Programma - Società del Quartetto di Milano

Sala Verdi del Conservatorio
Martedì 20 dicembre 2005, ore 19.30
S TA G I O N E 2 0 0 5 • 2 0 0 6
Freiburger Barockorchester
Clare College Choir Cambridge
René Jacobs direttore
7
Consiglieri di turno
Prof. Alberto Conti
Avv. Marco Janni
Sponsor istituzionali
Con il patrocinio e il sostegno di
Con il sostegno di
FONDAZIONE CARIPLO
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite.
Freiburger Barockorchester
Clare College Choir, Cambridge
René Jacobs direttore
Kerstin Avemo soprano
Lawrence Zazzo controtenore
Patricia Bardon mezzosoprano
Kobie van Rensburg tenore
David Pittsinger basso
George Frideric Handel
(Halle 1685 – Londra 1759)
The Messiah HWV 56
Prima parte
Seconda parte
Intervallo
Terza parte
Si ringrazia per il sostegno particolare a questo concerto
George Frideric Handel
The Messiah HWV 56
Sappiamo che i grandi capolavori d’arte sfidano il tempo e di regola ne
condizionano l’evoluzione. Tendiamo però a sottovalutare il processo inverso,
cioè i cambiamenti che il trascorrere del tempo induce in quei capolavori. Che
possono essere solo di percezione legata al mutare dei gusti e delle conoscenze,
nel caso di oggetti fisicamente definiti, come una statua, un dipinto, un testo.
Che possono diventare addirittura strutturali, quando si richiede la
rappresentazione, ovvero l’intervento umano. Si pensi alle riletture dei grandi
classici del teatro, con registi e attori che cambiano tempi, luoghi, ritmi, parole.
Ancor più quando si passa alla musica, non solo all’opera lirica, ma anche
all’orchestra, alle formazioni da camera, ai solisti (pianoforte, fortepiano,
clavicembalo, clavicordo: cosa va bene, oggi, per Beethoven, Mozart, Bach?). Qui
il fattore umano, ossia l’interprete, si misura in ogni attimo con il tempo presente
in cui lui agisce e con il tempo passato in cui l’opera d’arte è stata composta, cioè
ideata e fissata su carta. La quale carta, la partitura, è per definizione ambigua,
appunto interpretabile. Infatti la trasposizione, la trascrizione da uno strumento
all’altro, da una voce all’altra fa parte del genoma stesso della musica, fin dai
tempi più remoti, oggi più che mai. Con buona pace di chi crede nelle
interpretazioni autentiche della musica passata, alla maniera notarile.
La divagazione è suggerita dal tema di questa stagione (Il tempo) e dalla storia
di quello straordinario capolavoro che è il Messia di Georg Friedrich Händel
(dato il contesto, usiamo in queste note la versione inglese del nome, non quella
originale tedesca di Georg Friedrich Händel, e nemmeno quella successiva e
italiana di Giorgio Federico Hendel). Abbiamo infatti un caso perfetto di
rapporto interattivo che si evolve in maniera tanto turbinosa da far perdere
completamente le coordinate iniziali, che pensavamo fossero la ragione d’essere
dell’opera d’arte in sé. Ora, di sicuro, sappiamo solo che l’autore non aveva
alcuna idea della fama sempiterna che questo suo oratorio gli avrebbe dato. Lo
compose velocemente, come suo solito, in sole tre settimane: iniziato il 22 agosto,
il 14 settembre 1741 era completo in tutte le sue parti, pronto per essere messo in
valigia e trasportato a Dublino. Lord William Cavendish, duca del Devonshire e
ambasciatore d’Inghilterra in Irlanda, aveva infatti invitato Handel a fargli visita
e a portare con sé un nuovo oratorio da eseguire in pubblico per fini caritatevoli.
Spinto dalla circostanza, il compositore prese finalmente in considerazione un
libretto che da mesi insisteva a proporgli il letterato (e straricco gentiluomo di
campagna) Charles Jennens, già suo collaboratore per i testi degli oratori Saul
(1738), Israele in Egitto (1738), L’Allegro, il Pensieroso ed il Moderato (1741). Il
nuovo libretto era dedicato alla figura di Gesù, articolato però non nella
tradizionale forma narrativa ma come libera sequenza di passi tratti dall’Antico e
dal Nuovo Testamento che nella prima parte annunciano l’arrivo del Redentore,
nella seconda ne descrivono la nascita, passione, resurrezione e ascensione, nella
terza illuminano la vita ultraterrena che attende i mortali.
