D. Verducci, De Persona - Università di Macerata

1
DANIELA VERDUCCI
Università di Macerata
De Persona
La nozione di «status personae» o della soggettività in senso legale è da tempo in uso in
ambito giuridico. Lo status personae, che è esteso a tutti gli esseri umani, affianca il più ristretto
status civitatis (o di cittadinanza) nella Declaration des droits de l’homme et du citoyen del 26
agosto 1789 e concorre, da allora, alla identificazione, in tutti gli ordinamenti giuridici e in tutte le
costituzioni occidentali, di due classi distinte di diritti fondamentali: i diritti della personalità, che
spettano a tutti gli esseri umani in quanto tali, cioè in quanto persone, e i diritti della cittadinanza,
che spettano ai soli cittadini. L’art. 7 del Code civil napoleonico, p. es., recepiva tale duplicità,
proclamando come indipendente dalla qualità di cittadino, l’esercizio dei diritti civili ovvero le
libertà personali di parola, di pensiero e di fede, il diritto di possedere cose in proprietà e di stipulare
contratti validi e il diritto di ottenere giustizia1.
Oggi, però, nell’epoca della globalizzazione inarrestabile e del globalismo giuridico, quella
che era
distinzione feconda tra persona e cittadino si è fatta divaricazione stridente, poichè
mutamenti epocali, flussi migratori, dinamiche multiculturali e tensioni multietniche
stanno
mettendo decisamente in discussione i tradizionali nessi tra cittadinanza e status personae2. La
distinzione stessa tra diritti del cittadino e diritti della persona è talora avvertita come ostacolo
normativo alla realizzazione del principio di uguaglianza giuridica3, sancito già da
quell'«universalismo dei diritti» fatto valere, a proposito delle popolazioni indie, sottomesse dagli
spagnoli, da Francisco de Vitoria, nelle Relectiones de Indis recenter inventis, tenute all'Università
di Salamanca tra il 1538 e il 1539 e pubblicate per la prima volta nel 1557 a Lione 4. Per questo, si
coglie ora qualche tentativo di elaborare teorie della cittadinanza che, interpretando quest’ultima
come lo status cui sono associati tutti i diritti, la rendono insieme nome onnicomprensivo e comune
presupposto dell’intero sistema dei diritti civili, politici e sociali5. Resta, tuttavia, che la relazione
d’eguaglianza così stabilita, tra le sunnominate classi di diritti e il concetto di «cittadinanza»,
continua ad apparire giuridicamente arbitraria, dato che non tutti quei diritti presuppongono la
cittadinanza quale unico status che adeguatamente li riassume6.
D’altro canto, la vicenda giusnaturalistica, entro la quale ha avuto luogo il moderno
riconoscimento dello status personae, non discende, a differenza del diritto naturale antico e
medioevale, né da presupposti metafisico-teologici né dal riferimento ontologico alla natura umana
in quanto tale. Essa prese avvio direttamente dal terreno socio-politico della rivendicazione, di
fronte al monarca assoluto, dei diritti di cui si supponeva che l’uomo godesse nello «stato di natura»
2
e che, in quanto precedenti il diritto positivo, erano ritenuti in grado di legittimare tanto la nuova
idea contrattualistica di fondazione della società quanto l’altrettanto inedita «tecnica della libertà»
del costituzionalismo, ordinatore del corpo socio-politico. Ugo Grozio formulò, infatti, la dottrina
laica del diritto naturale, concependolo non solo come chiaro ed evidente in sé e persistente anche
in guerra, ma addirittura come valido «etsi Deus non daretur»7, ovvero sulla base della sola forza
del consenso razionale intersoggettivo8. In tale impostazione «volontaristica» dei principi e delle
strutture di convivenza civile9, in cui si «deconfessionalizzava»10 la legge naturale medioevale, si
espresse con successo la responsabilità autoconservativa delle monarchie nazionali europee,
conseguendo risultati di grande efficacia sia sul versante del controllo delle forze distruttrici,
scatenatesi dalla frammentazione dell’unità ecclesiale-imperiale medioevale sia su quello della
regolazione dei rapporti tra stati sovrani con il diritto internazionale11.
Ma quel guadagno giuridico del XVII secolo, volto a pacificare la comunità europea, appare
ormai del tutto inadeguato ad affrontare con successo le problematiche bioetiche, insorgenti ai
nostri giorni: le attuali biotecnologie mediche ci consentono, infatti, di operare su individui della
specie umana nella fase embrionale e pre-embrionale, cioè prima che abbiano conseguito quello
status personae, per il quale gli ordinamenti vigenti, eredi delle conquiste della modernità, sono
attrezzati a prevedere regolamentazione e tutela. E’ per questo che la questione bioetica, di sapere
quando un individuo della specie umana diventa persona, si è fatta pressante ed extragiuridica: essa
si imposta ormai addirittura al di sotto del livello della definizione etimologica di persona che,
nella misura in cui fa riferimento alla maschera dell’attore, la intende solo come «il segno distintivo
di un ruolo o di una parte da sostenere nel contesto drammaturgico» e perciò la coglie come fattore
di «nascondimento del volto»12 piuttosto che di manifestazione del suo vero essere.
