Sala Verdi del Conservatorio Martedì 20 dicembre 2005, ore 19.30 S TA G I O N E 2 0 0 5 • 2 0 0 6 Freiburger Barockorchester Clare College Choir Cambridge René Jacobs direttore 7 Consiglieri di turno Prof. Alberto Conti Avv. Marco Janni Sponsor istituzionali Con il patrocinio e il sostegno di Con il sostegno di FONDAZIONE CARIPLO Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di: • spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici; • limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...); • non lasciare la sala prima del congedo dell’artista. Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite. Freiburger Barockorchester Clare College Choir, Cambridge René Jacobs direttore Kerstin Avemo soprano Lawrence Zazzo controtenore Patricia Bardon mezzosoprano Kobie van Rensburg tenore David Pittsinger basso George Frideric Handel (Halle 1685 – Londra 1759) The Messiah HWV 56 Prima parte Seconda parte Intervallo Terza parte Si ringrazia per il sostegno particolare a questo concerto George Frideric Handel The Messiah HWV 56 Sappiamo che i grandi capolavori d’arte sfidano il tempo e di regola ne condizionano l’evoluzione. Tendiamo però a sottovalutare il processo inverso, cioè i cambiamenti che il trascorrere del tempo induce in quei capolavori. Che possono essere solo di percezione legata al mutare dei gusti e delle conoscenze, nel caso di oggetti fisicamente definiti, come una statua, un dipinto, un testo. Che possono diventare addirittura strutturali, quando si richiede la rappresentazione, ovvero l’intervento umano. Si pensi alle riletture dei grandi classici del teatro, con registi e attori che cambiano tempi, luoghi, ritmi, parole. Ancor più quando si passa alla musica, non solo all’opera lirica, ma anche all’orchestra, alle formazioni da camera, ai solisti (pianoforte, fortepiano, clavicembalo, clavicordo: cosa va bene, oggi, per Beethoven, Mozart, Bach?). Qui il fattore umano, ossia l’interprete, si misura in ogni attimo con il tempo presente in cui lui agisce e con il tempo passato in cui l’opera d’arte è stata composta, cioè ideata e fissata su carta. La quale carta, la partitura, è per definizione ambigua, appunto interpretabile. Infatti la trasposizione, la trascrizione da uno strumento all’altro, da una voce all’altra fa parte del genoma stesso della musica, fin dai tempi più remoti, oggi più che mai. Con buona pace di chi crede nelle interpretazioni autentiche della musica passata, alla maniera notarile. La divagazione è suggerita dal tema di questa stagione (Il tempo) e dalla storia di quello straordinario capolavoro che è il Messia di Georg Friedrich Händel (dato il contesto, usiamo in queste note la versione inglese del nome, non quella originale tedesca di Georg Friedrich Händel, e nemmeno quella successiva e italiana di Giorgio Federico Hendel). Abbiamo infatti un caso perfetto di rapporto interattivo che si evolve in maniera tanto turbinosa da far perdere completamente le coordinate iniziali, che pensavamo fossero la ragione d’essere dell’opera d’arte in sé. Ora, di sicuro, sappiamo solo che l’autore non aveva alcuna idea della fama sempiterna che questo suo oratorio gli avrebbe dato. Lo compose velocemente, come suo solito, in sole tre settimane: iniziato il 22 agosto, il 14 settembre 1741 era completo in tutte le sue parti, pronto per essere messo in valigia e trasportato a Dublino. Lord William Cavendish, duca del Devonshire e ambasciatore d’Inghilterra in Irlanda, aveva infatti invitato Handel a fargli visita e a portare con sé un nuovo oratorio da eseguire in pubblico per fini caritatevoli. Spinto dalla circostanza, il compositore prese finalmente in considerazione un libretto che da mesi insisteva a proporgli il letterato (e straricco gentiluomo di campagna) Charles Jennens, già suo collaboratore per i testi degli oratori Saul (1738), Israele in Egitto (1738), L’Allegro, il Pensieroso ed il Moderato (1741). Il nuovo libretto era dedicato alla figura di Gesù, articolato però non nella tradizionale forma narrativa ma come libera sequenza di passi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento che nella prima parte annunciano l’arrivo del Redentore, nella seconda ne descrivono la nascita, passione, resurrezione e ascensione, nella terza illuminano la vita ultraterrena che attende