Una scorsa veloce alla partitura conferma la sensazione di fretta che l’anagrafe
del lavoro suggerisce. Rispetto ai precedenti otto oratori composti a Londra a
partire dal 1718, alla Passione amburghese del 1718, alle due giovanili
esperienze romane del 1707-1708, non si notano innovazioni strutturali. Resta
fisso il modello di oratorio-passione elaborato nel Seicento dall’italiano Giacomo
Carissimi e importato in Germania da Heinrich Schütz. Cioè una successione
ordinata di arie solistiche e di cori polifonici nella quale si narrano e
commentano vicende di Santi e Profeti della Chiesa, con particolare attenzione
alla vita del Redentore. In verità, negli oratori inglesi precedenti (e successivi)
Handel è più interessato a raccontare le gesta di personaggi biblici intesi come
eroi di questa terra piuttosto che come anime pie e testimoni del mondo che
verrà. Vede cioè l’oratorio come alternativa più economica (dunque
finanziariamente meno rischiosa) rispetto all’opera lirica, che nel passato lo
aveva portato alla bancarotta non come autore ma come impresario alle prese
con i costi delle rappresentazioni e con le bizze dei cantanti. Il nuovo oratorio
appare anzi come il più spartano di tutti, a partire dalla strumentazione, che
inizialmente prevedeva solo due parti di violini, una di viole e qualche raro
intervento di tromba, oltre al solito basso continuo. Handel sapeva che a
Dublino poteva contare su risorse vocali e strumentali molto limitate. Per
guadagnare tempo prezioso, non disdegnò di riciclare materiale tematico ripreso
da lavori precedenti, non tanto dall’ormai lontano periodo italiano e tedesco,
quanto da contemporanee composizioni vocali sacre e profane. Non mancano gli
inserimenti di temi altrui o comunque appartenenti alla tradizione oratoriale.
Troviamo perfino una piva di zampognari, ricordo di lontani Natali romani.
Quello che in partenza era nato come veloce opera di collazione destinata a
soddisfare le modeste esigenze di una comunità periferica, alla prova dei fatti si
rivelò un organismo musicale perfetto. Con il titolo originale Messiah, la prima
esecuzione, il 13 aprile 1742 alla Neale’s Music Hall di Dublino con sette solisti
di canto e coro formato da sedici ragazzi e sedici adulti, ebbe successo immediato.
A posteriori, si capisce bene il perché. L’argomento non poteva essere più
efficace, e magica era stata l’abilità di Jennens nello scegliere in ogni momento le
parole giuste. La velocità della stesura della musica si rivelò un formidabile
elemento unificante e conferì superiore coerenza alla lunga sequenza di recitativi,
arie e cori. Infine, se alla suprema eleganza di tutte le arie e alla varietà della
scrittura corale, si aggiungono alcune perle che hanno la rara forza di entrare
subito nella memoria per non uscirne mai più, il quadro sarà completo.
Il successo dublinese si estese alle riprese subito organizzate dopo il ritorno a
Londra, dove Handel, pragmatico come sempre, ritoccò più volte la partitura, non
solo aggiungendo oboi per rafforzare la parte strumentale, ma anche adattando
la scrittura vocale solistica alla migliore tecnica dei cantanti che poteva reclutare
nella capitale. In breve tempo, il Messia divenne popolarissimo, il più popolare in
assoluto fra gli oratori, tanto da essere eseguito in Inghilterra non meno di 56
volte mentre Handel era in vita. La scomparsa dell’autore non rallentò le fortune
del Messia, anzi le accelerò, cosa stupefacente in un periodo in cui la musica era
(come sempre) considerata un tipico genere di consumo, con prevalente se non
esclusivo interesse per l’opera teatrale, marginale curiosità per le cose
strumentali, declino costante dei grandi affreschi destinati alle occasioni
ecclesiastiche, totale oblio per autori non più presenti in prima linea. Invece
Handel si trovò al centro di un’operazione di valorizzazione e di recupero che ha
fatto epoca e che per molti versi ha inaugurato quella globalizzazione della musica
occidentale che dura tuttora, sia pure con risultati alterni.