L’ esigenza, che così si afferma, di riguardare la persona per quello che è in sé e per il senso
che ontologicamente le appartiene, indipendentemente dalla sua fase di sviluppo e prima di essere
calata nel contesto dei diritti, sospinge a rivolgersi a intenzionalità conoscitive di pertinenza della
filosofia, disciplina che, pur se talvolta considerata obsoleta, è ora richiamata in gioco proprio da
quegli stessi saperi scientifico-tecnici che l’avevano messa da parte, presumendo di poterne fare a
meno. Sono stati, infatti, gli sviluppi delle tecnologie, biomediche e biogenetiche, a porre gli
scienziati e gli operatori sanitari di fronte a scelte, per le quali l’inadeguatezza delle idee tradizionali
ha richiesto più aggiornate teorizzazioni e addirittura orizzonti concettuali radicalmente rinnovati.
Ma la biologia, com’è noto, non si arrischia sulle impervie alture concettuali delle domande di
senso, né lo fanno i medici, i giuristi o i sociologi. Allora tutti si rivolgono all’etica 13, ritenendo che
le nuove flessioni di essa, quali il proceduralismo14, il decisionismo15, l’utilitarismo16, l’etica della
situazione17, l’emotivismo18 possano consentire di operare scelte umane in materia di vita umana.
3
Regole etiche semplici e immediatamente applicabili seguivano, del resto, i comitati etici dei
grandi centri ospedalieri statunitensi, nel decennio 1970-1980, quando l’urgenza e la pressione degli
interessi in gioco li spingeva a decidere caso per caso, evitando ogni riflessione di principio 19. Al di
là del giustificabile pragmatismo pratico, che lascia però insoddisfatta la domanda circa lo statuto
epistemologico della bioetica, esponendo quest’ultima al rischio di «un decisionismo frammentato e
incontrollato nel risolvere i singoli problemi» e all’odiosa prassi di distribuire «giudizi di liceità e
illiceità di singoli comportamenti, separati da una loro motivazione di significato»20, resta che, per
decidere umanamente sull’umano21, anche gli «stranieri morali» di Engelhardt
22
debbono sapere
che cosa l’umano sia in quanto tale: è qui che l’etica si rivolge alla metafisica, perché, applicandosi
nell’indagine ontologica, dica dell’umanità del vivente umano a chi vuole riconoscerlo, anche nelle
sue apparenze più enigmatiche.
Molti sono i filosofi che, nel XX sec., hanno auspicato una riscossa dell’umano veicolata
dalla filosofia (Heidegger, Jaspers, Arendt, Levinas, Ricoeur, Marcuse). Solo alcuni si sono, però,
dedicati a sviluppare una teoria dell’umano, comprensiva anche della sua dimensione biologica.
Pensatori contemporanei, come A. Naess, si sono orientati, al contrario,
a sostituire
all’antropocentrismo, il biocentrismo, in cui la vita in generale, e non quella degli uomini, è messa
al centro e rivendicata nel suo valore intrinseco23. Hans Jonas si è cimentato con il tema della vita
umana tra biologia e filosofia e ne ha tratto utili lineamenti etici. Egli, nel noto testo Il principio
responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica24, prende le mosse da una constatazione cruciale:
per la prima volta nella storia dell’umanità dobbiamo mettere in conto l’ipotesi dell’annientamento
di ogni forma vivente, compresa quella umana. Di fronte a questo terribile scenario un’etica della
reciprocità, come quella kantiana tradizionale, si mostra inadeguata. Essa prevede, infatti, la
reciprocità tra coloro che compongono la società umana, dove al dovere dell’uno corrisponde il
diritto dell’altro e viceversa. Noi sappiamo, però, che le nostre azioni ricadono oggi su una sfera di
viventi molto più ampia di quella costituita dalla presente comunità umana. Il sistematico esproprio
delle risorse naturali, da noi praticato, ha provocato e provoca, infatti, un degrado ambientale che
mette a repentaglio la sopravvivenza non solo degli uomini, ma anche di tutti quegli esseri viventi,
con i quali non possiamo istituire relazioni di reciprocità. Animali e vegetali non possono reclamare
diritti e neppure le nostre generazioni future sono in grado di avanzare pretese o richieste nei nostri
confronti. Dunque, la nostra qualità morale è sfidata a giocarsi ora in modo inedito, perché la regola
della reciprocità si è manifestata inadeguata e cadremmo nell’immoralità se ci limitassimo ad essa.
L’uomo è chiamato piuttosto ad assumere un’etica della responsabilità, per la quale accetta di
rispondere moralmente delle proprie scelte anche nei confronti di chi non può far valere le sue
richieste. Egli deve farlo, non perché sia superiore agli altri esseri viventi o alle generazioni future,
4
dato che «ogni essere vivente è fine a se stesso e non ha bisogno di una giustificazione ulteriore»25,
ma per il fatto di «poter essere soltanto lui responsabile anche per loro, ossia per la salvaguardia del
loro essere fini a se stessi»26.
In Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Jonas eleva la prudenza a
primo precetto della bioetica, dal momento che con la manipolazione genetica «è nientemeno la
natura dell’uomo a ricadere nella sfera di potere degli interventi umani»27: e ciò non solo perché
l’uomo su cui si opera può essere trattato come una cosa, ma anche e soprattutto, osserviamo noi,
perché rischia di subire la reificazione l’uomo che così si comporta nei confronti dell’altro uomo,
nella misura in cui, appiattendosi sull’automatismo razionale scientifico-tecnologico, atrofizza
quelle facoltà di discernimento valutante, essenzialmente umane, che gli permettono di riconoscere
il suo simile, anche quando la sua parvenza umana è sfigurata, come nel decerebrato, o contratta,
come nell’embrione. Quanto più si tratta di soggetti deboli e sottoposti al nostro controllo (p. es. gli
embrioni o gli ammalati in stato comatoso) tanto più è necessità morale per noi più forti, tutelarli,
proteggerli e perciò non usarli, neppure per superiori fini sociali. E’ questo il cosiddetto «criterio
della scala discendente»28, antiutilitaristico e anticontrattualistico, che Jonas propone di applicare
per scegliere umanamente sull’umano. Egli consiglia, inoltre, per individuare i principi di un’etica
del futuro, di servirsi di un’«euristica della paura»29, nella quale la previsione negativa riscuote più
credito di quella positiva, ed anche dell’argomento del «piano inclinato»30, per il quale si presta
attenzione al fatto che l’accettazione di determinate scelte finirà alla lunga con il giustificare altre
scelte che inizialmente non si volevano ammettere. A un simile orizzonte può essere ascritto il
cosiddetto «principio di precauzione», che ha ispirato numerose dichiarazioni di organismi
internazionali, intenzionate a salvaguardare contro potenziali rischi, che non sono o non sono
ancora chiaramente individuabili, e a giustificare, perciò, moratorie nell’ammettere la pratica di
tecnologie biogenetiche o biomediche.
Tutte queste riflessioni di Jonas certamente toccano la nostra sensibilità morale e offrono
nuovi e più adeguati strumenti culturali per affrontare le recenti sfide biotecnologiche. Le si
potrebbe tuttavia ridurre ad appelli alla buona volontà, nella misura in cui non esibiscono
documentazioni ontologiche, p. es. della eguale natura e dignità del vivente umano attuale e del
vivente umano futuro o embrionale, mentre dichiarano esplicitamente di muovere da una
condizione di paura e non di ricerca e deliberazione razionalmente lucida.
Per svolgere la problematica filosofica sulla vita, nel suo livello fondazionale, dobbiamo
rivolgerci a pensatori metafisici, che coltivano una concezione, insieme unitaria e dinamica,
dell’essere come vita, ponendosi, in campo antropologico, al di là del dualismo cartesiano che a una
res cogitans libera e spontanea oppone una res extensa determinata e meccanica31.
5
E’ questa l’attitudine che Max Scheler manifesta nell’affrontare la questione della vita: egli
fa tesoro del dato filogenetico evoluzionistico, che vuole la specie umana inserita, come succedanea
delle scimmie antropoidi, nel più generale flusso di sviluppo dell’unica vita32 e perciò senza
difficoltà può mostrare il sorgere, nell’esperienza individuale, della dimensione spirituale da quella
vitale precedente. Ciò accade p. es. quando proviamo stupore o meraviglia davanti a qualcosa.
Compiendo questo atto, noi sospendiamo il corso della curiosità istintiva, che appartiene alla grande
famiglia delle pulsioni di potere e che nelle scimmie antropoidi è suscitata da tutto quanto esuli
dalla routine. Su di essa innestiamo il desiderio-di-sapere, il quale, essendo rivolto al già noto e
procedendo, dunque, in senso opposto al flusso istintivo-vitale, si rivela come una deviazione
riflessiva dalla vita, che testimonia, a suo principio, un fattore diverso da essa, che chiamiamo
spirito33. La stessa evidenza si fa strada negli atti d’amore, nei quali a sfociare in un dinamismo
autonomo, originale e immediato, che è capacità di uscire dai propri limiti per dedicarsi all’altro, è
la stessa energia pulsionale-tendenziale che è comune a tutti gli esseri viventi34.
Le descrizioni fenomenologiche di Scheler, attestanti nel vissuto umano il sorgere dello
spirito dalla vita, possono ben corroborare l’osservazione biologica, che documenta come, anche
prima della formazione del sistema nervoso centrale (6a-8a settimana di sviluppo), l’embrione
mostri la qualità di organismo umano: la sua autonoma evoluzione vitale tende, infatti,
immancabilmente a sviluppare gli organi, che gli consentiranno di esercitare le funzioni della
persona umana e, in tale tensione alla maturazione delle condizioni di possibilità di espressione
della dimensione spirituale-personale, l’unità morfo-funzionale è assicurata dalla vita stessa,
attraverso l’integrazione e coordinazione dei processi metabolici intracellulari e le relazioni
intercellulari, operate dalla attuazione programmata del genoma dell’embrione stesso 35. Insieme a
Tertulliano, dunque, anche noi possiamo dire, con ragioni filosofiche e biologiche adeguate al
nostro tempo: «E’ già uomo colui che lo sarà»36.
