartenenti ad uffici legali di enti pubblici, secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’accesso gli scritti defensionali (Cons. Stato, IV, 27 agosto 1998, n. 1137). Detta pronuncia ha escluso che il diritto di accesso dell’interessato possa estendersi ai documenti formati dall’Avvocatura generale dello Stato ed indirizzati alla SACEgestione assicurativa del commercio estero, sottolineando la loro concreta connessione con una lite in corso. (…) Al riguardo è peraltro necessaria una puntualizzazione. L’amministrazione può ricorrere alle consulenze legali esterne in diverse forme ed in diversi momenti dell’attività amministrativa di sua competenza. Le differenze tra i vari contesti si riflette anche sulla disciplina dell’accesso ai documenti: 1. Può verificarsi, in primo luogo, l’ipotesi in cui il ricorso alla consulenza legale esterna si inserisce nell’ambito di un’apposita istruttoria procedimentale. In tale eventualità, il parere è richiesto al professionista con l’espressa indicazione della sua funzione endoprocedimentale ed è poi richiamato nella motivazione dell’atto finale. Ne deriva che, in detta eventualità, la consulenza legale, pur traendo origine da un rapporto privatistico, normalmente caratterizzato dalla riservatezza della relazione tra professionista e cliente, è soggetto all’accesso, 7 perché oggettivamente correlato ad un procedimento amministrativo. 2. Una seconda ipotesi è invece quella in cui, dopo l’avvio di un procedimento contenzioso (giudiziario, arbitrale, od anche meramente amministrativo), oppure dopo l’inizio di tipiche attività precontenziose, quali la richiesta di conciliazione obbligatoria che precede il giudizio in materia di raporto di lavoro, l’amministrazione si rivolga ad un professionista di fiducia, al fine di definire la propria strategia difensiva (accoglimento della pretesa, resistenza in giudizio, adozione di eventuali provvedimenti di autotutela, ecc.). In detta eventualità, il parere del legale non è affatto destinato a sfociare in una determinazione amministrativa finale, ma mira a fornire all’ente pubblico tutti gli elementi tecnico–giuridici utili per tutelare i propri interessi. Ne deriva che, in questo caso, le consulenze legali restano caratterizzate dalla nota di riservatezza, che mira a tutelare non solo l’opera intellettuale del legale, ma anche la stessa posizione dell’amministrazione, la quale, esercitando il proprio diritto di difesa, protetto costituzionalmente, deve poter fruire di una tutela non inferiore a quella di qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento. 3. Si può profilare, ancora, un terzo gruppo di ipotesi, nelle quali la richiesta della consulenza legale interviene in una fase intermedia, successiva alla definizione del rapporto amministrativo all’esito del procedimento, ma precedente l’instaurazione di un giudizio o l’avvio dell’eventuale procedimento precontenzioso. Anche in casi di questo genere, il ricorso alla consulenza legale persegue lo scopo di consentire all’amministrazione di articolare le proprie strategie difensive, in ordine ad un lite che, pur non essendo ancora in atto, può considerarsi quanto meno potenziale. Ciò avviene, in particolare, quando il soggetto interessato chiede all’amministrazione l’adempimento di una obbligazione, o quando, in linea più generale, la parte interessata domanda all’amministrazione l’adozione di comportamenti materiali, giuridici o provvedimentali, intesi a porre rimedio ad una situazione che si assume illegittima od illecita. Con riguardo alla fattispecie in esame, il collegio osserva che la pendenza della lite rende palese l’esigenza di garantire il segreto, proprio perché il parere dell’Avvocatura pare rivolto a delineare la condotta processuale più conveniente per l’amministrazione, anche nella prospettiva eventuale di una transazione (ipotizzata negli atti depositati in giudizio). (…) Va precisato, poi, che la prevalenza del segreto professionale si manifesta con pienezza anche in relazione alle amministrazioni locali e nei riguardi delle richieste formulate dai consiglieri comunali (…) Non è plausibile, invece, la tesi secondo cui il consigliere comunale, in tale veste, potrebbe accedere a tutti i documenti, anche segreti, dell’amministrazione, assumendo solo l’obbligo di non divulgare le relative notizie. In tal modo, l’accesso ai documenti del consigliere comunale, ritenuto prevalente anche sul segreto professionale, assumerebbe una portata oggettiva più ampia di quella riconosciuta ai cittadini ed ai titolari di posizioni giuridiche differenziate (pure comprensive di situazioni protette a livello costituzionale). Il mandato politico-amministrativo affidato al consigliere esprime certamente il principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività, ma, nell’attuale contesto normativo, non può autorizzare un privilegio così marcato, a scapito degli altri soggetti interessati alla conoscenza dei documenti amministrativi e con sacrificio degli interessi tutelati dalla normativa sul segreto.