GA Numero 2015 3 - Gazzetta Amministrativa

annuncio pubblicitario
Autorizzazione del Tribunale
di Roma n. 374/2010
Numero 3-4
Anno 2015
GAZZETTA AMMINISTRATIVA
DELLA REPUBBLICA ITALIANA
pareristica a cura dell’
TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Fondatore Enrico Michetti
●
●
IN QUESTO NUMERO
ACQUA. I BENI PUBBLICI FRA COSTITUZIONE, CODICE CIVILE E CODICE DELL’AMBIENTE
THE EVOLUTION OF THE INTEGRATED WATER SERVICE IN ITALY: ISSUES AND CURRENT
PROBLEMS
●
LA CITTÀ METROPOLITANA: ENTE RIVALE O ENTE SUBALTERNO? UNA RASSEGNA
●
CORPORATE GOVERNANCE E PARITÀ DI GENERE
●
IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI NELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E TUTELA
DEL“VALORE CULTURALE” COME BENE IMMATERIALE
●
L’ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI AI RAPPORTI DI DIRITTO PRIVATO
●
LA RIFORMA MADIA SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
●
●
●
●
LA V.I.A. E L’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN TEMA DI IMPIANTI DA FONTI
RINNOVABILI: DUE NORME A CONFRONTO, ALLA LUCE DEL RECENTE INTERVENTO
DEL T.A.R. PUGLIA
LA LEGITTIMITÀ E LA LEGITTIMAZIONE DELLE VERANDE NELLA LEGGE DEL 11.8.2010,
N.21 E SMI. LEGGE CD. ‘PIANO CASA CALABRIA’
LA TEORIA DEL “SUBAPPALTO NECESSARIO”: IL RECENTE DIBATTITO ALLA LUCE DEI
DIVERSI
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
IN HOUSE E ATTIVTÀ’ PREVELENTE: IL CONSIGLIO DI STATO SOLLEVA DUE QUESITI ALLA
CORTE DI GIUSTIZIA
●
IL LAVORO E’…. AGILE
●
FISCALITÀ E PREVIDENZA: PROFILI RICOSTRUTTIVI DEL “CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ”
●
BREVI NOTE SU NASCITA E SVILUPPO DELLA “CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY”
DIREZIONE REDAZIONE E SEDE LEGALE: VIA G. NICOTERA, 29 - 00195 ROMA
Tel. 06.3242351 - 06.3242354 Fax 063242356 - Sito: www.gazzettaamministrativa.it
Gazzetta Amministrativa
Amministrativa
Gazzetta
Numero 3-4 Anno 2015
Presidente Onorario: Dott. Pasquale de Lise
(Presidente emerito del Consiglio di Stato)
Presidente del Comitato dei Saggi: Avv. Ignazio Francesco Caramazza
(Avvocato Generale emerito dello Stato)
CONSIGLIO SCIENTIFICO
Presidente: Prof. Alberto Romano
Vice Presidenti: Avv. Massimo Mari e Dott. Ing. Massimo Sessa
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Antonio Bartolini, Prof. Salvatore Bellomia, Pres. Franco Bianchi, Prof. Antonio Briguglio, Prof. Roberto Caranta, Prof.
Agostino Cariola, Prof.ssa Lucia Cavallini, Prof. Roberto Cavallo Perin, Prof. Guido Corso, Prof. Enrico Follieri, Prof.
Fabio Francario, Prof. Carlo Emanuele Gallo, Prof. Vincenzo Caputi Iambrenghi, Prof. Giovanni Leone, Prof. Fiorenzo
Liguori, Prof. Bernardo Giorgio Mattarella, Prof. Francesco Merloni, Prof. Fabio Merusi, Pres. Filippo Paone, Prof.
Nino Paolantonio, Pres. Calogero Piscitello, Prof.ssa Paola Piras, Prof. Aristide Police, Dott. Giuseppe Rotondo, Prof.
Mario Sanino, Prof. Salvatore Raimondi, Dott. Alfredo Storto, Prof. Antonio Romano Tassone, Dott. Andrea Paolo
Taviano, Prof. Luciano Vandelli.
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Andrea Biondi, Prof. Alejo Hernandez Lavado, Prof. Emanuele Lobina, Prof. Dimitris Xenos.
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Componenti: Prof.ssa Francesca Angelini, Prof. Raffaele Bifulco, Prof.ssa Paola Chirulli, Prof. Alfredo Contieri, Pres.
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Prosperetti, Prof. Emilio Paolo Salvia, Prof. Filippo Satta, Prof.ssa Elisa Scotti, Prof. Stefano Vinti.
COMITATO DI DIREZIONE
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Paolo Romani.
REDAZIONE
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Francesco Colacicco, Avv. Maria Cristina Colacino, Dott. Pasquale Colafemmina, Avv. Fulvio Costantino, Dott. Paolo
Cortesini, Dott.ssa Flora Cozzolino, Avv. Anna Maria Crescenzi, Avv. Ilaria de Col, Ing. Andrea Di Stazio, Dott.
Fabrizio De Castris, Avv. Giovanna De Maio, Avv. Maurizio Dell’Unto, Avv. Stefano Di Giovan Paolo, Avv. Paolo
Ermini, Dott.ssa Matilde Esposito, Dott. Daniele Fabbro, Avv. Fabio Falco, Avv. Enrico Gai, Avv. Riccardo Gai, Avv.
Antonino Galletti, Avv. Andrea Grappelli, Avv. Andrea Iacobini, Avv. Livio Lavitola, Avv. Francesco Lettera, Dott.
Massimiliano Mignanelli, Avv. Carmine Medici, Dott. Fabrizio Pagniello, Avv. Giuseppe Petretti, Avv. Gianluca
Piccinni, Avv. Enrico Pierantozzi, Avv. Andrea Pistilli, Avv. Luigi Marcelli, Dott. Adriano Marini, Avv. Tiziana
Molinaro, Avv. Simone Morani, Prof. Gianluca Montanari Vergallo, Dott. Gennaro Napolitano, Avv. Mario Nigro, Avv.
Andrea Perrotta, Avv. Giuseppe Petrillo, Avv. Marcello Anastasio Pugliese, Avv. Anna Romano, Prof.ssa Maria Rosaria
Salerni, Dott. Fernando Santoriello, Avv. Stefano Sassano, Avv. Francesco Scittarelli, Dott. Michele Scognamiglio,
Dott.ssa Claudia Tarascio, Avv. Michela Urbani.
- sommario -
SOMMARIO
SEZIONE RISERVATA AI SAGGI
ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI
ACQUA. I BENI PUBBLICI FRA COSTITUZIONE, CODICE CIVILE E CODICE DELL’AMBIENTE
del Prof. Roberto Miccù e del Dott. Francesco Palazzotto ............................................................................................. 5
THE EVOLUTION OF THE INTEGRATED WATER SERVICE IN ITALY: ISSUES AND CURRENT
PROBLEMS
del Prof. Roberto Miccú e del Dott.Francesco Palazzotto ...................................................................................... 24
LA CITTÀ METROPOLITANA: ENTE RIVALE O ENTE SUBALTERNO? UNA RASSEGNA
della Dott.ssa Adele De Angelis ...................................................................................................................................... 51
CORPORATE GOVERNANCE E PARITÀ DI GENERE
della Dott.ssa Giuliana Tulino ........................................................................................................................................ 62
IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI NELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E TUTELA DEL
“VALORE CULTURALE” COME BENE IMMATERIALE
della Dott.ssa Maria Laura Maddalena .......................................................................................................................... 69
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
E RIFORME ISTITUZIONALI
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 73
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 92
L’ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI AI RAPPORTI DI DIRITTO PRIVATO
dell’Avv. Enrico Gai ....................................................................................................................................................... 92
LA RIFORMA MADIA SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
dell’Avv. Paolo Turco ..................................................................................................................................................... 98
GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 100
USO DEL TERRITORIO:
URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 120
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 125
LA V.I.A. E L’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN TEMA DI IMPIANTI DA FONTI
RINNOVABILI: DUE NORME A CONFRONTO, ALLA LUCE DEL RECENTE INTERVENTO DEL
T.A.R. PUGLIA
della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi................................................................................................ 125
LA LEGITTIMITÀ E LA LEGITTIMAZIONE DELLE VERANDE NELLA LEGGE DEL 11.8.2010, N.21 E
SMI. LEGGE CD. ‘PIANO CASA CALABRIA’
dell’Avv. Francesca Cosentino ....................................................................................................................................... 131
GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 137
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Numero 3/4 - 2015
- sommario -
UNIONE EUROPEA E
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI............................................................................................................................. 152
GIURISPRUDENZA..................................................................................................................................................... 163
CONTRATTI, SERVIZI
PUBBLICI E CONCORRENZA
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI............................................................................................................................. 168
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 182
LA TEORIA DEL “SUBAPPALTO NECESSARIO”: IL RECENTE DIBATTITO ALLA LUCE DEI DIVERSI
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
dell’Avv. Salvatore Napolitano ....................................................................................................................................... 182
IN HOUSE E ATTIVTÀ’ PREVELENTE: IL CONSIGLIO DI STATO SOLLEVA DUE QUESITI ALLA
CORTE DI GIUSTIZIA
dell’Avv. Raffaele Fragale............................................................................................................................................... 185
GIURISPRUDENZA..................................................................................................................................................... 189
PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI............................................................................................................................. 220
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 228
IL LAVORO E’…. AGILE
del Prof. Dott. Stefano Olivieri Pennesi .......................................................................................................................... 228
GIURISPRUDENZA..................................................................................................................................................... 232
PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 247
PATTO DI STABILITÀ,
BILANCIO E FISCALITÀ
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI............................................................................................................................. 248
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 261
FISCALITÀ E PREVIDENZA: PROFILI RICOSTRUTTIVI DEL “CONTRIBUTO DI SOLIDARIETÀ”
del Dott. Sabato Vinci ..................................................................................................................................................... 261
GIURISPRUDENZA..................................................................................................................................................... 266
PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 268
GIUSTIZIA E
AFFARI INTERNI
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI............................................................................................................................. 274
GIURISPRUDENZA..................................................................................................................................................... 286
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Numero 3/4 - 2015
- sommario PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 292
INCENTIVI E SVILUPPO
ECONOMICO
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 296
REDAZIONALI ............................................................................................................................................................ 304
BREVI NOTE SU NASCITA E SVILUPPO DELLA “CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY”
del Dott. Sabato Vinci ..................................................................................................................................................... 304
GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 307
COMUNICAZIONE E INNOVAZIONE
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 316
GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 323
SANITÀ E SICUREZZA SOCIALE
NOTIZIE ED AGGIORNAMENTI ............................................................................................................................ 337
GIURISPRUDENZA .................................................................................................................................................... 349
PARERI - AVVOCATURA DELLO STATO ............................................................................................................ 360
DICHIARAZIONE SULL’ETICA, SULLE PRATICHE SCORRETTE E REGOLAMENTO SULLE
MODALITÀ DI VALUTAZIONE DEI CONTRIBUTI SCIENTIFICI PUBBLICATI IN GAZZETTA
AMMINISTRATIVA DELLA REPUBBLICA ITALIANA
........................................................................................................................................................................................ 365
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Numero 3/4 - 2015
Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
SEZIONE RISERVATA AI SAGGI
ED AI CONTRIBUTI SCIENTIFICI
SOMMARIO
ACQUA. I BENI PUBBLICI FRA COSTITUZIONE, CODICE CIVILE E CODICE DELL’AMBIENTE
del Prof. Roberto Miccù e del Dott. Francesco Palazzotto ............................................................................................. 5
THE EVOLUTION OF THE INTEGRATED WATER SERVICE IN ITALY: ISSUES AND CURRENT
PROBLEMS
del Prof. Roberto Miccù e del Dott. Francesco Palazzotto ..................................................................................... 24
LA CITTÀ METROPOLITANA: ENTE RIVALE O ENTE SUBALTERNO? UNA RASSEGNA
della Dott.ssa Adele De Angelis ...................................................................................................................................... 51
CORPORATE GOVERNANCE E PARITÀ DI GENERE
della Dott.ssa Giuliana Tulino ........................................................................................................................................ 62
IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI NELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E TUTELA DEL
“VALORE CULTURALE” COME BENE IMMATERIALE
della Dott.ssa Maria Laura Maddalena .......................................................................................................................... 69
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Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
ACQUA. I BENI PUBBLICI FRA COSTITUZIONE, CODICE
CIVILE E CODICE DELL’AMBIENTE
del Prof. Roberto Miccú e del Dott. Francesco Palazzotto
Il significato della generale pubblicità di tutte le acque attuata dal legislatore, prima con la Legge Galli e successivamente con il Codice dell’Ambiente, rappresenta una nuova demanialità che
comporta una funzione di tutela e di governance. Questa nuova demanialità si muove fra i criteri
della sostenibilità e della solidarietà, ma tende a ridursi, alla luce del d.lgs 85/2010, al demanio
marittimo e idrico, mantenendo però la caratteristica espansiva propria di questa tipologia di
beni. Tale vis espansiva deriva dalla speciale funzione che questi beni assolvono, come confermato anche dalla Corte di Cassazione. Ciò non esaurisce la complessità dello statuto giuridico
dell’acqua che è composto da una componente di tipo patrimoniale e da una componente di tipo
ambientale. La risorsa idrica è stata oggetto di molteplici interventi legislativi che ne hanno modificato l’organizzazione, la gestione e le modalità di affidamento del servizio. La sfida da affrontare, oggi, consiste nel bilanciare le opposte esigenze tra protezione dei diritti fondamentali e risparmio delle risorse pubbliche.
The meaning of generic advertising of all waters carried by the legislature, first with the Galli
Law and later with the Environmental Code, represents a new state property (demanialità) which
involves the protection and governance function. This new demanialità moves between the criteria of sustainability and solidarity, but tends to be reduced, in the light of the Legislative Decree
85/2010, to maritime property and water, while maintaining the expansive distinctive feature of
this type of goods. This comes from the expansive vis special feature that these assets perform, as
confirmed by the Supreme Court. This does not exhaust the complexity of the legal statutes of
water that is composed by a patrimonial type component and an environmental one.
The water resource has been object of many legal actions that have modified the organization, the
management and the procedures for award of the service. The challenge today is to balance the
conflicting demands of protection of fundamental rights and savings of public resources.
Sommario: 1. Premessa. 2. Beni pubblici, inquadramento normativo generale. 3. Legge Galli e
mutamento dell’interesse tutelato. 4. Il diritto delle acque ed il Codice dell’ambiente. 5. La pubblicità dell’acque e l’ambiente. 6. Solidarietà ambientale e generazioni future, fra Costituzione e
Codice dell’ambiente. 7. Corte di Cassazione, sentenza n. 3813 del 2011. 8. La risorsa idrica ed
il ruolo dello Stato-apparato. 9. Conclusioni.
1. Premessa.1
Il presente lavoro2 vuole approfondire il
significato della generale pubblicità di tutte le
acque attuata dal legislatore prima con la
Legge Galli e successivamente con il Codice
dell’Ambiente.
L’evoluzione della disciplina sulla natura
giuridica dell’acqua è frutto degli interessi
pubblici collegati alla risorsa e ad una progressiva presa di coscienza del suo valore. La
dichiarazione ex lege di pubblicità di tutte le
acque, come prevista dall’art. 1 della c.d. l.
Galli e confermata dall’art. 144 del T.U. ambiente, deriva dal progressivo convincimento
che l’acqua costituisca una risorsa sempre più
limitata, infatti l’effetto principale della norma in questione, è stato quello di spostare definitivamente l’attenzione ai profili gestionali
1
Saggio sottoposto con esito positivo alla procedura di
referaggio ai sensi del Regolamento interno della
Rivista.
2
Il presente articolo è il frutto di una comune riflessione tra i due Autori. Tuttavia i paragrafi 1, 2 e 6 sono
attribuibili a Roberto Miccú; i paragrafi 3, 4, 5, 7 e 8 e
9 a Francesco Palazzotto
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Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
e di tutela3.
Analizzando il servizio idrico integrato
emergono più aspetti fondamentali, quali la
protezione della risorsa idrica come componente ecologica, la garanzia di una effettiva
ed efficiente distribuzione di adeguati quantitativi della stessa per il soddisfacimento dei
bisogni fondamentali della popolazione e le
problematiche che riguardano la sostenibilità
economica a causa dei necessari investimenti
infrastrutturali.
I primi due aspetti scaturiscono dalla consapevolezza che l’acqua, pur essendo un elemento ecosistemico fondamentale e non sostituibile, è una risorsa vulnerabile e scarsa; il
terzo aspetto che influenza gli altri due è dettato dalle recenti vicende economiche internazionali e nazionali che hanno comportato
un rallentamento nella dinamica della realizzazione delle infrastrutture.
Questo rallentamento, per il nostro Paese,
ha comportato l’apertura di diverse procedure
di infrazione da parte della Commissione europea per il mancato adeguamento degli impianti di depurazione4.
I cambiamenti in atto, con particolare riferimento alla qualificazione giuridica della risorsa, ai modelli organizzativi e alle forme di
interventi dell’amministrazione stanno subendo un accelerazione dettata da fattori esterni sempre più incalzanti, quali l’ inquinamento e la carenza, fattori accentuati dai
cambiamenti climatici e dalla domanda crescente.
Tutto ciò ha evidenziato la necessità di un
inevitabile bilanciamento fra nuove regole allocative, forma di prelievo ed il canone5.
Il legislatore, ancora oggi, parla di demanialità delle acque, non rinunciando a tale de-
finizione neppure in occasione del nuovo
programma di “federalismo demaniale” iniziato con il d.lgs. 28.5.2010, n. 85 (Attribuzione a comuni, province, città metropolitane
e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'art. 19 della l. 5.5.2009, n. 42.).
Oggi, dopo un periodo di “demanializzazione”, a causa dell’acuirsi della crisi economico-finanziaria, si è cercato di indirizzare la
proprietà pubblica, oltre a soddisfare i bisogni
delle persone e le esigenze dell’organizzazione amministrativa, anche ad essere gestita economicamente, valorizzata, "messa a
reddito" e a disposizione, per fronteggiare le
svariate crisi economico-finanziarie. In questa
seconda fase, il regime giuridico del demanio
si è spostato verso il regime giuridico del patrimonio indisponibile.
Questa fase è stata definita come fase di
“patrimonializzazione” o, meglio, di despecializzazione e privatizzazione del regime dei
beni pubblici, in particolare dei beni demaniali6.
Tutto ciò ha spinto una parte della dottrina
ad affermare la necessità di creare una nuova
figura di beni che potesse tutelare meglio i diritti fondamentali dell’uomo, identificata nei
cosiddetti “beni comuni”.
Infatti, viene affermato dalla stessa dottrina che il demanio e i beni pubblici altro non
sarebbero che una mera variante del diritto di
proprietà, che da questo si distinguerebbe solo per il dato soggettivo, ossia per essere imputato, invece che a un soggetto privato, a un
ente pubblico7.
6
In una prima lunghissima fase, durata almeno sino
all'inizio degli anni novanta del secolo scorso, il
regime dei beni patrimoniali indisponibili è stato
sempre più modellato sulla base di quello previsto per i
beni demaniali, che comunque non ha permesso di
garantire al meglio l’integrità e la fruizione pubblica
dei beni in questione, M. RENNA, Le prospettive di
riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici,
in Il diritto dell’economia, 1/2009.
7
Categoria giuridica distinta sia dai beni pubblici che
dai beni privati dove possano trovare migliore tutela
alcuni diritti che hanno ad oggetto valori od obiettivi,
come la salubrità dell’aria e dell’ambiente. Nel caso
dei beni comuni, importante non è solo il riferimento ai
diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona,
ma anche “al beneficio delle generazioni future”.
Questa parziale definizione di “beni comuni” è
rinvenibile nel Disegno di legge delega elaborato dalla
3
R. BRIGANTI, Il diritto all’acqua tra tutela dei beni
comuni e governo dei servizi pubblici, Napoli, ESI,
2012, p.58 e ss.
4
In Italia, oltre la problematica della depurazione
occorre monitorare anche il problema delle perdite
idriche, che sono molto elevate, superiori al 40% dei
volumi di acqua immessi negli acquedotti con punte
che arrivano, in determinate zone, fino al 78%, si v.
ANEA, I servizi idrici a quindici anni dalla riforma,
Roma, 2009.
5
L. FERRAJOLI, Per una Carta dei beni fondamentali,
in T. MAZZARESE, P. PAROLARI (a cura di), Diritti
fondamentali, le nuove sfide, Torino, Giappichelli,
2010.
Gazzetta Amministrativa
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Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
zione e classificazione8.
Il legislatore, sia nel codice civile del 1865
che del 1942, si limitò ad identificare con
precisione quali fossero i beni demaniali, in
quanto secondo l’opinione dei giuristi di allora, solamente questi erano inalienabili, imprescrittibili e autotutelabili; in particolare, il legislatore del 1942 adottò ufficialmente il criterio della tassatività dei beni demaniali. In
questo modo, il legislatore che aveva l’intento
di ordinare la materia finì per creare alcune
incongruenze, soprattutto fra la nozione e i
relativi beni identificati come beni demaniali
o appartenenti al patrimonio indisponibile9.
L’art. 42 della Costituzione recita che la
proprietà è pubblica o privata e che i beni economici appartengono allo Stato, a enti, o a
privati, insistendo nei commi successivi sulla
definizione giuridica della sola proprietà privata, ma dall’art. 43 si evince che esiste una
specie di proprietà diversa da quella dello
Stato, degli Enti pubblici e dei privati.
La figura dei beni pubblici si può analizzare sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, inoltre nel nostro ordinamento gli enti
pubblici sono anche soggetti di diritto comune.
Conseguentemente a quanto affermato, un
bene è pubblico in senso soggettivo se appartiene ad un ente pubblico, tuttavia un ente potrà avere un bene sia come qualsiasi altro
soggetto di diritto comune sia come bene per
poter svolgere quella attività a cui è preposto.
Un bene è pubblico in senso oggettivo in
quanto fornisce una utilità ad una collettività
pubblica, che può essere fornita in vario modo.
Tuttavia in riferimento ai beni pubblici, il
legislatore, alcune volte, ha accolto l’aspetto
soggettivo, altre volte, quello oggettivo. Tutto
ciò comporta che la normazione positiva, in
riferimento ai beni pubblici, sia frutto di una
Oggi per comprendere meglio le conseguenze che comporta il regime della pubblicità-demanialità, non è più possibile limitarsi
all’esame della sola normativa codicistica del
’42, risultando indispensabile integrare la
stessa con le varie fonti dell’ordinamento e
specificamente con le (successive) norme costituzionali.
2. Beni pubblici, inquadramento normativo generale.
Le disposizioni generali riguardanti i beni
pubblici le ritroviamo nel Codice civile agli
artt. 822 e ss. e nella Costituzione agli artt. 42
e ss..
Riguardo il codice civile occorre soffermarsi sull’art. 822, che elenca tre categorie
fondamentali, tuttavia per quel che interessa
l’argomento di questa ricerca verrà analizzato
il c.d. demanio necessario che comprende il
demanio marittimo, idrico e militare; inoltre
esaminando anche l’art. 824 c.c. che comprende il c.d. demanio eventuale si comprende come i beni demaniale siano una categoria
“disomogenea”.
L’art. 823 c.c., determina la condizione
giuridica dei beni che costituiscono il demanio, stabilendo che sono beni inalienabili e
incommerciabili. L’inadeguatezza della classificazione dei beni pubblici offerta dal codice civile induce a ricercare altrove un criterio
giuridicamente valido per la loro identifica-
c.d. “Commissione Rodotà”, istituita il 21.6.2007 ed
incaricata di proporre al Parlamento italiano un
progetto di modifica del Capo II del Codice civile. In
dottrina, si veda A. CIERVO, Beni comuni, Ediesse,
Roma 2012; P. CHIRULLI, I beni comuni, tra diritti
fondamentali, usi collettivi e doveri di solidarietà, in
www.giustamm.it, n. 5/2012; A. LUCARELLI, Proprietà
pubblica, principi costituzionali e tutela dei diritti
fondamentali. Il progetto di riforma del codice civile:
un’occasione perduta?, in S. RODOTÀ, U. MATTEI, E.
REVIGLIO (a cura di), I beni pubblici, Roma, 2009; U.
MATTEI, E REVIGLIO, S. RODOTÀ (a cura di), Invertire
la rotta. Idee per una riforma della proprietà pubblica,
Il Mulino, Bologna, 2007; M. R. MARELLA, Oltre il
pubblico e il privato. Per un diritto dei beni comuni,
introduzione, Ombre Corte, 2012; U. MATTEI, BENI
COMUNI un manifesto, Editori Laterza, Bari, 2012;
U. MATTEI, Contro riforme, Einaudi, Torino, 2013; R.
MICCÙ, I beni comuni. Discussione tra giuristi ed
economisti a partire da un libro di Antonello Ciervo,
Roma, 2014.
Gazzetta Amministrativa
8
V. CAPUTI JAMBRENGHI, I beni pubblici e d’interesse
pubblico, in AA. VV., Diritto amministrativo,
Monduzzi, Bologna 1998, p. 1081 e ss
9
M. S. GIANNINI, I beni pubblici, M. Bulzoni Editore, Roma, 1963, p. 29 e ss, l Autore afferma che
il legislatore di allora adottò il criterio della tassatività
dei beni demaniali, suggerito dalla dottrina più
autorevole (Zanobini, F. Vassalli).
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Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
commistione di istituti giuridici diversi10.
Secondo molti giuristi della prima metà
del secolo scorso il demanio era una «proprietà» dello Stato e degli altri enti pubblici
territoriali. Si riteneva che la condizione giuridica dei beni demaniali dovesse essere qualificata in termini di proprietà pubblica grazie
alla soggettività di diritto pubblico del proprietario.
Si riteneva inoltre che anche la disciplina
dei beni pubblici sarebbe dovuta essere inquadrata all’interno della fattispecie privatistica del diritto di proprietà.
Il Guicciardi, in una sua importante opera,
sostiene che <<può affermarsi la piena equivalenza delle due espressioni “bene demaniale” e “bene oggetto di proprietà pubblica”>>11.
Un bene poteva essere catalogato come
demaniale solamente se lo stesso fosse stato
destinato “ad una funzione esclusiva dell’ente
pubblico come tale”12.
La demanialità era definita come diritto di
signoria dello Stato sopra una bene, identico
al diritto privato di proprietà se non fosse stato per la questione dei limiti13.
La proprietà pubblica era considerata, “nel
suo lato giuridico interno”, sostanzialmente
uguale alla proprietà privata.
La differenza con la proprietà privata è riscontrabile solamente nei rapporti esterni,
perchè, quando hanno origine dalla proprietà
pubblica, nascono rapporti di supremazia e di
sudditanza14.
Tutto questo però ha generato una contraddizione poiché l’aggettivo pubblico che
significa anche collettivo, che appartiene a
tutti, è stato associato con la proprietà che indica condizioni esclusive.
Da quanto affermato ci si rende conto come queste condizioni non siano sufficienti per
inquadrare il contenuto del demanio, anche
perche sono situazioni oggettive che si possono ritrovare in tanti altri beni per cui, per
questa categoria di beni, come in tanti altri
casi, bisognerà ricorrere alla elaborazione
dottrinale15.
L’art. 43 della Costituzione, prevedendo
che certe categorie di imprese possano essere
trasferite o originariamente riservate allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori
o di utenti, sembrerebbe introdurre una nuova
specie di proprietà diversa da quella dello
Stato, degli Enti pubblici e dei privati. I beni
pubblici non costituiscono una categoria uni-
10
Per un approfondimento si vedano M. S. Giannini, I
beni pubblici, M. Bulzoni - Editore, Roma, 1963, p.
10; A. M. Sandulli, (voce) Beni pubblici, in Enc. dir.,
IV, Milano 1959, pp. 277 e ss.; O. T. Scozzafava , I
beni e le forme giuridiche di appartenenza, Giuffrè,
Milano 1982, p. 608; S. Pugliatti, (voce) Beni (teoria
gen.), in Enc. dir., V, Milano 1959, p. 164 e ss.
11
E. GUICCIARDI, Il Demanio, Cedam, Padova 1934,
ristampa E. GIUCCIARDI, Il Demanio, Cedam, Padova
1989, p. 268.
12
E. GUICCIARDI, Il Demanio, cit., p. 72. È questo il
requisito specifico della demanialità che l’Autore
aggiunge ai requisiti generici, dati, il primo, dalla
«qualità di bene immobile.» e il secondo dalla
«qualità del soggetto proprietario: il bene demaniale
deve appartenere ad un ente pubblico territoriale [...]
ad una persona cioè che abbia in sé gli elementi che
permettono l’esercizio sui beni stessi di quel potere di
coercizione, che è caratteristico nel regime giuridico
della demanialità.».
13
G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e
i requisiti giuridici della demanialità, in Studi senesi,
1923, ora in Scritti vari di diritto pubblico, Milano,
1955, pp. 183-184, l’Autore afferma che “diritto di
signoria dello Stato sopra una cosa: diritto di
signoria, che, se si toglie la questione dei limiti, è
identico a quello che sulle cose possono avere i privati
in forza del diritto privato di proprietà”.
Gazzetta Amministrativa
14
G. ZANOBINI, Il concetto della proprietà pubblica e
i requisiti giuridici della demanialità, cit., pp. 183184, l’Autore riporta quanto segue: “La
differenziazione si ha soltanto quando viene in
considerazione il lato esterno, e quasi riflesso, del
diritto di proprietà: i rapporti che a causa di tale
diritto possono stabilirsi fra il soggetto di esso e gli
altri soggetti, mentre quando hanno origine nella
proprietà privata sono rapporti di eguaglianza,
quando hanno origine dalla proprietà pubblica, sono
rapporti di supremazia e di sudditanza: dato il
carattere assolutistico dei diritti reali, si tratta di
poteri di supremazia d’ordine assoluto, identici quindi
alla generale sovranità”.
15
M. S. GIANNINI, I beni pubblici, M. Bulzoni Editore, Roma, 1963, p. 3 e ss., l’autore afferma che:
“il quasi completo silenzio normativo per i beni
pubblici e i diritti reali pubblici fa contrasto con la
disciplina dei beni e dei diritti reali privati, e sembra
quasi smentire il principio di tipicità dei diritti reali”
…… “ Se però dalle forme passiamo alla dottrina, ci
avvediamo che sui beni e sui diritti reali esiste un
corpo di tradizione dottrinale che si presenta dotato di
una solida consistenza.” …… “ esso è stato in grado
di aver elaborato delle regole, diciamo anzi delle
proposizioni normative, che la giurisprudenza dei
nostri giudici accoglie e applica …”
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Numero 3/4- 2015
Sezione riservata ai Saggi
ed ai Contributi Scientifici
forme ma differenziata sia per qualità giuridiche che funzionali ma, quello che varia è
principalmente la tipologia di proprietà; infatti, i beni pubblici possono essere suddivisi in
proprietà collettiva, proprietà divisa e proprietà individuale16.
In assenza di una concreta e sufficiente regolamentazione da parte del diritto positivo,
al fine di analizzare la figura dei beni demaniali bisogna preventivamente analizzare gli
stessi partendo dalla situazione storica, in particolare dal diritto romano, che prevedeva anche una proprietà diversa da quella individuale, intesa come appartenente ad un soggetto
privato o pubblico, per capire come questa si
sia trasformata fino ad arrivare ai giorni nostri.
le politiche della domanda, trasformando le
acque in un mezzo di produzione.
La ragione dell’intervento pubblico veniva
identificata nell’assegnazione dei diritti di
prelievo e gli usi di pubblico interesse erano
identificati negli usi praticabili dai privati a
seguito dell’ottenimento della concessione. In
pratica si pensava che l’interesse pubblico
fosse soddisfatto dallo sfruttamento economico-intensivo della risorsa da parte dei privati,
previa concessione18.
A partire dagli anni settanta, a causa dei
fenomeni di inquinamento, si è affermata
l’idea che l’acqua necessitasse di tutela in
quanto elemento essenziale dell’ambiente.
Con la 1. 5.1.1994, n. 36, il legislatore ha
configurato un sistema normativo volto alla
salvaguardia delle acque nel suo complesso19.
3. Legge Galli e mutamento dell’interesse tutelato.
Occorre indagare sull’impatto che ha comportato la dichiarazione generalizzata di pubblicità di tutte le acque, disposta dalle recenti
normative.
La dichiarazione ex lege di pubblicità di
tutte le acque, come prevista dall’art. 1 della
c.d. legge Galli, derivava dal progressivo
convincimento che l’acqua fosse una risorsa
non illimitata, infatti, l’effetto principale della
norma in questione è stato quello di spostare
l’attenzione dai profili dominicali a quelli gestionali e di tutela17.
Il legislatore con la legge Galli modifica
l’obiettivo precedentemente perseguito con il
r.d. 1775/1933.
Infatti, con il Testo Unico del 1933, il legislatore mirava a garantire il più completo e
razionale sfruttamento delle risorse idriche, di
qualsiasi tipo ed origine, o direttamente o in
via mediata.
Durante il periodo precedente alla legge
Galli il sistema idrico è stato sottoposto a
sempre maggiori prelievi e scarichi inquinanti
in assenza di una legislazione che ponesse dei
limiti al prelievo e agli scarichi inquinanti e
che prendesse in considerazione unicamente
18
Per una ricostruzione degli obiettivi perseguiti dal
legislatore dall’unificazione del Regno al testo unico
del 1933 si veda, E. BOSCOLO, Le politiche idriche
nella stagione della scarsità. La risorsa comune tra
demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni,
Giuffrè, Milano 2012, passim; l’Autore evidenzia
come l’acqua era divenuto un mezzo per la produzione
e come si era allontanata la prospettiva di una idea
della pubblicità della risorsa costruita in chiave di
garanzia degli usi individuali. A pag. 267, l’Autore
afferma che “una implicita rigerarchizzazione degli
interessi sottesi alla dichiarazione di pubblicità aveva
infatti portato l’amministrazione ad assumere come
meritevoli di considerazione in guisa di interessi
pubblici aspettative di sfruttamento economicointensivo di cui erano soggettivamente portatori dei
privati. Era la capacità tecnica e finanziaria di tali
soggetti a garantire la soddisfazione indiretta del
pubblico interesse”.
19
Si veda la nota 42 di pag. 16 riportata da E.
BOSCOLO, Le politiche idriche nella stagione della
scarsità. La risorsa comune tra demanialità
custodiale, pianificazioni e concessioni, cit, “M. S.
GIANNINI, Relazione generale della Commissione per
il completamento dell'ordinamento regionale, Roma,
1977, in part., 29, citato da P. URBANI, Commento
all'art. 89, in Lo Stato autonomista. Funzioni statali,
regionali e locali, cit., in part., 309. ("Le acque sono
un elemento essenziale del territorio e la disciplina
del loro regime e della loro utilizzazione è una delle
fonti principali di caratterizzazione, conservazione e
modificazione dell'ambiente"; in dottrina, in merito
agli usi si veda R. BAJNO - M. COLUCCI - F. C.
RAMPULLA - A. ROBECCHI MAJNARDI, Acque pubbliche ed usi: disciplina amministrativa e tutela
penale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, in part., 619; in
merito alla tutela ambientale si veda G. CORDINI, La
tutela dell'ambiente idrico in Italia e nell'Unione Europea, in Riv. giur. amb., 2005, in part., 701.
16
M. S. GIANNINI, I beni pubblici, M. Bulzoni Editore, Roma, 1963, p. 12 e ss
17
R. BRIGANTI, Il diritto all’acqua tra tutela dei beni
comuni e governo dei servizi pubblici, Napoli, ESI,
2012, p.58 e ss.
Gazzetta Amministrativa
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Già successivamente alla legge dedicata
alla lotta all’inquinamento, la l. 10.5.1979, n.
319, la dottrina aveva evidenziato come la
demanialità delle acque, all’interno del dettato normativo del testo unico, fosse orientata
alla tutela della risorsa, sottraendola a quei
privati che ne facessero un uso incompatibile
“con la preservazione dei caratteri ecologici
dei corpi idrici”20.
L’elaborazione dottrinale, rompendo lo
schema che legava la pubblicità alle utilità
economiche ritraibili dalle acque, aveva fatto
emergere la necessità di un non più differibile
intervento legislativo21.
La legge Galli è il frutto dell’evoluzione
degli interessi pubblici collegati alla risorsa e
ad una progressiva presa di coscienza del suo
valore, che vede primeggiare le istanze ecologiche e solidaristiche22.
La dichiarazione generalizzata di pubblicità costituisce lo strumento più rigido e soggetto a minori possibilità di contestazione per
il governo e la tutela delle acque.
Il privato può utilizzare di fatto (anche
senza autorizzazioni e concessioni) un bene
pubblico purché ciò non contrasti con le esigenze della collettività o dei poteri pubblici, e
nei limiti (acque piovane, usi domestici) fissati dalla legge23.
Riguardo la risorsa idrica vi è coincidenza
fra pubblicità e demanialità, per cui tutte le
acque sono demaniali come previsto dal Codice dell’Ambiente24.
Grazie al rinvio dell’art. 822 c.c. alle leggi
in materia, oggi la l. 36 del 1994 incorporata
nel d.lgs. 3.4.2006 n. 152 (codice
dell’ambiente), l’acqua è un bene demaniale
soggetto ad un regime di tutela e di disposizione particolare.
Questo passaggio normativo fa comprendere il cambiamento, percepito dal legislatore, dei valori insiti nell’acqua ed il conseguente indirizzo che dovrà prendere l’azione
dei pubblici poteri nel controllare e organizzare questa risorsa.
Il Codice Civile all’art. 822 stabilisce che
“appartengono allo Stato e fanno parte del
demanio pubblico ….. i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle
leggi in materia”, da ciò si evince che nel caso del demanio idrico il Codice rinviava sostanzialmente alle disposizioni speciali in materia, per cui, diversamente dalle altre categorie di demanio, il Codice richiedeva
un’apposita indicazione normativa del requisito specifico di demanialità, ma solo in quanto non tutte le acque erano considerate pubbliche.
Secondo il combinato disposto dell’art. 1,
comma 1, del Testo Unico del 1933 e dell’art.
822 del codice civile del 1942, appartenevano
al demanio le acque idonee ad usi di interesse
pubblico generale, ma questo perché il legi-
20
La dottrina prendeva consapevolezza delle valenze
ambientali di determinate risorse, si veda in merito M.
S. GIANNINI, “Ambiente”: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1973, p. 15;
per recenti valutazioni in merito si veda, E. BOSCOLO,
Le politiche idriche nella stagione della scarsità. La
risorsa comune tra demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni, Giuffrè, Milano 2012, p. 274.
21
Già nel 1970 U. POTOTSCHNING aveva sollevato il
tema della natura dei beni ambientali, considerati in
ragione delle loro valenze ambientali nel suo saggio,
Strumenti giuridici per la difesa della natura, in Foro
amm., 1970, 459. Riguardo la differenza fra proprietà
formale dello Stato e sostanziale della collettività, si
veda, S. PUGLIATTI, La proprietà nel nuovo diritto,
Milano, 1964, passim.
22
Si riporta quanto affermato da U. MATTEI, La
proprietà, in Tratt. dir. civ., diretto da R. Sacco, Utet,
Torino 2001, p. 272, “Le regole sinora esaminate in
tema di utilizzazione delle acque devono essere
coordinate con la citata legge 5-1-1994 n. 36, che
introduce due disposizioni in particolare. La prima
consiste nella direttiva per l’utilizzazione dell’acqua
“secondo criteri di solidarietà” (art. 1). Vi è da
sperare che questa declamazione resti senza
conseguenze operative, poiché è idonea a stravolgere
tutte le regole finora studiate, mirate a perseguire un
uso efficiente della risorsa, secondo parametri
economici. La seconda novità consiste nella
graduazione degli usi dell’acqua: l’utilizzazione per il
consumo umano è prioritaria (art. 2); dopo il
consumo umano, in caso di scarsità, deve essere
assicurata la priorità dell’uso agricolo (art. 28); poi
si potrà derivare l’acqua per usi industriali (art. 29).
Ciò significa, purtroppo, che il bilanciamento degli
interessi nell’uso dell’acqua viene ampliamente
sterilizzato; il giudice non può dare la preferenza
all’uso industriale, a scapito di quello agricolo.
Gazzetta Amministrativa
Nuovamente sono vanificati i criteri di efficiente
allocazione della risorsa.”
23
N. LUGARESI, Acque pubbliche, in Dizionario di
diritto pubblico, I, Milano, Giuffré, 2006, p. 96.
24
Ai sensi dell' art. 822, co. 1, c.c., che rinvia
genericamente alle leggi in materia, mantenendo
pertanto la sua validità.
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slatore prendeva in considerazione la risorsa
solamente quando era idonea ad uno sfruttamento economico.
Successivamente, come già anticipato,
l’emanazione della legge Galli, ha comportato la pubblicità di tutte le acque, cristallizzando il cambiamento di rotta, nel senso di considerare tutte le acque come un bene da tutelare perché necessario e indispensabile.
Il co. 1 dell’art. 1 della legge Galli, che
ancorava esplicitamente la disciplina della
demanialità delle acque all’art. 2 Cost, prevedendo che “sono pubbliche e costituiscono
una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata
secondo criteri di solidarietà”, è stato trasfuso nel vigente art. 144 del Codice
dell’ambiente, che afferma che “tutte le acque […..] appartengono al demanio dello stato”.
Il legislatore si spinge oltre, affermando,
sempre nello stesso articolo che “qualsiasi
uso delle acque è effettuato salvaguardando
le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale” e che tutti “gli usi delle acque sono indirizzati al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicare il patrimonio idrico,
la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la
fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrologici” 25.
Occorre evidenziare che l’allargamento
degli interessi pubblici in materia di acque,
posto in essere dal legislatore prima nel 1994
(Legge Galli) e poi con la sua trasposizione
nel Codice dell’ambiente e l’assunzione della
rispettiva tutela, ha determinato, oltre ad un
ampliamento della pubblicità a qualsiasi tipologia di acqua, anche la conferma
dell’opinione classica per cui il concetto della
demanialità è fisso, invariabile ma la sua estensione varia con il variare dei bisogni collettivi26.
Il fraintendimento del significato giuridico
di demanio ha creato un paradosso, infatti
proprio adesso che il legislatore ha dichiarato
la pubblicità-demanialità generalizzata delle
acque, ancorandola ai criteri di solidarietà, la
dottrina parla di beni comuni, svalutando
l’aspetto dominicale, che invece è utile a garantire la fruibilità, ma che non esaurisce il
quadro complessivo della risorsa idrica che,
come vedremo, andrà integrato proprio grazie
a questo nuovo intervento normativo.
4. Il diritto delle acque ed il Codice
dell’ambiente.
Il codice dell’ambiente è la norma di riferimento per regolare i conflitti e rispondere
alle problematiche insite nel governo della risorsa idrica. Questo comporta che occorre analizzare l’apparato normativo da una nuova
prospettiva e precisamente dalla prospettiva
della sostenibilità ambientale27.
La risorsa idrica, con il codice
dell’ambiente, è passata dall’essere considerata un bene da sfruttare ad una componente
dell’ecosistema da tutelare, grazie anche alle
sollecitazioni pervenute dalla normativa
dell’Unione europea28.
26
O. RANELLETTI, Scritti giuridici scelti. IV. I beni
pubblici, Jovene, Napoli 1992, p. 18, l’autore continua
affermando che: “Coll’aumentare sempre più
dell’attività sociale degli enti pubblici, aumenta
insieme anche l’ampiezza del demanio pubblico; e la
risposta alla domanda quali sono i beni demaniali, nel
senso di enumerazione di beni, che hanno questa
natura, può essere data soltanto per un determinato
diritto positivo di un determinato tempo. E nel nostro
diritto attuale, questi scopi, che possono essere nella
destinazione di una cosa demaniale, possono essere
economici, fisici, intellettuali e morali; possono
rispondere ad una vera necessità, o ad una utilità, ed
anche ad un puro diletto della società, per es. giardini
pubblici”.
27
Si veda M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela
dell’ambiente come sistema complesso, adattativo,
comune, Giappichelli,Torino, 2007; F. FRACCHIA, Lo
sviluppo sostenibile. La voce flessibile dell’altro tra
protezione dell’ambiente e tutela della specie umana,
Torino, 2010.
28
La direttiva 2000/60/CE introduce principi e metodi
economici nella gestione delle acque in Europa. La
direttiva considera, infatti, l’analisi economica come
25
C. IANNELLO, Il diritto all’acqua. L’appartenenza
collettiva della risorsa idrica, La scuola di Pitagora
editrice, Napoli, 2012, p. 96; L. LUGARESI, Acque
pubbliche, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da
S. CASSESE, Giuffrè, Milano 2006, pp. 94-97; per una
valutazione critica di questa novità legislativa cfr. E.
BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque tra
pubblicità, tutela ecologica e distribuzione universale
garantita, in Diritto comparato ed europeo, 2/2012,
Torino, pp. 682 e ss; P. MADDALENA, I beni comuni
nel codice civile, nella tradizione romanistica e nella
costituzione della repubblica italiana, in Giur. cost.
2011, 03, pp. 2613 e ss.
Gazzetta Amministrativa
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Il legislatore nel pubblicizzare tutte le acque ha voluto preservare il patrimonio ambientale. Si potrebbe affermare che il legislatore abbia visto nella figura demaniale quelle
caratteristiche che meglio tutelano l’acqua e
l’ambiente. Quanto appena affermato, rafforza il percorso ricostruttivo della proprietà
pubblica mettendo in luce come, riguardo la
risorsa idrica, vi sia un dovere di conservazione che si unisce inscindibilmente al diritto
di fruizione29.
Questa nuova prospettiva evidenzia degli
aspetti non gerarchizzabili e precisamente la
primarietà dei valori ambientali e la fruibilità
della risorsa per la soddisfazione dei bisogni
primari dell’uomo.
Questi possono essere garantiti solamente
garantendo un equilibrio fra il mantenimento
degli ecosistemi idrici, le esigenze di prelievo
ed il rispetto della tempistica di rinnovamento
delle falde acquifere30.
Come ha evidenziato la Corte costituzionale nella sentenza n. 273 del 2010, l’acqua è un
bene di tutti ed in quanto tale deve essere di-
stribuita secondo criteri razionali e imparziali
stabiliti da apposite regole amministrative. La
corte afferma che vi sia “primaria esigenza di
programmare e vigilare sulle ricerche e sui
prelievi, allo scopo di evitare che impossessamenti incontrollati possano avvantaggiare
indebitamente determinati soggetti a danno di
altri o dell’intera collettività.” e che
“L’integrale pubblicizzazione delle acque superficiali e sotterranee è stata strettamente
legata dall’art. 1 della l. 5.1.1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) alla
salvaguardia di tale risorsa ed alla sua utilizzazione secondo criteri di solidarietà. Da
questo doppio principio discende la conseguenza che deve essere la pubblica amministrazione a disciplinare e programmare l’uso
delle acque”.
Si vuole mettere in risalto l’importanza
della salvaguardia della risorsa vista come
potere-dovere della Pubblica Amministrazione che scaturisce dall’integrale pubblicizzazione dell’acqua come disciplinata dalla L.
Galli31.
uno strumento imprescindibile di supporto delle
decisioni. Si può affermare che i principi economici
chiave su cui si fonda la direttiva sono: la copertura
integrale dei costi, in particolare, gli utenti (industrie,
agricoltura, famiglie) dovranno sostenere integralmente i costi del servizio idrico ricevuto; e
l’analisi economica, infatti la direttiva richiede che gli
Stati membri utilizzino l’analisi economica nella
gestione delle loro risorse idriche per valutare i costi
generali delle alternative durante il processo
decisionale. Ai sensi della direttiva, il recupero dei
costi si riferisce a vari elementi. I prezzi che gli utenti
pagano dovrebbero fare riferimento ai costi operativi e
di mantenimento della forni-tura e del trattamento, ai
costi per gli investi-menti in infrastrutture e ai costi
ambientali e di risorsa, assoluta novità.
29
Per una prospettiva in tal senso che abbraccia
l’ambiente in un unicum, che comprende l’acqua ma
soprattutto l’uomo, si veda, P. MADDALENA, La nuova
cultura della tutela ambientale e situazioni giuridiche
soggettive, in I Tribunali Amministrativi Regionali,
Anno XI gennaio 1985, p. 51; ID, Danno pubblico
ambientale, Rimini 1990, passim; ID, L’ambiente:
riflessioni introduttive per una sua tutela giuridica, in
Ambiente e sviluppo, 6/2007, passim. L’Autore mette
in luce come il diritto all’ambiente sia un diritto dovere di tutta la collettività sull’ambiente.
30
Per un approfondimento si veda E. BOSCOLO, Le
politiche idriche nella stagione della scarsità. La
risorsa
comune tra demanialità
custodiale,
pianificazioni e concessioni, già cit., in particolare p.19
e ss.
31
Gazzetta Amministrativa
Corte costituzionale, 22.7.2010, n. 273, si riporta
l’intero punto 4 considerazioni in diritto, “4. – In
conformità ai principi sopra ricordati, nel caso di
specie non si può ritenere che la scelta di
depenalizzazione operata dal legislatore con la norma
censurata sia manifestamente irragionevole. Deve
essere innanzitutto considerato il contesto normativo
in cui si inserisce la disposizione censurata, che attua
il disegno del legislatore di regolare in modo
sistematico e programmato l’utilizzazione collettiva di
un bene indispensabile e scarso, come l’acqua, che
comporta la prevalenza delle regole amministrative di
fruizione sul mero aspetto dominicale. L’integrale
pubblicizzazione delle acque superficiali e sotterranee
è stata strettamente legata dall’art. 1 della l. 5.1.1994,
n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) alla
salvaguardia di tale risorsa ed alla sua utilizzazione
secondo criteri di solidarietà. Da questo doppio
principio discende la conseguenza che deve essere la
pubblica
amministrazione
a
disciplinare
e
programmare l’uso delle acque, allo scopo di
consentire un equilibrato consumo per finalità diverse
da quelle domestiche, nel quadro della fondamentale
distinzione contenuta negli artt. 17, co. 1, e 95, primo
comma, del r.d. n. 1775 del 1933. Non viene in rilievo
la contrapposizione tra lo Stato, proprietario del bene,
ed i privati, ma l’integrazione tra pubblico e privato,
nel quadro della regolazione programmata e
controllata dell’uso dell’acqua, che costituisce bene di
tutti e, in quanto tale, deve essere distribuita secondo
criteri razionali ed imparziali stabiliti da apposite
regole amministrative.
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Da quanto riportato si evince un nesso inscindibile fra la pubblicità della risorsa,
l’inderogabilità dell’accesso e la distribuzione
secondo logiche solidaristiche e la tutela della
stessa.
La distribuzione di adeguati quantitativi
della risorsa per soddisfare il basic need di
ogni uomo, le esigenze di programmazione e
di controllo necessari lungo tutta la filiera idrica sono tutti aspetti che possono essere assicurati in diversi modi, in ogni caso riguardano il potere-dovere della pubblica amministrazione32.
L’intervento pubblico nel settore idrico, alla luce di quanto esposto, si posiziona su una
traiettoria che parte dalle funzioni di tutela
ambientale e di razionalizzazione in chiave di
sostenibilità del prelievo, sino a coinvolgere
le attività distributive, rette da un canone di
equità sociale e territoriale (oltre che di efficienza).
Si può ritenere di essere davanti ad un intervento pubblico articolato, teso alla tutela e
alla gestione di una risorsa scarsa, vulnerabile
ma essenziale per l’uomo, dove la titolarità
non è dello Stato persona ma dello Stato comunità ed il potere-dovere di agire a tutela
della stessa discende dalla rappresentanza necessaria e non negoziale del potere pubblico.
Vi è un indubbio spostamento di baricentro riguardo il fine dell’azione dei pubblici
poteri che trova la propria giustificazione nel-
La legge non distingue tra i soggetti privati che si
impossessano di acque sotterranee, ma, a norma del
citato art. 95, primo comma, del r.d. n. 1775 del 1933,
regola diversamente gli usi domestici, definiti e
delimitati dall’art. 93 del medesimo t.u., e gli usi
diversi, per i quali sono necessarie l’autorizzazione
alla ricerca ed allo scavo e la concessione per
l’utilizzo, secondo il piano di massima allegato alla
domanda di autorizzazione. In questo quadro, spetta
alla
pubblica
amministrazione
competente
programmare, regolare e controllare il corretto
utilizzo del bene acqua in un dato territorio, non già in
una prospettiva di mera tutela della proprietà
demaniale, ma in quella del contemperamento tra la
natura pubblicistica della risorsa e la sua destinazione
a soddisfare i bisogni domestici e produttivi dei
consociati. Questi ultimi hanno titolo ad utilizzare le
acque sotterranee, nel rispetto delle norme
amministrative poste a salvaguardia dell’integrità
della risorsa, che non può essere indiscriminatamente
depauperata da prelievi che sfuggono ai poteri
regolativi della pubblica amministrazione.
Da quanto appena detto si deduce che la scelta
legislativa di sanzionare solo in via amministrativa
eventuali comportamenti trasgressivi delle regole di
utilizzo delle acque non è manifestamente
irragionevole, giacché deve aversi primariamente
riguardo al rapporto tra cittadini e pubblica
amministrazione nell’accesso ad un bene che
appartiene in principio alla collettività. Tale rapporto
viene alterato dalla violazione di norme che non sono
poste soltanto a presidio della proprietà pubblica del
bene, collocato in una sfera separata rispetto a quella
dei cittadini, ma soprattutto a garanzia di una
fruizione compatibile con l’entità delle risorse idriche
disponibili in un dato territorio e con la loro
equilibrata distribuzione tra coloro che aspirano a
farne uso. Se tutti hanno diritto di accedere all’acqua,
l’aspetto dominicale della tutela si colloca in secondo
piano, rispetto alla primaria esigenza di programmare
e vigilare sulle ricerche e sui prelievi, allo scopo di
evitare che impossessamenti incontrollati possano
avvantaggiare indebitamente determinati soggetti a
danno di altri o dell’intera collettività.
La sanzione amministrativa prevista dalla norma
censurata, d’altra parte, non è irrisoria e priva di
efficacia dissuasiva, giacché i trasgressori, previa
cessazione delle utenze abusive, sono tenuti al
pagamento di una somma da 3.000 a 30.000 euro,
oltre che dell’intero importo dei canoni non
corrisposti. L’intento principale del legislatore è
quello di ricondurre nell’alveo della regolarità un uso
dell’acqua non in linea con la disciplina
amministrativa, come dimostra peraltro la possibilità
della continuazione provvisoria del prelievo – prevista
dalla stessa norma censurata – «in presenza di
particolari ragioni di interesse pubblico generale,
purché l’utilizzazione non risulti in palese contrasto
con i diritti dei terzi e con il buon regime delle acque».
L’intreccio tra interessi pubblici e privati, emergente
da tale ultima previsione, dimostra che tutto il sistema
Gazzetta Amministrativa
è finalizzato a mantenere l’equilibrio ambientale,
l’equa utilizzazione delle risorse idriche da parte dei
cittadini e l’effettività dei piani di salvaguardia delle
stesse, predisposti dalle autorità competenti.
Altre scelte legislative sarebbero astrattamente
possibili, ma non spetta a questa Corte dare
valutazioni di merito, una volta rilevata la non
manifesta irragionevolezza di quella che sta alla base
della norma censurata.”.
32
In dottrina si veda, V. Caputi Jambrenghi, Proprietà
dovere dei beni in titolarità pubblica, in Associazione
italiana dei professori di diritto amministrativo, Annuoario 2003. Titolarità pubblica e regolazione dei
beni – La dirigenza nel pubblico impiego, Milano,
2004, p. 61; in ambito prettamente amministrativi stico
si veda fra le tante la delibera AEEGSI, 85/2013/R/idr,
del 28.2.2013: il documento illustra i presupposti
dell'intervento regolatorio e gli orientamenti dell'Autorità con riferimento alle modalità applicative del meccanismo di compensazione della spesa per la fornitura
del servizio idrico sostenuta dagli utenti domestici economicamente disagiati.
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la necessità di scongiurare il depauperamento
della risorsa sperimentato nei decenni precedenti, che sulla scorta di quanto esaminato da
Hardin, porta ad evidenziare come i beni non
regolamentati nel loro accesso e nello sfruttamento, in generale senza una regolazione e
una governance adeguata, siano destinati al
depauperamento33.
La soluzione prospettata, definibile come
la demanializzazione dell’acqua, si pone agli
antipodi della proprietà privata ma aperta a
qualsiasi tipologia di gestione pubblica, privata o sotto possibili forme di autogestione
consentite dal nostro ordinamento, purchè regolamentata.
La ricostruzione della categoria demaniale
idrica come mera imputazione al pubblico potere in termini di tutela della risorsa crea un
perimetro di azione limitato che non può essere criticato neanche dai sostenitori della
teoria dei beni comuni, in quanto l’intervento
pubblico è finalizzato alla tutela della risorsa
e delle generazioni future, come evidenziato
anche dalla giurisprudenza di recente, ed in
particolar modo dal Consiglio di Stato, sez.
VI, 18.4.2003, n. 208534.
al consumo umano, recepita con d.lgs. 2.2.2001, n.31 e
succ. mod., e alla direttiva 60/2000, intesa a creare un
quadro di azione comune in materia di acque, ha
manifestato nel tempo una crescente consapevolezza
della limitata disponibilità idrica e, per l'effetto, ha
manifestato un maggiore interesse per la protezione
delle acque. In particolare l'attenzione si è soffermata
sull'acqua (bene primario della vita dell'uomo),
configurata quale "risorsa" da salvaguardare, sui
rischi da inquinamento, sugli sprechi e sulla tutela
dell'ambiente,
in
un
quadro
complessivo
caratterizzato, come dimostrato dalla normativa
europea in tema di valutazione di impatto ambientale,
dal riconoscimento del diritto fondamentale a
mantenere integro il patrimonio ambientale.
L'aumento dei fabbisogni derivanti dai nuovi
insediamenti abitativi e dalle crescenti utilizzazioni
residenziali anche a seguito delle tecnologie introdotte
nell'ambito domestico, accompagnato da un
incremento degli usi agricoli produttivi e di altri usi,
ha indotto il legislatore nazionale (legge 5 gennaio
1994, n.36), di fronte a rischi notevoli per l'equilibrio
del bilancio idrico, ad adottare una serie di misure di
tutela e di priorità dell'uso delle acque intese come
risorse, con criteri di utilizzazione e di reimpiego
indirizzati al risparmio, all'equilibrio e al rinnovo
delle risorse medesime. Di qui, l'esigenza avvertita
dallo stesso legislatore, di un maggiore intervento
pubblico concentrato sull'intero settore dell'uso delle
acque, sottoposto al metodo della programmazione,
della vigilanza e dei controlli, collegato ad un'iniziale
dichiarazione di principio, generale e programmatica
(art.1, comma 1, della legge n.36 del 1994), di
pubblicità di tutte le acque superficiali e sotterranee,
indipendentemente dalla estrazione dal sottosuolo.
Tale
dichiarazione
è
accompagnata
dalla
qualificazione di "risorsa salvaguardata ed utilizzata
secondo criteri di solidarietà". Questa finalità di
salvaguardia viene, subito dopo, in modo espresso
riconnessa al diritto fondamentale dell'uomo (e delle
generazioni future) all'integrità del patrimonio
ambientale, nel quale devono essere inseriti gli usi
delle risorse idriche (art.1, commi 2 e 3, della legge
n.36 del 1994). La stessa Corte Costituzionale, con
sentenza 19 luglio 1996, n.259 (confermata dalla
successiva sentenza n.419/1999), pronunciandosi sulla
legittimità costituzionale della legge n.36/1994, ha
chiarito il significato dell'enunciazione della
pubblicità delle acque, ponendo l'accento sull'interesse
generale che è alla base della qualificazione di
pubblicità di un'acqua come risorsa suscettibile di uso
previsto o consentito in relazione alla limitatezza delle
disponibilità e alle esigenze prioritarie (specie in una
proiezione verso il futuro). La legge n.36 del 1994 ha
in tale ottica accentuato lo spostamento del baricentro
del sistema delle acque pubbliche verso il regime di
utilizzo, piuttosto che sul regime di proprietà. Il
legislatore nazionale, con il decreto legislativo n.152
dell'11 maggio 1999, si è fatto poi carico dell'esigenza
di tutela qualitativa e quantitativa della risorsa idrica,
regolamentando in modo unitario l'utilizzo di tale bene
33
U. POTOTSCHNIG, La difesa della qualità delle
risorse idricbe nella legislazione sulle acque
pubbliche, in La tutela delle acque. Criteri economici e
giuridici per la programmazione della qualità e della
quantità delle risorse idriche in Italia, a cura di E.
GERELLI, Milano, 1970, 45, citato da E. BOSCOLO, Le
politiche idriche nella stagione della scarsità. La
risorsa
comune tra demanialità
custodiale,
pianificazioni e concessioni, Giuffrè, Milano 2012, p.
39.
34
Per una ricostruzione complessiva del sistema,
occorre
ricordare
e
riportare
i
contributi
giurisprudenziali
che
hanno
contribuito
al
consolidamento di questo nuovo regime giuridica della
risorsa idrica e della gerarchia profilata dalla L. Galli e
dal nuovo Codice dell’Ambiente; si vedano le sentenze
relative al diniego di rinnovo attuato dai Comuni di
Gavi e Carrosio, e precisamente CdS, VI, 18.4.2003,
n. 2085, che evidenzia come la dichiarazione di
principio, generale e programmatica di pubblicità di
tutte le acque superficiali e sotterranee, sia
accompagnata dalla finalità di salvaguardia riconnessa
al diritto fondamentale dell'uomo; si riporta quanto
sostenuto dal giudice al punto 4.2 ed in parte del punto
4.3 “4.2. Occorre prendere le mosse dalla
considerazione che la normativa comunitaria - a
cominciare dalla Carta europea dell'acqua, approvata
il 16 maggio 1968 dal Consiglio d'Europa per arrivare
alla direttiva 98/83 sulla qualità delle acque destinate
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effettuato salvaguardando le aspettative ed i
diritti delle generazioni future a fruire di un
integro patrimonio ambientale”.
Da ciò si deduce che si può riscontrare una
nuova soggettività rappresentata dalle generazioni future cui sono attribuite aspettative
qualificate35.
Il dovere di lasciare alle generazioni future
un capitale naturale idoneo ad uno standard di
vita adeguato, nello specifico caso della risorsa idrica, deve essere coadiuvato dalla conservazione di un capitale necessario costituito
dalle risorse economiche indispensabili per
adeguare le infrastrutture alle sempre mutevoli esigenze ambientali36.
La sostenibilità ambientale, di cui un pilastro portante si può considerare il principio di
responsabilità intergenerazionale, orienta la
funzione di preservazione della risorsa e
comporta la doverosità di una valutazione
dell’impatto ambientale che consegue da ogni
politica idrica. A fronte di questo principio
vengono poste sullo stesso piano le esigenze
delle generazioni presenti e future riguardo
l’integrità del patrimonio ambientale37.
L’ambiente è un diritto ma anche un dovere di solidarietà.
L’art. 2 Cost. sancisce questo dovere nella
parte in cui enuncia i doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale, ma
non affronta, nello specifico, il dovere di protezione dell’ambiente che, in numerose Costituzioni europee, è riconosciuto espressamente; infatti, in ambito europeo, molte sono le
disposizioni che affidano esclusivamente allo
Stato o a tutti i soggetti dell’ordinamento,
5. La pubblicità dell’acque e l’ambiente.
Uno dei punti centrali della normativa, in
merito alla risorsa idrica ed al servizio idrico
integrato, è dettato dal co. 2 dell’art. 144 del
Codice che così recita: “qualsiasi loro uso è
secondo un'ottica attenta all'obiettivo del risparmio
idrico. Giova in particolare rammentare che detta
ultima
normativa
istituisce
lo
strumento
programmatico del piano di tutela delle acque,
sancisce e regolamenta specificamente il risparmio
idrico ed incentiva il riutilizzo dell'acqua reflua o già
usata nel ciclo produttivo. Sul versante regionale,
infine, l'articolo 1 della legge regionale del Piemonte
12 aprile 1994, n.4, enuncia la finalità della tutela
preventiva del sistema idrico; mentre all'articolo 4
fissa la priorità dell'uso potabile. 4.3. Dall'esame del
panorama normativo, nazionale ed europeo, fin qui
descritto si ricava che costituisce un valore primario,
fissato da norma di carattere precettivo e non
meramente
programmatico,
l'esigenza
di
preservazione dell'integrità del patrimonio idrico, in
considerazione della natura scarsa della risorsa e
della necessità della sua preservazione in funzione
prospettica della tutela delle esigenze delle
generazioni future a fronte di un rischio di ulteriore
rarefazione del bene primario. L'acqua è allora
considerata
una
componente
essenziale
dell'ecosistema, da proteggere in una logica di
salvaguardia a lungo termine delle risorse idriche, con
particolare riferimento a quelle caratterizzate
dall'attitudine al soddisfacimento delle esigenze del
consumo umano. L'applicazione di dette coordinate
alla fattispecie in esame mette allora in rilievo il
deficit motivazionale che, in rapporto alle coordinate
normative in esame, inficia il provvedimento gravato.
Il decreto impugnato, nella misura in cui subordina la
realizzazione della miniera alla costruzione di un
acquedotto alternativo che prelevi acque di superficie
per le popolazioni prima servite dalle fonti a rischio di
distruzione, mostra di comparare l'interesse generale
alla coltivazione della miniera con il solo interesse
alla preservazione dell’approvigionamento idrico dei
Comuni in esame. Non viene invece preso in
considerazione l'interesse, fatto valere in via
strumentale delle amministrazioni comunali anche in
ragione della maggiore purezza qualitativa delle
acque sotterranee, alla preservazione delle acque
come risorsa idrica da salvaguardare, alla stregua di
componente dell'equilibrio ambientale e nella veste di
risorsa scarsa utile in una dinamica attenta alle
esigenze future collegate alla scarsezza crescente della
risorsa di che trattasi; interesse cioè legato al bene ex
se inteso, a prescindere dalla sua contingente
sostituibilità con fonti alternative al fine di soddisfare
le specifiche esigenze in un determinato momento
storico di una fetta della popolazione del territorio.”.
Si veda sempre in merito alla medesima questione la
sentenza che ha confermato il dispositivo precedente,
C. di S., sez. VI, 11.04.2006, n. 2001.
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35
R. BIFULCO, Diritto e generazioni future. Problemi
giuridici ella responsabilità intergenerazionale,
Milano, 2008; G. CORSO, Categorie giuridiche e diritto
delle generazioni future, in Cittadinanza e diritti delle
generazioni future. Atti del Convegno di Capannello 34 luglio 2009, a cura di F. ASTONE-F. MANGANARO-A.
ROMANO-TASSONE-F. SAITTA, 2010.
36
A. DE CARLI - A. MASSARUTTO – V. PACCAGNAN,
La valutazione economica delle politiche idriche:
dall’efficienza alla sostenibilità, http://www.researchgate.net/publication/242102762
37
E. BOSCOLO, Le politiche idriche nella stagione
della scarsità. La risorsa comune tra demanialità
custodiale, pianificazioni e concessioni, Giuffrè,
Milano 2012, p. 288.
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pubblici e privati, questo dovere38.
Il dovere di tutelare e di proteggere
l’ambiente è connesso con le diverse forme di
solidarietà descritte nel citato art. 2. In particolare, con la solidarietà economica e sociale,
attraverso il concetto di sviluppo sostenibile,
si richiede il perseguimento di uno sviluppo
economico che non comprometta le risorse
ambientali impedendone lo sfruttamento indiscriminato.
L’art. 2 Cost., relativamente ai doveri inderogabili, permette di aprire ad ipotesi di solidarietà che non potevano essere normativizzate nel 1948, “purché il loro oggetto ed il
loro contenuto siano ritenuti idonei a realizzare il fine voluto dal Costituente”.
Tale articolo configura la nascita di un dovere di protezione dell’ambiente, ricavabile
dalla Costituzione senza l’interposizione della
legge39.
Quanto appena affermato comporta
l’esigenza di dover approfondire il dovere di
solidarietà ambientale.
Il punto di partenza di questa teoria trae
spunto dal rapporto fra etica e diritto, ed in
particolare dal fatto che la finalità dell’etica e
del diritto, almeno in ultima analisi, coincidono al punto che si può parlare di fondamento etico della realtà giuridica. Questa finalità
ultima sarebbe rappresentata dalla sopravvivenza dell’uomo, che rappresenta il nucleo
minimo del diritto, nel senso che
l’ordinamento debba garantire la realizzazione di un minimo di giustizia e moralità per la
sopravvivenza dell’uomo41.
La finalità del diritto all’ambiente è la salvaguardia dello stesso come condizione necessaria per la sopravvivenza dell’essere umano; questa finalità viene garantita attraverso l’imposizione di doveri in capo alle persone, secondo il principio di solidarietà. La differenza consiste nel fatto che la sopravvivenza dell’uomo non è individuata nel fine del
diritto oggettivo nel suo complesso, ma in
una parte di esso e, precisamente, nella parte
che riguarda il diritto dell’ambiente.
Quanto evidenziato adesso comporta che
la tutela dell’ambiente e delle generazioni future, in forza anche dello sviluppo sostenibile,
ricevano una tutela superiore rispetto a quella
che avrebbero come parte del fine di un ordinamento giuridico in generale42.
6. Solidarietà ambientale e generazioni
future, fra Costituzione e Codice
dell’ambiente.
L’analisi giuridica relativa all’ambiente e
alle generazioni future, si è indirizzata verso
la prospettiva della doverosità40.
giuridiche e diritti delle generazioni future al
Convegno su Cittadinanza e diritti delle generazioni
future, Copanello, 3-4 luglio 2009; M. LUCIANI,
Generazioni future, spesa pubblica e vincoli
costituzionali, in Un diritto per il futuro. Teorie e
modelli dello sviluppo sostenibile e della
responsabilità intergenerazionale, a cura di R.
BIFULCO - A. D’ALOIA, Napoli, 2008, 425.
41
R. BIFULCO, Diritto e generazioni future. Problemi
giuridici ella responsabilità intergenerazionale, Milano, 2008, passim, l’A. evidenzia come il sistema giuridico deve essere autorettificabile e quindi farsi carico
della sopravvivenza dell’uomo conseguentemente deve
salvaguardare le generazioni future a prescindere dalla
morale.
42
R. BIFULCO, Diritto e generazioni future. Problemi
giuridici ella responsabilità intergenerazionale,
Milano, 2008; F. FRACCHIA, Sulla configurazione
giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri
di solidarietà ambientale, cit., 215 e ss.; Id., Governo
del territorio e ambiente, in S. CIVITARESE
MATTEUCCI - E. FERRARI - P. URBANI (a cura di), Il
governo del territorio, Milano, 2003, 268 e ss.; M.
CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente,
Giappichelli, 2007.
38
F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 e doveri di solidarietà ambientale, in Il diritto dell’economia, 2002, 215 ss.; nella dottrina costituzionalistica si vedano gli spunti di T.
MARTINES, Diritti e doveri ambientali, in Panorami,
1994 (6), 1 ss., ora in T. MARTINES, Opere, Tomo IV,
Libertà e altri temi, Giuffrè, Milano, 2000, 185 ss. e
spec. 191 ss.; G. GRASSO, Solidarietà ambientale e
sviluppo sostenibile tra Costituzioni nazionali, Carta
dei diritti e progetto di Costituzione europea, in
Politica del diritto, 2003, 581 ss. ;
39
T. MARTINES, Diritti e doveri ambientali, in
Panorami, 1994, 1 ss., ora in T. MARTINES, Opere,
Tomo IV, Libertà e altri temi, Giuffrè, Milano, 2000,
185 ss. e spec. 191 ss
40
F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica
unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di
solidarietà ambientale, cit., 215 ss.; ID., Lo sviluppo
sostenibile. La voce flebile dell’altro tra protezione
dell’ambiente e tutela della specie umana, V. 6 di
Percorsi di diritto amministrativo, Editoriale
Scientifica, 2010.; ID., La tutela dell’ambiente come
dovere di solidarietà, Il diritto dell’economia, 3/42009, 491 ss; G. CORSO, Relazione su Categorie
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Pur tenendo sempre presente l’antropocentrismo in campo giuridico, occorrerà spostare la prospettiva dal diritto ai doveri e,
quindi, tralasciare l’analisi dell’opinione secondo cui il diritto all’ambiente salubre sarebbe oggetto di un diritto soggettivo43.
L’antropocentrismo dei doveri parte dal
fatto che l’ambiente, considerato nella sua interezza e unitarietà, è l’oggetto della responsabilità delle persone, cioè oggetto di un dovere di solidarietà che trova il suo fondamento nell’art. 2 della Costituzione.