Un ulteriore effetto moltiplicatore scattò infatti nella primavera del 1783, a
Londra, quando due gentiluomini e un brillante segretario, entusiasti
handeliani, convinsero Giorgio III della necessità di celebrare in modo degno il
centenario della nascita del loro beniamino (che erroneamente credevano nato
nel 1684). Il re colse al volo l’occasione di farne una festa che fosse artistica e
patriottica insieme. Nessuno infatti dubitava che il cosmopolita Handel fosse il
più grande musicista inglese di tutti i tempi, pur essendo nato e cresciuto
artisticamente in Germania e perfezionato in Italia prima di giungere a Londra
per organizzare stagioni d’opera alla maniera continentale. Come luogo adatto
per la commemorazione fu scelta l’Abbazia di Westminster, in un triduo a fine
maggio che prevedeva musiche sacre il giorno 26, strumentali il 27 e momento
culminante il 29 con l’oratorio già allora più famoso, appunto il Messia. Per
l’occasione fu radunato un complesso strumentale e vocale di dimensioni enormi
(in quei tempi), non badando tanto al sottile e cercando comunque la quantità:
513 esecutori, secondo le cronache. Il successo fu strepitoso, tanto che furono
subito organizzate due repliche straordinarie, il 31 maggio e il 5 giugno. Non
mancarono voci dissenzienti, per lamentare il tono profano e consumistico
dell’evento, ma l’eco si propagò nel resto dell’Inghilterra con la forza del tuono
e diede origine a innumerevoli imitazioni, su scala sempre maggiore e sempre
minore rispetto al modesto organico originale. Il contagio si diffuse anche in
Germania, dove peraltro Handel era comunque ben conosciuto, oltre che
legittimamente considerato autore nazionale: la prima esecuzione del Messia in
terra tedesca si ebbe ad Amburgo nel 1772 (ma in versione inglese) mentre la
prima edizione in lingua locale fu firmata da Carl Philipp Emanuel Bach nello
stesso anno. Johann Wolfgang von Goethe fu assai impressionato
dall’esecuzione a Weimar nel 1780. Cominciarono a diffondersi anche le versioni
“aggiornate” firmate da altri autori, mossi dalla pratica necessità di dare un
maggiore sostegno strumentale alla esplosiva efficacia della scrittura corale.
Nella sola Germania, sono riportate almeno quattro importanti esecuzioni del
Messia nella versione “aggiornata” di Johann Adam Hiller, a Berlino (1786, su
un testo in lingua italiana e con la partecipazione di almeno 500 fra voci e
strumenti), all’Università di Lipsia (1786 e 1788), a Breslavia (1788).
Di queste vicende fu testimone il barone Gottfried van Swieten ai tempi del suo
servizio come diplomatico austriaco a Londra e a Berlino. Divenuto un acceso
sostenitore della musica vocale di Händel (ma anche di quella di Bach), al
ritorno a Vienna decise di diffondere l’arte dei suoi beniamini animando una
apposita associazione e dedicandosi all’organizzazione di concerti. Il suo
attivismo ebbe effetti di vasta portata sui massimi autori del classicismo
viennese, contribuendo fra l’altro alla nascita degli oratori di Haydn e istillando
in Beethoven una vera e propria venerazione per Händel. Van Swieten
ammirava la dedizione del pioniere Hiller e condivideva la sua convinzione che
comunque il testo originale dovesse essere adattato ai gusti del tempo, con tagli,
modifiche, aggiunte. Già nel 1779 commissionò infatti all’amico Joseph Starter
un arrangiamento del Giuda Maccabeo e attorno al 1787 convinse Mozart a
dirigere stabilmente i complessi corali e strumentali che radunava la domenica
mattina nei palazzi viennesi, il suo e quelli dei suoi nobili amici e finanziatori.
Mozart, con la maturità, aveva dimenticato la noia del suo primo contatto con il
Messia avvenuto nel 1777, a Mannheim, sulla via per Parigi. Nel 1788
riorchestrò Aci e Galatea e l’anno dopo accettò volentieri l’invito di van Swieten
a metter mano alla partitura maggiore. Gli interventi in verità non furono mai
radicali. Introdusse qualche taglio, spostò la sequenza di poche arie, ridistribuì
alcune parti. Dedicò molte cure alla dinamica e all’espressione, accentuando i
contrasti drammatici e valorizzando gli spunti teatrali latenti (ma non troppo)
nell’originale. Più profondo fu l’intervento sui timbri. Riscrisse completamente
la parte per gli strumenti a fiato, dando maggiore spazio agli oboi, introducendo
i flauti e soprattutto i suoni profondi e suggestivi di clarinetti, fagotti e ottoni.
Sostituì le trombe originali con corni, ma solo per ragioni tecniche: non
disponeva di trombettisti in grado di assolvere bene alla parte. Per rendere
ancora più drammatici e possenti i cori, raddoppiò le voci dei bassi con sonori
tromboni. Ne esce un suono molto più denso, anzi pastoso, che non abbiamo
difficoltà a collegare con quelli delle ultime opere mozartiane, l’estrema terna
sinfonica, il Flauto magico, naturalmente il Requiem. Un suono raffinato, mai
roboante, che piacque moltissimo al selezionato pubblico della prima esecuzione,
il 6 marzo 1789. Pur con innumerevoli varianti, la versione mozartiana fu un
riferimento costante per le successive esecuzioni del Messia nei paesi di lingua
tedesca, e più in generale nell’Europa continentale.