(…) Non si può trascurare, poi, che, nella presente vicenda, la salvaguardia del segreto si connette anche alla specifica disciplina prevista dal regolamento dell’Avvocatura generale dello Stato, in materia di accesso. La richiesta del consigliere, incidendo su documenti formati da un’amministrazione diversa da quella locale di appartenenza, incontra i limiti previsti dalla disciplina fissata in tale ambito. Ciò chiarito, nella presente fattispecie il differimento dell’accesso riguarda il solo parere espresso dall’Avvocatura generale dello Stato in relazione ad una lite ancora non definita, ed alle possibilità di una soluzione di carattere transattivo. Pertanto, si tratta, di una determinazione conforme all’assetto normativo che tutela il segreto professionale, anche nei riguardi delle pretese all’accesso formulate dai consiglieri comunali”. TAR Toscana, sez. II, sentenza 6 aprile 2007, n. 622 “In primo luogo, ai sensi dell’art. 43 Testo Unico Enti locali n.267/2000 il consigliere comunale ha diritto ad ottenere dagli uffici del proprio comune “tutte le notizie e le informazioni utili all’espletamento del mandato” e tra questi la giurisprudenza ha espressamente contemplato anche “pareri legali richiesti dall’Amministrazione comunale onde prenderne conoscenza e poter intervenire a riguardo” (vedi C.d.S. 4.5.2004 n. 2716) nell’esercizio delle prerogative di verifica politica e gestionale dell’attività dell’organo giuntale e dell’apparato amministrativo in genere, tipica espressione del mandato elettorale. In secondo luogo va, altresì, disatteso l’assunto del Comune nella misura in cui esclude che il parere abbia natura endoprocedimentale e che la delibera giuntale che lo ha recepito sia stata assunta nell’esercizio di poteri amministrativi: invero al riguardo la natura endoprocedimentale del parere deriva dal fatto stesso che la Giunta comunale lo richiama espressamente nelle premesse poste alla delibera con cui ha deciso di sporgere denuncia alla Procura della Repubblica (…). Né risulta pertinente il richiamo fatto dall’amministrazione comunale al principio secondo cui, essendo il segreto professionale specificamente tutelato dall’ordinamento, sono sottratti all’eccesso gli scritti “lato sensu difensionali” (ai sensi del D.P.C.M. 26.1.1996 n. 200, art. 2): infatti nel caso di specie – come sopra detto - si tratta di un parere le cui conclusioni hanno costituito il presupposto della deliberazione di sporgere querela per diffamazione, adottata all’unanimità dalla Giunta comunale e, quindi, non è configurabile la diversa ipotesi del parere legale reso (in relazione a lite in potenza) nell’ambito di rapporto fiduciario e riservato intercorrente tra difensore ed assistito e non reso – invece – pubblico (sia pure nelle sole conclusione) attraverso la confluenza del medesimo in un procedimento amministrativo della cui determinazione conclusiva costituisce il supporto istruttorio tecnico (vedi in termini T.A.R. Sicilia, Catania, sez. 1, 11.2.2006 n. 11 nonché C.d.S. 15.4.2004 n. 2163 e 13.10.2003 n. 6200). Infine (a confutazione di quanto asserito dal Comune resistente negli atti difensivi) va ribadita la particolare posizione dei consiglieri comunali (come è il ricorrente) cui l’ordinamento – come già sopra detto – riconosce il diritto di ottenere dagli uffici comunali tutte “le notizie e le informazioni utili all’espletamento del loro mandato” (vedi T.U. n. 267/2000): in conseguenza il consigliere comunale in questione ha titolo ad acquisire la documentazione relativa alla citata delibera giuntale n. 14/2006 al fine di poter esercitare le prerogative (di valutazione dell’attività dell’organo esecutivo di vertice) connesse all’esercizio del mandato elettorale”. Non conforme alla tesi giurisprudenziale maggioritaria: TAR Lombadia, Milano, sez. I, sentenza 12 gennaio 2010, n. 17. (Il caso: il consigliere comunale di minoranza di un Comune lombardo chiedeva, vedendoselo tuttavia negato, l'accesso alla documentazione relativa ad un ricorso per decreto ingiuntivo presentato nei confronti una società privata e poi ritirato dalla stessa Amministrazione comunale ricorrente. In