Seguendo autorevole dottrina, occorrerà
considerare l’art. 2 della nostra Costituzione
come una norma aperta ai valori che “progressivamente emergono dalla società”, considerando il diritto dell’ambiente come
“quell’insieme di prescrizioni che definiscono i comportamenti doverosi di solidarietà
43
In merito ad una critica a questa tesi classica si
riporta quanto affermato a p. 494 e ss. da F. FRACCHIA
in , ID, La tutela dell’ambiente come dovere di
solidarietà, cit.: “Volgendoci dunque al diritto
soggettivo all’ambiente salubre, va osservato che, se
inteso in senso proprio, esso implica una pretesa
assoluta – fondata tra l’altro sull’art. 32 della
costituzione, che vale a rafforzare la dignità delle
presunta posizione di vantaggio ascrivibile alle
persone – a vivere in un ambiente avente talune
caratteristiche, appunto di salubrità, favorevoli al
titolare del diritto che ne può attivare la tutela anche
in sede giurisdizionale. Contro quest’opinione è
sufficiente richiamare i seguenti argomenti: la
sindrome dello tsunami: a fronte della natura che ci
aggredisce, non accampare alcun diritto o pretesa,
ma restiamo soggetti alla forza della natura e alla
causalità del suo operare; l’uomo, cioè, è spesso
aggredito dalla natura e dai suoi elementi, e questa
posizione mal si presta a essere rappresentata
ricorrendo all’idea di un titolare di diritti; la sindrome
della “pagina bianca”: se il diritto soggettivo fosse la
situazione
giuridica
“dominante”
tutelata
dall’ordinamento in relazione all’ambiente, le norme
che si occupano di siffatto settore dovrebbero, in
qualche luogo, far “emergere” la relativa tutela; è
viceversa impossibile trovare un siffatto diritto riflesso
nelle norme ambientali e, quando l’ordinamento – o la
giurisprudenza che al medesimo ordinamento
conferisce linfa e vitalità – ci offre l’esempio di diritto
soggettivo (si pensi al caso dell’inquinamento
elettromagnetico), il suo oggetto effettivo è non già
l’ambiente, bensì la salute; il paradosso del
coccodrillo: se la finalità della disciplina ambientale
(riflesso dei caratteri della situazione giuridica
riferibile all’uomo) fosse la tutela di un ambiente
salubre per l’uomo, coccodrilli, serpi, ragni e tutto ciò
che costituisce un pericolo per la salute dell’uomo
dovrebbero essere espunti dal raggio di azione di
quella disciplina: così invece non è, e d’altro canto
ripugnerebbe anche alla nostra coscienza (e prudenza)
non proteggere queste specie; l’ipocrisia del diritto
degli animali: né vale l’obiezione secondo cui titolari
di diritti sarebbero anche animali e cose, giacché il
problema della centralità dell’uomo si ripropone
immediatamente allorché si faccia questione
dell’attivazione del diritto: l’antropocentrismo è
l’unica chiave di lettura ragionevolmente utilizzabile
nel settore giuridico. Il problema è piuttosto costituito
dal fatto che l’antropocentrismo (del diritto oggettivo)
coniugato al diritto soggettivo (come situazione
giuridica) è assolutamente insoddisfacente. la
sindrome della coperta troppo corta: che cosa ne è gli
interessi diffusi e/o collettivi? Questa categoria di
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situazioni giuridiche, nate proprio nel settore
ambientale, rischierebbe di restare espunta
dall’orizzonte di riferimento ove il centro dell’analisi
fosse occupato dal solo diritto soggettivo all’ambiente
salubre, che costituirebbe, nella migliore delle ipotesi
una formula incapiente e inadatta a riflettere la
complessità della materia; il paradosso del bastione
inespugnabile indifferenziato: il diritto all’ambiente
salubre non è altro che la traduzione, sul piano
giuridico, dell’antropocentrismo; l’uomo dominatore
del mondo si trasforma nel titolare solitario di un
diritto che vince sempre e comunque: il settore
ambientale, tuttavia, richiede equilibrio e flessibilità
(basti pensare al concetto di ecosistema) e non rigidità
e verticalità, senza contare che rimane incerta la
soluzione quando il confronto sia non già tra ambiente
salubre e altri interessi, ma tra due diverse concezioni
di ambiente salubre; a fronte dei problemi ambientali
non sembra davvero che si possa immaginare una
posizione identica di tutti i soggetti, soprattutto se
“sospinta” verso le vette del diritto soggettivo; per
altro verso, la gestione di quei problemi dovrebbe
avvenire in un contesto che consenta partecipazione e
dialogo; il problema dell’albero che cade nella
foresta: l’albero che cade nella foresta produce
rumore, anche se non avvertito da orecchie umane?
Questa domanda retorica racchiude in sé rischi e i
limiti dell’antropocentrismo e pone in evidenza la
tensione tra la sua traduzione giuridica (il diritto
soggettivo) e le esigenze ambientali, interpretate da
molta parte dell’etica in chiave ecocentrica. Va però
rilevato che, sul piano giuridico, non abbandonare
l’antropocentrismo; il problema del sublime: pur se
l’argomentazione che sarà ora sviluppata non è
giuridica, non ci si può non domandare se, a fronte del
sublime kantiano (la maestosità della montagna, la
profondità dell’abisso), davvero ci sentiamo padroni
del mondo (questo, come anticipato, è il significato più
profondo di un diritto che prevale sempre). Non
emergono forse sensazioni diverse, di responsabilità e
di rispetto per la natura e i suoi elementi? Le
ricostruzioni
giuridiche
dovrebbero
anche
preoccuparsi di godere di una certa corrispondenza
con il (buon) senso comune.”.
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ambientale”44.
L’art. 2 della Cost. va letto in combinato
disposto con l’art. 3, co. 2 che, ponendo
l’attenzione allo sviluppo della persona umana, ci fa cogliere l’aspetto funzionalistico della disciplina ambientale.
Si precisa che anche l’art. 2 isolatamente
preso, richiamando i doveri di solidarietà,
tende a garantire lo sviluppo della persona.
L’adempimento dei doveri di solidarietà
ambientale è un prerequisito per la realizzazione del programma costituzionale relativo
allo “sviluppo della persona umana”.
I principi ambientali (chi inquina paga, riduzione del danno alla fonte, precauzione,
prevenzione) sono, a loro volta, un riflesso
del principio dello sviluppo sostenibile.
A questo punto si rende necessario affrontare una analisi della normativa riportata nel
Codice dell’ambiente.
L’art. 3 bis del Codice dell’ambiente regola la produzione del diritto ambientale, stabilendo che i principi generali, in tema di tutela
dell’ambiente, sono adottati in attuazione degli articoli 2, 3, 9, 32, 41, 42, 44, 117 commi
1 e 3 della Costituzione e nel rispetto del trattato dell’Unione europea. Il co. 2, sempre dello stesso articolo, afferma che tali principi costituiscono le regole generali della materia
ambientale nell’adozione degli atti normativi,
atti di indirizzo e coordinamento e
nell’emanazione dei provvedimenti di natura
contingibile ed urgente45.
L’art. 3 ter prevede che il “dovere” di tutelare l’ambiente ricada non solo su tutti gli
enti pubblici ma anche su quelli privati, nonché sulle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private. L’articolo, infatti, richiama i
“principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria
alla fonte, dei danni causati all'ambiente,
nonché al principio «chi inquina paga» che,
ai sensi dell'articolo 174, co. 2, del Trattato
delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale.”.
L’art. 3 quater, inoltre, sottopone ogni attività umana giuridicamente rilevante, ai sensi
del codice dell’ambiente, al rispetto del principio dello sviluppo sostenibile al fine di tutelare le generazioni future.
La norma è particolarmente importante in
quanto si occupa del principio dello “sviluppo sostenibile”; infatti, tale principio è il vero
fondamento del dovere di solidarietà declinato in senso ambientale, esso permea tutto il
diritto dell’ambiente, divenendo un vincolo a
protezione delle generazioni future46.
Enti locali. (comma così sostituito dall'art. 1, comma
3, d.lgs. n. 128 del 2010).
46
Art. 3-quater. Principio dello sviluppo sostenibile
1. Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi
del presente codice deve conformarsi al principio dello
sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il
soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali
non possa compromettere la qualità della vita e le
possibilità delle generazioni future.
2. Anche l'attività della pubblica amministrazione deve
essere finalizzata a consentire la migliore attuazione
possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per
cui nell'ambito della scelta comparativa di interessi
pubblici e privati connotata da discrezionalità gli
interessi alla tutela dell'ambiente e del patrimonio
culturale devono essere oggetto di prioritaria
considerazione.
3. Data la complessità delle relazioni e delle
interferenze tra natura e attività umane, il principio
dello sviluppo sostenibile deve consentire di
individuare un equilibrato rapporto, nell'ambito delle
risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da
trasmettere, affinché nell'ambito delle dinamiche della
produzione e del consumo si inserisca altresì il
principio di solidarietà per salvaguardare e per
migliorare la qualità dell'ambiente anche futuro.
4. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti
ambientali deve essere cercata e trovata nella
prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in
modo da salvaguardare il corretto funzionamento e
l'evoluzione
degli
ecosistemi
naturali
dalle
44
Da ultimo, in tal senso, F. FRACCHIA , La tutela
dell’ambiente come dovere di solidarietà, cit., p. 497.
45
D.lgs. 3.4.2006, n. 152, Norme in materia
ambientale, art.3 bis: Principi sulla produzione del
diritto ambientale 1. I principi posti dalla presente
Parte prima costituiscono i principi generali in tema di
tutela dell'ambiente, adottati in attuazione degli articoli
2, 3, 9, 32, 41, 42 e 44, 117 commi 1 e 3 della
Costituzione e nel rispetto degli obblighi internazionali
e del diritto comunitario. (comma così modificato
dall'art. 1, comma 3, d.lgs. n. 128 del 2010) 2. I
principi previsti dalla presente Parte Prima
costituiscono regole generali della materia ambientale
nell'adozione degli atti normativi, di indirizzo e di
coordinamento e nell'emanazione dei provvedimenti di
natura contingibile ed urgente. 3. Le norme di cui al
presente decreto possono essere derogate, modificate o
abrogate solo per dichiarazione espressa da successive
leggi della Repubblica, purché sia comunque sempre
garantito il rispetto del diritto europeo, degli obblighi
internazionali e delle competenze delle Regioni e degli
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L’aspetto che interessa qui rilevare è che il
codice dell’ambiente attribuisce allo sviluppo
sostenibile il rango di principio applicabile
non solo a tutti i settori ambientali, ma anche
a quelli non contemplati dallo stesso codice e,
tramite il secondo comma, a tutta l’attività
amministrativa in generale, cioè quella discrezionale.
Quanto appena affermato comporta che
tutta l’attività amministrativa debba essere in
linea con il principio dello sviluppo sostenibile; infatti, ai sensi del secondo comma, “anche l’attività della pubblica amministrazione
deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della
scelta comparativa d’interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità, gli interessi
alla tutela dell’ambiente e del patrimonio
culturale devono essere oggetto di prioritaria
considerazione”47.
Si può ritenere che il principio dello sviluppo sostenibile, grazie a quanto previsto dal
Codice dell’ambiente, limitando e orientando
qualsiasi scelta amministrativa, sia diventato
un principio generale dell’attività amministrativa48.
Nel concludere al momento, si può definire lo sviluppo sostenibile come la sintesi dei
doveri verso le generazioni future.
non bisogna fermarsi alla sola analisi della
normativa codicistica che, a sua volta, va integrata con le norme costituzionali; le suddette norme, seppur non definendo nello specifico i beni pubblici, tramite i richiami in esse
rintracciabili consentono di identificare il sistema positivo dei beni pubblici. Infatti, la
Corte richiama gli artt. 2, 9 e 42 che pongono
al centro del sistema costituzionale la tutela
dell’umana personalità e del suo corretto
svolgimento nell’ambito sociale, ma anche la
salvaguardia del “paesaggio”.
La Corte evidenzia come la duplice appartenenza dei beni demaniali, implichi per lo
Stato una “appartenenza di servizio”; questa,
che può concretizzarsi anche nella sola funzione di controllo, è necessaria per assicurare
sia il mantenimento delle specifiche caratteristiche del bene che l’accesso universale alla
risorsa idrica. La Corte conclude che la natura
di un bene “ha la sua origine costitutiva nella
legge, quale ordinamento composto da una
pluralità di fonti (in particolar modo la Costituzione con le norme sopra richiamate)”49.
Sicuramente la nuova figura della demanialità è lontana da quanto statuito dal nostro
Codice civile e dal concetto tradizionale di
demanialità. Si mette cosi in risalto il poteredovere della Pubblica Amministrazione di
amministrare detti beni in funzione del criterio di solidarietà e di salvaguardia delle generazioni future.
7. Corte di Cassazione, sentenza n. 3813
del 2011.
Gli aspetti di tutela e di solidarietà, richiesti dal Codice dell’ambiente e che hanno il
proprio fondamento nell’art. 2 della nostra
Costituzione, danno al governo delle acque e
conseguentemente al demanio pubblico, di
cui la risorsa idrica è la categoria per antonomasia, una nuova luce.
La Corte di Cassazione nella sentenza n.
3813 del 2011, sulle orme della sentenza n.
3665 del 2011, ritorna ad approfondire la figura dei beni demaniali.
La Corte, infatti, afferma che, per inquadrare il regime giuridico dei beni demaniali,
8. La risorsa idrica ed il ruolo dello Stato-apparato.
L’apporto della giurisprudenza è stato determinante nel mettere in evidenza la duplice
appartenenza della risorsa idrica: allo Statocollettività, da intendere come collettività di
appartenenza; allo Stato-apparato, in quanto
essenziale per assicurare il mantenimento delle specifiche caratteristiche del bene.
Ciò comporta un ripensamento di questa
demanialità in chiave ambientale.
Occorre richiamare il legame tra la risorsa
idrica e la demanialità richiamata, questa volta, dal Codice dell’ambiente.
Il codice dell’ambiente, riguardo la risorsa
idrica, attua un richiamo specifico alla dema-
modificazioni negative che possono essere prodotte
dalle attività umane.
47
Art. 3 quater, co. 2, d.lgs. 152/2006
48
F. FRACCHIA, La tutela dell’ambiente come dovere
di solidarietà, cit., p. 504.
Gazzetta Amministrativa
49
-19-
Corte Cass, Sez. Un., 16.02.2011, n. 3813.
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nialità che, secondo quanto stabilito dal Codice civile, tralasciando le considerazioni poste
fin qui poste, è da intendersi come una forma
di riserva in capo all’amministrazione.
Tale attribuzione non si può intendere come
una
forma
di
dominio
dell’amministrazione, ma come previsione di
doveri di tutela e di intervento amministrativo
funzionalizzati al rispetto degli interessi della
comunità, al fine di raggiungere gli obiettivi
di salvaguardia ed equa distribuzione della
risorsa.
Quanto appena affermato collima e non
vanifica quanto ripetutamente sostenuto dalla
Corte costituzionale riguardo l’appartenenza
allo Stato-comunità e al rispetto degli obblighi imposti dalla Costituzione riguardo i doveri di solidarietà e di protezione della risorsa
ambientale, anche e soprattutto per la salvaguardia delle generazioni future50.
Un altro aspetto importante è dettato dalla
assoluta incommerciabilità della risorsa idrica
che, come detto precedentemente, è confermata anche dal recente intervento legislativo
diretto alla valorizzazione economica dei beni
pubblici; infatti, il d.lgs. 28.5.2010, n. 85, ha
escluso il demanio idrico e marittimo dal trasferimento degli altri beni demaniali agli enti
territoriali al fine di una adeguata valorizzazione economica51.
Tale compito di tutela da parte della amministrazione è rilevante riguardo la possibilità di attribuire in concessione ai privati la risorsa idrica; infatti, la concessione ai privati è
possibile solamente a seguito di un accertamento della compatibilità ambientale della
stessa, divenendo decisivo il parere da richiedere al nuovo Ente di governo previsto per
ciascuna ATO (Abito Territoriale Ottimale)52.
Trova conferma l’idea espressa da V. Caputi Jambrenghi che pone al centro della proprietà pubblica tutte situazioni qualificate
come doverosità; infatti, l’autore afferma che
“Proprietà pubblica e proprietà privata (o
proprietà pubbliche e proprietà private) non
sono dunque due (serie di) species dell’unico
genus. Proprietà è diritto, mentre nella proprietà pubblica prevalgono nettamente esigenze, finalità e, di conseguenza, discipline
normative specifiche che vedono il soggetto
pubblico “proprietario” quale centro di imputazioni giuridiche tutte qualificate per la
doverosità”53.
dell’art. 150, del d.lgs 3.4.2006, n. 152, non sono
venute meno con la soppressione delle autorità bensì
sono state assegnate ad altri enti, individuati dalle
Regioni. Successivamente con il d.l. 12.9.2014, n.
133, “Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la
realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione
del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza
del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle
cattività produttive”, è stato modificato l’art. 147
prevedendo nuovamente le soppresse AATO,
rinominate Enti di governo dell’ambito. Inoltre l’art.
147 del T.U. ambiente, prevede che le Regioni
individuino, in ciascuna Ato, l’Ente di governo
dell’ambito (in sostituzione delle AATO), a cui sono
trasferite le funzioni spettanti agli enti locali, che sono
obbligati a parteciparvi. L’Ente di governo dell’ambito
è il centro di imputazione degli interessi concernenti
l’organizzazione e la gestione del Sii. La norma
attribuisce a queste poteri pregnanti e volti anche alla
semplificazione nell’espletamento delle procedure
necessarie a consentire l’effettuazione degli interventi
programmati in materia di approvazione dei progetti e
poteri espropriativi tramite il nuovo art. 158-bis
(Approvazione dei progetti degli interventi e
individuazione dell'autorità espropriante). L’Ente di
governo dell’ambito, secondo quanto stabilito dall’ art.
149, d.lgs 03.04.2006, n. 152, è dotato di personalità
giuridica e fra i suoi compiti vi è quello di provvedere
alla predisposizione del piano d’ambito, da cui
dipenderà il modello gestionale e organizzativo ed il
piano economico finanziario. La Corte, nella sentenza
21.3.2012, n. 62, precisa che alle Regioni spetta il
compito di individuare quali enti o organi succedano
alle soppresse AATO ma non quello di scegliere la
modalità di gestione e di affidare il servizio. Infatti, la
stessa ribadisce che l’esito referendario ha recato
solamente una espansione dell’autonomia degli enti
locali nella scelta della modalità di gestione del
servizio e che la soppressione delle AATO non abbia
comportato il trasferimento delle loro funzioni alle
Regioni.
53
V. CAPUTI JAMBRENGHI, I beni pubblici e
d’interesse pubblico, in AA. VV., Diritto
amministrativo, Monduzzi, Bologna 1998, p. 1083.
50
E. BOSCOLO, Le politiche idriche nella stagione
della scarsità. La risorsa comune tra demanialità
custodiale, pianificazioni e concessioni, Giuffrè,
Milano 2012, p. 331.
51
Cfr. M. RENNA, La regolazione amministrativa dei
beni a destinazione pubblica, Milano, 2004.
52
Le AATO (Autorità Ambito Territoriale Ottimale)
secondo l’art. 1, co. 1-quinquies, l. 25.03.2010, n. 42,
sono state abolite; la norma ha affidato alle Regioni il
compito di individuare enti o organi a cui assegnare le
funzioni già esercitate dalle stesse, ferma restando la
competenza legislativa esclusiva statale ad individuare
tali funzioni e a disciplinarne l’esercizio. Le funzioni
delle autorità d’ambito di cui ai coo. primo e secondo
Gazzetta Amministrativa
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Infine, occorre ricordare quanto ha affermato S. Rodotà sulla figura della “proprietà
di terzo grado”.
Secondo l’autore, questa tipologia di proprietà, di cui fanno parte le risorse ambientali, devono essere sottratte alle logiche dello
sfruttamento, per costituire un “patrimonio
comune dell’umanità”54.
Precedentemente alla Legge Galli, si pensava che l’interesse pubblico fosse soddisfatto
dallo sfruttamento economico-intensivo della
risorsa da parte dei privati previa concessione. Questo ha implicato che si dovesse indagare sull’impatto che ha comportato la dichiarazione generalizzata di pubblicità di tutte le
acque disposta dalle recenti normative.
La legge Galli, trasfusa successivamente
nel Codice dell’Ambiente, è il frutto
dell’evoluzione degli interessi pubblici collegati alla risorsa e ad una progressiva presa di
coscienza del suo valore che vede primeggiare le istanze ecologiche e solidaristiche55.
La dichiarazione generalizzata di pubblicità costituisce lo strumento più rigido e soggetto a minori possibilità di contestazione per
il governo e la tutela delle acque. Il privato
può utilizzare di fatto (anche senza autorizzazioni e concessioni) un bene pubblico purché
ciò non contrasti con le esigenze della collettività o dei poteri pubblici, e nei limiti (acque
piovane, usi domestici) fissati dalla legge56.
Riguardo la risorsa idrica vi è coincidenza
fra pubblicità e demanialità, per cui tutte le
acque sono demaniali come previsto dal Co-
9. Conclusioni.
I compiti che il legislatore nazionale deve
affrontare con il SII sono ardui. Essi riguardano: la protezione della risorsa quale componente ecologica, la garanzia di una efficiente distribuzione di adeguati quantitativi della
risorsa per il soddisfacimento dei bisogni
fondamentali della popolazione, la risoluzione delle problematiche inerenti ai necessari
investimenti infrastrutturali per assicurare
quanto appena sostenuto. Le criticità ancora
aperte e in attesa di risoluzione sono comunque ancora molteplici.
La risorsa idrica, a prescindere dalla tipologia di gestione, necessita di un regime giuridico che ne impedisca un eccessivo depauperamento e, contemporaneamente, ne assicuri la fruizione da parte della collettività per
garantirne i bisogni primari.
Il mutamento dei valori sottesi alla risorsa
idrica ha reso necessaria una ricerca del regime giuridico della stessa secondo due aspetti,
frutto di questo cambiamento.
Il primo si riferisce alle problematiche
dell’appartenenza legate alla fruibilità della
risorsa, ma allo stesso tempo, alla salvaguardarla da possibili sfruttamenti illegittimi.
Il secondo aspetto inerisce la necessaria tutela ambientale, che è legata ad una regolamentazione dell’accesso e ad una protezione
della risorsa, sia per garantire le generazioni
attuali che le generazioni future.
55
Si riporta quanto affermato da U. MATTEI, La
proprietà, in Tratt. dir. civ., diretto da R. Sacco, Utet,
Torino 2001, p. 272, “Le regole sinora esaminate in
tema di utilizzazione delle acque devono essere
coordinate con la citata legge 5-1-1994 n. 36, che
introduce due disposizioni in particolare. La prima
consiste nella direttiva per l’utilizzazione dell’acqua
“secondo criteri di solidarietà” (art. 1). Vi è da
sperare che questa declamazione resti senza
conseguenze operative, poiché è idonea a stravolgere
tutte le regole finora studiate, mirate a perseguire un
uso efficiente della risorsa, secondo parametri
economici. La seconda novità consiste nella
graduazione degli usi dell’acqua: l’utilizzazione per il
consumo umano è prioritaria (art. 2); dopo il
consumo umano, in caso di scarsità, deve essere
assicurata la priorità dell’uso agricolo (art. 28); poi
si potrà derivare l’acqua per usi industriali (art. 29).
Ciò significa, purtroppo, che il bilanciamento degli
interessi nell’uso dell’acqua viene ampliamente
sterilizzato; il giudice non può dare la preferenza
all’uso industriale, a scapito di quello agricolo.
Nuovamente sono vanificati i criteri di efficiente
allocazione della risorsa.”
56
N. LUGARESI, Acque pubbliche, in Dizionario di
diritto pubblico, I, Milano, Giuffré, 2006, p. 96.
Questa doverosità, come visto è una caratteristica
generale della tutela ambientale, come evidenziato da,
F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria
dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà
ambientale, già cit., passim.
54
S. RODOTÀ, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà
privata, II ed., Bologna, 1990, passim.
Riguardo le criticità della normativa internazionale, si
rinvia a R. MICCÚ – F. PALAZZOTTO, Il Servizio idrico
integrato tra criticità e problematiche attuali: una introduzione, Gazzetta Amministrativa, 04/2014.
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dice dell’Ambiente57.
La risorsa idrica, con il codice
dell’ambiente, è passata dall’essere considerata un bene da sfruttare ad una componente
dell’ecosistema da tutelare, grazie anche alle
sollecitazioni pervenute dalla normativa
dell’Unione europea58.
Il legislatore nel pubblicizzare tutte le acque ha voluto preservare il patrimonio ambientale. Si potrebbe affermare che il legislatore abbia visto nella figura demaniale quelle
caratteristiche che meglio tutelavano l’acqua
e l’ambiente59.
Quanto precedentemente affermato, rafforza il percorso ricostruttivo della proprietà
pubblica mettendo in luce come, riguardo alla
risorsa idrica, vi sia un dovere di conservazione che si unisce inscindibilmente al diritto
di fruizione60.
Si può ritenere di essere davanti ad un intervento pubblico articolato, teso alla tutela e
alla gestione di una risorsa scarsa, vulnerabile
ed essenziale per l’uomo, la cui titolarità non
è dello Stato-persona ma dello Statocomunità.
Si può ritenere, inoltre, che il poteredovere di agire a tutela della stessa discenda
dalla rappresentanza necessaria e non negoziale del potere pubblico61.
Vi è un indubbio spostamento di interesse
riguardo il fine dell’azione dei pubblici poteri
che trova la propria giustificazione nella necessità di scongiurare il depauperamento della
risorsa, depauperamento sperimentato nei decenni precedenti. Sulla scorta di quanto esaminato da Hardin, si può evidenziare come i
beni non regolamentati nel loro accesso e nel
loro sfruttamento, in generale senza una regolazione e una governance adeguata, siano destinati al depauperamento62.
La soluzione prospettata, definibile come
la demanializzazione dell’acqua, si pone agli
antipodi della proprietà privata e prefigura un
potere-dovere dell’apparato pubblico di tutela
nei confronti della stessa. Tutto ciò comporta,
ai fini della tutela della risorsa, l’ininfluenza
della tipologia di gestione che potrà essere sia
pubblica che privata, nonché aperta a possibili forme di autogestione consentite dal nostro
ordinamento, purchè sia adeguatamente regolamentata.
La ricostruzione della categoria demaniale
idrica come mera imputazione al pubblico potere, in termini di tutela della risorsa, crea un
perimetro di azione limitato che non può essere criticato neanche dai sostenitori della
teoria dei beni comuni, in quanto l’intervento
pubblico è finalizzato alla tutela della risorsa
e delle generazioni future, come evidenziato
anche dalla recente giurisprudenza, ed in particolar modo dal Consiglio di Stato, sez. VI,
57
Ai sensi dell' art. 822, co. 1, c.c., che rinvia
genericamente alle leggi in materia, mantenendo
pertanto la sua validità.
58
La direttiva 2000/60/CE introduce principi e metodi
economici nella gestione delle acque in Europa. La
direttiva considera, infatti, l’analisi e-conomica come
uno strumento imprescindibile di supporto delle
decisioni. Si può affermare che i principi economici
chiave su cui si fonda la direttiva sono: la copertura
integrale dei costi, in particolare, gli utenti (industrie,
agricoltura, famiglie) dovranno sostenere integralmente i costi del servizio idrico ricevuto; e
l’analisi economica, infatti la direttiva richiede che gli
Stati membri utilizzino l’analisi economica nella
gestione delle loro risorse idriche per valutare i costi
generali delle alternative durante il processo
decisionale. Ai sensi della direttiva, il recupero dei
costi si riferisce a vari elementi. I prezzi che gli utenti
pagano dovrebbero fare riferimento ai costi operativi e
di mantenimento della forni-tura e del trattamento, ai
costi per gli investi-menti in infrastrutture e ai costi
ambientali e di risorsa, assoluta novità.
59
E. CONTE, Il demanio idrico secondo la l.5 gennaio
1994, n.36, in Rass. giur. en. el., 1994.
60
Per una prospettiva in tal senso che abbraccia
l’ambiente in un unicum, che comprende l’acqua ma
soprattutto l’uomo, si veda, P. MADDALENA, La nuova
cultura della tutela ambientale e situazioni giuridiche
soggettive, in I Tribunali Amministrativi Regionali,
Anno XI gennaio 1985, p. 51; ID, Danno pubblico
ambientale, Rimini 1990, passim; ID, L’ambiente:
riflessioni introduttive per una sua tutela giuridica, in
Ambiente e sviluppo, 6/2007, passim. L’Autore mette
in luce come il diritto all’ambiente sia un diritto dovere di tutta la collettività sull’ambiente.
Gazzetta Amministrativa
61
M. S. GIANNINI, I beni pubblici, M. Bulzoni Editore, Roma, 1963, passim.
62
U. POTOTSCHNIG, La difesa della qualità delle
risorse idricbe nella legislazione sulle acque
pubbliche, in La tutela delle acque. Criteri economici e
giuridici per la programmazione della qualità e della
quantità delle risorse idriche in Italia, a cura di E.
GERELLI, Milano, 1970, 45, citato da E. BOSCOLO, Le
politiche idriche nella stagione della scarsità. La
risorsa
comune tra demanialità
custodiale,
pianificazioni e concessioni, Giuffrè, Milano 2012, p.
39.
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18.04.2003, n. 2085.
Si può concludere affermando che questa
nuova demanialità, frutto di quanto disposto
dall’art. 2 Cost e dal codice dell’ambiente,
comporti per i pubblici poteri una funzione di
tutela e di governance, che si muove fra i criteri della sostenibilità e i criteri della solidarietà. Questa nuovo concetto di demanio, tende a ridursi, secondo quanto affermato dal D.
lgs 85/2010, al demanio marittimo e idrico. I
tratti caratteristici dei beni demaniali, così individuati, si identificano nella speciale funzione che questi assolvono, come confermato
anche dalla Corte di Cassazione63.
Il concetto della demanialità è fisso e invariabile, ma l’estensione del demanio è soggetta a variare con il variare dei bisogni, che si
pongono come collettivi nei vari tempi e luoghi e che assumono importanza sociale64.
L’acqua, in quanto fondamento della vita,
ha uno statuto giuridico complesso, le cui caratteristiche assolvono la speciale funzione di
definirsi in fieri e di evolversi con il variare
dei crescenti bisogni dell’umanità.
64
O. RANELLETTI, Scritti giuridici scelti. IV. I beni
pubblici, Jovene, Napoli 1992, p. 18, l’autore continua
affermando che: “Coll’aumentare sempre più
dell’attività sociale degli enti pubblici, aumenta insieme anche l’ampiezza del demanio pubblico; e la risposta alla domanda quali sono i beni demaniali, nel senso di enumerazione di beni, che hanno questa natura,
può essere data soltanto per un determinato diritto positivo di un determinato tempo. E nel nostro diritto attuale, questi scopi, che possono essere nella destinazione di una cosa demaniale, possono essere economici, fisici, intellettuali e morali; possono rispondere ad
una vera necessità, o ad una utilità, ed anche ad un
puro diletto della società, per es. giardini pubblici”.
63
Corte Cass, Sez. Un., 16.02.2011, n. 3813. In dottrina si veda E. BOSCOLO, Le politiche idriche nella
stagione della scarsità. La risorsa comune tra
demanialità custodiale, pianificazioni e concessioni,
Giuffrè, Milano 2012, p. 292.
Gazzetta Amministrativa
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THE EVOLUTION OF THE INTEGRATED WATER
SERVICE IN ITALY: ISSUES AND CURRENT PROBLEMS
del Prof. Roberto Miccú e del Dott. Francesco Palazzotto1
Il servizio idrico integrato è stata oggetto di molteplici interventi legislativi che ne hanno modificato l’organizzazione, la gestione e le modalità di affidamento del servizio. Le novità disposte dal
d.l. 12.9.2014, n. 133 conv. in L. 11.11.2014, n. 164 incidono su numerosi e rilevanti aspetti che
riguardano, da una parte, gli assetti istituzionali e organizzativi del settore (governance) e,
dall’altra, gli interventi infrastrutturali, la tutela ambientale e la qualità del servizio reso
all’utenza, anche in relazione al rispetto degli obblighi stabiliti dalla normativa europea. La sfida
da affrontare, oggi, consiste nel bilanciare le opposte esigenze tra la protezione dei diritti fondamentali e il risparmio delle risorse pubbliche. Il Servizio Idrico Integrato, come stabilito dal legislatore nazionale e più volte confermato dalla Corte costituzionale, anche nelle recenti sentenze
del 21.03.2012, n. 62, è un Servizio a rilevanza economica. Questo comporta che la tariffa e la
relativa regolazione abbiano un ruolo determinante.
The water service has been the subject of many legislative measures that have altered the organization, the management and the procedures for award of the service. The changes provided by
D.L. 12/09/2014, n. 133 conv. into L. 11/11/2014, n. 164 affect many important aspects that concern, on the one hand, the institutional and organizational structure of the sector (governance) and
on the other, the infrastructure works, environmental protection and quality of the service provided to users, relating also to the enforcement of obligations under EU law. The challenge today
is to balance the conflicting demands between the protection of fundamental rights and savings of
public resources. The Integrated Water Service, as established by law and repeatedly confirmed
by the Constitutional Court, including the recent judgments of 21.03.2012, n. 62, is a service of
economic importance. This means that the rate and its setting have a determinative role.
Summary: 1. Introduction. 2. Observations on the changes introduced by the DL 12/09/2014, n.
133 conv. in L. 11/11/2014, n. 164. 3. The D.L. 12/09/2014, n. 133, as amended and conv. by the
l. 11/11/2014, n. 164 and infrastructure investments. 4. From the judgment of the Constitutional
Court 17.11.2010, n. 325 to the judgment of 21/03/2012, n. 62 and relative issues on the Competence and legal nature of the SII. 5. Constitutional Court judgment of 20.07.2012, n. 199 on local
public services; 6. The exclusive legislative competence of the State of the Constitutional Bill
1429. 7. The integrated water service, general regulatory framework. 8. The referendum result
and the procedures for granting water services. 9. The new planning method and the necessary
role of local authorities. 10. Concessions and revocation without indemnification in case of
forced release. 11. Adjustment: AATO, AEEG and the Ministry of Environment. 12. The role of
the SII rate and on the Directive 2000/60/CE. 13. Conclusion.
1
Il presente articolo è il frutto di una comune riflessione tra i due Autori. Tuttavia i paragrafi 1, 2, 3 e 4 sono
attribuibili a Roberto Miccú; i paragrafi 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 a Francesco Palazzotto; le conclusioni (paragrafo
13) sono da attribuire ad entrambi gli autori.
Saggio sottoposto con esito positivo alla procedura di referaggio ai sensi del Regolamento interno della Rivista.
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1. Introduction.
The water resources have been the subject
of many legislative interventions since 19941
with l. 5.1.1994, n. 36 (so-called Galli Law)2
and have modified the discipline concerned
with the organization, the management and
the procedures for the concession of the service.
The integrated water service (SII) is defined in Italy by Legislative Decree 3.4.2006,
n. 152 (T.U. environment) as the set of public
services of collection, transportation and water distribution for civil use, sewerage and
wastewater treatment that must be managed
according to the principles of efficiency, effectiveness and economy, according to national and community rules.
In this paper, after a reflection on the
changes introduced by the legislature with d.l.
12.9.2014, n. 133 conv. in l. 11.11.2014, n.
164, following the recent legislative initiatives a general framework for the organization and management of the SII will be provided, the decisions of the Constitutional
Court relating thereto and the 2011 referendum; all this is necessary in order to highlight
how the social and environmental concerns
related to a vital commodity like water can be
better protected through the establishment of
an authoritative and independent regulatory
apparatus, provided with incisive control instruments and with effective sanction power.
The national situation is characterized by
the legislature's interventions aimed at the
same purpose, represented by the search for
efficiency and savings, imposed by the economic and financial crisis that has affected all
EU countries, albeit with different intensity.
In particular, the current state of crisis is
reflected, on one hand in the reduction of services provided to citizens, on the other in the
pursuit of organizational models that allow
local authorities to respect the constraints of
the budget, and the covenant stability dictated
by the European Union3.
Regarding the Integrated Water Service
(SII), the challenge that the legislature first
and the administration after have to face is
precisely to maintain a balance between the
protection of fundamental rights and the savings of public resources.
Analyzing the water service more fundamental aspects emerge, such as the protection
of water resources as an ecological component, the guarantee of effective and efficient
distribution of adequate quantities of the
1
The first law of general direct assumption of public
services by municipalities (including the construction
was part of aqueducts and fountains and distribution of
drinking water) is the L. 103 of 1903, presented by the
Minister of ' inside Giovanni Giolitti on the so called
social municipalism. The law arose from the dual requirement of an effective response to the multiplication of collective needs and to subtract the management of public services of the great social importance
to the rules of the market, through direct employment,
and organ companies without legal status, subject to
prefectural control in case of serious and persistent irregularities. The law, in particular, put a stop to the
ongoing trend, of the municipalities, to grant the facilities and operation of these services to private entrepreneurs, to avoid the considerable investments, and difficult to bear by the municipal finances, that the provision of public services demanded especially in big cities. The law 103/1903, then merged in T.U. n. 2578,
1925, remained in force until 1990, thus introducing
the figure of so-called municipalized companies, pointing to a long series of services (but also of goods),
which the city council could decide to "municipalize",
eg. to assume among the optional tasks of its body,
then decide whether or not to administer them directly
(by the same municipal bodies), or give them in concession to private or run them through special agencies, with no independent legal status, but equipped
with wider administrative autonomy. The original objective, linked to the intent reconciled to improve services and collectivize gains, however, was often
misled by the aim of offering services below cost to
the users, saddling the burden of increased costs to the
national community (being the State forced to intervene in consolidate budgets of municipalities in financial difficulty), creating a growing distrust towards
municipalization. For a comprehensive examination
see M. A. SANDULLI, Affidamento e gestione dei
servizi pubblici locali alla luce del regolamento
attuativo – Il Sii -, Paradigma, Milano, 2011.
2
Sii has been defined for the first time by art. 4 paragraph 1, letter. f) of the Act Galli as the set of public
services of collection, supply and distribution of water
for civil use, sewerage and wastewater treatment. The
innovative scope of the rules introduced by the Galli
Law was based on the fact that it marked the transition
from a fragmented system and difficult to control and
conductive to quality standard levels under defined
management criteria of efficiency, effectiveness and
economy, entrusted to people specialized in the market.
Gazzetta Amministrativa
3
M. PASSALACQUA, "Draw budget" against public intervention in the new art. 81 of the Constitution, in
www.amministrazioneincammino.luiss.it/.
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same for the basic needs of the population
and the issues that concern the economic sustainability due to the necessary infrastructure
investments.
The first two aspects arise from the awareness that water, despite being a fundamental
and irreplaceable element of the ecosystem, is
a poor and vulnerable resource; the third aspect that influences the other two is dictated
by the recent international and national economic events which led to a slowdown in the
creation of the infrastructure.
This slowdown, for our country, resulted
in the opening of several CommunityEuropean infringement procedures for the
non-adjustment of sewage treatment plants to
the Community directives4.
In order to provide a comprehensive legal
framework that highlights the critical specifications regarding the water resource and
therefore its management, organization and
protection, it is necessary to discuss the relevant legislation at a national, European Union
and International level.
tion of subjects relevant to the award of the
service, promoting new aggregation processes
in line with the regulatory changes that have
affected in general public services and local
authorities, and the principle of a management. This principle should achieve a dimensional growth and a reduction in the number
of managers on one side and higher levels of
service quality on the other. In fact, the purpose of improving the quality of services
from the point of view of environmental protection and resource requires the presence of
industrial management bodies (whether public or private property, that doesn't detect although it adheres to the regulation) with an
adequate funding, in order to ensure better
exploitation of economies of scale and adequate investments in infrastructure and to
generate new resources also through productivity growth.
The legislature, with these changes is continuing the process of reorganization of governance formerly started with the dl
6.12.2011, n. 201, converted, with amendments, in l. 22.12.2011, n. 214, with which he
has strengthened the functions of regulation
and control in the water services sector, giving, with art. 21, co. 19, these functions to
the Authority for Electricity and Gas5
(AEEG, today AEEGSI), after the abolition
of the Authority for the regulation and supervision of water6 established by dl 13.05.2011,
n. 707. In fact, it can be said that the provision
2. New provisions introduced by the Decree Law 12/09/2014, n. 133 conv. in L.
11/11/2014, n. 164.
The Italian legislator intervened again on
the SII with the art. 7 of Decree Law
12.9.2014, n. 133 conv. in L. 11.11.2014, n.
164, amending the Articles 124, 147 et seq of
T.U. Environment, in fact, the provisions of
Art. 7 affect many important aspects that
concern on one hand the institutional and organizational sector (governance) and, on the
other, infrastructural interventions, environmental protection and quality of service provided to users, also in relation to the respect
of the obligations under European law.
These changes affect favorably, although
they may present some critical points, on the
regulation and governance of the service. The
norm in fact, provides both a new organiza-
5
The D.P.C.M. 20:07. 2012 (published in Official Gazette on 03.10.2012) indicated the respective functions
of the AEEG and the Ministry of Environment; for a
discussion on the functions relating to water services
not transferred to the Authority for Electricity and Gas,
the new regulatory framework of the water service,
Hydro
Authority
Toscana,
2013,
http://www.autoritaidrica.toscana.it /
6
See D.L. 06.12.2011, n. 201, converted with modifications with L. 22.12.2011, n. 214, Urgent measures
for growth, equity and consolidation of public finances, published in the Official Journal. n. 300 of
27.12.2011 - suppl. ord. n. 276, art. 21, c. 19.
7
D.L. 13.5.2011, n. 70, art. 10, co. 14, identified as the
tasks of regulation and control, among others, the definition and verification of compliance with the minimum levels of service, establishment of standard
agreements, the definition of the cost components for
the determination of the tariff, the preparation of the
tariff method , approval of tariffs prepared by the authorities, the verification of the correct preparation of
4
In Italy, besides the problem of sewage treatment, it
is also necessary to monitor the problem of water
losses, which are very high, over 40% of the volumes
of water placed in water systems with peaks that reach,
in certain areas, up to 78%, see Anea, I servizi idrici a
quindici anni dalla riforma, Roma, 2009.
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of mandatory participation of local bodies to
government bodies of the area and the explicit transfer of competencies to the latter pertaining to local authorities regarding the water sector, the specific substitutive powers of
head Presidents Regions, the principle of sole
management, the provision of specific substitutive powers in case of failure to initiate the
procedure of entrusting the sole management
by the area body and finally the rules to ensure the takeover of the sole manager of entities currently operating, are all provisions
made to ensure a more appropriate legal basis
to support the obligations imposed by the European Union.
These obligations relate to the observance
of the cronoprogramma for the protection of
the resource from an environmental point of
view to achieve "good status" of all the waters of the European Union, through management plans implemented for individual
river basins8, in view of the principle of full
cost recovery that needs a more efficient governance.
From the beginning two aspects concerning the intent of the legislature to promote the
realization of investments should be pointed
out.
The legislator with co. 1 letter e) art. 7 of
Decree Law 12.9.2014, n. 133 conv. in L.
11.11.2014, n. 164, provides the AEEGSI
competence to regulate the consequences of
the possible early termination reliance and the
competence to define the criteria and modalities for the assessment of the residual value of
the investments made by the outgoing operator, the so-called "terminal value payment".
This while stimulating investment in infrastructure generates obvious critical issues,
which can be summed up at the moment, in a
translation of the economic risk with the municipalities grantor, which in the community
vision should remain significantly if not totally at least as head dealer (public or private),
so that it won't go beyond the boundaries of
the concession, in accordance with European
law and the European Court of Justice of the
E.U.9.
This problem should be solved by the provisions of art. 153, co. 2, of Legislative Decree no. 152/2006 as last amended by art. 7 of
Decree Law 12.9.2014, n. 133 conv. in L.
11.11.2014, n. 164, which requires the incoming operator to pay the redemption value10.
The AEEGSI had already initiated a
process aimed at defining the residual value
of investments (first with Resolution 12
March 2013, 110/2013/R/IDR, then with deliberation September 26, 2013, 412/
2013/IDR), determining the formula for the
valuation of the residual value with Resolution 27 December 2013 (643/2013/R/IDR).
The new art. 151, co. 2, makes these criteria a
contractual obligation.
The Optimum Areas (ATO), pursuant to
9
For a discussion, see Directive 2014/24 / EU of 26
February 2014 of the European Parliament and of the
Council on public procurement and repealing Directive
2004/18 / EC and Directive 2014/25 / EU of 26 February 2014 of the European Parliament and of the Council on the procurement procedures of entities operating
in the water, energy, transport and postal services and
repealing Directive 2004/17 / EC; for a discussion
about the concept of service concession, see F.
GOISIS, Rischio economico, trilateralità e traslatività
nel concetto europeo di concessioni di servizi e di lavori, in Dir. Amm., 4/2011, p. 703.
10
Art. 153, co. 2, of the Legislative Decree. n.
152/2006, as amended by Decree Law 12/09/2014, n.
133 conv. in L. 11/11/2014, n. 164, states that "the operator is required to take over the guarantees and the
outstanding bonds related to the loans or to extinguish
them, and to correspond to the outgoing manager a redemption value defined according to the criteria established by the electricity , gas and water supply system
". The determination of the reimbursement value is
consistently remitted by art. 153, c. 2, by the criteria
laid down by AEEGSI; for a paronymic of news regarding the regulation of local public services, see L.
GENINATTI SATTÈ, Questioni interpretative e problemi
aperti nella disciplina dei servizi pubblici locali, in Il
Piemonte delle Autonomie, 3/2014.
the area plans, the issue of guidelines for accounting
transparency of management. The Aeeg considered
these tasks of regulation and control in the field of water services already transferred according to d. l. n.
01/2011 as stated in the preamble of the resolution
1.3.2012, of the procedure for the adoption of tariff
measures and start of data collection and information
relating to water services, 74/2012 / R / IDR. The D. L.
n. 201/2011 provides that the Government, by a decree
of the President of the Council of Ministers, identifies
all the transferred functions.
8
A. MASSARUTTO, L'acqua, Il Mulino, 2008, p. 34;
The directive is certainly ambitious, since it has placed
very stringent deadlines. For the time schedule see
http://www.direttivaacque.minambiente.it/adempiment
i.html.
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art. 14711, as amended by the recent law, are
determined by the regions in accordance with
the criteria established by law Galli. In particular, the co. 2 of art. 147, points out three
criteria for the identification of the ATO, precisely, respect for the unity of the river basin
or sub basin, taking into account the plans of
the basin, and the location of resources and
their allocation constraints, also arising from
custom in favor of the towns concerned; sole
management, and however the overcoming of
fragmentation of vertical management; the
adequacy of managerial dimensions to be defined on the basis of physical, demographic
and technical parameters.
The legislation has not solved the problem
of the dimension of heterogeneity of the
ATO, nor the allocation of functions performed by the former Area Authority of the
regions on a model that has the characters of
homogeneity in the country and that would
lead to undoubted advantages.
For what concerns the AATO, art. 14712
has been amended providing again the suppressed AATO, renamed government Bodies
of area, giving these significant powers also
aimed at simplifying the necessary procedures to enable the carrying out of planned
interventions in the area of project approval
and expropriation powers via the new art.
158-bis13.
The new art. 147, providing for a specific
power in the hands of the President of the region in absence of action, has set out the obligatory nature of participation of local government to the governing Entity of each
ATO, stating that the responsibilities of local
authorities in the field of water management,
including the programming of the relevant infrastructure have been transferred to them ex
law.
In particular it should be noted that
AEEGSI already in 2012, in defining the
rules on tariffs for the regulatory period 20122015 had provided for the exclusion by tariff
for those administrations that hadn't joined to
the Authority of area, the old AATO.
The legislature has reaffirmed to the governing Ente of the field, in line with the outcome of the referendum, in the field of water
resources management, through co. 1, letter.
d) art. 7 of Decree Law 12.9.2014, n. 133, as
amended and conv. to l. 11/11/2014, n. 164,
the possibility of choosing any form of management envisaged by the European, but providing the custody of the service in observance of the principle of single management
and in compliance with European and national legislation on the organization of local public services in the network of economic importance.
The new law of 2014 brings substantial
changes in the convention-type management
of SII, whose setup today is attributed to the
competence dell'AEEGSI. The new art. 151,
in fact, is in line with the changes of the last
three years that have determined, although
gradually and with difficulty, the transition to
regulation focuses on the activity of an Authority of a national and independent character that could overcome the difficulties arising from previous adjustment, whose fulcrum
asserted itself through the local management.
The AEEGSI from 2013 had already
launched a specific process14 for the preparation of the convention-type management, as
well as opening a first public consultation15.
With regard to the new art.. 151 of Legislative Decree 152/06 it is necessary to point
out two aspects which, in the writer's opinion,
can and could lead to critical issues; in particular, the provision contained in Art.. 7 co.
1, letter. e, n. 3 D. L. 12/09/2014, n. 133,
which provided in the convention-type the
subleasing of the service, subject to approval
14
Act, 26.09.2013, 412/2013/R/idr, "startup of the procedure for the preparation of one or more standard
agreements for the regulation of relations between the
contracting bodies and managers of water service".
15
See
Consultation
document,
10.4.2014,
171/2014/R/idr, "guidelines for the preparation of
concession agreements such as for the regulation of
relations between entrusting body and managing company of water services".
11
Legislative Decree 03.04.2006, n. 152, art. 147 "Territorial organization of integrated water services".
12
Art. 7, co. 1, letter. b), D.L. 09/12/2014, n. 133,
amended art. 147 of Legislative Decree 03.04.2006, n.
152.
13
Art. 7, co. 1, letter. h), D.L. 12.9.204, n. 133,
amended art. 158-bis of Legislative Decree
03.04.2006, n. 152.
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expressed by the governing Ente sphere, that
would have resulted in critical issues respect
to the principle of single management required by the said article of the decree, was
suppressed upon conversion of the same.
The other aspect also concerns the new
art.. 151, but not the part suppressed nor modified upon conversion, in which it is expected
that the agreement approved by the Authority,
should govern in particular "the instruments
to ensure the maintenance of economic and
financial management" as well as imposing
an obligation of its achievement.
This outlook, in the writer's opinion, is potentially critical, in fact it foresees mechanisms for ensuring the economic and financial
equilibrium even with inefficient management.
The prediction of protecting the financial
and economic position instruments in absence
of adequate feedback of efficiency would
lead, on the one hand, to a cost increase with
the effect of increasing rates; on the other, to
the elimination of any enterprise risk for the
SII operator, up to establishing the necessary
requalification of the concessions management contracts risking to violate European
and national standards16.
The letter. i) co. 1 of Art. 7 of Decree Law
12/09/2014, n. 133, as amended and conv. by
l. 11/11/2014, n. 164, has entirely replaced
the subparagraphs 1 to 5 of art.. 172 of Legislative Decree 152/06, regarding the existing
management.
The decree provides for area entes that
have not yet done so, to adopt, by 13 September 2015, the ATO plan, the obligation to
choose the form of management, and initiate
the procedure of assignment, placing the
'assign services to the sole manager, with
consequent loss of existing credit lines.
The rule also provides that the SII operator
takes over, on the date of entry into force of
this measure, to the ulterior parties operating
within the same ATO.
A critical point could be the derogation
provided for in the second paragraph Art.
172, which as we shall see could frustrate the
attempt to ensure the sole management.
The paragraph in question, in fact, provides for a derogation, namely that the sole
manager of integrated water services takes
over on the due date stipulated in the contract
of service or other documents that regulate
the relationship and not on the date of entry
into force of the decree, referring to the credit
lines "according to the regulations in force
and undeclared ceased ex lege"17.
3. The D.L. 12/09/2014, n. 133, as
amended and conv. by l. 11/11/2014, n. 164
and infrastructure investment.
Changes made by the legislature have a
significant impact on investment, trying to
bring coherence to the legislation due to continued decree of urgency has generated a lot
of uncertainty. All this has moved away from
the water sector private investment, to the
point that a monitoring initiated by the Authority in 2013 showed that a need for investment budgeted for the sector, among other things underestimated, realized an average
rate of interventions close to 56%18. In this
regard, the reference standard is paragraph 6
of art. 7 of the decree in question.
It is necessary at this point to remember
that investments in the water sector, net of
reimbursable contributions, are directly proportional to the rate, since, according to the
legislation in force and the principle of full
cost recovery, the fee must contain all the
items spending19.
The great need for investment to modernize the network and meet its environmental
obligations dictated by European Union regulations, in fact, involves the use of additional
17
Art. 172, par. 2, Legislative Decree 03.04.2006, n.
152.
18
See Consultation document, 25.07.2013, 339/2013 /
R /idr, "requirements of investment and identification
of funding instruments for achieving the objectives of
environmental quality and resource idrica- first guidelines.
19
AEEGSI, “Relazione Annuale sullo stato dei servizi
e sull’attività svolta”, Roma, 19 June 2014.
16
F. GOISIS, Rischio economico, trilateralità e
traslatività nel concetto europeo di concessioni di
servizi e di lavori, in Dir. Amm., 4/2011, p. 703; with
respect to the case of Justice: sent. CGCE 10.11.1998,
C-360/96; CGCE 07.12.2000, C-324/98; CGCE
13.10.2005, C-458/03; CGCE 18.07.2007, C-382/05;
CGCE 10.09.2009, C-206/08; CGCE 10.03.2011, C274/09.
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tools for financing infrastructure that do not
further exacerbate the rate.
It's necessary to consider the conflicting
needs and specifically the need to adapt the
infrastructure to meet the obligations imposed
by the European Union concerning the protection of water resources to ensure the fruition of the resource for future generations and
the concurrent need to keep within sustainable rate limits.
All this in fact involves the use of financial
resources significantly higher than what is
possible to obtain from the regulation based
on the rate, requiring the detection of alternative regulatory schemes between them that
allow to resort to different pricing tools to
implement the economic and financial plan
(PEF)20.
In support of this standard it has set up a
special fund aimed at promoting investment
in the water sector in order to ensure the
achievement of the objectives set by European legislation21.
The use of the Fund is closely related to
regulatory activities concerning the definition
of the tariff.
The article in question, however, doesn't
expressly provide for the coordination of the
Fund with the regulation by the Authority re-
garding the definition of the criteria, methods
and amount of resources to be allocated to
funding assistance.
The rule, in fact, should correlate the promotion of investment in the regulation and
control of the Authority22.
4. Competence and legal nature of SII,
from the judgment of the Constitutional
Court 17.11.2010, n. 325 to the judgment of
21.03.2012, n. 62.
At this point of the work it seems necessary to briefly check the compatibility of the
novelties introduced by art. 7 of Decree Law
12.9.2014, n. 133, as amended and conv. by l.
11.11.2014, n. 164, with the previous case
law of the Constitutional Court dictated, especially in light of the considerable activity of
the last years in terms of integrated water service and the change of course mentioned recently by the ruling 199/2012.
To learn more not only about the compatibility of new legislation with the case law of
the Court, but also about the discipline of organizing and managing the integrated water
service, it is necessary go through an analysis
first of the legal nature and subsequently of
the division of competences, topics that have
been subject not only of a lively debate in
doctrine23 but also of important judgments of
20
See innovative and asymmetric adjustment introduced by Resolution, 27.12.2013, 643/2013/R/ hydraulic: the authority calls the consultation document
356/2013/R/IDR, where in order to meet the objectives
identified by the competent authorities , has proposed a
new approach to an asymmetrical and innovative regulation, to carry through the first period of tariff regulation, explaining the relationship between identification
of objectives, selection of necessary interventions and
reflections in terms of the amount of the fees and improvement of efficiency expectations of the operators,
contextually anticipating the possibility of providing
regulatory schemes adoptable by the Area bodies, or
by other competent parties to the tariff predisposition,
in function of the listed specific objectives by the same
set.
21
The Fund, in accordance with art. 7, co. 6, D. L.
12.9.2014, n. 133, as amended and conv. the l.
11.11.2014, n. 164, will be financed from the funds
already allocated by the CIPE resolution dated
30.4.2012, n. 60, "Funds for the development and cohesion - Regional Program. Allocation of resources to
interventions of regional strategic importance in the
South in environment of water purification and reclamation of landfill sites. "
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22
In this regard see the draft law AC 2093, C.D. "Environmental connected" on "Measures for environmental measures to promote green economy and the excessive use of natural resources containment" recently approved by the Commission VIII of the House of Deputies Environment, Territory and Public Works, which
in art. 24, co. 3, provides that: the administration of the
Fund shall be governed by order of the Authority for
electricity, gas and water sector, in compliance with
the principles and criteria established by the decree of
the President of the Council of Ministers to be issued
within ninety days.
23
For more in-depth analysis of these points, among
the numerous contributions on this subject see, L.
CUOCOLO, La corte costituzionale “salva” la
disciplina statale sui servizi pubblici locali, Journal of
Administrative Law, 5/2011, p. 484; D. SORACE, I
servizi "pubblici" economici
nell'ordinamento
nazionale ed europeo, alla fine del primo decennio del
XXI secolo, in Dir. amm., 2010, 1 ss.; F. MERUSI, Lo
schema della regolazione dei servizi di interesse
economico generale, in Dir. amm., 2010, 313 ss; L.
BERTONAZZI, R. VILLATA, Servizi di interesse
economico generale, in M. P. CHITI, G. GRECO (dir.),
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the Constitutional Court.
Regarding the legal status, according to
the Constitutional Court24 of the Community
the concept Sieg corresponds, where limited
to local area, to the internal one of local public services of economic importance.
The Court holds that both concepts are related to services rendered by an economic activity in the broadest sense, as they provide
necessary performance towards an undifferentiated generality of citizens that must be in general - contracted by evident public procedures.
All this has been confirmed by the Court
in the judgment of 26.1.2011, n. 26, on the
admissibility of the second question of the referendum, which resulted in the repeal of the
remuneration of capital invested by the members of the water service tariff25.
The Court, on the one hand found that the
removal of the reference to the criterion of
'adequate return on investment', clearly pursues the aim of making extraneous to the logic of profit the government and the management of water, but at the same time reaf-
firmed that the qualification of the SII as a
service of economic significance depends on
the obligation of cost coverage through the
fare. Recently, the Constitutional Court with
the judgment 21.3.2012, n. 62 returned to
judge the discipline of the SII, in particular,
for what concerns the topic of this work, the
division of responsibilities between the State
and the Regions on the organization and assign services.
The Court by reaffirming the legal nature
of Spl of economic significance of SII, reiterates the arguments26 previously incurred
about the state competence for the organization and management of SII, falling within
the competence of state exclusive for the protection of competition and protection of environment27, on which the referendum produced no effects.
The Court, in its judgment in question
states that the Regions are responsible for
identifying which bodies or organs succeed to
the suppressed AATO28, but not that of
26
The Constitutional Court having ruled out that such
services could be brought back as part of the fundamental functions of public bodies, with the ruling
20.11.2009, n. 307 and 27.07.2004, n. 272, confirmed,
by judgment of 17.11.2010, n. 325, that the rules regarding the modalities of the assignment of the management of local public services is to be ascribed "to
the field of matter”, of exclusive legislative competence of the State, "protection of competition" laid
down by art. 117, c. 2, letter. e) of the Constitution,
taking into account the structural and functional aspects of its own and its direct impact on the market ".
Always in the judgment of 17.11.2010, n. 325, which
has become the cornerstone of relations between the
different bodies on the regulation of local public services in general and of the Sii in species, which, significantly, declared unconstitutional the regional foresight
(art. 1, para. 1 of the L. reg. Campania n. 2 of 2010),
which provided for the regional power to regulate Sii
as a service devoid of economic significance and to set
their own legal forms of entities to be entrusted with
the service and the time-limit in existing credit lines;
And similarly it considered unconstitutional Article. 4,
paragraphs 1, 4, 5, 6 and 14 of the Law of the Liguria
Region 28 October 2008, n. 39. which gives the Regional Council and the AATO a series of administrative powers due to COVIRI (later CONVIRI) and
which refers to the concession of Sii to the provisions
of Art. 13, TUEELL incompatible with the current 23bis, D.L. 25.06.2008, n. 112.
27
Art. 117 Const., Co. 2, letter e) and s)
28
According to art. 1, co. 1-quinquies, l. 25/03/2010,
n. 42, which abolished the authorities in matter and en-
Trattato di diritto amministrativo europeo, parte
speciale, IV, Milano, 2007, 1791 ss. With particular
reference to the "universal service", where here is not
possible linger, see. G. F. CARTEI, Il servizio universale, Milano, 2002, 101 ss.
24
See the Constitutional Court., 24.07.2009, n. 246;
04.02.2010, n. 29; 23.04.2010, n. 142; 17.11.2010, n.
325 21.03.2012, n. 62.last edition Costitutional Corte,
24.07.2009, n. 246; 04.02.2010, n. 29; 23.04.2010, n.
142; 17.11.2010, n. 325 e 21.03.2012, n. 62.
25
Constitutional Court 26.01.2011, n. 26, considered
in law n. 5.2:
The question, although formulated with the so-called
cut-out technique, presents, on the other hand, the necessary clarity characters, coherence and consistency.
In fact, the partial repeal of paragraph 1 of article. 154,
and, in particular, by removing the reference to the criterion of 'adequate return on invested capital ", pursues, clearly, the aim of making extraneous to the logic
of profit the government and water management.
It's not possible to share in this regard, the additional
emphasis on the supposed inability of the question to
pursue the elimination of return on invested capital,
not being also able not to take account of the latter in
determining the price of a qualified service of economic relevance. Indeed, the question at issue is appropriate to the objective pursued, because, as noted above,
co-essential to the notion of "economic significance"
of the service is the cost coverage (Judgments
17.11.2010, n. 325), not the remuneration capital.
Gazzetta Amministrativa
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art. 534 and Art. 9, par. 135, of the. reg. Puglia
20.06.2011, n. 11 (SII management. Regional
public Company Constitution "Apulian Aqueduct - AQP").
The Court held that the contested provision can be interpreted only in the sense that
the region has to provide the direct award of
the management of the SII to the public company incorporated preventing the AATO to
make a choice before comparative assessment
of the management arrangements and subconcessionaires.
The Court reiterates in that regard that, despite the abolition of Area Authority, the regions have only the task of identifying bodies
or organs to which assign the tasks previously
carried out by the same authorities36 and that
any direct assignment of the service is by law
to be considered contrary to the competence
of the state, namely the protection of competition and environmental protection.
The functions of the authorities in this area
referred to coo. first and second art.. 150 of
Legislative Decree 03.04.2006, n. 152, no
longer exist by the deletion of the authorities
but have been assigned to other bodies, identified by the regions. As already noted, even
today as a result of changes made by the novel of 2014, these functions have remained
within the competence of the Government of
the Area.
The regional law must be limited at identifying the entity or person exercising functions
before accruing to the Authority's scope and,
choosing management mode or award of the
service.
In fact, the same stresses that the outcome
of the referendum has brought only an expansion of local government in the choice of methods of management of service and that the
abolition of the AATO has not resulted in the
transfer of their functions to the regions29.
The decision originates from two cases (n.
81 and 83, 2011), subsequently joined30, proposed by the President of the Council of Ministers, which raised issues concerning the
constitutionality of Article respectively 5, co.
6, letter. g)31, and art. 11, co. 132, of the. reg.
Puglia 30.05.2011, n. 9 (establishing the Apulian water supply), as well as art. 2, co. 133,
trusted the Regions the task of identifying bodies or
organs to which assign the functions exercised by the
same, leaving the exclusive state legislative competence to identify these functions and to regulate its operation.
29
Costitutional court. 21.3.2012, n. 62; the Court, in
particular, denies that the Apulia region can rely ex
lege the regional public water service to a public regional company, and that can establish the succession
of this in the reports and in the heritage of Aqueduct
Pugliese Spa, a company established by legislative decree and whose management was entrusted by Sii.
30
The court, considering the traceability of issues to
the only theme of Be and identity of the parties, joined
the appeals and referred the matter relating to the
transfer of staff under Article. 11, co. 1 l. reg. Puglia
30.05.2011, n. 9.
31
Co. 6, letter g), art. 5 stated that the Director General
of '' Apulian water authority " (authority established
by art. 1 of the regional law "for the public governance of water" and has legal personality under public
law) "arranges for the direct concession agreement to
regulate relations between the Authority and the integrated water services, for approval by the Governing
Council".
32
Co. 1 of Art. 11 stated that: "The staff taken on permanently on the date of 1 January 2010 at ATO Puglia
is transferred to the Apulian water Authority, that provides the operating framework in the same professional profile and its economic powers”.
33
Co. 1 of Art. 2 states that "The water service of Puglia is entrusted to a Regional public company that realizes the larger part of its activities with the public
body which controls it, also to benefit from economies
of scale and scope and facilitate greater efficiency and
effectiveness in the performance of the service and
with the obligation of reinvestment in the service of at
least 80 percent of net operating surpluses. For the
purposes of this Act, for net operating surplus means
operating profit of the entity referred to in Article 5 [ie
the regional public company referred to as 'the Apulian
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Aqueduct (AQP)', established by that article] net of
depreciation, amortization, interest and taxes.
34
Article 5 establishes the Public Regional Company
"Apulian Aqueduct (AQP)," it establishes the takeover
of the company in the capital and in the relations of the
s.p.a. Apulian Aqueduct, to create it, to succeed in the
relations of the dissolved "independent body for the
Apulian Aqueduct," with Legislative Decree no.
11.05.1999, n. 141 (central processing Ente Pugliese
aqueduct into joint stock companies, in accordance
with Article 11, paragraph 1, letter b of the Law of 15
March 1997, n. 59).
35
Co. 1 of Art. 9, states that 'The staff on duty at the
Apulian Aqueduct S.p.A. on the incorporation date of
AQP passes on the staff of AQP at the date of the
same constitution, preserving all the legal and economic rights acquired, without additional and higher costs.
In realizing this project labor relations are assured. "
36
Constitutional Court 21.03.2012, n. 62, considered in
law 3.2.
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tive referendum, with additional maneuver
launched by the Government by the dl
13.08.2011, n. 138, giving "Further measures
for financial stabilization and development",
converted to. 14.9.2011, n. 148, published in
Official Gazette on 16.09.2011.
Art.. 4 of l. 14.09.2011, n. 148, entitled
"Adaptation of the discipline of public services to local referendum and to the rules of the
European Union", contained the general rules
on the custody and management of local public services of economic importance. The article, in the wake of the previous provisions,
stipulates the obligation to the grantor entity
to proceed, at the outset and periodically, to
verify the feasibility of a competitive management of local public services, restricting
the rights of exclusivity37.
Regarding the modalities for granting services on the above, the provision reproduced
the previous system, art. 23-bis, providing ordinarily that the transfer happens through a
public procedure in favor of employers or
companies constituted in any space, in accordance with the principles of the Treaty on
the Functioning of the European Union and
the general principles relating to public contracts38.
Among the innovations of interest here, in
accordance with the will of the referendum,
there was the exclusion of the SII39 from the
scope of this general framework dictated by
the rule, except for those relating to incompatibility40. As far as it is relevant here, it must
be pointed out that, except for the SII, the rule
implied a narrowing of the hypothesis in
which the in-house41 entrusting was allowed
compared to European discipline, after the re-
therefore, also the management model and
the subject of custodial service.
The Court confirmed two fundamental
principles, namely, the first inherent the power to choose the management model of the SII
that can’t be established by regional law because in violation of exclusive prerogatives of
the State, as falling within the protection of
competition and of environment, the second
is the power of choice on the procedures for
placement of the SII, which is of an administrative nature and entrusted to the new
AATO.
In other words, the Consulta considers that
it is not possible by the regional legislature to
"legitimize" forms of management of the SII
through integrated operation of law foster
care management to public companies. Neither the national legislature, nor the EU is
binding, in fact, to a public management of
the SII, thus leaving the bodies free to choose
among the different management options.
As it has been shown previously, the Court
has consistently brought back, beyond the
criticism that may be advanced to the constant qualification, the discipline regarding
the organization and management of the SII
and consequently the matter of local public
services of economic interest to competence
matters of the State concerning the protection
of competition and the environment.
As we will see below, the Court in its
judgment of 20.7.2012, n. 199, would seem to
have amended its earlier jurisprudence, making no reference to the protection of competition but by thinking in terms of "residual regional legislative power concerning local
public services" but not adding anything
about it. In other words, the Court hasn't justified this change, and at the moment it can't be
given whether, following the change introduced by judgment n. 199 of 2012, the Consulta intended to alter its previous constant
jurisprudence.
37
See art. 4, co. 1, 2, 3, 4, l. 14.09.2011, n. 148.
see co. 8, art. 4, l. 14.09.2011, n. 148.
39
Previously the legislature with art. 23-bis had treated
the local public services of economic interest, without
distinguishing Sii, generating the repeal of special laws
that governed the way of assigning the contract of Sii
and eliminating the possibility of the service concession to a company owned directly and totally by local
authorities as ordinary management mode; Article. 23
bis, paragraph 1, stated repealed industry standards incompatible and art. 12 of d.p.r 07.09.2010, n. 168,
identified as repealed part of the legislative decree
03.04.2006, n. 152.
40
See co. 34, art. 4, l. 14.9.2011, n. 148.
41
See co. 13, art. 4, l. 14.9.2011, n. 148.
38
5. Constitutional Court judgment of
20.7.2012, n. 199 on local public services of
economic importance.
The rules governing local public services
of economic importance was changed after a
few months, due to the results of the abrogaGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
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ferendum.
Subsequently, the legislature has further
amended Art. 4 in question, issuing new rules
intended to further restrict the possibility of
using the model of in-house management,
further compressing the sphere of regional
autonomy and its regulatory competence of
local authorities.
The legislator intervened before, with the
art. 9 of l. 12.11.2011, n. 183 "Stability Law
2012", specifying some content of Art.. 4 of
Decree 13.8.2011, n. 138, after one month
with the art. 25 of Decree Law 24.1.2012, n.
1, converted, with modifications, in l.
24.3.2012, n. 2742, and then with the art. 53 of
Decree Law 22.6.2012, n. 83, converted with
amendments by Law 7.8.2012, n. 134, to
which reference is made elsewhere that address issues concerning the broader category
of local public services of economic importance and to the broad doctrine in which it is
interested in43, while considering that the
rules in question have some reference also to
the SII.
The Constitutional Court ruling of
20.7.2012, n. 199 has permanently deleted
art. 4 D. L. 13.8.2011, n. 138 and subsequent
amendments, believing that provision is detrimental not only to the popular will expressed at the referendum of June 2011, but
also to the spheres of competence of the regions and local authorities44.
Notwithstanding the exclusion from the
scope of the new rules of the SII, the analogy
of the provisions contained in art. 4 is evident
compared to that repealed of Art. 23-bis of
Decree Law 25.06.2008, n. 112 and the identity of the principles behind.
Therefore, according to the Constitutional
Court, Art. 4 of Decree 13.8.2011, n. 138 violates the prohibition of revival of formal discipline and substantial object of repeal referendum, provided for in Art. 75 of the Constitution.
In a historical moment in which, even
through the so-called "Spending review", our
legislature has provided new restrictions
placed on public companies / firms that manage services for the community, the ruling, on
the contrary, states that local authorities are
no longer obliged to "open to the market" its
subsidiaries. Article 4, D. L. 13.08.2011, n.
138, as subsequently amended, established a
process that would have had to lead the management of local public services from entrenched monopoly to the market competition, through a process of liberalization characterized by a strict cronoprogramma, in
which local authorities, on the basis of a market analysis and the adoption of a special resolution framework, should have liberalized
the economic activities, or, alternatively,
grant rights of exclusive management according to paragraphs. 1 and 8 of art. 4 D. L.
13.08.2011, n. 138, as amended.
On the contrary, the judgment 20.07.2012,
n. 199 reaffirms the legitimacy of the hypothesis of direct management of public services by the local authorities in accordance with
the Community rules and criteria established
by the European Court of Justice.
42
The subsequent amendments to Article 25 D. L.
24.1.2012, n. 1 had further limited the cases of award
of local public services, for example by reducing the
threshold to 200,000 euro within whose power make
direct assignments or by making compulsory the
AGCM and squeezing even more the spheres of regional competence in the field of SPL economic importance.
43
A. SANTUARI, Profili giuridici e assetti istituzionali
della gestione del servizio idrico integrato,
www.giustamm.it, 2013; G. GUZZO, Brevi riflessioni
su i nova dei spl dopo la legge di stabilità, in
www.dirittodeiservizipubblicilocali.it, 2011; G. DI
GASPARE, Servizi pubblici locali in trasformazione,
Padova, 2010; G. CAIA, I servizi pubblici locali di
rilevanza economica (liberalizzazioni, delegazione ed
adeguamento alla disciplina comunitaria), in E.