Nelle isole britanniche prima e in America poi continuò invece la pratica di
trasformare ogni esecuzione in una vera prova di forza, facendo a gara fra chi
riusciva a mobilitare più esecutori in occasione dell’annuale rito handeliano,
fissato di regola vicino a Natale (chissà poi perché: il Messia è piuttosto un
oratorio pasquale, con momento culminante con l’Halleluja della Resurrezione).
Nel 1869 la Händel and Haydn Society di Boston fece cantare l’Halleluja da
almeno diecimila voci accompagnate da 500 strumenti mentre nel 1881, a New
York, Walter Damrosch diresse l’intero oratorio con coro formato da 1200 adulti,
1300 ragazze e 250 ragazzi sostenuti da un’orchestra di 250 strumenti. La prima
guerra mondiale, la grande depressione degli anni Trenta frenarono la corsa al
gigantismo e introdussero nuove firme fra i revisori della strumentazione.
Testimonianze discografiche delle magnifiche esecuzioni anni Cinquanta e
Sessanta dirette dai baronetti Thomas Beecham e Malcolm Sargent, Colin
Davis e Georg Solti mostrano maggiore moderazione, anche se l’orchestra che
sostiene il canto resta sempre massiccia, spesso ingombrante.
Non meno clamoroso successo, negli ultimi decenni del secolo scorso (il Novecento,
naturalmente), a partire dalla storica versione discografica di John Eliot Gardiner
del 1983, è stato riservato alle edizioni con strumenti e organici originali, comunque
ridotti, spesso anche troppo. Mantenendo peraltro ferma l’immagine di un Handel
devoto e predicatorio, vate in musica della meditazione mistica e del trionfalismo
liturgico. Il che mal si lega con un personaggio che contemporanei e biografi sono
concordi nel descrivere come uomo di mondo nel senso più ampio, avventuroso
impresario teatrale che riemerge dalla bancarotta inventando un genere nuovo,
appunto l’oratorio alla maniera inglese, con il quale (senza costi di scene e costumi)
si possono portare a un pubblico desideroso di emozioni forti ma moralmente
edificanti drammatiche storie bibliche con protagonisti Jefte, Debora, Saul, Ester,
Sansone, Atalia, Salomone, personaggi teatrali come pochi.
In fondo, però, è giusto che il Messia sia il più amato fra gli oratori, di Handel e
di altri. Perché più di tutti si nutre della tradizione passata, meglio ne rispetta
le regole e le forme, e nello stesso tempo trova un naturale punto d’incontro con
le drammatizzazioni del sacro nate nelle Chiese cristiane: italiana e cattolica,
tedesca e luterana, inglese e anglicana. Il mirabile collage di citazioni prima
bibliche e poi evangeliche disposto dal librettista Charles Jennens ci lascia
seguire il percorso terreno del Redentore come attraverso uno specchio magico,
che la musica di Händel s’incarica di animare con un amore che trascende le
banalità del contingente e le miserie dell’uomo. Si capisce anche perché, grazie
a questi valori universali, il Messia abbia attraversato il tempo mantenendo
inalterata la sua forza espressiva, pur avendo cambiato tante volte volto, anzi
suono. Non ha forse molto senso disquisire su quale sia il “vero” Messia, se
l’inglese o l’americano o il tedesco o il neo-originale. È una verità che il tempo
ha cancellato, meglio: assorbito e diffuso. Le edizioni da preferire si legano
sempre alla sensibilità individuale. Oggi apprezziamo di più quelle che si
avvicinano alle prime versioni settecentesche, più raccolte, più precise, con
poche voci e meno strumenti. Come quella di stasera, che riprende una partitura
in uso a Londra attorno al 1750.
Enzo Beacco
René Jacobs direttore
Ha iniziato la carriera musicale nel coro della Cattedrale di Ghent, sua città natale.
Incoraggiato dai fratelli Kuijken, da Gustav Leonhardt e Alfred Deller a
specializzarsi nel repertorio per controtenore, in poco tempo è diventato uno dei
migliori specialisti del suo tempo con esibizioni in tutta Europa, negli Stati Uniti e
in Estremo Oriente.
Pieno di entusiasmo per la musica barocca e l’immenso repertorio ancora da
scoprire, all’apice della sua carriera di cantante, decide di dedicarsi alla direzione
con l’intenzione di eseguire opere dimenticate e di pubblicarne gli spartiti. Con
l’ensemble Concerto Vocale da lui fondato ha iniziato nel 1977 una serie di
registrazioni di musica del XVII e XVIII secolo e di compositori quali Cesti, d’India,
Ferrari, Marenzio, Lambert, Guédron e molti altri.
René Jacobs ha diretto e registrato opere quali Orontea di Cesti, Xerse e Giasone di
Cavalli, l’Incoronazione di Poppea e Il ritorno d’Ulisse in patria di Monteverdi, Giulio
Cesare di Händel, La finta semplice di Mozart e Don Chisciotte in Sierra Morena di
Francesco Conti.