particolare, l’istanza estensiva aveva ad oggetto: a) il ricorso presentato al Tribunale civile; b) la richiesta da parte del giudice incaricato di integrazione documentale ex art. 640 c.p.c.; c) il parere di un legale che avrebbe suggerito all'Amministrazione di ritirare la richiesta di decreto ingiuntivo). “(Si ritiene) che il primo (ricorso per decreto ingiuntivo) ed il secondo (richiesta del giudice di integrazione dei mezzi probatori) degli atti richiesti attengono ad un procedimento giurisdizionale da considerare estinto a seguito della rinuncia dell'Amministrazione e, pertanto non rientrano in quella categoria di atti ai quali l'accesso può essere negato anche al Consigliere comunale che ne faccia richiesta; il terzo atto, invece, rientra tra gli atti di consulenza che gli organi decidenti della Amministrazione acquisiscono al fine di meglio conformare la propria azione a criteri di legittimità e di opportunità e che pertanto non possono formare oggetto di accesso, senza violare il segreto professionale del legale e la stessa privacy dell'organo decidente che deve restare libero nell'acquisizione dei pareri che ritiene necessari alla formazione di una propria sua corretta volontà e nella loro conseguente valutazione”. --------------------------------------------------------------------------------------------------- 8 d) possono formare oggetto di accesso anche gli atti degli enti partecipati dall’ente locale di appartenenza. Comune; dalla partecipazione pubblica discende l'esercizio di attività certamente rientranti nella più generale attività dell'ente locale, che giustifica e legittima quindi la richiesta documentazione. In conclusione, risulta evidente, anche alla luce di recenti indici normativi, che le società partecipate pubbliche, siano esse strumentali agli enti partecipanti o concessionarie o affidatarie di servizi pubblici locali, restano assoggettate alle regole di buona amministrazione imparziale, secondo il principio di legalità, di cui all’art. 97 Cost. e al capo I della legge n. 241 del 1990. Finché questi strumenti societari impiegano soldi pubblici per lo svolgimento di funzioni pubbliche o per l’erogazione di servizi pubblici, non è consentito che il rivestimento formale privatistico possa consentire ad essi di sottrarsi alle regole di trasparenza e di controllabilità che indefettibilmente caratterizzano la funzione e il servizio pubblici. E così come è consentito al consigliere comunale di controllare l’operato dell’ente di appartenenza, così deve essergli consentito di controllare il modo in cui operano gli strumenti societari di cui l’ente di appartenenza intende avvalersi per il perseguimento (ancorché indiretto) di quelle stesse finalità pubblicistiche (di funzione o di servizio) appartenenti al suo ambito di competenza. TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza 28 gennaio 2010, n. 448. (Il caso: Cinque consiglieri comunali richiedevano ad una società consortile tra pubbliche amministrazioni l’accesso a “tutte le delibere approvate dal consiglio di amministrazione”, accesso negato dalla società richiesta, a motivo che la medesima costituiva “soggetto di diritto privato, comunque non astretto alle regole di cui alla Legge 241/90 in tema di accesso”). il vero thema decidendum della controversia non si individua tanto nella questione dell’applicabilità alla società consortile resistente del capo V della legge n. 241 del 1990, applicabilità esclusa nel diniego impugnato, che è questione in realtà pacifica ed espressamente risolta dagli articoli 22, comma 1, lettera e) e 23 della legge ora citata (onde la palese erroneità ed illegittimità al riguardo della impugnata nota negativa della società consortile prot. n. 10282 del 30 giugno 2009, che andrà annullata), quanto nella più seria questione di quali siano le peculiarità e i limiti dell’esercizio del sindacato ispettivo dei consiglieri comunali, riconosciuto come forma speciale di accesso ai documenti dell’ente locale di appartenenza dall’art. 43 del t.u.e.l. (di cui al d.lgs. n. 267 del 2000), e se tale potere di sindacato si possa estendere (e, se sì, in che misura) alle società partecipate dall’ente locale cui appartengono i consiglieri comunali che agiscono. Ciò premesso, e venendo al merito, il Collegio, uniformandosi alla prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 2004, n. 7900; Id., 5 settembre 2002, n. 4472), propende per la risposta affermativa. (…) La giurisprudenza richiamata ha esteso senz’altro agli atti degli enti partecipati il diritto di accesso dei consiglieri comunali