FOLLIERI, L. IANNOTTA (by), Scritti in ricordo di
Franco Pugliese, 2009;
44
Constitutional Court 20.07.2012, n. 199, considered
in law p. 5.2.1.
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6. The constitutional draft law n. 1429
and the exclusive legislative competence of
the State.
At this point of the discussion it is necessary to make some reflections, especially in
light of the jurisprudence of the Constitutional Court, concerning the DDL constitutional
no. 1429 (Provisions for exceeding the equal
bicameralism, reduction in the number of
MPs, containment of operating costs of the
institutions, suppression of CNEL and revision of Title V of Part II of the Constitu-34-
Numero 3/4- 2015
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tion)45, namely that part that aims at reexpanding the state legislative power.
The bill, which aims to radically change
the Constitution, aiming at overcoming the
equal bicameralism, but also greatly intervenes in reforming Title V of Part II of the
Constitution, already widely amended by the
constitutional law of 22.11.1999, n. 1 and of
18.10.2001, n. 3.
In other words, the profile of the bill in
question which interests here to analyze is
that of the hypothesis of reform of the division of legislative power between State and
Regions laid down by Art. 117 of the Constitution.
The d.d.l. in question, in fact, provides that
certain matters before converging in the
shared competence between State and Region
now fall within the exclusive jurisdiction of
the state. For example, of the new exclusive
legislative competence in the field of general
rules for the protection of health, safety food
and protection and job security; of university
education and strategic planning of scientific
and technological research; government bodies, electoral legislation, basic functions and
sorting of municipalities and metropolitan cities, as well as regulating the forms of association of municipalities.
All this does not solve the problem of defining the respective areas of intervention of
the State and regions in the same matter; aspect that has led to a considerable increase in
the contentious before the Constitutional
Court.
The critical issues are many and need a
specific focus to be studied in another work,
but what is interesting to detect for the purpose of this work is that the Constitutional
design in question would seem to reinforce
the role of the state in economic regulation,
recognizing the Constitutional Court, at least
as we have seen previously up to the sentence
no. 62 of 2012.
The bill, in fact, also includes the possibility for the State on a proposal of the Government, to intervene by law “in matters not
reserved to the exclusive legislation when this
is necessary to preserve legal or economic
policy of the Republic, namely the protection
of national interest”46.
This would introduce into the Constitution
a “supremacy clause” that would allow the
state to intervene in areas of legislative competence reserved to the regions, justified by
the Constitution of the Senate of Autonomy
and its role in the legislative process by providing a strengthened process.
Finally the d.d.l. seems to bring to light a
certain mistrust of regional autonomy, which
is significantly narrowed, but that seems
counterbalanced by the constitution of the
Senate of the Autonomies, even if this would
bring decisions regarding territorial autonomies in the parliament debasing the ratio regional communities and their representative
bodies.
7. The integrated water service, the general regulatory framework.
The provisions on "Water Management"
are contained in the Decree. 3.4.2006, n.
15247 (T.U. environment), in Part III, section.
III, Articles 141 et seq.
The Legislature, with the T.U. environmental, introduced some innovations such as
the rules relating to procedures for the assignment of SII, with a view to promote competition and, therefore, industrialization of the
system, in order to develop more infrastructure investments respect to the Galli Law.
The implant of the T.U. environment, for
profiles of interest here is based on certain
principles, namely, the obligation of the planning of water resources through the General
Plan of Aqueducts and Optimal Environmen46
Art. 30 of d.d.l. 1429-B, that proposes la “Modifica
dell’articolo 117 della Costituzione”.
47
D.lgs. 03.04.2006, n. 152, essentially incorporates
the so-called Galli Law; subject to the provisions contained in Section III is the discipline of water management and Sii for profiles that concern the protection
of the environment and competition, and the determination of the essential levels of services of Sii and their
fundamental functions of municipalities, provinces and
metropolitan cities.
45
For a discussion see, D. CODUTI, La (contro) riforma
del titolo v. prime osservazioni sul d.d.l. cost. a.s.
1429-A, XVII legislatura, in La voce del diritto, 2014;
M. OLIVETTI, Alcune osservazioni sulla riforma del
Senato e del Titolo V nel disegno di legge
costituzionale n. 1429, approvato dal Senato l’8
agosto 2014, in Amministrazione in Cammino, 2014.
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ty, differentiation and adequacy"51.
Today, in light of the amended article 147
the deadline within which the regions will
have to identify the "Enti di governo
dell’ambito" is 31 December 2014, except for
the intervention of the Prime Minister, pursuant to art. 8 l. 5.6.2003, n. 131.
As for the competences, art. 141, c. 1, T.U.
environment, establishes the exclusive state
competence for the profiles for water services
relating to subjects of competition protection,
environmental protection, determination of
the basic level of benefits and determination
of the fundamental functions of municipalities, provinces and metropolitan cities. This
division of competences between the different
levels of government appears to be a choice
of the national legislature pursuant to its
powers.
European legislation establishes few principles on services of general economic interest and in the field of water services, leaving
the Member States to legislate in order to enable the most efficient supply of these services52. Article 14 TFEU, Article 36 of the European Charter of Fundamental Rights and
the Protocol to the Treaty of Lisbon no. 26,
art. 1, proves the autonomy of national, regional and local authorities in organizing
tal Plan, the organization of integrated water
services according to the integrated water
cycle , so as to achieve a greater exploitation
of economies of scale and the need for protection which the resource needs.
The T.U. environment provides a unified
management of the water service that includes all the skills on the full cycle of water,
in order to give the system an optimal technical and economical structure.
The T.U. environment also takes up Optimum Areas (ATO), which under Art. 147, are
determined by the regions as determined by
the co. 2 48.
Article 147 T.U. environment also provides that the regions identify, in each Ato,
the "Ente di governo dell’ambito" (replacing
AATO), to which are transferred the functions pertaining to local authorities, which are
obliged to participate. "Ente di governo
dell’ambito" is the center of the imputation of
the interests on the organization and management of the SII49.
"Ente di governo dell’ambito" has legal
personality and among its duties it has to provide for the preparation of the area plan o Piano d'Ambito on which the managerial model
and the organizational and financial plan will
depend on50.
The Area Authorities have been subjected
to a number of reforms aimed at the rationalization of public bodies and at the containment
of public spending, started with art. 2, c. 38
Law 24.12.2007, n. 244. Article 1 quinques
Law 25.03.2010, n. 42, ordered the suppression area authorities and assigned the Regions
the task of attributing legally their functions,
"while respecting the principles of subsidiari-
51
This allocation was to take place by 31 December
2012 as required by Article. 13, c. 2, D. L. 29.12.2011,
n. 216 (Decree thousand extensions). The Veneto Region has appealed against the rule that suppressed the
sector authorities for infringement of the regional
competence in the field of local public services; the
Constitutional Court, with judgment 13.04.2011, n.
128, said that the discipline of the territorial authorities
in matters falls under state jurisdiction environmental
protection and the protection of competition, in the
light of the rationalization of resources and of functions carried out by the authorities on the market rationalization. See considered in law n. 2.
52
Communication from the Commission White Paper
on services of general interest, Com (2004) 374; D.
GALLO, I servizi di interesse economico generale.
Stato, mercato, e welfare nel diritto dell’Unione
Europea, Milano, 2010; D. SORACE, I servizi
«pubblici» economici nell’ordinamento nazionale ed
europeo, alla fine del primo decennio del XXI secolo,
in Administrative law, 2010, 1, 1 ss.; G. MARCOU,
Regolazione, servizi pubblici essenziali e diritti sociali
nello spazio giuridico europeo, in A. LUCARELLI
(edited by), Diritto pubblico europeo dell’economia,
Napoli-Roma, 2010.
48
This standard identifies three criteria: respect of the
unity of river basin or sub basin, taking into account
the basin plans, as well as the localization of resources
and their allocation constraints, also deriving from custom in favor of the towns concerned; the unity of management, and in any case the overcoming of vertical
management fragmentation; the adequacy of managerial dimensions to be defined on the basis of physical parameters, demographic and technical.
49
G. BOTTINO, Art. 148. Autorità d’ambito ottimale, in
AA.VV., Codice dell’ambiente. Commento al d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152, aggiornato alla legge 6 giugno
2008, n. 101, Milano, 2008.
50
See art. 149, d.lgs 3.4.2006, n. 152.
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such services as close as possible to users, the
need for their organization takes into account
the differences between the different services
and the contexts in which the services are
provided and guarantee a high level of quality.
As for water services, such autonomy was
confirmed by Directive 2000/60 / EC (Water
Framework Directive, WFD) on water53,
which does not specify the economic nature
of the service54, but it refers to the principle
of cost recovery of the water service55, according to an economic analysis56 based on
long-term forecasts of supply and demand in
the river basin district, where a Member State
opts for an economic organization of the service.
The directive defining the water service as
a service of general interest, not specifying
the economic nature, leaves maximum discretion to Member States in the organization of
the service, allowing even the possibility that
they can carry the burden of the service. In
the event that a Member State opts for an
economic organization of the service, it
should observe the European Union rules on
competition.
The national legislature sought to make the
management of the service a business, defining the powers of the regions that can operate,
within the limits assigned by the state legislature, only for the introduction of measures
aimed at ensuring greater competition and
greater protection of the environment57.
The division of powers outlined by art.
142, Decree Law. 3.4.2006, n. 152 provides
that the regions carry out the functions and
tasks allocated to them within the powers
constitutionally determined, with particular
reference to the territorial government. Local
authorities, through "the body of Government
of area", carrying out the functions of organization of the SII, the choice of management,
determination and modulation of tariffs and
entrustment of the management and its control.
The legislature assigned the functions of
regulation and control of water services
through art. 21, co. 19, D. L. 06.12.2011, n.
201, converted, with amendments, in l.
22.12.2011, n. 214, to the Authority for Electricity and Gas (AEEGSI)58, following the
abolition of the Authority for the regulation
53
Directive 2000/60 / CE of the European Parliament
and of the Council of 23 October 2000 establishing a
framework for Community action in the field of water.
The directive is the effort to overcome the dichotomous relationship between sustainable development and
economic development, opening the way towards the
establishment of a multidimensional concept of sustainability, which includes an ecological dimension (water understood as a natural resource poor and vulnerable, to be transmitted integrate to the future generations); economic (water as an economic resource to be
allocated according to the principles of efficiency);
ethics (water as essential good which ensures accessibility of social justice according to criteria). See P.
URBANI, Il recepimento della direttiva comunitaria
sulle acque (2000/60): profili istituzionali di un nuovo
governo delle acque, in Riv. giur. ambiente, 2004, 2,
209 ss.; A. MASSARUTTO, G. MURARO, “Il ruolo
dell’analisi economica nella direttiva 2000/60”, in
Economia Pubblica – bimestrale di informazione a cura del CIRIEC, fasc. 5- 6, 2006, Franco Angeli, Milano, p. 8 e ss.; F. LOPEZ RAMON, La planificacio´n hidrolo´gica en los Estados miembros de la Union Europea tras la Directiva Marco del Agua, in Revista espanola de derecho administrativo, julio-septembrie 2010,
147 ss.
54
See Directive 2000/60/CE, Recital. 15,although it
doesn't have binding authority, states that:
The supply of water is a service of general interest, as
indicated in the Commission Communication "Services of general interest in Europe" no. 96-C 281-03, in
G.U.C.E., 26.09.1996, C 281, p. 3.
55
Directive 2000/60/CE, Art. 9 Recovery of costs for
water services.
56
Directive 2000/60 / CE, Recital. 38.
Gazzetta Amministrativa
57
The Constitutional Court, in its judgment of
20.11.2009, n. 307, established the legitimacy of regional policies aimed at increasing the protection of
competition beyond those set by state legislation, in
this case by setting an obligation to entrust the water
service by tender. On the division of powers between
State and Regions art. 117 Costitution., with particular
reference to the protection of competition see A.
D’ATENA, Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quad. cost., 2003, 1, 15 ss.; L. VIOLINI, La
‘‘concorrenza’’ tra Stato e regioni nella disciplina
delle forme di gestione dei servizi pubblici locali, in
Non profit, 2007, 4, 873 ss.
58
The D.P.C.M. 20.7.2012 (published in Official Gazette on 03.10.2012) indicated the respective functions
of the AEEG and of the Authority and the Ministry of
Environment; for a discussion on the functions relating
to water services not transferred to the Authority for
electricity and gas, the new regulatory framework of
the water service, Hydro Authority Toscana, 2013,
http://www.autoritaidrica.toscana.it /
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and supervision of water59 established by dl
13.05.2011, n. 7060, pursuing a process of reorganization of governance that continue with
the changes we have seen previously.
The Authority in 2012, precisely 28 December, by resolution 585/2012/R/IDR approved the first method transitional tariff
(MTT) to determine the rates applicable for
2012 and 2013.
The authority, as by internal procedure, also took steps to diffuse the consultation documents (DCO)61 to all stakeholders, provided
for the gathering of written observations and
to the collective and individual hearings.
The AEEG activity in 2013 was intensified, providing the Social water bonus62 and
restitution to the end users of the tariff component of integrated water services on the
remuneration of capital, was repealed in response to the referendum on 12 and 13 June
201163. In the future, by a careful analysis of
the deliberations, it will be possible to check
if its regulating activity meets the targets required by European Union legislation.
8. The methods for granting water services before and after the referendum result.
The methods of entrusting the management of the SII64 have been the subject of
many interventions by the legislator and jurisprudence, which require at least a short survey.
Initially, the terms of custody provided by
art. 150, T.U. environment, have been reformed as a result of the general rules on custody of local public services of economic interest65, as per art. 23-bis of Decree Law
25.06.2008, n. 112, converted, with amendments, by l. 06.08.2008, n. 133, later
amended by art. 15 of Decree Law
25.09.2009, n. 135, converted in l.
20.11.2009, n. 16666.
To ensure broad circulation of the principles of competition, freedom of establishment and freedom to provide services, the
legislator chose to overcome the principle of
59
See D.L. 06.12.2011, n. 201, converted with modifications with L. 22.12.2011, n. 214, Urgent measures
for growth, equity and consolidation of public finances, published in the Official Journal. 300 of
27.12.2011 - suppl. ord. n. 276, art. 21, c. 19.
60
See note n. 7.
61
The Authority's measures are adopted in accordance
with procedures governed by their rules of procedure;
in particular it provides for the circulation of consultation documents (DCO) to all stakeholders, collection
of written comments and any collective and individual
hearings In fact, the authority, before finalizing the
first tariff method, from May to November, opened a
consultation of three documents: the DCO 204/12
(22.05.2012), in which it presented the first considerations regarding the adjustment pricing of water services; DCO 290/2012 (12.07.2012), in which it submitted
for consultation a more detailed proposal for provisional tariff methodology; DCO 348/12 (02.08.2012),
in which it addressed the issue of the content of water
services bill.
62
For more details, see Resolution 85/2013 / R / idr, of
28.02.2013: the document sets out the regulatory requirements of the intervention and the Authority's
guidelines with regard to the application methods of
the cost compensation mechanism for the provision of
water services supported by economically disadvantaged households.
63
For more detail, see Resolution 273/2013 / R / hydraulic, of 06.25.2013: With the present resolution are
determined the criteria by which the Area Authorities
will have to identify the remuneration amounts of capital invested to be returned to users in relation to the
period 21 July to 31 December 2011 following the referendum held on 12 and 13 June 2011.
Gazzetta Amministrativa
64
See V. PARISIO, La gestione del servizio idrico
integrato tra diritto interno e diritto dell’Unione
europea, in See V. PARISIO (edited by), La fruizione
dell’acqua e del suolo e la protezione dell’ambiente
tra diritto interno e principi sovranazionali, Milano,
2011, 107 ss.
65
For a general overview of the regulation of local
public services, see E. SCOTTI, Servizi pubblici locali,
in R. BIFULCO, A CELOTTO, M. OLIVETTI, in D. disc.
Pubbl., updating, Torino, p. 629 e ss. The provisions of
Art. 23-bis applied to all local public services, prevailing both on the rules for individual sectors with which
it is incompatible either of state or regional source - as
is expected to by co. 1 of Art. 23-bis - and on the Article standards 113 of Legislative Decree no.
18.08.2000 n. 267 - as is expressly provided for by the
co. 11 art. 23-bis.
66
Art. 15 of D. L. 25.09.2009, n. 135 expressly mentioned the Institute of In-house operation as a derogatory manner of custody, whose action had to be justified on the basis of "exceptional situations, because of
peculiar economic, social, environmental and geomorphological features of the territory of reference, not
allowing an effective and useful recourse to the market. " The regulatory framework was then completed
with the Regulations implementing art. 23-bis of P.D.
07.09.2010, n. 168.
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equiordination67 in procedures for the entrustment of the service.
This rule, in fact, provided that the assignment of the service could be done in the
ordinary way, by conducting public tender
procedures respecting the principles of the
Treaty on the Functioning of the European
Union (TFUE) and the general principles relating to public contracts, and exceptionally,
when necessary for the economic and social
character, environmental and geomorphology
of territorial context, to companies with wholly public capital that meet the conditions required by the European legal system in-house
management68.
This approach not only was centered on a
system of pre-established ex ante regulation,
but didn't address the problems and weaknesses manifested by the control system in
force, as it lacked the necessary technical
skills, independence and monitoring and
sanction powers69.
The legislature, after the result of the referendum to abrogate of 12 and 13 June 2011,
amended the regulatory framework briefly
explained.
As is known, the referendum achieved the
result of repealing Article 23-bis of Decree
Law 25.06.2008, n. 112, as amended by art.
15 of Decree Law 25.09.2009, n. 135, and art.
154 Legislative Decree 03.04.2006, n. 152
(TU environment) in so far as it referred to
satisfactory return on invested capital. This
has "reset" the entire discipline of local public
services of economic importance developed
over the past decade.
On the procedures of entrustment of the
SII, waiting for a new national framework,
prepared by the legislature in the dl
12/09/2014, n. 133, as amended and conv. l.
11/11/2014, n. 164, the EU legislation was
applicable in a direct way relating to competitive rules (in particular art. 106 TFUE) minimum in terms of public tender and the jurisprudence developed over time by the Court
of Justice and the organs of internal judicial
administration, as determined by the Constitutional Court in ruling on the admissibility of
the first referendum question70.
In other words, in the case of recourse to
the market, the obligation to entrust the service through a competitive process open to
public has remained, even in cases where local authorities decide to assign the service to
a joint enterprise and have to select the private partner, through the so-called dual tender
(covering both the quality of the membership
and the management of the service)71, where
67
see co. 5, Art. 113 of Tuel (D.lgs 18/08/2000 n.
267).
68
See, G. PASQUINI, Le nuove prospettive degli appalti
pubblici in Europa: Comunicazione CE 11 marzo
1998, n. COM(98)143, in Giorn. dir. amm., 1998, 889
e ss., in which the European Commission, with reference to the sector of public contracts, defined
'contracts in-house' as those awarded "inside" of a single administration or between an administration and
the companies it controlled, responding to a scheme
that the European Commission itself, in its interpretative Communication on concessions of 12.04.2000, in
the Official Gazette, 29.04.2000, has the equivalent of
a inter-departmental delegation, at which it admits the
derogation from the application of the competitive method.
According to known principles established at Community level, since the judgment 18.11.1999, C-107/98
Teckal: totalitarian public participation, similar control
and realization of most of the activity in favor of the
shareholders entities.
On this reform of local public services see F. Merusi,
Le modalità di gestione dei servizi pubblici locali, in
Le nuove autonomie, 2009, n. 2-3, 307 ss.; D. Agus, I
servizi pubblici locali e la fiducia nella concorrenza,
Giorn. dir. amm., 2010, 7, 464 ss.
69
Cfr. ANEA, Public governance of water service. The
proposals of the Area Authority in terms of regulation
and control, Rome, Anea, 2010; National Commission
for monitoring the water resources, Annual Report to
Parliament on the state of water services. 2009, Rome,
2010, 59.
Gazzetta Amministrativa
70
Constitutional Court 26.01.2011, n. 24, regarded in
law § 4.2.2, and Directive 2004/17 / EC coordinating
the procurement procedures of entities operating in the
water and energy, transport and postal services. The
Constitutional Court has confirmed what it had already said in its judgment of 17.11.2010, n. 325, regarded in law § 6 and 6.1.
71
The model has been admitted by the Court of Justice
U.E, in this regard, see, Corte Giust. U.E., sez. III,
15.10.2009, proceeding C-196/08, Acoset s.p.a., in
Foro amm. CDS, 2009, 10, 2211, see also comment
G.F. NICODEMO, Società miste, il giudice europeo
detta le condizioni per l’affidamento diretto, in Urb. e
app., 2010, 2, 156 ss. It should be noted that the Court
of Justice's decision was anticipated by the Italian legislature that, with D.L. 25.9.2009, n. 135 - converted
with amendments by Law. 20.11.2009, n. 166 - has
provided for the first time the model of the so-called
race double object.
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the company is established for a specific mission on the basis of a competition which concerns the choice of the shareholder and the
assignment of the same mission. Following
the referendum, however, the private shareholders can no longer have assigned a share
of the joint enterprise less than 40%, unless
that the participation as a private shareholder
is merely symbolic not permitting an effective influence on organization, management
and control of the service72. In case of a direct
award, however, local authorities must comply with European principles relating to "inhouse operation"73.
This has led to a return to the principle of
equiordination between in-house assignment
(in the circumstances required by European
case law) and award by public tender.
In general, it is therefore possible to state
that the possibility of the public body to
choose between the different management options has remained completely unchanged,
that is, between the use of private (in single
or associated form) or mixed corporate forms
or self-production (via the in-house), also in
light of recent changes in the dl 12/09/2014,
n. 133, as amended and conv. the l.
11/11/2014, n. 164.
One aspect that has generated the interest
of many scholars in the field, and that deserves a particular attention, is whether or not
we can provide in-house award by the special
company. Some commentators74 consider that
this form of organization of local public services is compatible with the European principles of in-house providing and with the current national legislation of the SII, in contrast
to another part of the doctrine75, that considers it incompatible.
It should be noted that the The Constitutional Court76 held that the obligation of the
corporate structure for the in-house assignments had been introduced by art. 35, l.
28.12.2001, n. 448 (Provisions for the preparation of the annual and multiannual budget
of the State Budget 2002).
Moreover, the Court noted that the constraint of corporate structure for credit facilities in-house is still applied; This constraint
hasn't been neither repealed implicitly by art.
23-bis nor by the referendum77, the purpose
of which, according to the national laws, resided in the mere repeal of Art. 23-bis78.
There is a clear need for a new regulatory
approach that returns consistency and clarity
to the matter.
9. The new planning method and the neIn particular, see the resolution of the Naples City
Council of 26.10.2011 concerning the changing of
Arin Spa in the special company Acqua Bene Comune
Napoli. The Board of Arin endorsed this transformation in the extraordinary council of 31.07.2012, with
legal effect from January 2013. See A. LUCARELLI, I
modelli di gestione dei servizi pubblici locali dopo il
decreto Ronchi. Verso un governo pubblico
partecipato dei beni comuni, in Analisi giur. economia,
2010, in part. 135-139. About special company in
general see G. MARCHIANO`, L’azienda speciale.
Disciplina attuale e ulteriori prospettive di riforma, in
G. SANVITI (edited by), I modelli di gestione dei servizi
pubblici locali, Bologna, 1995, 249 ss.; F. DELLO
SBARBA, I servizi pubblici locali: modelli di
organizzazione e di gestione, Torino, 2009, 25-36.
75
G. CAIA, Finalita` e problemi dell’affidamento del
servizio idrico integrato ad aziende speciali, in Il foro
amm. - Tar, 2012, 2, 666.
76
Cfr. Costitutional court 17.11.2010, n. 325, recital of
law n. 6.2.
77
D.l. 25.06.2008, n. 112, art. 23-bis, c. 3 e 11. L’art.
23-bis it abrogated, in fact, only the "incompatible"
provisions of article 113 of Tuel, as amended following the changes made by the said Art. 35 of l.
28.12.2001, n. 448. The limit imposed by the corporate
form. 35 of l. 28.12.2001, n. 448 doesn't seem to be,
therefore, incompatible, but rather complementary,
compared to the provisions of art. 23-bis.
78
Costitutional court 26.01.2011, n. 24, recital of law §
5.2.
The model of the race dual object also had the initial
approval by jurisprudence of the State Council (sect.
VI, 16.03.2009, n. 1555, in Urbanistica e appalti,
2009, 705, commented by G. FRACCASTORO and F.
COLAPINTO, I servizi pubblici fra società mista e in
house providing; sect. see, 13.2.2009, n. 824, in
Giurisd. amm., 2009, I, 214; sect. II, 18.04.2007, n.
456, in Foro it., 2007, 12, 611).
72
The Constitutional Court, with judgment
01.02.2006, n. 29, has judged, with these reasons, legitimate a law of the Abruzzo region which set the minimum proportion of 40% to the private partner.
73
See preceding note.
74
In this sense see A. LUCARELLI, la sentenza della
corte costituzionale n. 199/2012 e la questione
dell’inapplicabilità del patto di stabilità interno alle
s.p.a. in house ed alle aziende speciali, Federalismi.it,
2012; A. CONTIERI, Prime riflessioni sulle modalità di
gestione del servizio idrico integrato a seguito del
referendum del 12 e 13 giugno 2011, in
www.giustamm.it.
Gazzetta Amministrativa
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water bodies83.
In other words, the framework for the actual composition of the water surface network, underground aquifers and coastal waters of transition is the basis of proper planning.
Only the local authority will able to carry
out a detailed and analytical description of
their local water network and therefore contribute in expressing the necessary management, as required by the WFD.
All that opens, on the side of the
processing methodologies of information and
its complexity, the ancient theme of space
due to territorial autonomy in the management of water84 and the lack of a national system capable of collecting data in a uniform
way and then use it.
Only plans of trans-fall85 character can
provide an answer to the need for the preparation of documents that are not a simplified
and stereotyped portrayal of territorial characteristics of large areas, such as the districts
and, especially for the variegated conformation of our territory, so as to fulfill community stresses to identify the different administrative actions necessary for giving effect to the
provisions of the plan.
cessary role of local authorities.
Another element that characterizes the
change that is affecting the water and the water service, regards the necessary replacement
of the planning “concessione”79.
From the second half of the nineteenth
century the provvedimentale instrument used
was the water license, as it was fully functional for the realization of the maximum exploitation of the resource.
Today, according to the WFD, planning,
carried out on macro-scale district, must become the focus of policies for the protection
and planning use and sustainable resource80.
At the national level, the first district management plans result of the obligations dictated by the European Union and transposed
by the national legislation through the art.
117 T.U. environment, were enacted in the
early 201081.
Today an awareness has emerged for the
acquired awareness by the public decisionmaker of the inherent limitations of cognitive
capacities and forecasts of the complexity
that the water systems presents.
The procedure plan goes far beyond mapping of the basin and the drafting of a register
of users, among other non-existent in many
parts of the country, although it was already
provided for in r.d. n. 1775 of 193382.
The planning passes in the first place for a
detailed "characterization" of the water of the
district, which is necessary for the assignment
of objectives how much-quality for individual
10. “Concessioni” and dismissal without
compensation in the event of a forced release.
83
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, cited above., p.690.
84
C. BELLIS, Acque e interessi territoriali, Bari,
Cacucci, 1984.
85
P. BONAVERO, L’approccio transcalare come
prospettiva di analisi. Il contributo della geografia
alla ricerca economica e sociale, Milano, EDUCatt
Università Cattolica, 2005; The notion of transcalarity
is understood as a specific perspective of geographical
disciplines in the study of economic and social
phenomena. In particular, two different meanings of
transcalarity are distinguished, which is aimed at: “in
senso debole”, come applicazione di concetti e strumenti di analisi a diverse scale geografiche; "In the
weak sense", as an application of analytical concepts
and instruments at different geographical scales; "In
the strong sense," as joint consideration of two or more
geographical scales and analysis of relationships between them intervening. This second meaning is exemplified by the study of the "local / global relationship," necessary for the water sector.
79
The granting or concession provision" is an institute
of the Italian law different from the Institute of the
concession provision provided by European law; "The
concession" measures create to the recipients legal situations of advantage over goods reserved to the public
administration (eg the grant to open a bathhouse on the
beach, which is a good belonging to the P.A, a public
property) or sectors reserved to the public administration (eg the provision of public services, such as the
award to a private to perform public transport by bus).
80
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, cited above p.689.
81
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, cited above., p.689.
82
Co.Vi.R.I., Relazione annuale al Parlamento sullo
stato dei servizi idrici, Anno 2009, Roma, 22.7.2010.
Gazzetta Amministrativa
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As previously mentioned, the issue of the
structure and system of juridicial water “concessioni” determines many problems, as an
administrative tool reserved for the achievement of results in terms of economic productivity regardless of the need for preservation
of water ecosystems to which it correlates on
the contrary the need for adaptability, generating drawing rights and exhaust immutably
secured in the long run. Regarding the “concessioni”, the only clauses of adaptation were
related to the very rare case of modification
of the quantities available due to natural facts
radically amending the water flow, as required by law (Royal Decree 1775 of 1933)
and individual “concessioni”86.
The current conditions of water ecosystems can not withstand any longer the characteristic rigidity of the “concessioni” of the
traditional mold.
Today,
the hierarchy of values has
changed and the ecological issues require the
provision of continuous verification of compatibility of the levies in order to ensure the
preservation of the water body.
These checks may impose forced releases
or reduction of levies not accompanied by
compensation even if where invasion of expectancy exploitation of the water body is
lese, according to art. 95, co. 5 of T.U. environment.
The whole system is moving in the opposite direction to the logic of the needs that foresaw as only limits the technical capacity
and financial resources, all this also affects
the profiles linked to the duration of “concessioni” and the structure of fees, it is impossible to imagine a future that respects Community obligations while maintaining the current
standards under the current “concessioni”
held politically low.
Today, in the structure of the fees the
compensation component will have to fall , as
required by the WFD via the principle of
"polluter pays". Not to be underestimated that
this can lead to a more responsible consumption, consumption still distorted because of
fees retained "politically" low and therefore
not adequately ensuring the environmental
costs87.
The “concessioni” change their legal
structure differing from the past with significant consequences with regard to compliance
with patterns traced by the general law on the
procedure; consider, for example the revocation without compensation, that doesn't meet
the need of reimbursement by the dealer who
suffered the damage, contrary to the provisions of article 21 of l. 7.8.1990, n. 241, and
whenever the withdrawal would endanger the
fragile ecological balance of the water body.
From this framework, the result is a recognition of the prevalence of environmental reasons on the alleged protection of the concessionaire, with the result that such power takes
on the character of dutifulness regarding the
P.A..
The exploitation of irrigation-water production therefore assumes a recessive trait respect to environmental interest, This leads to
radical changes in the structure and content of
the procedures and measures.
The analysis of the concession system can
provide some indication for the evolution of
general administrative law, which often involves more and more limited goods and
utility and with assignments, contrary to what
is normally asked to the administration, that
operates under conditions of uncertainty.
It is, therefore, necessary to find new and
appropriate models of measures that respect
the need for adaptability in terms of profiles
until now pursued, such as legal certainty,
economic conditions and duration.
11. The adjustment: AATO, AEEG and
Authority of Environment.
The fundamental human right to water, the
sense of securing of the availability of water
resources of good quality and in sufficient
quantity to ensure the fulfillment of the most
basic needs of daily life, in conditions of
equality and with the characteristics of universality, as subjective right, is not taken into
account by the Republican Constitution of
86
87
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, p.692.
Gazzetta Amministrativa
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, cited above., p.693.
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194888, nor from the newer Constitutions in
the European context89.
In a geographically heterogeneous reality
as our country, to highlight this right as fundamental doesn't guarantee the effective satisfaction of the same, thus it is necessary to
have an efficient distribution of the resource.
The effectiveness of this right can only be
guaranteed via an efficient water service, that
our legislature, that has the competence, qualified as a service of general economic interest
(Sieg)90.
As already mentioned, in the SII converge
opposite needs, namely the need for solidarity
and efficiency, intended as better organization of industrial activities related to the service. These needs to be implemented need an
adequate regulation and consequently a
strong authority, independent and with penetrating sanctioning powers.
In other words it is necessary not only the
recognition of the right but also an intervention in public mechanisms to guarantee this
right, therefore "For there to be an equal distribution, conservation and rational use of
water resources, adjustment is required. "91.
One of the serious problems affecting the
SII is the backlog for adapting legislation to
the precepts by the components of the water
system, caused by the strong resistance of local authorities to abandon the old management logic and their role92, but also from economic crisis. It should be noted that the delays had a further aggravation also because of
the uncertainty created by recent events, the
result of the referendum and the latest legislative actions of both the national and regional
legislator93. Already with the Galli law, it was
expected for the SII both an exploitation of
"economies of scope"94 (functional aggregation) and the "economies of scale" was expected for the SII by providing a joint no
longer at the municipal level but for optimum
areas (ATO)95 and self-financing industrial
management provided via the fare.
All this, as we have seen has been confirmed by TU environment, but the implementation is still far because, as we shall see,
in our country there is another problem that
needs an in-depth analaysis which was and
still is in part the lack of an adequate regulation.
To date the only adjustment has been the
unity of the administration that has surpassed
the vertical fragmentation of management.
Even the bodies of government of the area
today are still a problem in part not yet exceeded. The T.U. environment art. 147, as we
have seen, provides for the reorganization according to optimal basins to which corres-
88
See D. ZOLO, Il diritto all’acqua come diritto
sociale e come diritto collettivo. Il caso palestinese,
cit., p. 126; in the course of the preparatory work of the
Constitution, within the III Subcommittee, the introduction of a more general law was proposed, to consumer goods, however it didn't find the overall share,
See, on this point, the amendment tabled by Gerardo
Bruni at the III Subcommittee in the morning session
of May 13, 1947: "The ownership of the goods of use
is ensured by the Republic to all workers, in proportion to the quantity and quality of each work, and with
respect of dependents' (Atti dell’Assemblea costituente,
in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Roma, 1971, VIII, p.
1670).
89
S. STAIANO, Note sul diritto fondamentale all’acqua.
Proprietà del bene, gestione del servizio, ideologie
della privatizzazione, in Federalismi.it, 9 March 2011,
passim.
90
Communication from the Commission White Paper
on services of general interest, COM (2004) 374.see ex
multis D. GALLO, I servizi di interesse economico
generale. Stato, mercato, e welfare nel diritto
dell’Unione Europea, Milano, 2010; D. SORACE, I
servizi «pubblici» economici nell’ordinamento
nazionale ed europeo, alla fine del primo decennio del
XXI secolo, in Administrative Law, 2010, 1, 1 ss.; G.
MARCOU, Regolazione, servizi pubblici essenziali e
diritti sociali nello spazio giuridico europeo, in A.
LUCARELLI (edited by), European public economic
law,, Napoli-Roma, 2010.
Gazzetta Amministrativa
91
S. STAIANO, Note sul diritto fondamentale all’acqua,
cited.
92
E. BOSCOLO, La disciplina pubblicistica delle acque
tra pubblicità, tutela ecologica e distribuzione
universale garantita, cited above., p.698.
93
The legislator has always pushed the privatization of
Sii, the regional one has fluctuated between opposing
positions, depending on the different regions, the referendum result has also affected the return on invested
capital, prohibiting it. This makes it easily understandable that stakeholders haven't coordinated their activities creating a huge uncertainty about the management
and organization of Sii.
94
G. MURARO, La gestione del servizio idrico
integrato, in italia, tra vincoli europei e scelte
nazionali, in Merc. Conc. Reg., 2003, p. 408.
95
G. CAIA, Organizzazione territoriale e gestione del
servizio idrico integrato, in N. rass., 1996, p. 747.
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pond the bodies of the Government of the
area, later called into question in a logic of
drastic cost-cutting. To date, not all regions
have provided for the replacement of the authorities with their functions96.
It will be necessary to hope that at least
today, in light of current regulatory changes,
the regions will fulfill this.
The peculiarity of SII is also mainly
caused by the non duplicability of distribution
networks97, which involves the formation for
many aspects of a natural monopoly.
The lack of provision for an independent
regulator for the specific sector98, has meant
that there hasn't been a constant activity of
regulation, with the objective of avoiding
predatory pricing conducted by the operator
and to ensure that the management was also
oriented towards general interest.
This is possible through a fixation rate of
publications, an ex ante regulation - explicated by the definition of the rules of competition and the predetermination of the contents of the contractual documents - and ex
post - activities intended to be carried on
through a continuous rebalancing and correcting competitive tool99.
The concession agreement, which assigns
the exclusive right of management, is also attributable to the category of "incomplete contracts of long duration"100 - with related problems linked to the management of events that
arise during the course of custody and the gap
information between the administration and
the economic actors.
All this has generated a climate of uncer-
tainty that can’t ensure private investment,
framework further aggravated by the outcome
of the referendum that has canceled the return
on invested capital.
A problematic point is the transition from
a regulation per contract to a strong central
regulator, in the absence of a validated and
sufficiently large database allowing the creation of models of standardization costs consonant to the complexity of a system with
strong environmental and social interactions.
The regulator assumes a central position in
the relationship, so far uncertain, with the
lenders. The AEEGSI must act promptly,
creating a standard model for the management agreement, defining with certainty the
procedures for the redemption of works not
yet fully amortized at the end of contract, distinguishing between investments for new
works and those for the maintenance of the
assets that can be assimilated to operating
costs by reducing the risk in case of default,
determining the procedures for determining
the social tariff and tariff in general; the
AEEGSI is planning the definition of some of
these interventions, for which it has already
partially resolved101 after starting the consultation phase, and it is hoped that all the
planned activity will be approved in time in
accordance with the needs of the sector.
Interventions beyond the action of
AEEGSI are those that the government and
parliament can decide to improve the credibility of the system and reduce the risks.
Among these interventions we can mention
the creation of a guarantee fund for investment in case of default of the operator. Such
interventions could not be a substitute for efficient regulation at central and local level,
but could be put together with others borrowed from the experiences of other nations,
such as revolving funds, the Water Bonds and
project financing for specific cases. Only with
96
Emilia Romagna and Lombardy may be included
among the regions that have taken steps.
97
M. POLO, F. DENOZZA, Le reti, in E. BRUTI
LIBERATI, M. FORTIS (edited by), Le imprese multi
utility, Bologna, il Mulino, 2001.
98
On a framework for functions relating to water services not transferred to the Authority for Electricity
and Gas see previous note.
99
A. MASSARUTTO, La cultura del fare (e del disfare):
il cantiere infinito della riforma dei servizi idrici, in
Anal econ. Dir., 2010.
100
A. PETRETTO, Teoria dei contratti e
regolamentazione dei servizi pubblici locali, in G.
CANITANO, D. DI LAUREA, N. DONI (edited by), La
convenzione di affidamento e la regolazione nel
servizio idrico in Italia, Milano, F. Angeli, 2007,
passim.
Gazzetta Amministrativa
101
The Authority approved Resolution 585/2012/R/idr,
the new criteria for the determination of the transitional rates for the biennium 2012/2013 which anticipate
the general outlines of the final tariff planned for 2014
concerning all operations, except for those which apply
the CIPE method. With the decision 643/2013/R/idr,
the Authority approved the Water Method Rate (MTI)
for the years 2014 and 2015, to completion of the first
regulatory period 2012-2015.
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the set of all operations you can be groped to
achieve the goal102.
Finally it should be noted that the organizational forms of water service should allow
greater control and greater participation of the
users in order to be compatible with the management and industrial efficiency; all in line
with the classification of the resource as
"common good" but in respect of efficient
management, necessary for the implementation of the principle of full-cost recovery, as
required by the WFD.
Environmental Code, three purposes, that reflect the fundamental principles of the discipline of water services, in particular, sustainable management of the resource (with recall
to rights of future generations and to the policy of solidarity between generations)104, water saving (consumption reduction and rationalization of uses)105 and the priority of human consumption on other uses106. The divergent needs to consider are: the growing
demand of a fundamental good. economic
needs, that require more and more effective
and efficient management and environmental,
aimed at protecting the quality and savings of
the resource.
The tariff system to meet these conflicting
requirements uses different institutes, including the price-cap107 and the rate at increasing
blocks; the price-cap institute is suitable for
the care of social needs but also economic
and environmental efficiency since it takes
into account the efficiency and planned investments; the institute of the rate at increasing blocks, however, aims to reduce consumption in order to better guarantee the protection of the environment and finally crosssubsidies. Before the referendum our tariff
12. Notes on the role of the rate of the
SII and Directive 2000/60 / EC.
The price system is one of the main issues
related to the SII and to the adjustment system, as a service of economic importance,
that has to perform many functions including
the protection of fundamental rights, that are
connected and depend on a regular use of the
service, the protection of the resource regarding the environment and preservation for future generations.
The tariff system is therefore the focal
point of Sii103, and has, as evidenced by the
102
R. M. MAZZOLA, The regulation of water utilities,
Astrid, Rome, 2013; The author proposes to consider
both the structured finance instruments, such as project
finance, for the financing of individual works, such as
for example the drinking water treatment plants and
water treatment; either in other European countries,
such as affermage, where the manager has the task of
identifying and proposing investments but their responsibility and financial burden is borne by the local
authorities, to which the tariff quota is also transferred,
recessed from the aqueduct service, for the payment of
debts for investment.
103
The consultation document 550/2013 / R /idr, which
follows document 356/2013 / R / idr, reports the Authority's final guidelines on tariff regulation of water
services in the first regulatory period (2012-2015), integrating the discipline already defined of the transitional period (MTT-Method Rate transient) concerning
the criteria for the determination of tariffs in 2012 and
2013, with a new method of consolidation for the years
2014 and 2015. The objectives that the Authority intends to pursue through the establishment of the Water
Method Rate (MTI) are attributable to the following
purposes:
ensure universal access to water; ensuring conditions
aimed at encouraging the urgent modernization of water infrastructure; ensure the management of water services in conditions of profitability, efficiency and financial viability; ensure and facilitate the implementaGazzetta Amministrativa
tion of the regulatory framework promoting the simplification and stability.
104
D.lgs. 3.4.2006, n. 152, art. 144, co. 2.
105
D.lgs. 3.4.2006, n. 152, art. 144, co. 3.
106
D.lgs. 3.4.2006, n. 152, art. 144, co. 4.
107
A mechanism by which the price of the final good
is subject to a roof that allows for a tariff adjustment
by subtracting the rate of inflation the minimum of enterprise productivity increase. The regulator imposes,
therefore, to the manager that the index of selected
price increases no more than the retail price index (retail price index) growth rate net of a certain percentage
each year, taking into account future gains in efficiency of ' company (X): for this, the method takes the
name of RPI-X regulation. By means of this method of
updating rates, the public authority determines the
maximum price applicable by the operator in return for
the provision of the service, operating a balance between the interest of the users to pay a modest rate and
the needs of the providers to achieve an appropriate
profit to the industrial activity brought into being. The
tariff policy would create, in this way, in a negotiation
margin of increase in prices in response to commitments by companies in terms of investments to be
made and quality of services to offer, so they should be
provided for specific penalties in respect of the failure
to achieve the levels of quality agreed or planned investments.
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system also included the rate of return108
model, that is a form of regulation which stipulated a limit to the rate of return on capital
invested by companies, and the reveneu
cap109, ie a model which determined a maximum profit .
These pricing models therefore need a
strong regulator.
The action of the regulator must be directed to mitigate the distortions that may occur with any tariff method, for example, prevent unnecessary or undesirable investments
may be encouraged by the certainty of receiving a substantial remuneration, or making
sure the demand estimates are as consistent as
possible with the actual supply, since the revenue cap presupposes an exact determination
of the level of demand.
In case of error in the initial estimate of
supply and service costs it is possible to determine lost revenues that could lead to a reduction in investment or an increase in
fares110.
The action of AEEGSI and issues related
to the tariff system are in close connection
with the provisions of the WFD111, establishing the framework for Community action in
the field of water based on an integrated approach to the planning and management of
water resources.
This directive replaces and unifies all previous sector regulations, and indicates a new
line of action in order to ensure the protection
of the aquatic environment, intended in its totality within Community territory112.
In terms of water, for the first time a directive integrates environmental requirements
with economic and social ones. More specifically, the directive is based on the principles
of precaution, prevention and the "polluter
pays" (polluter-pays principle); obliging the
protection of waters.
The new orientation highlights all the various functions of the good water, recognizing,
so, the co-existence of different needs: the
social aspect related to the protection of persons against risks for safety and health is protected; the economic aspect, since it involves
the efficient access of the population and the
resources to the resources; the environmental
aspect, or intergenerational sustainability,
which includes the conservation of resources
and the defense of their ecological functions.
In this sense it is no longer sufficient, as in
the past, dwelling on the chemical and physical composition of the water body, or the observance of certain limits of concentration of
substances, but it is necessary to take into account the ecological functions of water bodies
that must be maintained and improved.
The overall objective to be achieved by
2015, is to achieve a "good status" of all the
waters of the European Union, through management plans implemented at the level of individual river basins113.
To achieve this objective, the Directive
starts from certain priority and complementary assumptions: water has no borders, water
concerns each of us, water is a fragile resource, water has a cost and needs to implement integrated and complementary meas-
108
Institute predicted in Britain, due to the fact that the
industry would have reached maturity and that the
gains of efficiency would be terminated, it was necessary to provide for a form of return on capital invested
by the company.
109
In revenue-cap the activity of the regulator is aimed
at determining the level of profit that the manager can
achieve annually, which should provide incentives to
reduce costs rather than an increase in sales volumes of
the managers.
110
H. Averch and L. JOHNSON, Behavior of the firm
under regulatory constraint, in The American economic review, 1962, 5, 1053 e ss., which describes the diseconomic effects resulting from the adoption of the
method of the rate of return without adequate regulatory counterweight. See also, M. MORETTO and P.
VALBONESI, La regolamentazione dei prezzi, in I
servizi idrici tra mercato e regole, edited by G.
MURARO and P. VALBONESI, Roma, 2003, 99 and ss;
Anea, La tariffa del servizio idrico integrato, Roma,
2008, 3.
111
Direttiva 23 ottobre 2000, n. 60 “quadro per
l’azione comunitaria in materia di acque”, in G.U.C.E.
n. L 327 del 22 dicembre 2000 (correct text with the
correction notice published on G.U.C.E. n. L 17 of 19
January 2001).
Gazzetta Amministrativa
112
G. CORDINI, “La tutela dell’ambiente idrico in
Italia e nell’Unione europea”, in Rivista giuridica
dell’ambiente, dossier 5, 2005, Giuffrè editor, Milano,
pp. 716-717.
113
A. MASSARUTTO, L’acqua, Il Mulino, 2008, p. 34.
The directive is certainly ambitious, since it has placed
very stringent deadlines. For the time schedule see
http://www.direttivaacque.minambiente.it/adempiment
i.html
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ures, such as public participation114.
It can be said that the Directive
2000/60/CE has implemented changes regarding water policies water, which pass
from the concept of needs and construction of
infrastructure at public expense to the opposing concepts of reduction of public expense,
efficiency in use of full recovery of costs to
users (full cost recovery).
As we have previously mentioned, Directive 2000/60/CE introduces principles and
economic methods in water management in
Europe. The Directive, in fact, considers the
economic analysis as an essential tool for decision support.
In light of the above, it can be said that the
main economic principles on which the directive is based are: full coverage of costs, in
particular, users (industry, agriculture, households) will have to bear the full cost of water
services; and economic analysis, in fact, the
Directive requires Member States to use economic analysis in the management of their
water resources to assess the overall costs of
alternatives during the decision process.
Under the directive, the cost recovery refers to various elements.
The prices users pay should be related to
the costs of operating and maintenance of the
supply and treatment, costs for investments in
infrastructure and environmental costs and resource115, total innovation.
The principle of full cost recovery, in connection with the "polluter pays" is established
by art. 9. Through this principle users pay the
provider directly or through fee, charge or
taxation, incurred directly or indirectly, full
coverage and proper cost of water services.
This principle, in relation to the "polluter
pays", carries out three basic economic functions: information, governance and financing.
Coverage integrity and proper cost of water services and "polluter pays" in fact have to
inform users about the total costs of their
consumption, or the costs of their activities
such as the cost of waste or discharge which
deteriorate the quality of water116.
The introduction of the principle of full
cost recovery, being a novelty in the field of
environmental law of the European Union,
was highly problematic, in the course of the
legislative process, and it is still difficult to
identify the correct interpretation of the current text.
The most debated aspects regarding the
full cost, full cost recovery, concern the degree of binding nature117 of this principle and
the basis on which to apply the "polluter
pays"118.
Inefficient pricing policies contributed to
poor management of water resources in many
ecosystems and those who use the environment (for
example a reduction in the ecological quality of aquatic ecosystems or the salinisation and degradation of
soils production). The resource costs are defined as the
costs of supporting opportunities that other use, resulting from the reduction of the resource below the natural rate of regeneration or recovery (eg due to excessive extraction of groundwater).
116
Unnerstall, Herwig, “The principle of full cost recovery in the EU- Water frame work directive – Genesis and Content”, in Journal of Environmental Law,
vol. 19, n. 1, Oxford University Press, Oxford, p. 29.
117
For a complete discussion L. DE VITO, La
normativa comunitaria in materia di acque.,
Amministrazione in cammino, LUISS, Roma; cfr, if
you wish, F. PALAZZOTTO, Il servizio Idrico Integrato
alla luce della Direttiva 2000/60/ce. il ruolo della
regolazione
relativamente
agli
obiettivi
di
salvaguardia della risorsa acqua richiesti dalla
direttiva, Gazzetta amministrativa, 2/2013.
118
M. KAIKA., B. PAGE, “The EU Water Framework
Directive: part 1. European policy- making and the
changing topography of lobbying”, in European Environment, fasc. 6, vol. 13, European Research Press,
Shipley, 2003, pp: 314- 327.
114
Art. 14 of the WFD Directive states that Member
States should promote active participation in the implementation of the Directive of all interested parties
(users, service providers, environmental associations,
etc.) Article 14 of the Directive states that Member
States should promote active participation in the implementation of the Directive of all interested parties
(users, service providers, environmental associations,
etc.) In terms of participation, the Water Framework
Directive is the first European directive that takes account of the principles of the Aarhus Convention and,
in fact, among the most important aspects and significance, art. 14. related to '"Public information and consultation" , appears nullifying. see the Aarhus Convention on Access to Information, Public Participation in
Decision-making and Access to Justice in Environmental Matters, implemented by Decision 2005/370 /
EC of 17 February 2005 (G.U.C.E L 124 of 17 May
2005, pp 1-3; G.U.C.E L 164m of 16 June 2006, pp
17- 19).
115
Environmental costs are defined as the costs of
damage that water use imposes on the environment,
Gazzetta Amministrativa
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areas. The European Commission, in its recommendations, has highlighted the need for
full implementation of the Directive Framework and the activation of best price policies
as these encourage efficient water use and
will stop wastage.
The The directive opens the way towards
the establishment of a multidimensional concept of sustainability, which includes an ecological dimension (water understood as a natural resource poor and vulnerable, to be
transmitted intact to future generations), economic (water as an economic resource to be
considered according to the principles of efficiency) and ethics (water as essential commodity which ensure accessibility of social
justice according to criteria)119.
It can be said that the control system is far
more important than the subjective nature of
the manager, as demonstrated by the fact that
the public and private activities have been
equally affected by the errors of the regulator120.
13. Conclusion.
The tasks that the national legislature, under the push of the European Union, has to
face to resolve the problems of the SII, are
arduous.
They relate to the protection of the resource as an ecological component, ensuring
an efficient distribution of adequate quantities
of the resource for the basic needs of the population and the resolution of issues concerning the economic sustainability due to the necessary infrastructure investments.
How ever, the critical issues are still open
and pending resolutions are still many.
The national legislature has regulated the
SII as a service of economic importance, so
that the legislative competence of many areas
of the SII would fall among the subjects of
protection of competition and environment,
both belonging to the exclusive legislative
power of the State.
This has resulted in a compression of the
competencies of the regions. Local authorities, with the provisions of Art. 23-bis, saw
their autonomy regarding the choice of how
to manage the service and custody of the
same restricted. Autonomy which was regained only after the outcome of the referendum, as already announced by the Court during the trial of eligibility of the questions.
The legislative framework, at present, provides for the equi-ordination between different forms of service management in line with
the principles of European law, leaving it to
the national, regional and local service organization to find the right balance between economic organization and the protection of
competition and the achievement of the purposes underlying the provision of services of
general economic interest.
As noted by the Court in 21.03.2012, n. 62
the effects of the repeal referendum, have allowed the recovery of local government, allowing them to choose between the use of the
market and direct award.
In countries like Italy, economic activity,
public or private, as is clear from reading Articles 41, 42 and 43 of the Constitution.,
oriented to the enhancement of horizontal
subsidiarity principle, it must pursue social
values. In our legal system public interven-
119
A. MASSARUTTO, G. MURARO, “Il ruolo dell’analisi
economica nella direttiva 2000/60”, in Economia
Pubblica – bimestrale di informazione edited by
CIRIEC, dossier 5- 6, 2006, Franco Angeli, Milano, p.
8.
120
On the equal performance of public and private society in the management of water services, cfr. ex multis: K. GASSNER, A. POPOV e N. PUSHAK, Does private
sector participation improve performance in electricity
and water distribution?, Washington, 2009; D. HALL
and E. LOBINA, Water privatization, in Critical essays
on the privatization experience, Basingstoke, 2009;
OECD, Liberalisation and universal access to basic
services, Paris, 2006; D. SAAL and D. PARKER, The
impact of privatisation and regulation on the water
and sewerage industry in England and Wales: a translog cost function model, Birmingham, 2001; D. SAAL e
D. PARKER, Productivity and price performance in the
privatized water and sewerage companies of England
and Wales, in Journal of regulatory economics, 2001,
1, 61 e ss.; S. MARTIN e D. PARKER, The impact of
privatisation: ownership and corporate performance
in the Uk, London, 1997. For a more extensive review
of studies on the subject, cfr. W. MEGGINSON e J.
NETTER, From State to Market: a survey of empirical
studies on privatization, in Journal of economic literature, 2001, 321 e ss. e P. JACKSON, The privatisation of
the British public sector: an assessment of a policy innovation, in The privatisation of public utilities: the
case of Italy, edited by M. BALDASSARRI, A.
MACCHIATI and D. PIACENTINO, Basingstoke, 1997, 84
and ss.
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tion on the economy expresses the pursuit of
objectives of social nature, as is clear from
Articles 41, 42 and 43 of the Constitution.
which still represent the cornerstone of our
"economic constitution" - to be read in conjunction with the principle of substantive
equality in art. 3, paragraph 2 of the Constitution.
Thanks to the role of regulation in the case
of private management one should ensure
compliance with the policies of ecological
protection and economic sustainability on the
water resource and its use.
In other words, in countries like ours, state
action entrepreneur121 is not necessary to pursue social values and environmental protection but the action of the state governor is
enough, and perhaps more effective, despite
the presence of multiple problems to be
solved, as shown above, and regardless of the
subjective nature of the manager.
A public operator is not, in itself, a guarantee of effective protection of the social and
environmental interests, unless it operates
within a regulatory regime capable of protecting these interests. We must instead accommodate the social and public interests with
the entrepreneurial approach, directing profit
to a social function, so as to convert a part of
the benefits obtained by a good business performance in the management of the service,
in social benefits.
This approach seems to be confirmed in
the case law which stated that the freedom of
competition, including in the field of water
services, is also aimed at the "protection of
society”122.
This implies that the control system must
be oriented to a discipline increasingly sensitive to new targets of state intervention, with
reference also to the discipline of the social
aspects of the service123, the implementation
of which is entrusted to measures such as the
prohibition of the posting of certain categories of users, the automatic repayment in case
of failure, the expansion of judicial protection124, the introduction of an inclusive, a rigorous and effective system of sanctions, the
provision of public funds to ensure the sustainability of the rate for the weak.
The liberalization of services, is not a bad
thing in itself, even with regard to a fundamental resource such as water.
The negative aspect is that there are no
mechanisms that ensure at the same time the
liberalization of services, the protection of
fundamental human rights and environmental
protection of the resource.
These mechanisms should be represented
by a multi-level regulation of international
character that can monitor the involvement of
private sector, so as not to repeat what happened for example in co-chabamba, Bolivia125.
The pursuit of the ambitious objectives
that the service is required to meet, requires a
of the cost of providing service logically followed the
affirmation of the principle that the rate is the amount
of the service. On the corresponding water service tariff see., also Tar Campania, Sa., sect. 1, 12.01.2009,
n.24.
123
M. D’ALBERTI, Poteri pubblici, mercati e
globalizzazione, Bologna, 2008; A. GAMBINO, Beni
extra commercio, Milano, 2004.
124
The current system of protection offered to users,
certainly insufficient, consists of some legal proceedings available at the ordinary courts under Articles.
139, 140 and 140-bis, d. lgs. n. 235/2006 (so-called
Consumer Code), non-judicial remedies under art. 27,
L. D. N. 146/2007 (at the Competition and Market Authority) and former art. 10 of Presidential Decree
07.09.2010, n. 168 (settlement procedure at the supply
company), and the residual recovery remedies at the
administrative court, governed by legislative decree.
N. 198/2009.
125
N. LUGARESI, Diritto all’acqua e privatizzazione
del servizio idrico, cited., pp. 43-72, in particolare pp.
61 e ss; A. CIERVO, Ya basta! Il concetto di comune
nelle costituzioni latinoamericane, in M. R.
MARRELLA (edited by) Oltre il pubblico e il privato.
Per un diritto dei beni comuni, edition Ombre corte,
Verona 2012.
121
Understood as directed dispenser as well as general
interest Services also of Services of general economic
interest.
122
In general see Costitutional court., 16.12.1982, n.
223, law considered in § 2, confirmed by the decision
22.07.2010, n. 270; regarding water services, we note
the 24.07.2009 judgment, no. 246, in which the Court,
in accordance with the character of the sewage tariff
fee (which was previously recognized fiscal nature),
has sanctioned the constitutional illegitimacy of art.
155, c. 1 legislative decree. 03.04.2006, n. 152, in so
far as it permitted that the fee could also be required
where the sewer was devoid of sewage treatment
plants or such plants were not actually working. To the
opening of the competitive system and the affirmation
of the principle that the rate has to ensure full coverage
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complex and coherent institutional framework, capable of promoting economic efficiency, social equity and environmental protection and does not attribute to the subjective
nature of the operator and to the mode of custody of service’s decisive character126.
It should be stressed that, given the economic importance of the SII, as established
by the national legislature and repeatedly
confirmed by the Constitutional Court, the
fee, and the principles contained therein from
the Community, have a major role compared
to the protection that today the law requires in
respect of this resource. Consequently, to ensure that the rate performs its tasks, there
must be a strong regulatory activity for, key
point for effective enforcement.
To conclude, we can say that at the national and Community level public action adjustment can be the right way to resolve the
problems highlighted, even if this is not period; in fact, the debate of contemporary
scholars127, suggests an increasing need to
create tools for the protection and promotion
of goods on a global scale, such as water, that
can be inserted into “a common heritage of
mankind”, so as to give a legal status to such
goods as uniform and international as possible.
Today, in a globalized economy such as
ours, it is necessary to prepare a protection
and exploitation on a global scale of assets,
such as water and the necessary common
rules aimed at protecting the environment and
workers.
This will be possible only by reversing the
relationship economics/law, so that the law
lays down rules and restrictions on economic
activity to assess admissibility, according to
“Justice” and reversing the balance of power
between the States and the large transnational
private economic entities today in favor of the
latter128.
The law, supported by a strong, independent regulator, thus dictating the rules of the
economy, would make indifferent the nature
of (public or private) management, indeed, in
some cases the private management adequately controlled and regulated could be a support
for the public management, or at least from
the synergy of their respective strengths you
could get a benefit against a backdrop of international economic and financial crisis such
as today's one.
126
M. FRANZINI, L’acqua: non solo questioni di
efficienza, in Acqua. Fra incidenza sociale ed
efficienza gestionale, edited by A. Riccaboni, Firenze,
2003, 59 e ss.
127
N. BASSI, Il demanio planetario: una categoria in
via di affermazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 03/2011,
passim.
128
C. CROUCH, Il potere dei giganti. Perché la crisi
non ha sconfitto il neoliberismo, Laterza, Roma-Bari,
Gazzetta Amministrativa
2011, passim; U. MATTEI, BENI COMUNI un
manifesto, Editors Laterza, Bari, 2012, passim; T.
Seppilli, Sulla questione dei beni comuni: un
contributo antropologico per la costruzione di una
strategia politica, in Oltre il pubblico e il privato. Per
un diritto dei beni comuni, edition Ombre corte,
Verona 2012, p.109 e ss.
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ed ai Contributi Scientifici
LA CITTÀ METROPOLITANA: ENTE RIVALE O ENTE
SUBALTERNO? UNA RASSEGNA
della Dott.ssa Adele De Angelis
Con l’entrata in vigore della legge 56/2014, (c d Legge Delrio) l'istituzione delle città metropolitana giunge a conclusione dopo un tormentoso iter legislativo. Essa nasce come un nuovo ente
intermedio tra Regione e Comune, volto alla risoluzione dei problemi del territorio ad essa assegnati, come è stato recentemente riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza
n. 50 del 2015.
With the entry into force of the Law 56/2014, (so called Law Delrio) the establishment of the
metropolitan cities comes to an end after a torturous legislative process.
It was born as a new intermediate body between the Region and the City, aimed at solving problems of land assigned to them. As was recently recognized by the costitutional Court in its judgment n. 50/2015.
Sommario:1. Premessa. 2. Dalla Legge 142/90 alla legge Delrio. 3. Struttura, funzioni e prospettive della città metropolitana nella legge 56/2014. 4.Cenni sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 5072015. 5. Il modello di governo metropolitano nella legge 56/2014.
1.Premessa1.
Con la recente sentenza, n. 50/del 2015, la
Corte Costituzionale, ha definitivamente dichiarato la legittimità costituzionale della riforma delle autonomie locali e in special modo, l’istituzione delle città metropolitane, che
hanno visto la luce, nel nostro Paese, dopo un
tormentoso iter normativo, con l’entrata in
vigore l’8.4.2014, della legge n. 56/2014 (c.d.
Legge Delrio).
Scopo di questo scritto è quello di cercare
di ripercorrere il ruolo, la fisionomia e soprattutto le funzioni, che sono state attribuite a
questo nuovo ente a partire dalla l. 142/90 fino alla legge 56/2014.
Nel tentativo di cercare di perseguire tale
scopo, nelle pagine che seguiranno, dopo una
breve disamina sulle principali pronunce
normative e giurisprudenziali, che hanno interessato il processo di riforma, ci si soffermerà, in special modo, sulla l. 56/2014, analiz-
zandone gli aspetti principali, i limiti, e le novità che intende apportare nel più intenso
processo di riforma delle autonomie locali,
che raggiunge attualmente la sua massima espressione con il d.d.l del 31.3.2014, che prevede, tra l’altro, la revisione del titolo V della
parte II della Costituzione.
1
2
2.Dalla legge 142/90 alla legge Delrio.
La legge 142/90, è stato il primo testo in
cui è emerso questo nuovo progetto istituzionale locale.
Essa rispecchia, tra l’altro, la concezione
tipica del modello italiano, che ha sempre
preferito un governo unico e strutturale a cui
afferiscono realtà totalmente diverse e disomogenee tra loro, discostandosi, in tal modo,
dalla concezione europea che predilige invece, un governo estremamente variegato, basato su un sistema di decentramento e collaborazione tra i vari assetti istituzionali.2
Su un confronto tra i vari modelli si v. M. SAVOLDI,
“Organizzazione istituzionale e burocratica. L’area
metropolitana,” in EG. 2004, 28 ss.
Saggio sottoposto con esito positivo alla procedura di
referaggio ai sensi del Regolamento interno della
Rivista.
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
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Alla disposizione in esame, viene riconosciuto l’indiscusso merito della presa d’atto
della necessità di un inevitabile cambiamento
dell’assetto territoriale, e, conseguentemente,
della necessità di istituire un nuovo progetto
istituzionale che garantisse una governace ottimale.
La l. 142/90, considerava Città metropolitane, nove grandi comuni, maggiormente popolati, ma l’estensione effettiva di tali aree
veniva individuata solo parzialmente.3
L’intento del legislatore, con l’approvazione della l. 142/90, era quello di poter inserire le Città metropolitane nell’ambito della
riforma delle autonomie locali, fornendo uno
strumento legislativo sufficientemente duttile
per la soluzione delle diverse problematiche
di carattere economico, sociale ed ambientali
presenti nelle grandi aree urbane con una forte densità demografica, e l’affermazione di un
modello differenziato di governo metropolitano che presumeva l’istituzione delle Città
metropolitane previa delimitazione delle rispettive aree di riferimento.
Tale intento legislativo, però, mal si conciliava con quello delle istituzioni esistenti (regioni, province, comuni), che vedevano
l’istituzione delle Città metropolitane, più
come un rischio che come una risorsa, manifestando così una certa ritrosia a cedere parte
delle loro funzioni ed attribuzioni ad una
nuova istituzione, di cui non era ben chiaro
quale sarebbe stato l’impatto reale sul territorio.
Ciò comunque non distoglie il legislatore
dal realizzare il progetto del nuovo ente territoriale, ed infatti, negli anni successivi, il parlamento ritorna sul tema, nel tentativo di definire più chiaramente l’ambito operativo e
affermare così definitivamente le Città metropolitane.
Poco meno di un decennio dopo, viene
emanata la l. n. 265 del 3.8.1999, che attri-
buisce un ruolo rilevante ai comuni, i quali
diventano soggetti attivi dell’area metropolitana, e mostra maggiore flessibilità e interesse
alle differenti aree geografiche prevedendo la
necessità di una emanazione di tante leggi nazionali (su proposta delle Regioni) quante sono le Città metropolitane.
Il processo di riforma avviato a partire dalla l. n. 142/90 culmina nel Testo unico
sull’ordinamento degli enti locali (d.lgs.
18.8.2000, n 267), il quale nell’abrogare la
riforma del 1990, tende anch’esso a riparare
all’inerzia delle Regioni assegnando un ruolo
primario alle Provincie e ai Comuni.
Il contributo apportato dall’introduzione
del Testo unico sull’ordinamento degli Enti
locali, è stato quello di segnare l’ingresso delle Città metropolitane nell’ambito del governo locale, conferendole, in tal modo
un’autonomia ben più definita rispetto al passato.4
Sul piano delle competenze, infatti, il generico riferimento previsto dalla vecchia disciplina, dei compiti spettanti alla provincia
ed ad alcuni ambiti comunali, viene colmato
da una riforma più flessibile, che si limita a
prevedere che: <<la regione, previa intesa
con gli enti locali interessati, può definire
ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associative e di cooperazione>>.
A partire dalla l. 142/90 e poi con la l.
265/99, fino al Testo Unico, il catalogo delle
funzioni spettanti alle Città metropolitane, era
affidato sostanzialmente alle leggi regionali o
a statuti metropolitani, approvati con legge
nazionale.
In seguito, nel 2001, con la riforma del titolo V della Costituzione avvenuta con la
legge costituzionale 3/2001, la riforma metropolitana ha acquisito dignità costituzionale
con la modifica dell'art. 114, che inserisce le
Autorità metropolitane di diritto tra gli enti
locali che costituiscono la Repubblica Italia-
3
I nove comuni sono individuati nella legge 142/90
all’art 17 co.1. “Sono considerate aree metropolitane
le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari,
Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano
con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle
attività economiche, ai servizi essenziali alla vita
sociale, nonché' alle relazioni culturali e alle
caratteristiche territoriali.”
Gazzetta Amministrativa
4
Il d.lgs. n. 267/2000 individua le aree metropolitane
in quei territori nei quali tra i comuni capoluogo e gli
altri comuni sussistano rapporti di stretta integrazione
territoriale, in riferimento alle attività economiche, ai
servizi essenziali alla vita sociale, come anche alle
relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali.
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na.5
Collocate le Città metropolitane, nel titolo
V, esse entrano a far parte della cd. “Repubblica delle Autonomie,” fondata, in larga misura dalle altre istituzioni territoriali locali,
istitutive della Repubblica.
Da un lato, vi sono le regioni, soggetti essenzialmente di carattere legislativo, programmatorio; dall’altro, i comuni, le province, le città metropolitane, con il baricentro
sull’amministrazione del sistema locale, incentrato su due temi, vale a dire, legate a funzioni di prossimità e a funzioni di area vasta.
Alla riforma del 2001, non seguono molte
sperimentazioni attuative, e il tema del governo metropolitano subisce una lunga pausa
legislativa, e l’istituzione delle Città metropolitane, rimane ancora, in concreto, solo sulla
Carta.
Solo con la l. n 42/2009 sul federalismo
fiscale e il “Decreto Salva Italia” del dicembre 2011, (l. 214/2011) ed in seguito con la
l.135/2012, (c.d. Spending review), che prevedeva: un primo intervento di riordino delle
province, l’istituzione delle Città metropolitane, e la definizione delle modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali,
si riapre il dibattito sulla riforma delle istituzioni locali.
Invero, come osservato da gran parte della
dottrina e dell’opinione pubblica, tale produzione legislativa, è nata in un contesto più
improntato a obiettivi di contenimento della
spesa pubblica che di riforma del governo degli enti locali. In seguito il d.l. 188 del novembre 2012 (Disposizioni urgenti in materia
di province e città metropolitane), conteneva
soluzioni di attuazione ad alcune disposizioni
della l.135/2012, con particolare riferimento
alla geografia delle nuove province.
La sua mancata conversione in legge, e il
rimedio posto attraverso la Legge di stabilità
2013 (l. 228/2012, art. 1, comma 115) hanno
però determinato uno “stallo” del processo di
riforma, prevedendo la sospensione dell’applicazione dei dispositivi della l. 135/2012 in
materia fino alla fine del 2013.
Con la sentenza 220/2013, la Corte Costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della l. 214/11 e della l. 135/12 in tema di riordino delle province
e di istituzione delle Città metropolitane, eccependo che il nuovo volto delle autonomie
locali non può essere istituito con una decretazione d’urgenza, quale è appunto il decreto
legge.6
Il Consiglio dei Ministri, subito dopo, ha
dato il via libera al d.d.l. n. 1543 (presentato
il 20.8.2013), che aveva come obiettivo quello di intervenire nuovamente sul Titolo V.
Il disegno di legge, si componeva di soli
tre articoli, e prevedeva l’abolizione delle
province, l’eliminazione delle Città metropolitane dall'art. 114 della Costituzione, demandando alla legge ordinaria la definizione delle
loro funzioni, delle loro modalità di finanziamento e, più in generale, del loro ordinamento.
Dopo la sentenza della Corte Costituziona6
Corte cost. 3 -19 luglio 2013, n.220, in Giur cost.
2013, 3157 ss. Per una maggiore trattazione v. N.
MACCABIANI, Limiti logici (ancor prima che
giuridici) alla decretazione d’urgenza nella sentenza
della Corte costituzionale n.220 del 2013; G.
SAPUTELLI, Quando non è solo una “questione di
principio”. I dubbi di legittimità non risolti della
“riforma delle Province”. V. i commenti: A SAITTA,
Basta legalità! Interpretiamo lo spirito del tempo e
liberiamo lo sviluppo, in www.forumcostituzionale.it
23 settembre 2013; A.VIGNERI, Lavori in corso su
province e città metropolitane, in www.astrid-online.it
settembre 2013; A. SEVERINI, La riforma delle
Province, con decreto legge, “non s’ha da fare,” in
Rivista aic.it, luglio 2013; O.CHESSA, La forma di
governo provinciale nel d.d.l. n. 1542: profili
d’incostituzionalità
e
possibili
rimedi,
in
www.federalismi.it
10/12/2013; C. NAPOLI,
Province: tutto (o niente?) da rifare, in
www.federalismi.it n. 21/2013; M. BETZU, Crucifige
Provinciam! L’ente intermedio di area vasta al tempo
della crisi, in www.federalismi.it n. 21/2013; F.
SANCHININI, L’uso della decretazione d’urgenza per
la riforma delle autonomie locali: il caso della
Provincia. Considerazioni a margine della sentenza n.
220 del 2013 della Corte costituzionale, in
osservatoriosullefonti.it, n. 3/2013; G. DI COSIMO,
Come non si deve usare il decreto legge, in Le Regioni,
n.5 -6/2013, 1163 ss.; e M. MASSA, Come non si
devono riformare le Province, in Le Regioni, n.5 6/2013, 1168; R. DICKMANN, La Corte
costituzionale si pronuncia sul modo d’uso del
decreto-legge, in www.giurcost.org 3.9.2013.