Nel 1992 la Deutsche Staatsoper Unter den Linden di Berlino lo ha invitato a
dirigere Cleopatra e Cesare di Graun nel 250° anniversario del Teatro dell’Opera di
Berlino e lo ha nominato principale direttore ospite e consigliere artistico. Collabora
inoltre con teatri e festival quali Théâtre Royal de la Monnaie, Théâtre des ChampsElysées, Aix-en Provence e Salisburgo. Ospite regolare di orchestre e ensemble quali
Concerto Köln, The Orchestra of the Age of Enlightenment, Akademie für Alte Musik
Berlin, Nederlands Kamerkoor e Rias-Kammerchor, continua parallelamente la sua
carriera di cantante e si esibisce spesso in recital con partner e amici di lunga data
quali Konrad Junghänel, Wieland Kuijken, Roel Dieltiens e Andreas Staier. Tra i
programmi attuali ricordiamo un nuovo ciclo dedicato alle opere di Monteverdi alla
Deutsche Staatsoper Unter den Linden a Berlino e l'esecuzione di tutte le opere di
Mozart con libretto di Da Ponte al Festival di Innsbruck e a Baden Baden. Dal 1997
è direttore artistico del programma operistico delle “Festwochen der Alten Musik” di
Innsbruck. È inoltre docente di prassi esecutiva barocca alla Schola Cantorum
Basiliensis.
Ha al suo attivo più di 100 registrazioni che hanno meritato premi quali “Le Grand
Prix de l’Académie Charles Cros”, “The International Record Critics Award”,
“Deutscher Schallplattenpreis”, “Cecilia Award”, “Edison Award”, il premio
“Vivaldi” della Fondazione Cini e il “Gramophone Award”.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Freiburger Barockorchester
Ensemble stabile dal 1987, la Freiburger Barockorchester deve il suo successo alla
combinazione di dinamismo e raffinatezza strumentale che caratterizza le sue
esecuzioni. Il debutto ad Amsterdam nel 1989 ha portato l’orchestra a livello
internazionale con una tournée nelle sale da concerto di tutta Europa, in Oriente,
negli Stati Uniti e in Centro e Sud America. L’orchestra, rifacendosi ad una
tradizione del diciottesimo secolo, suona spesso anche senza direttore con l’intento di
sviluppare quell’intensità esecutiva e l’unità di timbro caratteristiche della musica
da camera. Ad oggi ha al suo attivo più di seicento concerti in tutto il mondo sia sotto
la guida dei due primi violini, Gottfried von der Goltz e Petra Müllejans, sia con
direttori ospiti di primo piano quali Ivor Bolton, Roy Goodman, Philippe
Herreweghe, René Jacobs, Gustav Leonhardt e Trevor Pinnock.
È protagonista di concerti nei maggiori festival (Ravinia, Tanglewood, SchleswigHolstein, Lucerna, Salisburgo) e si esibisce per prestigiose istituzioni musicali
(Lincoln Center di New York, Cité de la Musique a Parigi, Palais des Beaux Arts a
Bruxelles, Proms di Londra, Philharmonie di Colonia e Berlino). Nel 2000 e 2001 è
stata orchestra “in residence” al festival Voice & Music di Montreux. Nel febbraio
2000 è stata invitata a Gerusalemme in occasione della visita di stato del Presidente
della Repubblica Federale Tedesca in Israele. È ospite regolare con René Jacobs del
Festival di Innsbruck (La creazione e Le stagioni di Haydn, Orfeo ed Euridice di
Gluck, Rinaldo di Händel). Dall’ottobre 1999 anima una propria serie di concerti
alla Liederhalle di Stoccarda e alla Philharmonie di Berlino.
L’orchestra è stata ospite delle Settimane Bach nel 2000 (Oratorio di Natale, 14° ciclo),
nel 2001 (Passione secondo Giovanni, 15° ciclo), a fianco di Cecilia Bartoli nel
programma Gluck / Salieri dell’ottobre 2003 per la Società del Quartetto e nel 2004 il
28 settembre per il concerto in occasione del convegno “Dieci anni di Bach a Milano”
e il 16 novembre per il 22° ciclo delle Settimane Bach.