previsto dal richiamato art. 43 del t.u.e.l., ricorrendo senz’altro l’eadem ratio e l’omogeneità di funzione dell’istituto. Se è vero, infatti, che i consiglieri comunali hanno diritto di accesso a tutti gli atti che possano essere d'utilità all'espletamento del loro mandato, ciò anche al fine dì permettere di valutare con piena cognizione di causa la correttezza e l'efficacia dell'operato dell'Amministrazione, nonché per esprimere un voto consapevole sulle questioni di competenza del Consiglio, e per promuovere, anche nell'ambito del Consiglio stesso, le iniziative che spettano ai singoli rappresentanti del corpo elettorale locale, è altrettanto vero che queste ragioni speciali che giustificano il sindacato dei consiglieri comunali sugli atti comunali devono valere parimenti anche allorquando le funzioni e i servizi comunali non sono svolti ed espletati direttamente dal Comune, ma per il tramite di appositi strumenti societari partecipati. Le disposizioni richiamate, infatti, – ha soggiunto la richiamata giurisprudenza – collegano l'accesso a tutto ciò che può essere effettivamente funzionale allo svolgimento dei compiti del singolo consigliere comunale e provinciale e alla sua partecipazione alla vita politico-amministrativa dell' ente (…). Nell’ambito di questo collegamento funzionale devono coerentemente essere incluse anche le delibere delle società strumentali (o concessionarie di servizi pubblici), partecipate dal Comune, che costituiscono uno strumento mediante il quale si svolgono i compiti pubblicistici e le competenze del Comune di appartenenza. L’estensione di tale potere di sindacato dei consiglieri comunali agli atti e ai documenti delle società totalitariamente o maggioritariamente partecipate dagli enti locali, operata dal Giudice amministrativo nelle richiamate pronunce, sulla base di una lettura sostanzialistica della normativa di riferimento, risulta inoltre coerente alla giurisprudenza amministrativa in materia di società miste, la cui costituzione per la gestione dei servizi pubblici locali – ha ricordato il Consiglio di Stato – “costituisce un modello organizzativo e gestionale sì alternativo a quello dell'azienda speciale, ma non per questo del tutto alieno a connotati e finalità sostanzialmente pubblici, perché, ai fini dell'identificazione di un soggetto pubblico, la forma societaria assume veste neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sé in contraddizione con il fine societario lucrativo - art. 2247 c.c. - (cfr. Cons. Stato, sez. V, 03/09/2001, n.4586; cfr.: <<Il modulo organizzativo della società mista per azioni ex art. 22 comma 3 lett. e), l. 8 giugno 1990 n. 142 (a prevalente capitale pubblico) delinea una forma di gestione diretta del servizio pubblico nel cui ambito non solo il rapporto tra pubblica amministrazione e società è di natura giuspubblicistica, ma soprattutto la società stessa diviene organo indiretto dell'ente, deputato allo svolgimento del servizio affidatole>> Cons. Stato, sez. V, 19/02/1998, n.192)”. La natura di società di capitale non preclude, pertanto, l'esercizio del diritto de quo, atteso che la proprietà della medesima è in parte imputabile al Cons. Stato, sez. V, sentenza 9 dicembre 2004, n. 7900. (Il caso: un consigliere comunale presentava ad una s.p.a. (ex azienda speciale di un Comune pugliese) preposta all’erogazione dei servizi pubblici di trasporto e di distribuzione di energia elettrica, un’istanza di accesso ai seguenti documenti: atto di acquisto del ramo d’azienda; atto di acquisto di un immobile. La s.p.a. richiesta negava l’accesso, comunicando che <trattandosi di documentazione inerente l’espletamento del mandato di Consigliere Comunale, ogni decisione in ordine all’istanza è di competenza del Comune>. Comunque, il Consiglio di Amministrazione della s.p.a., preso atto del diniego di accesso già espresso dal Presidente, ne condivideva le ragioni, sia per essere la società medesima una s.p.a. e non più una azienda speciale del Comune, sia per ragioni di tutela della concorrenza). “La peculiarità del caso sottoposto all’esame del Collegio attiene alla particolare natura del soggetto nei confronti del quale l’istanza ostensiva è diretta: si tratta, invero, di una società di capitali a partecipazione pubblica (comunale) totalitaria - nata dalla trasformazione dell’Azienda speciale del Comune - preposta all’erogazione dei servizi pubblici del trasporto urbano e dell’energia elettrica. Orbene, questa Sezione ha già avuto modo di chiarire che è legittima la richiesta di informazioni nei confronti di una società a prevalente capitale