5
Sugli effetti della riforma si v. T. GROPPI, M.
OLIVETTI (a cura di), La Repubblica delle
autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V,”
Torino 2003.
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le, e il d.d.l. n 1543, si rendeva necessario intervenire con un nuovo provvedimento legislativo volto, da una parte, a regolare la nuova istituzione metropolitana e, dall’altra, a definire un regime “transitorio” per le province
in vista dell’approvazione della riforma costituzionale.
Il 26.7.2013 il Consiglio dei Ministri ha
esaminato il cosiddetto "Disegno di legge
Delrio7 che in tema di Città metropolitana, richiama in larga misura l'ordinamento previsto
dall'art. 18 della l. 135/12, pur presentando
alcune importanti novità.
Il decreto presenta sostanzialmente tre finalità: stimolare lo sviluppo e la crescita, rendendo i processi decisionali più veloci e sviluppando economie di scala; accrescere partecipazione e protagonismo, spostando il potere decisionale verso le comunità e i loro
rappresentanti; migliorare l’efficienza di sistema, conseguendo, tra l’altro, importanti risparmi.
Il combinato disposto tra disegno di legge
costituzionale che prevede l'abolizione delle
province e "il disegno di legge Delrio" produce degli effetti molto rilevanti sia
sull’assetto sia sull’ordinamento degli Enti
locali, in sintesi esso prevede: la trasformazione delle province in enti di secondo livello
e un ridimensionamento delle loro funzioni
come preludio alla loro abolizione con legge
costituzionale la nascita delle Città metropolitane e il rafforzamento della cooperazione intercomunale attraverso le Unioni dei comuni
e financo le fusioni tra i comuni stessi.8
L’immagine del nuove Ente che scaturisce
dal disegno di legge “Delrio” è comunque
ancora quello di un ente debole, a cui si affianca un rilevante peso funzionale a cui però
non corrisponde un altrettanto forza strutturale.9
Tale disegno di Legge, culmina, nella l.
7.4.2014 n 56, che pur introducendo alcune
modifiche, rispetto all’originaria proposta governativa, istituisce definitivamente le Città
metropolitane.
3. Struttura, funzioni e prospettive della
città metropolitana nella legge 56/2014.
La legge Delrio, rappresenta un importante
strumento, indispensabile per realizzare anche
in Italia un governo delle aree territoriali a
forte concentrazione urbana e specifica vocazione innovativa, in un ambito in cui il nostro
ordinamento è fortemente in ritardo rispetto
agli altri paesi europei.
Alla data di entrata in vigore della legge,
n. 56/2014 sono istituite nove città metropolitane,10 ad esse si aggiunge la città metropolitana di Roma capitale, destinata ad avere un
ordinamento a parte.
Esse sono considerate enti di secondo livello, il cui territorio coincide con quello della provincia omonima.
Le finalità istituzionali ad esse sottese sono disciplinate al co. 2, dell’art 1 della legge
56/2014, esse riguardano: la cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano;
la promozione e gestione integrata dei servizi,
prevede il superamento del bicameralismo paritario e
la revisione del titolo V della parte seconda della
Costituzione.
9
Per un maggior approfondimento sul ddl Delrio, v.
A. STAIANO, Il ddl Delrio: Considerazioni sul merito
e sul metodo, in www.federalismi.it 8.6.2014 e
M.CECCHETTI, Sui più evidenti profili di possibile
illegittimità costituzionale del d.d.l. AS n.1212
(Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province,
sulle
unioni
e
fusioni
di
comuni,
in
www.federalismi.it, 2014, 5. Sui limiti del disegno di
legge Delrio, v. A. SANDULLI, “La città
metropolitana e la debolezza di Atlante” in Munus.
ESI N. 3/2013.
10
Esse sono: Torino, Milano, Venezia, Genova,
Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, oltre
a Roma Capitale, La legge Delrio, prevede poi anche
la possibilità di istituire ulteriori Città Metropolitane
con le procedure di cui all’art. 133, co. I, Cost.
7
Disegno di legge A. C. 1542 A. S. 1212 (c. d. d.d.l.
“Delrio”), approvato la prima volta alla Camera dei
deputati il 21 dicembre 2013. In seguito
l’approvazione al Senato è avvenuta in data 26 marzo
2014 con un maxiemendamento, composto da un solo
articolo con 151 commi, su cui il governo ha posto la
fiducia, il testo è ritornato alla Camera (A. C. 1542B),
dove è stato definitivamente approvato in data 3 aprile
2014 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.81 del 7
aprile 2014
8
Il connubio tra il disegno di legge governativo con il
disegno di legge costituzionale A. C. 1543(c.d. “d.d.l.
Quagliariello”), poi sostituito dal più ambizioso A. S.
1429 A. C. 2613 (c.d. “d.d.l. Renzi-Boschi”),
approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 31
marzo 2014, ed al Senato in prima lettura in data 8
agosto 2014, non si limita alla eliminazione di ogni
riferimento alle province dagli artt.114 ss. Cost ma
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delle infrastrutture e delle reti di comunicazioni, cura delle relazioni istituzionali riferite
al proprio livello, comprese quelle con le Città metropolitane europee11.
Dal punto di vista della struttura amministrativa, secondo la legge in esame sono previsti tre organi di governo essi sono: il sindaco, il consiglio metropolitano e la conferenza
metropolitana.12
Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del Comune capoluogo, rappresenta
formalmente e sostanzialmente la città metropolitana, e ha il compito di convocare e presiedere il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana.
Gli spettano, inoltre, veri e propri poteri di
impulso dell’attività della Città metropolitana, nonché di proposta, e soprattutto la difficile funzione di sovrintendere a tutto
l’apparato amministrativo della città.
Organo di secondo grado è invece il consiglio metropolitano, eletto dai sindaci e dai
consiglieri dei Comuni delle Città metropolitane.
E’ composto dal sindaco metropolitano e
da un numero di consiglieri variabile in base
alla popolazione.
Dura in carica cinque anni con funzioni di
indirizzo e controllo. Spetta al consiglio il
compito di approvare regolamenti, piani, programmi ed altri atti ad esso sottoposti, ad eccezione del bilancio e dello statuto, che sono
sottoposti all’approvazione della conferenza
metropolitana.
La conferenza metropolitana è composta
dal sindaco metropolitano e dai sindaci dei
Comuni della Città metropolitana. E’ competente per l’adozione dello statuto e ha poteri
propositivi e consultivi.
Per quanto riguarda l’ambito delle funzioni13 alle Città metropolitane sono attribuite
sia le funzioni fondamentali delle province e
quelle ulteriori derivanti dal processo di riordino, sia alcune funzioni fondamentali proprie.
Ulteriori funzioni possono essere attribuite
dallo Stato e dalle Regioni. Naturalmente, è
necessario individuare i fondi con i quali le
città metropolitane potranno perseguire le
funzioni appena individuate.
A tal proposito, passano alla Città metropolitana il patrimonio, il personale e le risorse
strumentali della Provincia a cui ciascuna Città metropolitana succede a titolo universale in
tutti i rapporti attivi e passivi, comprese le entrate, all’atto del subentro alla Provincia.
A tal proposito, è opportuno però notare,
che tale processo di riorganizzazione previsto
dalla
legge
Derio,
(che
partendo
dall’istituzione del nuovo ente, quale è appunto la città metropolitana, e dalla ridefinizione delle province, debba giungere in fine
alla riallocazione delle relative risorse e del
corrispondente personale), sia stato recentemente ribaltato dalla legge di stabilità del
2015, che dettata anche da ragioni di contenimento della spesa pubblica, prontamente
percepito anche in sede europea, ha introdotto
un procedimento obbligatorio per il trasferimento del personale provinciale in relazione
all’imposizione della diminuzione della relativa spesa del 50% per le regioni e del 30%
per le Città metropolitane.
Ciò, come è stato osservato si tradurrebbe
“soprattutto per le Province (…) ad una sorta
di inseguimento al ribasso,” poiché “le funzioni sarebbero conclusivamente determinate
sulla base delle risorse – sempre meno disponibili - e del personale che residuerebbe. In
definitiva, con l’innesto operato dalla predetta legge di stabilità, si è dato avvio ad un
meccanismo che subordinando la configurazione funzionale dell‘ente di area vasta (…) a
variabile non dipendente dall’ente medesimo,
ma discrezionalmente stabilite da altri livelli
di governo, finisce per comportare una note-
11
Per un commento all’art 1 co. 2 della legge Delrio v,
G. PIPERATA, Commento alla legge in A. STERPA,
(a cura di) Il nuovo governo dell’area vasta, Jovene
2014. P 52 ss.
12
Sul tema degli organi di governo, si v. A.
CORPACI, Gli organi di governo e l’autonomia
organizzativa degli enti locali. Il rilievo della fonte
statutaria, in Le Regioni 5, 2002, 121 ss.
13
In ordine ai profili sulle funzioni, v. G. PIPERATA
Le funzioni della città metropolitana in A. STERPA
op. cit. p. 132 ss. e D. MONE, Città metropolitane,
Gazzetta Amministrativa
area, procedure, organizzazione del potere,
distribuzione delle funzioni, in www.federalismi.it
2014, 10 ss. L. VANDELLI “Funzioni delle città
metropolitane” in Città metropolitane, province,
Unioni e fusioni di Comuni. Maggioli 2014, p.115 ss.
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vole contrazione dell’autonomia dei poteri e
funzioni pur costituzionalmente riconosciuta
agli enti in questione ai sensi dell’art 114 co.
2”14.
La legge 56/2014 si configura come un
primo tassello di un più profondo processo di
riforma istituzionale che trova il suo compendio nel d.d.l Costituzionale del 31.3.2014 recante “Disposizioni per il superamento del
bicameralismo paritario, la riduzione del
numero dei parlamentari, la riduzione dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V
della parte seconda della Costituzione.”15.
Il d.d.l. costituzionale, con particolare riferimento alle disposizioni in ordine al Titolo
V, in primo luogo riconferma le Città metropolitane tra le istituzioni costituenti la Repubblica, ciò irrobustisce a dismisura il ruolo
della nuova istituzione governativa nell’ambito del panorama istituzionale e, conseguentemente, ne rafforza legittimità e potere nei
processi di negoziazione inter istituzionali
volti a rendere operative le funzioni attribuite
dalla legge.
Inoltre, il d.d.l. costituzionale del
31.3.2014, rafforzando le potestà legislative
esclusive a scapito delle materie di legislazione concorrente, sembra spostare in modo
deciso il baricentro a favore dello Stato a discapito delle Regioni.
Invero, sotto quest’aspetto, il combinato
disposto tra le norme previste dalle legge
56/2014, in tema di attribuzione di funzioni
fondamentali alle Città metropolitane e quelle
previste dal d.d.l. una volta approvato, in particolare in tema di conferimento di potestà legislativa esclusiva su alcune materie (come
ambiente, beni culturali e paesaggistici, norme generali sul governo del territorio, infra-
strutture strategiche e le grandi reti di trasporto), potrebbe determinare profondi mutamenti
nell’apparato e negli equilibri istituzionali
metropolitani, con conseguenze rilevanti sia
sul quadro legislativo di riferimento nazionale
e regionale, sia sulla strumentazione operativa a disposizione.
Il quadro delle funzioni attribuite alla città
metropolitana, comunque, così come rappresentato dalla l. 56/2014, appare ancora piuttosto “instabile.”
La riforma del Titolo V della Costituzione,
prevista dal d.d.l. Costituzionale del
31.3.2014, prevede infatti l’abolizione delle
province, comportando così la possibile, ma
ancora incerta, riattribuzione delle relative
funzioni ad altri livelli di governo.
Ad ogni modo, il riordino delle funzioni
delle
province,
potrebbe
comportare
l’attribuzione da parte di Stato e Regioni di
funzioni diverse rispetto a quelle fondamentali individuate dalla l. 56/2014.
Stato e Regioni, ciascuno per le proprie
competenze, potrebbero così arrivare a conferire alla Città metropolitana ulteriori funzioni,
secondo quanto previsto all’art. 1, co. 46.
Le Regioni, a loro volta, potranno legiferare, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla Costituzione e dalla legge ordinaria, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge, conferendo così disciplina
specifica a molte disposizioni previste dalla
legge Delrio.
Tale legge, ha dunque, avviato un processo di riforma destinato a svilupparsi e a correggersi nel corso del tempo, con una varietà
di provvedimenti derivanti da varie fonti legislative (costituzionale, statale, ordinaria, regionale) e a vari livelli.
Inoltre, l’art. 1, co. 11, lett. b. della legge
Delrio, prevede la delega dai Comuni alla
Città metropolitana (e viceversa) di determinate funzioni, mediante convenzioni e secondo la disciplina prevista dallo Statuto.
Pertanto, ogni Città metropolitana, in relazione alle proprie specificità, potrà avvalersi
di un certo ventaglio di autonomia nel determinare, per via negoziale e secondo una struttura variabile, le proprie funzioni, sia “centralizzando” funzioni proprie dei Comuni e
delle loro Unioni sia “decentrando” agli stes-
14
G. SALERNO, La sentenza n. 50 del 2015: argomentazioni efficientistiche o neo centralismo repubblicano di impronta statalistica? In www.federalismi.it 8
aprile 2015. pag.3.
15
Per una maggiore trattazione del ddl A.S 1429,
(Renzi- Boschi) v. P.L PORTALURI, Note minime
sulla città metropolitana nel ddl. Costituzionale AS
n1429 (Renzi - Boschi), in www.federalismi.it N 8 del
16/4/2014.
P. L PORTALURI; “Osservazioni sulle città
mmetropolitane nell’attuale prospettiva di riforma,” in
www.federalismi.it 8.6.2014
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si Comuni e alle loro Unioni, funzioni proprie
della Città metropolitana.
Sotto questo aspetto, la l. 56/2014, si presterebbe anche a dare piena attuazione al
principio costituzionale che attribuisce allo
Stato e alle Regioni una preminente potestà
legislativa, conferendo soprattutto ai Comuni,
come anche alle Città metropolitane, le funzioni amministrative, sulla base dei principi
di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Inoltre, essa individua ampi spazi di autonomia, per permettere di collocare al posto
giusto, una varietà di competenze, indicando
ulteriori meccanismi di redistribuzione delle
funzioni tra i diversi livelli istituzionali.
Secondo parte della dottrina, il punto di
equilibrio tra dimensione regionale e dimensione locale, con effetti diretti sull’azione dello Stato, si potrebbe raggiungere, proprio con
l’affermazione delle Città metropolitane, pensate sulla base di un modello c.d. a “piramide
rovesciata”16 che comporta anche un ripensamento
della
forma
di
Stato
e
dell’organizzazione territoriale.
La recente produzione legislativa, infatti,
fermo restando il suo obiettivo di istituire le
Città metropolitane, affida soprattutto ai Comuni, ed in particolare ai sindaci un ruolo
fondamentale, soprattutto nella fase iniziale
di istituzione del nuovo ente. Sarà infatti la
conferenza metropolitana, formata dal sindaco del Comune capoluogo, e dai sindaci dei
comuni delle città metropolitane, che avrà un
ruolo fondamentale per lo sviluppo e la vita
delle funzioni di questo nuovo ente.
Ai sindaci si chiede di interpretare non solo gli interessi delle loro comunità, ma anche
quelli di una comunità molto più ampia quale
è appunto la Città metropolitana. In un certo
senso vale a dire di superare il limite del municipalismo, gestendo in forma associata una
serie di funzioni fondamentali, ed anche possibilmente innescando un processo di accorpamento, di unione, e ove occorre, anche di
fusione di comuni che hanno dimensioni minori.
Un ruolo fondamentale, nell’ambito delle
funzioni da attribuire alle Città metropolitane
è affidato anche agli statuti delle città metropolitane, che proprio in questo periodo stanno
vedendo la luce.17
La legge affida agli statuti delle Città metropolitane dei compiti che sono superiori a
quelli che normalmente vengono affidati agli
statuti dei semplici Comuni, perché il ventaglio delle competenze delle città metropolitane è composto più da ambiti di materie che
non da semplici funzioni amministrative. Allo
statuto viene affidato un aspetto importantissimo che è quello, per così dire, di assumere
un contenuto normativo nell’organizzazione
interna dell’ente.
Sarà lo statuto a stabilire come saranno
organizzate internamente le città metropolitane, come si potranno legittimare gli accordi
tra i Comuni e le Città metropolitane, tra i
Comuni e le Unioni di Comuni, e soprattutto
lo statuto che dovrà definire quali sono le
funzioni delle città metropolitane e come devono essere organizzate18.
Una delle caratteristiche innovative che
presenta la legge Delrio risiede proprio nella
accentuata autonomia che essa affida allo Statuto, e che secondo la già menzionata dottrina, potrebbe rappresentare la chiave di volta
per realizzare strutture e forme in grado di attuare “il modello della piramide rovesciata,
fondato su reti di Comuni, con un ruolo forte
di consiglio e conferenza, anche e soprattutto
nelle politiche di bilancio.”19
Oltre ai Comuni, un compito importante,
nella costituzione delle Città metropolitane,
17
L’art 15 della legge Delrio, prevede l’approvazione
dello Statuo metropolitano da parte del Consiglio entro
il 31.12.2014, mentre all’art 17 disciplina i casi di
mancata approvazione dello Statuto, stabilendo che se
l’approvazione non avviene entro il 30.6.2015 si
applica la procedura per l'esercizio del potere
sostitutivo di cui all'articolo 8 della l. 5.6.2003, n. 131.
Attualmente solo le città metropolitane di Milano,
Genova, Bologna, Firenze, Bari, Roma hanno
approvato lo Statuto.
Per una più ampia disamina sul ruolo degli statuti m
18
Per una più ampia disamina sul ruolo degli statuti
metropolitani, v. T. TESSARO - M. LUCCA,
“Istituzioni e disciplina delle città metropolitane,” in
Il nuovo governo dell’area vasta (a cura di A Sterpa),
Jovene 2014, op. cit. p118; L. VANDELLI “I contenuti
dello Statuto” op. cit. 65 ss.
19
A. LUCARELLI, op.cit. pag. 8
16
A. LUCARELLI, La città metropolitana. Ripensare
la forma di stato ed il ruolo di regioni ed enti locali: il
modello a piramide rovesciata. www.federalismi.it,
giugno 2014
Gazzetta Amministrativa
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per sostenere gli «interventi di riforma» previsti dalla l. n. 56/2014, e per la «attuazione
di quanto previsto dall’art. 9 del d.l. 6.7.2012
n. 95, convertito, con modificazioni, dalla l.
7.8.2012 n. 135» (co. 149).
I giudici della Consulta hanno ritenuto priva di vizi di legittimità la legge Delrio, respingendo “in toto” le questioni sottoposte al
suo giudizio.
Essi hanno evidenziato che secondo una
consolidata giurisprudenza le elezioni di secondo grado hanno «piena compatibilità con
il principio democratico e quello autonomistico».
Inoltre, hanno ritenuto legittima la previsione secondo cui la modifica delle circoscrizioni provinciali deve essere stabilita con
legge statale «su iniziativa dei Comuni, sentita la stessa Regione».
Infine, hanno ritenuto non fondata la pretesa delle Regioni di avere la competenza esclusiva nell’istituzione delle Città metropolitane.
Diverse, possono essere le argomentazioni
che possono portare ad una condivisione o
meno di quanto è stato espresso in questa sentenza dai giudici della Suprema Corte.
Lungi, in questa sede dal voler esprimere
un giudizio di condivisione o meno, su quanto disposto dalla Corte,20 non si può però prescindere dal rilevare che il modello di governo di secondo grado delle città metropolitane
si rafforza, con questa pronuncia, anche
del costituzionalmente legittimo della Suprema Corte.
E come è stato osservato, si presta a dare
una compiuta attuazione alla complessa normativa in esame, “con una qualche maggiore
tranquillità rispetto agli inevitabili problemi
che sarebbero stati determinati da eventuali
dichiarazioni di illegittimità parziale. Naturalmente, (..) ciò non significa che tutti gli ostacoli siano stati rimossi per merito di questa sentenza. Si è voluto rappresentare con
una metafora la l. n. 56 del 2014, descrivendola come una bicicletta che, se non si pedala, non solo si arresta, ma cade anche rovinosamente per terra”21.
spetta anche alle Regioni. Molte delle funzioni che erediteranno dalle ormai vecchie province, sia di quelle che dovranno assumere
“ex novo” richiedono una rilettura e una revisione anche delle intere legislazioni regionali,
in tutte quelle materia che andranno ad intrecciarsi con le funzioni del nuovo ente metropolitano.
4.Cenni sulla Sentenza della Corte Costituzionale n. 50/2015.
Il nuovo quadro normativo rappresentato
nella legge Derio, per quanto riguarda
l’istituzione delle città metropolitane ha suscitato, ben presto da parte di alcune Regioni,
dubbi su alcune questioni di legittimità costituzionale presenti nella legge n. 56/2014.
Con sentenza n 50/2015, la Corte Costituzionale però ha ritenuto non fondate tali questioni sollevate nello specifico dalle regioni
Lombardia, Veneto, Campania e Puglia riguardo la riforma della province.
Le Regioni hanno impugnato, complessivamente, cinquantotto commi dell’art. 1 della
l. 7.4.2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), per contrasto (congiuntamente o disgiuntamente) con le disposizioni
previste agli artt. 1, 2, 3, 5, 48, 97, 114, 117,
118, 119, 120, 123, 133, 136 e 138 della Costituzione.
In estrema sintesi, le questioni proposte
dalle ricorrenti, riguardavano rispettivamente:
la disciplina delle istituite «Città metropolitane», riguardante i commi da 5 a 19, 21,
22, 25, 42 e 48 del suddetto art. 1 della legge
n. 56 del 2014;
– la ridefinizione dei confini territoriali e
delle competenze delle Province, «in attesa
della riforma del titolo V, parte seconda, della Costituzione», quanto ai commi da 54 a 58,
da 60 a 65, 67, da 69 a 79, 81 e 83 del medesimo art. 1;
– il procedimento di riallocazione delle
funzioni “non fondamentali” delle Province
(coo. da 89 a 92 e 95 del citato articolo);
– la disciplina delle unioni e fusioni di
Comuni (coo. 4, 105, 106, 117, 124, 130 e
133);
– la prevista predisposizione di «appositi
programmi di attività», di fonte ministeriale,
Gazzetta Amministrativa
20
Per un commento sulla Sentenza n. 50/2015, si veda:
G. SALERNO, op.cit.
21
G. SALERNO, op.cit.p.4
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china”23 individuando in ciò, “il banco di
prova” per il nuovo ente, affinché non diventi
meramente aggiuntivo rispetto alle altre due
autonomie locali, quali Regione e Comune.
Invero, risolvere l’identificazione dell’area
metropolitana, dottando solo la scelta strutturale o solo quella funzionale, può apparire
una scelta incompleta.
In tale ambito, forse, sarebbe stato meglio
mantenere la “ratio” sottesa nella legislazione del novanta sopramenzionata. (Non vi è
dubbio che l’individuazione dell’area metropolitana, risponda più specificamente ad un
fenomeno funzionale, e che ogni volta che si
tenta di dare specifiche definizioni territoriali
di area metropolitana, si incorre sempre in
qualche errore di imprecisione e di arbitrarietà da cui non si può prescindere, potendo assicurare soltanto la trasparenza nell’individuazione dei criteri).24
Perseguendo invece la strada, già intrapresa nella legge 142/90, dove il legislatore ha
affiancato a criteri di interdipendenza (in
virtù dei quali possono essere raggruppati
comuni o zone tra i quali avvengono scambi
di flussi comunicativi, scambi di persone,
beni, ecc.); criteri di omogeneità, (sulla base
dei quali possono essere riuniti comuni o zone con caratteristiche omogenee, sulla base
di vari parametri, ad esempio quelli di ordine
economico); criteri morfologici (quali la mera coincidenza spaziale o l’appartenenza agli
stessi di sistemi di configurazione fisica), si
può fornire una definizione dell’individuazione dell’area metropolitana, più esauriente e più efficace nella risoluzione dei problemi che si vogliono affidare al nuovo ente.25
Forse, proprio, il fermo proposito di voler
dare attuazione alla riforma delle autonomie
locali, e in special modo, alla affermazione
definitiva delle Città metropolitane, ormai da
troppo tempo vittime di un tormentoso iter
legislativo, possono essere una delle ragioni
che ha spinto la Suprema Corte a ritenere
priva di vizi di legittimità, in tutte le sue parti,
la legge che le istituisce.
Sicuramente, ciò non equivale ad ammettere, come è stato rilevato da parte della dottrina, che la disputa sulla legge Delrio sia da
ritenersi completamente conclusa, poiché,
non è escluso che le argomentazioni adottate
dalle Regioni avverso la legge in esame possano essere ripresentate alla Consulta, con
differenti argomentazioni e motivazioni22.
5.Il modello del governo metropolitano
nella legge 56/2014.
Nell’analizzare la legge Delrio, si nota
come il legislatore abbia adottato un metodo
diverso, rispetto a quello seguito nella legge
142/90, per quanto attiene la gestione e la risoluzione dei problemi metropolitani.
Mentre la legge del novanta, disciplina tali
aspetti adottando un criterio per così dire “bipartito” tra il c.d. “criterio strutturale” (che
individua alcuni settori da affidare alla competenza delle città metropolitane), sulla base
di dati demografici, territoriali, dando per lo
più una definizione per così dire “spaziale”
dell’area metropolitana, e il c.d. “criterio funzionale” che identifica le aree metropolitane
basandosi sull’applicazione di criteri che tengono conto essenzialmente degli aspetti funzionali delle varie zone interessate, proponendo soluzioni più flessibili dei problemi
metropolitani; la legge Delrio invece, aderisce al primo dei due modelli menzionati (criterio strutturale).
Tale scelta, non sempre ha incontrato il
consenso della dottrina.
In tale ambito, infatti, non è mancato chi,
preferendo il modello funzionale, considera il
modello adottato un percorso più difficile per
“sbrogliare le questioni e far girare la mac-
23
E. BALBONI, La città metropolitana tra Regione e
Comuni interni: luci ed ombre, aporie ed opportunità.
In. Osservatorio Città metropolitane del 28 luglio
2014 www.federalismi.it.
24
Sul punto si veda: G. MARTINOTTI, e E.
ERCOLE, “La definizione delle aree metropolitane:
problemi metodologici, p.76, in Quaderni I.S.P.A.saggi n 27 “Verso il governo dell’area metropolitana,
Milano 1990.
25
La scelta dei criteri di interdipendenza è stata
adottata anche a livello europeo, come ad esempio
nella Repubblica Federale Tedesca, sul punto R.
MICCU’, “Le soluzioni istituzionali dei problemi delle
aree metropolitane nella Repubblica Federale
22
SERGIO L. La funzione della Corte Costituzionale e
la sentenza N50/2015in www.studiocataldi.it
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Numero 3/4 - 2015
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osservato recentemente dalla dottrina.28 Soltanto prendendo in considerazione i vari aspetti che compongono il governo del territorio, è possibile dotare il nuovo ente di una identità propria che lo differenzia dagli altri
enti territoriali esistenti e a cui si potrà affidare sia la programmazione che la gestione (governmet e governance) delle c.d. zone di area
vasta.
Ma affinché si possa realizzare tutto ciò,
occorre anche un’attività di concertazione politico-amministrativa tra le diverse autonomie
locali.
Occorre cioè, che queste istituzioni di diversa natura, iniziano a guardarsi negli occhi,
per decidere quale tabella di marcia adottare
per l’effettiva attuazione delle città metropolitane, le quali devono essere pensate, come
una nuova realtà, che riesce “a ragionare per
politiche pubbliche, piuttosto che per competenze separate e conflittuali:”29.
Esse devono essere in grado di instaurare
con le altre autonomie locali un sistema di azione costruttivo, basato sul confronto e sulla
risoluzione dei problemi, abbandonando così
l’idea (come si è già evidenziato, è avvenuto
in passato), di vedere, da parte delle tradizionali autonomie locali, la città metropolitana
come una rivale che sottrae il potere.
Dall’altra parte, alla luce anche dei recenti
progetti di riforma di rango costituzionale, le
città metropolitane, devono ben difendere le
competenze loro attribuite dalla l. 56/2014,
per evitare che esse vengano relegate come
una sorta di ente subalterno, svuotato di una
propria autonomia sia funzionale che politica.
Si auspica, invece, che il nuovo ente si affermi come “un grande motore di sviluppo” a
cui affidare un forte ruolo di traino soprattutto
per lo sviluppo economico di tutto il Paese.
Esse sono pensate, infatti, come la chiave di
volta, per portare l’economia dei nostri territori a competere in modo più forte
nell’economia mondiale, che è quello che in
molti
territori
fortemente
urbanizzati
dell’Europa e del mondo si è iniziato a realizzare da parecchi anni.
Ciò porta all’ulteriore osservazione, che i
due modelli individuati (quello strutturalterritoriale, e quello funzionale), non sono
percorribili separatamente (tale era l’intento
anche del legislatore del novanta), ma essi
dovrebbero essere concepiti in modo tale che
l’uno, quello funzionale, operi sulla delimitazione territoriale della città metropolitana e
sul riordino circoscrizionale dei comuni che
ricadono nella stessa area; l’altro, quello
struttural-territoriale individui nuovi e più razionali spazi di funzioni metropolitane, che
non possono essere attribuite ai comuni,
quando queste hanno carattere sovracomunale, o debbano per ragioni di economicità ed
efficienza, essere svolte in forma coordinata
nell’area metropolitana, né possono essere affidate alle regioni in quanto riguardanti aspetti e problemi meglio gestibili e governabili
da enti territoriali intermedi quale è appunto
la Città metropolitane.26
Come è stato efficacemente osservato, “Il
governo del territorio è uno di quei settori in
cui sussiste una sorte di tensione tra “fatto”
giuridico e istituzionale e “fatto socioeconomico e che data la particolare caratteristica “interdisciplinare” che contraddistingue questa materia, “ogni intervento che abbia ad oggetto quello che potremmo definire
il sistema di governo sul territorio deve necessariamente prendere in considerazione e
tenere insieme l’articolazione dello Stato e il
sistema delle autonomie, profili giuridici e
aspetti politico istituzionali nonché dati socio-economici.”27.
La sensazione che si avverte, leggendo la
legge Delrio, sembra però non tener conto di
tutti questi aspetti per così dire “interdisciplinari” che compongono il governo del territorio.
Ciò, individua, uno dei vari punti di criticità che presenta la legge Delrio, come è stato
Tedesca” in “Il Governo metropolitano” (a cura di)
V. ATRIPALDI, ESI, 1993, p.176 ss.
26
Per un approfondimento sul modello strutturale e
funzionale, v. A. CALIENDO “La realizzazione dei
modelli di governo metropolitano” in V. ATRIPALDI
op.cit.p.263
27
F. PATRONI GRIFFI, La Città metropolitana e il
riordino delle autonomie territoriali. Un’occasione
mancata? in www.federalismi.it n 4/2013, p.1 ss.
Gazzetta Amministrativa
28
B. CARAVITA DI TORITTO, Città metropolitana
ed area vasta: peculiarità ed esigenze del territorio
italiano. In www.federalismi.it novembre 2014, p.4
29
E. BALBONI, op. cit. p. 5
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ed ai Contributi Scientifici
Si vorrebbe, infatti, che le città metropolitane fossero pensate “per fare rete” con altre
città, esse, in tal modo, potrebbero acquistare
sempre maggior quota, quanto più riusciranno
a costruire le reti collaborative con le altre
città della regione di cui sono capoluogo e le
città di altre regioni, al fine di instaurare attraverso un confronto paritario con Comune e
Regione, un sistema volto alla risoluzione dei
problemi del territorio ad essi assegnato.
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CORPORATE GOVERNANCE E PARITÀ DI GENERE
della Dott.ssa Giuliana Tulino, Dottoranda di ricerca in “Diritto pubblico, comparato e internazionale”, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
A margine del Convegno di Studio “Diversity e parità di genere nelle banche: dalla soft law
all’attuazione della CDR (Capital Requirements Directive) IV”.
In the margins of the Study Conference "Diversity and gender equality in banks : from soft law to
the implementation of the CDR ( Capital Requirements Directive ) IV ".
Con l’entrata in vigore il 12.8.2011 della l.
n. 120/2011, cosiddetta Golfo - Mosca, dal
nome delle parlamentari promotrici, legge
bipartisan che va a modificare il Testo
Unico
sulla Finanza
(TUF),
d.lgs.
24.2.1998, n. 58, artt. 147 ter e 148, è
stata introdotta una importante novità
nell’ambito del diritto societario italiano: gli
organi sociali delle società quotate che sono
in scadenza dovranno rinnovare i loro organi
riservando, una quota pari almeno ad un quinto dei loro membri, al genere meno rappresentato, cioè le donne. Con il rinnovo del secondo e terzo mandato la quota dovrà salire
ad un terzo.
Ciò fino all’anno 2022 quando è previsto l’esaurimento dell’efficacia della legge
stessa essendo questa una legge con validità
temporale, di soli dieci anni, entro i quali
l’auspicio è di raggiungere l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che sinora hanno limitato l’accesso delle donne a ruoli di
comando, favorendo un processo di rinnovamento culturale a supporto di una maggiore meritocrazia e di opportunità di crescita.
Nell’arco temporale in cui la legge Golfo
- Mosca sarà in vigore, un numero maggiore
di donne siederà nei posti disponibili degli
organi di amministrazione e controllo, principalmente Consigli di Amministrazione e
Collegi Sindacali, con la responsabilità di
affermare le proprie competenze e contribuire alla creazione di valore.
Riuscire dunque a creare, nell'arco di un
decennio, un contesto più favorevole all'ascesa delle donne ai vertici aziendali, così che
poi, negli anni successivi, non si renda più
Gazzetta Amministrativa
necessario forzare la mano.
In realtà l’obiettivo è quello di non dover
avere bisogno di una legge e dunque superare
il tema del “genere” candidando alle cariche
sociali chi ha le caratteristiche più adeguate al
ruolo da rivestire, che sia una donna o un
uomo.
Sulla scia della novella legislativa, il
17.4.2015, si è svolto, presso la Facoltà di
Economia dell’Università di Roma “La
Sapienza”, il Convegno di Studio organizzato dal Dipartimento di Economia e Diritto, dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dall’Associazione Bancaria Italiana
(ABI) e dall’Associazione dei docenti di
Diritto dell’Economia (Adde), su “Diversity e
parità di genere nelle banche: dalla soft law
all’attuazione della CDR (Capital Requirements Directive) IV.
La suggestione è scaturita dall’entrata in
vigore della su citata legge Golfo – Mosca n.
120/2011, infatti il contesto normativo di
riferimento è dato dalla legge stessa recante
“Modifiche al testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, di
cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n.58, concernenti la parità di accesso agli
organi di amministrazione e di controllo delle
società quotate in mercati regolamentati”
e dalla l. 7.10.2014, n. 154 (legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre)
che include, all’art. 3, i principi e criteri direttivi per il recepimento della CDR IV.
La direttiva europea di riferimento è la
2013/36/UE ed il connesso regolamento
2013/575/UE (c.d. CRR), direttamente ap-62-
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le, ma è stato necessario arrivare ad una forzatura del modello attuale, in primis con
riferimenti comunitari e poi con quelli nazionali, dunque la l. n. 120/2011.
Una forzatura iniziale per poi giungere, si
spera, alla normalità. Lo scopo della legge era
“sfondare il tetto di cristallo”, cosiddetto.
Occorrerà perciò monitorare con attenzione
le situazioni che emergeranno.
E’ previsto, infatti, che la legge abbia
una validità temporale di dieci anni e
dunque nel 2022 la legge terminerà la sua
efficacia.
L’auspicio è il raggiungimento dell’obiettivo di eliminare gli ostacoli che sinora hanno limitato
l’accesso delle donne a ruoli di comando, favorendo un processo di rinnovamento culturale a supporto di una maggiore meritocrazia e opportunità di crescita.
La prima sessione del Convegno ha visto
l’intervento di Laura Zaccaria dell’ABI che
ha portato la sua personale e interessante
testimonianza, facendo notare però come,
nel Comitato Esecutivo dell’ABI, non siano presenti donne.
Lei ne fa parte, ma è un tecnico che
prepara le carte e le strategie.
Ha fatto notare anche l’assenza di una
scuola professionale per amministratori, mentre la storia di una impresa è sempre nella sua
governance. La CDR IV chiede che siano
garantite le diverse competenze, ha ricordato Zaccaria, e lei si è dichiarata assolutamente non d’accordo con la fiscalità agevolata per le donne, in quanto non sono “portatrici di handicap”, ed ha sottolineato come
sarebbe più opportuno avere servizi più efficienti
a supporto delle esigenze della organizzazione della giornata di una donna lavoratrice.
A seguire Antonella Sciarrone Alibrandi, prorettore dell’Università Cattolica, ha messo a
confronto due mondi: quello della “parità di
genere”, quale concetto più ampio e quello
della “governance e parità di genere”, quale
concetto più specifico. Tracciando un percorso con due partenze che non sono identiche e
ponendo tre interrogativi:
- perché il mondo del diritto si va ad occupare di questi problemi, quale potrebbe es-
plicabile, che definiscono un assetto organico di regolamentazione e controllo sulle
banche e sulle imprese di investimento, accogliendo il contenuto del terzo accordo di Basilea sul capitale.
L’obiettivo è quello di rafforzare la disciplina prudenziale e l’accrescimento del
livello di armonizzazione delle regole che
si applicano agli intermediari che operano
nel mercato unico europeo.
La direttiva, nel definire il nuovo regime
europeo sui requisiti patrimoniali del sistema
bancario, ha chiesto a Stati membri ed autorità competenti, di imporre, agli enti e ai
rispettivi comitati per le nomine, di attenersi ad un’ampia gamma di qualità e competenze nella selezione dei membri
dell’organo di gestione e di predisporre, a tal
fine, una politica che promuova la diversità in
seno all’organo di gestione.
Il Convegno di studio, si è aperto con il saluto delle Autorità accademiche, Silvia Fedeli, Direttore del Dipartimento di Economia e
Diritto e Roberto Miccù, Coordinatore della
Sezione Giuridica del Dipartimento e si è
articolato in due sessioni presiedute rispettivamente da Sandro Amorosino e Domenico Siclari, dell’ Università di Roma “La Sapienza”.
Il Professor Roberto Miccù ha, da subito, messo in risalto la centralità del tema e
cioè come la novella legislativa abbia innescato un meccanismo di modifica degli
Statuti delle società quotate che non hanno
solo valenza regolamentare ma impattano sulle politiche di governo societario delle aziende, con un conseguente ed importante rinnovo
degli organi societari, la cui composizione era
da tempo consolidata.
L’ordine del lavoro svolto durante la
giornata di studio ha visto, dapprima, una
introduzione del Professor Amorosino che ha
sottolineato come nei partiti politici, durante
la prima Repubblica, si affermò il principio
che negli organi era opportuno ci fosse una
“aliquota” di genere femminile.
L’iniziativa, poi, portata avanti dalla
Fondazione Marisa Bellisario, ha prodotto
il risultato della
legge bipartisan in questione. L’obiettivo è
il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziaGazzetta Amministrativa
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ed ai Contributi Scientifici
In effetti, prima dell’anno 2010, il tema della “diversity”, non era molto conosciuto; infatti possiamo definirlo un tema
“nuovo”.
E’ un argomento citato e che affiora in vari
documenti a livello europeo di soft law, quindi non vincolanti.
L’obiettivo è, dunque, ancora quello di
far emergere questo concetto pre – giuridico: far partecipare alle decisioni un gruppo
non “omologato”, ma che rappresenti una
diversità culturale.
Naturalmente non mancano le critiche a
questa legge e ciò è stato nettamente evidenziato da alcuni relatori: c’è chi afferma
che possa produrre l’effetto opposto, la c.d.
“riserva indiana”, ma molto dipenderà dal
“fattore reputazionale”.
Inoltre, è stato evidenziato, il mondo delle
“società quotate” e quello delle “società partecipate” pubbliche sono completamente differenti. La legge introduce l’obbligo di equilibrare le rappresentanze di genere negli organi di governo e di controllo, dunque
Consigli di Amministrazione e Collegi
Sindacali, sia delle società quotate, quindi
poche grandi imprese, circa 300, sia delle
società controllate e partecipate pubbliche,
circa 6500.
Il rischio di creare delle gabbie esiste.
Allargare il capitale umano può essere utile per il governo societario, ma non è detto
che questa regola valga per tutti i contesti. E’
stato comunque sottolineato più volte come tale rottura fosse necessaria, per dare
uno scossone che però dovrà essere accompagnato da un necessario cambiamento culturale.
La Professoressa Mirella Pellegrini
dell’Università LUISS di Roma ha sottolineato come la nostra piazza finanziaria abbia bisogno di un contesto tecnico e partecipativo.
Dopo la crisi finanziaria c’è bisogno di un
“agere”, più partecipato e diversificato, ha
affermato, anche e soprattutto alla governance delle banche.
E poi il riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione sono d’obbligo, in quanto il
concetto di parità richiama quello di uguaglianza sostanziale.
serne il
fondamento?
- quali possono essere le giuste modalità
di intervento? Normativa, regolamentare,
ecc.?
- qual è il perimetro di riferimento? A
che tipo di società l’intervento normativo
deve
rivolgersi? In riferimento a quali ruoli?
Organi di controllo, di gestione? Organi esecutivi, non esecutivi?
Sono, in realtà, interrogativi che possono
porsi per entrambi le prospettive. Trovo opportuno sottolineare come il nostro ordinamento è intervenuto con una legge precisa,
dotata di apparato sanzionatorio.
A monitorare sul rispetto delle quote
rosa da parte delle aziende quotate, sia
private sia a prevalente controllo pubblico, è
la CONSOB che ha emanato il regolamento
attuativo e che, in caso di mancato adeguamento da parte delle società, è anche dotata di
poteri sanzionatori.
Se la composizione del consiglio di
amministrazione non rispetta la quote rosa, CONSOB diffida la società interessata affinché si adegui alla legge entro quattro mesi.
In caso di inottemperanza alla diffida,
l’Autorità di controllo della borsa, fissa un
nuovo termine ad adempiere di tre mesi, dopodiché i componenti decadono dalla carica.
Resta ferma la possibilità, da parte di
CONSOB, di applicare apposite sanzioni
amministrative pecuniarie.
Altri paesi europei, invece, si basano solo
su una forma di autoregolamentazione.
E’ stata, inoltre, ricordata la proposta di direttiva europea sulla parità di genere che
sembrava potesse andare avanti durante il
semestre di presidenza italiana dell’UE ma
che poi si è impantanata.
Faccio notare come, l’interrogativo più
pregnante che è emerso durante questa prima
parte del Convegno di Studio, è se la parità di genere sia un discorso di democrazia partecipativa o piuttosto un concetto di
uguaglianza.
Secondo il Parere del Consiglio di Stato n. 594 del 4.6.2014, si tratta di norme
che assicurano una migliore efficienza del
governo societario.
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sistema di istruzione ed educativo italiano
che non insegna come conoscere se stessi
per poter imparare a conoscere gli altri.
Parole come “empatia”, “condivisione” dovrebbero essere il pane quotidiano. Una sinfonia d’altronde cos’è? Gli strumenti e gli
orchestrali sono gli stessi, ma comporre una
sinfonia è una vera capacità. Dunque saper
lavorare insieme è la vera capacità.
Infatti, aggiungo, è fondamentale lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, quell’abilità
di scoprire e controllare i sentimenti e le emozioni proprie e quelle degli altri, per acquisire capacità non solo giuridiche, economiche, amministrative, ma anche e soprattutto capacità di stare, con un certo equilibrio, in determinati contesti. Dunque importanza delle soft skills, competenze difficili da definire ma che stanno diventando
fondamentali in seguito alle nuove sfide.Tutto
ciò distinguerà un “manager” che fa le cose
nel modo giusto da un “leader” che fa le cose
giuste.
Poi l’intervento del “Regolatore”, Magda
Bianco della Banca d’Italia che ha sintetizzato in due punti gli obiettivi di questa materia:
- l’attenzione a spostare l’obiettivo nel
lungo periodo;
- l’attenzione al rischio e alla sua gestione.
Il suo parere è che la “diversity” contribuisce ad entrambi i profili. Inoltre, ha fatto
notare come la crisi abbia affermato ancora
di più un bisogno a rafforzare il monitoraggio e la corporate governance.
Valeria Falce, dell’Università Europea
di Roma, ha sottolineato come i settori
bancario
e assicurativo
perseguano
l’obiettivo della diversità in maniera differente ma con lo scopo comune di valorizzare le competenze.Romina Guglielmetti, avvocato, partner Starclex e consulente del
Dipartimento per le Pari Opportunità, ha
ribadito ancora una volta, il bisogno di
una buona governance, facendo un plauso al
“Primo aggiornamento delle Disposizioni di
vigilanza per le banche”, con la Circolare n.
285 della Banca d’Italia del 17.12.2013, nuovo capitolo I “Governo societario”, nuovo
titolo IV “Governo societario, controlli interni, gestione dei rischi”.
Le conclusioni dell’interessante, stimolan-
Ancora, ha fatto notare Pellegrini, nelle
contrattazioni, le donne sono più “sospettose” rispetto agli uomini, dunque meno avverse al rischio, in quanto si muovono in
contesti “under confident” e non “over confident”.
E’ emerso, poi, con chiarezza, il bisogno
di far viaggiare insieme la “parità di genere”
con la “meritocrazia”.
Il settore bancario è forse molto più
“sociale” di altri settori e il riferimento è
all’articolo 47 della Costituzione.
La Consigliera Monica Parrella del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, con il suo
puntuale e interessante intervento, ha fornito
dei dati, anche comparati a livello europeo,
evidenziando come in una facoltà di Economia si stesse parlando di “parità di genere” in
quanto, questo concetto, ha un intrinseco valore economico e non solo di parità di diritti.
Lei ha evidenziato come la legge Golfo –
Mosca sia una legge “di risultato” che sta
producendo degli effetti a cascata in ambito
politico, dando un impulso importante anche
alla partecipazione all’attività politica.
Marina Brogi dell’Università di Roma “La
Sapienza”, infine, ha sottolineato come avere
degli stereotipi positivi potrà cambiare le
mentalità e che “una buona governance non è
detto che dia una buona performance. Ma
una cattiva governance è sicuro che dia una
cattiva performance”.
La seconda sessione del Convegno si è articolata in una tavola rotonda con gli interventi di una “bancaria”, di una “imprenditrice” ed una “libera professionista”: Alessandra Perrazzelli Country Manager di
Barclays Italia, Cristina Zucchetti, membro
del Consiglio di Amministrazione del Banco Popolare e Beatrice Ramasco membro
del Consiglio di Sorveglianza di Intesa San
Paolo e dottore commercialista. Beatrice Ramasco, muovendo una sottesa critica alla legge in questione, afferma di non sentirsi “quota di genere”, vivendo ogni incarico con entusiasmo e rispettando cinque regole di base:
genuinità, umiltà, ascolto, fiducia, diversità. Lei fa notare che un “board” non è altro
che una piccola comunità all’interno di una
comunità più grande. Muove una critica al
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Il rapporto definisce il problema della diseguaglianza di genere “urgente e globale”.
Ci chiediamo allora se sia opportuno smetterla di trattare questo tema come se fosse solo una questione di parità ed iniziare invece a
rubricarlo come tema economico e di crescita?Volendo tirare le somme, possiamo sicuramente affermare di essere di fronte ad una
legge che ha un valore sia pratico che
simbolico.
Di fatto impone che nei luoghi decisionali si faccia spazio alle donne.
La legge Golfo - Mosca, però, non ha mobilitato solo il mondo delle società quotate,
ma anche e soprattutto quelle a partecipazione pubblica. Una realtà importante che
viene censita con difficoltà. La stima è che
debbano confluire nelle società pubbliche, fino al 2022, circa diecimila donne tra consiglieri e sindaci.
Mentre il monitoraggio sul rispetto delle
quote rosa da parte delle aziende quotate, si è
detto, è affidato a CONSOB che ha emanato
in regolamento attuativo, per le aziende a partecipazione pubblica, a livello centrale, regionale e locale, non quotate in borsa, come ad
esempio la RAI, le Ferrovie dello Stato, ecc.,
il discorso è ancora diverso perché a vigilare
sul rispetto delle quote è il Dipartimento per
le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il relativo regolamento
attuativo è stato approvato dal Consiglio
dei Ministri, d.P.R. 30.11.2012, n. 251,
“Regolamento concernente la parità di
accesso agli organi di amministrazione e
di controllo nelle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'art. 2359, commi primo e
secondo, del codice civile, non quotate in
mercati regolamentati, in attuazione dell'art.
3, co. 2, della l. 12.7.2011, n. 120”.
Le società saranno obbligate a comunicare
la composizione degli organi sociali e le eventuali variazioni in corso di mandato. Inoltre, per garantire un controllo “diffuso”, saranno accettate anche segnalazioni di situazioni non conformi alle nuove norme.
Se, dopo una diffida formale, la società
non ripristini tempestivamente l’equità tra i
generi, è prevista la decadenza della carica.
Secondo
il
regolamento
attuativo
te e ricco Convegno di Studio sono state affidate al Professor Francesco Capriglione
dell’Università “Guglielmo Marconi” di Roma, il quale non ha negato come il cammino
verso il raggiungimento della parità di genere
sia molto faticoso. Ha apprezzato che i relatori non si siano lasciati rapire dalla retorica,
parlando di diritti. Si è parlato di regolamentazione infatti. Si tratta di una strada in salita
ma per una meta che è la qualità della vita.
I benefici scaturiranno da una migliore
dialettica interna.
Dunque, il lavoro delle donne non solo fa
crescere l’economia ma dà un apporto di crescita alla capacità decisionale.
Si può cercare solo di immaginare quanto
il mondo finanziario abbia perso con la mancata possibilità di avere dei punti di vista diversi.Le tecnologie, poi, e i processi che
da queste derivano, conclude Capriglione,
stanno un po’ spersonalizzando le relazioni.
E, ha concluso, affermando che “le
donne forse potranno, con le loro performance, dare la giusta risposta”.
A
tal
proposito,
voglio
citare,
l’interessante analisi - studio del Mckinsey
Global Institute, (settembre – ottobre 2015)
“How advancing women’s equality can add
12 trillion $ to global growth”, nella quale, la
multinazionale della consulenza, ha preso in
esame 15 indicatori in 95 Paesi che ospitano
il 93% della popolazione femminile mondiale e generano il 97% del Pil globale.
Si tratta di un rapporto che mostra quanto
l’economia globale potrebbe guadagnare accelerando lo slancio verso la parità: si
stima, infatti, che il “costo” delle donne
proprio perché non partecipano abbastanza
alla generazione di reddito, quello che in economia è chiamato costo opportunità, cioè il
costo di un’opportunità tralasciata, può valere fino a 28 trilioni di dollari, con un aumento del PIL del 26% in 10 anni. Si
tratta di una stima ottimista, con divario
di genere azzerato.
Mentre la stima più conservativa, con minore divario di genere, potrebbe valere fino a
12 trilioni di dollari, con aumento del PIL
dell’11% sempre in 10 anni. Le donne sono
circa il 50% della popolazione ma partecipano alla creazione del PIL per il 37%.
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corso del 2011, sulla scia del Libro Verde
sul quadro dell’Unione Europea sul governo
societario, veniva indotta a raccomandare il
ricorso ad un più ampio ventaglio di criteri
per la nomina dei membri dei consigli di
amministrazione senza ruoli esecutivi, quali
merito, qualifiche professionali, esperienze
acquisite, qualità personali dei candidati,
indipendenza e diversità.Anche nella Strategia Europa 2020 per una crescita inclusiva e
sostenibile vengono rafforzate le misure di
trasparenza, ed in particolare si richiede alle
società interessate la comunicazione della politica in materia di diversità.
A livello comunitario, tuttavia, non solo
comunicazioni o raccomandazioni ma anche
misure vincolanti.
Si pensi alla direttiva 2013/36/UE già citata e recepita in Italia.
Infine, anche
l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), ha avviato una
consultazione pubblica per la revisione dei
principi sulla “Corporate Governance”, incoraggiando la fissazione di obiettivi volontari e l’adozione di principi di trasparenza ma senza obblighi né vincoli, confermando la soft law come antidoto ai rischi del cosiddetto pensiero di gruppo.
Quindi, un comune obiettivo di rinnovamento, con modalità operative differenti. Vale la pena di evidenziare come potrebbe risultare opportuna e auspicabile, a livello europeo, una raccomandazione, quindi soft law,
per le società quotate e per quelle a partecipazione pubblica, affinché rendano noto,
periodicamente, in una relazione, se hanno
adottato politiche a favore della diversità. Ad
esempio quali iniziative siano state assunte
per favorire concretamente l’effettiva partecipazione e non solo la riserva a determinati
soggetti di posti nei CdA.
Un esempio concreto: adozione di misure
volte a favorire per le donne la conciliazione delle diverse esigenze socio – familiari.
L’indicazione di tali politiche potrebbero
poi comparire all’interno della relazione sulla “Corporate Governance”.
Si giunge, pertanto, alle conclusioni affermando che, nel valutare la professionalità e
il merito di una persona, il sesso dovrebbe essere irrilevante, ma non sempre è così. In Ita-
“l’equilibrio si considera raggiunto quando il genere meno rappresentato all’interno
dell’organo amministrativo o di controllo ottiene almeno un terzo dei componenti eletti”.
Le consigliere erano il 7,4% (193) nel
2011 quando è stata approvata la legge. Sono
diventate l’11,6% quando la legge è divenuta
operativa, nel 2012. I numeri sono cresciuti
nel 2014 con i rinnovi dei consigli di amministrazione di grandi società come TERNA,
ENI ed ENEL.
La Fondazione Marisa Bellisario calcola
che, una volta completati tutti i rinnovi
dei CdA, ci saranno 800 donne nei board e
200 nei collegi sindacali. Inoltre a partire dal
secondo mandato, la quota di genere obbligatoria diventerà del 30%. Secondo una stima
della Banca d’Italia, stando ai ritmi degli ultimi anni, senza la legge Golfo –
Mosca, i risultati attuali si sarebbero raggiunti solo nel 2075. Fanno 60 anni risparmiati per la parità.Si auspica vivamente che
qualcosa di simile avvenga anche per la
politica, per consentire la partecipazione effettiva delle donne ai momenti decisionali. A
questo proposito da citare l’approvazione,
da parte del Senato, nella seduta del 29
luglio 2014, dedicata all’esame dell’A.S.
1429 recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la
revisione del Titolo V, parte seconda della
Costituzione”, di un emendamento che introduce il principio della promozione
dell’equilibrio di genere in Parlamento. In
particolare,
l’emendamento
modifica
l’articolo 55 della Costituzione che stabilisce
l’attuale composizione del Parlamento, introducendo l’obbligo, per le “leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere”,
di promuovere “l’equilibro tra donne e uomini nella rappresentanza”.
Dunque, la composizione ed il funzionamento dei consigli di amministrazione sono
in fase di rivisitazione a livello nazionale,
in
seguito
anche alle
prescrizioni
dell’Unione Europea, sia a livello internazionale che comunitario.
La Commissione Europea infatti nel
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lia, inoltre, esiste il problema della meritocrazia. L’interrogativo, infine, sorge spontaneo: una novella legislativa che può considerarsi uno strumento per la riserva effettiva di spazi o una norma che si rivelerà solo
fine a se stessa?
In ogni caso, una legge di tale portata, direi “provocatoria”, con durata limitata nel
tempo, con l’obiettivo di sbloccare l’impasse
….. sia la benvenuta.
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IL CONTRIBUTO DEI PRIVATI NELLA VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E
TUTELA DEL
“VALORE CULTURALE” COME BENE IMMATERIALE
della Dott.ssa Maria Laura Maddalena – Consigliere Tar Lazio e Componente dell’Ufficio studi,
massimario e formazione della giustizia amministrativa.
Il tema della valorizzazione dei beni culturali, e del concorso dei privati in essa, è divenuto cruciale negli ultimi tempi, anche a causa della riduzione delle risorse economiche e di mezzi destinati al patrimonio culturale, cosicché l’apporto dei privati e dei loro contributi, sia sul piano economico che delle idee, è divenuto essenziale.
The theme of the promotion of cultural heritage , and of the private competition in it , has become
cru - cial in recent times , partly because of the reduction in economic resources and awake - born
means to the cultural heritage , so that the contribution of the private and of their contributions ,
both economically and in terms of ideas , it has become essential.
Il tema della valorizzazione dei beni culturali, e del concorso dei privati in essa, è divenuto cruciale negli ultimi tempi, anche a causa della riduzione delle risorse economiche e
di mezzi destinati al patrimonio culturale, cosicché l’apporto dei privati e dei loro contributi, sia sul piano economico che delle idee, è
divenuto essenziale.
Purtroppo, la scarsità delle risorse pubbliche disponibili per iniziative a favore del patrimonio culturale è un fenomeno diffuso in
tutta Europa cosicché anche altri Paesi
dell’area mediterranea-continentale hanno
tentato di porvi rimedio dando spazio
all’intervento di privati, in particolare sotto
forma di misure di agevolazione fiscale per
favorire il mecenatismo culturale (in misura
maggiore in Francia, ma anche in Germania,
Spagna e Italia), e mediante il coinvolgimento
del “terzo settore” (non profit) e
dell’imprenditoria privata, quest’ultima in
particolare mediante lo strumento delle sponsorizzazioni.
Il dato che sembra emergere da una sommaria comparazione delle esperienze dei vari
Paesi europei è la presenza, in Italia - e mi
sembra anche in Francia - maggiormente che
altrove, di un’apertura verso il coinvolgimento dei privati non solo nel finanziamento delle
attività di valorizzazione ma anche nella proGazzetta Amministrativa
gettazione e realizzazione di specifici interventi di valorizzazione su beni culturali pubblici, con una ingerenza dunque assai più intensa del concorso dei privati di quanto avviene usualmente negli altri Paesi, laddove
sono al più conosciute forme di “mecenatismo in natura” mediante il conferimento di
beni o servizi.
Ci si riferisce, per quanto riguarda la situazione italiana, in particolare al fenomeno della c.d. sponsorizzazione tecnica in cui lo
sponsor privato non dà solo il proprio sostegno economico all’iniziativa ma offre direttamente beni e servizi, o addirittura si occupa
della progettazione o realizzazione di parte
dell’intervento di valorizzazione (art. 199-bis
del Codice dei contratti pubblici). Oppure alle ipotesi di gestione dei c.d. servizi museali
per il pubblico, e tra questi, in particolare, alle attività di organizzazione di mostre, sulla
base di concessioni di vario contenuto e tipologia (es. art. 115, co. 3, e 117 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio).
Oppure ancora alle ipotesi di project financing per “l’affidamento di lavori e servizi
relativi ai beni culturali” nonché per le concessioni di servizio pubblico culturale (art.
197, comma 3, del Codice dei contratti pubblici).
Si tratta per la verità di forme di valorizza-69-
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VI, 15.4.2015 n. 1928)
La priorità e direi anche l’immanenza delle
esigenze di tutela e di garanzia del decoro del
bene culturale è stata a chiare lettere affermata, oltre che in Costituzione, dal legislatore, il
quale, prima di sancire la partecipazione dei
privati, ha chiarito che: “La valorizzazione e'
attuata in forme compatibili con la tutela e
tali da non pregiudicarne le esigenze.” (art. ,
coma 2, del Codice dei beni culturali e del
paesaggio).
Pertanto, l’amministrazione deve assicurare, anche nel corso dell’esecuzione del rapporto con il privato, che la valorizzazione economica permanga in concreto compatibile e
convergente con le esigenze di tutela e della
migliore fruizione del bene culturale.
Il bene culturale infatti, se può costituire
una risorsa economicamente valorizzabile
(anche per le numerose esternalità positive),
mai deve perdere la sua natura di testimonianza di civiltà e di elemento identitario,
cioè il suo “valore culturale” immateriale.
Pertanto, l’attività di valorizzazione economica può essere consentita solo se in perfetta consonanza con le esigenze di tutela e
decoro del bene culturale e con le funzioni di
promozione e migliore fruizione del patrimonio culturale da parte della collettività (valorizzazione culturale).
Tali esigenze di garanzia della tutela e
della dignità del bene culturale divengono
pressanti quando il privato intervenga in attività di valorizzazione come imprenditore, ovvero come soggetto che agisce a fini di lucro,
piuttosto che nei casi in cui si presenti come
ente non profit: ad esempio, come è per una
fondazione bancaria o per un mero mecenate.
Infatti sempre occorre garantire che la presenza dello scopo del profitto economico,
proprio delle attività a scopo di lucro, non
snaturi e non sminuisca il “valore culturale”
dei beni sottoposti a tutela.
Si pensi, ad esempio, al caso di Ercolano
(ovvero il caso dell’Herculaneum Conservation Project), in cui grazie all’apporto di una
fondazione straniera (Packard Humanities Institute, del Memorandum of Understanding)
sorretta da intenti filantropici, e della British
School at Rome, si sono raggiunti ottimi risultati. Sono infatti stati stipulati contratti di
zione che non risultano essere nella pratica
particolarmente diffuse. In relazione ad esse,
tuttavia, come ha messo in luce il Presidente
Severini, occorre tenere ben presente la priorità delle esigenze di tutela dei beni culturali
e la necessità di garantire sempre
l’allineamento tra tutela, valorizzazione economica e valorizzazione culturale.
Come ha di recente affermato il Consiglio
di Stato, infatti, “la funzione di tutela domina
sulla messa in valore e tra le due sussiste una
relazione di sovraordinazione gerarchica che
assicura la prevalenza della finalità conservativa. Sicché la tutela ha effetto conformativo sulla valorizzazione e questa non può contrastare la concreta preservazione, proporzionata e ragionevole, dei beni.” (CdS, VI,
15.4.2015, n. 1928)
La dialettica tra le immanenti e indefettibili esigenze di tutela e gli interessi dei privati
nell’ambito delle attività di valorizzazione fa
emergere tuttavia talvolta profili conflittuali,
in particolare nella fase esecutiva del rapporto, laddove le esigenze primarie di tutela possono porsi in contrasto con quelle del privato.
In questi casi, ai rimedi di diritto comune
si sovrappongono sempre rimedi di natura
pubblicistica (riconducibili latu senso
all’autotutela o nello specifico all’art. 115,
comma 6, del Codice dei beni culturali, oppure semplicemente all’esercizio di poteri di
funzione pubblica di tutela) e pertanto può
accadere che l’affidamento del privato divenga legittimamente recessivo a fronte
dell’esercizio del potere della amministrazione posto a tutela del bene o del suo decoro.
Non è dunque un caso che proprio ipotesi
come quelle dette abbiano dato luogo a contenzioso dinanzi al giudice amministrativo.
(Si
veda,
di
recente,
il
caso
dell’annullamento in autotutela della convenzione concernente la realizzazione di un centro per la diffusione della cultura pompeiana e
degli studi su Pompei all'interno dell'Antiquarium negli scavi archeologici di Pompei:CdS
VI, 15.7.2015; oppure il caso dell’annullamento, per ragioni di sicurezza, di una mostra
prevista nella Galleria Borghese, che il Consiglio di Stato ha ricondotto all’esercizio della
funzione pubblica di tutela, ancorché poi incidente sull’attività di valorizzazione: CdS,
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può - ove inappropriata - ledere il valore culturale immateriale del bene in quanto il suo
decoro può essere minacciato anche solo da
un accostamento improprio ad un marchio o
ad un prodotto.
Si tratta di una valutazione che si appunta
su un profilo immateriale del bene culturale,
il decoro appunto, che va salvaguardato già
nel contratto di sponsorizzazione e che comunque può legittimare un intervento inibitorio di tutela.
Prevede infatti l’art. 120 che tali caratteri
di compatibilità devono non solo essere sanciti nel contratto di sponsorizzazione ma che
spetta anche al Ministero vigilare sulla compatibilità di dette iniziative con le esigenze di
tutela e decoro del bene culturale.
Ciò significa ancora una volta che anche in
questo campo alla strumentazione civilistica
(nullità del contratto per violazione di norma
imperativa, se in contrasto con le esigenza di
tutela e decoro del bene) si affianca sempre e
comunque quella pubblicistica, in capo al
Ministero.
La questione della tutela del decoro dei
beni culturali è sempre più sentita anche in
altri ambiti. Si pensi ad esempio ai recenti interventi di riqualificazione dei centri storici
delle città d’arte, alle limitazioni poste al
commercio e alle occupazioni di suolo pubblico, spesso adottati in forme coordinate dai
Comuni e dalle Soprintendenze.
Sono interventi volti a garantire la tutela
dei beni culturali non solo in senso materiale
ma anche con riferimento al decoro, alla armoniosa collocazione nel contesto urbano, alla valenza identitaria e rappresentativa della
comunità locale.
Si pensi poi alle nuove sfide della globalizzazione e alla crescente omologazione delle città che hanno portato a promuovere interventi di tutela e valorizzazione delle botteghe
storiche, dei luoghi della socialità e delle tradizioni, dei cinema storici e dei teatri, tenendo presente anche in questo ambito, la valenza immateriale del bene culturale.
Si segnala a questo proposito anche una
recentissima sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Roma) sul cinema America, di Roma (II quater, 5.10.2015,
n. 11477) dove si evidenzia la possibilità che
sponsorizzazione non solo di mero finanziamento ma anche di realizzazione diretta degli
interventi di valorizzazione che hanno tuttavia più i caratteri del mecenatismo che del vero e proprio rapporto di sponsorizzazione.
Diverso è invece il caso della sponsorizzazione dei lavori di restauro del Colosseo da
parte di un importante imprenditore italiano
in relazione al quale erano stati sollevati in
giudizio dubbi circa la legittimità del contratto di sponsorizzazione sotto il profilo del rispetto dell’equilibrio sinallagmatico, anche
con riferimento alla durata dei diritti (che sono in prevalenza diritti d'uso di immagini, logo, spazi e informazioni) concessi in esclusiva allo sponsor.
In questo secondo caso, la relazione contrattuale è apparsa particolarmente incentrata
sulla remunerazione in termini di ritorno di
immagine, dello Sponsor.
L’incontro tra l’attività di valorizzazione e
l’impresa a scopo di lucro si ha in particolare
- come si diceva - nella sponsorizzazione,
strumento per la verità sempre meno diffuso
negli ultimi anni.
In questi casi, la relazione si instaura infatti di norma tra l’amministrazione e un operatore economico titolare di marchi ed imprese
produttive, per il quale la ricerca della redditività non può non essere prioritaria.
Della delicatezza e della possibile problematicità di una tale relazione appare consapevole il legislatore che all’art. 120, specifica
che la sponsorizzazione dei beni culturali deve svolgersi “in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare”.
La prescrizione di compatibilità voluta
dall’art. 120 appare ben rilevante: la norma
non si limita alla salvaguardia del bene culturale nella sua materialità ma introduce il tema
della tutela del “valore culturale” quale bene
immateriale.
Questo valore potrebbe essere minacciato
proprio in occasione dell’apertura al concorso
dei privati nelle attività di valorizzazione mediante lo strumento delle sponsorizzazioni,
anche solo di mero finanziamento.
Infatti, è evidente che la giustapposizione
del marchio o del prodotto al bene culturale
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il valore culturale “estrinseco”, cioè di tipo
relazionale con i fatti della storia della cultura, del bene sottoposto a vincolo possa essere
in qualche modo anche “intrinseco”, ossia
immedesimarsi con la cosa stessa in quanto in
sé testimonianza di un movimento artistico,
tipicamente in campo architettonico.
Un altro profilo da menzionare, in relazione alle forme di valorizzazione comunemente
proposte dai privati, riguarda le iniziative volte alla digitalizzazione delle opere d’arte o
degli archivi, al fine di consentirne una fruizione più ampia.
E' opportuno precisare che il tema non riguarda solo i musei, come nel caso
dell'"Uffizi Touch", che racchiude l'intero patrimonio del museo fiorentino con oltre mille
opere in alta risoluzione, o del più ambizioso
progetto del Google's Art Project che consente di visionare (in modo interattivo attraverso
la funzione indoor di Street view) le opere più
significative di taluni dei più grandi musei del
mondo; ma si estende alle "biblioteche digitali", che realizzano la digitalizzazione del patrimonio antico (si pensi alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, con un milione e 350 mila pagine di manoscritti) e includono anche il
fenomeno, nuovo, delle opere native digitali.
Ci troviamo qui di fronte ad un singolare
fenomeno di “dematerializzazione” di beni
culturali materiali, con indubbi effetti positivi
riguardo alla diffusione delle conoscenza e
alla accessibilità; ma con il rischio di consentire uno sfruttamento improprio (anche lucrativo) e indiscriminato delle immagini digitalizzate dei beni culturali: e con conseguente
lesione del “valore culturale” inteso come
bene immateriale (si pensi alle potenzialità in
questo senso di Google).
In conclusione, questa nuova sensibilità
verso la tutela della valenza immateriale del
bene culturale (v. la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale intangibile, del 17.10.2003, entrata in vigore il
20.4.2006, e ratificata dall'Italia con la legge
27.9.2007, n. 167) deve anche essere tenuta in
gran conto nella valutazione di compatibilità
dell’intervento del privato nel settore dei beni culturali.
Il tema del “valore culturale” come bene
immateriale apre un ultimo spunto di riflessione sulle attività di valorizzazione di iniziativa privata e su beni privati.
Si tratta, come è noto, di attività qualificata
dal legislatore, a differenza di quanto avviene
per l’attività di valorizzazione di beni di appartenenza pubblica definiti come “servizio
pubblico culturale”, come attività di utilità
sociale e pertanto sottratta anche alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In questi casi, gli interventi di valorizzazione sono normalmente adottati mediante la
previsione di sovvenzioni, sgravi fiscali e finanziamenti, qualificati normalmente come
aiuti di Stato compatibili con il diritto europeo in ragione della “eccezione di culturalità”.
Irragionevolmente, tuttavia, questi interventi non sono ricompresi nel decreto-legge
c.d. “Art bonus”: nonostante la valorizzazione dei beni privati sia ugualmente funzionale
all’obiettivo pubblico del promovimento dello sviluppo della cultura.
Non può infatti negarsi la comune natura
di bene culturale, di appartenenza pubblica o
privata che sia, sotto il profilo della rilevanza
sociale (rappresenta una manifestazione identitaria della società stessa), né la sua rilevanza come “valore culturale” a prescindere dallo statuto proprietario.
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
E RIFORME ISTITUZIONALI
NOTIZIE E AGGIORNAMENTI
91,7% ed il 95,8%. In coda alla classifica aziende ospedaliere di Roma, di Reggio Calabria, del barese con percentuali comprese tra
il 12,5% ed il 29,2%. “Tale risultato è frutto
di un lavoro di gruppo, ossia di tante persone
che lavorano in questa azienda e che credono
nella trasparenza e nella legalità – commenta
il direttore generale della Ulss 10, Carlo
Bramezza - . Al fianco della normativa che
impone alla pubblica amministrazione la
pubblicazione di dati e informazioni visibili a
tutti, è fondamentale che nelle aziende siano
presenti valori come etica e legalità e che vi
sia la massima collaborazione a vari livelli,
dai collaboratori ai dirigenti. Ringrazio tutte
le strutture operative che a vario titolo hanno
contribuito a farci ottenere un grande risultato che ritengo un punto di partenza per continuare a migliorare nel tempo”. Per la pubblicazione dei dati riguardanti l’amministrazione trasparente, l’Azienda Sanitaria
Ulss10 ha scelto una piattaforma online messa a disposizione gratuitamente dalla Gazzetta Amministrativa e integrata al portale
internet aziendale". Nel comunicato diramato
dall'Agenas viene precisato che “Il percorso
intrapreso dal sistema sanitario in materia di
etica, trasparenza ed integrità registra una
sempre maggiore applicazione, a significare
che l'attuazione della normativa non è più
concepita come un mero adempimento burocratico ma come presa di coscienza delle organizzazione sanitarie dell'importanza della
trasparenza come leva strategica per consentire il miglioramento ed un concreto cambiamento culturale di tutti gli operatori sanitari,
tanto più che si tratta di un settore che per
funzione sociale è tra i più vicini alla persona
TRASPARENZA NELLA SANITÀ: PRIMA IN ITALIA L'ULSS 10 DEL VENETO CHE UTILIZZA IL SERVIZIO GRATUITO
DI
GAZZETTA
AMMINISTRATIVA
È stato presentato il “Rapporto sullo stato di
attuazione delle azioni adottate dalla sanità
pubblica in materia di trasparenza ed integrità”. L'indagine è frutto della collaborazione
tra Agenas (Agenzia Nazionale per i servizi
sanitari regionali) e Libera e si propone di
fornire un primo feedback alle Regioni, alle
Aziende ed Enti del Servizio sanitario nazionale sulle azioni intraprese in questi ultimi
anni sui temi della trasparenza, dell’etica e
della legalità dalle stesse Strutture del Servizio sanitario nazionale. Il primato della più
trasparente in Italia è dell'Ulss 10 del Veneto
Orientale. Nel comunicato diramato dalla
prima in classifica emerge che nella corposa
analisi di 70 pagine è stata posta la lente sui
siti web delle aziende sanitarie per rilevare le
informazioni pubblicate così come previsto
dalla normativa sulla trasparenza (D.lgs.