i mortali. Una scorsa veloce alla partitura conferma la sensazione di fretta che l’anagrafe del lavoro suggerisce. Rispetto ai precedenti otto oratori composti a Londra a partire dal 1718, alla Passione amburghese del 1718, alle due giovanili esperienze romane del 1707-1708, non si notano innovazioni strutturali. Resta fisso il modello di oratorio-passione elaborato nel Seicento dall’italiano Giacomo Carissimi e importato in Germania da Heinrich Schütz. Cioè una successione ordinata di arie solistiche e di cori polifonici nella quale si narrano e commentano vicende di Santi e Profeti della Chiesa, con particolare attenzione alla vita del Redentore. In verità, negli oratori inglesi precedenti (e successivi) Handel è più interessato a raccontare le gesta di personaggi biblici intesi come eroi di questa terra piuttosto che come anime pie e testimoni del mondo che verrà. Vede cioè l’oratorio come alternativa più economica (dunque finanziariamente meno rischiosa) rispetto all’opera lirica, che nel passato lo aveva portato alla bancarotta non come autore ma come impresario alle prese con i costi delle rappresentazioni e con le bizze dei cantanti. Il nuovo oratorio appare anzi come il più spartano di tutti, a partire dalla strumentazione, che inizialmente prevedeva solo due parti di violini, una di viole e qualche raro intervento di tromba, oltre al solito basso continuo. Handel sapeva che a Dublino poteva contare su risorse vocali e strumentali molto limitate. Per guadagnare tempo prezioso, non disdegnò di riciclare materiale tematico ripreso da lavori precedenti, non tanto dall’ormai lontano periodo italiano e tedesco, quanto da contemporanee composizioni vocali sacre e profane. Non mancano gli inserimenti di temi altrui o comunque appartenenti alla tradizione oratoriale. Troviamo perfino una piva di zampognari, ricordo di lontani Natali romani. Quello che in partenza era nato come veloce opera di collazione destinata a soddisfare le modeste esigenze di una comunità periferica, alla prova dei fatti si rivelò un organismo musicale perfetto. Con il titolo originale Messiah, la prima esecuzione, il 13 aprile 1742 alla Neale’s Music Hall di Dublino con sette solisti di canto e coro formato da sedici ragazzi e sedici adulti, ebbe successo immediato. A posteriori, si capisce bene il perché. L’argomento non poteva essere più efficace, e magica era stata l’abilità di Jennens nello scegliere in ogni momento le parole giuste. La velocità della stesura della musica si rivelò un formidabile elemento unificante e conferì superiore coerenza alla lunga sequenza di recitativi, arie e cori. Infine, se alla suprema eleganza di tutte le arie e alla varietà della scrittura corale, si aggiungono alcune perle che hanno la rara forza di entrare subito nella memoria per non uscirne mai più, il quadro sarà completo. Il successo dublinese si estese alle riprese subito organizzate dopo il ritorno a Londra, dove Handel, pragmatico come sempre, ritoccò più volte la partitura, non solo aggiungendo oboi per rafforzare la parte strumentale, ma anche adattando la scrittura vocale solistica alla migliore tecnica dei cantanti che poteva reclutare nella capitale. In breve tempo, il Messia divenne popolarissimo, il più popolare in assoluto fra gli oratori, tanto da essere eseguito in Inghilterra non meno di 56 volte mentre Handel era in vita. La scomparsa dell’autore non rallentò le fortune del Messia, anzi le accelerò, cosa stupefacente in un periodo in cui la musica era (come sempre) considerata un tipico genere di consumo, con prevalente se non esclusivo interesse per l’opera teatrale, marginale curiosità per le cose strumentali, declino costante dei grandi affreschi destinati alle occasioni ecclesiastiche, totale oblio per autori non più presenti in prima linea. Invece Handel si trovò al centro di un’operazione di valorizzazione e di recupero che ha fatto epoca e che per molti versi ha inaugurato quella globalizzazione della musica occidentale che dura tuttora, sia pure con risultati alterni. Un ulteriore effetto moltiplicatore scattò infatti nella primavera del 1783, a Londra, quando due gentiluomini e un brillante segretario, entusiasti handeliani, convinsero Giorgio III della necessità di celebrare in modo degno il centenario della nascita del loro