comunale, svolta da un consigliere comunale, con riferimento sia all'art. 24 l. 27 dicembre 1985 n. 816, che prevede che i consiglieri comunali, per l'effettivo esercizio delle loro funzioni, hanno diritto di prendere visione dei provvedimenti adottati dall'ente e degli atti preparatori in essi richiamati, sia all'art. 31 comma 5 l. 8 giugno 1990 n. 142, che stabilisce che gli stessi hanno diritto di ottenere dagli uffici comunali e dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie ed informazioni in loro possesso, utili all'espletamento del mandato (Cons. Stato, sez. V, 05/09/2002, n.4472). La lettura sostanzialistica racchiusa nella citata decisione, lettura condivisa dal Collegio, risulta coerente alla giurisprudenza di questo Consesso in materia di società miste la cui costituzione, per la gestione dei servizi pubblici locali, qualora si renda opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale di questi, costituisce un modello organizzativo e gestionale sì alternativo a quello dell'azienda speciale, ma non per questo del tutto alieno a connotati e finalità sostanzialmente pubblici, perchè, ai fini dell'identificazione di un soggetto pubblico, la forma societaria assume veste neutrale ed il perseguimento di uno scopo pubblico non è di per sè in contraddizione con il fine societario lucrativo - art. 2247 c.c. - (cfr. Cons. Stato, sez. V, 03/09/2001, n.4586; cfr.: <<Il modulo organizzativo della società mista per azioni ex art. 22 comma 3 lett. e), l. 8 giugno 1990 n. 142 (a prevalente capitale pubblico) delinea una forma di gestione diretta del servizio pubblico nel cui ambito non solo il rapporto tra pubblica amministrazione e società è di natura giuspubblicistica, ma soprattutto la società stessa diviene organo indiretto dell'ente, deputato allo svolgimento del servizio affidatole>> Cons. Stato, sez. V, 19/02/1998, n.192). La natura di società di capitale non preclude, pertanto, l’esercizio del diritto de quo, atteso che la proprietà della medesima è imputabile al Comune; dalla partecipazione pubblica discende l’esercizio di attività certamente rientranti nella più generale 9 attività dell’ente locale, che giustifica e legittima quindi la richiesta documentazione. (…) Si osserva, infine, in ordine ai gravissimi danni paventati dalla difesa della s.p.a. che per espressa previsione normativa (art. 43 del Testo unico enti locali) i consiglieri che esercitano il diritto di accesso sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge”. Contra TAR Toscana, sez. I, sentenza 7 giugno 2005, n. 2785. (Il caso: La ricorrente, nella sua qualità di consigliere di un Comune toscano nonché di presidente della commissione speciale di indagine su problemi delle Terme, si rivolgeva al presidente pro tempore del consiglio d’amministrazione di una S.p.A. avente ad oggetto sociale l’esercizio di tutte le attività di valorizzazione, sfruttamento e promozione delle acque termali del compendio di Montecatini. In particolare, il consigliere richiedeva l’accesso a specifici documenti inerenti l’assetto e l’attività gestionale della società medesima, società di cui il Comune in questione e la Regione Toscana erano appunto soci, ciascuno per il 50% delle quote azionarie). “Nel caso all’esame la richiesta di accesso formulata dalla ricorrente nella sua qualità di consigliere comunale non può trovare accoglimento per il fatto che la società partecipata non può considerarsi “ente dipendente”, ai sensi e per gli effetti della norma di cui al citatati art. 43, comma 2, del Dlgs. 267/2000. (…) E allora se l’accesso consentito al consigliere comunale dalla norma di che trattasi è diretto a rendere concreta la possibilità di conoscere documenti considerati utili all’espletamento del mandato, un siffatto “diritto” può essere fatto valere unicamente nei confronti di quegli organismi che rientrino integralmente nell’ambito istituzionale e amministrativo dell’Ente esponenziale in nome e per conto del quale il mandato rappresentativo viene esercitato. Opinare diversamente significherebbe attribuire al consigliere comunale un privilegio che la normativa in questione non ha inteso affatto recare, dovendo peraltro qui osservarsi del pari come una tale limitazione sussista nella specie anche per un Consigliere Regionale che, in ipotesi, volesse esercitare il diritto di accesso (stante, invero, la perfetta omogeneità delle posizioni qui emergenti).Va da se che le ragioni ostative sopra illustrate non hanno motivo di essere ove la ricorrente si munisca del previo, eventuale, assenso ad ottenere l’accesso ai documenti