33/2013 attuativo della l. 190/2012). Il risultato è che, in termini generali, il nord Italia
adempie alle normativa con un tasso di pubblicazione di informazioni al 77%, il centro
al 70% e il sud al 60%. Più nel dettaglio il
Veneto si avvicina dall’80% e tra le aziende
sanitarie l’Ulss 10 ha soddisfatto tutti i 24
criteri analizzati, ottenendo l’adempimento
alla normativa pari al 100%. A seguire, nella
“top ten” di AGENAS, le ASL di Brescia,
Chiavarese, Parma, Imola, Triestina, Bassa
Friulana, Modena, Bologna e Cesena con
percentuali di adempimento comprese tra il
Gazzetta Amministrativa
-73-
Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
mento della qualità dei Piani anticorruzione
delle amministrazioni pubbliche. I Piani fin
qui adottati si sono rivelati per più aspetti
gravemente carenti, soprattutto per la mancata individuazione di adeguate misure di
prevenzione della corruzione, che fossero il
frutto di una compiuta autoanalisi organizzativa delle amministrazioni, alla ricerca di aree e attività più esposte al rischio di corruzione. In attesa di un nuovo e più organico
Piano Nazionale Anticorruzione 2016-2018,
sul quale l’Autorità sta già lavorando, si è
voluto segnalare alle amministrazioni la necessità di concentrarsi sulla effettiva individuazione e attuazione di misure proporzionate al rischio, coerenti con la funzionalità e
l’efficienza, concrete, fattibili e verificabili,
quanto ad attuazione e ad efficacia.
L’Aggiornamento è articolato in una parte
generale, di ricostruzione dei limiti della esperienza pregressa e di indicazioni per una
rapida correzione di rotta, e in una parte
speciale, dedicata a due approfondimenti in
settori particolarmente esposti al rischio corruttivo: i contratti pubblici e la sanità (redatto in collaborazione con il Ministero della salute e con l’Agenas). Per ciascuno di questi
settori si individuano eventi rischiosi e si indicano alcune possibili misure di prevenzione. Nel documento si opera una ricapitolazione dei soggetti tenuti all’adozione di misure anticorruzione: attraverso i Piani triennali
le amministrazioni e gli enti pubblici; attraverso misure integrative di quelle adottate
con il d.lgs. n. 231 del 2001 gli enti di diritto
privato in controllo pubblico. Particolare attenzione è dedicata al ruolo e alla garanzia
della posizione dei Responsabili di prevenzione della corruzione, nei loro rapporti con
gli organi di indirizzo politico amministrativo
e con l’intera struttura dell’amministrazione,
tenendo conto di quanto è emerso nel corso
della prima giornata nazionale dei Responsabili anticorruzione (14 luglio del 2015). Il
successo dei nuovi Piani anticorruzione, che
le amministrazioni dovranno adottare entro il
31 gennaio del 2016, continua a dipendere
dalla volontà delle stesse amministrazioni, a
partire dai loro vertici politici e istituzionali,
di combattere sul serio la corruzione al proprio interno. L’Autorità, da parte sua, userà
tutti i poteri e gli strumenti a disposizione,
in un momento di vulnerabilità e fragilità”. È
quanto afferma Francesco Bevere, Direttore
Generale di Agenas a margine della presentazione del “Rapporto sullo stato di attuazione delle azioni adottate dalla sanità pubblica
in materia di trasparenza ed integrità”, frutto
della collaborazione tra Agenas e Libera. Per
il Presidente dell'ANAC, Raffaele Cantone:
“Il diritto alla salute è pretesa primaria delle
persone, assicurata dalla Costituzione italiana. Il valore del diritto alla salute come “interesse della collettività” ne esalta il significato di diritto fondamentale e amplifica la
sua dimensione di principio supremo dell'ordinamento. In un terreno così delicato il contrasto alla corruzione assume un ruolo centrale e va, in primo luogo, inteso come cultura della trasparenza che consente la verifica
costante degli strumenti, dei tempi e dei modi
di attuazione dei trattamenti sanitari” (Rapporto Nazionale dell'Agenas Meeting Rimini
2015).
«::::::::: GA :::::::::»
MIUR: IN G.U. LA RIDETERMINAZIONE DEI MACROSETTORI E DEI
SETTORI CONCORSUALI
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
271 del 20.11.2015 il decreto 30.10.2015 del
Ministero dell'Istruzione, dell'Università e
della Ricerca recante "Rideterminazione dei
macrosettori e dei settori concorsuali". (Decreto Ministero dell'Istruzione n.855 del 30.
10.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
A.N.AC.: ON LINE L’AGGIORNAMENTO DEL PIANO NAZIONALE ANTICORRUZIONE
Nella seduta del 28 ottobre scorso, il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione
ha approvato l’Aggiornamento per il 2015
del PNA 2013-2016, in vigore dalla data di
pubblicazione sul sito. Si legge nel comunicato che questo è il primo atto di Anac in questa
materia dopo l’approvazione del PNA nel
2013 e l’Autorità ha voluto imprimere una
decisa svolta nella direzione del miglioraGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
dalla vigilanza sulla qualità delle misure adottate (e sulla loro effettiva attuazione) alla
collaborazione fattiva, alla formazione. A
questo fine, nell’ultima parte della determinazione, sono indicati con chiarezza i doveri
di attuazione delle amministrazioni, considerati come altrettanti punti di verifica, sui quali l’Autorità svolgerà con carattere prioritario la propria attività di vigilanza. " (Comunicato dell'ANAC del 2.11.2015).
SABILE DI POSIZIONE ORGANIZZATIVA CON FUNZIONI DIRIGENZIALI, AD UN SOGGETTO CONDANNATO, IN VIA DEFINITIVA, PER IL
REATO DI FALSITÀ IDEOLOGICA
L´Autorità Nazionale Anticorruzione ha
pubblicato l´orientamento n. 22 del 1.07.2015
con il quale viene precisato che "Nel caso di
conferimento di un incarico di responsabile
di posizione organizzativa con funzioni
dirigenziali, ad un soggetto condannato, in
via definitiva, alla pena di otto mesi di
reclusione per il reato di falsità ideologica
commessa in atti pubblici ex art. 479 c.p.,
trova applicazione quanto stabilito dal d.lgs.
n. 39, che ha disciplinato, in modo organico e
ragionato, gli incarichi “dirigenziali”
amministrativi. Pertanto, poiché il rato di
falsità ideologica non rientrata tra i reati
previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 39/2013,
l’incarico
può
essere
conferito."
(Orientamento ANAC n. 22 del 1.7.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
UFFICI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: IN G.U. GLI INDICATORI
PER INDIVIDUARE LE OPERAZIONI
SOSPETTE DI RICICLAGGIO E DI
FINANZIAMENTO DEL TERRORISMO
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale,
Serie Generale, n. 233 del 7.10.2015 il decreto 25.9.2015 del Ministero dell'Interno recante "Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l'individuazione
delle operazioni sospette di riciclaggio e di
finanziamento del terrorismo da parte degli
uffici della pubblica amministrazione" (Decreto del Ministero dell'Interno pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 del
7.10.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
CIRCOLARE DEL MINISTRO PER LA
SEMPLIFICAZIONE E LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE CON OGGETTO
"DISCIPLINA APPLICABILE AI RAPPORTI DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO DEL PERSONALE DELLE
SCUOLE COMUNALI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI LIMITI DI
DURATA".
«::::::::: GA :::::::::»
CORSI DI LAUREA MAGISTRALE: IN
G.U. MODALITÀ E CONTENUTI DELLA PROVA DI AMMISSIONE ANNO
ACCADEMICO 2015/2016
È stata registrata dalla Corte dei conti in data 22.9.2015, Reg.ne - Prev. n. 2387 la Circolare del Ministro per la Semplificazione e la
Pubblica Amministrazione con oggetto "Disciplina applicabile ai rapporti di lavoro a
tempo determinato del personale delle scuole
comunali, con particolare riferimento ai limiti di durata".
1. Sono state segnalate da diversi comuni,
oltre che dall'Associazione nazionale dei
comuni italiani, incertezze sulla disciplina
applicabile ai rapporti di lavoro a tempo
determinato del personale scolastico ed
educativo delle scuole comunali, con
particolare riferimento ai limiti di durata dei
suddetti rapporti, e l'esigenza di chiarire
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
189 del 17.8.2015 il decreto del Ministero
dell´Istruzione, Università e della ricerca
recante "Modalita´ e contenuti della prova di
ammissione ai corsi di laurea magistrale
programmati a livello nazionale anno
accademico 2015/2016" (Decreto del
Ministero dell´Istruzione pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 189 del 17.8.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
ANTICORRUZIONE: SÌ AL CONFERIMENTO DELL'INCARICO DI RESPONGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
queste esigenze riguardano sia le scuole
statali, sia quelle comunali, la disposizione
non distingue tra le une e le altre.
A norma dello stesso art. 29, resta fermo
quanto disposto dall'art. 36 del d.lgs. n. 165
del 2001, che definisce i limiti entro i quali le
pubbliche amministrazioni possono ricorrere
a contratti di lavoro flessibile secondo i
rispettivi ordinamenti e sulla base dei
pertinenti contratti di categoria.
4. Una disciplina speciale della durata del
rapporto di lavoro a tempo determinato è
contenuta nella l. n. 107 del 2015, recante la
riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e la delega per il riordino delle
disposizioni in materia. L'art. 1, co. 131,
della l. n. 107 del 2015 stabilisce infatti che,
a decorrere dal 1.09.2016, i contratti di
lavoro a tempo determinato stipulati con il
personale docente,
educativo,
amministrativo, tecnico e ausiliario presso le
istituzioni scolastiche ed educative statali,
per la copertura di posti vacanti e disponibili,
non possono superare la durata complessiva
di trentasei mesi. In relazione a questa
disposizione, va rilevato quanto segue.
La disposizione è inserita in una legge che
prevede un piano straordinario di assunzioni,
con l'ampliamento dell'organico delle
istituzioni scolastiche statali, volto tra l'altro
a consentire un ricorso molto più limitato ai
rapporti di lavoro a tempo determinato nel
settore. Essa fa riferimento al solo personale
delle istituzioni scolastiche ed educative
statali.
5. Quest'ultima circostanza pone il problema
dell'applicabilità dell'art. 1, co. 131, della l.
107 al personale delle istituzioni scolastiche
comunali. Al quesito appena enunciato
sembra doversi dare una risposta negativa,
sia per il tenore letterale della disposizione
(se il legislatore avesse voluto estenderla al
personale diverso da quello statale, non
avrebbe inserito la parola "statali", che non
può avere altro scopo che quello di
delimitarne l'ambito di applicazione) sia per
il profilo teleologico (la disposizione è
strettamente connessa al menzionato piano
straordinario di assunzioni, che riguarda
solo il personale statale e può giustificare
una disciplina transitoria per il tempo
necessario al suo completamento). Ciò è
l'ambito di applicazione dell'art. 29, co. 2, del
d. lgs. n. 81 del 2015 e dell'art. 1, coo. 131 e
132, della l. n. 107 del 2015.
La presente circolare è emanata sulla base di
approfondimenti svolti con il Dipartimento
per gli affari giuridici e legislativi della
Presidenza del Consiglio dei ministri, con il
Ministero dell'economia e delle finanze, con
il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali e con il Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, che ne hanno
condiviso il contenuto.
2. Nella previgente disciplina, di cui all'art.
10, co. 4 bis, del d.lgs. n. 368 del 2001,
risultavano esclusi dal campo di applicazione
del medesimo decreto "i contratti a tempo
determinato stipulati per il conferimento delle
supplenze del personale docente ed ATA".
La ratio della
suddetta
esclusione,
evidenziata nel corpo dello stesso art. 10, co.
4-bis, risiedeva nella "necessità di garantire
la costante erogazione del servizio scolastico
ed educativo", strettamente connesso ai livelli
essenziali delle prestazioni in materia di
istruzione ed educazione (artt. 33 e 34 della
Cost.) e caratterizzato da peculiari esigenze
di flessibilità, dovuta a fenomeni come le
oscillazioni demografiche, la migrazione
scolastica e le variazioni nelle scelte dei
diversi indirizzi. Delle stesse esigenze si
erano fatte carico successive modifiche allo
stesso art. 10, co. 4 bis.
3. Il d.lgs. n. 81 del 2015, recante il testo
organico delle tipologie contrattuali diverse
dal lavoro a tempo indeterminato, ha
modificato e abrogato la previgente
disciplina in materia di contratti a tempo
determinato contenuta nel d.lgs. n. 368 del
2001, prevedendo che al contratto di lavoro
subordinato possa essere apposto un termine
di durata non superiore a trentasei mesi.
L'art. 29, co. 2, lett. c), del d.lgs., peraltro,
conferma l'ipotesi di esclusione relativa ai
"contratti a tempo determinato stipulati con il
personale docente ed ATA per il conferimento
delle supplenze". Nonostante alcune diversità
nella formulazione della disposizione, il fine
della norma continua a essere quello di
garantire la costante erogazione del servizio
scolastico ed educativo, in presenza delle
menzionate esigenze connesse al corretto
funzionamento dello stesso servizio. Dato che
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
legislativo volto al superamento del
precariato nel settore scolastico attraverso
un percorso di assunzioni. Di questo
orientamento i comuni, non soggetti alla
disposizione della l. 107, potranno tener
conto nella gestione del proprio personale,
predisponendo misure volte al superamento
del precariato nel rispetto dei vincoli di
finanza pubblica e nei limiti della
sostenibilità finanziaria.
Valuteranno, pertanto, i Comuni la
sussistenza delle ragioni oggettive che, nel
rispetto dei principi e delle condizioni sopra
menzionate, consentano di reiterare i
contratti di lavoro a tempo determinato al
fine di corrispondere alle esigenze
improcrastinabili collegate all'inizio del
presente anno scolastico (Circ. n. 3 del 2015
del Ministro per la Semplificazione e la
Pubblica Amministrazione registrata dalla
Corte dei conti in data 22.09. 2015, Reg.ne Prev. n. 2387).
dimostrato anche dal successivo co. 132,
relativo allo stanziamento di risorse per il
pagamento di eventuali condanne, che è a
sua volta strumentale al definitivo
superamento dei problemi del precariato
scolastico e che - come si rileverà in seguito riguarda solo la finanza statale.
6. Da quanto precede può dedursi che al
personale docente e ATA delle istituzioni
scolastiche
comunali
è
applicabile
l'esclusione dalla disciplina generale del
lavoro a tempo determinato, posta dal d.lgs.
n. 81 del 2015, mentre non è direttamente
applicabile la disciplina speciale della l. n
107 del 2015.
Ciò, peraltro, non vuol dire che non vi siano
limiti alla durata complessiva dei rapporti di
lavoro a tempo determinato di questo
personale. È evidente infatti che le esigenze
di tutela del lavoratore, sottostanti alla
disciplina europea e a quella nazionale del
lavoro a tempo determinato, si pongono
anche per esso. E si deve escludere che il
legislatore abbia voluto lasciare privi di
tutela, in relazione alla durata del contratto, i
dipendenti
delle
scuole
comunali.
L'inapplicabilità della disciplina legislativa,
quindi, impone comunque di individuare
nell'ordinamento i limiti ai suddetti rapporti
di lavoro.
Questi limiti sono rinvenibili nel diritto
nazionale e in quello europeo, comunque
prevalente su quello nazionale.
Innanzitutto, occorre ricordare che il d.lgs. n.
81 del 2015, nell'escludere l'applicabilità
della disciplina in esso contenuta dei rapporti
di lavoro a tempo determinato, fa salve le
previsioni dell'art. 36 del d.lgs. n. 165 del
2001, che definiscono i limiti entro i quali
simili rapporti di lavoro possono essere
costituiti dalle pubbliche amministrazioni.
In secondo luogo, occorre tenere conto di
quanto stabilito, con particolare riferimento
al
settore
scolastico,
dalla
sentenza Mascolo della Corte di giustizia
dell'Unione europea (cause riunite C-22/13,
da C-61/ a C-63/13 e C-418/13) in relazione
alle ipotesi entro le quali è lecito il ricorso al
rapporto di lavoro a tempo determinato e alle
sanzioni per il ricorso abusivo.
In terzo luogo, dalla citata disposizione della
l. n. 107 del 2015 emerge un orientamento
Gazzetta Amministrativa
«::::::::: GA :::::::::»
ADEGUAMENTO DEL REGOLAMENTO ANAGRAFICO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE: IN G.U. IL
D.P.R. 17.7.2015, N. 126
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
n.188 del 14.8.2015 il il Decreto del Presidente della Repubblica del 17.07.2015, n. 126
avente ad oggetto il “Regolamento recante
adeguamento del regolamento anagrafico
della popolazione residente, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica
30.5.1989, n. 223, alla disciplina istitutiva
dell'anagrafe nazionale della popolazione residente”.
Il Presidente della Repubblica
Visto l'art. 87, quinto co., della Cost.;
Vista la l. 24.12.1954, n. 1228;
Vista la l. 27.10.1988, n. 470;
Visto il decreto del Presidente della
Repubblica 30.05.1989, n. 223;
Visto il decreto del Presidente della
Repubblica 6.09. 1989, n. 323;
Visto l'art. 17, co. 1, lett. a), della l. 23
.08.1988, n. 400;
Visto l'art. 62 del d.lgs. 7.03.2005, n. 82, e
successive modificazioni;
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
7.3.2005, n. 82, e successive modificazioni.»;
c) l'art. 7 è sostituito dal seguente:
«Art. 7 (Iscrizioni anagrafiche). - 1.
L'iscrizione nell'anagrafe della popolazione
residente viene effettuata:
a) per nascita, presso il comune di
residenza dei genitori o presso il comune
di residenza della madre qualora i
genitori risultino residenti in comuni diversi,
ovvero, quando siano ignoti i genitori, nel
comune ove è residente la persona o la
convivenza cui il nato è stato affidato;
b) per esistenza giudizialmente dichiarata;
c) per trasferimento di
residenza
dall'estero dichiarato dall'interessato non
iscritto, oppure accertato secondo quanto è
disposto dall'art. 15, co. 1, del presente
regolamento,
anche tenuto conto delle
particolari
disposizioni
relative
alle
persone senza fissa dimora di cui all'art. 2,
co. terzo, della l. 24.12. 1954, n. 1228,
nonchè per mancanza di precedente
iscrizione.
2. Per le persone già cancellate per
irreperibilità e successivamente ricomparse devesi procedere a nuova iscrizione
anagrafica.
3. Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno
l'obbligo di
rinnovare all'ufficiale di
anagrafe la dichiarazione
di
dimora
abituale nel comune di residenza, entro
sessanta giorni dal rinnovo del permesso di
soggiorno,
corredata
dal
permesso
medesimo e, comunque, non decadono
dall'iscrizione nella fase di rinnovo del
permesso di soggiorno. Per gli stranieri
muniti di carta di soggiorno, il rinnovo della
dichiarazione di dimora abituale è effettuato
entro sessanta giorni dal rinnovo della carta
di soggiorno. L'ufficiale di
anagrafe
aggiornerà la scheda anagrafica dello
straniero,
dandone comunicazione al
questore.
4. Il registro di cui all'art. 2, co. quinto,
della l. 24.12.1954, n. 1228, è tenuto dal
Ministero dell'interno presso la prefettura di
Roma. Il funzionario incaricato della tenuta
di tale registro ha i poteri e i doveri
dell'ufficiale di anagrafe.»;
d) all'art. 10, al co. 1, alla lett. b), dopo la
parola: «comune» sono inserite le seguenti:
Visto il decreto del Ministro dell'interno 6
.07.
2010, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 165 del 17.07.2010;
Visto il d.lgs. 3.02.2011, n. 71;
Visto l'art. 2, co. 5, del d.l. 18.10.2012, n.
179, convertito, con modificazioni, dalla l.
17.12.2012, n. 221, che prevede che siano
apportate al decreto del Presidente della
Repubblica 30.05. 1989, n. 223, le
modifiche necessarie per adeguarne la
disciplina alle
disposizioni
istitutive
dell'anagrafe nazionale della popolazione
residente;
Visto l'art. 13, co. 2-bis, del d.l. 21.6.2013,n.
69, convertito, con modificazioni, dalla l.
9.08. 2013, n. 98;
Vista la preliminare deliberazione del
Consiglio
dei
Ministri, adottata nella
riunione del 30.10.2014;
Acquisito il parere del Garante per la
protezione dei dati personali, espresso in
data 22.01.2015;
Udito il parere del Consiglio di Stato,
espresso dalla Sezione consultiva per gli atti
normativi nell'Adunanza del 19.3.2015;
Vista la deliberazione del Consiglio dei
Ministri,
adottata
nella riunione del
3.07.2015;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio
dei Ministri, di concerto con i Ministri
dell'interno e per la semplificazione e la
pubblica amministrazione;
E m a n a il seguente regolamento:
Art. 1
Modifiche al regolamento anagrafico della
popolazione residente approvato con decreto
del Presidente
della
Repubblica
30
.05.1989, n. 223.
1. Al regolamento anagrafico della
popolazione residente approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 30.05.1989,
n. 223, e successive modificazioni, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) al Capo I, nella rubrica, la parola:
«Anagrafe» è
sostituita dalla seguente:
«Registrazione anagrafica»;
b) prima dell'art. 1, è inserito il seguente:
«Art. 01 (Adempimenti anagrafici). - 1. Gli
adempimenti anagrafici di cui al presente
regolamento sono effettuati nell'anagrafe
nazionale della popolazione residente di cui
all'art.
62
del decreto
legislativo
Gazzetta Amministrativa
-78-
Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
comune di residenza entro il termine di
dieci giorni con
l'osservanza
delle
disposizioni sull' 'ordinamento dello stato
civilè . Per le persone residenti all'estero le
comunicazioni devono essere effettuate con le
stesse modalità al comune competente.»;
h) l'art. 16 è sostituito dal seguente:
«Art. 16 (Segnalazioni particolari). - 1.
Quando risulti che una persona o una
famiglia abbia trasferito la residenza senza
aver reso la dichiarazione di cui all'art. 13,
l'ufficiale di anagrafe deve darne notizia al
comune competente in relazione al luogo
ove la persona o la famiglia risulta di
fatto trasferitasi,
per
i conseguenti
provvedimenti.
2. La persona che, ai fini della iscrizione,
dichiari per sè o per i componenti della
famiglia di provenire dall'estero, qualora
risulti già iscritta, è
registrata come
proveniente dal luogo di residenza già
registrato.»;
i) l'art. 18 è sostituito dal seguente:
«Art. 18 (Procedimento d'iscrizione e
mutazione anagrafica).
- 1. Entro due giorni lavorativi successivi
alla presentazione delle dichiarazioni di cui
all'art. 13, co. 1, lettere a), b) e c), l'ufficiale
d'anagrafe effettua le iscrizioni o le
registrazioni delle mutazioni anagrafiche
dichiarate, con decorrenza dalla data della
presentazione delle dichiarazioni.»
l) l'art. 18-bis è sostituito dal seguente:
«Art.
18-bis
(Accertamenti
sulle
dichiarazioni
rese
e
ripristino delle
posizioni anagrafiche precedenti).
1.
L'ufficiale
d'anagrafe,
entro
quarantacinque giorni dalla ricezione delle
dichiarazioni rese ai sensi dell'art. 13, co. 1,
lettere a), b) e c), accerta la effettiva
sussistenza dei requisiti previsti dalla
legislazione vigente per la registrazione. Se
entro tale termine l'ufficiale d'anagrafe,
tenuto anche conto degli esiti degli
eventuali accertamenti svolti dal comune
di provenienza, non invia all'interessato
la comunicazione di cui all'art. 10-bis della
l. 7.08.1990, n. 241, quanto dichiarato si
considera conforme alla situazione di fatto in
essere alla data della ricezione della
dichiarazione, ai sensi dell'art. 20 della l.
citata.
«o del territorio nazionale»;
e) dopo l'art. 10 è inserito il seguente:
«Art. 10-bis (Posizioni che non comportano
mutazioni anagrafiche).
- 1. Non deve essere disposta, nè d'ufficio,
nè
a
richiesta dell'interessato,
la
mutazione anagrafica, per trasferimento di
residenza, delle seguenti categorie di
persone:
a) militari di leva, di carriera, o che
abbiano, comunque, contratto una ferma,
pubblici dipendenti, personale dell'arma
dei carabinieri, della polizia di Stato, della
guardia di finanza, distaccati presso scuole
per frequentare corsi di avanzamento o di
perfezionamento;
b) ricoverati in istituti di cura, di qualsiasi
natura, purchè la permanenza nel comune
non superi i due anni, a decorrere dal
giorno dell'allontanamento dal comune di
iscrizione anagrafica;
c) detenuti in attesa di giudizio.
2. Il trasferimento di residenza della
famiglia, anche nell'ambito dello stesso
comune comporta, di regola, anche
il
trasferimento di residenza dei componenti
assenti perchè appartenenti ad una delle
categorie indicate nel co. 1.»;
f) all'art. 11, al co. 1, la lett. b) è sostituita
dalla seguente:
«b) per trasferimento all'estero dello
straniero;»;
g) all'art. 12, sono apportate le seguenti
modificazioni:
1) il co. 2 è sostituito dal seguente:
«2. Le
comunicazioni
relative
alle
celebrazioni di matrimonio devono essere
effettuate mediante modelli conformi agli
standard indicati dall'Istituto nazionale di
statistica. Le comunicazioni relative alle
nascite e alle morti sono
effettuate
dall'ufficio di stato civile ai sensi della
disciplina prevista dall'art. 2, co. 3, del d.l.
18.10.2012, n. 179,
convertito,
con
modificazioni, dalla l. 17.12.2012, n. 221,
nonchè dall'art. 62, co. 6, del d.lgs. 7.03.
2005, n. 82.»;
2) il co. 5 è sostituito dal seguente:
«5. Le comunicazioni concernenti lo
stato civile riflettenti persone non residenti
nel comune devono essere effettuate agli
uffici di stato civile e di anagrafe del
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
popolazione residente.»;
p) all'art. 21, sono apportate le seguenti
modificazioni:
1) il co. 1 è sostituito dal seguente:
«1. Per ciascuna famiglia residente deve
essere compilata una scheda di famiglia,
nella quale devono essere indicate
le
posizioni anagrafiche relative alla famiglia
ed alle persone che la costituiscono.»;
2) il co. 5 è sostituito dal seguente:
«5. La scheda deve essere archiviata per
scioglimento della famiglia ovvero per la
cancellazione delle persone che ne fanno
parte.»;
q) l'art. 22 è sostituito dal seguente:
«Art. 22 (Schede di convivenza). - 1. Per
ciascuna convivenza residente nel comune
deve essere compilata una scheda di
convivenza, nella quale sono indicate le
posizioni
anagrafiche
relative
alla
medesima ed a quelle dei conviventi, la
specie e la denominazione della convivenza
nonchè il nominativo della persona che la
dirige. Per ciascuna convivenza residente nel
comune deve essere compilata una scheda
di
convivenza,
conforme
all'apposito
esemplare predisposto dall'Istituto centrale
di
statistica,
nella
quale
devono
essereindicate le posizioni anagrafiche
relative alla medesima, nonchè quelle dei
conviventi residenti.
2. Nella scheda
di
convivenza,
successivamente
alla
sua istituzione,
devono essere iscritte le persone che
entrano a far parte della convivenza e
cancellate le persone che cessano di farne
parte.
3. La scheda di convivenza deve essere
aggiornata alle mutazioni relative alla
denominazione
o
specie
della
convivenza, al responsabile di essa, alla
sede della stessa ed alle posizioni
anagrafiche dei conviventi.
4. La scheda di convivenza deve essere
archiviata per cessazione della convivenza o
per trasferimento di essa o all'estero.»;
r) l'art. 23 è sostituito dal seguente:
«Art. 23 (Tenuta delle schede anagrafiche in
formato elettronico).
- 1. Le schede individuali, di famiglia e di
convivenza devono essere conservate e
costantemente aggiornate,
in
formato
2. Qualora a seguito degli accertamenti di
cui al co. 1 sia effettuata la comunicazione
di cui all'art. 10-bis della l. 7.08.1990, n.
241, e non vengano accolte le osservazioni
presentate o sia decorso inutilmente il
termine per la presentazione delle stesse,
l'ufficiale d'anagrafe provvede al ripristino
della posizione anagrafica precedente,
mediante annullamento dell'iscrizione o
della mutazione registrata, a decorrere dalla
data della ricezione della dichiarazione di
cui all'art. 13, co. 1, lettere a), b) e c).»;
m) all'art. 19 sono apportate le seguenti
modificazioni:
1) al co. 2, dopo la parola: «iscrizione»
sono inserite le seguenti: «o la mutazione»;
2) al co. 3, le parole: «da chi richiede
l'iscrizione anagrafica» sono soppresse;
n) al Capo IV, la rubrica è sostituita
dalla seguente:
«Formazione ed ordinamento dello schede
anagrafiche della popolazione residente e
degli italiani residenti all'estero»;
o) l'art. 20 è sostituito dal seguente:
«Art. 20 (Schede individuali). - 1. A
ciascuna persona residente nel comune deve
essere intestata una scheda individuale, sulla
quale devono essere obbligatoriamente
indicati il cognome, il nome, il sesso, la
data e il luogo di nascita, il codice
fiscale,
la cittadinanza, l'indirizzo
dell'abitazione. Nella scheda sono altresi'
indicati i seguenti dati: la paternità e la
maternità, ed estremi dell'atto di nascita,
lo stato civile, ed eventi modificativi,
nonchè estremi dei relativi atti, il cognome e
il nome del coniuge, la professione o la
condizione non professionale, il titolo di
studio, gli estremi della carta d'identità, il
domicilio digitale, la condizione di senza
fissa dimora.
2. Nella scheda riguardante i cittadini
stranieri
sono
comunque indicate la
cittadinanza e gli estremi del documento di
soggiorno.
3. Per le donne coniugate o vedove le
schede devono essere intestate al cognome
da nubile.
4. Le schede individuali debbono essere
tenute costantemente aggiornate e devono
essere archiviate quando le persone alle
quali sono intestate cessino di far parte della
Gazzetta Amministrativa
-80-
Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
v) l'art. 35 è sostituito dal seguente:
«Art. 35 (Contenuto dei certificati
anagrafici). - 1. I certificati anagrafici
devono contenere l'indicazione del comune e
della data di rilascio; l'oggetto della
certificazione; le generalità delle persone
cui la certificazione si riferisce, salvo le
particolari disposizioni di cui alla l.
31.10.1955, n. 1064, e la firma dell'ufficiale
di anagrafe.
2.
Non
costituiscono
materia
di
certificazione le notizie riportate nelle schede
anagrafiche concernenti la professione, arte
o mestiere, la condizione non professionale, il
titolo di studio, il domicilio digitale, la
condizione di senza fissa dimora e il
titolo di soggiorno.
3. Il certificato di stato di famiglia deve
rispecchiare la composizione familiare
quale risulta dall'anagrafe all'atto del
rilascio del certificato.
4. Previa motivata richiesta, l'ufficiale di
anagrafe
rilascia certificati attestanti
situazioni anagrafiche pregresse.
5. Presso gli uffici anagrafici, gli iscritti
esercitano i diritti di cui alla parte I, titolo II
del decreto legislativo 30.6.2003, n. 196,
sui dati contenuti nell'anagrafe nazionale
della popolazione residente, nei limiti e nel
rispetto
delle
modalità previsti dal
medesimo d.lgs..»
z) all'art. 46, sono apportate le seguenti
modificazioni:
1) dopo il co. 4 sono aggiunti i seguenti:
«4-bis. Il comune di dimora abituale
risultante
dall'ultimo censimento della
popolazione, se diverso dal comune di
residenza, dispone la relativa mutazione
anagrafica
a
decorrere
dalla
presentazione della dichiarazione di cui
all'art. 13, co. 1, lett. a).
4-ter. Se in base all'ultimo censimento della
popolazione, risulta abitualmente dimorante
nel territorio nazionale la persona non
iscritta, il comune di dimora abituale ne
dispone l'iscrizione con la stessa decorrenza
di cui al co. 4-bis.»;
aa) l'art. 48 è sostituito dal seguente:
«Art. 48 (Rilevazioni statistiche concernenti
il movimento della popolazione residente).
- 1. Fermi restando i servizi resi
dall'anagrafe nazionale della popolazione
elettronico,
ai sensi della
disciplina
prevista dall'art. 62, co. 6, del d.lgs.
7.03.2005, n. 82.»;
s) l'art. 27 è sostituito dal seguente:
«Art. 27 (Italiani residenti all'estero). - 1.
Gli adempimenti anagrafici relativi agli
italiani
residenti
all'estero
sono
disciplinati dalla l. 27.10.1988, n. 470, e
dal relativo regolamento di esecuzione, in
quanto compatibili con la disciplina
prevista dall'art. 62 del d.lgs. 7.3.2005, n.
82, e dal presente regolamento.»;
t) l'art. 33 è sostituito dal seguente:
«Art. 33 (Certificati anagrafici). - 1. Fatti
salvi i divieti di comunicazione di dati,
stabiliti da speciali disposizioni di legge, e
quanto previsto dall'art. 35, l'ufficiale di
anagrafe rilascia a chiunque ne faccia
richiesta, previa identificazione, i certificati
concernenti la residenza, lo stato di
famiglia
degli
iscritti nell'anagrafe
nazionale della
popolazione
residente,
nonchè
ogni altra informazione ivi
contenuta.
2. Al rilascio di cui al co. 1 provvedono
anche gli ufficiali d'anagrafe di comuni
diversi da quello in cui risiede la persona cui
i certificati si riferiscono.
3. Le certificazioni anagrafiche hanno
validità di tre mesi dalla data di rilascio.»;
u) l'art. 34 è sostituito dal seguente:
«Art. 34 (Rilascio di elenchi degli
iscritti
nell'anagrafe nazionale della
popolazione residente e di dati anagrafici
per fini statistici e di ricerca). - 1. Alle
amministrazioni pubbliche che ne facciano
motivata richiesta, per esclusivo uso di
pubblica
utilità, l'ufficiale di anagrafe
rilascia, anche periodicamente, elenchi degli
iscritti,
residenti
nel
comune,
in
conformità alle misure di sicurezza, agli
standard di comunicazione e alle regole
tecniche previsti dal decreto del Presidente
del Consiglio dei ministri 10.11.2014, n.
194, e dall'art. 58 del d.lgs. 7.3.2005, n. 82.
2. L'ufficiale di anagrafe rilascia dati
anagrafici, relativi agli iscritti residenti nel
comune, resi anonimi ed aggregati, agli
interessati che ne facciano richiesta per
fini statistici e di ricerca.
3. Il comune puo' esigere dai richiedenti un
rimborso spese per il materiale fornito.»;
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
un comune transitato ed un comune non
transitato.
3. Dall'attuazione del presente decreto non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica.
Art. 4
Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il
giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.
Il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. (D.P.R.
del 17.7.2015, n. 126 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.188 del 14-8-2015).
residente,
le
rilevazioni statistiche
concernenti il movimento naturale della
popolazione residente ed i trasferimenti di
residenza vengono effettuate dall'ufficiale
di anagrafe in conformità ai metodi, ai
formati e agli standard indicati dall'Istituto
nazionale di statistica, tenuto anche conto
della disciplina prevista dall'art. 3, commi 1
e 2, del d.l. 18 .10. 2012, n.
179,
convertito,
con modificazioni, dalla l.
17.12.2012, n. 221.»;
bb) all'art. 52, il co. 1 è sostituito dal
seguente:
«1. Il prefetto vigila affinchè
gli
adempimenti
anagrafici,
topografici,
ecografici e di carattere statistico
dei
comuni siano effettuati in conformità alle
norme del presente regolamento.».
2. Le parole: "Istituto centrale di statistica",
ovunque
presenti, sono sostituite dalle
seguenti: "Istituto nazionale di statistica".».
Art. 2
Abrogazioni
1. Gli artt. 8, 9, 24, 25, 26, 28, 29, 30, 31 e 57
del
decreto del
Presidente
della
Repubblica 30.5.1989, n. 223, sono
abrogati, fatto salvo quanto disposto dall'art.
3, co. 2.
Art. 3
Disposizioni transitorie e finali
1. Ai fini della individuazione delle
disposizioni che continuano ad applicarsi
agli adempimenti anagrafici fino al
completamento del piano per il graduale
subentro di cui all'art. 62, co. 2, del d.lgs.
7.3.2005, n. 82, si intende per «comune non
transitato» il comune per il quale non si è
ancora verificato il subentro dell'anagrafe
nazionale della popolazione residente e per
«comune transitato» il comune per il quale
si è verificato tale subentro.
2. Fino al subentro dell'anagrafe nazionale
della popolazione residente, il comune non
transitato procede a tutti gli adempimenti
anagrafici
con
l'osservanza
delle
disposizioni del decreto del Presidente
della Repubblica 30.5.1989, n. 223,
previgenti alla data di entrata in vigore
del presente decreto.
Le medesime disposizioni continuano, altresì, ad applicarsi agli adempimenti
anagrafici che interessano congiuntamente
Gazzetta Amministrativa
«::::::::: GA :::::::::»
DISPOSIZIONI PER LA RAZIONALIZZAZIONE E LA SEMPLIFICAZIONE
DELL'ATTIVITÀ ISPETTIVA IN MATERIA DI LAVORO E LEGISLA-ZIONE
SOCIALE, IN ATTUAZIONE DELLA L.
10.12.2014, N. 183
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
n.221 del 23.9.2015 - Suppl. Ordinario n. 53
il Decreto del Presidente della Repubblica
del 14.9.2015, n. 149 avente ad oggetto “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell'attività ispettiva in materia
di lavoro e legislazione sociale, in attuazione
della l. 10.12.2014, n. 183”.
Il Presidente Della Repubblica
Visti gli artt. 76 e 87 della Cost.; Visto l'art.
1, co. 7, della l. 10.12.2014, n. 183, il quale,
allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché
di riordinare i contratti di lavoro vigenti per
renderli maggiormente coerenti con le attuali
esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere piu' efficiente l'attività ispettiva, delega il Governo ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, uno o piu' decreti legislativi; Visto
l'art. 1, co. 7, lett. l), della citata l. n. 183 del
2014, recante il criterio di delega relativo alla razionalizzazione e semplificazione dell'at-82-
Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
di legge.
3. L'Ispettorato ha personalità giuridica di
diritto pubblico, è dotato di autonomia organizzativa e contabile ed è posto sotto la vigilanza del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali che ne monitora periodicamente gli
obiettivi e la corretta gestione delle risorse
finanziarie.
4. L'Ispettorato ha una sede centrale in Roma, presso un immobile demaniale ovvero
presso un immobile del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, dell'INPS, dell'INAIL o
di altri Istituti previdenziali e un massimo di
80 sedi territoriali.
5. L'Ispettorato è sottoposto al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 3, co. 4,
della l. 14.01.1994, n. 20, e successive modificazioni.
Art. 2 Funzioni e attribuzioni
1. Entro quarantacinque giorni dall'entrata
in vigore del presente decreto è adottato, con
decreto del Presidente della Repubblica ai
sensi dell'art. 17, co. 2, della l. 23.08.1988, n.
400, su proposta del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il
Ministro per la semplificazione e la pubblica
amministrazione, lo statuto dell'Ispettorato,
in conformità ai principi e ai criteri direttivi
stabiliti dall'art. 8, co. 4, del d.lgs. n. 300 del
1999, ivi compresa la definizione, tramite
convenzione da stipularsi tra il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali e il direttore
dell'Ispettorato, degli obiettivi specificamente
attribuiti a quest'ultimo.
2. L'Ispettorato esercita, in particolare, le seguenti funzioni e attribuzioni:
a) esercita e coordina su tutto il territorio nazionale, sulla base di direttive emanate dal
Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
la vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria nonchè
legislazione sociale, ivi compresa la vigilanza
in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nei limiti delle
competenze già attribuite al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali ai sensi del d.lgs. 9.4.2008, n. 81, e gli
accertamenti in materia di riconoscimento
del diritto a prestazioni per infortuni su lavoro e malattie professionali, della esposizione
al rischio nelle malattie professionali, delle
tività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l'istituzione, ai
sensi dell'art. 8 del d.lgs. 30.7.1999, n. 300,
di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l'integrazione in un'unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e
INAIL, prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale; Vista la
preliminare deliberazione del Consiglio dei
ministri,
adottata
nella
riunione
dell'11.6.2015; Acquisiti i pareri delle competenti commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei
ministri, adottata nella riunione del 4.09.
2015;
Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, di concerto con i Ministri
per la semplificazione e la pubblica amministrazione, della difesa e dell'economia e delle
finanze;
Emana il seguente d.lgs.:
Art. 1 Ispettorato nazionale del lavoro
1. Al fine di razionalizzare e semplificare l'attività di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale, nonchè al fine di evitare la
sovrapposizione di interventi ispettivi, è istituita, senza nuovi o maggiori oneri a carico
della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 8 del
d.lgs. 30.7.1999, n. 300, una Agenzia unica
per le ispezioni del lavoro denominata «Ispettorato nazionale del lavoro», di seguito «Ispettorato», che integra i servizi ispettivi del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
dell'INPS e dell'INAIL.
2. L'Ispettorato svolge le attività ispettive già
esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'INPS e dall'INAIL. Al fine
di assicurare omogeneità operative di tutto il
personale che svolge vigilanza in materia di
lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria, nonchè legislazione sociale, ai funzionari ispettivi dell'INPS e dell'INAIL sono
attribuiti i poteri già assegnati al personale
ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ivi compresa la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria secondo quanto
previsto dall'art. 6, co. 2, del d.lgs.
23.4.2004, n. 124 e alle medesime condizioni
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
1. Sono organi dell'Ispettorato e restano in
carica per tre anni rinnovabili per una sola
volta:
a) il direttore;
b) il consiglio di amministrazione;
c) il collegio dei revisori.
2. Il direttore è scelto tra esperti ovvero tra
personale incaricato di funzioni di livello dirigenziale generale delle amministrazioni
pubbliche di cui all'art. 1 co. 2, del d.lgs.
30.3.2001 n. 165 o altro personale di cui
all'art. 3 del medesimo d.lgs., in possesso di
provata esperienza e professionalità nelle
materie di competenza dell'Ispettorato ed è
nominato con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali e, se dipendente delle amministrazioni pubbliche, previo
collocamento fuori ruolo, aspettativa non retribuita, comando o analogo provvedimento
secondo i rispettivi ordinamenti. In tal caso è
reso indisponibile un posto equivalente, dal
punto di vista finanziario, presso l'amministrazione di provenienza. Al direttore dell'Ispettorato spetta il trattamento economico e
normativo riconosciuto per l'incarico di capo
dipartimento di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 300
del 1999.
3. Il consiglio di amministrazione è nominato
con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali ed è composto da quattro
dirigenti incaricati di funzioni di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, del d.lgs.
30.3.2001 n. 165 o altro personale di cui
all'art. 3 del medesimo d.lgs., in possesso di
provata esperienza e professionalità nelle
materie di competenza dell'Ispettorato. Un
componente ciascuno è indicato dall'INPS e
dall'INAIL in rappresentanza dei predetti Istituti. Uno dei componenti del consiglio di
amministrazione svolge, su designazione del
Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
le funzioni di presidente.
4. Il collegio dei revisori è nominato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali ed è composto da tre membri effettivi,
di cui due in rappresentanza del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali e uno in
rappresentanza del Ministero dell'economia e
delle finanze. Con il medesimo decreto sono
caratteristiche dei vari cicli produttivi ai fini
della applicazione della tariffa dei premi;
b) emana circolari interpretative in materia
ispettiva e sanzionatoria, previo parere conforme del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonchè direttive operative rivolte
al personale ispettivo;
c) propone, sulla base di direttive del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, gli
obiettivi quantitativi e qualitativi delle verifiche ed effettua il monitoraggio sulla loro realizzazione;
d) cura la formazione e l'aggiornamento del
personale ispettivo, ivi compreso quello di
INPS e INAIL;
e) svolge le attività di prevenzione e promozione della legalità presso enti, datori di lavoro e associazioni finalizzate al contrasto
del lavoro sommerso e irregolare ai sensi
dell'art. 8 del d.lgs. 23.04.2004, n. 124;
f) esercita e coordina le attività di vigilanza
sui rapporti di lavoro nel settore dei trasporti
su strada, i controlli previsti dalle norme di
recepimento delle direttive di prodotto e cura
la gestione delle vigilanze speciali effettuate
sul territorio nazionale;
g) svolge attività di studio e analisi relative ai
fenomeni del lavoro sommerso e irregolare e
alla mappatura dei rischi, al fine di orientare
l'attività di vigilanza;
h) gestisce le risorse assegnate ai sensi
dell'art. 8, anche al fine di garantire l'uniformità dell'attività di vigilanza, delle competenze professionali e delle dotazioni strumentali in uso al personale ispettivo;
i) svolge ogni ulteriore attività, connessa allo
svolgimento delle funzioni ispettive, ad esso
demandata dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
l) riferisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, all'INPS e all'INAIL ogni informazione utile alla programmazione e allo
svolgimento delle attività istituzionali delle
predette amministrazioni;
m) ferme restando le rispettive competenze, si
coordina con i servizi ispettivi delle aziende
sanitarie locali e delle agenzie regionali per
la protezione ambientale al fine di assicurare
l'uniformità di comportamento ed una maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi,
evitando la sovrapposizione degli interventi.
Art. 3 Organi dell'Ispettorato
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
litiche sociali, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, modifiche ai
regolamenti interni di contabilità adottati ai
sensi dell'art. 5, co. 1.
2. Il consiglio di amministrazione, convocato
dal componente che svolge le funzioni di presidente, che stabilisce altresi' l'ordine del
giorno delle sedute, coadiuva il direttore
nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite, delibera il bilancio preventivo, il conto
consuntivo e i piani di spesa ed investimento.
3. Alle sedute del consiglio di amministrazione partecipa il direttore dell'Ispettorato.
4. Il collegio dei revisori svolge il controllo
sull'attività dell'Ispettorato ai sensi del d.lgs.
30.6.2011 n. 123 nonchè , in quanto applicabili, degli artt. da 2397 a 2409 c.c..
Art. 5 Organizzazione e funzionamento dell'Ispettorato
1. Con uno o più decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di
concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, il Ministro per la semplificazione e la
pubblica amministrazione e il Ministro della
difesa, da adottarsi entro quarantacinque
giorni dalla data di entrata in vigore del presente d.lgs., sono disciplinate, senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l'organizzazione delle risorse umane e
strumentali per il funzionamento dell'Ispettorato e la contabilità finanziaria ed economico
patrimoniale relativa alla sua gestione.
2. Fermi restando gli ordinari stanziamenti di
bilancio e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, i decreti di cui al
co. 1 provvedono, in deroga alle discipline
normative e contrattuali vigenti, a rideterminare in modo uniforme il trattamento di missione del personale ispettivo dell'Ispettorato,
dell'INPS e dell'INAIL, in considerazione delle esigenze di utilizzo abituale del mezzo proprio per lo svolgimento della ordinaria attività istituzionale che comporta, il trasporto di
strumenti informatici, fotocamere e altre attrezzature di lavoro. Ai fini della rideterminazione del trattamento di missione di cui al
presente comma si applicano i seguenti criteri:
a) mantenimento della misura dell'indennità
chilometrica di cui al primo co. dell'art. 15
della l. 18.12.1973, n. 836 come ridetermina-
nominati i membri supplenti in rappresentanza dei predetti Ministeri. I componenti del
collegio sono scelti tra i dirigenti incaricati
di funzioni di livello dirigenziale non generale delle amministrazioni di cui all'art. 1, co.
2, del d.lgs. n. 165 del 2001, in possesso di
specifica professionalità. L'assegnazione delle funzioni di presidente del collegio dei revisori avviene secondo le modalità stabilite
dallo statuto di cui all'art. 2, co. 1. Ai componenti del collegio dei revisori compete, per lo
svolgimento della loro attività, un compenso
determinato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con
il Ministro dell'economia e delle finanze, a
valere sugli ordinari stanziamenti di bilancio
dell'Ispettorato e comunque senza nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
5. Per la partecipazione alle sedute degli organi collegiali non spettano gettoni di presenza o emolumenti a qualsiasi titolo dovuti.
6. Il direttore è sottoposto alla disciplina in
materia di responsabilità dirigenziale di cui
all'art. 21 del d.lgs. 30.03.2001, n. 165 ivi
compresa la facoltà di revoca dell'incarico.
Art. 4 Attribuzioni degli organi dell'Ispettorato
1. Il direttore ha la rappresentanza legale
dell'Ispettorato, provvede all'attuazione degli
indirizzi e delle linee guida adottate d'intesa
con il consiglio di amministrazione e approvate dal Ministro del lavoro e delle politiche
sociali e presenta al consiglio di amministrazione il bilancio preventivo e il conto consuntivo. Il direttore propone alla commissione
centrale di coordinamento di cui all'art. 3 del
d.lgs. 23.4.2004, n. 124 gli obiettivi quantitativi e qualitativi delle verifiche ispettive, riferisce periodicamente al Ministro del lavoro e
delle politiche sociali e al consiglio di amministrazione e presenta una relazione annuale
sull'attività svolta dall'Ispettorato. Al direttore sono assegnati i poteri e la responsabilità
della gestione dell'Ispettorato, nonchè la responsabilità per il conseguimento dei risultati
fissati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito, ove possibile, di massimali di spesa predeterminati dal bilancio o,
nell'ambito di questo, dal Ministro stesso. È
inoltre facoltà del direttore proporre all'approvazione del Ministro del lavoro e delle poGazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
all'entrata in vigore dei decreti di cui all'art.
5, co. 1 e fino al 31.12.2016. Le risorse derivanti dalle economie per le cessazioni dal
servizio relative agli anni 2015 e 2016 non
sono utilizzabili ai fini della determinazione
del budget di assunzioni previsto dalle vigenti
disposizioni in materia di assunzioni ed, inoltre, sono contestualmente ridotti i relativi
fondi per il trattamento accessorio.
3. A partire dal 2017, in relazione ai risparmi
di spesa derivanti dal progressivo esaurimento del ruolo di cui all'art. 7, co. 1, la dotazione organica dell'Ispettorato è incrementata,
ogni tre anni, di un numero di posti corrispondente alle facoltà assunzionali previste
dalle vigenti disposizioni in materia di turnover del personale, con conseguente assegnazione delle relative risorse finanziarie da parte dell'INPS e dell'INAIL in relazione al contratto collettivo applicato dall'Ispettorato.
4. Presso la sede di Roma dell'Ispettorato è
istituito, alle dipendenze del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il «Comando
carabinieri per la tutela del lavoro». L'attività di vigilanza svolta dal personale dell'Arma
dei Carabinieri nonchè il coordinamento con
l'Ispettorato è assicurato mediante la definizione, da parte del direttore dell'Ispettorato,
di linee di condotta e programmi ispettivi periodici nonchè mediante l'affidamento allo
stesso direttore delle spese di funzionamento
del Comando carabinieri per la tutela del lavoro. Presso le sedi territoriali dell'Ispettorato opera altresi' un contingente di personale
che, secondo quanto stabilito dai decreti di
cui all'art. 5, co. 1, dipende funzionalmente
dal dirigente preposto alla sede territoriale
dell'Ispettorato e gerarchicamente dal comandante dell'articolazione del Comando carabinieri per la tutela del lavoro. In relazione
a quanto stabilito dal presente comma, il contingente di personale assegnato al Ministero
del lavoro e delle politiche sociali ai sensi
dell'art. 826, co. 1, del d.lgs. 15.03.2010, n.
66 è assegnato all'Ispettorato. Il contingente
di cui al presente comma, eventualmente ridotto con i decreti di cui all'art. 5, co. 1, è
aggiuntivo rispetto alla dotazione organica di
cui al co. 1 ed è selezionato per l'assegnazione secondo criteri fissati dal Comando generale dell'Arma dei Carabinieri fra coloro
che abbiano frequentato specifici corsi for-
ta dall'art. 8 della l. 26.07.1978, n. 417;
b) previsione di una specifica indennità volta
a favorire la messa a disposizione del mezzo
proprio;
c) previsione di coperture assicurative per
eventi non coperti dal sistema assicurativo
obbligatorio e dall'INAIL.
3. I decreti di cui al co. 1 prevedono misure
volte a garantire l'omogeneizzazione delle
dotazioni strumentali, anche informatiche,
messe a disposizione del personale ispettivo
dell'Ispettorato, del personale di cui all'art. 6
co. 4, nonchè
del personale ispettivo
dell'INPS e dell'INAIL. I medesimi decreti
prevedono misure volte a garantire che lo
svolgimento dell'attività lavorativa del personale ispettivo abbia luogo con modalità flessibili e semplificate.
4. In relazione alle attività di cui all'art. 14,
co. 4, del d.lgs. 27.10.2009, n. 150 l'Ispettorato si avvale dell'Organismo indipendente di
valutazione della performance del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali.
5. L'Ispettorato è inserito nella Tabella A allegata alla l. 29.10.1984, n. 720 e successive
modificazioni.
Art. 6 Disposizioni in materia di personale
1. La dotazione organica dell'Ispettorato, non
superiore a 6357 unità ripartite tra le diverse
qualifiche, dirigenziali e non, è definita con i
decreti di cui all'art. 5, co. 1 nel rispetto di
quanto previsto dal co. 2. Nell'ambito della
predetta dotazione organica, nella quale sono
previste due posizioni dirigenziali di livello
dirigenziale generale e 88 posizioni dirigenziali di livello non generale, sono ricomprese
le unità di personale già in servizio presso le
direzioni interregionali e territoriali del lavoro e presso la direzione generale per l'attività
ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Al personale dirigenziale e non
dirigenziale di ruolo dell'Ispettorato si applica, rispettivamente, la contrattazione collettiva dell'Area I e la contrattazione collettiva
del comparto Ministeri.
2. La dotazione organica dell'Ispettorato è
ridotta in misura corrispondente alle cessazioni del personale delle aree funzionali, appartenente ai profili amministrativi, proveniente dalle Direzioni interregionali e territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali che avverranno successivamente
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
ispettivo in sevizio presso le sedi centrali del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
fatta salva la possibilità di chiedere, entro
trenta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, di rimanere nei ruoli dello
stesso Ministero con inquadramento nei corrispondenti profili amministrativi.
Art. 7 Coordinamento e accentramento delle
funzioni di vigilanza
1. Dalla data indicata dai decreti di cui
all'art. 5, co. 1, il personale ispettivo già appartenente all'INPS e all'INAIL è inserito in
un ruolo ad esaurimento dei predetti Istituti
con il mantenimento del trattamento economico e normativo in vigore. Le risorse derivanti dalle economie per le cessazioni dal
servizio di cui al presente comma non sono
utilizzabili ai fini della determinazione del
budget di assunzioni da parte dell'INPS e
dell'INAIL previsto dalle vigenti disposizioni
in materia di assunzioni, fermo restando
quanto previsto dall'art. 6, co. 3. In relazione
alle cessazioni del personale di cui al presente comma, che si verificheranno dalla data di
entrata in vigore dei decreti di cui all'art. 5,
co. 1, sono contestualmente ridotti i relativi
fondi per il trattamento accessorio.
2. Al fine di razionalizzare e semplificare l'attività ispettiva, con i decreti di cui all'art. 5
co. 1 sono individuate forme di coordinamento tra l'Ispettorato e i servizi ispettivi di INPS
e INAIL che comprendono, in ogni caso, il
potere dell'Ispettorato di dettare le linee di
condotta e le direttive di carattere operativo,
nonchè di definire tutta la programmazione
ispettiva e le specifiche modalità di accertamento. Ai fini di cui al presente comma si tiene conto delle esigenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e
dell'INAIL di effettuare accertamenti tecnici
funzionali allo svolgimento delle attività istituzionali delle predette amministrazioni.
3. Entro trenta giorni dall'entrata in vigore
del presente decreto, il personale ispettivo
dell'INPS e dell'INAIL può chiedere di essere
inquadrato nei corrispondenti profili amministrativi dei rispettivi Istituti nei limiti delle disponibilità previste dalle relative dotazioni
organiche.
4. Nella Regione Sicilia e nelle Province autonome di Trento e Bolzano l'Ispettorato
provvede alla stipulazione di appositi proto-
mativi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali o dell'Ispettorato. Allo stesso contingente sono attribuiti, nell'esercizio delle
proprie funzioni, i medesimi poteri riconosciuti al personale ispettivo dell'Ispettorato,
fatto salvo il potere di conciliazione di cui
all'art. 11 del d.lgs. 23.4.2004, n. 124. Sono a
carico dell'Ispettorato gli oneri relativi al
trattamento economico, fondamentale ed accessorio, del personale dell'Arma dei carabinieri e le spese connesse alle attività cui sono
adibiti. In ragione della riorganizzazione di
cui al presente comma è abrogato, dalla data
indicata dai decreti di cui all'art. 5, co. 1, il
decreto del Ministro della difesa, di concerto
con il Ministro del lavoro, della salute e delle
politiche sociali e con il Ministro dell'interno,
del 12.11.2009, recante la «Riorganizzazione
del Comando Carabinieri per la tutela del lavoro», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica italiana n. 52 del 4.03.2010,
fatte salve le disposizioni relative al rapporto
di impiego dei Carabinieri per la tutela del
lavoro con la Regione Sicilia.
5. Con i decreti di cui all'art. 5, co. 1, sono
altresì individuati:
a) la dislocazione sul territorio dell'Ispettorato;
b) gli assetti e gli organici del personale
dell'Arma dei Carabinieri di cui al co. 4,
nonchè i contenuti della dipendenza funzionale delle unità territoriali dal dirigente preposto alla sede territoriale dell'Ispettorato. 6.
Dalla data indicata dai decreti di cui all'art.
5, co. 1:
a) cessano di operare le direzioni interregionali e territoriali del lavoro e sono attribuiti
alle sedi territoriali dell'Ispettorato i compiti
già assegnati alle predette direzioni dagli
artt. 15 e 16 di cui al decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri 14.2.2014, n. 121;
b) è trasferito nei ruoli dell'Ispettorato il
personale di ruolo del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali individuato dagli stessi
decreti di cui all'art. 5, co. 1. Nell'ambito del
trasferimento è ricompreso il personale già
in servizio presso le direzioni interregionali e
territoriali del lavoro e presso la direzione
generale per l'attività ispettiva del Ministero
del lavoro e delle politiche sociali. È altresi'
trasferito presso la sede centrale e le sedi territoriali di Roma dell'Ispettorato il personale
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
to e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello
Stato di cui al regio decreto 30.10.1933, n.
1611.
2. L'Ispettorato puo' farsi rappresentare e difendere, nel primo e secondo grado di giudizio, da propri funzionari nei giudizi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, nei giudizi
di opposizione a cartella esattoriale nelle materie di cui all'art. 6, co. 4, lett. a), del d.lgs.
1.9.2011 n. 150, nonchè negli altri casi in cui
la legislazione vigente consente alle amministrazioni pubbliche di stare in giudizio avvalendosi di propri dipendenti. Nel secondo
grado di giudizio, ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi
economici, è fatta salva la possibilità per
l'Avvocatura dello Stato di assumere direttamente la trattazione della causa secondo le
modalità stabilite al fine dai decreti di cui
all'art. 5, co. 1. In caso di esito favorevole
della lite all'Ispettorato sono riconosciute dal
giudice le spese, i diritti e gli onorari di lite,
con la riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto. Per la quantificazione dei relativi importi si applica il decreto adottato ai sensi dell'art. 9, co. 2, del
d.l. 24.1.2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24.3.2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati.
Le entrate derivanti dall'applicazione del
presente comma confluiscono in un apposito
capitolo di bilancio dell'Ispettorato e ne integrano le dotazioni finanziarie.
Art. 10 Organizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e
dell'INAIL
1. Fatto salvo quanto previsto dal decreto di
cui all'art. 1, co. 4 lett. c), della l. 10.12.2014,
n. 183, in applicazione delle disposizioni di
cui al presente d.lgs. sono apportate le conseguenti modifiche ai decreti di organizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, dell'INPS e dell'INAIL, anche in relazione alla individuazione della struttura dello
stesso Ministero del lavoro e delle politiche
sociali assegnataria dei compiti di cui all'art.
1, co. 3.
2. I decreti di cui al co. 1 prevedono altresi'
la soppressione della direzione generale per
l'attività ispettiva ed eventuali ridimensionamenti delle altre direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
colli d'intesa al fine di garantire, in detti territori, l'uniforme svolgimento dell'attività di
vigilanza ed evitare la sovrapposizione di interventi ispettivi, nel rispetto delle competenze attribuite dai rispettivi statuti in materia di
vigilanza sul lavoro e legislazione sociale.
Detti protocolli possono prevedere, altresi',
iniziative formative comuni e la condivisione
delle migliori pratiche in materia di svolgimento dell'attività di vigilanza al fine di promuoverne l'uniformità a livello nazionale.
Art. 8 Risorse finanziarie
1. I decreti di cui all'art. 5, co. 1, individuano
le risorse strumentali e finanziarie disponibili
a legislazione vigente, ivi comprese quelle
destinate al trattamento accessorio del personale in forza all'Ispettorato, già assegnate
al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e da trasferire all'Ispettorato, che subentra nella titolarità dei relativi rapporti giuridici attivi e passivi. Sono in ogni caso trasferite all'Ispettorato le risorse del Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e
dell'INAIL destinate alle dotazioni strumentali di cui all'art. 1, co. 2, nonchè le risorse di
cui all'art. 14, co. 1 lett. d) numero 2), del d.l.
23.12.2013, n. 145 convertito, con modificazioni, dalla l. 21.02.2014, n. 9, le quali sono
utilizzate per il finanziamento delle misure,
già previste dallo stesso decreto legge, per
l'incentivazione del personale ispettivo di
ruolo dell'Ispettorato. Sono altresi' trasferite
all'Ispettorato le risorse del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e
dell'INAIL finalizzate alla formazione del
personale ispettivo ai sensi dell'art. 2, co. 2
lett. d).
2. La dislocazione sul territorio dell'Ispettorato tiene conto del piano di razionalizzazione di cui all'art. 2, co. 222-quater, della l.
23.12.2009, n. 191 del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, il cui termine di predisposizione è differito di sei mesi.
3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è
autorizzato ad apportare, con propri decreti,
le occorrenti variazioni di bilancio in applicazione del presente d.lgs..
Art. 9 Rappresentanza in giudizio
1. Fatto salvo quanto previsto dal co. 2, all'Ispettorato si applica l'art. 1 del testo unico
delle leggi e delle norme giuridiche sulla
rappresentanza e difesa in giudizio dello StaGazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
ro del lavoro e delle politiche sociali, e i Direttori generali delle direzioni generali degli
altri Ministeri interessati in materia. Alle sedute della Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza puo', su
questioni di carattere generale attinenti alla
problematica del lavoro illegale, essere altresi' invitato il Capo della Polizia - Direttore
generale della pubblica sicurezza.
5. Ai componenti della Commissione di coordinamento dell'attività di vigilanza ed ai soggetti eventualmente invitati a partecipare ai
sensi del co. 4 non spetta alcun compenso,
rimborso spese o indennità di missione. Al
funzionamento della Commissione si provvede con le risorse assegnate a normativa vigente sui pertinenti capitoli di bilancio»;
b) all'art. 9, co. 1, primo periodo, le parole
"alla Direzione generale" sono sostituite dalle seguenti "al Ministero del lavoro e delle
politiche sociali";
c) all'art. 13, co. 5, il primo cpv. è sostituito
dal seguente "L'adozione della diffida interrompe i termini per la presentazione dei ricorsi di cui agli artt. 16 e 17 del presente decreto, fino alla scadenza del termine per
compiere gli adempimenti di cui ai commi 2 e
3".
d) l'art. 16 è sostituito dal seguente: «Art. 16
(Ricorsi al direttore della sede territoriale
dell'Ispettorato). - 1. Al fine di garantire l'uniforme applicazione delle disposizioni in
materia di lavoro, legislazione sociale, nonchè in materia contributiva e assicurativa,
nei confronti dei relativi atti di accertamento
adottati dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di cui all'art. 13, co. 7, è ammesso
ricorso davanti al direttore della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro,
entro trenta giorni dalla notifica degli stessi.
2. Il ricorso va inoltrato alla sede territoriale
competente dell'Ispettorato del lavoro ed è
deciso, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento, sulla base della documentazione
prodotta dal ricorrente tempestivamente trasmessa dall'organo accertatore. Decorso inutilmente il termine previsto per la decisione il
ricorso si intende respinto»;
e) l'art. 17 è sostituito dal seguente: «Art. 17
(Ricorso al Comitato per i rapporti di lavoro). - 1. Presso le competenti sedi territoriali
dell'Ispettorato è costituito il Comitato per i
3. In applicazione del co. 2 del presente articolo, dei commi 1, 2 ultimo periodo e 6
dell'art. 6 sono apportate le corrispondenti
riduzioni alle dotazioni organiche del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche con riferimento alle relative posizioni dirigenziali di livello generale e non generale.
Art. 11 Abrogazioni e altre norme di coordinamento
1. Dalla data indicata dai decreti di cui
all'art. 5 co. 1, al d.lgs. 23.4.2004, n. 124 sono apportate le seguenti modifiche:
a) gli artt. 1, 2, 4 e 5 sono abrogati e l'art. 3 è
sostituito dal seguente: «Art. 3 (Commissione
centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza). - 1. La Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza, costituita ai sensi del presente articolo, opera
quale sede permanente di elaborazione di orientamenti, linee e priorità dell'attività di vigilanza.
2. La Commissione, sulla base di specifici
rapporti annuali presentati dall'Ispettorato
nazionale del lavoro, propone indirizzi ed obiettivi strategici e priorità degli interventi
ispettivi.
3. La Commissione centrale di coordinamento dell'attività di vigilanza, nominata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, è composta dal Ministro del lavoro e
delle politiche sociali o da un sottosegretario
delegato, in qualità di presidente; dal direttore dell'Ispettorato nazionale del lavoro; dai
direttori generali dell'INPS e dell'INAIL; dal
Comandante del Comando carabinieri per la
tutela del lavoro; dal Comandante generale
della Guardia di finanza; dal Comandante
del Nucleo speciale entrate della Guardia di
finanza; dal Comandante generale dell'Arma
dei carabinieri; dal Direttore generale
dell'Agenzia delle entrate; da quattro rappresentanti dei datori di lavoro e quattro rappresentanti dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu'
rappresentative a livello nazionale. I componenti della Commissione possono farsi rappresentare da membri supplenti appositamente delegati.
4. Alle sedute della Commissione centrale di
coordinamento dell'attività di vigilanza possono essere invitati a partecipare i Direttori
generali delle direzioni generali del MinisteGazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
sono tenuti a mettere a disposizione dell'Ispettorato, anche attraverso l'accesso a specifici archivi informatici, dati e informazioni,
sia in forma analitica che aggregata, utili alla programmazione e allo svolgimento
dell'attività di vigilanza e di difesa in giudizio, al fine di orientare l'azione ispettiva nei
confronti delle imprese che evidenzino fattori
di rischio sul piano del lavoro irregolare ovvero della evasione od omissione contributiva
e al fine di una maggiore efficacia della gestione del contenzioso. L'inosservanza delle
disposizioni di cui al presente comma comporta l'applicazione delle norme in materia di
responsabilità dirigenziale.
6. Al fine di uniformare l'attività di vigilanza
ed evitare la sovrapposizione di interventi ispettivi, ogni altro organo di vigilanza che
svolge accertamenti in materia di lavoro e legislazione sociale è tenuto a raccordarsi con
le sedi centrale e territoriali dell'Ispettorato.
7. Fermo restando quanto previsto dal co. 5,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'INPS e l'INAIL assicurano altresi' ogni
forma di collaborazione utile ad un efficiente
svolgimento dell'attività di vigilanza.
Art. 12 Disposizioni per l'operatività dell'Ispettorato
1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali nomina un comitato operativo presieduto dal direttore dell'Ispettorato e formato da
un esperto dei ruoli del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali, uno dell'INPS e uno
dell'INAIL.
2. Il Comitato svolge le attività di cui al co. 3
per il periodo necessario a garantire la progressiva funzionalità dell'Ispettorato e comunque per un periodo non superiore a tre
anni.
3. Il Comitato svolge in particolare le seguenti funzioni:
a) coadiuva il direttore dell'Ispettorato nella
definizione degli atti di indirizzo dell'attività
di vigilanza in materia di lavoro e legislazione sociale da sottoporre alla Commissione
centrale di coordinamento di cui all'art. 3 del
d.lgs. 23.4.2004, n. 124;
b) assicura ogni utile coordinamento tra l'Ispettorato, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'INPS e l'INAIL, sia ai fini di
una corretta ed efficace gestione del personale ispettivo che della definizione degli obietti-
rapporti di lavoro, composto dal direttore
della sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro, che la presiede, dal direttore
dell'INPS e dal direttore dell'INAIL del capoluogo di regione dove ha sede l'Ispettorato
competente. Ai componenti dei comitati non
spetta alcun compenso, rimborso spese o indennità di missione ed al funzionamento dei
comitati stessi si provvede con le risorse assegnate a normativa vigente sui pertinenti
capitoli di bilancio.
2. Tutti i ricorsi avverso gli atti di accertamento dell'Ispettorato nazionale del lavoro e
gli atti di accertamento degli Enti previdenziali e assicurativi che abbiano ad oggetto la
sussistenza o la qualificazione dei rapporti di
lavoro, sono inoltrati entro 30 giorni dalla
notifica degli stessi alla sede territoriale
competente dell'Ispettorato e sono decisi, con
provvedimento motivato, dal Comitato di cui
al co. 1 nel termine di novanta giorni dal ricevimento, sulla base della documentazione
prodotta dal ricorrente e di quella in possesso dell'Ispettorato. Decorso inutilmente il
termine previsto per la decisione il ricorso si
intende respinto.».
2. Ogni riferimento alle direzioni interregionali, regionali o territoriali del lavoro contenuto in provvedimenti di legge o in norme di
rango secondario è da intendersi, in quanto
compatibile, alla sede territorialmente competente dell'Ispettorato.
3. Le disposizioni di cui alla l. 24.11.1981, n.
689 trovano applicazione, in quanto compatibili, nei confronti dell'Ispettorato, da intendersi quale Autorità competente a ricevere il
rapporto ai sensi dell'art. 17 della stessa l.
24.11.1981, n. 689.
4. L'Ispettorato puo' stipulare uno o piu' protocolli d'intesa che prevedono strumenti e
forme di coordinamento, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica,
con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie
locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale. L'Ispettorato stipula altresi'
specifici protocolli d'intesa con le amministrazioni pubbliche regionali e locali e con le
aziende di trasporto pubblico regionale e locale al fine di facilitare la mobilità del personale ispettivo nell'ambito dello svolgimento
dei propri compiti.
5. L'INPS, l'INAIL e l'Agenzia delle entrate
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
vi in relazione ai complessivi piani di attività
delle stesse amministrazioni;
c) adotta, in raccordo con il direttore, misure
finalizzate ad una piu' efficace uniformità
dell'attività di vigilanza, ivi comprese misure
di carattere economico e gestionale;
d) monitora le attività dell'Ispettorato, trascorsi dodici mesi dalla sua istituzione, al fine di valutarne la concreta funzionalità ed
efficacia di azione.
4. Ai componenti del comitato non spetta alcun compenso, gettone di presenza o emolumento a qualsiasi titolo dovuti.
Art. 13 Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo
dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare (Decreto del
Presidente della Repubblica del 14.9.2015,
n. 149 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
n.221 del 23.9.2015 - Suppl. Ordinario n.
53).
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REDAZIONALI
L’ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI AI RAPPORTI DI DIRITTO PRIVATO
dell’Avv. Enrico Gai
Il diritto di accesso agli atti dei gestori di servizio pubblico è riservato soltanto agli utenti del
servizio?
Is the right to access at the documents of the private companies performing a public service only
granted to service users?
Sommario: 1. Inquadramento normativo: l’accesso agli atti dei soggetti di diritto privato. 2. La
recente evoluzione giurisprudenziale e la rimessione all’Adunanza Plenaria.