beniamino (che erroneamente credevano nato nel 1684). Il re colse al volo l’occasione di farne una festa che fosse artistica e patriottica insieme. Nessuno infatti dubitava che il cosmopolita Handel fosse il più grande musicista inglese di tutti i tempi, pur essendo nato e cresciuto artisticamente in Germania e perfezionato in Italia prima di giungere a Londra per organizzare stagioni d’opera alla maniera continentale. Come luogo adatto per la commemorazione fu scelta l’Abbazia di Westminster, in un triduo a fine maggio che prevedeva musiche sacre il giorno 26, strumentali il 27 e momento culminante il 29 con l’oratorio già allora più famoso, appunto il Messia. Per l’occasione fu radunato un complesso strumentale e vocale di dimensioni enormi (in quei tempi), non badando tanto al sottile e cercando comunque la quantità: 513 esecutori, secondo le cronache. Il successo fu strepitoso, tanto che furono subito organizzate due repliche straordinarie, il 31 maggio e il 5 giugno. Non mancarono voci dissenzienti, per lamentare il tono profano e consumistico dell’evento, ma l’eco si propagò nel resto dell’Inghilterra con la forza del tuono e diede origine a innumerevoli imitazioni, su scala sempre maggiore e sempre minore rispetto al modesto organico originale. Il contagio si diffuse anche in Germania, dove peraltro Handel era comunque ben conosciuto, oltre che legittimamente considerato autore nazionale: la prima esecuzione del Messia in terra tedesca si ebbe ad Amburgo nel 1772 (ma in versione inglese) mentre la prima edizione in lingua locale fu firmata da Carl Philipp Emanuel Bach nello stesso anno. Johann Wolfgang von Goethe fu assai impressionato dall’esecuzione a Weimar nel 1780. Cominciarono a diffondersi anche le versioni “aggiornate” firmate da altri autori, mossi dalla pratica necessità di dare un maggiore sostegno strumentale alla esplosiva efficacia della scrittura corale. Nella sola Germania, sono riportate almeno quattro importanti esecuzioni del Messia nella versione “aggiornata” di Johann Adam Hiller, a Berlino (1786, su un testo in lingua italiana e con la partecipazione di almeno 500 fra voci e strumenti), all’Università di Lipsia (1786 e 1788), a Breslavia (1788). Di queste vicende fu testimone il barone Gottfried van Swieten ai tempi del suo servizio come diplomatico austriaco a Londra e a Berlino. Divenuto un acceso sostenitore della musica vocale di Händel (ma anche di quella di Bach), al ritorno a Vienna decise di diffondere l’arte dei suoi beniamini animando una apposita associazione e dedicandosi all’organizzazione di concerti. Il suo attivismo ebbe effetti di vasta portata sui massimi autori del classicismo viennese, contribuendo fra l’altro alla nascita degli oratori di Haydn e istillando in Beethoven una vera e propria venerazione per Händel. Van Swieten ammirava la dedizione del pioniere Hiller e condivideva la sua convinzione che comunque il testo originale dovesse essere adattato ai gusti del tempo, con tagli, modifiche, aggiunte. Già nel 1779 commissionò infatti all’amico Joseph Starter un arrangiamento del Giuda Maccabeo e attorno al 1787 convinse Mozart a dirigere stabilmente i complessi corali e strumentali che radunava la domenica mattina nei palazzi viennesi, il suo e quelli dei suoi nobili amici e finanziatori. Mozart, con la maturità, aveva dimenticato la noia del suo primo contatto con il Messia avvenuto nel 1777, a Mannheim, sulla via per Parigi. Nel 1788 riorchestrò Aci e Galatea e l’anno dopo accettò volentieri l’invito di van Swieten a metter mano alla partitura maggiore. Gli interventi in verità non furono mai radicali. Introdusse qualche taglio, spostò la sequenza di poche arie, ridistribuì alcune parti. Dedicò molte cure alla dinamica e all’espressione, accentuando i contrasti drammatici e valorizzando gli spunti teatrali latenti (ma non troppo) nell’originale. Più profondo fu l’intervento sui timbri. Riscrisse completamente la parte per gli strumenti a fiato, dando maggiore spazio agli oboi, introducendo i flauti e soprattutto i suoni profondi e suggestivi di clarinetti, fagotti e ottoni. Sostituì le trombe originali con corni, ma solo per ragioni tecniche: non disponeva di trombettisti in grado di assolvere bene alla parte. Per rendere ancora più drammatici e possenti i cori, raddoppiò