Petra Müllejans, Martina Graulich, Hans-Joachim Berg, Gerd-Uwe Klein,
Franka Palowski, Regine Schröder, violini primi
Brian Dean, Gregor Dierck, Johannes Heim, Sebastian Kuhlmann,
Kathrin Tröger, violini secondi
Annette Schmidt, Werner Saller, Jeanette Dorée, viole
Guido Larisch, Stefan Mühleisen, Ute Petersilge, violoncelli
Dane Roberts, Miriam Shalinsky, contrabbassi
Ann-Kathrin Brüggemann, Saskia Fikentscher, oboi
Javier Zafra, fagotto
Friedemann Immer, Francois Petit-Laurent, trombe
Theun van Nieuburg, timpani
Mara Galassi, arpa
Shizuko Noiri, liuto
Massimiliano Toni, cembalo e organo
Clare College Choir, Cambridge
Il Coro del Clare College è stato fondato nel 1326 all’Università di Cambridge. In
origine formato da sole voci maschili, nel 1971 è stato riorganizzato in un coro a voci
miste ed è oggi considerato fra i migliori ensemble corali universitari inglesi.
Accanto alla sua primaria attività di accompagnamento delle funzioni religiose del
College, è attivo in ambito concertistico sia in Gran Bretagna che all’estero. Con Tim
Brown direttore stabile del coro, è stato protagonista di tournée in tutta Europa, in
Russia, negli Stati Uniti e in Estremo Oriente.
Si esibisce regolarmente nelle maggiori sale da concerto della Gran Bretagna e con
le più importanti orchestre inglesi. È stato inoltre ospite dei maggiori festival
europei quali Münchner Opern-Festspiele e Salisburgo. Nel 2000 ha eseguito ai BBC
Proms di Londra la Passione secondo Giovanni; nel 2003 con il Monteverdi Choir
diretto da Sir John Eliot Gardiner L’Enfance du Christ di Berlioz. Nel 2002 è stato
in tournée in Spagna, Belgio, Gran Bretagna e Stati Uniti con l’Orchestra of the Age
of Enlightenment e René Jacobs (Jephtha di Händel), nel 2004 con Nicholas
Kraemer in Giappone e Hong Kong (Requiem di Rutter). Nel settembre scorso è
tornato negli Stati Uniti con concerti a New York, in Texas e nel Midwest.
Ha al suo attivo numerose prime esecuzioni scritte su commissione da autori
contemporanei quali Christopher Brown, Andrew Carter, Jonathan Dove, Herbert
Howells, Nico Muhly, Julian Phillips, Tarik O’Regan, John Rutter e Giles Swayne.
In ambito discografico ricordiamo Venus and Adonis di Blow, Dido and Aeneas di
Purcell con René Jacobs e Illumina, un’interessante esplorazione intorno al tema
della luce. Nel maggio 2003, la registrazione del Requiem di Rutter è stata l’Editor’s
Choice della rivista The Gramophone. Collabora regolarmente con BBC Radio 3.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Philippa Boyle, Esther Chadwick, Eleanor Helps, Laura Honey, Emilia Hughes,
Charlotte Kingston, Tessie Prakas, Amy Riach, Caroline Smith,
Suzanne Szczetnikowicz, Zoe Vanderwolk, soprani
Madeleine Bradbury Rance, Elizabeth Fleming, Charlotte Ho, Lester Lardenoye,
Sarah Shorter, Catherine Symonds, Jessica Thomas, contralti
Gerald Beatty, Jonathan Bird, Jonathan Langridge, Philip Martin,
Benjamin Walton, Benjamin Winpenny, John McMunn, tenori
Edward Ballard, Richard Bannan, Matthew Graham, Will Haggard,
Jonathan Midgley, George Mullan, Edward Parkes, Graham Ross, bassi
Kerstin Avemo soprano
Kerstin Avemo ha studiato all’University College of Opera di Stoccolma. Con un
repertorio che comprende le passioni di Bach e le arie di Mozart, in ambito
concertistico ha eseguito la Resurrezione di Händel con Le concert d’Astrée e
Emmanuelle Haïm al festival d’Auvers-sur-Oise e con Andrew Manze alla Berliner
Philharmonie, la Sinfonia n. 2 di Mahler con la Swedish Radio Symphony Orchestra
e Esa-Pekka Salonen, Les Illuminations di Britten e Carmina Burana di Orff.
In ambito operistico ha collaborato con i teatri d’opera delle città di Göteborg,
Francoforte (Il ratto dal serraglio), Zurigo e Copenhagen (La clemenza di Tito). È
stata inoltre protagonista nell’opera Cecilia and the Monkey King di Reine Jönsson
al Drottningholm Court Theatre registrata dalla televisione svedese.
Nella primavera 2005, ha debuttato al Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, alle Wiener
Festwochen e al Festival di Aix-en-Provence. Nella stagione in corso canterà il ruolo di
Musica/Euridice nell’Orfeo di Monteverdi a Lille, Caen, Parigi (Châtelet) e Strasburgo.