Ancora più incisiva è in questo senso la fenomenologia della vita di Anna-Teresa
Tymieniecka, che autonomamente si dirama dallo stesso piano della neurobiologia dei viventi,
investigata a partire dal 1973 dai due neurofisiologi cileni Humberto R. Maturana e Francisco J.
Varela, con la nuova chiave ermeneutica dell’autopoiesi del vivente, procedimento unitario cui può
essere ricondotta, quanto alla sua genesi e al suo sviluppo, l’intera organizzazione di ogni singolo
vivente37. Anche nella riflessione di Anna-Teresa Tymieniecka, il primo dato è costituito
dall’intreccio di coscienza e vita, esibito dal vissuto del «conscio-corporeo» (das Leiblichbewusste)38, che esperiamo ogni volta che avvertiamo la successione, l’intreccio e la motivazione
dei processi psichici in generale. In tali nostre esperienze, la coscienza compare de-assolutizzata, in
quanto immancabilmente preceduta e sostenuta dalla vita e in intima e costitutiva relazione con
6
essa. Questo confermano le ricerche di psichiatria fenomenologica sulla destrutturazione del campo
di coscienza e sugli stati onirico-confusionali; questo attestano anche le tipiche formazioni della
fantasia collettiva, espressione della spontaneità vitale formante del sistema conscio 39. Il corpo
umano risulta, così, completamente trasfigurato: da mero sistema degli organi della percezione
sensibile, punto «0» della genesi coscienziale,
esso assume infatti la funzione essenziale di
«disposizione primitiva del conscio» (Uranlage des Bewussten) e, addirittura, di originario
promotore del vivere conscio, nella misura in cui, sostenendolo nel suo graduale dispiegamento, lo
abilita a raggiungere la maturità della coscienza e a svolgere quel ruolo individualizzante e
liberamente creativo, che a quest’ultima compete40.
L’essere umano cosciente appare ora pienamente coinvolto nel tumulto del processo
generativo della vita, poiché è dal procedere autopoietico del flusso vitale naturale, come genesi
evolutiva di forme sempre più complesse e individualizzate, che la fase, in cui la condizione umana
si configura, viene raggiunta41. E’, poi, solo a partire dall’instaurarsi, nello sviluppo autopoietico
della vita, di tale condizione umana, che una nuova corrente vitale si innesta sulla vita naturale,
corredandola di potenzialità inedite, quali il poter sapere e decidere di sé 42. La condizione umana
vivente, infatti, porta con sé virtualità creative originali che, a seguito dell’attività immaginativa e
simbolica, trasfigurano conoscitivamente l’intera realtà43 e permettono all’uomo di rapportaglisi
non deterministicamente ma in modo innovativo o ontopoietico44. Un
tale «creare secondo
l’essere» o ontopoiesi non va limitato, pertanto, a quanto si sviluppa durante la vita post-natale, né
si deve più ritenere che l’essere umano operi soltanto quale «agente-che-dà-significato» (meaningbestowing agent) e produce il suo mondo-della-vita. L’uomo comincia prima a «creare secondo
l’essere», fin dal suo primo formarsi biologico, perché, come si esprime la Tymieniecka, «la sua
autentica vita è in se stessa l’effetto della sua autoindividualizzazione-nell’esistenza tramite
l’autointerpretazione-inventiva che appartiene alla sua più intima movenza vitale» (his very life in
itself is the effect of his self-individualization in existence through inventive self- interpretation of
his most intimate moves of life)45.
A proposito dello statuto personale dell’individuo umano vivente, dunque, le ragioni
filosofiche convergono con quelle della biologia contemporanea, che mostra lo sviluppo embrionale
e fetale umano come un processo fisiologico coordinato, continuo e graduale che, a partire dalla
fecondazione, non conosce arresti o discontinuità, se non a seguito di eventuali deviazioni
patologiche o processi degenerativi. In questo senso, conclude anche R. Spaemann, al termine della
sua ampia disamina della differenza tra «qualcosa» e «qualcuno»: «Può e deve aversi un unico
criterio per la personalità: l’appartenenza biologica al genere umano…L’essere della persona è la
vita di un uomo»46.
7
Parole antiche tornano, in questo caso, appropriate all’attualità. E, infatti, Giovanni Paolo II ha
potuto osservare che «nella biologia della generazione è iscritta la genealogia della persona»47, così
come San Tommaso, secondo le categorie filosofiche e scientifiche del suo tempo, oggi superate
nella loro ripetizione letterale, ma non nel loro senso essenziale, aveva affermato che «l’anima
intellettiva viene creata da Dio a coronamento della generazione»48.
1
L. Ferrajoli, Cittadinanza e diritti fondamentali, in «Teoria politica», 3, 1993, pp. 63-76; Id. , Dai diritti del cittadino
ai diritti della persona, in D. Zolo (a cura di), La cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti, Roma-Bari, Laterza,
1994, pp. 263-292.