le voci dei bassi con sonori tromboni. Ne esce un suono molto più denso, anzi pastoso, che non abbiamo difficoltà a collegare con quelli delle ultime opere mozartiane, l’estrema terna sinfonica, il Flauto magico, naturalmente il Requiem. Un suono raffinato, mai roboante, che piacque moltissimo al selezionato pubblico della prima esecuzione, il 6 marzo 1789. Pur con innumerevoli varianti, la versione mozartiana fu un riferimento costante per le successive esecuzioni del Messia nei paesi di lingua tedesca, e più in generale nell’Europa continentale. Nelle isole britanniche prima e in America poi continuò invece la pratica di trasformare ogni esecuzione in una vera prova di forza, facendo a gara fra chi riusciva a mobilitare più esecutori in occasione dell’annuale rito handeliano, fissato di regola vicino a Natale (chissà poi perché: il Messia è piuttosto un oratorio pasquale, con momento culminante con l’Halleluja della Resurrezione). Nel 1869 la Händel and Haydn Society di Boston fece cantare l’Halleluja da almeno diecimila voci accompagnate da 500 strumenti mentre nel 1881, a New York, Walter Damrosch diresse l’intero oratorio con coro formato da 1200 adulti, 1300 ragazze e 250 ragazzi sostenuti da un’orchestra di 250 strumenti. La prima guerra mondiale, la grande depressione degli anni Trenta frenarono la corsa al gigantismo e introdussero nuove firme fra i revisori della strumentazione. Testimonianze discografiche delle magnifiche esecuzioni anni Cinquanta e Sessanta dirette dai baronetti Thomas Beecham e Malcolm Sargent, Colin Davis e Georg Solti mostrano maggiore moderazione, anche se l’orchestra che sostiene il canto resta sempre massiccia, spesso ingombrante. Non meno clamoroso successo, negli ultimi decenni del secolo scorso (il Novecento, naturalmente), a partire dalla storica versione discografica di John Eliot Gardiner del 1983, è stato riservato alle edizioni con strumenti e organici originali, comunque ridotti, spesso anche troppo. Mantenendo peraltro ferma l’immagine di un Handel devoto e predicatorio, vate in musica della meditazione mistica e del trionfalismo liturgico. Il che mal si lega con un personaggio che contemporanei e biografi sono concordi nel descrivere come uomo di mondo nel senso più ampio, avventuroso impresario teatrale che riemerge dalla bancarotta inventando un genere nuovo, appunto l’oratorio alla maniera inglese, con il quale (senza costi di scene e costumi) si possono portare a un pubblico desideroso di emozioni forti ma moralmente edificanti drammatiche storie bibliche con protagonisti Jefte, Debora, Saul, Ester, Sansone, Atalia, Salomone, personaggi teatrali come pochi. In fondo, però, è giusto che il Messia sia il più amato fra gli oratori, di Handel e di altri. Perché più di tutti si nutre della tradizione passata, meglio ne rispetta le regole e le forme, e nello stesso tempo trova un naturale punto d’incontro con le drammatizzazioni del sacro nate nelle Chiese cristiane: italiana e cattolica, tedesca e luterana, inglese e anglicana. Il mirabile collage di citazioni prima bibliche e poi evangeliche disposto dal librettista Charles Jennens ci lascia seguire il percorso terreno del Redentore come attraverso uno specchio magico, che la musica di Händel s’incarica di animare con un amore che trascende le banalità del contingente e le miserie dell’uomo. Si capisce anche perché, grazie a questi valori universali, il Messia abbia attraversato il tempo mantenendo inalterata la sua forza espressiva, pur avendo cambiato tante volte volto, anzi suono. Non ha forse molto senso disquisire su quale sia il “vero” Messia, se l’inglese o l’americano o il tedesco o il neo-originale. È una verità che il tempo ha cancellato, meglio: assorbito e diffuso. Le edizioni da preferire si legano sempre alla sensibilità individuale. Oggi apprezziamo di più quelle che si avvicinano alle prime versioni settecentesche, più raccolte, più precise, con poche voci e meno strumenti. Come quella di stasera, che riprende una partitura in uso a Londra attorno al 1750. Enzo Beacco René Jacobs direttore Ha iniziato la carriera musicale nel coro della Cattedrale di Ghent, sua città natale. Incoraggiato dai fratelli Kuijken, da Gustav Leonhardt e Alfred Deller a specializzarsi nel repertorio per controtenore, in poco tempo è