Per il gennaio 2006 ha in programma la Grande Messa in do minore di Mozart con
la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra e Alan Gilbert.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Lawrence Zazzo controtenore
Nato a Philadelphia, Lawrence Zazzo ha studiato letteratura inglese alla Yale
University, musica al King’s College di Cambridge, e canto al Royal College of Music
di Londra. In campo operistico si è esibito nei migliori teatri del mondo, tra i quali
Berliner Staatsoper, Operá de Paris, Royal Opera House Covent Garden, Bayerische
Staatsoper a Monaco di Baviera, Théâtre de la Monnaie a Bruxelles, Lincoln Center
di New York, Drottningholm Opera a Stoccolma, ad Amburgo, Vienna, Lione,
Glyndebourne e Singapore. Ha collaborato con i maggiori specialisti di musica
barocca quali René Jacobs, William Christie, Trevor Pinnock, Ivor Bolton, Joshua
Rifkin, Roy Goodman e Harry Ticket. In recital e concerto si è esibito al Bach Festival
di Lipsia, Edinburgh Festival, Cincinnati May Festival, Wiener Resonanzen e
Festwochen der Alte Musik di Innsbruch. Tra gli impegni futuri Flight e Giulio Cesare
al Glyndebourne Festival e Xerxes (Arsamene) all’English National Opera. Nella
primavera del 2007 debutterà al Metropolitan di New York nel ruolo di Tolomeo nel
Giulio Cesare di Händel. La sua discografia comprende le maggiori opere di Händel,
Griselda di Scarlatti, Jubilate di Purcell, Chichester Psalms di Bernstein e lo Stabat
Mater di Pergolesi.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Patricia Bardon mezzosoprano
Nata a Dublino, Patricia Bardon ha studiato con Veronica Dunne al Conservatorio
della sua città. Premiata giovanissima al concorso “Cardiff Singer of the World”, ha
intrapreso la carriera internazionale che l’ha portata ad esibirsi con direttori quali
Mehta, Haitink, Abbado, Rizzi, Pappano, Jacobs, Eschenbach, Christie e Minkowski.
La sua vocalità particolarmente versatile le consente di spaziare all’interno di un
vasto repertorio che va da Monteverdi a Händel, Gluck, Rossini, Verdi e Bizet ed è
stato ospite di importanti teatri quali La Fenice di Venezia, Théâtre de la Monnaie
di Bruxelles, Staatsoper di Berlino e Amburgo, Scottish Opera e Maggio Musicale
Fiorentino. Segnalata come una tra le più interessanti voci händeliane, si è esibita
al Glyndebourne Festival, ha interpretato Amastris in Xerxes a Monaco di Baviera
e il ruolo della protagonista in Tamerlano al festival di Bearne. La stagione scorsa
ha debuttato alla Welsh National Opera e alla English National Opera nell’Oro del
Reno e Sigfrido di Wagner. Recente è il suo debutto alla Chicago Lyric Opera. È
anche apprezzata camerista con recital nelle maggiori sale da concerto e festival.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Kobie van Rnesburg tenore
Kobie van Rensburg ha intrapreso lo studio del canto sotto la guida di Werner Nel,
mentre stava completando gli studi in legge e politica internazionale alla Northwest
University del Sud Africa. Nel 1994 si è trasferito a Monaco di Baviera dove ha
proseguito gli studi con Hanno Blaschke. Dopo una prima collaborazione con
l’Opera Studio della Bayerische Staatsoper, è entrato a far parte dello Staatstheater
am Gärtnerplatz di Monaco, con il quale collabora tutt’ora. Con un repertorio
operistico che spazia dal Rinascimento ai lavori contemporanei, si è esibito al
Metropolitan di New York e nei maggiori teatri europei. È inoltre ospite di festival
quali Salisburgo, Innsbruck, Schwetzingen, Festival Händel di Halle, Karlsruhe
Händel Festival, Schleswig–Holstein e Lucerna. Ha tenuto recital e concerti in tutta
Europa, negli Stati Uniti, in Egitto e in Argentina. Specialista nell’esecuzione del
repertorio del XVII e XVIII secolo, collabora con direttori ed ensemble quali René
Jacobs e Concerto Vocale, Akademie für Alte Musik, Concerto Köln, Orchestra of the
Age of Enlightenment, Nikolaus Harnoncourt e Concentus Musicus Wien, Sir John
Eliot Gardiner e English Baroque Soloists e Monteverdi Choir, Ivor Bolton e
Freiburger Barockorchester, Thomas Hengelbrock e The Balthasar Neumann
Ensemble, Christopher Hogwood e Academy of Ancient Music, Christophe Rousset e
Les Talens Lyriques, Jean-Claude Malgoire e La Grande Ecurie et la Chambre du Roy.