1.Inquadramento normativo: l’accesso
agli atti dei soggetti di diritto privato.
Come noto, l’art. 22, co. 1, della l. n.
241/90 esplicitamente assoggetta alla disciplina del diritto di accesso, oltre che le pubbliche amministrazioni propriamente dette,
anche “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse
disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” (lett. e) a tal fine qualifica come documenti amministrativi gli atti, anche interni,
“detenuti da una pubblica amministrazione e
concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o
privatistica della loro disciplina sostanziale”
(lett. d)
L’ambito soggettivo di applicazione delle
norme sull’accesso trova inoltre ulteriore specificazione nell’art. 23 della l. n. 241/90 (come introdotto dal co. 2 dell'art. 4 1. n.
265/1999, e non modificato dalla l.n.
15/2005), per il quale il diritto di accesso si
applica nei confronti di tutte le pubbliche
amministrazioni, delle aziende autonome e
speciali (ovvero quelle previste dall'art. 114
del d.lgs. n. 167/2000), degli enti pubblici e i
gestori di pubblici servizi, nonché delle Autorità di garanzia e di vigilanza nell'ambito dei
rispettivi ordinamenti, secondo quanto previGazzetta Amministrativa
sto dall'art. 24.
Se la formulazione delle norme sopra richiamate ha tolto ogni dubbio in merito alla
sicura legittimazione passiva all’accesso dei
soggetti privati che per legge o per concessione amministrativa svolgano attività di rilievo pubblicistico, alcuni problemi applicativi sono sorti invece con riguardo alla delimitazione oggettiva dell’accesso agli atti di natura privatistica e alla individuazione del necessario collegamento all’attività di pubblico
interesse che, ai sensi dell’art. 22 cit., deve
sussistere ai fini della ostensibilità di tali atti.
In tale ottica un primo importante contributo interpretativo è stato offerto dall’Adunanza Plenaria (decisioni nn. 4 e 5 del 1999),
la quale ha ritenuto innanzitutto di dover distinguere tra attività privatistica della pubblica amministrazione e attività dei privati concessionari di pubblici servizi (ora gestori),
nonché, con riferimento a quest’ultima, tra
attività di gestione del servizio stesso e attività residuale.
Se nessuna distinzione può essere compiuta con riguardo all’attività della pubblica
amministrazione, posto che il rispetto dei
principi costituzionali del buon andamento e
dell’imparzialità, cui la disciplina dettata dagli artt. 22 ss., l. n. 241/1990 è esplicitamente
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procedimento amministrativo
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soggetto passivo della richiesta di accesso sia
un’Amministrazione o un gestore di pubblico
servizio: pur escludendo che possa attribuirsi
rilievo ostativo alla natura privatistica dell'attività rispetto alla quale è rivolto l’accesso, è
stata tuttavia esclusa la piena equiparazione
tra soggetti pubblici e privati, rimarcando, per
questi ultimi, la necessità che la richiesta ostensiva riguardi l'attività di gestione del servizio o, comunque, atti a questa collegati da
un nesso di strumentalità.
Al di fuori dell'attività di diretta gestione
del servizio, senz'altro assoggettata al pieno
dispiegarsi del principio di imparzialità e,
quindi, del propedeutico canone della trasparenza, si impone pertanto, per l'attività residua posta in essere dal gestore, la verifica in
concreto della strumentalità della stessa rispetto al momento propriamente organizzativo e gestionale.
In base a tali premesse, la Plenaria ha ravvisato la sussistenza del nesso di strumentalità della domanda proposta da una dipendente
di Ferrovie dello Stato S.p.A. per accedere
agli atti di una procedura comparativa per il
passaggio ad una qualifica superiore, rilevando in particolare che “Le scelte effettuate
all’esito di tale procedimento hanno un rilievo pubblicistico, da un lato perché si tratta
della selezione di coloro che fanno parte della complessiva organizzazione del gestore,
entrano in contatto col pubblico e determinano la qualità del servizio, e dall’altro perché
si ripercuotono sull’utenza le iniziative e le
proteste di coloro che, in forma individuale,
associativa o sindacale, lamentino che le
scelte finali si siano basate su comportamenti
scorretti”.
Sulla scorta delle indicazioni fornite dalla
Plenaria, la successiva giurisprudenza si è data carico di precisare il criterio della strumentalità, in quanto suscettibile di un'applicazione quanto mai estesa, destinata a ricondurre
nell'ambito di operatività della disciplina in
tema di accesso tutta l'attività svolta dal gestore, in qualche modo sempre connessa, sul
piano finalistico, all'attività di stretto esercizio del servizio pubblico.
All’esito di un articolato dibattito, incentivato dai processi di privatizzazione dei soggetti deputati alla gestione di servizi pubblici,
ispirata, riguarda indifferentemente l’attività
volta all’emanazione dei provvedimenti e
quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti disciplinati dal diritto privato, con riferimento, invece, agli atti di diritto privato adottati da soggetto incaricato della gestione di un
servizio pubblico, l’Adunanza Plenaria è
giunta ad affermare l’ostensibilità di quegli
atti che, in quanto funzionalmente connessi
alla gestione di interessi collettivi, impongano
l’esigenza di garantire il rispetto dei principi
di imparzialità e trasparenza.
Più specificamente l’accesso deve essere
garantito nei casi in cui una norma comunitaria o di diritto interno imponga al gestore del
pubblico servizio l’attivazione di procedimenti per la formazione delle proprie determinazioni, in specie per la scelta dei propri
contraenti, nonché in relazione agli atti afferenti le scelte organizzative adottate in sede di
gestione del servizio: scelte potenzialmente
incidenti sulla qualità del servizio stesso, sul
rispetto delle norme volte a proteggere gli utenti e sul soddisfacimento delle loro esigenze.
Accanto a questa parte di attività, la cui rilevanza pubblicistica è per così dire in re ipsa, l’Adunanza ha peraltro ammesso
l’ostensibilità degli atti relativi alla residuale
attività espletata dal gestore di pubblico servizio sempre che, all’esito di un giudizio di
bilanciamento degli interessi cui la stessa è
preordinata, risulti prevalente l’interesse pubblico rispetto a quello squisitamente imprenditoriale.
Nel tentativo di indicare i criteri alla stregua dei quali la suddetta valutazione comparativa deve essere compiuta, l’Adunanza ha
fatto riferimento ai seguenti parametri:
i) il grado di strumentalità dell’attività in
questione rispetto all’attività di gestione del
servizio;
ii) il regime sostanziale dell’attività;
iii) lo svolgimento dell’attività stessa secondo regole procedimentali assunte dal gestore e dirette allo svolgimento del servizio
nel rispetto dei principi di trasparenza, buona
fede e correttezza.
L'Adunanza Plenaria, dunque, ha delimitato l'ambito entro il quale va assicurata l'ostensibilità degli atti distinguendo a seconda che
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riforme istituzionali
modo intese al perseguimento efficace
dell’interesse pubblico a quella sotteso: si è al
cospetto, infatti, di attività di organizzazione
del personale di cui non è possibile escludere
l’incidenza potenziale sulla qualità del servizio (CdS, Sez. VI, 23.10.2007, n. 5569; in
termini CdS, Ad. Plen. 5.9.2005, n. 5; Sez.
VI, 30.12.2005, n. 7624; Sez. IV, 5.9.2009, n.
4654; Sez. VI, 12.3.2012, n. 1403; Tar Lazio
- Roma, Sez. III, 13.12.2012, n. 10390).
Così pure è stata pacificamente riconosciuta la ostensibilità degli atti concernenti
l’esecuzione dei contratti di appalto affidati
dai gestori di servizio pubblico e connessi
all’espletamento del servizio stesso, sebbene
attinenti a rapporti di diritto privato con il
soggetto affidatario, come ad esempio nel caso di accesso agli stati di avanzamento lavori
o ai certificati di pagamento, o alla copia del
registro di contabilità, o ancora alle deliberazioni preordinate alla sottoscrizione di atti
transattivi (cfr. ex multis Tar Lazio, Roma,
Sez. III, 7.10.2013, n. 8639; Sez. III ter,
10.5.2012, n. 4205; Tar Lombardia, Milano,
Sez. I, 11.2.2010, n. 373; Tar Piemonte, Sez.
II, 23.2.2002, n. 473; CdS, V, 8.6.2000, n.
3253).
Tutti i precedenti innanzi richiamati, dunque, sottolineano che il vincolo di strumentalità al conseguimento del pubblico interesse
che grava sull’attività formalmente privatistica del gestore del pubblico servizio, comporta
l’assoggettamento ai doveri di trasparenza,
pubblicità e partecipazione che si pongono a
fondamento del diritto di accesso.
con precipuo riguardo alla vexata quaestio
della natura giuridica ascrivibile ad enti in
forma societaria solo formalmente privatizzati, si è concluso che la strumentalità delle residuali attività rispetto all’efficace gestione va
intesa in senso più elastico allorché
l’organismo societario deputato all’espletamento del servizio sia integralmente sotto la
mano pubblica e sia sottoposto - in forza dello statuto giuridico che disciplina i profili
soggettivi dell’ente, prima ancora che quelli
oggettivi concernenti l’attività - ad un vincolo
di scopo, attestante la sua necessaria funzionalizzazione ad un interesse, di tipo spiccatamente pubblico definito sulla scorta di determinazioni proprie di soggetti pubblici.
Alla luce di tali premesse, ad esempio, è
stata ritenuta sussistente la strumentalità
dell’accesso esercitato da un dipendente di
Poste Italiane SpA alle schede di valutazione
del personale nell’ambito della graduatoria
suscettibile di incidere sulla scelta del personale da assegnare ad una sede, anziché ad
un'altra, in quanto attività che deve essere
improntata al rispetto del principio di imparzialità (CdS, VI, 5.3.2002, n. 1303).
In linea con tale impostazione è andata
quindi consolidandosi una accezione ampia
del concetto di “strumentalità” degli atti adottati dai gestori di servizio pubblico, estesa
anche ai rapporti di lavoro subordinato (di carattere indiscutibilmente privatistico), in
quanto attinenti all’organizzazione del personale e quindi potenzialmente influenti anche
sulla erogazione del servizio.
Sulla base di tali presupposti è stato così
riconosciuto il diritto di accesso nei confronti
di Trenitalia SpA - società a totale partecipazione pubblica - relativamente agli atti di una
procedura comparativa volta alla selezione
del personale per il trasferimento presso diverse sedi della società, laddove la strumentalità all’interesse pubblico sotteso alla gestione
del servizio pubblico è particolarmente rilevante in considerazione della situazione di
sostanziale monopolio del servizio svolto dalla società e tenuto conto del principio di imparzialità destinato a condizionare il modus
operandi dell’ente in questione, anche per
quel che attiene alle determinazioni non direttamente riguardanti la gestione, ma in qualche
Gazzetta Amministrativa
2. La recente evoluzione giurisprudenziale e la rimessione all’Adunanza Plenaria.
La recentissima evoluzione giurisprudenziale sembra tuttavia muoversi in controtendenza rispetto ai precedenti sopra illustrati e
alle stesse direttrici tracciate dalle decisioni
dell’Adunanza Plenaria nn. 4 e 5 del 1999.
Invero occorre registrare taluni arresti giurisprudenziali nei quali il concetto di “strumentalità” allo svolgimento di un pubblico
servizio viene ridimensionato o comunque
limitato in modo tale da escludere la ostensibilità di atti adottati da soggetti di diritto privato che non siano direttamente e strettamen-94-
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procedimento amministrativo
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dell’Ordinanza in commento segnano una
netta inversione di tendenza rispetto alle precedenti decisioni della Plenaria del 1999 in
quanto mettono in discussione l’esistenza del
diritto di accesso con riferimento “a tutti i
rapporti giuridici privatistici diversi da quelli
nei quali il soggetto che chiede l’accesso agli
atti si presenti e si qualifichi come “utente”
(in atto ovvero anche in potenza) o, comunque, come portatore di un interesse (anche
diffuso) al servizio pubblico in quanto tale”,
riferendosi, dunque, non soltanto ai rapporti
di lavoro subordinato, ma a tutti i rapporti in
cui il privato si ponga rispetto al gestore di
servizio pubblico su un piano paritetico, come
il prestatore d’opera professionale, o
l’appaltatore di lavori, o come fornitore di
beni e servizi, o parte di una controversia in
materia di diritti reali ovvero di obbligazioni
risarcitorie e simili.
Tale tesi restrittiva muove da una interpretazione sistematica delle disposizioni sull’accesso della l. n. 241/90, secondo la quale
l’estensione di tutela del cittadino/utente nei
confronti del privato gestore di un servizio
pubblico avrebbe ragion d’essere solo quando
il privato che richiede l’accesso si trovi in una
potenziale situazione di soggezione rispetto al
gestore o, più specificamente, “solo quando il
soggetto che chiede tutela si presenta, appunto, come utente o come membro della collettività, interessato come tale a quel pubblico
servizio e quindi anche al modo nel quale esso viene organizzato, disciplinato e gestito”.
Sicché soltanto laddove il privato si manifesti come utente del servizio vi sarebbe quella “soggezione di fatto” che ha indotto il legislatore ad introdurre gli opportuni strumenti
di compensazione tramite l’estensione del diritto di accesso agli atti di soggetti privati;
strumenti che invece non avrebbero più ragion d’essere quando il rapporto tra soggetto
richiedente l’accesso e gestore del pubblico
servizio si pone su un piano diverso, in quanto diversi e altrettanto efficaci sarebbero gli
strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento: conseguentemente nel caso del lavoratore dipendente “ogni eventuale pretesa al
rispetto dei diritti ed interessi inerenti al rapporto di lavoro trova la sua apposita e specifica tutela nel diritto del lavoro e nei relativi
te ricollegabili all’esecuzione del servizio
stesso.
Occorre così dare atto di una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III,
10.3.2015, n. 1226) con la quale è stata rigettata la domanda di accesso di un dipendente
di Poste Italiane SpA alle schede di valutazione del personale ai fini del riconoscimento
del premio meritocratico. In tal caso è stato
rilevato che non può ritenersi tutto il personale di Poste Italiane e il suo regime contrattuale funzionalmente connesso alla gestione del
servizio pubblico e “ancor meno tale connessione può presumersi, in mancanza di qualsiasi dimostrazione, per il conferimento di un
premio meritocratico a singole unità di personale in funzione di specifici comportamenti
che l’Azienda ritiene di valorizzare”.
Sulla stessa linea si pone la successiva ordinanza della medesima Sez. III (CdS, III,
28.8.2015, n. 4028), nella quale la vicenda
esaminata riguarda il diniego di accesso opposto sempre ad una dipendente di Poste Italiane SpA e avente ad oggetto documenti relativi al rapporto di lavoro del personale dipendente al fine di verificare la corretta applicazione dell’istituto del distacco da parte
dell’azienda.
In tale caso, tuttavia, il Consiglio di Stato,
pur propendendo per il rigetto della domanda
di accesso, dà atto dell’orientamento giurisprudenziale di segno contrario formatosi in
precedenza e decide di rimettere nuovamente
alla Plenaria l’esame della questione relativa
all’ambito di applicazione del diritto di accesso nei confronti di soggetti formalmente privati, ancorché svolgenti un servizio pubblico,
nel caso in cui gli atti richiesti in ostensione
non ineriscano direttamente all’attività rivolta
al pubblico.
In particolare, la Sezione remittente ritiene opportuna una nuova indagine interpretativa al fine di verificare se la disciplina sostanziale e processuale dell’accesso agli atti amministrativi sia applicabile anche ai casi in cui
il rapporto fra il privato che chiede l’accesso
e il privato destinatario della richiesta, “non
presenti alcun profilo di specialità derivante
dalla qualità di gestore di un servizio pubblico occasionalmente rivestita dal secondo”.
In realtà, le motivazioni a sostegno
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riforme istituzionali
cidenza degli atti adottati sugli aspetti gestionali del servizio e a prescindere dall’intensità
della vocazione pubblicistica dell’ente gestore.
Ragionando in tal modo dovrebbe quindi
essere preclusa la possibilità del dipendente
dell’ente privato di accedere agli atti che riguardano gli aspetti gestionali del personale e
persino agli atti che concernono procedure
comparative per l’assunzione o per le progressioni di carriera (come nel caso deciso
dalla Plenaria).
La negazione del principio di strumentalità
rischia quindi di svuotare l’essenza delle disposizioni sull’accesso agli atti dei soggetti
privati, ovvero la tutela dell’interesse pubblico all’effettuazione di scelte corrette da parte
del gestore, inteso anche come stimolo a
comportamenti ispirati ai canoni di diligenza,
buona fede e correttezza e alla deflazione delle controversie che direttamente o indirettamente possono ripercuotersi sulla organizzazione del servizio.
Tale impostazione, peraltro, potrebbe determinare una ingiustificata disparità di trattamento tra personale dipendente della PA e
quello dipendente del gestore di pubblico servizio, pur nella identità delle situazioni giuridiche soggettive (di diritto privato) eventualmente lese e a parità di mezzi tutela offerti dall’ordinamento.
Inoltre non può escludersi che lo stato di
soggezione cui fa riferimento la Sezione remittente - quale elemento che giustifica
l’accesso nei confronti di soggetti privati – sia
riconducibile anche a soggetti diversi dagli
utenti del servizio, posto che pure il lavoratore subordinato può versare in una situazione
di soggezione a fronte della minaccia, anche
soltanto potenziale, di comportamenti vessatori o discriminatori da parte dell’ente datore
di lavoro.
Alla luce delle suesposte considerazioni,
dunque, non sembrano potersi ravvisare fondate ragioni per rimettere in discussione il
consolidato orientamento giurisprudenziale in
tema di accesso agli atti dei soggetti di diritto
privato, rendendosi certamente più funzionale
alla tutela dell’interesse pubblico la verifica
in concreto e caso per caso della strumentalità
degli atti ai quali si chiede l’accesso
strumenti giurisdizionali”.
A parere di chi scrive, tuttavia, la tesi propugnata dalla Sezione remittente appare eccessivamente restrittiva e in contraddizione
con lo spirito della legge.
Innanzitutto tale interpretazione, nel limitare l’accesso ai soli “utenti” del servizio, finisce inevitabilmente per restringere la cerchia dei soggetti legittimati attivamente
all’accesso, mentre l’art. 22, co. 1, lett. b), l.
n. 241/90, definisce come “interessati” aventi
diritto all’accesso “tutti i soggetti privati…
che abbiano un interesse diretto concreto e
attuale, corrispondente ad una situazione tutelata e collegata al documento al quale è
chiesto l’accesso”: dunque, non solo la norma si rivolge ugualmente a tutti i soggetti
privati “interessati”, ma non consente neppure alcuna differenziazione tra diverse situazioni giuridiche tutelate, essendo soltanto richiesto che si tratti di situazioni collegate o
comunque potenzialmente ricollegabili al documento richiesto in ostensione.
In secondo luogo, se si afferma che
l’accesso agli atti del gestore del pubblico
servizio è previsto soltanto nell’interesse
dell’utente del servizio, inevitabilmente si finisce per limitare l’accesso ai soli atti di organizzazione aventi rilevanza esterna e ad escludere tutti gli atti relativi all’attività residuale del gestore, ovvero quelli soltanto indirettamente riconducibili al servizio pubblico.
Tale lettura quindi si pone in contrasto con
il criterio di strumentalità che la Plenaria del
99 aveva indicato come parametro di riferimento al fine di accertare la sussistenza del
diritto di accesso agli atti dei soggetti privati.
Se infatti tale criterio è rinvenibile nella
ratio delle norme sull’accesso in quanto finalizzate a garantire la generale operatività dei
principi di trasparenza e imparzialità e ad evitare il crearsi di “zone franche” nei confronti
dell’attività di interesse pubblico disciplinata
dal diritto privato, l’orientamento della Sezione III si muove in senso diametralmente
opposto in quanto fissa un parametro precostituito per l’ostensibilità degli atti, che è rivolto soltanto all’accertamento della qualificazione soggettiva del richiedente come “utente” del servizio, indipendentemente da
qualsiasi indagine sulla più o meno ampia inGazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo
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all’attività di gestione del servizio pubblico,
secondo i canoni interpretativi dettati dalla
Plenaria del 1999. In ogni caso spetterà nuovamente alla Plenaria valutare se le argomen-
tazioni addotte dalla III Sezione del Consiglio
di Stato siano o meno meritevoli di condivisione al punto tale da comportare una rivisitazione del precedente indirizzo.
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LA RIFORMA MADIA SUL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
dell’Avv. Paolo Turco
La l. 7.8.2015, n. 124 recante le Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche
Law 8.7.2015, n. 124 containing the “Delegation to the Government in respect of reductions in
general government”
Sommario: 1. La Riforma Madia. Introduzione. 2. La Conferenza dei servizi. 3. Silenzio-assenso.
4. Autotutela e termine ragionevole. 4A. Efficacia ed esecutività del provvedimento.
rappresentate da uno specifico organo e prevedendo che a tal uopo, vi sia un sistema di
presenze e maggioranze diverse rispetto al
passato.
Non meno, poi, l’acquisizione dell’assenso delle Amministrazioni, ivi comprese
quelle preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente che,
entro il termine dei lavori della Conferenza,
non si siano espresse nelle forme di legge.
Ancora la possibilità per le Amministrazioni di chiedere all’Amministrazione procedente di assumere determinazioni in via di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e 21
nonies della l. n. 241/90, purché abbiano partecipato alla Conferenza di servizi o si siano
espresse nei termini.
Definisce, infine, di limiti e termini perentori per chiedere documenti e chiarimenti
prevedendo che oltre il termine non possono
essere più presi in considerazione. Insomma
un quadro piuttosto stringente di norme che si
badi necessita di decreti attuativi per la complete realizzazione.
1. La Riforma Madia. Introduzione.
Una delle ultime riforme oggetto di accese
dispute è quella della Pubblica Amministrazione. La l. 7.8.2015, n. 124 recante le Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche, detta anche “Legge Madia” interviene su molti aspetti della vita amministrativa, in particolare sul
procedimento amministrativo.
Trattasi comunque di una legge delega
che necessita di decreti attuativi.
La riforma Madia cennata, da un lato indica i criteri di una procedura specifica e
dall’altro statuisce i tempi, la composizione,
gli atti di assenso, i documenti che devono essere ottenuti.
Di talchè tale riforma sembra aver colmato
un vuoto che probabilmente esisteva antecedentemente.
2. La Conferenza dei servizi.
In particolare, l’art 2 prevede che il Governo riordini la materia della Conferenza di
servizi rispettando alcuni principi e criteri,
precisando quando essa è obbligatorio. Prevede anche la partecipazione telematica dei
soggetti coinvolti nel rispetto dei principi di
economicità, proporzionalità e speditezza
dell’azione amministrativa; riduzione dei
termini per la convocazione, per acquisire atti
di assenso al fine di avere un provvedimento
motivato. Tempi dunque certi di conclusione.
Ancora far si che le amministrazioni siano
Gazzetta Amministrativa
3. Silenzio-assenso.
L’art. 3 della l. n. 124/15 aggiunge, nella l.
n. 241/90, con la rubrica “Silenzio-assenso
tra Amministrazioni pubbliche e tra Amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi
pubblici”, l’art. 17 bis ovvero l’istituto del
“silenzio-assenso”, già previsto dall’art. 20
della l. n. 241/90 per i procedimenti ad istan-98-
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
superiore a 18 mesi nel caso di provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, salvo
le eccezioni previste per false dichiarazioni o false rappresentazione dei
fatti.
c) siano tenuti in considerazione gli interessi soggetti destinatari e dei controinteressati. La lett. b) del co. 1, apporta, invece, modifiche all’art. 21 della l. n. 241/90, rubricato
“Disposizioni sanzionatorie”, sostituendo, al
comma 1, la parola “denuncia” con la parola
“segnalazione”.
za di parte per il rilascio di provvedimenti
amministrativi od anche per l’adozione di
provvedimenti normativi ed amministrativi da
parte di una P.A. nei casi in cui sia prevista
l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta
di altre Amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici.
Tale nuova norma prevede un limite specifico
al
pronunciamento
da
parte
dell’amministrazione trascorso il quale si
forma il silenzio assenso.
La riforma, invero, ha inciso anche
sull’individuazione dei procedimenti oggetto
di segnalazione certificata di inizio attività o
di silenzio-assenso, ai sensi degli artt. 19 e 20
della l. n. 241/90, nonché di quelli per i quali
è necessaria l’autorizzazione espressa e di
quelli per i quali è sufficiente una comunicazione preventiva indicando anche quelli che
sono i criteri degli atti e i tempi dei provvedimenti.
Insomma, la riforma ha inteso disciplinare
in maniera specifica tali istituti, intendendo
definire la fattispecie del silenzio assenso.
4A. Efficacia ed esecutività del provvedimento.
La lett. c) del co. 1 introduce un periodo al
co. 2 dell’art. 21 quater della l. n. 241/90
(“Efficacia ed esecutività del provvedimento”), secondo cui la sospensione dell’efficacia
ovvero dell’esecuzione del provvedimento
amministrativo non può comunque essere disposta o perdurare oltre i termini per
l’esercizio del potere di annullamento
d’ufficio di cui all’art. 21 nonies della l. n.
241/90, ossia 18 mesi, salva l’ipotesi – per la
quale non sussiste il suddetto limite temporale dei 18 mesi – dei provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti . Introduce quindi, il concetto di termine ragionevole per dare certezza
alle situazioni giuridiche. In buona sostanza
quindi la riforma Madia auspica un intervento
radicale sul procedimento amministrativo che
dovrebbe comportare uno snellimento e rapidità oltre che efficacia degli stessi nel giusto
contemperamento degli interessi pubblici con
quelli privati che diventa recessivo nei confronti di preminenti interessi pubblici proprio
come si evince dallo spirito della legge.
4. Autotutela e termine ragionevole.
Anche l’autotutela è stata oggetto di modifiche.
L’art. 6, co. 1, della l. n. 124/15 apporta tali modifiche. In particolare consente
all’amministrazione anche dopo la scadenza
del termine imposto al privato di uniformarsi,
di intervenire per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio previste dall’art. 21 nonies nell’ipotesi in cui, oltre all’illegittimità,
sussistano le seguenti condizioni:
1. a) vi siano motivi di interesse pubblico;
2. b) il potere venga esercitato entro un
termine ragionevole, comunque non
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato Sez. V 18.12.2015 n. 5745
Contratti tra P.A. - privati - giurisdizione in
caso di annullamento in autotutela.
Secondo la convergente giurisprudenza del
Consiglio di Stato e delle Sezioni unite della
Cassazione, al fine di definire il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice
ordinario, l’amministrazione è radicalmente
carente del potere di sottrarsi in via unilaterale
al vincolo derivante da un contratto attraverso
le proprie prerogative di pubblica autorità, tra
le quali i poteri di autotutela decisoria (Ad.
plen. 20.6.2014, n. 14; Cass., sez. un., ord.
14.5.2015, n. 9861, 23.10.2014, n. 22554,
17.5.2013, n. 12110). Questi limiti conseguono
al fatto che, dopo la stipulazione del contratto e
nella fase di esecuzione conseguente, si contrappongono al potere pubblico posizioni di diritto soggettivo pieno. In particolare, nell'ordinanza del 23.10.2014, n. 22554, del giudice di
legittimità si afferma che «ipotizzare che essa
(l’amministrazione n.d.e.) abbia la possibilità
di far valere unilateralmente eventuali vizi del
contratto, semplicemente imputando quei medesimi vizi agli atti prodromici da essa posti in
essere in vista dell'assunzione del predetto vincolo negoziale, equivarrebbe a consentire una
sorta di revoca del consenso contrattuale (sia
pure motivato con l'esercizio del potere di annullamento in via di autotutela) che la pariteticità delle parti negoziali esclude per il contraente pubblico non meno che per il contraente
privato». Pertanto, l’amministrazione può avvalersi dei soli rimedi ad essa spettanti in qualità di contraente privato, ancorché in ipotesi
previsti da norme di diritto civile “speciale”
(ovvero relativo ai soli contratti della pubblica
amministrazione). Al contrario, l’esercizio della potestà di annullamento d’ufficio nei confronti del rapporto contrattuale è consentito in
ipotesi eccezionali e sulla base del riscontro di
effettivi vizi di legittimità da cui è affetto il
provvedimento contenente la manifestazione di
volontà dell’amministrazione prodromica alla
Gazzetta Amministrativa
stipula del contratto medesimo. Con specifico
riguardo agli appalti pubblici, la citata pronuncia dell’Adunanza plenaria ha infatti affermato
che
resta
salva
la
potestà
dell’amministrazione di procedere anche dopo
la stipula del contratto all’annullamento
d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva ai sensi
dell’art. 1, co. 136, della l. n. 311 del 2004, in
virtù della quale si determina la caducazione
automatica degli effetti negoziali del contratto
per via della «stretta consequenzialità funzionale tra l’aggiudicazione della gara e la stipulazione dello stesso». Nella medesima linea, la
citata ordinanza delle Sezioni unite del
14.5.2015, n. 9861 (relativa ad un rapporto di
concessione amministrativa) ha affermato che
ogniqualvolta l’amministrazione abbia riscontrato, sia pure a posteriori, «vizi genetici attinenti ad un momento antecedente la stipulazione dell'accordo negoziale con la controparte
privata», il potere esercitato esibisce i connotati dell’autoritatività e della discrezionalità propri dell’autotutela amministrativa, cosicché le
contrapposte posizioni hanno «per regola generale» la consistenza di interesse legittimo e le
controversie ad esse relative sono devolute alla
giurisdizione amministrativa (sulla quale nella
presente controversia si è formato il giudicato
interno, in assenza di motivo d’appello ex art. 9
cod. proc. amm). Ancora nello stesso senso si
può richiamare la sentenza dell’Adunanza plenaria del 5.5.2014, n. 13, resa con riguardo ad
una vicenda simile a quella oggetto della presente controversia, e cioè ad una delibera consiliare di annullamento di una precedente con
cui era stata autorizzata la stipula di un contratto (in quel caso di swap). Nell’affermare la
giurisdizione ordinaria, l’organo di nomofilachia ha escluso l’opposta tesi della sussistenza
della giurisdizione amministrativa, negando
che l’atto impugnato avesse natura di atto prodromico rispetto alla manifestazione del consenso contrattuale, e cioè di atto costituente «il
compimento di un processo decisionale ossia la
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
la delibera prodromica fossero stati effettivamente sussistenti e determinanti, non vi sarebbe
stato bisogno di addurre a sostegno del potere
di autotutela una situazione di impossibilità di
adempiere ad obblighi di carattere civilistico,
dal momento che, come sopra rilevato, il potere
di annullamento d’ufficio si fonda sull’interesse
pubblico a ripristinare la legalità violata e sul
giudizio di prevalenza di tale interesse nel bilanciamento con i contrapposti affidamenti privati nascenti dall’atto da annullare. Pertanto, è
evidente come sotto questo profilo siano effettivamente apprezzabili i sintomi di sviamento di
potere dedotti dall’Istituto per il credito sportivo nel terzo motivo del proprio ricorso.
formazione della volontà di compiere un atto di
diritto privato, di cui l’ente abbia valutato ed
approvato il contenuto» (secondo la ricostruzione operata dalla stessa Adunanza plenaria
nella sentenza 3.6.2011, n. 10, con riguardo alla partecipazione di enti pubblici in società di
diritto privato, in base alla quale la manifestazione di volontà privata dell’ammini-strazione
è in ogni caso preceduta da una determinazione
di carattere autoritativo in cui viene formalizzata la sussistenza del necessario interesse
pubblico). All’esito di questa ricognizione della
giurisprudenza espressasi in materia può pertanto affermarsi che anche una volta stipulato
il contratto l’amministrazione conserva in astratto il proprio potere di annullamento in autotutela ex art. 21-nonies l. n. 241/1990, purché
esso sia effettivamente finalizzato al ripristino
della legalità amministrativa violata in occasione della manifestazione di volontà prodromica alla conclusione di un contratto di diritto
privato, e non già, deviando da questo ineludibile paradigma di legittimità, preordinato ad
eludere gli obblighi nascenti da quest’ultimo.
Tutto ciò precisato, questa superiore esigenza
al ripristino della legalità non è riscontrabile
nella pure diffusa motivazione della delibera
consiliare impugnata nel presente giudizio. Infatti, tale provvedimento è confessorio della volontà del Comune di Casarano di sottrarsi alle
responsabilità patrimoniali derivanti dalla fideiussione rilasciata, in particolare laddove
l’amministrazione ammette la propria impotenza finanziaria, e cioè l’indisponibilità di somme
nel proprio bilancio con cui onorare la garanzia fideiussoria, e dunque una circostanza che
tipicamente esclude ai sensi dell’art. 1218 cod.
civ. la non imputabilità dell’inadempimento.
Che poi l’assenza di risorse necessarie ad adempiere sia la ragione decisiva dell’atto di
annullamento in autotutela, si evince dal fatto
che i supposti vizi di legittimità riscontrati nella
delibera prodromica alla stipula della fideiussione n. 3 del 10.1.2011 rimangono sullo sfondo, mentre al centro dell’atto viene posto
l’inadempimento all’obbligo di restituzione del
capitale mutuato e la situazione di insolvibilità
in cui l’amministrazione versa rispetto alla richiesta di escussione della garanzia conseguentemente formulata dall’Istituto per il credito
sportivo. Infatti, laddove i vizi di legittimità delGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. IV 21.12.2015 n. 5793
Processo amministrativo - proposizione del
ricorso incidentale - termine.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 21.12.2015 n. 5793 ha evidenziato
che "Il ricorso incidentale è preordinato a paralizzare la possibilità di accoglimento del ricorso principale, introducendo una ragione ostativa all'accoglimento delle censure con esso
dedotte e, quindi, funziona come un'eccezione,
nel senso che, pur costituendo formalmente una
autonoma azione di impugnazione, da un punto
di vista sostanziale (per lo meno in primo grado) consiste in una eccezione in senso tecnico
in quanto mira a paralizzare l'azione principale
e a neutralizzare gli effetti derivanti da un eventuale accoglimento del relativo ricorso, con
l'obiettivo di lasciare immutato il medesimo assetto di interessi garantito dal provvedimento
oggetto dell’impugnazione principale (CdS,
Sez. V, 8.9.2010 n. 6510 e Sez. IV, 21.4.2009 n.
2435)". Se ciò è vero - conclude il Collegio - il
termine per la proposizione dell’impugnazione
incidentale non può che cominciare a decorrere
dal momento in cui il controinteressato riceve
la notificazione del gravame principale, che costituisce per lui fonte della lesione, come del
resto si ricava, esplicitamente dall’art. 42, co.
1, del c.p.a. secondo cui “Le parti resistenti e i
controinteressati possono proporre domande il
cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. Il ricorso si propone nel termine
di sessanta giorni decorrente dalla ricevuta notificazione del ricorso principale” (CdS, Sez.
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
di consegnare gli impianti di fognatura e depurazione e gli impianti di emungimento di acqua
dei pozzi, gli impianti di potabilizzazione e distribuzione dell’acqua del Comune. L’odierna
ricorrente per revocazione, assume di essere
venuta in possesso solo recentemente, di tre documenti che comproverebbero l’erroneità della
sentenza del Consiglio di Stato e ne ha chiesto,
quindi, la revocazione, con conseguente accoglimento del ricorso proposto in primo grado
avanti al TAR, affermando, la responsabilità
per i fatti illeciti a carico del Sindaco, quale ufficiale di Governo, e del Prefetto, e condannando il Ministero dell’Interno al risarcimento
dei danni tutti, patrimoniali e non patrimoniali,
subiti e subendi nella misura di € 5.722.923,00
o nella diversa somma ritenuta di giustizia. La
Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 9.12.2015 n. 5595 ha rigettato l'impugnazione rilevando, per quanto qui d'interesse,
come la ricorrente, senza nulla allegare né dimostrare nel ricorso, specificamente, né in ordine a tale procedimento penale né in ordine
alle concrete modalità del ritrovamento, si è riservata di fornire ulteriori dati su tale procedimento, dati, tuttavia, nel forniti nel prosieguo
di questo giudizio. Ritiene il Collegio che, in
difetto di qualsivoglia rigorosa prova (o, comunque, anche di un principio di prova), da
parte della ricorrente, circa l’impossibilità di
acquisire tali documenti, prima del giudizio, e
delle indagini esperite dalla ricorrente stessa
per il ritrovamento, il ricorso per revocazione
non si sottragga ad una preliminare, irrimediabile, declaratoria di inammissibilità. Il ricorrente che deduce la scoperta sopravvenuta di
documenti decisivi ha, infatti, l’onere di provare l’impossibilità di produrre in giudizio tale
prova per causa di forza maggiore o per fatto
dell’avversario. Al riguardo - conclude il Consiglio di Stato - non è sufficiente un generico
accenno al rinvenimento dei documenti dopo la
sentenza, ma è necessario indicare quali indagini siano state esperite per il ritrovamento, al
fine di consentire la valutazione della diligenza
con la quale esse siano state compiute e, quindi, l’accertamento dell’assenza di colpa in cui
si concreta il concetto di forza maggiore, di cui
all’art. 395, n. 3, c.p.c., ed è necessario, altresì,
indicare la data del recupero del documento
(v., ex plurimis, CdS, V, 30.7.1982, n. 621;
IV, 1371/2015 n. 48 e Sez. V, 27.12.2013 n.
6285). Si rileva altresi nella sentenza che "la
posizione del ricorrente incidentale è assolutamente simmetrica a quella del ricorrente principale, in relazione al quale, fuori dai casi di
pubblicità legale verso terzi non destinatari, la
“piena conoscenza” dell'atto impugnabile, idonea a far decorrere il termine decadenziale, si
realizza con la cognizione degli elementi essenziali (soggetto emanante, oggetto, contenuto dispositivo del provvedimento ed effetto lesivo)
dell’atto da cui sorge la lesione, acquisendosi
da tale momento la consapevolezza dell’esigenza di reagire secundum jus contro
quest’ultimo, senza che sia necessaria anche la
compiuta conoscenza della motivazione e degli
atti del procedimento, rilevante, al più, per
proporre eventuali motivi aggiunti (cfr., da ultimo, CdS IV Sez., 29.10.2015 n. 4945). Non ignora il Collegio che un recente orientamento
giurisprudenziale ha riconosciuto che il termine per l'impugnazione incidentale possa iniziare a decorrente anche dal successivo momento
dalla reale ed effettiva conoscenza degli elementi di fatto su cui il controinteressato basa il
proprio ricorso, ma ciò ha fatto con riguardo
alla materia degli appalti, caratterizzata da
termini di impugnazione assai brevi e fortemente influenzata dalla disciplina comunitaria di
settore, e avendo cura di precisare che la conclusione teneva conto “della specifica e non
generalizzabile complessità della fattispecie e
delle ragioni per proporre quel gravame in
primo grado” (Cfr. CdS, Sez. III, 12.11.2014 n.
5573). Il precedente non è, dunque, estensibile
all’odierna fattispecie, che esula dallo speciale
settore degli appalti".
Consiglio di Stato Sez. III 9.12.2015 n. 5595
Revocazione - scoperta sopravvenuta di documenti decisivi - prova sull'impossibilità di
acquisirli prima della sentenza.
Nel giudizio in esame una Società ha impugnato per revocazione una sentenza del Consiglio
di Stato che aveva confermato il rigetto del ricorso proposto contro gli atti del Sindaco di un
Comune che aveva disposto di assumere direttamente la gestione del servizio pubblico di erogazione del servizio di acqua potabile e connesso servizio di depurazione, ordinando alla
Società in questione, che gliele aveva affittati,
Gazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
mato la tesi del Giudice di Prime cure rilevando che il voto, per come espresso, non può che
essere nullo, atteso che il principio della salvaguardia della validità del voto di lista o di preferenza contenuto in una scheda, che deve essere ammesso tutte le volte in cui si può desumere
la volontà effettiva dell'elettore (c.d. univocità
del voto), trova un limite non solo nei casi classici di schede non conformi a legge o non recanti la firma di uno scrutatore o il bollo della
sezione ma, anche, di schede che, come nel caso di specie, presentano scritture o segni tali da
far ritenere, in modo inoppugnabile, che l'elettore abbia voluto far riconoscere il proprio voto (cfr. artt. 64 e 69 Testo unico n. 570/1960).
Inoltre nel presente giudizio l'appellante ha altresì lamentato l'erroneità della sentenza laddove i giudici di prime cure hanno confermato
la validità della scheda con voto attribuito al
candidato sindaco, recante una sottolineatura
sopra la dicitura "candidato alla carica di sindaco". Ad avviso del Consiglio di Stato la censura è infondata, atteso che il tratto di penna
presente sulla scheda risulta manifestamente
superfluo ai fini dell'espressione del voto, ma
non può ragionevolmente ritenersi un segno volontario di riconoscimento, così da condurre
all'annullamento della scheda. Nel caso di specie sussistono, invero, le condizioni per appellarsi al noto principio del "favor voti", in base
al quale, in sede di scrutinio, la validità del voto contenuto in una scheda deve essere ammessa ogni qualvolta sia possibile desumere quale
sia la effettiva volontà dell'elettore, fermo restando che la nullità del voto si verifica solo
quando dall'esame obiettivo della scheda emerge che i segni e le incertezze grafiche apposti conducono a ritenere che l'irregolare compilazione sia preordinata al riconoscimento
dell'autore (CdS, sez. V, 17.3.2015, n. 1376).
CdSt., sez. VI, 29.1.2008, n. 241). In particolare, precisa il Collegio, nel caso di specie tale
onere probatorio non è stato minimamente assolto, non avendo la ricorrente nemmeno indicato le modalità del ritrovamento, né basta a
sopperire tale grave carenza probatoria
l’affermazione, del tutto apodittica, che si tratterebbe di atti amministrativi interni, poiché
non si tratta né di atti secretati né di atti riservati, che non sarebbe stato possibile acquisire,
con l’ordinaria diligenza, nel lungo giudizio,
durato molti anni, definito dalla sentenza qui
impugnata, soprattutto considerando che si
tratta di atti risalenti nel tempo (1999-2000) e,
comunque, ostensibili con una ordinaria richiesta di accesso agli atti. La ricorrente, ad ogni
modo, non ha indicato né le modalità del ritrovamento né provato l’impossibilità di acquisire
tali documenti prima della sentenza, senza dimostrare, perciò, l’assenza di colpa nella quale
si sostanzia, come detto, la forza maggiore, e
nemmeno ha specificato quale sarebbe il procedimento penale in corso, al di là del generico
riferimento alla mancata restituzione, fino ad
oggi, dell’acquedotto locale dalla stessa ricorrente, e in quale modo, nell’ambito di tale procedimento, sia venuta a conoscenza di tali documenti, in ipotesi prima non conosciuti né conoscibili.
Consiglio di Stato Sez. V 27.11.2015 n. 5379
Operazioni elettorali - voto "si ok" - sottolineature - espressioni inutili e sovrabbondati riconoscibilità del voto.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 27.11.2015 n. 5379 ha analizzato,
tra l'altro, la cesura con la quale l'appellante
lamenta la mancata assegnazione al candidato
sindaco del voto espresso nella seconda sezione
con la scheda elettorale recante la scritta "si
ok". Il T.A.R. ha escluso l'attribuibilità del voto
in quanto la scheda risultava priva del crocesegno e recava la dicitura "si ok", ritenendo tale espressione un segno di riconoscimento. Con
la decisione impugnata il Tribunale non si è
pronunciato su di un profilo che non gli era
stato devoluto, ma ha esplicitato i motivi per
cui la scheda era da annullare, in presenza di
una espressione non solo inutile e sovrabbondate, ma tale da rendere obiettivamente riconoscibile il voto. Il Consiglio di Stato ha conferGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. IV 30.11.2015 n. 5410
Diritto di accesso alle cartelle esattoriali Equitalia deve conservare e consentire la visione delle cartelle anche oltre il periodo
quinquennale - credito portato ad esecuzione
non sia stato recuperato.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 3011.2015 n. 5410 ha esaminato
la vicenda che vede un contribuente aver avanzato istanza di accesso ad una serie di cartelle
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
di conservazione delle stesse, non potendo,
d’altra parte, incidere sul termine decennale di
prescrizione ordinaria.Costituisce, infatti, precipuo interesse dell’esattore, nonché preciso
onere improntato alla diligenza, conservare, in
caso di mancata riscossione dei tributi nel
quinquennio e in occasione di rapporti giuridici
ancora aperti e non definiti, la copia della cartella oltre i cinque anni, per tutto il periodo in
cui il credito portato ad esecuzione non sia stato recuperato, in modo da conservarne prova
documentale ostensibile, anche a richiesta dei
soggetti legittimati, nelle varie fasi di definizione del rapporto, onde poter compiutamente esercitare le prerogative esattoriali.Permane,
pertanto, in capo ad Equitalia, l’obbligo di
conservare gli atti relativi alle pretese esattoriali, tra i quali assume rilievo principale la
cartella di pagamento, con conseguente obbligo
di ostensione alla richiesta del contribuente,
che solo in tal modo, non essendo trascorso il
periodo decennale di prescrizione, potrà esercitare gli strumenti di tutela messi a disposizione
dall’ordinamento.
di pagamento, molte delle quali ancora rientranti nel periodo quinquennale previsto
dall’art. 26, co. 4, del d.P.R. n. 602/1973. Il citato articolo dispone, infatti, che “Il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione
dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento ed ha l'obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell'amministrazione”.Nella sentenza attenzionata il Collegio ha
richiamato la costante giurisprudenza a tenore
della quale “il contribuente vanta un interesse
concreto ed attuale all’ostensione di tutti gli atti relativi alle fasi di accertamento, riscossione
e versamento, dalla cui conoscenza possano
emergere vizi sostanziali procedimentali tali da
palesare l’illegittimità totale o parziale della
pretesa impositiva (in tal senso, l’art. 22, co. 1,
lett. b) l. n. 241 del 1990) (cfr. CdS, VI,
15.2.2012, n. 766) e come “l’accesso ai documenti non può essere soddisfatto dall’esibizione
di un documento che l’amministrazione e non il
privato ricorrente giudica equipollente. Elemento fondamentale dell’actio ad exhibendum è
la conformità del documento esibito dal privato
all’originale” (cfr. CdS, IV, 12.5.2014, n.
2422). Sulla base di tali principi il Consiglio di
Stato ha riconosciuto il diritto del contribuente
ad ottenere la visione delle cartelle per le quali
ancora non fosse trascorso il periodo quinquennale di conservazione, non potendo essere
considerate equipollenti gli eventuali estratti
delle iscrizioni a ruolo messi a disposizione da
Equitalia Sud e dalle quali non può in alcun
modo desumersi la pretesa erariale portata ad
esecuzione, con una significativa lesione delle
prerogative riservate al contribuente dal nostro
ordinamento.La società contribuente, con il
proprio ricorso, ha altresì chiesto che fossero
esibite anche le cartelle di pagamento anteriori
al periodo quinquennale previsto dal ricordato
art. 26 del d.P.R. 602/1973, osservando come
la pretesa erariale si prescriva nel termine di
dieci anni, periodo nel quale la pretesa può essere portata ad esecuzione, con conseguente
obbligo di conservazione degli atti presupposti,
tra i quali la cartella di pagamento.Ritiene il
Collegio che la disposizione di cui all’art. 26
cit. comporti per il Concessionario un mero
obbligo minimo di conservazione delle cartelle
per un quinquennio e non un termine massimo
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5333
Giudizio di ottemperanza - proposizione
soggetti che non sono stati parte nel processo
- esclusione - il caso dei diplomati di scuola
magistrale entro gli anni 2001-2002.
Il giudizio di ottemperanza ha la finalità di dare esecuzione alle statuizioni contenute nella
sentenza resa all’esito del giudizio di cognizione. Il perimetro, soggettivo e oggettivo, del giudizio di ottemperanza non può essere più ampio
di quello del giudizio di cognizione (si v. artt.
112 e seguenti Cod. proc. amm.). Il ricorso per
ottemperanza non può, pertanto, essere proposto da soggetti che non sono stati parte del processo di cognizione e conseguentemente, avendo riguardo a quanto rileva in questa sede, non
si può utilmente impiegare lo strumento
dell’ottemperanza per ottenere una estensione
soggettiva del giudicato. Ciò vale anche per il
ricorso per chiarimenti, di cui all’art. 112, u.c.,
in relazione al quale trovano applicazione gli
stessi presupposti oggettivi e soggettivi del ricorso per ottemperanza. Sulla base di tale premessa il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del 24.11.2015 n. 5333 ha esaminato la fattispecie in virtù della quale il ricorso è stato
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
proposto al fine di ottenere l’estensione degli
effetti dell’annullamento disposto con la citata
sentenza n. 1973 del 2015 anche a soggetti diversi da coloro che hanno proposto
l’impugnazione dell’atto ministeriale e che si
trovano nella medesima situazione di
quest’ultimi. Più precisamente I ricorrenti hanno conseguito il diploma di scuola magistrale
entro gli anni scolastici 2001-2002. Il Consiglio di Stato, con parere dell’11.9.2013, n.
3813, reso su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ha chiaramente riconosciuto natura di titolo abilitante a tutti gli effetti
al diploma magistrale conseguito entro il predetto anno scolastico. Tale parere è stato poi
recepito con la decsione di cui al d.P.R.
25.3.2014. Il Consiglio di Stato, Sez. VI, con
sentenza 16.4.2015, n. 1973, ha affermato che i
soggetti in possesso di tale diploma hanno diritto ad esseri inseriti nelle graduatorie provinciali ad esaurimento. Tale sentenza ha, conseguentemente, annullato il decreto n. 235 del
2014 del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Nel presente giudizio,
quindi, i ricorrenti chiedono che il giudicato di
cui alla predetta sentenza n. 1973 del 2015
venga esteso anche ad essi in quanto essendo
stato annullato un atto regolamentare, la sua
caducazione deve avere effetti erga omnes. In
via subordinata, si chiede che la Sezione fornisca chiarimenti, ai sensi dell’art. 112, ultimo
comma, c.p.a., in ordine alla portata della suddetta sentenza e, in particolare, se essa abbia
una portata oggettiva generale ovvero se il
giudicato esplichi effetti limitati ai soli ricorrenti in quel giudizio. Il Consiglio di Stato ha
dichiarato inammissibile il ricorso evidenziando la mancanza di simmetria soggettiva tra le
parti dei processi di cognizione ed esecuzione.
Né per pervenire ad una diversa conclusione conclude il Collegio - può richiamarsi, come
fanno i ricorrenti, la natura normativa dell’atto
regolamentare, il cui annullamento produrrebbe effetti erga omnes. A prescindere dalla questione relativa alla effettiva natura dell’atto
annullato con la sentenza n. 1973 del 2015, in
ogni caso, rimane ferma l’inutilizzabilità processuale dello strumento dell’ottemperanza.
Non potendosi, si ribadisce, chiedere
l’“esecuzione” di un ordine non contenuto nella sentenza della cui “esecuzione” si tratta.
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5331
L'AGCM - restituzione delle sanzioni da essa
irrogate - incompetenza - giudizio di ottemperanza va proposto contro il MEF.
La giurisprudenza ha ormai da tempo chiarito
che l'Autorità garante della concorrenza e del
mercato (AGCM) non è competente a disporre
la restituzione delle sanzioni da essa irrogate e
successivamente annullate, in tutto o in parte,
dal giudice amministrativo. Tale competenza
spetta al solo Ministero dell’economia e delle
finanze. Perciò è inammissibile un ricorso per
l’ottemperanza proposto nei confronti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato
(cfr. CdS, VI, 16.1.2014, n. 156; 19.11.2003, n.
7469; 21.11.2003, n. 7602). Lo stesso Ministero
dell'economia e delle finanze, del resto, ha individuato nel suo Dipartimento del tesoro la
struttura competente ad effettuare i rimborsi (v.
nota del 6.6.2003 del Ministero dell'economia Dipartimento per le politiche fiscali e note del
3.6.2002 e del 31.1.2003 del Dipartimento della
Ragioneria generale dello Stato). Sulla base di
quanto sopra esposto la Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza del 24.11.2015 n.
5331 ha accolto il ricorso per ottemperanza
proposto nei confronti del Ministero
dell’Economia e delle Finanza rilevando come
il ricorso per ottemperanza può essere esperito
anche nei confronti di un soggetto pubblico che
sia stato estraneo al giudizio di merito, quando
tale soggetto venga chiamato a porre in essere
un'attività vincolata o adempitiva in fase di esecuzione del giudicato, avuto riguardo al carattere peculiare del rimedio, che è quello di
essere preordinato a garantire la completa attuazione del contenuto decisorio della sentenza
(CdS, VI, 6.5.1997, n.690). D’altra parte - conclude il Collegio - la carenza di fondi di bilancio o, in genere, le difficoltà finanziarie dell'ente non costituiscono una legittima causa di impedimento dell'esecuzione del giudicato, dovendo l'amministrazione, comunque, porre in
essere tutte le iniziative necessarie per procedere al tempestivo pagamento di quanto dovuto; pertanto, agli effetti del giudizio di ottemperanza è irrilevante la circostanza che l'amministrazione abbia compiuto solo gli adempimenti
strumentali necessari per il pagamento del debito (CdS, V, 16.9.1993, n.904).
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
fronti dell’Agenzia delle dogane stante la successione dell’Agenzia delle dogane nella posizione processuale di parte resistente nel giudizio in esame instaurato nei confronti del Ministero delle finanze.
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5329
Soppressione un ente pubblico - interruzione
o successione nel processo amministrativo - il
caso delle Agenzie fiscali (dogane e monopoli).
Nell’esaminare la questione dell’interruzione
del processo a seguito della soppressione di un
ente pubblico, già in passato, il Consiglio di
Stato ha rilevato la specificità delle “situazioni,
corrispondenti a mero riassetto di un apparato
organizzativo necessario della pubblica amministrazione…in rapporto al quale può configurarsi non successione a titolo universale nel
senso proprio del termine, ma una successione
nel munus: fenomeno di natura pubblicistica,
concretizzato nel passaggio di attribuzioni fra
amministrazioni pubbliche, con trasferimento
della titolarità sia delle strutture burocratiche
che dei rapporti amministrativi pendenti ma
senza una vera soluzione di continuità e, quindi, senza maturazione dei presupposti
dell’evento interruttivo.” (CdS, Sez. VI: sentenza 3.7.2014, n. 3369; ord. 11.9.2014, n. 4630).
Sulla base di questa premessa il Consiglio di
Stato Sez. VI nella sentenza del 24.11.2015 n.
5329 ha risolto la problematica concreta che
vede impugnato un provvedimento adottato nel
1990, prima della modifica dell’assetto organizzativo del Ministero delle finanze, ripartito
in Agenzie dotate di personalità giuridica autonoma, con l’attribuzione all’Agenzia delle dogane e dei monopoli della competenza sulla
materia cui afferisce il caso in controversia. Il
Collegio ha evidenziato che "La fattispecie di
successione nel munus si riscontra nel caso in
esame, considerato che, ai sensi del d.lgs.
30.7.1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione
del Governo, a norma dell’art. 11 della l.
15.3.1997, n. 59), le agenzie fiscali (delle entrate, delle dogane e dei monopoli) sono state istituite “Per la gestione delle funzioni esercitate
dai dipartimenti delle entrate, delle dogane, del
territorio e di quelle connesse svolte da altri
uffici del ministero” (delle finanze) e che “Alle
agenzie fiscali sono trasferiti i relativi rapporti
giuridici, poteri e competenze che vengono esercitate secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia.” (art. 57)."
Di conseguenza la ricorrente non aveva alcun
onere di integrare il contraddittorio nei conGazzetta Amministrativa
TAR Lazio, Rm, 23.11.2015 Sez. I n. 13245
Giudizio di ottemperanza - legge Pinto condanna alla penalità di mora anche se
l’esecuzione riguarda il decreto di condanna
all’equa riparazione.
Ai sensi dell’art. 112, comma 2, lett. c, il ricorso per l’ottemperanza innanzi al giudice amministrativo è esperibile anche nei confronti dei
decreti non opposti di condanna all’equa riparazione previsti dall’art. 3, l. 24.3.2001, n. 89
(c.d. legge Pinto), avendo essi natura decisoria
su diritti soggettivi e idoneità ad assumere valore ed efficacia di giudicato (Trga Trento
9.7.2014, n. 279; Tar Molise 14.5.2014, n. 303;
Tar Lecce, sez. III, 20.1.2014, n. 200; id., sez. I,
10.1.2014, n. 82), e quindi anche per il capo
degli stessi decreti che condanna alle spese e
agli onorari del giudizio. Questo il principio
ribadito dalla Prima Sezione del TAR Lazio
nella sentenza del 23.11.2015 n. 13245 con la
quale il giudice amministrativo ha anche accolto la richiesta di condanna alla penalità di mora, di cui all’art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a..
"Questa infatti, come chiarito dall’Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato n. 15 del 25
giugno 2014, è comminabile anche quando
l’esecuzione del giudicato consiste nel pagamento di una somma di denaro atteso che
l’istituto assolve ad una finalità sanzionatoria e
non risarcitoria, in quanto non è volto a riparare il pregiudizio cagionato dalla non esecuzione della sentenza, ma a sanzionare la disobbedienza alla statuizione giudiziaria e stimolare il debitore all'adempimento (CdS, sez. III,
16.9.2014, n. 4711; Tar Lazio, sez. III quater,
22.12.2014, n. 13071). Tale istituto trova altresì applicazione nel caso di decreto di condanna
all’equa riparazione previsto dall’art. 3, l. n.
89 del 2001 (Tar Lazio, sez. I, 30.12.2014, n.
13176). Ciò chiarito, la Sezione ritiene che la
quantificazione della suindicata penalità possa
essere in via generale effettuata prendendo a
fondamento il parametro, individuato dalla
CEDU, dell’”interesse semplice ad un tasso
equivalente a quello delle operazioni di rifinan-106-
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
dell’odierna appellata in difetto di procura espressa ed è stata reiterata dopo che il silenzio
rifiuto formatosi sul primo atto era divenuto inoppugnabile per decorso del relativo termine,
per cui neanche in questo caso il Comune aveva l’obbligo di rispondere. La Quinta Sezione
del Consiglio di Stato con sentenza del
20.11.20015 n. 5297 ha affermato che tale argomentazione non può essere condivisa.
L’appellante
condivisibilmente
afferma
l’applicabilità, nel caso che ora occupa,
dell’art. 6, primo comma, del d.P.R. 12.4.2006,
n. 184, ai sensi del quale “qualora non sia possibile l'accoglimento immediato della richiesta
in via informale, ovvero sorgano dubbi sulla
legittimazione del richiedente, sulla sua identità, sui suoi poteri rappresentativi, sulla sussistenza dell'interesse alla stregua delle informazioni e delle documentazioni fornite, sull'accessibilità del documento o sull'esistenza di controinteressati, l'amministrazione invita l'interessato a presentare richiesta d'accesso formale, di cui l'ufficio rilascia ricevuta”. Ad avviso
del Collegio la norma non ha contenuto propriamente innovativo in quanto si limita ad esplicitare il principio di leale collaborazione
fra Amministrazione e cittadini, in base al quale questa non può frapporre ostacoli privi di
significato sostanziale alle istanze degli associati (in termini CdS, VI, 9.3.2011, n.1492, che
ha affermato l’applicabilità del principio di
leale collaborazione ai rapporti relativi ad istanze di accesso agli atti della pubblica amministrazione; sostanzialmente in termini anche
CdS, V, 26.2.2010 n. 1150). Sulla base del
principio richiamato afferma il Collegio che nel
caso che ora occupa l’Amministrazione non poteva limitarsi a prendere atto dell’irregolarità
della prima istanza, restando conseguentemente inerte. Costituiva invece suo obbligo rappresentare i motivi che ostavano all’accoglimento
della richiesta, in modo da indirizzarla nei termini
ritenuti
corretti.
Non
avendo
l’Amministrazione ottemperato a tale obbligo
di comunicazione la stessa non può ora opporre l’irritualità dell’istanza, che l’odierna appellante non ha potuto correggere; pertanto, nei
suoi confronti il termine per l’impugnazione
non ha cominciato a decorrere.
ziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali”; detta misura – e,
quindi, il tasso sopra individuato, da applicare
sulla sorte capitale dovuta a titolo indennitario
– dovrà essere quindi corrisposta a titolo di
sanzione a carico dell’amministrazione, a far
tempo dalla notificazione ovvero, se anteriore,
dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione e fino all’effettivo soddisfacimento del credito o, in alternativa, fino alla data di insediamento del commissario ad acta, come di seguito individuato. Quanto alle ulteriori spese di cui il ricorrente chiede la rifusione, va ricordato che nel giudizio di ottemperanza le ulteriori somme richieste in relazione
a spese diritti ed onorari successivi alla formazione del giudicato sono dovute solo in relazione alla pubblicazione della sentenza, all'esame
ed alla notifica della medesima, alle spese relative ad atti accessori, quali le spese di registrazione (Tar Lazio, sez. II bis, 19.5.2014, n. 5214;
id., sez. I, 18.10.2013, n. 9028; Tar Catanzaro,
sez. I, 20.2.2013, n. 178), di esame, di copia e
di notificazione, nonché le spese e i diritti di
procuratore relativi all'atto di diffida, in quanto
hanno titolo nello stesso provvedimento giudiziale (Tar Napoli, sez. IV, 18.12.2014, n. 6796;
Tar Catania, sez. IV, 4.12.2014, n. 3188)."
Consiglio di Stato Sez. V 20.11.2015 n. 5297
Accesso ai documenti amministrativi - Comune – obbligo di comunicazione irregolarità dell'istanza – rappresentazione dei motivi
ostativi all’accoglimento della richiesta.
La vicenda giunta all'attenzione del Consiglio
di Stato riguarda il silenzio - diniego opposto
da un Comune alla ricorrente sull'istanza di
accesso agli atti, formulata nel suo interesse
dal suo avvocato e l'accertamento del proprio
diritto ad estrarre copia della documentazione
richiesta, con contestuale ordine di esibizione
alla parte resistente. Il Comune appellante non
contesta in alcun modo, nel presente grado del
giudizio, la pretesa dell’appellata, sostenendo
invece che la sua istanza, presentata irregolarmente, non avrebbe fatto sorgere il suo onere di darvi risposta. Più specificamente, il Comune appellante sostiene di non avere alcun
obbligo di dare corso all’istanza in quanto questa
è
stata
presentata
dall’avvocato
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Consiglio di Stato Sez. VI 10.11.2015 n. 5111
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Numero 3 /4- 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
situazione di cui è titolare, che l’ordinamento
stima di suo meritevole di tutela. Non è sufficiente addurre il generico e indistinto interesse
di qualsiasi cittadino alla legalità o al buon
andamento dell’attività amministrativa. Da
questo indirizzo la giurisprudenza del Consiglio di Stato mai si è discostata (Cons. Stato,
VI, 23.11.2000, n. 5930; IV, 6.10.2001 n. 5291;
VI, 22.10.2002 n. 5818; V, 16.1.2005 n. 127;
IV, 24.2.2005, n. 658; VI, 10.2.2006 n. 555; VI,
1.2.2007 n. 416). Ritiene il Collegio che
l’interesse rilevante nel caso in esame debba
dirsi sussistente, nonostante il conclamato annullamento degli atti di che trattasi. Invero,
come condivisibilmente affermato dal giudice
di primo grado, il sopravvenuto annullamento
(con conseguente giuridica inefficacia) degli
atti della procedura cui ha partecipato
l’originario ricorrente non determina per lui il
venir meno di un interesse comunque diretto,
concreto ed attuale ad accedere ai medesimi
nella parte in cui lo riguardano personalmente.
Per vero, il diritto di accesso non è esercitabile
soltanto per i provvedimenti amministrativi
(dotati di perdurante efficacia giuridica), ma
anche per meri atti o documenti non più idonei
ad incidere sulla sfera giuridica dei soggetti ai
quali si riferiscono, quante volte - come nella
specie - chi agisce ad exibendum sia, o possa
essere, comunque titolare di una situazione
giuridicamente tutelata in quanto connessa al
contenuto di siffatti atti o documenti (si veda
l’art. 22, comma 1, lett. b), l. n. 241 del 1990).
Pertanto l’originario ricorrente *, quale candidato esaminato nell’annullata tornata abilitativa in questione, sia tuttora titolare di una situazione giuridica tutelata correlata agli atti della
stessa procedura che lo riguardano direttamente. In relazione a tali atti sussiste per lui un interesse giuridicamente rilevante (non contrastato da esigenze oppositive di segno contrario)
a che ne possa avere la conoscenza e la disponibilità per gli usi che legittimamente potrà
farne. Non compete a questo giudice in questa
sede valutare la congruenza dell’utilizzazione
futura di questi atti, né l’ipotetico uso loro non
corretto o improprio. Resta dunque salvo il
giudizio di utilizzabilità e di rilevanza dei documenti afferenti una procedura annullata: il
che se del caso potrà essere apprezzato dal
giudice dinanzi al quale sorgerà controversia a
Procedure concorsuali - accesso ai documenti - interesse che legittima la richiesta.
È giunta all'attenzione della Sesta Sezione del
Consiglio di Stato la questione riguardante la
sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante alla ostensione di documentazione amministrativa relativa a procedura selettiva annullata con sentenza del giudice amministrativo
passata in giudicato. Nella specie, infatti,
l’originario ricorrente aveva partecipato alla
procedura di abilitazione scientifica nazionale
relativa alla tornata 2013 per il predetto settore concorsuale e dopo che tale procedura, su
ricorso di altri candidati, è stata annullata per
vizio di composizione della commissione esaminatrice, ha fatto istanza al Ministero per accedere agli atti della procedura riguardanti i
giudizi espressi dall’organo di valutazione sul
proprio profilo. Il giudice di primo grado ha
ritenuto sussistente in capo all’originario ricorrente l’interesse attuale e concreto (richiesto dall’art. 22 della legge n. 241 del 1990 in
materia di accesso ai documenti amministrativi) all’ostensione degli atti richiesti “non
foss’altro che ai fini morali di essere edotto
delle valutazioni operate nei suoi confronti ovvero –se esse fossero favorevoli – ai fini di renderle note o di farle valere in ogni sede legittima”. L’appellante amministrazione deduce invece, nell’unico articolato motivo d’appello,
che detto interesse nei riferiti termini non sia
predicabile in capo all’originario ricorrente. Il
Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del
10.11.2015 n. 5111 afferma espressamente che
"l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di
Stato, con la decisione 24.4.2012, n. 7, ha affermato che la disposizione di cui all'art. 22,
comma 1, l. n. 241 del 1990 , pur riconoscendo
il diritto di accesso a "chiunque vi abbia interesse", non ha tuttavia introdotto alcun tipo di
azione popolare diretta a consentire un qualche
controllo generalizzato sulla Amministrazione,
tant'è che ha contestualmente definito siffatto
interesse come finalizzato alla "tutela" di "situazioni giuridicamente rilevanti"; Non è dubbio pertanto che l'interesse che legittima la richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non
emulativo, deve essere "personale e concreto",
ossia ricollegabile alla persona dell'istante da
uno specifico rapporto. In sostanza, occorre
che il richiedente intenda poter supportare una
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
Gioco d'azzardo e ludopatia: sì del Consiglio
di Stato alla competenza dei Sindaci sugli
orari delle sale da gioco.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la
sentenza del 22.10.2015 ha affrontato le problematiche afferenti il gioco d'azzardo. Più
precisamente la Sezione con la citata sentenza
ha affermato che la normativa in materia di
gioco d’azzardo, con riguardo delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché
dell’impatto sul territorio dell’afflusso ai giochi
da parte degli utenti, non è riferibile alla competenza statale esclusiva in materia di ordine
pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, comma
2, lettera h) della Costituzione, ma alla tutela
del benessere psico-fisico dei soggetti maggiormente vulnerabili e della quiete pubblica
(come rilevato dalla Corte Costituzionale con
le sentenze 10.11.2011, n. 300, e 21.4.2015, n.
995), tutela che rientra nelle attribuzioni del
Comune ex artt. 3 e 5 del d.lgs. n. 267 del 2006.
La disciplina degli orari delle sale da gioco
non è infatti volta a tutelare in via primaria
l’ordine pubblico, ma la salute ed il benessere
psichico e socio economico dei cittadini, compresi nelle attribuzioni del Comune ai sensi di
dette norme. Quindi il potere esercitato dal
Sindaco nel definire gli orari di apertura delle
sale da gioco non interferisce con quello degli
organi statali preposti alla tutela dell’ordine e
della sicurezza, atteso che la competenza di
questi ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità
locale, con la conseguenza che le rispettive
competenze operano su piani diversi e non è
configurabile alcuna violazione dell'art. 117
comma 2 lett. h), Cost. (Consiglio di Stato, sez.
V, 1.8.2015, n. 3778). Afferma il Collegio che
non è condivisibile la tesi secondo cui l’art. 50,
comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 possa essere interpretato nel senso che la competenza del
Sindaco non riguardi anche la materia dei giochi, atteso che la norma espressamente attribuisce ad esso il compito di coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal
Consiglio comunale e nell’ambito di eventuali
criteri fissati dalla Regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei
servizi pubblici. Dalla particolare ampiezza
quel riguardo."
Consiglio di Stato Sez. III 27.10.2015 n. 4903
Accesso ai documenti e trasparenza: "no"
del Consiglio di Stato al dirigente che chiede
l'ostensione delle retribuzioni di risultato dei
colleghi.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato ha esaminato la legittimità del rifiuto opposto
dall'INPS ad un dirigente di ostensione, tra l'altro, della documentazione relativa alla retribuzione di risultato riconosciuta ad altri dirigenti
ritenendo non configurabile, in capo
all’odierno ricorrente, alcun interesse meritevole di tutela, azionabile con il rimedio peculiare apprestato dall’art.116 c.p.a. Si legge nella parte motiva: "È sufficiente, al riguardo, rilevare che l’esercizio del diritto di accesso è
autorizzato solo se sostenuto dall’esigenza di
tutelare un interesse giuridicamente rilevante,
intendendosi per tale un interesse serio, effettivo, concreto, attuale e, in definitiva, ricollegabile all’istante da un preciso e ben identificabile nesso funzionale alla realizzazione di esigenze di giustizia (cfr. ex multis Cons. St., sez. V,
23.9.2015, n.4452), per concludere che, nel caso di specie, la conoscenza della documentazione rimasta riservata non risulterebbe idonea
a soddisfare alcun apprezzabile interesse, tanto
meno collegato ad esigenze di difesa giurisdizionale, attesa l’assoluta irrilevanza, a qualsiasi fine di tutela dei suoi interessi, del mero confronto della sua retribuzione di risultato con
quella riconosciuta ai suoi colleghi (in ragione
dell’autonomia e dell’indipendenza delle relative posizioni soggettive). Ne consegue, pertanto,
l’assenza, nella fattispecie, dell’indefettibile
presupposto della sussistenza di un interesse
idoneo a legittimare (secondo la regolazione
contenuta negli artt. 22 e seguenti della legge
n.241 del 1990) la valida attivazione del rimedio nella specie azionato." L’INPS - aggiunge il
Collegio - risulta, peraltro, adempiente agli
obblighi di trasparenza, quanto alla pubblicazione sul sito istituzionale di tutte le componenti della retribuzione dei dirigenti, sanciti
dall’art.15, comma 1, d.lgs. n.33 del 2013, sicchè, anche sotto tale profilo, la pretesa del ricorrente deve ritenersi priva di fondamento”.
Consiglio di Stato Sez.V 22.10.2015 n. 4861
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali
sono installate le apparecchiature per il gioco.
In tale senso si sono collocate anche ulteriori
pronunce, con le quali è stato rimarcato che,
sulla base della generale previsione dell'art.
50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, il Sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi
e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per
esigenze di tutela della salute (tra le quali è
compresa la esigenza di contrasto alle ludopatie), della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale (oltre alla citata sentenza del
Consiglio di Stato, Sezione V, sent. 3271 del
2014, cfr.: ordinanze della Sezione stessa nn.
3845 del 2014, 5826 del 2014 e 610 del 2014),
alle cui argomentazioni si rinvia integralmente
anche ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 74
del c.p.a. seconda parte; Con riguardo al particolare caso in esame, osserva in proposito il
collegio che con l’ordinanza sindacale impugnata in primo grado, preso atto dei preoccupanti dati emergenti da una comunicazione della A.S.L. di Lecco circa la presenza nella realtà
locale di giocatori d’azzardo problematici e patologici, il Sindaco del Comune di Lecco ha deliberato di delimitare l’orario massimo di apertura delle attività inerenti il gioco d’azzardo,
visto l’art. 3, comma 2, del d. lgs. n. 267 del
2000, a «tutela della salute pubblica, ma anche,
più i generale del benessere individuale e collettivo della popolazione locale». Tale ordinanza è stata motivata con riferimento al fatto che
il Comune ha anche il compito di contrastare i
fenomeni di patologia sociale connessi al gioco
compulsivo, dal momento che la moltiplicazione incontrollata della possibilità di accesso al
gioco costituisce accrescimento del rischio di
diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia nella vita personale e familiare dei cittadini che a carico dei servizi sociali comunali chiamati a contrastare situazioni di disagio connesse alle ludopatie.