diventato uno dei migliori specialisti del suo tempo con esibizioni in tutta Europa, negli Stati Uniti e in Estremo Oriente. Pieno di entusiasmo per la musica barocca e l’immenso repertorio ancora da scoprire, all’apice della sua carriera di cantante, decide di dedicarsi alla direzione con l’intenzione di eseguire opere dimenticate e di pubblicarne gli spartiti. Con l’ensemble Concerto Vocale da lui fondato ha iniziato nel 1977 una serie di registrazioni di musica del XVII e XVIII secolo e di compositori quali Cesti, d’India, Ferrari, Marenzio, Lambert, Guédron e molti altri. René Jacobs ha diretto e registrato opere quali Orontea di Cesti, Xerse e Giasone di Cavalli, l’Incoronazione di Poppea e Il ritorno d’Ulisse in patria di Monteverdi, Giulio Cesare di Händel, La finta semplice di Mozart e Don Chisciotte in Sierra Morena di Francesco Conti. Nel 1992 la Deutsche Staatsoper Unter den Linden di Berlino lo ha invitato a dirigere Cleopatra e Cesare di Graun nel 250° anniversario del Teatro dell’Opera di Berlino e lo ha nominato principale direttore ospite e consigliere artistico. Collabora inoltre con teatri e festival quali Théâtre Royal de la Monnaie, Théâtre des ChampsElysées, Aix-en Provence e Salisburgo. Ospite regolare di orchestre e ensemble quali Concerto Köln, The Orchestra of the Age of Enlightenment, Akademie für Alte Musik Berlin, Nederlands Kamerkoor e Rias-Kammerchor, continua parallelamente la sua carriera di cantante e si esibisce spesso in recital con partner e amici di lunga data quali Konrad Junghänel, Wieland Kuijken, Roel Dieltiens e Andreas Staier. Tra i programmi attuali ricordiamo un nuovo ciclo dedicato alle opere di Monteverdi alla Deutsche Staatsoper Unter den Linden a Berlino e l'esecuzione di tutte le opere di Mozart con libretto di Da Ponte al Festival di Innsbruck e a Baden Baden. Dal 1997 è direttore artistico del programma operistico delle “Festwochen der Alten Musik” di Innsbruck. È inoltre docente di prassi esecutiva barocca alla Schola Cantorum Basiliensis. Ha al suo attivo più di 100 registrazioni che hanno meritato premi quali “Le Grand Prix de l’Académie Charles Cros”, “The International Record Critics Award”, “Deutscher Schallplattenpreis”, “Cecilia Award”, “Edison Award”, il premio “Vivaldi” della Fondazione Cini e il “Gramophone Award”. È per la prima volta ospite della nostra Società. Freiburger Barockorchester Ensemble stabile dal 1987, la Freiburger Barockorchester deve il suo successo alla combinazione di dinamismo e raffinatezza strumentale che caratterizza le sue esecuzioni. Il debutto ad Amsterdam nel 1989 ha portato l’orchestra a livello internazionale con una tournée nelle sale da concerto di tutta Europa, in Oriente, negli Stati Uniti e in Centro e Sud America. L’orchestra, rifacendosi ad una tradizione del diciottesimo secolo, suona spesso anche senza direttore con l’intento di sviluppare quell’intensità esecutiva e l’unità di timbro caratteristiche della musica da camera. Ad oggi ha al suo attivo più di seicento concerti in tutto il mondo sia sotto la guida dei due primi violini, Gottfried von der Goltz e Petra Müllejans, sia con direttori ospiti di primo piano quali Ivor Bolton, Roy Goodman, Philippe Herreweghe, René Jacobs, Gustav Leonhardt e Trevor Pinnock. È protagonista di concerti nei maggiori festival (Ravinia, Tanglewood, SchleswigHolstein, Lucerna, Salisburgo) e si esibisce per prestigiose istituzioni musicali (Lincoln Center di New York, Cité de la Musique a Parigi, Palais des Beaux Arts a Bruxelles, Proms di Londra, Philharmonie di Colonia e Berlino). Nel 2000 e 2001 è stata orchestra “in residence” al festival Voice & Music di Montreux. Nel febbraio 2000 è stata invitata a Gerusalemme in occasione della visita di stato del Presidente della Repubblica Federale Tedesca in Israele. È ospite regolare con René Jacobs del Festival di Innsbruck (La creazione e Le stagioni di Haydn, Orfeo ed Euridice di Gluck, Rinaldo di Händel). Dall’ottobre 1999 anima una propria serie di concerti alla Liederhalle di Stoccarda e alla Philharmonie di Berlino. L’orchestra è stata ospite delle Settimane Bach nel 2000 (Oratorio di Natale, 14° ciclo), nel 2001 (Passione secondo Giovanni, 15° ciclo), a fianco di Cecilia Bartoli nel programma Gluck / Salieri dell’ottobre 2003 per la Società