2
Cfr.: R. Dworkin, Taking rights seriously, London, Duckworth, 1977; trad. it. di F. Oriana, I diritti presi sul serio,
Bologna, il Mulino, 1982. N. Bobbio, La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in: M. Bovero (a cura di),
Teoria generale della politica, Torino, Einaudi, 1990, pp. 443-45. S. Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari, Laterza,
2002.
3
L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, in: E. Vitale (a cura di), Diritti fondamentali. Un dibattito
teorico, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 5.
4
Per le opere di Vitoria si può fare riferimento all'edizione curata da T. Urdánoz, Obras de Francisco de Vitoria.
Relecciones teológicas, La editorial catolica, Madrid 1960. La Relectio de Indis di Vitoria si può leggere anche nella
traduzione italiana di A. Lamacchia, La questione degli Indios, Roma-Bari, Laterza, 1996. Di recente è stata inoltre
pubblicata da C. Galli con traduzione italiana la Relectio de iure belli, Roma-Bari, Laterza, 2005.
5
Nel senso di tale appiattimento dei diritti sui soli diritti di cittadinanza, va l’elaborazione teorica di T. H. Marshall,
Citizenship and Social Class, Pluto Press, London 1992; trad. it. a cura di P. Maranini Cittadinanza e classe sociale,
UTET, Torino, 1976, p. 9.
6
L. Ferrajoli, Dai diritti del cittadino ai diritti della persona, cit., p. 265.
7
Cfr.: U. Grozio, De jure belli ac pacis libri tres in quibus ius naturae et gentium item iuris publici praecipua
explicantur (1625), curavit B. J. A. De Kanter-Van Hettinga Tromp, Scientia, Aalen, 1993 (Rist. fotomeccanica dell'ed.
Brill, Leiden, 1939), Prol. § 11; tr. it parziale di G. Fassò, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace, Napoli,
Morano, 1979.
8
Così si esprime G. Giorgini, curatore della voce «Giusnaturalismo» in: L. Ornaghi (a cura di), Politica: vocabolario,
Milano, Jaca Book, 1996. Cfr. inoltre: A. Barbera (a cura di), Le basi filosofiche del costituzionalismo. Lineamenti di
filosofia del diritto costituzionale, Roma-Bari, Laterza, 2004.
9
A proposito della collocazione del giusnaturalismo nell’ottica del volontarismo propone interessanti osservazioni: G.
Torresetti, Crisi e rinascita del diritto naturale in Leibniz. La razionalità del diritto, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 133205.
10
Cfr.: J. Rohls, Geschichte der Ethik, Tübingen, Mohr, 1991; tr. it. di P. Kobau, Storia dell’etica, Bologna, il Mulino,
1991, p. 235.
11
Ibid., pp. 11-12.
12
Così afferma V. Melchiorre in Essere e parola. Idee per un’antropologia metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 1982,
pp. 50-51. In nota, all’etimologia latina e greca, egli aggiunge anche il riferimento all’etrusco «phersu» e ai testi
tradizionali sull’argomento, da A. Trendelenburg, Zur Geschichte des Wortes «Person», «Kant-Studien», 13, 4, 1908 a
H. Rheinfelder, Das Wort «Person», Halle-Tübingen, M. Niemeyer, 1928, a M. Nédoncelle, Remarques sur
l’expression de la persone en grec et en latin, in: Exploration personnalistes, Paris, Aubier-Montaigne, 1970 (ibid., nota
26 di p. 51).
13
Stephen Toulmin in un brillante saggio del 1982, How Medicine saved the life of ethics, in: «Perspectives in Biology
and Medicine», 25, 1982, pp. 736-750, ha osservato che è stata la biologia a resuscitare l’etica, strappando gli studiosi
di etica razionale dagli accademici dibattiti metaetici e costringendoli a cimentare le loro teorie con gli interrogativi
morali connessi alla sperimentazione e alla prassi medica.
14
Gli autori di riferimento in proposito sono comunemente J. Rawls e J. Habermas, dei quali segnaliamo le seguenti
opere: J. Rawls, A Theory of Justice, Oxford, Oxford U. P., 1971; tr. it. a cura i S. Maffettone, Una teoria della
giustizia, Milano, Feltrinelli, 1982; Id., Political liberalism, New York, Columbia U. P., 1996; tr. it. di G. Rigamonti,
Liberalismo Politico, Milano, Edizioni di Comunità, 1999. J. Habermas, Erlauterungen zur Diskursethik, Frankfurt a.
M., Suhrkamp, 1991; tr. it. di V. Tota, Teoria della morale, Roma-Bari, Laterza 1994; Id., Faktizität und Geltung.
Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaats, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1992; tr. it. di
L. Ceppa, Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Milano, Guerini e Associati,
1996. In Italia, possiamo citare U. Scarpelli, Etica senza verità, Bologna 1982; Id., La bioetica. Alla ricerca dei
principi, in: «Biblioteca della libertà», XXII, 1987, pp. 7-32. Il filosofo Scarpelli, scomparso qualche anno fa,
rappresenta il punto di riferimento riconosciuto della cosiddetta bioetica laica italiana, la quale, negando che ci sia una
8
verità sul bene della vita, basa l’etica sulla ricerca intersoggettiva di un accordo (proceduralismo o utilitarismo) o
sull’arbitrio di una scelta ultimamente non razionalizzabile (emotivismo o decisionismo). Così L. Melina, Riconoscere
la vita. Problematiche epistemologiche della bioetica, in: A. Scola (a cura di), Quale vita? La bioetica in questione,
Milano, Mondadori, 1998, p. 81 e nota 17 di p. 360. Anche dall’ambito economico-manageriale, tuttavia, si è levato
recentemente l’auspicio per uno stop al proceduralismo e un ritorno alla valutazione soggettiva e al ragionamento. Cfr.:
S. Blyth, Età della ragione o età della procedura, in «Risk Italia», 4, novembre 2004, pp. 43-44. Stephen Blyth è
«managing director» e responsabile londinese di Deutsche Bank in «European Arbitrage Trading».
15
Il decisionismo si esplicita, nella teoria politica, con Carl Schmitt, di cui menzioniamo: Der Begriff des Politischen,
Berlin, Duncker & Humblot, 1991; tr. it. a cura di G. Miglio e P. Schiera, Le categorie del politico. Saggi di teoria
politica, Bologna, il Mulino, 1972; Id., Die Tyrannei der Wert. Überlegung eines Juristen zur Wert-Philosophie,
Stuttgart, W. Kohlhammer, 1960; tr. it. a cura di G. Accade, La tirannia dei valori, Roma, Pellicani, 1987; Id.,
Verfassungslehre, Berlin, Duncker & Humblot, 1954; tr. it. a cura di A. Caracciolo, Dottrina della Costituzione,
Milano, Giuffrè, 1984. Inoltre: H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswisseshaftliche Problematik,
Wien, F. Deuticke, 1934; tr. it. di R. Treves, Lineamenti di dottrina pura del diritto, Torino, Einaudi, 1986.
16
Da J. Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation del 1781, (ed. by J. H. Burns and H. L.
A. Hart, in: «The collected works of Jeremy Bentham», Oxford, Clarendon Press, 1996), attraverso John Stuart Mill,
Utilitarianism, liberty, representative government del 1863 (London-New York, Dent-Duton, 1971; tr. it. a cura di P.
Beraldi, Utilitarismo, Bari, Editoriale Universitaria, 1974) e H. Sidgwick, Methods of Ethics (London, Macmillan &
Co., 1962; tr. it. a cura di M. Mori, I metodi dell’etica, Milano, Il Saggiatore, 1995), l’utilitarismo etico ci raggiunge
oggi con P. Singer: Practical Ethics, Cambridge, Cambridge University Press, 1979; tr. i. di G. Ferranti, Etica pratica,
Napoli, Liguori, 1989; Id., How Are We to Live? Ethics in an Age of Self-interest, Melbourne,Text Publishing, 1993;
Id., Rethinking life and death: the collapse of our traditional ethics, New York, St. Martin’s Press, 1994; tr. it. di S.
Rini, Ripensare la vita, Milano, Il Saggiatore, 2000; Id., Writings on an Ethical Life, New York, Ecco, 2000; tr. it., La
vita come si dovrebbe, Milano, Il Saggiatore, 2001. Si prospettano anche scenari di superamento dell’utilitarismo: cfr.,
A. Sen -B. Williams, Utilitarianism and beyond, Cambridge, Cambridge University Press, 1982; tr. it. a cura di S. Veca,
Utilitarismo e oltre, Milano, Il Saggiatore, 1990.
17
J. F. Fletcher, Situation Ethics. The New Morality, Philadelphia, Westminster Press, 1966; tr. it. di M. Vittorio, Etica
della situazione. La nuova morale, Catania, C.U.E.C.M, 2004.
18
Padre riconosciuto dell’emotivismo è C. L. Stevenson con The Emotive Meaning of Ethical Terms, «Mind», XVI,
1937, pp. 14-31. Inoltre: Id., Ethics and language, New Haven, Yale University Press, 1953; tr. it. di S. Ceccato, Etica
e linguaggio, Milano, Longanesi, 1962.
19
Questo atteggiamento è documentato dalla cosiddetta bioetica clinica di A. R. Jonsen, Clinical ethics: a practical
approach to ethical decisions in clinical medicine, New York, McGraw-Hill, 1992; tr. it. a cura di A. Spagnolo, Etica
clinica. Un approccio pratico alle decisioni etiche in medicina clinica, Milano, McGraw-Hill, 2003. Jonsen si era già
dedicato ad esplorare l’antica pratica della casistica, apprezzando anche la tradizione casistica della morale cattolica in:
A. R. Jonsen and S. Toulmin, The abuse of casuistry: a history of moral reasoning, Berkley, University of California
Press, 1988.
20
Cfr.: L. Melina, Riconoscere la vita…, cit., p. 77.