L’ordinanza, in quanto espressamente volta alla tutela della salute pubblica mediante contrasto con detto fenomeno, rientrava quindi ad avviso del Consiglio di Stato pienamente nelle
competenze sindacali di cui al citato art. 50, co.
7, del d. lgs. n. 267 del 2000”.
della nozione di ‘pubblico esercizio’, contenuta
nella disposizione, deve ritenersi che rientrino
senz'altro nella nozione anche le attività di intrattenimento svolte all'interno di sale giochi e
degli esercizi in cui siano installati apparecchi
di gioco lecito: il connotato tipizzante di un
pubblico esercizio è la possibilità di accedere
alle prestazioni ivi erogate da parte della collettività indifferenziata, i cui componenti sono
tutti ammessi ad avvalersi, a richiesta, a parteciparvi. Le sale giochi e gli esercizi dotati di
apparecchiature da gioco, seguendo l'elencazione contenuta nell'art. 50, comma 7, d.lg. n.
267 del 2000, sono qualificabili come pubblici
esercizi, di talché il Sindaco può esercitare la
potestà regolatoria, tra cui rientrano le attività
riguardanti l’esercizio del gioco d’azzardo,
quando essa è funzionale ad esigenze di tutela
della salute e della quiete pubblica. Questo
principio è stato espressamente ribadito con la
sentenza di questa Sezione 30 giugno 2014, n.
3271, laddove ha riconosciuto che «l'art. 3 del
D.L. n. 138/2011, convertito nella legge n.
148/2011, sempre in tema di abrogazione delle
restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche, ha poi disposto che ‘l'iniziativa e l'attività economica
privata sono libere ed è permesso tutto ciò che
non è espressamente vietato dalla leggè , affermando un principio, derogabile soltanto in
caso di accertata lesione di interessi pubblici
tassativamente individuati (sicurezza, libertà,
dignità umana, utilità sociale, salute)….”. Al
riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza 18.7.2014 n. 220, con riferimento alla individuazione dei poteri esercitabili dal Sindaco
ai sensi dell'art. 50, co. 7, del d.lgs. n. 267 del
2000, ha dichiarato inammissibile, per mancata
esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche,
la questione di legittimità costituzionale di tale
norma, in riferimento agli art. 32 e 118 Cost.,
nella parte in cui, disciplinando i poteri normativi e provvedimentali attribuiti al Sindaco in
materia di gioco e scommesse, non prevede che
tali poteri possano essere esercitati con finalità
di contrasto del fenomeno del gioco di azzardo
patologico. Ha rilevato la Corte Cost. che, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa di legittimità e di merito, la disposizione censurata può fornire un fondamento legislativo al potere del Sindaco di disciplinare gli
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Consiglio di Stato Sez. IV 13.10.2015 n. 4713
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Numero 3 /4- 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
andamento della pubblica amministrazione
procedere all’integrale attuazione delle prescrizioni normative dettate con riferimento ai
sistemi di valutazione, con conseguente conformazione delle relative attività al nuovo modello di valutazione, per poi dovere eventualmente ricalibrare l’intero impianto di valutazione alla luce delle modalità di applicazione
che saranno individuate dall’adottando DPR”.
Le argomentazioni offerte dal Tribunale non
convincono il Consiglio di Stato che ha riformato la sentenza affermando quanto segue.
"L’articolo 57, comma 21, del d.lgs. n. 235 del
2010 prevede che “ Con decreto del Presidente
del Consiglio dei Ministri, di concerto con il
Ministro dell’economia e delle finanze, sono
determinati i limiti e le modalità di applicazione delle disposizioni dei titoli II e III del d.lgs.
27.10.2010, n. 150, al personale del Ministero
dell’economia e delle finanze e delle Agenzie
fiscali”. Va in primo luogo evidenziato che la
disposizione non contiene un espresso rinvio
della applicazione delle previsioni del titolo II e
III del d.lgs. n. 150/2010 all’esito della individuazione dei cennati “limiti e modalità”, limitandosi a prevedere che con d.p.c.m. siano individuati tali limiti e modalità applicative.
Dunque, non vi è una espressa sospensione o
un rinvio generalizzato del relativo obbligo, il
quale - in considerazione della portata generale della normativa contenuta nel richiamato
d.lgs. n. 150/2010, che si riferisce ai dipendenti
delle amministrazioni pubbliche il cui rapporto
di lavoro è disciplinato dall’art. 2 , comma 2,
del d.lgs. n. 165/2001 - è comunque operante
anche per le amministrazioni finanziarie. La
norma, dunque, non contiene una affermazione
espressa di inapplicabilità del sistema di valutazione previsto dal d.lgs. n. 150/2009, ma afferma, in relazione a tale personale, la possibilità di introdurre aggiustamenti e correttivi (limiti e modalità di applicazione). Orbene, risponde certamente a criteri di efficacia e di efficienza che, qualora ancora non sia stata data
attuazione alle disposizioni dei richiamati titoli
II e III, si attenda la previa adozione del
d.p.c.m., in modo da predisporre ab origine un
sistema di misurazione e valutazione delle
strutture e dei dipendenti che sia correttamente
calibrato e modulato con le peculiarità
dell’amministrazione di riferimento. Purtutta-
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,
Agenzia delle Entrate e MEF - "la mancata
adozione del Sistema e del Piano delle
performance, in attesa della emanazione del
d.p.c.m., non trova più ragionevole
giustificazione” - monito del Consiglio di
Stato
Il Consiglio di Stato Sez. IV con sentenza del
13.10.2015 n. 4713 ha annullato la sentenza n.
11466/2014 del TAR Lazio che dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla Dirpubblica (Federazione del Pubblico Impiego) per
ottenere l’annullamento del silenzio-rifiuto serbato sulla diffida volta a chiedere: all’Agenzia delle dogane e dei Monopoli e
all’Agenzia delle Entrate di provvedere alla
nomina dell’Organismo Indipendente di Valutazione, affinché provvedesse a definire il sistema di misurazione e valutazione delle performance organizzativa ed individuale; all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli,
all’Agenzia delle Entrate ed al Ministero
dell’Economia e delle Finanze di provvedere
all’adozione del sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa ed individuale; alla CIVIT di vigilare sulle prefate
amministrazioni in ordine all’attuazione della
disciplina di misurazione e valutazione delle
performance organizzativa ed individuale. La
Dirpubblica (Federazione del Pubblico Impiego) censura in primo luogo la sentenza del Tribunale Amministrativo nella parte in cui, a fondamento della declaratoria di inammissibilità
del ricorso, ha ravvisato l’inesistenza, in capo
alle Amministrazioni intimate, di un obbligo di
adottare il Sistema di valutazione della performance, del piano delle performance e della relazione sulla performance, in ragione della
previsione contenuta nell’articolo 57, comma
21, del D.Lgs. n. 235 del 2010. In proposito il
giudice di prime cure ha affermato: “la tesi
prospettata da parte ricorrente non appare persuasiva alla luce del chiaro tenore letterale della norma in esame, la quale, nel demandare
all’adozione di un d.p.r. (rectius, d.p.c.m.) la
determinazione dei limiti e delle modalità di
applicazione delle disposizioni del d.lgs. n. 150
del 2009, sembra implicare un rinvio
dell’attuazione di tali norme ad un momento
successivo a tale individuazione. Peraltro, sarebbe contrario a criteri di efficienza e di buon
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
stamenti ed adattamenti successivi e non più
preventivi e, di conseguenza, l’applicazione
comunque delle disposizioni dei titoli II e III del
d.lgs. n. 150/2009, e, dunque, del sistema di valutazione e del piano delle performance . Le
suddette conclusioni trovano conferma in ulteriori circostanze. Va, invero, rilevato che il
pregresso sistema di valutazione delle prestazioni dirigenziali risulta essere stato espressamente abrogato dall’art. 30, co. 4, del d.lgs. n.
150/2009, né risulta opposta, in termini normativi, l’esistenza di una disposizione di proroga o
di reviviscenza. Di poi, l’altra norma invocata
dall’amministrazione (art. 19 del d.lgs.
n.141/2011) rinvia – per tutti i dipendenti pubblici – l’applicazione solo di alcune disposizioni del richiamato testo normativo (artt. 19 e
31). Va, infine, osservato che la stessa difesa
dell’amministrazione (pag. 13 e segg.) evidenzia di avere già ideato un sistema di performance individuale per il personale non dirigenziale, che opera un esplicito richiamo ai principi del d.l.vo n.150/2009 tenendo conto delle caratteristiche dell’Amministrazione finanziaria e
della programmazione economico-finanziaria,
testato sperimentalmente negli anni 2011 e
2012, ma non ancora abilitato all’esercizio a
causa della mancata emanazione dell’atteso
d.p.c.m. Dunque, non vi sono oggettivi impedimenti all’osservanza delle previsioni del d.lgs.
n. 150/2009. Rese le sopra esposte considerazioni, rileva il Collegio che dalla entrata in vigore della invocata disposizione contenuta
nell’articolo 57, comma 21, del d.lgs.
n.235/2010 sono trascorsi ben cinque anni e
l’ulteriore procrastinarsi della mancata adozione del Sistema e del Piano delle performance, in attesa della emanazione del d.p.c.m., non
trova più ragionevole giustificazione, risultando decorso un termine in tutta evidenza irragionevolmente lungo per giustificare l’omesso
adempimento degli obblighi di cui al d.lgs. n.
150/2009. La difesa delle amministrazioni convenute, nella memoria difensiva e nella relazione prodotta a seguito dell’istruttoria disposta
dalla Sezione, ha rappresentato di avere svolto
ampia ed articolata attività finalizzata alla emanazione del richiamato d.p.c.m. e, di conseguenza, all’adozione del sistema di valutazione,
evidenziando le ragioni del decorso di tale lasso temporale, dovuto a necessari adempimenti
via, sussistendo comunque l’obbligo di applicazione dei cennati titoli II e III e non essendo le
amministrazioni finanziarie sottratte alla applicazione del d.lgs. n. 150/2009, le richiamate
ragioni di efficacia e di efficienza trovano ragion d’essere solo nella misura in cui il sistema
cd. “adattato” venga adottato e reso operativo
in termini ragionevoli e sostenibili. Ove ciò non
avvenga, l’obbligo delle amministrazioni di dare attuazione alle disposizioni del d.lgs. n.
150/2009 permane in tutta la sua cogenza e, di
conseguenza, gli adempimenti previsti dal richiamato d.lgs. n. 150/2009 devono comunque
essere posti in essere. Sicché è da ritenersi che,
qualora tale d.p.c.m. non intervenga entro termini ragionevoli, non viene meno l’obbligo di
procedere alle attività (adottare il sistema di
misurazione e valutazione ed il piano della performance) indicate dalla cennata normativa.
Invero, la protratta mancata adozione del sistema finirebbe per porre in non cale e pregiudicare le preminenti ragioni di interesse pubblico e, dunque, di efficacia ed efficienza
dell’attività amministrativa sottese allo stesso,
atteso che le esigenze giustificative (affermate
dal TAR) relative alla necessità di un sistema
ab origine “adattato” finirebbero, con il decorso di tempi eccessivamente lunghi, per frustrare
le ragioni stesse dell’istituto introdotto dal
d.lgs. n. 150/2009. Va, invero, evidenziato che
l’art. 3 di tale testo normativo espressamente
dispone che “la misurazione e la valutazione
della performance sono volte al miglioramento
della qualità dei servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche”(comma 1), aggiungendo,
al comma 4, che “le amministrazioni pubbliche
adottano metodi e strumenti idonei a misurare,
valutare e premiare le performance individuale
e quella organizzativa, secondo criteri strettamente connessi al soddisfacimento dell’interesse del destinatario dei servizi e degli interventi”. Vi è, dunque, alla base del sistema
l’esigenza di soddisfacimento di un interesse
pubblico preminente, rispetto al quale
l’opportunità della previa definizione, attraverso d.p.c.m., di limiti e modalità applicative risulta certamente recessivo ove sia decorso un
termine non ragionevolmente breve dalla entrata in vigore dell’obbligo stesso. In tal caso, infatti, la necessità del perseguimento di tale interesse ben giustifica la possibilità di aggiuGazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
prendere visione ed estrarre copia dei documenti afferenti le procedure per la selezione dei
partner e degli sponsor di Expo 2015. Il diniego di accesso è motivato poiché non sarebbe
sussistente in capo all’associazione Codacons
un interesse diretto, concreto ed attuale alla ostensione di quanto richiesto. Al fine della decisione sull’appello il Consiglio di Stato, con la
sentenza n. 4644 del 6.10.2015. ha ricordato
quanto affermato dalla Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato, con la decisione 24.4.2012
n. 7, nella quale, tra l’altro (e proprio con riferimento al Codacons) si afferma: - “la disposizione di cui all'art.22, co. 1, della l. n. 241 del
1990, pur riconoscendo il diritto di accesso a
"chiunque vi abbia interesse" non ha tuttavia
introdotto alcun tipo di azione popolare diretta
a consentire una sorta di controllo generalizzato sulla Amministrazione, tant'è che ha contestualmente definito siffatto interesse come finalizzato alla “tutela” di "situazioni giuridicamente rilevanti"; - “l'interesse che legittima la
richiesta di accesso, oltre ad essere serio e non
emulativo, deve essere “personale e concreto”,
ossia ricollegabile alla persona dell'istante da
uno specifico nesso: in sostanza occorre che il
richiedente intenda difendere una situazione di
cui è portatore, qualificata dall'ordinamento
come meritevole di tutela, non essendo sufficiente il generico e indistinto interesse di ogni
cittadino alla legalità o al buon andamento della attività amministrativa . . . Da questo indirizzo interpretativo la giurisprudenza del Consiglio di Stato non si è mai discostata (Sez. VI,
23.11.2000, n. 5930; Sez. IV, 6.10.2001 n.
5291; Sez. VI, 22.10.2002 n. 5818; Sez.. V,
16.1.2005 n. 127; Sez. IV, 24.2.2005, n. 658;
Sez. VI, 10.2.2006 n. 555; Sez. VI, 1.2.2007 n.
416)”; - “essere titolare di una situazione giuridicamente tutelata non è condizione sufficiente perché l’interesse rivendicato possa considerarsi “diretto, concreto e attuale”, essendo anche necessario che la documentazione cui si
chiede di accedere sia collegata a quella posizione sostanziale, impedendone o ostacolandone il soddisfacimento”. Tali principi, dai quali
il Collegio non ha ragione di discostarsi, sono
dalla pronuncia citata ritenuti applicabili anche alle associazioni quali il Codacons. E ciò
pur considerando che l’art. 26 l. 7.12.2000 n.
383 riconosce alle associazioni di promozione
procedimentali ed al succedersi di innovazioni
normative, delle quali avrebbe dovuto via via
tenersi conto. Orbene, rileva in proposito la Sezione che le evenienze e le ragioni rappresentate possono al limite giustificare in termini di
opportunità di un sistema ab origine “adattato”) il rallentamento fino a questo momento verificatosi, ma non possono validamente motivare ulteriori tempi lunghi nell’adozione degli atti
in relazione ai quali la Dirpubblica ha proposto ricorso, stante – per le ragioni sopra esposte – la sussistenza di un obbligo alla loro adozione. Le argomentazioni svolte dal Collegio
giustificano l’accoglimento dell’appello e consentono di assorbire l’esame delle doglianze
relative alla asserita inapplicabilità del giudizio sul silenzio-inadempimento agli atti generali e regolamentari (quali un d.p.c.m.), rilevandosi pure – per come giustamente osservato
dalla difesa dell’appellante a pag. 7 della memoria di replica depositata in vista della camera di consiglio del 21.4.2015 – che l’oggetto
della controversia non riguarda l’omessa adozione del d.p.c.m., non essendo questo stato oggetto né dell’atto di diffida originario, né del
successivo ricorso giurisdizionale. Conclusivamente, dunque, l’appello deve essere accolto
nei sensi e per le ragioni in precedenza rappresentati, riformandosi la sentenza del giudice di
primo grado, con conseguente declaratoria
dell’obbligo di provvedere e fissazione di un
termine di 180 giorni dalla comunicazione o
notificazione della presente sentenza, così individuato anche per consentire l’eventuale previa
adozione del d.p.c.m., che, ripetesi, è adempimento opportuno, ma non necessario o condizionante l’applicazione delle disposizioni del
d.lgs. n. 150/2009. Il Collegio si riserva, per il
caso di ulteriore inadempimento, la nomina di
un Commissario ad acta”.
Consiglio di Stato Sez. IV 6.10.2015 n. 4644
Accesso ai documenti da parte di associazioni a tutela dei consumatori - diritto di accesso a "chiunque vi abbia interesse".
È giunto all'esame della Quarta Sezione del
Consiglio di Stato l’appello con il quale il Codacons impugna la sentenza del TAR per la
Lombardia che ha respinto il ricorso proposto
avverso il rigetto, da parte di Expo 2015 s.p.a.,
dell’istanza di accesso presentata al fine di
Gazzetta Amministrativa
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procedimento amministrativo riforme istituzionali
L’associazione non è titolare di una situazione
soggettiva che valga a conferirle un potere di
vigilanza sull’ente che offre il pubblico servizio, ma solo della legittimazione ad agire perché vengano inibiti comportamenti od atti che
siano effettivamente lesivi. Il diritto di accesso,
dunque, non si configura mai come un’azione
popolare (fatta eccezione per il peculiare settore dell’accesso ambientale), ma postula sempre
un accertamento concreto dell’esistenza di un
interesse differenziato della parte che richiede i
documenti. La titolarità (o la rappresentatività)
degli interessi diffusi non giustifica un generalizzato e pluricomprensivo diritto alla conoscenza di tutti i documenti riferiti all’attività
del gestore del servizio e non collegati alla prestazione dei servizi all’utenza, ma solo un più
limitato diritto alla conoscenza di atti, relativi a
servizi rivolti ai consumatori, che incidono in
via diretta e immediata, e non in via meramente
ipotetica e riflessa, sugli interessi dei consumatori. Alla luce dei principi enunciati, il Consiglio di Stato ha ritenuto infondato il primo motivo di appello, posto che, nel caso di specie, gli
atti cui il Codacons ha richiesto di accedere,
pur se indicati e dunque concretamente individuabili, non sono ex se tali da denotare un collegamento con gli interessi dei quali
l’associazione è portatrice. Precisa il Collegio
che "Tali atti, infatti, più specificamente, attengono a singole procedure di scelta di uno o più
contraenti con un soggetto pubblico, e, dunque,
non tali da rappresentare, in via immediata e
diretta, una tutela dei più ampi interessi dei
consumatori e, comunque, di quegli interessi
dei quali l’associazione richiedente è portatrice”.
sociale il diritto di accesso ai documenti amministrativi, ex art. 22 ss. l. n. 241/1990, precisando in particolare (co. 2) che “Ai fini di cui
al comma 1, sono considerate situazioni giuridicamente rilevanti quelle attinenti al perseguimento degli scopi statutari delle associazioni di promozione sociale.”. Come, in particolare, affermato dalla giurisprudenza (CdS, Sez.
VI, 10.2.2006 n. 555) “alle associazioni a tutela dei consumatori, quale è il Codacons,
l’ordinamento non riconosce un diritto di accesso diverso da quello attribuito in generale
dalla l. n. 241/1990 (ex plurimis, v. C. Stato,
sez. IV, 29.4.2002, n. 2283)” Inoltre, “la domanda di accesso non può essere un mezzo per
compiere una indagine o un controllo ispettivo,
cui sono ordinariamente preposti organi pubblici, perché in tal caso nella domanda di accesso è assente un diretto collegamento con
specifiche situazioni giuridicamente rilevanti
(CdS, Sez. IV, 29.4.2002, n. 2283” Si è, dunque,
affermato che non può disconoscersi, in astratto, la legittimazione di un’associazione di tutela
dei consumatori ad esercitare il diritto di accesso ai documenti dell'amministrazione o di
gestori di servizi pubblici in relazione ad interessi che pervengono ai consumatori e utenti di
pubblici servizi (Cons. Stato, sez. IV, 29.4.2002,
n. 2283); tuttavia, anche alle associazioni di
tutela dei consumatori si applica l’art. 22, l. n.
241/1990, che consente l’accesso non come
forma di azione popolare, bensì a tutela di “situazioni giuridicamente rilevanti”, e dunque
anche per dette associazioni occorre verificare
la sussistenza di un interesse concreto e attuale
all’accesso (C. Stato, sez. IV, 6.10.2001, n.
5291). Come ha affermato questo Consiglio di
Stato (sez. VI, n. 555/2006 cit.), nemmeno la
legge a tutela dei consumatori attribuisce alle
associazioni degli stessi un potere di vigilanza
a tutto campo da esercitare a mezzo del diritto
all’acquisizione conoscitiva di atti e documenti
che consentano le necessarie verifiche al fine di
stabilire se l’esercizio del servizio pubblico
possa ritenersi svolto secondo le prescritte regole di efficienza. Siffatto potere di controllo,
generale e preliminare, è del tutto ultroneo alla
norma sull’accesso, che non conferisce ai singoli funzioni di vigilanza, ma solo la pretesa
individuale a conoscere dei documenti collegati
a situazioni giuridiche soggettive.
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Consiglio di Stato Sez. III 8.10.2015 n. 4665
Allontanamento - foglio di via obbligatorio, prostituzione - turbamento sociale.
Forse non tutti sanno che andare in discoteca
travestiti da donna, dando sospetto di fornire
prestazioni sessuali a pagamento può costar
caro. È questa la vicenda giunta all'attenzione
del Consiglio di Stato chiamato a valutare la
legittimità della sentenza del TAR che ha accolto il ricorso proposto contro il provvedimento
del Questore di Brescia recante il divieto per il
ricorrente di fare ritorno nel territorio di un
Comune per anni 3 in difetto di preventiva au-114-
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
che ha eliminato il riferimento a quei comportamenti che sono qualificabili solo come disdicevoli o contrari al buon costume, non può ritenersi da solo presupposto sufficiente per l'applicazione della suddetta misura di prevenzione
(CdS, Sez. III, n. 3451 dell'8.6.2011 n. 5479, del
5.10.2011, n. 288 del 22.1.2014 ). .... Il Collegio ritiene pertanto che, in materia di prostituzione, ai fini dell’adozione di misure di prevenzione, devono quindi concorrere circostanze ulteriori rilevanti sotto il profilo penale o della
sicurezza pubblica. Inoltre, deve precisarsi che
la richiamata giurisprudenza segnala altresì
che la prostituzione come fenomeno sociale negativo non rientra solo nella categoria del buon
costume, dato che si tratta di una attività che,
anche quando non costituisce reato, resta
un’attività da scoraggiare per il rispetto che si
deve alla persona umana secondo i principi costituzionali, soprattutto quando essa è esercitata in forma suscettibile di determinare disagio
sociale. 7.2. – Più in generale la giurisprudenza del Consiglio di Stato richiede sempre, ai fini della legittimità di misure di prevenzione da
parte dell’Autorità di polizia, la indicazione di
precisi e concreti elementi di fatto rilevanti sotto il profilo della sicurezza pubblica, ma la
stessa consolidata giurisprudenza, nella valutazione di tali elementi e del loro rilievo ai fini
della sicurezza pubblica, riconosce all’Autorità
amministrativa la più ampia discrezionalità
salvo incoerenza dell' iter logico, incongruenza
della motivazione e travisamento della realtà
fattuale. 7.3. – Nel caso in esame il provvedimento impugnato e la relazione dei carabinieri
che lo sostiene fanno riferimento ad una pluralità di elementi di fatto puntualmente indicati
riferiti in particolare alle modalità e al contesto
in cui l’esercizio della prostituzione si svolgeva. 7.4. - La rilevanza di tali elementi di fatto
sotto il profilo della sicurezza pubblica secondo
i parametri indicati ai punti 7.1. e 7.2. è in particolare rafforzata in modo determinante dal
richiamo nella motivazione del provvedimento
impugnato alla forma notoria e abituale in cui
l’ attività in questione si svolge e al connesso
disagio sociale manifestato attraverso proteste
e segnalazioni rivolte in precedenza alle Autorità di polizia, da porre in relazione alla localizzazione, alla frequenza e alle modalità di
svolgimento di comportamenti analoghi a quelli
torizzazione. Il provvedimento era motivato dal
deferimento in stato di libertà per il reato di atti contrari alla pubblica decenza essendo stato
l’interessato sorpreso presso una discoteca travestito da donna, dando sospetto di fornire prestazioni sessuali a pagamento. Il provvedimento
afferma che egli non risiede in quel Comune né
dispone di mezzi di sussistenza, ed in conclusione rientra nell’ambito delle categorie di
soggetti contemplati dall’art. 1 della l. n.
1423/56. Avverso tale provvedimento, ritenuto
illegittimo, l’interessato proponeva ricorso avanti al TAR di Brescia che accoglieva il ricorso in adesione all’orientamento giurisprudenziale che ritiene che l’allontanamento con foglio di via obbligatorio non sia lo strumento di
regola deputato per intervenire sul fenomeno
della prostituzione e, pertanto, il provvedimento basato su una siffatta motivazione deve dare
contezza delle concrete modalità di esercizio
del meretricio, dell’eventuale continuità di tale
condotta e di ogni altro elemento utile in ordine
alle condizioni di vita dell’interessato/a, onde
desumerne l’apprezzabile possibilità che lo
stesso/a sia incline alla commissione di reati
che offendono o mettono in pericolo l’integrità
fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. L’impugnato
provvedimento non indica comportamenti socialmente pericolosi, potenzialmente rivolti alla
commissione di reati che offendono o mettono
in pericolo la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica o gli elementi di fatto sui quali si
fonda il giudizio di appartenenza del ricorrente
ad una delle categorie di cui all’art. 1 della
legge n. 1423/1956. Inoltre la sentenza osserva
che l’atto impugnato contiene un’ulteriore inesattezza, nella parte in cui sostiene il mancato
possesso di mezzi di sussistenza, dato che il ricorrente ha dimostrato di essere dipendente a
tempo indeterminato presso un Ente pubblico
fin dal 1991 e di risiedere con la madre
nell’abitazione di proprietà. Il Consiglio di Stato con sentenza n. 4665 del 8.10.2015 ha accolto l'appello dell'Amministrazione rilevando come "7.1. - Il Collegio è consapevole della giurisprudenza di questa Sezione che ha già avuto
occasione di notare in passato che il solo esercizio della prostituzione, a seguito della modifica apportata all’art. 1 della legge n. 1423 del
1956 dall'art. 2 della legge 3.8.1988, n. 327,
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Numero 3 /4- 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
con l’introduzione della prova testimoniale e
della consulenza tecnica d’ufficio anche nei
giudizi relativi ad interessi legittimi), l’art. 654
c.p.p., nel delineare l’efficacia extra moenia del
giudicato penale prevede, comunque, due limiti
fondamentali, uno soggettivo e l’altro
oggettivo. Sotto il profilo soggettivo, il
giudicato è vincolante solo nei confronti
dell’imputato, della parte civile e del
responsabile civile che si sia costituito o che sia
intervenuto nel processo civile. Non, quindi, nei
confronti di altri soggetti che siano rimasti
estranei al processo penale, pur essendo in
qualche misura collegati alla vicenda penale
(ad esempio, il danneggiato che non si sia
costituito parte civile, la persona offesa dal
reato, il responsabile civile che non sia
intervenuto o non si sia costituito). Sotto il
profilo oggettivo, il vincolo copre solo
l’accertamento dei “fatti materiali” e non
anche la loro qualificazione o valutazione
giuridica, che rimane circoscritta al processo
penale e non può condizionare l’autonoma
valutazione da parte del giudice amministrativo
o civile. Da ciò deriva che l’eventuale
qualificazione giuridica in termini di invalidità
(annullabilità o nullità) che il giudice penale
dovesse
attribuire
al
provvedimento
amministrativo rilevante nella fattispecie di
reato esulerebbe, in quanto tale, dal vincolo del
giudicato, atteso che il giudizio di invalidità
non riguarda l’accertamento del fatto, ma la
sua qualificazione giuridica.
attribuiti all’appellato. Deve infatti ritenersi
che la discrezionalità amministrativa da esercitare nella valutazione dei profili della sicurezza
pubblica attiene in modo particolare al modo in
cui la comunità la percepisce. 7.5. – La misura
di prevenzione adottata nel caso specifico risulta ragionevole e proporzionata alle circostanze
in quanto limitata a vietare il ritorno per tre
anni nella località dove i fenomeni in questione
si sono concentrati e hanno determinato turbamento sociale e dove l’interessato non abita e
non svolge la sua attività lavorativa. 7.6. – Il
provvedimento deve pertanto ritenersi adeguatamente motivato secondo i parametri adottati
ed esposti nei punti precedenti, che consentono
di non considerare rilevanti le inesattezze contenute nel provvedimento in ordine al reddito e
alla dimora dell’interessato, che non costituiscono aspetti determinanti della motivazione”.
Consiglio di Stato Sez. VI 16.7.2015 n. 3556
Giudizio amministrativo - efficacia sentenza
penale irrevocabile di condanna o di
assoluzione.
Nella sentenza del 16.7.2015 n. 3556 la Sesta
Sezione del Consiglio di Stato chiarisce la
portata del vincolo che deriva dal giudicato
penale formatosi sulla sentenza pronunciata
dalla Corte di Cassazione. Ad avviso del
Collegio occorre, a tal proposito, muovere
dall’art. 654 Cod. proc. pen.. In base a tale
previsione, la sentenza penale irrevocabile di
condanna o di assoluzione pronunciata in
seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato:
- nel giudizio civile o amministrativo, quando in
questo si controverta intorno a un diritto o a un
interesse legittimo il cui riconoscimento
dipende dall’accertamento degli stessi fatti
materiali che furono oggetto del giudizio
penale; - nei confronti dell’imputato, della
parte civile e del responsabile civile che si sia
costituito o che sia intervenuto nel processo
penale; - purché i fatti accertati siano stati
ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e
purché la legge civile o amministrativa non
ponga limitazioni alla prova della situazione
soggettive controversa. In disparte la
condizione (negativa), rappresentata dall’assenza di limiti alla prova della situazione
giuridica controversa (limiti che nel processo
amministrativo sono in gran parte venuti meno
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Consiglio di Stato Sez. III 16.7.2015 n. 3567
Codice del Processo amministrativo - nuovo
mandato ad litem per proporre motivi
aggiunti contro un diverso atto della stessa
procedura connesso a quello impugnato in
via principale - esclusione.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con la
sentenza n, 3567 del 16.7.2015 ha statuito che
"non occorre un nuovo mandato ad litem nel
caso di proposizione di motivi aggiunti avverso
un diverso atto della stessa procedura connesso
a quello impugnato in via principale, tenuto
conto che l’art. 1 della l. n. 205 del 21.07.2000
(che ha modificato l’art. 21 della l. 6.12.1971,
n. 1034), ed ora l’art. 43 del c.p.a., hanno
previsto la possibilità di proporre motivi
aggiunti “impugnatori” avverso nuovi atti
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procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
posizioni e la concreta fondatezza della
domanda. Conclude il Collegio, come del resto
l´attenuazione, nel processo amministrativo, del
principio dispositivo non può tradursi in uno
svuotamento dell´onere probatorio (specie
laddove, come nella fattispecie, si faccia valere
un diritto soggettivo nell’ambito di un rapporto
paritetico) e del connesso e pregiudiziale
dovere di allegare, con specificità e precisione,
i fatti costitutivi della domanda.
dello stesso procedimento al fine di concentrare
in un unico giudizio anche le questioni
riguardanti gli altri atti sopravvenuti che
incidono sulla stessa situazione soggettiva già
portata all’attenzione del giudice amministrativo".
Consiglio di Stato Sez. III 8.7.2015 n. 3423
Atto meramente conformativo - definizione
rigorosamente restrittiva.
Il concetto di “atto meramente confermativo”
deve essere definito in modo rigorosamente
restrittivo, in quanto da esso si fa derivare una
severa limitazione alla tutela giurisdizionale di
legittimità. Lo ha stabilito la Terza Sezione del
Consiglio che nella sentenza del 8.7.2015 n.
3423 ha esaminato se nella vicenda in esame la
nuova pronuncia di diniego debba essere
considerata “atto meramente confermativo”
del diniego precedente, il che renderebbe
inammissibile la sua impugnazione.Precisa il
Collegio che è opinione comune che non si
possa
parlare
di
“atto
meramente
confermativo” quante volte il nuovo atto si basi
su una nuova motivazione o comunque abbia
introdotto e discusso nuovi argomenti
motivazionali, pur giungendo alle stesse
conclusioni dell’atto confermato.
Consiglio di Stato Sez. V 15.5.2015 n. 2523
Elezioni - procedimento di autenticazione
delle firme dei cittadini - accettazione candidatura – presentazione liste.
La Sezione ha richiamato il proprio uniforme
indirizzo nel senso che la disciplina delle modalità di autenticazione delle sottoscrizioni in
materia elettorale deve essere rinvenuta essenzialmente nel comma 2, e non già nel comma 1,
dell’art. 21 del d.P.R. n. 445 del 2000. Si precisa nella sentenza che "Il testo letterale dei due
commi non fornisce elementi univoci ai fini
dell’individuazione della normativa applicabile
alla materia di cui si tratta. La soluzione
dell’applicazione del comma 2 riposa tuttavia
sulla delicatezza della funzione che la formalità
dell’autenticazione riveste nel procedimento elettorale (data la speciale esigenza di certezza
che lo caratterizza, quale principale strumento
di attuazione e garanzia del principio democratico), funzione la quale impone che l’autentica
in questo settore sia sottoposta, a salvaguardia
della sua funzione, alle modalità di maggiore
rigore fra quelle previste dall’articolo 21
d.P.R. cit. (l’applicabilità del comma 2
dell’articolo si desume, tra le altre, dalle decisioni della Sezione 3.3.2005, n. 835; 28.1.2005,
n. 187; 24.8.2010 n. 5924; 23.7.2010, n. 4846;
1.3.2011, n. 1272; 16.4.2012 n. 2126;
11.2.2013, n. 779; 31.3.2014, n. 1542). Per
completezza si può peraltro aggiungere, come
ha già fatto il Giudice di prime cure, che la reiezione del motivo di ricorso di parte si imporrebbe, in ogni caso, anche nell’eventualità che
alla fattispecie venisse applicato il comma 1
dell’art. 21 cit.. Questo fa infatti rinvio all’art.
38, comma 3, dello stesso d.P.R., le cui previsioni nel caso concreto non sono state soddisfatte, non essendovi stata sottoscrizione effettuata dall’interessato “in presenza del dipen-
Consiglio di Stato Sez. III 8.7.2015 n. 3426
Processo amministrativo - inammissibilità
ricorso collettivo - mancata specificazione
delle condizioni di legittimazione e di
interesse di ciascuno dei ricorrenti.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 8.7.2015 n. 3426 ha ribadito
l´orientamento espresso dalla Sezione (fra le
più recenti: CdS, Sez. III, n. 111 del 15.1.2014
e n. 2649 del 15.5.2013), a tenore del quale chi
agisce in giudizio a tutela di un proprio diritto
anche in un ricorso collettivo deve indicare e
allegare tutti gli elementi, i dati e i documenti
idonei a sostenere la sua pretesa, domandando
al giudice di accertare in concreto la
sussistenza dei fatti dedotti. Mentre deve
ritenersi inammissibile il ricorso collettivo che
nulla dice in ordine alle condizioni di
legittimazione e di interesse di ciascuno dei
ricorrenti, in quanto ciò impedisce al giudice di
controllare il concreto e personale interesse di
ciascuno di loro, l´omogeneità dello loro
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3 /4- 2015
procedimento amministrativo riforme istituzionali
modulistica ministeriale), avente come unico
possibile significato quello del riscontro, da
parte del pubblico ufficiale, dell´identità del
sottoscrittore mercé la conoscenza personale e
diretta del medesimo; e) l´art. 14, co. 3, l. n. 53
del 1990, non prevede, come unica causa di
nullità, l´anteriorità dell´accettazione della
candidatura e della relativa autenticazione al
centottantesimo giorno precedente il termine
fissato per la presentazione delle candidature,
in quanto quella in esame è, con tutta evidenza,
una nullità aggiuntiva a quelle ordinarie per
inosservanza della forma dell´atto e non già sostitutiva; dunque, ogni argomento circa la prova della non anteriorità di sottoscrizioni e autenticazioni al centottantesimo giorno precedente il termine fissato per la presentazione
delle candidature è inconferente.” 5 Dopo queste prime considerazioni deve essere subito rimarcato che, poiché il comma 2 dell’art. 21 cit.
stabilisce che debbano essere indicate caso per
caso “le modalità di identificazione” del sottoscrittore seguite in concreto, ne consegue che
l’indicazione delle dette modalità costituisce
una parte essenziale dell’autenticazione.
Quest’ultima, pertanto, per poter produrre i
suoi speciali effetti probatori deve essere corredata della precisazione del modo in cui
l´identificazione del sottoscrittore sia avvenuta:
se, cioè, attraverso l’esibizione di uno specifico
documento di riconoscimento, o invece per conoscenza personale (Sez. V, n. 282/2014 cit.;
24.8.2010 n. 5924). Si rivela perciò infondato
anche l’assunto di parte circa la pretesa sufficienza, ai fini del rispetto della norma di riferimento, del dato di fatto per cui un documento
di riconoscimento individuale sia stato, in concreto, rispettivamente richiesto ed esibito (senza dire che non è dato comprendere, in assenza
di un riscontro formale in proposito, da quale
fonte un simile dato potrebbe essere desunto
con la necessaria certezza). 6 Parte appellante
asserisce inoltre (e non senza incorrere in contraddizione) che le autenticazioni su cui verte
la controversia (che assommano a 981) sarebbero state sorrette da identificazioni basate sulla conoscenza diretta e personale dei sottoscrittori da parte dell’ufficiale autenticatore, piuttosto che sull’esibizione di documenti di riconoscimento dei primi al secondo. Il Giudice di
prime cure ha già osservato, peraltro, che non
dente addetto”, né presentazione di “copia fotostatica non autenticata di un documento di
identità del sottoscrittore”. 4 La Sezione, inoltre, di recente, con la sentenza 22.1.2014 n.
282, ha fatto le seguenti, più articolate puntualizzazioni, che meritano senz’altro di essere qui
confermate a tutti gli effetti ai fini della corretta
impostazione della controversia: “a) le invalidità che inficiano il procedimento di autenticazione delle firme dei cittadini che accettano la
candidatura o che presentano come delegati le
liste, non assumono un rilievo meramente formale poiché le minute regole da esse presidiate
mirano a garantire la genuinità delle sottoscrizioni, impedendo abusi e contraffazioni, con la
conseguenza che l´au-tenticazione, seppur distinta sul piano materiale dalla sottoscrizione,
rappresenta un elemento essenziale - non integrabile aliunde - della presentazione della lista
o delle candidature e non un semplice elemento
di prova volto ad evitare che le sottoscrizioni
siano raccolte antecedentemente al 180° giorno
fissato per la presentazione delle candidature;
b) le firme sui modelli di accettazione della
candidatura a cariche elettive e di presentazione delle liste, devono essere autenticate nel rispetto, previsto a pena di nullità, di tutte le
formalità stabilite dall´art. 21, t.u. n. 445 del
2000, sicché la mancata indicazione di tali modalità rende invalida la sottoscrizione; c) sono
elementi essenziali costitutivi della procedura
di autenticazione: l´appo-sizione del timbro,
l´indicazione del luogo e della data della sottoscrizione del pubblico ufficiale procedente, le
modalità di identificazione del sottoscrittore,
l´accertamento
della
sua
identità
e
dell´apposizione della sottoscrizione in sua
presenza, il nome, il cognome e la qualifica rivestita dal pubblico ufficiale che procede
all´autenticazione,
la
legittimazione
di
quest´ultimo (da rinvenirsi anche aliunde e non
necessariamente all´interno della autenticazione), infine, la redazione della autenticazione di
seguito alla sottoscrizione; d) le modalità di identificazione sono le seguenti: I) "per esibizione di valido documento di identità con indicazione degli estremi del documento stesso"; II)
"per conoscenza personale"; quest´ultima modalità è da ritenersi assolta ed integrata attraverso l´uso della dicitura "della cui identità sono certo" (non a caso inserita nella pertinente
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3 /4- 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
risulta che nel caso di specie sia stata osservata, in relazione alle firme ritenute non computabili dall’Organo elettorale, alcuna delle due
possibili modalità alternative di autenticazione.
E con il presente appello non sono state fornite
risultanze a sostegno delle pur asserite condizioni di “conoscenza diretta”, non essendo stato offerto alcun elemento idoneo a corroborare
la mera illazione che nelle fattispecie esistesse
una conoscenza personale tra l’autenticante e i
sottoscrittori, la quale non emerge dagli atti del
procedimento (le cui lacune non possono essere
colmate nemmeno dalla dichiarazione postuma
presentata all’odierna udienza).
7a Alla luce delle considerazioni introduttive di
questa motivazione è poi evidente, passando ad
altro profilo dell’appello, che la violazione delle prescrizioni dettate dall’art. 21 co. 2 d.P.R.
n. 445/2000 comporti, in base ai principi illustrati, la nullità delle sottoscrizioni inficiate
dalle attestazioni viziate: e questo indipendentemente dalla circostanza che la modulistica
impiegata potesse eventualmente non richiamare l’attenzione sull’adempimento in concreto
omesso.
7b Non vale nemmeno opporre che non esisterebbe una specifica comminatoria legislativa a
presidio della violazione accertata.
Come questa Sezione ha già osservato - da ultimo - in occasione della già citata sentenza n.
282/2014, le firme sui modelli di accettazione
della candidatura a cariche elettive e di presentazione delle liste devono essere autenticate nel
rispetto, da intendersi previsto a pena di nullità, di tutte le formalità stabilite dall´art. 21, t.u.
n. 445 del 2000, sicché la mancata indicazione
delle dette modalità rende invalida la sottoscrizione dell’interessato.
La nullità contemplata dall´art. 14, co. 3, l. n.
53 del 1990, d’altra parte, costituisce solo una
nullità aggiuntiva a quelle ordinarie per inosservanza della forma dell´atto, e non già sostitutiva di quelle.
7c Né l’esistenza della nullità oggetto di causa
potrebbe essere esclusa mediante il richiamo
fatto dagli appellanti alle regole di interpretazione autentica dettate dall’art. 1, co. 2, del d.l.
n. 29/2010, dal momento che quest’ultimo decreto non risulta essere stato convertito in legge.".
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Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
USO DEL TERRITORIO:
URBANISTICA, AMBIENTE E PAESAGGIO
NOTIZIE E AGGIORNAMENTI
MISURAZIONE
DELLA
QUALITÀ
DELL´ARIA: IN GAZZETTA UFFICIALE IL DECRETO SUI METODI DI
VALUTAZIONE
COMUNITARIO PER LO SCAMBIO DI
QUOTE DI EMISSIONE DI GAS A
EFFETTO SERRA: IN G.U. IL D.LGS.
2.7.2015, N. 111
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
128 del 5.6.2015 il decreto 5.5.2015 del
Ministero dell´Ambiente e della tutela del
territorio e del mare recante "Metodi di
valutazione delle stazioni di misurazione
della qualita´ dell´aria di cui all´art. 6 del
d.lgs. 13.8.2010, n. 155" (Decreto del
Ministero dell'Ambiente in G.U. n. 128 del
5.6.2015).
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
168 del 22.7.2015 il d.lgs. n. 111 del 2.7.2015
recante “Disposizioni correttive ed integrative al d.lgs. 13.3.2013, n. 30, recante attuazione della direttiva 2009/29/ce che modifica
la direttiva 2003/87/ce al fine di perfezionare
ed estendere il sistema comunitario per lo
scambio di quote di emissione di gas a effetto
serra”.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli artt. 76 e 87 della Cost.;
Vista la l. 4.6.2010, n. 96, recante disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti
dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee - Legge comunitaria 2009, e, in particolare, l’art. 1, co. 5;
Visto il d.lgs. 13.3.2013, n. 30, recante attuazione della direttiva 2009/29/CE che modifi
ca la direttiva 2003/87/CE al fi ne di perfezionare ed estendere il sistema comunitario
per lo scambio di quote di emissione di gas a
effetto serra;
Visto il reg. (UE) n. 389/2013 della Commissione del 2.5.2013 che istituisce un registro
dell’Unione conformemente alla direttiva
2003/87/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, alle decisioni n. 280/2004/CE e n.
406/2009/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio che abroga i regolamenti (UE) n.
920/2010 e n. 1193/2011 della Commissione;
Visto il reg. (UE) n. 1123/2013 della Commissione dell’8.11.2013 relativo alla determinazione dei diritti di utilizzo di crediti internazionali a norma della direttiva
2003/87/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio;
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MODALITÀ DI RACCOLTA ED ELABORAZIONE DEI DATI PER L’APPLICAZIONE DEGLI INDICATORI
PREVISTI DAL PIANO D’AZIONE
NAZIONALE PER L’USO SOSTENIBILE DEI PRODOTTI FITOSANITARI: IN
G.U. IL D.INTERM. 15.7.2015
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
172 del 27.07.2015 il Decreto interministeriale recante “Modalità di raccolta ed elaborazione dei dati per l’applicazione degli indicatori previsti dal piano d’azione nazionale
per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari”
(D. interm. 15.07.2015 in G.U. n. 127 del
15.07.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
DISPOSIZIONI CORRETTIVE ED INTEGRATIVE AL D.LGS. 13.3.2013, N. 30,
RECANTE ATTUAZIONE DELLA DIR.
2009/29/CE CHE MODIFICA LA DIR.
2003/87/CE AL FINE DI PERFEZIONARE ED ESTENDERE IL SISTEMA
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
mento detto operatore non abbia prodotto
emissioni attribuibili all’Italia, per cui non è
più considerato ‘operatore aereo amministrato dall’Italià per il periodo di riferimento
successivo;
3) l’operatore aereo, diverso da quello di cui
ai numeri 1) e 2) e non in possesso di una licenza d’esercizio valida rilasciata da uno
Stato Membro, le cui emissioni provenienti
dalle attività di trasporto aereo, stimate per i
primi due anni del periodo di riferimento
precedente, siano per la maggior parte attribuibili all’Italia;”;
c) dopo la lett. ff) sono inserite le seguenti:
“ff - bis ) ‘anno di riferimento’: ai fi ni della
defi nizione di cui alla lett. ff) , numero 2),
per gli operatori aerei che hanno iniziato ad
operare nella Comunità dopo il 1.1.2006, il
primo anno civile di esercizio, in tutti gli altri
casi l’anno civile che decorre dal 1.1. 2006:
f -ter ) ‘periodo di riferimento’: ai fi ni della
defi - nizione di cui alla lett. ff) , numeri 2) e
3), il periodo compreso tra il 1.1.2012 e il
31.12.2012, e ciascuno dei successivi periodi
di otto anni a partire dal 1.1.2013;”.
2. All’art. 4 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, sono
apportate le seguenti modifi cazioni:
a) dopo il co. 1 è inserito il seguente: “1 -bis
. Il Comitato di cui al co. 1 è composto da un
Consiglio direttivo e da una Segreteria tecnica. Il Consiglio direttivo è l’organo deliberante del Comitato; per l’istruttoria delle attività di cui al presente articolo il Consiglio
direttivo si avvale della Segreteria Tecnica.”;
b) al co. 4, dopo la lett. o) è inserita la seguente: “o -bis ) redigere ed aggiornare annualmente una lista di operatori aerei amministrati dall’Italia, avvalendosi anche
dell’elenco degli operatori aerei di cui
all’art. 3, co. 1, lett. q) ;”;
c) il co. 6 è soppresso;
d) al co. 8:
1) dopo le parole: “da nove membri” sono
inserite le seguenti: “di comprovata esperienza nei settori interessati dal presente decreto”;
2) dopo le parole: “tre nominati dal Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare” sono inserite le seguenti: “, compreso il presidente,”;
3) dopo le parole: “Ministro dello sviluppo
economico”, sono inserite le seguenti: “,
Visto il reg. (UE) n. 421/2014 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16.4.2014 recante modi- fi ca della direttiva 2003/87/CE che
istituisce un sistema per lo scambio di quote
di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, in vista dell’attuazione, entro il 2020,
di un accordo internazionale che introduce
una misura mondiale unica basata sul mercato da applicarsi alle emissioni del trasporto
aereo internazionale;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del
27.3.2015;
Acquisito il parere dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e di Bolzano
reso nella seduta del 7.5.2015;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 26.06.2015;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri e del Ministro dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della
cooperazione internazionale, della giustizia,
dell’economia e delle fi nanze, dello sviluppo
economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
EMANA
il seguente d.lgs.:
Art. 1.
Modifiche al d.lgs. 13.3.2013, n. 30
1. All’art. 3, co. 1, del d.lgs. 13.3.2013, n. 30,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lett. t) le parole: “detiene o gestisce”
sono sostituite dalle seguenti: “gestisce o
controlla”;
b) la lett. ff) è sostituita dalla seguente: “ff)
‘operatore aereo amministrato dall’Italià:
1) l’operatore aereo in possesso di una licenza d’esercizio valida rilasciata dall’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC);
2) l’operatore aereo, diverso da quello di cui
al numero 1) e non in possesso di una licenza
d’esercizio valida rilasciata da un altro Stato
Membro, le cui emissioni provenienti dalle
attività di trasporto aereo, stimate per l’anno
di riferimento, siano per la maggior parte attribuibili all’Italia; viene fatto salvo il caso in
cui nei primi due anni del periodo di riferiGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
Ambito di applicazione
1. Le disposizioni del presente capo si applicano, salvo quanto previsto al co. 2,
all’assegnazione e al rilascio di quote per le
attività di trasporto aereo elencate all’all. I
svolte da un operatore aereo amministrato
dall’Italia, come defi nito all’art. 3, co. 1,
lett. ff) .
2. Salva diversa disposizione, sono comunque
escluse dall’ambito di applicazione del presente capo le attività di volo effettuate con
aeromobili di cui all’art. 744, primo e quarto
co. del c.nav.”.
4. All’art. 7 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
1, secondo e terzo periodo, le parole: “anno
di riferimento”, sono sostituite dalle seguenti: “anno di controllo”.
5. All’art. 8 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
1, lettere a) e b) , e al co. 3, lett. c) , numeri
1), 2) e 3), le parole: “anno di riferimento”
sono sostituite dalle seguenti: “anno di controllo”.
6. All’art. 19, co. 1, del d.lgs. 13.3.2013, n.
30, prima delle parole: “La messa all’asta”
sono inserite le seguenti: “A decorrere
dall’anno 2013,”.
7. All’art. 24 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al
co. 4, ultimo periodo, le parole: “tre mesi”
sono sostituite dalle seguenti: “sei mesi”.
8. All’art. 25 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al
co. 3, le parole: “ha facoltà di comunicare al
Comitato” sono sostituite dalle seguenti:
“comunica al Comitato”.
9. All’art. 26 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al
co. 1 le parole: “comporta le seguenti conseguenze” sono sostituite dalle seguenti: “comporta una delle seguenti conseguenze”.
10. All’art. 29 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, il
co. 3 è sostituito dal seguente: “3. Ai fi ni
dell’adempimento dell’obbligo di restituzione
per il periodo 2013-2020, i gestori degli impianti esistenti, degli impianti nuovi entranti
e gli operatori aerei amministrati dall’Italia
possono utilizzare crediti, CERs ed ERUs che
rispettano i criteri qualitativi sanciti dall’art.
11 - bis , paragrafi da 2 a 4, della direttiva
2003/87/CE e fi no alla quantità stabilita con
deliberazione del Comitato, sulla base di
quanto stabilito dallo stesso art. 11 -bis e, in
particolare, dalle misure adottate dalla
Commissione europea ai sensi dello stesso
articolo.”.
compreso il vicepresidente,”;
4) è aggiunto, in fi ne, il seguente periodo: “I
membri con funzioni consultive non hanno diritto di voto e non sono considerati ai fi ni del
quorum costitutivo e deliberativo del Consiglio direttivo. I membri del Consiglio direttivo rimangono in carica quattro anni.”;
e) il co. 9 è soppresso;
f) al co. 10 le parole: “composta da ventitré
membri” sono sostituite dalle seguenti:
“composta da ventidue membri.”;
g) dopo il co. 10 è inserito il seguente: “10 bis . I curricula dei membri del Consiglio direttivo di cui al co. 8 e della Segreteria tecnica di cui al co. 10 sono resi pubblici sul sito
del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare.”;
h) al co. 11 è aggiunto, in fi ne, il seguente
periodo: “Il regolamento disciplina in particolare le audizioni dei soggetti interessati, le
forme di pubblicità delle convocazioni del
Consiglio direttivo e della Segreteria tecnica,
dei relativi ordini del giorno, degli atti e delle
decisioni, nonché i lavori della Segreteria
tecnica in gruppi istruttori.”;
i) al co. 12 le parole: “Il Comitato di cui al
co. 1” sono sostituite dalle seguenti: “Il Consiglio direttivo di cui al co. 8”;
l) al co. 13 le parole: “Il Comitato di cui al
co. 1” sono sostituite dalle seguenti: “La Segreteria tecnica, su indicazione del Consiglio
direttivo”;
m) al co. 15 le parole: “del predetto Comitato e” sono soppresse;
n) dopo il co. 15 sono inseriti i seguenti:
“15-bis. Agli eventuali compensi e rimborsi
spese ai membri del Comitato si provvede a
valere sui proventi delle aste ai sensi dell’art.
19, co. 6, lett. i) .
15-ter.
Con
decreto
del
Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e
del mare di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro dell’economia
e delle fi nanze sono stabilite le modalità di
corresponsione e di determinazione dei compensi e dei rimborsi spese per i componenti
del Comitato e la relativa durata, in modo da
garantire l’invarianza dei saldi di fi - nanza
pubblica.”.
3. L’art. 5 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, è sostituito dal seguente:
“Art. 5.
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
cui le informazioni di cui al co. 9, verifi cate
ai sensi delle disposizioni di cui all’art. 22,
co. 2, risultino incongruenti, il gestore
dell’impianto è soggetto ad una sanzione
amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a
100.000 euro aumentata, per ciascuna quota
indebitamente rilasciata, di una somma pari
a tre volte il valore medio della quota di biossido di carbonio nel quadrimestre da gennaio
ad aprile dell’anno in corso fi no ad un massimo di 100 euro per ciascuna quota.
All’accertamento della violazione consegue,
in ogni caso, l’obbligo per il gestore di trasferire nel conto unionale di cui all’art. 53,
paragrafo 4, del reg. (CE) n. 389/2013 una
quantità di quote di emissione pari alle quote
indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co. 6 in caso di mancata ottemperanza dell’obbligo di restituzione delle
quote.”;
e) dopo il co. 10 sono inseriti i seguenti: “10
-bis . Salvo che il fatto costituisca reato, la
violazione dell’art. 38, co. 4, è punita con
una sanzione amministrativa pecuniaria da
1000 euro a 5000 euro, aumentata di 20 euro
per ciascuna tonnellata di biossido di carbonio emessa in eccesso, ciascun anno, rispetto
a quelle determinate con la metodologia, approvata dalla Commissione europea, di cui al
co. 5 del medesimo art. 38. All’accertamento
della violazione consegue, in ogni caso,
l’obbligo di corrispondere il pagamento o la
restituzione in EUA delle tonnellate di biossido emesse in eccesso.
10-ter . Salvo che il fatto costituisca reato, il
gestore dell’impianto di ridotte dimensioni di
cui all’art. 38 è soggetto ad una sanzione pecuniaria da 1000 euro a 5000 euro, qualora
ometta di:
a) inviare il Piano di monitoraggio entro 30
giorni dalla formale richiesta del Comitato;
b) comunicare al Comitato il Piano di monitoraggio aggiornato entro 30 giorni dal verifi
carsi di modifi che dell’identità del gestore,
ampliamenti o riduzioni della capacità produttiva dell’impianto superiori al 20 per cento, modifi che alla natura e al funzionamento
dell’impianto nonché modifi che signifi cative
al sistema di monitoraggio da valutarsi conformemente ai principi di cui all’art. 15 del
reg. (UE) n. 601/2012;
c) inviare la comunicazione delle emissioni
11. All’art. 36 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, sono apportate le seguenti modifi cazioni:
a) il co. 7 è sostituito dal seguente: “7. La
sanzione di cui al co. 6 si applica anche alle
quote di biossido di carbonio emesse e non
monitorate in conseguenza di omissioni o false informazioni in applicazione dell’art. 16.”;
b) il co. 8 è sostituito dal seguente: “8. Salvo
che il fatto costituisca reato, il gestore
dell’impianto munito di autorizzazione alle
emissioni di gas ad effetto serra che non fornisce le informative e le comunicazioni ai
sensi degli artt. 16, 24, co. 3, 25 e 26 è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro aumentata, per ciascuna quota indebitamente rilasciata, di una somma pari a tre volte il valore
medio della quota di biossido di carbonio nel
quadrimestre da gennaio ad aprile dell’anno
in corso fi no ad un massimo di 100 euro per
ciascuna quota. All’accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l’obbligo per il
gestore di trasferire nel conto unionale di cui
all’art. 53, paragrafo 4, del reg. (CE) n.
389/2013 una quantità di quote di emissione
pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co. 6 in caso di
mancata ottemperanza dell’obbligo di restituzione delle quote.”;
c) il co. 9 è sostituito dal seguente: “9. Salvo
che il fatto costituisca reato, nel caso in cui le
informazioni di cui all’art. 7 delle misure
comunitarie per l’assegnazione risultino false
o non veritiere il gestore dell’impianto è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro aumentata, per ciascuna quota indebitamente rilasciata, di una somma pari a tre volte il valore
medio della quota di biossido di carbonio nel
quadrimestre da gennaio ad aprile dell’anno
in corso fi no ad un massimo di 100 euro per
ciascuna quota. All’accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l’obbligo per il
gestore di trasferire nel conto unionale di cui
all’art. 53, paragrafo 4, del reg. (CE) n.
389/2013 una quantità di quote di emissione
pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co. 6 in caso di
mancata ottemperanza dell’obbligo di restituzione delle quote.”;
d) il co. 10 è sostituito dal seguente: “10.
Salvo che il fatto costituisca reato, nel caso in
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Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
di gas a effetto serra entro il 30 aprile di ciascun anno.”;
f) dopo il co. 13 è aggiunto il seguente: “13 bis . Gli operatori aerei, soggetti alla disciplina di cui al presente d.lgs., eleggono domicilio nel territorio della Repubblica italiana, anche ai fi ni dell’individuazione della
competenza territoriale di cui al co. 12.”.
12. All’art. 38 del d.lgs. 13.03.2013, n. 30,
sono apportate le seguenti modifi cazioni:
a) al co. 1, lett. c) , sono aggiunte, in fi ne, le
seguenti parole: “che applicano le misure di
cui ai commi 3 e 4.”;
b) il co. 2 è sostituito dal seguente: “2. Gli
impianti di cui al co. 1, lettere a) e b) , esclusi
ai sensi del medesimo co. che, in uno degli
anni del periodo 2013-2020, emettono più di
25000 tCO 2eq. rientrano nel sistema comunitario per lo scambio delle quote di emissione di gas ad effetto serra di cui alla direttiva
2003/87/ CE e non possono essere oggetto di
ulteriore esclusione. La verifi ca è fatta sulla
base della comunicazione annuale delle emissioni di cui al co. 6, lett. a) .”;
c) dopo il co. 2 è inserito il seguente: “2 -bis
). Allorché un impianto rientra nuovamente
nel sistema comunitario per lo scambio delle
quote di emissione di gas a effetto serra, le
quote assegnate a norma dell’art. 21 sono rilasciate a decorrere dall’anno del rientro.”;
d) al co. 4, secondo periodo, dopo le parole:
“su base biennale” sono inserite le seguenti:
“a partire dal 30.06.2015”;
13. Al co. 2 dell’art. 41 del d.lgs. 13.3.2013,
n. 30, dopo le parole: “I costi delle attività di
cui”, sono inserite le seguenti: “all’art. 4, co.
4, lett. o -bis ),”.
14. All’All. I “Categorie di attività relative
alle emissioni di gas serra rientranti nel
campo di applicazione del presente decreto”
sono apportate le seguenti modifi cazioni:
a) prima del punto 1 è inserito il seguente:
“01. Gli impianti o le parti di impianti utilizzati per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi prodotti e processi e gli impianti che utilizzano esclusivamente biomassa
non rientrano nel presente decreto.”;
b) il punto 3 è sostituito dal seguente: “3. Se
una unità serve per un’attività per la quale la
soglia non è espressa come potenza termica
nominale totale, la soglia espressa come capacità di produzione di tale attività è prioritaria per la decisione in merito all’inclusione
nel campo di applicazione del presente decreto.”.
Art. 2.
Disposizioni finanziarie
1. Dall’attuazione del presente decreto non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della fi nanza pubblica. Le amministrazioni ed i soggetti pubblici interessati provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, strumentali e
fi nanziarie disponibili a legislazione vigente.
Art. 3.
Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta uffi ciale degli atti normativi della Repubblica
italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare (D.lgs.
2.7.2015, n. 111 in Gazzetta Ufficiale n. 168
del 22.7.2015).
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Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
procedimento amministrativo
- riforme istituzionali
REDAZIONALI
LA V.I.A. E L’AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA IN TEMA DI IMPIANTI DA FONTI RINNOVABILI: DUE NORME
A CONFRONTO, ALLA LUCE DEL RECENTE INTERVENTO DEL TAR PUGLIA
della Dott.ssa Francesca Romana Marcacci Balestrazzi
In tema di “autorizzazione unica” agli impianti da fonti rinnovabili (ex art. 12, d.lgs. n.
387/2003), il via libera alla Valutazione di impatto ambientale (Via) non comprende
l’autorizzazione paesaggistica: quest’ultima - salvo leggi regionali di coordinamento - è sempre
atto autonomo a tutela dei beni culturali.
On the subject of "single authorization" for renewable energy installations (art. 12, d.lgs. n.
387/2003), the green light to the environmental impact assessment (EIA) does not include the
landscape authorization: unless all federal coordination, is always act independently to protect
cultural heritage.
Sommario: 1. Brevi cenni sulla V.I.A.. 2. Brevi cenni sull’autorizzazione paesaggistica. 3. Un ibrido: l’autorizzazione unica agli impianti da fonti rinnovabili ex art. 12, d.lgs. n. 387/2003. 4.
Zone vincolate e impianti per fonti rinnovabili. 5. Impianti da fonti rinnovabili e tutela del paesaggio: le oscillazioni della giurisprudenza amministrativa. 6. Intervento chiarificatore del giudice amministrativo in tema di autorizzazione unica agli impianti da fonte rinnovabile.
rantire l'uso plurimo delle risorse1.
I concetti fondamentali alla base della procedura di VIA (già definiti nella Direttiva
85/337/CEEdel Consiglio delle Comunità europee del 27.6.1985) sono: la prevenzione (analisi di tutti i possibili impatti derivati dalla
realizzazione dell’opera/progetto, al fine non
solo di salvaguardare ma anche di migliorare la qualità dell’ambiente e della vita);
l’integrazione (analisi di tutte le componenti
ambientali e delle interazioni fra i diversi effetti possibili (effetti cumulativi); il confronto
1.Brevi cenni sulla V.I.A. (Valutazione
di impatto ambientale).
La Valutazione di Impatto Ambientale è
una procedura tecnico-amministrativa che ha
lo scopo di individuare, descrivere e valutare,
in via preventiva alla realizzazione delle opere, gli effetti sull'ambiente bio-geofisico, sulla
salute e benessere umano di determinati progetti pubblici o privati, nonché di identificare
le misure atte a prevenire, eliminare o rendere
minimi gli impatti negativi sull’ambiente,
prima che questi si verifichino effettivamente.
L'attuazione della procedura di V.I.A. mira
dunque a proteggere e migliorare la qualità
della vita, mantenere integra la capacità riproduttiva degli ecosistemi e delle risorse,
salvaguardare la molteplicità delle specie,
promuovere l'uso di risorse rinnovabili, ga-
Gazzetta Amministrativa
1
Cfr. L. Costato, F. Pellizzer, Commentario breve al
Codice dell'ambiente, 2007; E. Boscolo, La
valutazione degli effetti sull'ambiente di piani e
programmi: dalla VIA alla VAS, in Urb. e Appalti,
10/2002; L. De Vito, La Direttiva 2001/41/CE
concernente gli effetti di determinati Piani e
Programmi sull'Ambiente. Analisi dello stato di
attuazione e dell'approccio metodologico, in
Amministrazione in cammino.
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
(dialogo e riscontro tra chi progetta e chi autorizza nelle fasi di raccolta, analisi ed impiego di dati scientifici e tecnici); la partecipazione (apertura del processo di valutazione
all’attivo contributo dei cittadini in un’ottica
di maggiore trasparenza2.
La valutazione d'impatto ambientale riguarda i progetti che possono avere impatti
significativi e negativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale (d.lgs. 152/2006, art. 6, co.
5).
Per quanto riguarda il suo ambito di applicazione, la procedura di VIA nazionale, di
competenza del Ministero dell'Ambiente, si
applica ai progetti di opere dei quali all'art. 7,
co. 3 e all'all. II del d.lgs.. 152/063.
Sono sottoposti a VIA secondo le disposizioni delle leggi regionali, i progetti di cui
all'all. III (assoggettati a procedura di VIA
regionale) e all'all. IV (progetti da sottoporre
obbligatoriamente a procedura di verifica per
l'assoggettamento a VIA - screening) del
d.lgs. 152/06.
Nel caso di ubicazione, anche parziale, dei
progetti elencati nei suddetti allegati in area
naturale protetta (ex L. 394/91 - Legge quadro sulle aree protette) è prevista: la riduzione
del 50% delle soglie dimensionali, ove previste, per i progetti di cui agli Allegati III e IV
del nuovo d.lgs.; l'assoggettamento alla procedura di VIA regionale per i progetti delle
sole opere/interventi di nuova realizzazione di
cui all'All. IV.
può essere rilasciato il permesso di costruire
ed è sospesa l'efficacia della denuncia di inizio attività4.
Nel procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica è prevista inoltre l'acquisizione del parere della Commissione edilizia ambientale.
L'Autorizzazione Paesaggistica, in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 4 co. 11
del d.P.R. del 9.7.2010, n. 139 ed ai sensi del
d.P.R. 160/2010 – d.p.r.a 7.9.2010, n. 160 è
immediatamente efficace dalla data del suo
rilascio5.
L'Autorizzazione Paesaggistica è valida
per 5 anni dalla data di rilascio.
Decorso questo termine, se i lavori non
sono stati eseguiti, deve essere richiesta una
nuova autorizzazione.
Fino al 31.12.2009, l’autorizzazione paesaggistica era emanata dal Comune (delegato
dalla Regione), previa valutazione della compatibilità dell’intervento; la valutazione veniva inviata alla Soprintendenza che, entro 60
giorni, poteva eventualmente annullarla per
vizi di legittimità degli atti.
Si ricorda, inoltre, che il parere della Soprintendenza è obbligatorio ma non vincolante solo nel caso in cui le Regioni abbiano approvato un piano paesaggistico.
Finora meno di 10 Regioni hanno firmato
con il Ministero dei Beni culturali un’intesa
per redigere le norme di tutela del paesaggio.
Si nota come il legislatore, con
l’intervento del decreto sblocca Italia (d.l.
12.9.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164), abbia introdotto rilevanti novità anche all’interno del
Codice dei beni culturali e del paesaggio. In
particolare l’art. 25 del d.l. 12.9.2014, n. 133,
convertito, con modificazioni, dalla l.
11.11.2014, n. 164, modifica il co. 9, dell’art.
146, del citato d.lgs. n. 42 del 2004, eliminando il ricorso alla conferenza di servizi,
qualora il soprintendente abbia reso il prescritto parere e, in sostituzione, prescrive che
2.Brevi cenni sull’autorizzazione paesaggistica.
Si tratta di un provvedimento che viene
emesso a seguito della presentazione di apposita domanda, secondo il procedimento previsto dall'art. 146 del d.lgs. 42/2004 in vigore
dal 1.01.2010.
Sino alla conclusione del procedimento di
rilascio dell'autorizzazione paesaggistica non
2
Sul punto si veda T. Bellei, VIA e strumenti di
pianificazione del territorio nel TUA prima e dopo il
d.lgs. n. 4/2008, in Ambiente&Sviluppo, 2/2009, 134.
3
V. F. Bregant, L. Butti, M. Franco et al., La
normativa italiana sui rifiuti, Milano, 1999. Se
l'autorizzazione all'impianto è stata data senza la VIA,
occorre che la VIA sia espletata in sede di rinnovo
dell'autorizzazione: Cons. Stato, Sez. IV, 31.8.2004, n.
5715, in www.giustizia-amministrativa.it.
Gazzetta Amministrativa
4
G.F. Cartei, L’autorizzazione paesaggistica nel
codice dei beni culturali, in Giorn. Dir. Amm., 2004,
p.127.
5
Cfr. M. Immordino, Vincolo paesaggistico e regime
dei beni, Padova, 1991; W. Cortese, I beni culturali e
ambientali, profili normativi, Padova, 1999.
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Numero 3 /4- 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente
senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente provvede
comunque sulla domanda di autorizzazione6.
Nello Sblocca Italia le procedure per
l’autorizzazione paesaggistica prevedono che
la realizzazione di interventi nelle aree sottoposte a tutela del paesaggio è subordinata alla
preventiva acquisizione di specifica autorizzazione paesaggistica da parte delle autorità
competenti al suo rilascio.
Per il rilascio del permesso di costruire, lo
sportello unico per l’edilizia, ai sensi dell’art.
5, co. 3, d.P.R. n. 380 del 2001, come sostituito dall’art. 13, co. 2, lett. a), punto 2, l.
7.8.2012, n. 134, acquisisce direttamente o
mediante conferenza di servizi, il parere
dell’autorità competente in materia beni culturali e del paesaggio.
L’esecuzione di interventi sui beni soggetti
a tutela è subordinata alla preventiva acquisizione di specifica autorizzazione paesaggistica, rilasciata dall’autorità competente, nelle
forme e procedure previste dal d.lgs.
22.1.2004, n. 42, nel testo vigente.
Secondo le indicazioni dello Sblocca Italia, l’amministrazione competente esamina la
domanda di autorizzazione, verifica la conformità dell’intervento alle prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di
interesse pubblico e nei piani paesaggistici.
Decorsi inutilmente sessanta giorni dalla
ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente provvede
comunque sulla domanda di autorizzazione.
L’autorizzazione paesaggistica costituisce
atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio.
Fuori dai casi previsti, l’autorizzazione
non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale,
degli interventi.
L’autorizzazione paesaggistica è efficace
per un periodo di cinque anni, scaduto il quale l’esecuzione dei progettati lavori deve es-
sere sottoposta a nuova autorizzazione7.
I lavori iniziati nel corso del quinquennio
di efficacia dell’autorizzazione paesaggistica
possono essere conclusi entro, e non oltre,
l’anno successivo la scadenza del quinquennio medesimo.
Infine, secondo le novità dello Sblocca Italia, il termine di efficacia dell’autorizzazione
decorre dal giorno in cui acquista efficacia il
titolo edilizio eventualmente necessario per la
realizzazione dell’intervento, a meno che il
ritardo in ordine al rilascio e alla conseguente
efficacia di quest’ultimo non sia dipeso da
circostanze imputabili all’interessato.
6
7
3.Un ibrido: l’autorizzazione unica agli
impianti da fonti rinnovabili ex art. 12,
d.lgs. n. 387/2003.
La Direttiva europea 2009/28/CE, al fine
di favorire lo sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili, ha richiesto agli Stati Membri di
far sì che le procedure autorizzative siano
proporzionate e necessarie, nonché semplificate e accelerate al livello amministrativo adeguato. La recente approvazione delle Linee
Guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili e del
d.lgs. 28/2011 di recepimento della Direttiva
europea 28, nel rispondere a tale intento, ha
ridefinito l'intero quadro delle autorizzazioni
per gli impianti a fonti rinnovabili in Italia.
Le Linee Guida approvate con il d.m.
10.9.2010, pur nel rispetto delle autonomie e
delle competenze delle amministrazioni locali, sono state emanate allo scopo di armonizzare gli iter procedurali regionali per l'autorizzazione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti energetiche
rinnovabili (FER).