del Quartetto e nel 2004 il 28 settembre per il concerto in occasione del convegno “Dieci anni di Bach a Milano” e il 16 novembre per il 22° ciclo delle Settimane Bach. Petra Müllejans, Martina Graulich, Hans-Joachim Berg, Gerd-Uwe Klein, Franka Palowski, Regine Schröder, violini primi Brian Dean, Gregor Dierck, Johannes Heim, Sebastian Kuhlmann, Kathrin Tröger, violini secondi Annette Schmidt, Werner Saller, Jeanette Dorée, viole Guido Larisch, Stefan Mühleisen, Ute Petersilge, violoncelli Dane Roberts, Miriam Shalinsky, contrabbassi Ann-Kathrin Brüggemann, Saskia Fikentscher, oboi Javier Zafra, fagotto Friedemann Immer, Francois Petit-Laurent, trombe Theun van Nieuburg, timpani Mara Galassi, arpa Shizuko Noiri, liuto Massimiliano Toni, cembalo e organo Clare College Choir, Cambridge Il Coro del Clare College è stato fondato nel 1326 all’Università di Cambridge. In origine formato da sole voci maschili, nel 1971 è stato riorganizzato in un coro a voci miste ed è oggi considerato fra i migliori ensemble corali universitari inglesi. Accanto alla sua primaria attività di accompagnamento delle funzioni religiose del College, è attivo in ambito concertistico sia in Gran Bretagna che all’estero. Con Tim Brown direttore stabile del coro, è stato protagonista di tournée in tutta Europa, in Russia, negli Stati Uniti e in Estremo Oriente. Si esibisce regolarmente nelle maggiori sale da concerto della Gran Bretagna e con le più importanti orchestre inglesi. È stato inoltre ospite dei maggiori festival europei quali Münchner Opern-Festspiele e Salisburgo. Nel 2000 ha eseguito ai BBC Proms di Londra la Passione secondo Giovanni; nel 2003 con il Monteverdi Choir diretto da Sir John Eliot Gardiner L’Enfance du Christ di Berlioz. Nel 2002 è stato in tournée in Spagna, Belgio, Gran Bretagna e Stati Uniti con l’Orchestra of the Age of Enlightenment e René Jacobs (Jephtha di Händel), nel 2004 con Nicholas Kraemer in Giappone e Hong Kong (Requiem di Rutter). Nel settembre scorso è tornato negli Stati Uniti con concerti a New York, in Texas e nel Midwest. Ha al suo attivo numerose prime esecuzioni scritte su commissione da autori contemporanei quali Christopher Brown, Andrew Carter, Jonathan Dove, Herbert Howells, Nico Muhly, Julian Phillips, Tarik O’Regan, John Rutter e Giles Swayne. In ambito discografico ricordiamo Venus and Adonis di Blow, Dido and Aeneas di Purcell con René Jacobs e Illumina, un’interessante esplorazione intorno al tema della luce. Nel maggio 2003, la registrazione del Requiem di Rutter è stata l’Editor’s Choice della rivista The Gramophone. Collabora regolarmente con BBC Radio 3. È per la prima volta ospite della nostra Società. Philippa Boyle, Esther Chadwick, Eleanor Helps, Laura Honey, Emilia Hughes, Charlotte Kingston, Tessie Prakas, Amy Riach, Caroline Smith, Suzanne Szczetnikowicz, Zoe Vanderwolk, soprani Madeleine Bradbury Rance, Elizabeth Fleming, Charlotte Ho, Lester Lardenoye, Sarah Shorter, Catherine Symonds, Jessica Thomas, contralti Gerald Beatty, Jonathan Bird, Jonathan Langridge, Philip Martin, Benjamin Walton, Benjamin Winpenny, John McMunn, tenori Edward Ballard, Richard Bannan, Matthew Graham, Will Haggard, Jonathan Midgley, George Mullan, Edward Parkes, Graham Ross, bassi Kerstin Avemo soprano Kerstin Avemo ha studiato all’University College of Opera di Stoccolma. Con un repertorio che comprende le passioni di Bach e le arie di Mozart, in ambito concertistico ha eseguito la Resurrezione di Händel con Le concert d’Astrée e Emmanuelle Haïm al festival d’Auvers-sur-Oise e con Andrew Manze alla Berliner Philharmonie, la Sinfonia n. 2 di Mahler con la Swedish Radio Symphony Orchestra e Esa-Pekka Salonen, Les Illuminations di Britten e Carmina Burana di Orff. In ambito operistico ha collaborato con i teatri d’opera delle città di Göteborg, Francoforte (Il ratto dal serraglio), Zurigo e Copenhagen (La clemenza di Tito). È stata inoltre protagonista nell’opera Cecilia and the Monkey King di Reine Jönsson al Drottningholm Court Theatre registrata dalla televisione svedese. Nella primavera 2005, ha debuttato al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, alle Wiener Festwochen e al Festival di Aix-en-Provence. Nella stagione in corso canterà il ruolo di Musica/Euridice nell’Orfeo di Monteverdi a