In campo discografico ricordiamo la registrazione con la Lautten Compagney di
“Haendel Beard” dedicato alle arie per tenore composte per John Beard.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
David Pittsinger basso
Nato nel Connecticut, David Pittsinger ha compiuto gli studi di canto presso la Yale
University. Dopo il diploma ha fatto parte del Merola Program all’Opera di San
Francisco. Si è esibito nei maggiori teatri d’opera del mondo quali Metropolitan di
New York, dove ha debuttato in una nuova produzione di The Rake’s Progress
diretta da James Levine, Théâtre des Champs-Elysées, Théâtre Royal de la
Monnaie, English National Opera, New York, City Opera, Teatro Colón di Buenos
Aires, Opera di San Francisco, Opera Company di Filadelfia, New York City Opera
e Opera di Montreal. In concerto ha collaborato con orchestre e direttori quali Los
Angeles Philharmonic e Zubin Mehta (Requiem di Verdi), National Symphony
Orchestra e Leonard Slatkin (Carnegie Hall, Nona Sinfonia di Beethoven), Houston
Symphony e Hans Graf (Missa Solemnis), Wiener Philharmoniker, l’orchestra
Gulbenkian di Lisbona (Petite messe solennelle di Rossini), l’Orchestra di Lille,
West Deutscher Rundfunk (The Rake’s Progress), Orchestre National de Radio
France, Amsterdamse Bach Solisten (Oratorio di Natale di Bach), Royal
Concertgebouw di Amsterdam. Si è inoltre esibito per i maggiori festival estivi
americani quali Grant Park, Tanglewood, Glimmerglass e Bellingham, al Festival
Casals di Porto Rico e al Klangbogen Festival di Vienna. Tra gli impegni recenti
Carmen all’Opéra di Montpellier, Oedipus Rex all’Opéra di Montreal e Le Nozze di
Figaro a Los Angeles. La sua registrazione di Susannah di Carlisle Floyd ha
meritato il premio “Grammy Award”.
È per la prima volta ospite della nostra Società.
Prossimi concerti:
martedì 17 gennaio 2006, ore 19.30
András Schiff pianoforte
J.S. Bach - Sei Partite BWV 825-830
esecuzione integrale
Dopo l’omaggio al Messia e a Händel, il grande contemporaneo (e non
rivale, perché i due mai si incontrarono e sempre agirono in territori diversi),
torniamo a Bach con una preziosissima integrale. Sentiremo tutte le Partite,
quella collezione di 6 serie di danze che, dopo le 6 Suites francesi e le 6
Suites inglesi, Bach concepì come ultimo gradino nella scala tecnica ed
espressiva che porta ai vertici del Clavicembalo ben temperato, e a tutta la
successiva letteratura pianistica. L’occasione è ancora più preziosa perché
affidata ad András Schiff, che non solo conosciamo bene perché più volte
ospite della nostra Società, ma anche perché dell’interpretazione di Bach ha
fatto il caposaldo di un repertorio sterminato, che arriva ai nostri giorni,
sempre dominato con ferrea precisione tecnica e perfetta sensibilità
stilistica. Qualità che hanno portato Schiff a diventare uno dei più importanti
pianisti non solo della sua generazione, ma del nostro tempo.
Programma (Discografia minima)
J.S. Bach
Sei Partite
(A. Schiff
Decca 452 279-2)
martedì 31 gennaio 2006, ore 20.30
Quartetto Emerson
Mozart, Šostakovič
martedì 7 febbraio 2006, ore 20.30
Leon Fleisher pianoforte
Bach, Koston, Kirchner, Stravinskij, Brahms, Schubert
UNA SERATA DI FESTA
Venerdì 20 gennaio 2006, ore 20.00 e 21.30
Sala delle Otto Colonne di Palazzo Reale
Per festeggiare il 250° anniversario della nascita di Mozart (27 gennaio 1756) la
Società del Quartetto in collaborazione col Comune di Milano ha invitato due
notissimi fortepianisti, Andreas Staier e Melvyn Tan, per due concerti interamente dedicati alle musiche del genio di Salisburgo eseguite su tre autentici
fortepiani dell’epoca (uno dei costruttori Stein e due del loro “rivale” Walter)
che appartengono alla straordinaria collezione di Fernanda Giulini.
L’esigenza di ospitare gli strumenti in un luogo raccolto, adatto a coglierne al
meglio la loro voce, e il desiderio di consentire a un pubblico più numeroso di
ascoltare il loro prezioso suono, hanno convinto la Società del Quartetto a programmare nella stessa serata due concerti, ore 20 e ore 20.30.
I biglietti (€ 15 per ciascun concerto) sono in vendita in prelazione per i Soci
da lunedì 9 gennaio 2006 fino ad esaurimento del contingente disponibile in via
Durini 24 (da lunedì a venerdì ore 13.30 – 17.30). Prevendita aperta al pubblico
da venerdì 13 gennaio.