21
Già secondo Aristotele chi ignora ciò che fa, agisce involontariamente, cioè in modo non pienamente umano, essendo
«il volontario…quello il cui principio sta in colui stesso che agisce, conoscendo le circostanze particolari in cui si attua
l’azione», Etica Nicomachea, tr. it. di C. Mazzarelli, Milano, Rusconi, 1993 (Collana Testo a Fronte), III, 1111a 15-20,
pp. 114-115. Anche per Tommaso D’Aquino, «si dice atto umano non qualsiasi atto compiuto dall’uomo o nell’uomo,
perché in alcuni atti gli uomini operano come le piante e i bruti, bensì un atto proprio dell’uomo» (Quaestiones
disputatae, De virtutibus, q. 1, a. 4. Textum Taurini 1953 editum ac automato translatum a Roberto Busa SJ in taenias
magneticas denuo recognovit Enrique Alarcón atque instruxit), tale, cioè, che, snodandosi attraverso le tre fasi della
deliberazione, del consiglio e della scelta o elezione, comporti la collaborazione dell’intelletto e della volontà (Summa
Theologiae I-II, qq. 6-21. Textum Leoninum Romae 1891 editum ac automato translatum a Roberto Busa SJ in taenias
magneticas denuo recognovit Enrique Alarcón atque instruxit).
22
Cfr.: H. Tristram Engelhardt jr., The foundations of bioethics, New York, Oxford University Press, 1986 ; tr. it. di S.
Rini, Manuale di bioetica, Milano, il Saggiatore, 1999, pp. 39-40. La posizione di Engelhardt è quella di una secular
bioethics, puramente procedurale: essa prevede l’accordo tra le parti come unica via per risolvere le controversie
morali, in quanto queste sorgono a partire da ethos contrastanti e inconciliabili (ibid., p. 97 e ss.), e stabilisce il primato
del principio del permesso su quello della beneficenza (ibid., p. 143).
23
Cfr.: A. Naess, Il movimento ecologico: ecologia superficiale ed ecologia profonda. Una sintesi, (1973), tr. it. in: M.
Tallacchini (a cura di), Etiche della terra. Antologia di filosofie dell’ambiente, Milano, Vita e Pensiero, 1998; Id.,
Ecology, community and lifestyle: outline of an ecosophy, (english trans. by D. Rothenberg; tit. orig.: Okology, samfunn
og livsstill), Cambridge, Cambridge University Press, 1989; tr. it. di E. Recchia, Ecosofia. Ecologia, società, stili di
vita, 1976, Red, Como 1996.
9
24
H. Jonas, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation, Frankfurt a. M.,
Suhrkamp, 1984; tr. it. a cura di P.P. Portinaro, Il principio responsabilità. Un’etica per la società tecnologica, Torino,
Einaudi, 1990.
25
Ibid., p. 57.
26
Ibid., p. 124.
27
H. Jonas, Technik, Medizin und Ethik: zur Praxis des Prinzips Verantwortung, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1987; tr.
it. a cura di P. Becchi, Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità, Einaudi 1997, p. 122
28
Ibid., p. 101.
29
H. Jonas, Dem bösen Ende näher : Gespräche über das Verhältnis des Menschen zur Natur, Frankfurt a. M.,
Suhrkamp, 1993; tr. it. di A. Patrucco Becchi, Sull’orlo dell’abisso. Conversazioni sul rapporto tra uomo e natura,
Torino, Einaudi, 2000, p. 8.
30
H. Jonas, Tecnica, medicina ed etica, cit., p. 153.
31 31
Cfr.: R. Descartes, Discours e la méthode et Essais, in: Oeuvres de Descartes, (11 voll.), a cura di Ch. Adam e P.
Tannery, Paris, Cerf, 1897-1913, t. VI; ed. it. a cura di E. Garin, Discorso sul metodo, in Opere filosofiche, Roma-Bari,
Laterza, 1994, pp. 60-61: «Dopo, esaminando con attenzione ciò che ero, vidi che potevo supporre di non avere nessun
corpo e che non esistesse mondo né nessun luogo dove io fossi, ma che non potevo per questo supporre di non esistere;
al contrario, per il fatto stesso che pensavo di dubitare della verità delle altre cose, ne seguiva con estrema evidenza e
certezza che io esistevo, mentre se solo avessi cessato di pensare anche se tutto il resto che avevo immaginato fosse
stato vero, non avrei avuto alcun motivo per credere di essere esistito; da ciò inferii che ero una sostanza la cui essenza
o natura non è altro che pensiero, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo né di dipendere da nessuna cosa
materiale».
32
M. Scheler, Die Stellung des Menschen im Kosmos, in: Gesammelte Werke (d’ora in avanti: GW), hrsg. v. M. Scheler
e M. Frings, Bern-München, Francke, 1975, IX, «Späte Schriften»; tr. it. di R. Padellaro, La posizione dell’uomo nel
cosmo, in: M. T. Pansera (a cura di), La posizione dell’uomo nel cosmo, Armando, Roma 1997, pp. 169-170. Inoltre:
Id., Die Formen des Wissens und die Bildung, in GW IX, cit.; tr. it. di A. Trotta, Le forme del sapere e la Bildung, in:
A. Kaiser (a cura di), La Bildung ebraico-tedesca del Novecento, Milano, Bompiani 1999, pp. 184-185.
33
M. Scheler, Probleme einer Soziologie des Wissens, in GW VIII, «Die Wissensformen und die Gesellschaft», 1960;
tr. it. di D. Antiseri, Sociologia del sapere, Roma, Abete, 1976, p. 127. Id., Erkenntnis und Arbeit, in GW VIII, cit.; tr.
it. di L. Allodi, Conoscenza e lavoro, Milano, Angeli, 1997, pp. 112-113.