Lille, Caen, Parigi (Châtelet) e Strasburgo. Per il gennaio 2006 ha in programma la Grande Messa in do minore di Mozart con la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra e Alan Gilbert. È per la prima volta ospite della nostra Società. Lawrence Zazzo controtenore Nato a Philadelphia, Lawrence Zazzo ha studiato letteratura inglese alla Yale University, musica al King’s College di Cambridge, e canto al Royal College of Music di Londra. In campo operistico si è esibito nei migliori teatri del mondo, tra i quali Berliner Staatsoper, Operá de Paris, Royal Opera House Covent Garden, Bayerische Staatsoper a Monaco di Baviera, Théâtre de la Monnaie a Bruxelles, Lincoln Center di New York, Drottningholm Opera a Stoccolma, ad Amburgo, Vienna, Lione, Glyndebourne e Singapore. Ha collaborato con i maggiori specialisti di musica barocca quali René Jacobs, William Christie, Trevor Pinnock, Ivor Bolton, Joshua Rifkin, Roy Goodman e Harry Ticket. In recital e concerto si è esibito al Bach Festival di Lipsia, Edinburgh Festival, Cincinnati May Festival, Wiener Resonanzen e Festwochen der Alte Musik di Innsbruch. Tra gli impegni futuri Flight e Giulio Cesare al Glyndebourne Festival e Xerxes (Arsamene) all’English National Opera. Nella primavera del 2007 debutterà al Metropolitan di New York nel ruolo di Tolomeo nel Giulio Cesare di Händel. La sua discografia comprende le maggiori opere di Händel, Griselda di Scarlatti, Jubilate di Purcell, Chichester Psalms di Bernstein e lo Stabat Mater di Pergolesi. È per la prima volta ospite della nostra Società. Patricia Bardon mezzosoprano Nata a Dublino, Patricia Bardon ha studiato con Veronica Dunne al Conservatorio della sua città. Premiata giovanissima al concorso “Cardiff Singer of the World”, ha intrapreso la carriera internazionale che l’ha portata ad esibirsi con direttori quali Mehta, Haitink, Abbado, Rizzi, Pappano, Jacobs, Eschenbach, Christie e Minkowski. La sua vocalità particolarmente versatile le consente di spaziare all’interno di un vasto repertorio che va da Monteverdi a Händel, Gluck, Rossini, Verdi e Bizet ed è stato ospite di importanti teatri quali La Fenice di Venezia, Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, Staatsoper di Berlino e Amburgo, Scottish Opera e Maggio Musicale Fiorentino. Segnalata come una tra le più interessanti voci händeliane, si è esibita al Glyndebourne Festival, ha interpretato Amastris in Xerxes a Monaco di Baviera e il ruolo della protagonista in Tamerlano al festival di Bearne. La stagione scorsa ha debuttato alla Welsh National Opera e alla English National Opera nell’Oro del Reno e Sigfrido di Wagner. Recente è il suo debutto alla Chicago Lyric Opera. È anche apprezzata camerista con recital nelle maggiori sale da concerto e festival. È per la prima volta ospite della nostra Società. Kobie van Rnesburg tenore Kobie van Rensburg ha intrapreso lo studio del canto sotto la guida di Werner Nel, mentre stava completando gli studi in legge e politica internazionale alla Northwest University del Sud Africa. Nel 1994 si è trasferito a Monaco di Baviera dove ha proseguito gli studi con Hanno Blaschke. Dopo una prima collaborazione con l’Opera Studio della Bayerische Staatsoper, è entrato a far parte dello Staatstheater am Gärtnerplatz di Monaco, con il quale collabora tutt’ora. Con un repertorio operistico che spazia dal Rinascimento ai lavori contemporanei, si è esibito al Metropolitan di New York e nei maggiori teatri europei. È inoltre ospite di festival quali Salisburgo, Innsbruck, Schwetzingen, Festival Händel di Halle, Karlsruhe Händel Festival, Schleswig–Holstein e Lucerna. Ha tenuto recital e concerti in tutta Europa, negli Stati Uniti, in Egitto e in Argentina. Specialista nell’esecuzione del repertorio del XVII e XVIII secolo, collabora con direttori ed ensemble quali René Jacobs e Concerto Vocale, Akademie für Alte Musik, Concerto Köln, Orchestra of the Age of Enlightenment, Nikolaus Harnoncourt e Concentus Musicus Wien, Sir John Eliot Gardiner e English Baroque Soloists e Monteverdi Choir, Ivor Bolton e Freiburger Barockorchester, Thomas Hengelbrock e The Balthasar Neumann Ensemble, Christopher Hogwood e Academy of Ancient Music, Christophe Rousset e Les Talens Lyriques, Jean-Claude Malgoire e La Grande Ecurie et la Chambre du