richiesti da parte della Regione Toscana. Conclusivamente, il diniego di accesso opposto al consigliere comunale si appalesa immune dai vizi di legittimità dedotti col proposto ricorso che, pertanto, va respinto”. (N.d.A.: si precisa che la sentenza de qua ha erroneamente non tenuto conto del testo degli artt. 22 e 23 della L. 241/1990. In particolare, l’art. 22, comma 1° lett. d) (come novellato dalle L. 15/2005 e L. 80/2005) chiarisce che deve intendersi, per documento amministrativo,“ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Per parte sua, l’art. 23 (che, con l’entrata in vigore delle l. 15/05 e 80/05, è rimasto immutato) specifica che “Il diritto di accesso di cui all’articolo 22 si esercita nei confronti delle pubbliche amministrazioni, delle aziende autonome e speciali, degli enti pubblici e dei gestori di servizi pubblici”. In altri termini, la richiamata e più attuale normativa, ulteriormente riconfermata dopo la novella ex L. 69/2009, prevede, già in capo al comune cittadino, la possibilità di accedere ad atti detenuti da enti a partecipazione pubblica. A maggior ragione, la predetta possibilità dovrà essere riconosciuta ed accordata a soggetti che, come i consiglieri comunali e provinciali, esercitano un munus publicum). Cons. Sato, sez. V, sentenza 5 settembre 2002, n. 4472. (Il caso: il consigliere di un Comune lombardo presentava istanza di accesso agli atti amministrativi nei confronti di una società partecipata, in maggioranza, dal Comune di appartenenza. In particolar modo, l’istanza era stata formulata sul presupposto che la società de qua aveva aumentato i costi di riferimento dei lavori svolti per il Comune. L’accesso veniva negato, ritenendo la società richiesta che: 1) la partecipazione azionaria comunale lasciava comunque immutata la natura di persona giuridica privata della S.p.A.; 2) i documenti di cui si esigeva l’ostensione erano documenti “riservati” attinenti alla gestione dei conti della S.p.A.; 3) l’esibizione dei predetti documenti era da intendersi indebita, in quanto avrebbe prodotto un’inammissibile attività di controllo non già sulla “spesa del Comune”, ma su conti interni di gestione privata della società o, meglio, sulla spesa privata di un soggetto del tutto autonomo che non era un’azienda comunale, anche se partecipata dal Comune). “La problematica sottoposta all’esame del Collegio (riguardante la legittimità della richiesta di informazioni nei confronti di una società a prevalente capitale comunale, svolta da un consigliere comunale e motivata dalla necessità di conoscere le ragioni degli aumenti dei costi relativi ai lavori svolti dalla medesima società) è già stata esaminata e positivamente (nel senso della legittimità della richiesta) risolta da questa Sezione (cfr. per tutte C.S. V n. 940/2000), con argomentazioni che devono essere condivise e ribadite. Invero, nella fattispecie, indipendentemente dal riferimento alla normativa generale di cui alla L. n.241/1990, trova applicazione la specifica normativa di cui (…) all’ art.43, comma 2, del D.Lgs 18 agosto 2000, n.267. Dal riportato complesso normativo si evince chiaramente come tali disposizioni – che vanno lette, interpretate ed applicate nel più generale contesto delle disposizioni sul diritto di accesso previste nel capo V della legge n.241/1990 –, consentano e in qualche modo favoriscano la legittimità dell’esercizio del diritto di accesso da parte dell’originario ricorrente attuale appellato, in quanto svolto nell’ambito dell’espletato suo mandato di Consigliere comunale e per finalità intrinseche allo svolgimento di tale mandato. Né sussistono le censure e le problematiche concernenti pretese violazioni del diritto alla riservatezza, e quelle relative alla dichiarata natura privatistica della Società Concossola, in quanto da un lato i limiti propri dell’esercizio del diritto specifico di accesso e le modalità della sua fruizione stabiliti dalla richiamata normativa garantiscono ex se sulla necessarietà del rispetto esterno delle informazioni medesime che possono legittimamente essere conosciute solo nell’ambito e per le finalità previste dalla legge e quindi senza alcun pericolo-danno per la riservatezza dei dati e informazioni “private”; e dall’altro perché la natura di società di capitale non preclude l’esercizio del diritto, atteso che la proprietà della medesima è per quota maggioritaria imputabile al Comune, partecipazione da cui discende l’esercizio di attività certamente rientranti nella più generale attività del Comune, che giustifica e legittima quindi la richiesta documentazione”. 10