34
M. Scheler, Wesen und Formen der Sympathie, GW VII, 1973; tr. it. di L. Pusci, Essenza e forme della simpatia,
Roma, Città Nuova, 1980, pp. 234, 239, 244. Inoltre: Id., Conoscenza e lavoro, cit., p. 108.
35
Così il prof. A. Bompiani, in occasione della XII Assemblea Generale della Pontificia Accademia della Vita, Città del
Vaticano, 27-28 febbraio 2006: « Queste proprietà [continuità, gradualità e coordinazione dello sviluppo embrionale]–
all’inizio quasi trascurate nel dibattito bioetico – vengono sempre più considerate importanti in epoca recente, a motivo
delle progressive acquisizioni che la ricerca in vitro offre sulla dinamica dello sviluppo embrionale anche nelle fasi
morulari che precedono la formazione della blastocisti. L’insieme di queste tendenze costituisce la base per interpretare
lo zigote già come un "organismo" primordiale (organismo monocellulare) che esprime coerentemente le sue
potenzialità di sviluppo attraverso una continua integrazione dapprima fra i vari componenti interni e poi fra le cellule
cui dà progressivamente luogo. L’integrazione è sia morfologica che biochimica. Le ricerche in corso già da qualche
anno non fanno che apportare sempre ulteriori "prove" di queste realtà». Cfr. anche: Ph. Caspar, Pour un principe
d’individuation des êtres vivants, in: «Revue des questions scientifiques», 155, 1984, p. 425 ; Id., L’individuation des
êtres : Aristote, Leibniz et l’immunologie contemporaine, Paris/Namur, Lethielleux, 1985 ; G. R. Burgio, L’io biologico.
Dalle difese immunitarie alla consapevolezza della individualità, in: «Rivista Italiana di Pediatria», 14, 1988, pp. 255261. P. Parisi, Discussion on biological and genetic identity: personal identity and the case of identical twins, in:
«Human Reproduction» 4, 1989, pp. 103 e ss.. S. F. Gilbert, Developmental Biology, Sunderland MA, Sinauer
Associates Publishers 1991, p. 19; tr. it. di A. M. Casali, Biologia dello sviluppo, Bologna, Zanichelli, 2005. M.
Johnson, Delayed hominization. Reflections on some recent catholics claims for delayed hominization, in: «Theological
Studies», 56, 1995, pp. 743-763. J. Porter, Individuality, personal identity and the moral status of the pre-embryo: a
response to Mark Johnson, in: «Theological Studies», cit., p. 765.
36
Q. S. F. Tertulliano, Apologetico, (con testo latino a fronte), tr. e note di A. Resta Barrile, Bologna, Zanichelli, 1980,
IX, 8.
37
Cfr.: H. R. Maturana - F. Varela, Autopoiesis and cognition. The realization of the living, Dordrecht, Reidel, 1980; tr.
it. di A. Stragapede, Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Venezia, Marsilio 1985. In tale volume,
pubblicato in lingua inglese, è confluito il contributo: Autopóiesis: la organización de lo vivo, scritto da Varela nel 1970
e apparso insieme all’articolo di H. R. Maturana, La neurofisiología del entiendimiento, sotto il titolo: De máquinas y
seres vivos. Una teoría de la organización biológica, Santjago, Editorial Universitaria, 1973.
38
A.-T. Tymieniecka, Die Phänomenologische Selbstbesinnung, in «Analecta Husserliana», 1, 1971, pp. 2-3.
39
Id., Tractatus brevis. First principles of the methaphysics of life charting in the human condition: man’s creative act
and the origins of rationalities, in «Analecta Husserliana», 21, 1986, p. 3.
40
Id., Die Phänomenologische Selbstbesinnung, cit., p. 9.
10
41
Id., Tractatus brevis, cit., p. 10.
Ibid., p. 11.
43
Id., Logos and Life: Creative Experience and the Critique of Reason, Book 1, «Analecta Husserliana», XXIV, 1988,
pp. 25-26.
44
M. Kronegger and A.-T Tymieniecka (eds), Life. The Human Quest for an Ideal, in: « Analecta Husserliana», XLIX,
1996, p. 15.
45
A.-T Tymieniecka, Creative Experience and the Critique of Reason, cit., p. 5.
46
R. Spaemann, Personen. Versucheüber den Unterschied zwischen „etwas“ und „jemand“, Stuttgart, J. G. Cotta’sche
Buchhandlung, 1996; tr. it. di L. Allodi, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Roma-Bari, Laterza
2005, p. 241.
47
Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, § 43, lettera enciclica (25.03.1995).
48
S. Thomae Aquinatis, Summa Theologiae, I, q. 118, a. 2, ad 2; tr. it. a cura dei Domenicani italiani, La Somma
teologica, (35 voll.), Bologna, ESD, 1985, vol. 7.
42
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