Roy. In campo discografico ricordiamo la registrazione con la Lautten Compagney di “Haendel Beard” dedicato alle arie per tenore composte per John Beard. È per la prima volta ospite della nostra Società. David Pittsinger basso Nato nel Connecticut, David Pittsinger ha compiuto gli studi di canto presso la Yale University. Dopo il diploma ha fatto parte del Merola Program all’Opera di San Francisco. Si è esibito nei maggiori teatri d’opera del mondo quali Metropolitan di New York, dove ha debuttato in una nuova produzione di The Rake’s Progress diretta da James Levine, Théâtre des Champs-Elysées, Théâtre Royal de la Monnaie, English National Opera, New York, City Opera, Teatro Colón di Buenos Aires, Opera di San Francisco, Opera Company di Filadelfia, New York City Opera e Opera di Montreal. In concerto ha collaborato con orchestre e direttori quali Los Angeles Philharmonic e Zubin Mehta (Requiem di Verdi), National Symphony Orchestra e Leonard Slatkin (Carnegie Hall, Nona Sinfonia di Beethoven), Houston Symphony e Hans Graf (Missa Solemnis), Wiener Philharmoniker, l’orchestra Gulbenkian di Lisbona (Petite messe solennelle di Rossini), l’Orchestra di Lille, West Deutscher Rundfunk (The Rake’s Progress), Orchestre National de Radio France, Amsterdamse Bach Solisten (Oratorio di Natale di Bach), Royal Concertgebouw di Amsterdam. Si è inoltre esibito per i maggiori festival estivi americani quali Grant Park, Tanglewood, Glimmerglass e Bellingham, al Festival Casals di Porto Rico e al Klangbogen Festival di Vienna. Tra gli impegni recenti Carmen all’Opéra di Montpellier, Oedipus Rex all’Opéra di Montreal e Le Nozze di Figaro a Los Angeles. La sua registrazione di Susannah di Carlisle Floyd ha meritato il premio “Grammy Award”. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimi concerti: martedì 17 gennaio 2006, ore 19.30 András Schiff pianoforte J.S. Bach - Sei Partite BWV 825-830 esecuzione integrale Dopo l’omaggio al Messia e a Händel, il grande contemporaneo (e non rivale, perché i due mai si incontrarono e sempre agirono in territori diversi), torniamo a Bach con una preziosissima integrale. Sentiremo tutte le Partite, quella collezione di 6 serie di danze che, dopo le 6 Suites francesi e le 6 Suites inglesi, Bach concepì come ultimo gradino nella scala tecnica ed espressiva che porta ai vertici del Clavicembalo ben temperato, e a tutta la successiva letteratura pianistica. L’occasione è ancora più preziosa perché affidata ad András Schiff, che non solo conosciamo bene perché più volte ospite della nostra Società, ma anche perché dell’interpretazione di Bach ha fatto il caposaldo di un repertorio sterminato, che arriva ai nostri giorni, sempre dominato con ferrea precisione tecnica e perfetta sensibilità stilistica. Qualità che hanno portato Schiff a diventare uno dei più importanti pianisti non solo della sua generazione, ma del nostro tempo. Programma (Discografia minima) J.S. Bach Sei Partite (A. Schiff Decca 452 279-2) martedì 31 gennaio 2006, ore 20.30 Quartetto Emerson Mozart, Šostakovič martedì 7 febbraio 2006, ore 20.30 Leon Fleisher pianoforte Bach, Koston, Kirchner, Stravinskij, Brahms, Schubert UNA SERATA DI FESTA Venerdì 20 gennaio 2006, ore 20.00 e 21.30 Sala delle Otto Colonne di Palazzo Reale Per festeggiare il 250° anniversario della nascita di Mozart (27 gennaio 1756) la Società del Quartetto in collaborazione col Comune di Milano ha invitato due notissimi fortepianisti, Andreas Staier e Melvyn Tan, per due concerti interamente dedicati alle musiche del genio di Salisburgo eseguite su tre autentici fortepiani dell’epoca (uno dei costruttori Stein e due del loro “rivale” Walter) che appartengono alla straordinaria collezione di Fernanda Giulini. L’esigenza di ospitare gli strumenti in un luogo raccolto, adatto a coglierne al meglio la loro voce, e il desiderio di consentire a un pubblico più numeroso di ascoltare il loro prezioso suono, hanno convinto la Società del Quartetto a programmare nella stessa serata due concerti, ore 20 e ore 20.30. I biglietti (€ 15 per ciascun concerto) sono in vendita in prelazione per i Soci da lunedì 9 gennaio 2006 fino ad esaurimento del contingente disponibile in via Durini 24 (da lunedì a venerdì ore 13.30 – 17.30). Prevendita aperta al pubblico da venerdì 13 gennaio.