Il d.lgs. 28 del 3.3.2011 ha introdotto misure di semplificazione e razionalizzazione
dei procedimenti amministrativi per la realizzazione degli impianti a fonti rinnovabili, sia
per la produzione di energia elettrica che per
la produzione di energia termica.
Tra gli iter procedurali previsti dalla normativa vigente per la realizzazione di impianti alimentati a fonti rinnovabili vi è, appunto,
G. C. MENGOLI, Manuale di diritto urbanistico,
Giuffré, Milano, 2009, p. 554.
Gazzetta Amministrativa
M. G. MAZZA, Il procedimento edilizio: gestione,
legittimità e responsabilità, Halley, 2004, p. 64.
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
rere alle energie rinnovabili anche nelle cosiddette zone vincolate8.
La
Sopraintendenza,
per
negare
l’installazione di un impianto fotovoltaico,
deve motivarne l’incompatibilità con il paesaggio e questo non sempre è così facile.
la c.d. autorizzazione unica.
L’autorizzazione Unica (AU) è un provvedimento introdotto dall'art. 12 del d.lgs. n.
387/2003 per l'autorizzazione di impianti di
produzione di energia elettrica alimentati da
FER, al di sopra di prefissate soglie di potenza.
L'AU, rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della Conferenza dei Servizi alla quale partecipano tutte
le amministrazioni interessate, costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto e, ove
necessario, diventa variante allo strumento
urbanistico.
Il procedimento unico ha durata massima
pari a 90 giorni al netto dei tempi previsti per
la procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), laddove necessaria. La competenza per il rilascio dell'Autorizzazione Unica è in capo alle Regioni o alle Province da
esse delegate.
5.Impianti da fonti rinnovabili e tutela
del paesaggio: le oscillazioni della giurisprudenza amministrativa.
Assai numerose sono le pronunce della
giurisprudenza amministrativa relative a dinieghi opposti alla realizzazione di impianti
da fonti rinnovabili, motivati sulla base di esigenze di tutela del paesaggio.
Nell’ottica di una sua tutela estensiva, si
ripota come esempio il fatto che è stato recentemente affermato, ai sensi dell’art. 152 del
Codice dei beni culturali ed ambientali, come
la Regione può legittimamente negare, su parere
contrario
della
Soprintendenza,
l’autorizzazione per la costruzione di aerogeneratori ricadenti in zona non sottoposta a
vincolo paesaggistico, ma contermine ad una
porzione di territorio inserita, per la sua valenza naturalistica, nell’elenco dei siti
d’importanza comunitaria (SIC), ai sensi della direttiva 1992/43/CEE per la conservazione
degli habitat naturali9.
I maggiori contrasti si sono tuttavia registrati in ordine al contemperamento tra tutela
paesaggistica e sviluppo delle energie rinnovabili. Sul punto, possono individuarsi due
tesi contrapposte: secondo un primo orientamento, il bene-paesaggio non può legittimamente ricevere tutela assoluta e mono settoriale a discapito di altri beni-valori costituzionalmente rilevanti: ciò contrasterebbe con
i principi di uno Stato sociale pluralista e con
gli obblighi provenienti dal diritto internazionale pattizio; toccherebbe, in tal caso, al giudice amministrativo esercitare un sindacato
“forte” sul cattivo uso della discrezionalità
tecnica ed amministrativa da parte delle Soprintendenze; queste ultime non potrebbero
circoscrivere la propria istruttoria al limitato
profilo della bellezza dei luoghi, ma dovrebbero opportunamente farsi carico, già in sede
4.Zone vincolate e impianti per fonti
rinnovabili
Nel nostro paese sono molte le cosiddette
zone vincolate dove per qualsiasi intervento
edile bisogna sottostare a severe regole, anche
se si tratta di trasformazioni come
l’installazione di un impianto fotovoltaico. In
questo contesto si parla spesso di integrazione
architettonica del fotovoltaico con specifiche
tecnologie in grado di non “sconvolgere” il
paesaggio.
Quando si desidera installare un impianto
fotovoltaico su un edificio posto in una zona
vincolata da un punto di vista paesaggistico,
ambientale o storico artistico, per procedere
all’impianto non bisogna limitarsi alla segnalazione presso gli uffici del comune ma bisogna ottenere il nulla osta preventivo dalla rispettiva Soprintendenza competente.
Tale aspetto normativo genera molte difficoltà attuative, tanto che in molti contesti risulta difficile far conciliare la necessità di ricorrere all’energia pulita con quella di preservare i bene paesistici in quanto ci si ritrova
spesso di fronte alla negazione del nulla osta
da parte della Soprintendenza.
Nel settembre del 2013 è stato depositato
un caso storico grazie al quale è possibile rafforzare il diritto di aziende e cittadini a ricorGazzetta Amministrativa
8
Tar del Veneto (Sez. II) n. 1104/2013.
In questo senso Cons. Giust. Amm. Sicilia, sent.
22.4.2009 n. 300.
9
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Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
di esame del nulla-osta paesaggistico, della
ponderazione tra i diversi interessi che vengono in conflitto10.
In senso contrario, altra parte della giurisprudenza ha escluso che l’Amministrazione
preposta alla tutela del paesaggio abbia
l’onere di suggerire prescrizioni e modifiche
al progetto, ha affermato che nessuna norma
o principio riconosce come prevalente
l’esigenza energetica rispetto alla tutela ambientale, che la necessità di favorire ed incentivare l’energia pulita, attraverso il rilascio
delle autorizzazioni, soggiace ad apposite valutazioni della P.A., sia in ordine alla quantità
dell’energia da produrre con impianti eolici,
sia in ordine alla compatibilità ambientale dei
singoli interventi e che, in definitiva, il contemperamento tra interessi di pari dignità costituzionale è rimesso alla discrezionalità della P.A., che non può essere sindacata sotto il
profilo della violazione del principio di proporzionalità11.
In ultimo, anche il giudice d’appello siciliano ha disatteso la ricostruzione prospettata
dal giudice di primo grado, affermando in
termini netti che non rientra nelle competenze
della Soprintendenza, al di là di una attenta
comparazione dei valori paesaggistici (rispetto agli interventi progettati), sacrificare il detto interesse per perseguirne altri non affidati
alle sue cure (nella specie, lo sviluppo delle
fonti energetiche alternative e più in generale
lo sviluppo economico della zona), in quanto
un tale risultato può semmai essere il frutto di
procedure aperte al contributo di tutti gli organi interessati alla vicenda, attraverso la
conferenza di servizi prevista dall’art. 12 del
d.lgs. n. 387 del 200312.
6.Intervento chiarificatore del giudice
amministrativo in tema di autorizzazione
unica agli impianti da fonte rinnovabile.
Molti dubbi sono sorti circa il valore di
una Via positiva ai progetti a fonte rinnovabile.
La tesi dominante sosteneva, tramite un interpretazione estensiva della norma del Codice dei beni culturali, che la via potesse includere in automatico il “sì” paesaggistico dato
che la stessa, in base al Codice dell’ambiente
(art. 26), «sostituisce o coordina tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri,
nulla osta e assensi comunque denominati in
materia ambientale».
Quindi, secondo tale orientamento, la
norma sarebbe chiara nel disporre che il
provvedimento di valutazione di impatto ambientale “assorbe” in sé qualsivoglia autorizzazione in materia ambientale, e, dunque, anche l’autorizzazione paesaggistica.
All’uopo giova riportare il recente intervento giurisprudenziale del TAR Puglia13 che
si è espresso in maniera del tutto innovativa
sul tema. Infatti, ribadendo come proprio in
ragione del carattere di specialità della disciplina posta dall’art. 146 d.lgs. n. 42/2004, il
Collegio pugliese ha ritenuto che alcuna deroga può esser implicitamente ed automaticamente apportata dalla normativa in tema di
V.I.A. di cui al d.lgs. 3.4.2006 n. 152 (Codice
dell’Ambiente).
Secondo il TAR il provvedimento di
V.I.A., ove previsto, non elimina sic et simpliciter
la
necessità
di
conseguire
l’autorizzazione paesaggistica, non potendo
questa ritenersi automaticamente assorbita nel
provvedimento di V.I.A., occorrendo piuttosto una previsione attuativa in grado di attiva-
10
Si vedano TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sent.
4.02.2005 n. 150; Id., sent. 4.5.2007 n. 1252.
Conforme Cons. Stato, sez. VI, sent. 9.03.2005 n. 971.
La tesi è stata ripresa e sviluppata, in dottrina, da G.
TULUMELLO, L’energia eolica: problemi e
prospettive, relazione al XII Convegno di diritto
amministrativo organizzato a Lecce, dal 2527.10.2007, dalla Associazione dei Giudici
amministrativi tedeschi, italiani e francesi, in
www.giustamm.it.
11
Così TAR Sardegna, sez. II, sent. 3.10.2006 n. 2083;
in senso analogo, di recente, TAR Toscana, sez. II,
sent. 14.10.2009 n. 1536.
12
Cons. Giust. Amm. Sicilia, sent. 3.8.2007 n. 711,
ove si afferma che, in forza dell’art. 146 del Codice dei
Gazzetta Amministrativa
beni culturali e del paesaggio, la Soprintendenza (…)
non è tenuta a sacrificare il pubblico interesse
affidatole per valutazioni estranee alla sua sfera di
competenza, e che la valenza degli impianti eolici sotto
il profilo della salute e dello sviluppo economico può
ritenersi implicita in relazione alla caratteristiche degli
impianti medesimi, ma non può sottrarre dette strutture
dalla valutazione, sorretta da adeguata istruttoria, delle
incidenze sugli interessi primari sottostanti alla
autorizzazione paesaggistica (con il richiamo di Cons.
Stato, Ad. plen., sent. 14.12.2001 n. 9).
13
TAR Puglia, sez. Bari, n. 1204 del 6.8.2015.
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
re meccanismi di coordinamento e semplificazione strutturale, nell’ottica di unificazione
di procedimenti caratterizzati da un’intrinseca
connessione funzionale; coordinamento peraltro auspicabile in concreto in omaggio a principi di semplificazione procedimentale.
Va infatti ricordato che proprio in ragione
dell’ampia formulazione dell’art. 26, co. 4,
Codice dell’Ambiente, la valutazione di impatto ambientale risulta, in potenza, idonea ad
includere in sé la valutazione di tutti i possibili effetti dell’intervento sull’ambiente,
nell’accezione consolidata comprensiva anche della componente paesaggistica.
Dunque, è ben possibile che a livello di legislazione regionale si dia attuazione a quanto
prescritto dal citato art. 26, co. 4, realizzando
forme di “coordinamento” per mezzo della
V.I.A. di tutte le autorizzazioni in materia
ambientale (fra le quali vi è anche
l’autorizzazione paesaggistica). In tale caso,
infatti, piuttosto che derogare alla previsione
dell’autorizzazione paesaggistica, si consente
che il provvedimento di VIA “comprenda”
l’autorizzazione paesaggistica, in una prospettiva di semplificazione amministrativa,
lasciando sostanzialmente inalterato il livello
uniforme di protezione ambientale previsto
dal Codice del Paesaggio14.
Dunque, secondo il Collegio pugliese, per
tutelare il paesaggio “è la legge (d.lgs. n.
42/2004, Codice dei beni culturali) a imporre
l’attivazione di una speciale procedura, che
si pone quale istituto di protezione ambientale posto a presidio dei valori di primario e
indiscusso rilievo costituzionale e confluente
nell’autorizzazione paesaggistica, atto autonomo e presupposto rispetto a tutti i titoli legittimanti l’intervento in quanto diretto a verificarne la compatibilità con riferimento a
beni paesaggistici oggetto di specifica e motivata tutela”.
In conclusione i giudici amministrativi
hanno affermato che, in tali circostanze, il via
libera alla Valutazione di Impatto Ambientale
(VIA) non comprende l’autorizzazione paesaggistica.
Quest’ultima autorizzazione, salvo leggi
regionali di coordinamento, si configura sempre come atto autonomo a tutela dei beni culturali.
La VIA, insomma, non eliminerebbe “sic
et simpliciter” la necessità di conseguire
l’autorizzazione paesaggistica.
14
Sulla possibilità che tale coordinamento sia
realizzato a livello di legislazione regionale cfr. Corte
Cost. 22.5.2013, n. 93.
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Numero 3 /4- 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
LA LEGITTIMITÀ E LA LEGITTIMAZIONE DELLE
VERANDE NELLA LEGGE DEL 11.8.2010, N.21 E S.M.I..
LEGGE CD. ‘PIANO CASA CALABRIA’
dell’Avv. Francesca Cosentino
Le amministrazioni locali disconoscono, con una certa frequenza, in capo ai cittadini il dirittopotere di ampliare l’abitazione con la realizzazione di uno spazio esterno (su terrazzo, balcone o
giardino) comunemente denominato veranda, costituito in parte da struttura portante e in parte
da vetrate. In alcune Regioni, la legge a dichiarati fini di politica economica afferma, però, il diritto all’ampliamento dell’abitazione preesistente sino al limite del 20 per cento della superficie
lorda. Questo studio vuole evidenziare la possibilità di trovare nella legge regionale in epigrafe il
valido fondamento di legittimità e di legittimazione delle verande ‘abusive’, con particolare riferimento a quelle localizzate in zona sottoposta a vincolo sismico e/o paesaggistico; in modo da
chiarire l’annoso dubbio: la realizzazione di verande in Calabria va considerata un fenomeno di
irrimediabile abusivismo oppure un fenomeno legittimo e meritevole di sanatoria?
Local governments have refused to recognize, with some frequency, the right and the power of
citizens of expand the residence by building an outdoor space (on the terrace, balcony or garden),
commonly called veranda, formed in part by the supporting structure and in part by windows.
In some regions, the law for declared purposes of economic policy, however, affirms the right of
widening the existing residence up to the limit of 20 percent of gross area.
This study aims to highlight the possibility of finding in the regional law in the epigraph the valid
basis of legality and of legitimacy of the verandas abusive, with particular reference to those located in an area subject to constraint seismic and/or landscaping; in order to clarify the question
longstanding: the construction of verandas in Calabria is considered a phenomenon illegal irremediable or a phenomenon legitimate and deserving of amnesty?
Sommario: 1.Premessa. 2. Approfondimento tematico. La legge regionale 11.8.2010, n.21 e
s.m.i., art.4. Interventi straordinari di ampliamento. Chiusura di verande. 3. Chiusura di verande
in zona soggetta a vincolo sismico/paesaggistico. Autorizzazione sismica. Autorizzazione paesaggistica. 4. Conclusioni. 5. Appendice: Il criterio fondamentale per verificare una lesione al vincolo paesaggistico.
1.Premessa.
La veranda ‘abusiva’ rappresenta vecchio
oggetto di discussione nelle aule di ogni tribunale d’Italia dove, al fine di legittimare il
fenomeno, i vari magistrati hanno teorizzato
criteri eterogenei, tra cui:
il criterio dell’amovibilità per il quale ”la
veranda poggiata e non ancorata al pavimento e priva di tamponature verticali” è legittima senza necessità del permesso di costruire1;
il criterio perimetrale secondo il quale “nel
caso in cui la veranda insista esattamente
nell'area del balcone, senza debordare dal
suo perimetro”2 è legittima perché non può
della superficie coperta, né la creazione o
modificazione di un organismo edilizio, né
l’alterazione del prospetto o della sagoma dell’edificio
cui è connessa (…).La stessa deve, invece, qualificarsi
alla stregua di arredo esterno, di riparo e protezione,
funzionale alla migliore fruizione temporanea dello
spazio esterno all’appartamento cui accede”
2
In tal senso, Cass.,VI, ord. 27.3.2014, n. 7269; Cass.,
II, 2.10.2000, n.13012; Cass., II, 7.8.2007, n.17317;
1
In tal senso, CdS, VI, 11.4.2014, n.1777: tale tipo di
veranda “non configura né un aumento del volume e
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
oggettivamente ledere il diritto di veduta del
vicino;
il criterio del recupero del patrimonio edilizio, per cui “la veranda che realizzi un intervento straordinario diretto al recupero del
patrimonio edilizio già esistente”3 è legittima
perché rispondente ad interessi superiori.
L’eterno dilemma è costituito dalla giusta
identificazione del discrimen utile alla legittimazione urbanistica della veranda - un regolamento condominale contrario sarebbe un
limite insuperabile a tale legittimazione - 4 e
alla non compromissione dei diritti dei terzi.5
L’identificazione di tale discrimen nella
regione calabra si è rivelata, in passato, oltre
misura difficile nel caso in cui la zona - dove
insisteva o si voleva realizzare la veranda fosse sottoposta a vincolo sismico e/o paesaggistico. Inducendo gli enti locali, per un
senso di forte ancoraggio ad una lettura normativa acritica e non priva di limiti, a negare
tout court il titolo abilitativo in nome di un
malinteso dovere alla tutela sismica e paesaggistica. Sovviene al riguardo la legge in epigrafe, l. reg. n.21/10 e s.m.i., cd. Piano Casa
Calabria, che consente di chiarire ogni dubbio
anche sulla reale portata del limite afferente
la delineata tutela.
Ciò, in base ad una ragionata e contestualizzata ricostruzione della citata legge e, in
fondo, sempre in perfetta coerenza alla sua
ratio (art.1,co. 1): il rilancio dell'economia
mediante il sostegno all'attività edilizia e il
migliora- mento della qualità architettonica,
strutturale, energetica ed ambientale del patrimonio edilizio esistente, in coerenza con i
principi e le finalità della legge regionale urbanistica e s.m.i. (l. reg. 16.4.2002, n. 19),
nonché con le norme di tutela del patrimonio
ambientale, culturale e paesaggistico della
Regione e di difesa del suolo, di prevenzione
del rischio sismico, di accessibilità e sicurezza degli edifici. Esigenze così fortemente avvertite da persuadere il legislatore a prorogare
- con la l. reg. 13.1.2015, n.4 - la normativa
de qua sino al 31.12.2016.
Cass.,II, 16.3.1993, n. 3109, per il cui orientamento “il
condomino che abbia trasformato il proprio balcone in
veranda elevandola sino alla soglia del balcone
sovrastante, non e’ soggetto, rispetto a questa,
all’osservanza delle distanze prescritte dall’articolo
907 c.c., nel caso in cui la veranda insista esattamente
nell’area del balcone, senza debordare dal suo
perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti
e appiombo del proprietario del balcone sovrastante.”
3
In tal senso,Cass. Pen., III, 28.5.1983, n.4988; Cass.
Pen.,III,15.6.1983, n. 5693, declaranti la riconducibilità delle verande nella tipologia di interventi elencati
nell'art. 31, lett. b, l. 5.8.1978, n. 457.
4
Invero, essendo il regolamento condominiale di
origine e di natura contrattuale può tutelare il decoro
architettonico fino a vietare la possibilità di realizzare
la veranda o, comunque, fino a fissare ulteriori e
diverse limitazioni rispetto alla normativa ediliziourbanistica. In tal senso, Cass., II, 23.5.2012, n.8174,
“un regolamento di condominio contrattuale (…) ove
abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria
facies architettonica dell'edificio, comprimendo il
diritto di proprietà dei condomini mediante il divieto
di qualsiasi opera modificativa, persino migliorativa,
appresta in tal modo una tutela pattizia ben più
intensa e rigorosa di quella apprestata al mero
"decoro architettonico" dall'art. 1120 c.c., co. 2, art.
1127 c.c., co. 3 e art. 1138 c.c., co. 1; con la
conseguenza che, in presenza di opere esterne, la loro
realizzazione integra di per sé una vietata
modificazione dell'originario assetto architettonico
dell'edificio (Cass. 14.1.1993 n. 395; Cass. 12.12.1986
n. 7398)”
5
Il diritto alla salute, alle luci e vedute, all’affaccio,
alla distanza, alla sicurezza statica, al decoro
dell’edificio, al rispetto dei beni condominiali, alla
tutela del paesaggio.
Gazzetta Amministrativa
2. Approfondimento tematico. La legge
regionale 11.8.2010, n. 21 e s.m.i., art. 4.
Interventi straordinari di ampliamento.
Chiusura di verande.
L’art.4, l. reg. n.21/10 regolamenta in genere “gli interventi straordinari di ampliamento”, già in rubrica, e li autorizza “in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici
ed edilizi comunali, provinciali e regionali
vigenti o adottati,nonché nei comuni sprovvisti di tali strumenti nel rispetto di quanto previsto nel presente articolo”.
Il co. 3, lett. h), introdotto dalla l. reg.
n.7/2012, elenca una serie di interventi che
sono direttamente consentiti dalla legge, tra i
quali al n.1 appunto la “chiusura di verande”.
E’ utile osservare, in premessa, che con
l’espressione “chiusura di verande”, ordinariamente, si intende “la trasformazione di un
balcone o di un terrazzino circondato da muri
perimetrali in veranda, o di un terrapieno et
similia mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
metallica od altri elementi costruttivi”6.
Perciò, la chiusura di verande può consistere sia nella tamponatura a vetrate su due o
tre lati di una preesistente struttura esterna
(balcone o terrazzo in arretramento), sia nella
creazione di una nuova struttura portante con
copertura e vetrate su due/tre lati su terrazzo
o balcone aggettante o in giardino.
Chi intenda procedere alla chiusura di una
veranda al fine di ampliare la propria abitazione, ai sensi ed effetti delle legge sulla Casa
Calabria, dovrà ottemperare ai requisiti ricavabili dal contesto normativo, ovverosia:
a) che l’opera rispetti i limiti di superficie e di volumetria assentiti dall’art.4,
co 1; perciò, è fattibile solo su edifici
residenziali che abbiano una volumetria non superiore a 1000 metri cubi7
per unità abitativa di volumetria assentita e non deve superare il limite
del 20 per cento della superficie lorda,
per unità abitativa già esistente fino ad
un massimo di 70 metri quadrati di
superficie interna netta per unità abitativa (art.4, co. 1);
b) che interessi un edificio residenziale
di natura plurifamiliare o condominiale (art.4, co. 3, lett. h.);8
c) che l’edificio sia ubicato in aree esterne agli ambiti dichiarati, in atti formali, a pericolosità idraulica ed a frana
elevata o molto elevata; ( art.4, co. 2,
lett. c);
d) che la chiusura sia realizzata in modo
da non modificare sostanzialmente le
caratteristiche architettoniche dell'organismo edilizio (art.4, co. 3, lett. h).
Ed, ovviamente, dovrà attenersi alla normativa sulla regolarità contributiva delle ditte
affidatarie e sulle prestazioni energeticoambientali.
Alle suddette condizioni, per realizzare la
veranda non è necessario il permesso di costruire o la SCIA (dunque neppure la DIA)9,
poiché l’art.6, n. 10, l. reg. n. 21/10 e s.m.i.
richiede tali titoli abilitativi per tutti gli interventi previsti dagli artt. 4 e 5 “fatta eccezione
degli interventi di ampliamento su edifici plurifamiliari e condomini” (indicati nell’art.4,
co. 3, lett. h), tra i quali va ricondotta appunto
la chiusura di verande.
Ne segue, in via residuale, che per realizzare l’opera sia necessaria solamente, ai sensi dell’art.6, co. 2 e 4, d.P.R. 6.6.2001, n.
380,la CIAL (Comunicazione di Inizio Attività di Edilizia Libera) o rectius la CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata o
con asseverazione tecnica), alla quale allegare
le relazioni, perizie, elaborati grafici e progettuali e le renderizzazioni prescritte dalla normativa del Piano Casa Calabria.
3.Chiusura di verande in zona soggetta
a vincolo sismico/paesaggistico.
Quid iuris allorché l’intervento riguardi un
edificio ‘tipico’ (caratterizzato nella legge)
ma ricadente in una zona sottoposta a vincolo
sismico e/o paesaggistico?
Il previo rilascio dell’autorizzazione sismica e/o paesaggistica costituisce un imperativo categorico?
Al riguardo bisogna distinguere due periodi storico-legislativi di certa importanza, contrassegnati il primo dalla l. reg. 10.2.2012,
n.7; il secondo dalla l. reg. 30.5.2012 n.18,
entrambe modificative della l. reg. n. 21/10.
Per effetto della prima, l. reg. n.7/12, la
chiusura di verande effettuata tra il 12 febbraio e il 6 giugno 2012 è in re ipsa legittima in
assenza di autorizzazione sismica e/o paesaggistica.
Infatti, queste autorizzazioni erano richieste dall’art. 2, co. 3,10 l. reg. n. 21/10 “solo ai
6
In tal senso, Cass. Pen., III, 11.5.2011 n.18507; id.
Cass. Pen., III, 26.4.2007, n.35011.
7
La norma, nella versione originaria, consentiva
l’intervento solo sugli edifici residenziali che avessero
quella volumetria “alla data del 21 agosto 2010”.
L’art. 1, co.1, ult. cpv., l.reg. 2.5.2013, n. 23, ha
soppresso il riferimento temporale, così estendendo la
possibilità di interventi anche sugli immobili realizzati
negli ultimi anni.
8
L’art.4, co. 3, lett. h è stato inserito dall’art.4, l. reg.,
10.2.2012, n.7.
Gazzetta Amministrativa
9
La DIA, infatti, ai sensi dell’art. 22, co.3, d.P.R.
6.6.2001,n.380, è il titolo abilitativo edilizio
alternativo al permesso di costruire, che occorre per gli
interventi di ristrutturazione cd. pesante,che portano a
un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente (art.10, lett. c,cit. d.P.R.), e per gli
interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione
urbanistica.
10
Si precisa, nella versione modificata dalla l. reg.
n.7/12.
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
fini di eventuali delocalizzazioni”, id est per
gli spostamenti o i trasferimenti di volumi e
di strutture in un luogo diverso da quello di
origine; ad es. per la demolizione di un fabbricato e la sua ricostruzione in una zona diversa da quella originaria. Ipotesi giammai
verificabile per la chiusura di verande su preesistenti balconi o terrazzi o anche nei giardini circostanti edifici già presenti.
Per effetto della seconda, l. reg. n.18/12, la
chiusura di verande effettuata successivamente al 6.6.2012 sino al 31.12.2016 è legittimabile in assenza di autorizzazione sismica e/o
paesaggistica.
Esaminiamo il quadro normativo di riferimento per il secondo periodo storico.
La l. reg. n.18/12 espunge dalla norma
l’inciso “eventuali delocalizzazioni”, pertanto, quelle autorizzazioni diventano doverose
per ogni intervento straordinario di ampliamento11 e, così, per la chiusura di verande.
Tuttavia riguardo alla:
Autorizzazione sismica.
E’ applicabile la Delibera della Giunta Regionale 22.7.2011, n. 330, successivamente
integrata e modificata dalla DGR 28.1.2013,
n. 12, perché l’art. 2, co. 3, lett. e, l. reg. n.
21/10, nella versione modificata dalla l. reg.
n. 18/12, dispone il fondamentale rispetto in
materia sismica della normativa statale E della normativa regionale, la quale in definitiva è
l’unica attuabile in quanto conforme ai prevalenti principi statali12.
L’allegato A, cit. delibera, descrive le “opere minori (che) non (sono) soggette al De-
posito/ Autorizzazione da parte del Servizio
Tecnico Regionale, ai sensi delle Norme vigenti in materia di edilizia Sismica”; in altri
termini, quelle la cui realizzazione prescinde
dall’autorizzazione sismica.
Tra queste al punto n. 5, sotto la rubrica
"Interventi su opere esistenti", è indicata la
“chiusura di verande” con materiale leggero
avente peso proprio (G1) e permanente portato (G2) complessivamente < a 0,20 KN/m2 e
comunque < a 0,5 KN/ml; per la quale, dunque, non è necessaria l’autorizzazione sismica.
Quanto detto porta ad asserire che, in genere, per la chiusura di verande su opere esistenti non sia necessaria l’autorizzazione sismica, poiché è del tutto ipotizzabile che
giammai o alquanto raramente per realizzare
verande su balconi o su terrazze siano utilizzate materie (prime) pesanti, che potrebbero
compromettere la statica dell’edificio.
Riguardo alla:
Autorizzazione paesaggistica.
E’ applicabile a tenore dell’art.2, co. 3,
lett. h, il “Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell’articolo 10 legge 6 luglio 2002, n. 137,” ma “con le semplificazioni
introdotte dal d.p.r. 9 luglio 2010, n. 139 per
gli interventi di lieve entità così come definiti
dal medesimo”.
Di tal ché, la chiusura di verande su edifici
plurifamiliari o condomini è sottoposta al
previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica cd ‘semplificata’; ma poiché essa, in
forza dell’art.1, d.P.R. n.139/10, è imprescindibile “sempre che (gli interventi) comportino
un'alterazione dei luoghi o dell'aspetto esteriore degli edifici”, si può concludere che tale
autorizzazione non sia affatto necessaria.
E’ opportuno illustrare il ragionamento logico-giuridico sul quale fa perno la conclusione.
Il presupposto è che la chiusura di verande
può essere legittima ai sensi dell’art.4, co. 3,
lett. h, l. reg. n.21/10 solo se non arrechi
“modific(he) sostanzial(i) (al)le caratteristiche architettoniche dell'organismo edilizio”,
dovendo il progetto sviluppare ed evidenziare
“in modo intellegibile e coerente, ogni aspetto inerente sia la situazione preesistente che
11
A tenore dell’art. 2, co. 3, l. reg. n.21/10, modificato
dalla l. reg. n. 18/12: “Gli interventi previsti dalla
presente legge regionale possono essere realizzati in
deroga alle previsioni dei regolamenti comunali e
degli strumenti urbanistici e territoriali comunali,
provinciali e regionali, nonché in deroga alle misure
di salvaguardia definite all’articolo 65 della legge
regionale n. 19/2002, s.m.
e i. fatte salve le
disposizioni definite dalla normativa nazionale vigente
ed in particolare:…”
12
Ai sensi dell’art.117, co. 2, lett. s, cost., infatti, la
materia della tutela dell’ambiente rientra nella potestà
legislativa esclusiva dello Stato. Perciò, lo Stato ha la
facoltà di predisporre le misure idonee prevalenti senza
estromettere la competenza regionale, la quale, però,
dev’essere esercitata nel limite dei criteri fissati dalla
legge statale, secondo lo schema più che collaudato del
concorso in egemonia nella gerarchia delle fonti.
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
tamento del solo ufficio tecnico in ordine alla
conformità della veranda alle caratteristiche
architettoniche dell’organismo edilizio.
Se la verifica tecnica non evidenzi trasformazioni radicali o disarmonie nell’architettonica o, comunque, la veranda sia ben
mimetizzata nel contesto edilizio-urbanistico,
non necessiterà affatto l’autorizzazione paesaggistica neppure nella versione semplificata; poiché essa è pretesa dalla norma
nell’unica
ipotesi
di
peggioramento
dell’edificio o dei luoghi.
Nel caso contrario in cui si evidenzino
modifiche sostanziali in senso peggiorativo, a
monte, la veranda non rispetterebbe i dettami
della legge regionale in commento e, dunque,
tout court non sarebbe assentibile. Nondimeno, l’ufficio tecnico, atteso il rinvio operato
dall’art.2, co. 3, lett. h, l. reg. n.21/10
all’art.1, d.P.R. n. 139/10, potrà reclamare a
supporto dell’opera il conseguimento
dell’autorizzazione paesaggistica semplificata.
quella futura per tutte le caratteristiche estetico-formali.”
Atteso il presupposto, giammai la veranda
potrà - ai sensi dell’art. 1, d.P.R. n. 139/10 alterare i luoghi o l’estetica dell’edificio plurifamiliare e/o condominiale.
L’attenzione va posta sui due lemmi ‘modifica e alterazione’ e sull’aggettivo ‘sostanziale’.
Per modifica s’intende parziale trasformazione, con accezione specialmente in senso di
miglioramento; per alterazione non si può che
intendere peggioramento o guastamento. La
‘modifica sostanziale’, dunque, non è che una
trasformazione totale, con accezione pure in
pejus.
Ebbene, il divieto di apportare modifiche
sostanziali preclude la possibilità di apportare
peggioramenti all’estetica dello stabile o ai
luoghi, poiché se i nuovi elementi non devono
modificare
le
linee
essenziali
dell’architettonica dell’edificio allora nemmeno possono alterarla o guastarla - dovendo porsi invece la veranda in certa armonia
con le peculiarità estetico-formali dell’edificio.
Sarebbe assurdo, del resto, anche in ragione delle finalità previste nell’art.1, co. 1, l.
reg. n.21/10 e s.m.i. - (il miglioramento della
qualità architettonica) - che la norma con
quell’espressione volesse vietare all’opera di
variare in melius l’estetica.
La mens legis è ricavabile sia dal dato
normativo letterale, sia da una interpretazione
logico-sistematica; in particolare, dal fatto
che il Codice paesistico-culturale sia finalizzato alla tutela del paesaggio da deturpamenti
in sé dei luoghi o degli edifici; il cd. Piano
Casa Calabria sia finalizzato alla salvaguardia
del patrimonio edilizio-urbanistico (in
un’ottica di ripresa) attraverso il divieto di
trasformazioni radicali, che potrebbero peggiorare l’assetto e, per l’effetto, l’ambiente/paesaggio circostante.
A monte, dunque, la legge sulla casa, proibendo modifiche essenziali agli edifici e,
dunque, connessi abbruttimenti, inibisce la
probabilità di cagionare deterioramenti al
paesaggio.
Quanto detto porta a concludere, a mio
modesto parere, per la sufficienza dell’accerGazzetta Amministrativa
4.Conclusioni.
La legge sul Piano Casa Calabria, sia nella
versione per così dire claris verbis vigente dal
12 febbraio al 6 giugno 2012, sia nella versione vigente attualmente e sino al 31 dicembre 2016, ha sanato e legittimato la chiusura
di verande su edifici esistenti, svincolandole
da procedure di autorizzazione o di sanatoria
complesse e costose, per profili temporali ed
economico-finanziari. Infatti:
allorché la struttura sia in armonia con
l’architettonica o non la modifichi essenzialmente - ad es. perché ben mimetizzata se non
prospiciente sulla facciata antistante ma su
quella retrostante o sul cortile o sulla strada
interna- e venga realizzata in un edificio tipizzato e nei limiti di superficie e di volumetria assentiti dalla l. reg. n.21/10, non è richiesto il permesso di costruire o la SCIA, né
l’autorizzazione paesaggistica;
allorché il peso della struttura sia contenuto nei limiti assentiti dalla DGR n. 330/11 e
s.m.i.
non
è
necessaria
neanche
l’autorizzazione sismica.
5. Appendice: il criterio fondamentale
per verificare una lesione al vincolo pae-135-
Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
saggistico.
A modesto parere di chi scrive, preme
chiarire un aspetto che rappresenta la chiave
applicabile, in ogni caso e a prescindere dalle
agevolazioni riconosciute dalla legge sulla
Casa Calabria, per valutare correttamente se
vi sia una lesione al paesaggio: Il rapporto tra
la singola opera e il tipo di bene tutelato.
Il Repertorio dei Vincoli Paesaggistici, ai
sensi della legge 29.6.1939, n.1497, descrive
con precisione la tipologia di bene paesaggistico che, attraverso l’imposizione del vincolo, si vuole garantire da deturpazioni e abbruttimenti; perciò, non ogni opera abusiva
edificata in un contesto tutelato è idonea a ledere il paesaggio, ma solo quell’opera che
viola lo specifico oggetto della tutela.
L’incisione, cioè, dev’essere riguardata con
riferimento ai profili autenticamente tutelati.
Ad es., se il vincolo sia strumentale a preservare un naturale quadro panoramico, formato da colline e mare, e caratterizzato da
vegetazione arborea a diretto contatto con il
mare od, ancora, se il vincolo sia strumentale
a preservare una bellezza panoramica incor-
niciata dal verde degli ulivi e da suggestivi
tratti di scogliera degradanti sul mare, chiaramente la chiusura di verande in un edificio
già esistente, dotato di titolo edilizio o in fase
di sanatoria, di natura plurifamiliare o condominiale, quindi avente una certa altezza e
una certa dimensione, in un contesto urbanizzato o in area agricola, non può essere idonea
a ledere l’oggetto della tutela.
Viceversa, quelle bellezze naturali potranno essere lese dalla realizzazione di verande
in un contesto affatto o poco antropizzato,
come potrebbe essere quello inserito in una
zona priva di edifici condominiali.
Credo che il legislatore della l. reg.
n.21/10, nei termini successivamente modificati dalla l. reg. n.7/12 e dalla l. reg. n.18/12,
abbia prestato particolare attenzione a questo
specifico aspetto e alla connessa chiave di lettura, dato che nel dettato viene assentita la
chiusura di verande solo in edifici residenziali
plurifamiliari o condominiali, cioè unicamente in contesti già oggetto di intensa antropizzazione o perlomeno antropizzati.
«:::::::::GA:::::::::»
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del Territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato Sez. IV 21.12.2015 n. 5800
Opere pubbliche - scelta del tracciato e delle
caratteristiche - discrezionalità tecnica e
amministrativa dell’amministrazione procedente.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale la scelta del tracciato e delle caratteristiche di un’opera pubblica rientra
nell’ambito demandato alla discrezionalità tecnica e amministrativa dell’amministrazione
procedente (ex multis, Cons. Stato sentenza n.
8786/2009) ed è sindacabile solo quanto alla
sua intrinseca irragionevolezza, contraddittorietà e vessatorietà. È questo il principio ribadito dal Consiglio di Stato Sez. IV nella sentenza del 21.12.2015 n. 5800 in virtù del quale è
stato ritenuto che la previsione di attraversare
l’area di proprietà della Società ricorrente non
appare sindacabile, trattandosi di opera che
appare congrua con la progettazione generale
delle opere infrastrutturali volte alla urbanizzazione di una considerevole area del territorio
comunale, interessante più comparti; e la dedotta invasità è stata imposta proprio da ragioni di ordine tecnico di soddisfacimento
dell’interesse collettivo, finalità rispetto alle
quali l’interesse del privato appare senz’altro
recessivo. In accoglimento dell’appello, il Collegio ha riformato in quanto erronea la statuizione del Tar che aveva annullato la scelta localizzativa dell’asse stradale di collegamento
con la viabilità stradale.
ne facenti capo al medesimo punto di connessione alla rete elettrica, appartenenti allo stesso soggetto, ovvero a soggetti che si trovino in
posizione di controllante o controllato, ovvero
che siano riconducibili ad unico centro di interesse ( cfr. per tutte: CdS, Sez. V, 10.9.2012, n.
4780). È questo il principio ribadito dalla
Quarta Sezione del Consiglio di Stato che, nella
sentenza del 21.12.2015 n. 5789, ha evidenziato
come tali presupposti hanno l'evidente finalità
di contemperare i contrapposti interessi, pubblici e privati, in gioco e di evitare che iniziative di dimensioni apparentemente limitate possano, in realtà, dar vita a progetti significativamente impattanti sul corretto assetto urbanistico del territorio (e sui relativi interessi paesaggistico, ambientale, storico, etc.). Sulla base
di tali premesse nella vicenda in esame il Collegio ha ritenuto che, diversamente da quanto
prospettato dall’Amministrazione appellante, la
circostanza che le procedure P.A.S. siano state
formalmente presentate, per gli 8 aerogeneratori, dalla stessa associazione professionale è
del tutto irrilevante, essendo viceversa decisivo
il fatto che detti aerogeneratori appartengano a
soggetti diversi, e che gli stessi non siano stati
collegati tutti allo stesso punto di connessione
delle
rete
di
trasmissione
nazionale
dell’energia elettrica. Correttamente, pertanto,
il primo giudice non ha considerato nel complessivo ammontare la singola potenza dei vari
aerogeneratori, atteso che nella specie non sussistono i requisiti dell’ “unità della posizione
decisionale” e dell’ “unicità del punto di connessione” sopra specificati. E ciò, in quanto la
citata associazione professionale rappresenta
unicamente un “operatore tecnico” di supporto
ai (ed a servizio dei) vari e diversi proprietari,
che non risultano aver in alcun modo programmato la realizzazione di un unico parco
eolico.
Consiglio di Stato Sez. IV 21.12.2015 n. 5789
Impianti eolici - calcolo della potenza elettrica nominale per la valutazione istruttoria
delle iniziative edificatorie.
Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questo Consiglio ai fini del calcolo della potenza elettrica nominale per la valutazione istruttoria delle iniziative edificatorie,
i limiti di capacità di generazione e di potenza
sono da intendersi riferiti alla somma delle potenze nominali dei singoli impianti di produzioGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5328
Lottizzazione abusiva – nozione - presuppo-137-
Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
te (oggetto di sanzioni apposite nel medesimo
T.U. n. 380 del 2001). Secondo una linea interpretativa, sorretta da ricca casistica giurisprudenziale, una lottizzazione abusiva può infatti
individuarsi solo in presenza della preordinata
trasformazione di una porzione di territorio, in
modo tale da aggiungere una nuova e composita maglia al tessuto urbano, con conseguente
necessità – per la consistenza innovativa
dell’intervento – di costituzione o integrazione
della necessaria rete di opere di urbanizzazione
(caratteristica, al riguardo, la prefigurazione di
interi quartieri residenziali – ovvero di complessi ad uso commerciale o direzionale – previa suddivisione del terreno in lotti edificabili).
Il testo della norma si riferisce dunque non tanto alla materiale entità dell’intervento – programmato o in corso di realizzazione – ma alle
finalità ed alle conseguenze dello stesso, in
termini di “peso insediativo” sul territorio. Per
tale ragione, potendo la sanzione intervenire in
via addirittura preventiva, si richiede che
l’intento sia evidenziato da elementi precisi ed
univoci, ovvero da un quadro indiziario idoneo
a prefigurare un perseguito assetto dell’area,
globalmente incompatibile sia con quello esistente che con quello previsto dagli strumenti
urbanistici (cfr. in senso sostanzialmente conforme, tra le tante, CdS, VI, 29.1.2015, n. 410;
7.8.2015, n. 3911, 26.5.2015, n. 2649). La norma di riferimento, sopra riportata, per quanto
incentrata sulla tutela dell’interesse urbanistico
più che di quello edilizio, perché sanzionante la
trasformazione urbanistica a scopo edificatorio
di un’ampia porzione di territorio (“di terreni”), non esclude in sé che la lottizzazione possa avere luogo anche in presenza di taluni edifici regolarmente preesistenti: ma impone con
evidenza particolari cautele in una situazione,
che rende oggettivamente più difficile la configurazione della fattispecie di cui al citato art.
30 del d.P.R. n. 380 del 2001."
sti e le particolari cautele.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 24.11.2015 n. 5328 relativamente
ai presupposti della lottizzazione abusiva, quali
desumibili dall'art. 30 del d.P.R. n. 380 del
2001 ha affermato che "In base alla citata
norma “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a
scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi, in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione, nonché quando tale trasformazione
venga predisposta attraverso il frazionamento e
la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti, che per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e
alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o l’eventuale
previsione di opere diurbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione
a scopo edificatorio”. Nei termini sopra descritti, è configurata una tipologia di abusivismo di particolare gravità, in base alla presenza di alcuni segnali indicatori: mero inizio di
opere edilizie, o anche soltanto suddivisione di
un’area più o meno estesa in lotti, con modalità
tali da far supporre “la destinazione a scopo
edificatorio”, mediante opere concretamente
idonee a stravolgere l’assetto territoriale preesistente: situazioni, quelle sopra descritte, corrispondenti rispettivamente a lottizzazione c.d.
“materiale”, o anche solo “negoziale” e tali da
giustificare l’adozione di severe misure repressive (art. 30 cit, coo. 7 e 8: nullità di eventuali
atti di cessione, nonché sospensione
dell’intervento con atto che, “ove non intervenga la revoca del provvedimento”, comporta ex
se l’acquisizione di diritto al patrimonio disponibile del Comune delle aree lottizzate). La nozione di lottizzazione abusiva – figura di formazione giurisprudenziale, la cui compiuta disciplina legislativa risale alla legge 28.2.1985, n.
47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive) – non deve confondersi con l’effettuazione di qualsiasi pur ampio
intervento edificatorio non autorizzato, o non
compatibile con la disciplina urbanistica vigenGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5327
Autorizzazione paesaggistica - giudice amministrativo - valutazione espresse nel parere - sindacabilità.
Il Consiglio di Stato Sezione Terza nella sentenza del 24.11.2015 n. 5327 ha affermato che
"L'autorizzazione paesaggistica costituisce “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso
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Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
zione (Cass., SS.UU., 24.7.1996, n. 15; III,
12.12.2006; 8.9.2010, n. 32952; 21.11.2012, n.
3456) ha chiarito che l’ordine di demolizione
delle opere abusive impartito dal giudice penale in sentenza di condanna per violazioni alla
normativa urbanistico-edilizia non deve essere
eseguito dalla pubblica amministrazione ma, al
contrario, la caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato
conferma la giurisdizione del giudice ordinario
riguardo alla pratica esecuzione dello stesso.
La giurisprudenza penale della Corte di Cassazione ha affermato la natura autonoma
dell’ordine di demolizione contenuto nella sentenza penale di condanna, rilevando l’assenza
di norme specifiche che riconducano
all’autorità
amministrativa
l’esecuzione
dell’ordine di demolizione emesso dal giudice
penale e, dunque, l’assoggettamento della demolizione alla disciplina dell’esecuzione prevista dal Codice di procedura penale. Questi i
principi sanciti dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n. 5324 del
24.11.2015 con la quale conseguentemente ha
affermato che, non essendo ipotizzabile che l'esecuzione d'un provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla pubblica amministrazione, salvo che la legge non disponga altrimenti in modo espresso, l'organo promotore
dell'esecuzione, secondo la citata giurisprudenza, va identificato nel Pubblico ministero, con
connessa parallela funzione del giudice dell'esecuzione per quanto di specifica competenza.
Aggiunge il Collegio che ordine di demolizione
irrogato in sentenza, costituendo una misura
amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale
ne è appunto attribuita l'applicazione, non passa in giudicato essendo sempre possibile la sua
revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente
autorità intervenuti anche successivamente. È
però compito esclusivo del giudice penale (anche dell'esecuzione) verificare la sussistenza
dei presupposti per un’eventuale revoca della
sanzione . Nel caso oggetto del presente giudizio, peraltro, tali conclusioni sono avvalorate
dalla circostanza che l’esecuzione in sede penale risulta, peraltro, già in corso. L’iniziativa
assunta dall’Amministrazione con l’adozione
delle ordinanze impugnate, pertanto, oltre a
di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio” (art. 146, co. 4, del
Codice per i beni culturali e paesaggistici): il
parametro normativo di riferimento per la valutazione della Soprintendenza non va quindi individuato nella disciplina urbanistico-edilizia,
ma nella specifica disciplina del vincolo paesistico, contenuta nel provvedimento impositivo
o, come nella specie, nella normativa dettata
con il piano paesistico". Relativamente alla
sindacabilità - da parte del giudice amministrativo - delle valutazioni espresse con tale parere,
il Collegio ha evidenziato come la giurisprudenza sia consolidata nell’affermare che il potere dell’Autorità competente alla tutela del
vincolo paesistico di esprimere il giudizio in
ordine alla compatibilità di un intervento rispetto al vincolo medesimo, è connotato da
un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa,
poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari caratterizzati da ampi
margini di opinabilità. Di conseguenza, ritiene
la giurisprudenza, l’apprezzamento compiuto
dall’Amministrazione preposta alla tutela – da
esercitarsi, come si sottolinea nella sentenza
impugnata, in rapporto al principio fondamentale dell’art. 9 Cost. – “è sindacabile, in sede
giudiziale, esclusivamente sotto i profili della
logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del
procedimento applicativo prescelto, ma fermo
restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola
valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito
di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale
non divenga sostitutivo di quello dell’amministrazione attraverso la sovrapposizione di una
valutazione alternativa, parimenti opinabile”(CdS, VI, 14.10.2015, n. 4747; della medesima Sezione, ex plurimis, 2.3.2015, n. 1000;
3.7.2014, n. 3360; 22.4.2014, n. 2019;
1.4.2014, n. 1557).
Consiglio di Stato Sez. VI 24.11.2015 n. 5324
Abusi edilizi - ordine di demolizione impartito dal giudice penale – esecuzione da parte
del Comune - insussistenza.
La giurisprudenza penale della Corte di CassaGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
posti dell’azione amministrativa siano, nel caso
di specie, agevolmente individuabili. Il provvedimento impugnato esplicita poi con chiarezza i
presupposti che hanno ispirato l’azione del
Comune. Nelle premesse del provvedimento
impugnato si legge infatti che la differenziazione nella disciplina per l’occupazione del suolo
pubblico e/o privato all’esterno degli esercizi
commerciali, dei pubblici esercizi ed esercizi
similari è “giustificata a causa della nuova fisionomia che hanno assunto alcune aree urbane rispetto ad altre a seguito degli interventi di
arredo urbano nonché della necessità di garantire la percorribilità dei marciapiedi e degli altri spazi adibiti al passaggio pedonale” precisando inoltre che per quanto riguarda l’area di
cui ora si tratta era stato concordato con le associazioni dei commercianti e dei pubblici esercizi di estendere ad essa la disciplina già
dettata per l’altra contigua in quanto “tale area, con gli interventi di qualificazione pubblica e privata realizzati negli ultimi anni, oggi
presentano caratteri di omogeneità per quel
che riguarda le tipologie di offerta e di clientela complessive”. Alla luce di tali elementi - afferma il Collegio - che la deliberazione impugnata dà adeguato conto delle scelte ivi consacrate, e che ciò consente di superare la discussione relativa all’assoggettamento di tale atto
all’obbligo di motivazione.
rappresentare di per sé un ipotesi di sconfinamento e di indebito esercizio di competenze riservate alla giurisdizione penale, rischia anche
di sovrapporsi ed interferire sull’incidente di
esecuzione pendente in sede penale. I provvedimenti amministrativi impugnati sono stati,
quindi, adottati in carenza di potere da parte
del Comune e vanno, pertanto, annullati.
Consiglio di Stato Sez. V 20.11.2015 n. 5298
Regolamentazione utilizzo spazi esterni agli
esercizi pubblici - presupposti che legittimano l'azione del Comune diretta a vietare di
occupare con espositori od altro il suolo.
Il Comune appellante con la deliberazione oggetto del giudizio ha regolamentato l’utilizzo
delle aree, anche private, situate all’esterno
degli esercizi commerciali e artigianali di una
zona dell’abitato, nella quale si trovano gli esercizi degli appellati, estendendo ad essa la
disciplina già vigente in altra zona, situata nelle vicinanze. La suddetta disciplina vieta di occupare con espositori od altro il suolo, anche
privato, all'esterno degli esercizi commerciali
ed artigianali. L’impugnazione proposta dagli
odierni appellati è stata accolta dal primo giudice il quale ha ritenuto il regolamento comunale inficiato dalla mancata precisazione del
potere che il Comune ha inteso esercitare nel
caso di specie e da difetto di motivazione sulle
ragioni di scelta, che incide anche sull’utilizzo
della proprietà privata. Il Consiglio di Stato
Sez. V con la sentenza del 20.11.2015 n. 5298
ha accolto l'appello proposto dal Comune evidenziando quanto segue. "L’intervento comunale, come già indicato, regolamenta la collocazione di oggetti di arredamento urbano in area
centrale e molto frequentata dell’abitato, adiacente ad altra già sottoposta alla stessa regolamentazione. Il Comune ha quindi esercitato
un potere ascrivibile congiuntamente alla potestà urbanistica, alla potestà di regolamentazione della viabilità e, soprattutto, alla potestà afferente alla tutela del decoro urbano. Atteso
che in ogni caso si tratta di competenze afferenti all’ambito comunale, il Comune non aveva
affatto l’obbligo di enunciare espressamente
quale (o meglio quali) intendesse esercitare.
Un tale obbligo non può infatti essere rinvenuto
nelle disposizioni della legge 7.8.1990, n. 241,
ed inoltre deve essere rilevato come i presupGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. V 20.11.2015 n. 5287
Ritardato versamento - oneri di urbanizzazione e costruzione - il Consiglio di Stato interviene sul contrasto giurisprudenziale Comune obbligato all'escussione della fideiussione.
La controversia giunta all'attenzione del Consiglio di Stato riguarda l'impugnazione proposta da una Società degli atti con cui il Comune
gli aveva ingiunto ex art. 3 l. n. 47/1985
(“Norme in materia di controllo dell'attività
urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e
penali”) il pagamento di sanzioni per ritardato
versamento del costo di costruzione e degli oneri di urbanizzazione secondaria relativi ad
una serie di costruzioni residenziali realizzate
nell’ambito di un piano particolareggiato. La
società si doleva in via principale del fatto che
l’amministrazione non avesse prevenuto il ritardato versamento escutendo la fideiussione a
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Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
nella medesima direzione si pone anche il principio costituzionale di imparzialità dell’azione
amministrativa (art. 97 Cost.), dal momento
che le sanzioni pecuniarie previste dal citato
art. 3 l. n. 47/1985 «si giustificano con la necessità, per l'ente locale, di disporre tempestivamente delle somme spettanti, atteso l'interesse pubblico alla celere realizzazione e completamento delle opere di urbanizzazione», e che
la garanzia, con i conseguenti maggiori oneri
economici che il privato sostiene per il relativo
rilascio, viene in questo caso prestata proprio
per evitare il ritardato pagamento (così la sentenza 21.11.2014, n. 5734, sopra richiamata). Il
Consiglio di Stato nella sentenza in esame ha
ritenuto di dare continuità a quest’ultimo indirizzo."
Ciò segnatamente per la funzione della garanzia, debitamente lumeggiata nel precedente cui
si aderisce, di tutela delle ragioni creditorie
dell’ente concedente, il quale viene in tal modo
preservato dai rischi di inadempimento del privato concessionario, ossia dai rischi che il precetto sanzionatorio mira a prevenire. Pertanto,
sebbene sia indiscutibile che la fonte della sanzione è distinta da quella in virtù del quale è
dovuto il contributo concessorio - la prima risiedendo direttamente nella legge ed il secondo
nel titolo edilizio - è del pari incontroverso che
la garanzia prestata per l’adempimento delle
obbligazioni pecuniarie discendenti da
quest’ultimo pone l’amministrazione anche nelle condizioni se non di impedire quanto meno di
limitare le conseguenze legislativamente previste per il caso in cui si verifichi l’evento garantito, e cioè l’applicazione delle sanzioni pecuniarie". Interessante è altresì il passaggio motivazione con il quale il Consiglio di Stato ha rigettato la richiesta dell'appellante che invoca
per il caso di rideterminazione delle sanzioni
dovute la più favorevole normativa sopravvenuta nel corso del giudizio, e cioè le sanzioni oggi
previste nel testo unico dell’edilizia di cui al
d.P.R. n. 380/2001, dopo la contestuale abrogazione dell’art. 3 l. n. 47/1985. In virtù di questo assunto, la percentuale di aumento sulle
somme dovute da applicare a titolo sanzionatorio dovrebbe essere pari al 10% e non già al
20% [art. 42, co. 2, lett. a) del testo unico]. Sul
punto, infatti,mil Collegio evidenzia come in
materia di sanzioni amministrative vige in via
prima richiesta da essa prestata a garanzia
dell’esatto adempimento dei propri obblighi, ed
in via subordinata contestava la sanzione con
riguardo ad uno dei lotti edificati, affermando
di avere pagato gli oneri di urbanizzazione ad
esso relativi nel rispetto delle scadenze previste. Con la sentenza in epigrafe il TAR adito respingeva l’impugnativa, statuendo, con riguardo alla censura svolta in via principale, che la
garanzia fideiussoria «non si estende anche
all’obbligazione sanzionatoria» scaturente dal
ritardato pagamento delle sanzioni, poiché la
fonte di quest’ultima non è data dal titolo ad
edificare, ma dalla distinta ingiunzione conseguentemente emessa dall’amministrazione, e
dichiarando generica la doglianza svolta in via
subordinata. La Società ha appellato la decisione di primo grado ed il Consiglio di Stato
Sez. V nella sentenza del 20.11.2015 n. 5287 ha
segnalato alcune pronunce anche recenti poste
su posizioni divergenti. L’orientamento prevalente si pone in continuità con l’indirizzo fatto
proprio dal TAR ed afferma quindi che
l’amministrazione non è obbligata ma solo facoltizzata ad escutere la fideiussione prestata a
garanzia del pagamento dei contributi concessori (da ultimo: Sez. IV, 17.2.2014, n. 731, e
giurisprudenza ivi richiamata). L’opposto orientamento invocato dalla società appellante a
sostegno delle proprie tesi è stato invece riproposto con la sentenza 21.11.2014, n. 5734 di
questa Sezione, a mente della quale nel caso di
ritardato pagamento dei contributi dovuti a
fronte del rilascio di un titolo edilizio, l’ente locale creditore è invece tenuto ad escutere la
garanzia rilasciata dal privato per il caso di
inadempimento, al fine di evitare che
quest’ultimo incorra nelle sanzioni previste per
il caso in questione dal citato art. 3 l. n.
47/1985, con importi crescenti a seconda
dell’entità del ritardo. Come precisato dalla
pronuncia
ora
richiamata,
l’obbligo
dell’amministrazione di attivarsi in questo senso ha un duplice fondamento normativo. In
primo luogo, esso discende dal dovere di origine civilistica di correttezza nell’attuazione del
rapporto obbligatorio sancito dall’art. 1175
cod. civ., secondo il quale il creditore ha il dovere di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dell’obbligazione. In secondo
luogo, la pronuncia in esame ha affermato che
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Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
cinta cimiteriale (cfr., tra le tante, CdS, Sez. VI
27.7.2015 n. 3667) È stato quindi precisato in
giurisprudenza che il vincolo cimiteriale, che
comporta l’inedificabilità assoluta, non consente in alcun modo l’allocazione di edifici, anche
non aventi natura residenziale, in ragione dei
molteplici interessi pubblici che tale fascia di
rispetto intende tutelare, e che possono enuclearsi nelle esigenze di natura igienico-sanitaria,
nella salvaguardia della peculiare sacralità dei
luoghi destinati alla sepoltura e nel mantenimento di un'area di possibile espansione della
cinta cimiteriale (TAR Puglia, Lecce sez. III
4.7.2015 n. 2245; TAR Sicilia, Palermo Sez. I
3.3.2015 n. 575). Facendo applicazione di detti
principi la sentenza appellata ha annullato le
autorizzazioni impugnate. Secondo il primo
giudice, infatti, il vincolo di inedificabilità assoluta gravante sulla fascia di rispetto del cimitero per espressa previsione normativa, impedisce la realizzazione di qualunque manufatto,
anche ad uso diverso da quello abitativo, e trattandosi di vincolo imposto ex lege in via astratta, prescinde da qualunque valutazione in merito alla specifica conformazione della costruzione che si intende realizzare in prossimità del
cimitero: sulla base di detti presupposti ha ritenuto che non potesse costruirsi neppure un
traliccio di telecomunicazioni – struttura impattante – “non più rispettoso della pietas nei
confronti dei defunti di quanto non lo sia una
abitazione di residenza”. Il Consiglio di Stato
Sez. III nella sentenza del 17.11.2015 n. 5257
non ha condiviso le affermazioni del primo giudice. La giurisprudenza più recente ha chiarito
che l'art. 338 R.D. cit. vieta l'edificazione, nella
fascia di duecento metri dal muro di cinta dei
cimiteri, di manufatti che possono essere qualificati come costruzioni edilizie (CdS, Sez. V
14.9.2010 n. 6671): ha quindi ritenuto che l'installazione di un impianto di telefonia mobile
che - per le proprie caratteristiche - non può in
alcun modo essere classificato come un manufatto edilizio non è incompatibile con il vincolo
cimiteriale (nella specie si trattava di un'antenna staffata sul muro del cimitero e non di una
costruzione edificata sul terreno ricadente nella
fascia di rispetto). (CdS, Sez. III 25/11/2014 n.
5837). Detta decisione - pur non essendo riferibile ad una fattispecie concreta identica, perché nel caso di specie si controverte sulla rea-
generale il principio di legalità, in virtù del
quale non si può essere sanzionati se non in
forza di una legge entrata in vigore prima della
commissione dell’illecito (art. 1 l. n. 689/1981 “Modifiche al sistema penale”), ma non già
l’ulteriore principio di retroattività delle disposizioni
sanzionatorie
più
favorevoli.
Quest’ultimo, espressione del favor rei, è invece circoscritto al solo sistema sanzionatorio
penale (art. 2 cod. pen.), nonché, per scelta discrezionale del legislatore, ad alcune tipologie
specifiche di illeciti amministrativi, come ad
esempio per quelli in materia tributaria (art. 2,
co. 3, d.lgs. n. 472/1997 – “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le
violazioni di norme tributarie, a norma dell'art.
3, co. 133, della l. 23.12.1996, n. 662”). Per
contro, una regola analoga a quest’ultima non
è riscontrabile nel settore edilizio, il cui sistema
sanzionatorio è nel suo complesso informato ad
esigenze di carattere ripristinatorio più che di
afflizione dei responsabili degli illeciti.
Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5257
Vincolo di inedificabilità assoluta gravante
sulla fascia di rispetto del cimitero – inapplicabilità agli impianti di telefonia mobile.
L’art. 388 co. 1 del r.d. n. 27.7.1934 n. 1265
stabilisce “I cimiteri devono essere collocati
alla distanza di almeno 200 metri dal centro
abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri
nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal
perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel
comune o, in difetto di essi, comunque quale
esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni
previste dalla legge”. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza sussiste – in
base a detta disposizione – il vincolo di inedificabilità assoluta nella fascia di rispetto del cimitero: il vincolo ex lege può essere rimosso
solo per considerazioni di interesse pubblico, in
presenza delle condizioni specificate nell'art.
338, quarto comma; ma non per interessi privati, come ad esempio per legittimare ex post realizzazioni edilizie abusive di privati, o comunque interventi edilizi futuri, su un'area a tal fine
indisponibile per ragioni di ordine igienicosanitario, nonché per la sacralità dei luoghi di
sepoltura, salve ulteriori esigenze di mantenimento di un'area di possibile espansione della
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Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
scia di rispetto cimiteriale. Non convince la tesi
dell’appellato secondo cui anche per la realizzazione di detti impianti sarebbe necessario ricorrere al procedimento previsto dall’art. 388
c. 5 del R.D. 27/7/34 n. 1265, in quanto – come
già precisato – non si tratta di “edifici”, ma di
semplici opere di urbanizzazione primaria riconducibili a tralicci per l’energia elettrica. Infine, la natura di opere di urbanizzazione primaria consente di prescindere dalla zonizzazione recata dal P.R.G., potendo gli impianti di
telecomunicazione per la telefonia mobile essere realizzati in qualunque zona del territorio
comunale. La giurisprudenza è univoca: “A
norma dell’art. 86 co. 3 del d.lgs. n. 259 del
2003 relativa alla localizzazione di infrastrutture di telecomunicazioni, è possibile prescindere dalla destinazione urbanistica del sito individuato per la loro installazione in quanto le
infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazioni, di cui agli art. 87 e 88, sono assimilate
ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione
primaria di cui all’art. 16 co. 7 del d.P.R.
6.6.2001 n. 380. Ne deriva anche alla luce
dell’art. 4 co. 7 della L.R. n. 11 del 2001 che gli
impianti radiobase di telefonia mobile di potenza totale non superiore a 300 watt non richiedono specifica regolamentazione urbanistica (
cfr., tra le tante, TAR Lombardia Sez. II
2.3.2012 n. 351).
lizzazione di una stazione radio base sulla fascia di rispetto cimiteriale e non sulla semplice
collocazione dell’antenna sul muro perimetrale
del cimitero - nondimeno contiene una precisazione importante: sussiste il vincolo di inedificabilità solo in presenza di “edifici” e cioè solo
quando vengono realizzate delle vere e proprie
costruzioni. Gli impianti di telefonia mobile
non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie in quanto normalmente non
sviluppano volumetria o cubatura, non determinano ingombro visivo paragonabile a quello
delle costruzioni, non hanno un impatto sul territorio paragonabile a quello degli edifici in
cemento armato o muratura (TAR Puglia Sez. I
Lecce 8/4/2015 n. 1120). Il concetto di edificio,
come ha correttamente rilevato la difesa delle
appellanti, è nettamente caratterizzato sia in
architettura che nel diritto urbanistico: un palo
di sostegno e le attrezzature installate su di esso non presentano – evidentemente – la stessa
natura (cfr. CdS, Sez. VI 17.10.2008 n. 5044).
Inoltre, come ha correttamente rilevato la giurisprudenza più recente di primo grado, le stazioni radio base, sono opere di urbanizzazione
primaria, compatibili con qualsiasi zonizzazione prevista dagli strumenti urbanistici vigenti, e
dunque possono essere installate anche in zona
di rispetto cimiteriale (cfr. TAR Calabria, Catanzaro Se. I 21.2.2014 n. 311; TAR Campania,
Napoli Sez. VII 25.10.2012 n. 4223; TAR Lazio
Sez. II Bis 14.5.2007 n. 4367), tenuto anche
conto che non ledono gli interessi dei quali il
vincolo di inedificabilità persegue la tutela. Gli
impianti di telefonia mobile, infatti, – assimilabili ai tralicci dell’energia elettrica – non arrecano alcun danno al decoro e alla tranquillità
dei defunti; non creano problemi di ordine sanitario e, nel caso di specie, nel quale
l’impianto è collocato oltre la strada che costeggia il muro perimetrale del cimitero, non
incidono neppure sulla possibilità di ampliamento del cimitero. Correttamente, quindi, la
legislazione regionale richiamata dalle appellanti (L.R. Lombardia n. 11/2001 art. 7, regolamento regionale 6/2004 e la circolare regionale 12.3.2007 n. 9) partendo dalla qualifica
contenuta nell’art. 86 del codice delle comunicazioni elettroniche, secondo cui detti impianti
costituiscono opere di urbanizzazione primaria,
specificano che è possibile realizzarli nella faGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. IV 19.11.2015 n. 5278
L'impugnazione dei titoli edilizi - nozione di
vicinitas - esercenti che contestano l'autorizzazione di una struttura commerciale.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 19.11.2015 n. 5278 ha osservato,
in coerenza con la costante giurisprudenza (cfr.
da ultimo e per tutte Ad. Plen. 25.02.2014 n. 9),
come l'azione di annullamento davanti al giudice amministrativo sia soggetta a tre condizioni
fondamentali: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell'azione (cioè la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo, ovvero come altri dice la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo
distingue dal quisque de populo rispetto all'esercizio del potere amministrativo); l'interesse
ad agire (ex art. 100 c.p.c. ); la legitimatio ad
causam (o legittimazione attiva, discendente
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
zione e dell'interesse ad agire, dovendosi comprovare il reale pregiudizio che venga a derivare dalla realizzazione dell'intervento assentito, specificando con riferimento alla situazione
concreta e fattuale come, perché, ed in quale
misura il provvedimento impugnato incida la
posizione sostanziale dedotta in causa, determinandone una lesione concreta, immediata e
di carattere attuale. Infatti, una diversa posizione che non tenga conto di una più attenta e
oculata disamina della situazione dedotta in
causa, al di là della rappresentazione formulata dal ricorrente, finirebbe per avallare una inammissibile sorta di azione popolare nei confronti dell'operato dell'amministrazione, per
conseguire l'annullamento di ogni provvedimento che consenta interventi non graditi da
parte dei vicini. Allo stato attuale, quindi, va
osservato come la nozione di vicinitas vada diversamente apprezzata, quanto meno con riguardo alla circostanza per cui : a) ad impugnare il permesso di costruire sia o meno il titolare di un immobile confinante, adiacente o
prospiciente su quello oggetto dell'intervento
assentito; b) ad impugnare il permesso di costruire cui è correlata un'autorizzazione commerciale, sia un operatore economico . Invero,
nel caso di cui alla lettera a) che precede, la
giurisprudenza del Consiglio ha più volte precisato con un indirizzo assolutamente prevalente che, ai fini della legittimazione a impugnare
un titolo edilizio da parte del proprietario confinante (o di chi si trovi in una posizione analoga), è sufficiente la semplice vicinitas, ossia la
dimostrazione di uno stabile collegamento materiale fra l'immobile del ricorrente e quello interessato dai lavori, escludendosi in linea di
principio la necessità di dare dimostrazione di
un pregiudizio specifico e ulteriore. Tale pregiudizio, infatti, deve ragionevolmente ritenersi
sussistente “in re ipsa in quanto consegue necessariamente dalla maggiore tropizzazzione
(traffico, rumore), dalla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica e dalla possibile diminuzione di valore dell'immobile”
(cfr. da ultimo e per tutte CdS, Sez IV,
22.9.2014 n. 4764 ed i richiami giurisprudenziali ivi operati) . Diversamente, nel caso in cui
ad impugnare il titolo edilizio non sia il proprietario confinante (o un soggetto che si trovi
in posizione analoga) la medesima giurispru-
dall'affermazione di colui che agisce in giudizio
di essere titolare del rapporto controverso dal
lato attivo). Tutte le condizioni dell'azione giudiziale anzidette, quindi, devono necessariamente sussistere anche nel caso di impugnativa
di titoli edilizi. Infatti, è ormai ius receptum
come l'art. 10 della legge n. 765 del 1967 (che
ha novellato in parte qua l'art. 31, co. 9, della l.
n. 1150 del 1942) non abbia introdotto un'azione popolare (che consentirebbe a qualsiasi cittadino di impugnare il provvedimento che prevede la realizzazione di un'opera per far valere
comunque l'osservanza delle prescrizioni che
regolano l'edificazione), ma abbia più semplicemente voluto riconoscere una posizione qualificata e differenziata in favore di chi si trovi in
una specifica situazione giuridico-fattuale rispetto all'intervento edilizio assentito, per cui il
provvedimento impugnato venga oggettivamente ad incidere la sua posizione sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata
e attuale. E tale assunto, giova evidenziarlo,
risulta in oggi ancora più corroborato a seguito dell'intervenuta abrogazione del richiamato
art. 31 della l. n. 1150/1942, ad opera dell'art.
136, co. 1 lett. a) del Testo Unico dell'Edilizia.
Così la giurisprudenza amministrativa ha elaborato al riguardo la nozione di vicinitas riconoscendo, in linea di principio, la legittimazione a contestare in sede giurisdizionale i titoli
edilizi,solo a chi sia titolare di immobili nella
zona in cui è stata assentita l'edificazione e a
coloro che si trovino in una situazione di “stabile collegamento” con la stessa. La richiamata
nozione di vicinitas, peraltro, è stata nel tempo
affinata e più adeguatamente specificata nella
sua concreta portata attraverso significativi e
sostanziali correttivi . Da un lato, infatti, dopo
le prime pronunce tendenti a circoscrivere la
legittimazione ad agire ai soli proprietari frontisti, si è progressivamente estesa la platea dei
soggetti abilitati al ricorso, riconoscendo un
più ampio interesse di zona con riguardo, altresì, alla posizione degli operatori economici che
intendano contrastare un titolo edilizio a cui si
accompagni una contestuale autorizzazione di
natura commerciale. Dall'altro lato, però, si è
sempre più avuto modo di precisare come il
semplice dato materiale della vicinitas, non
sempre costituisca oggettivo ed incontrovertibile elemento di individuazione della legittimaGazzetta Amministrativa
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Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
“ ambire alla stessa tutela il proprietario confinante con l'edificio a sua volta confinante con
quello oggetto di intervento edilizio, in quanto
ciò determinerebbe una vera e propria sostituzione processuale, in violazione dell'articolo
181 c.p.c. , secondo il quale nessuno può far
valere in giudizio in nome proprio un editto altrui se non nei casi espressamente previsti dalla
legge” ( Sez. IV 1.7.2013 n. 3543). Nel caso in
cui ad impugnare il permesso di costruire correlato ad una autorizzazione commerciale sia
un operatore economico, il requisito della vicinitas ha poi subito una peculiare elaborazione
da parte della giurisprudenza di questo Consiglio . In particolare il criterio dello stabile
“collegamento territoriale” che deve legare il
ricorrente all'area di operatività del controinteressato per poterne qualificare la posizione
processuale e conseguentemente il diritto di azione, deve essere riguardato in un'ottica più
ampia rispetto a quella usuale. Così il concetto
di vicinitas nella contestazione di una struttura
commerciale, “si specifica identificandosi nella
nozione di stesso bacino d'utenza della concorrente, tale potendo essere ritenuto anche con un
raggio di decine di chilometri” ( cfr. tra le tante CdS, Sez. IV 12.9.2007 n. 4821 ; 20.11.2007
n. 6613 ) . Pertanto, nell'ipotesi in cui ad impugnare il permesso di costruire sia il titolare di
una struttura di vendita, affinché il suo interesse processuale possa qualificarsi personale, attuale e diretto, deve potersi ravvisare la coincidenza, totale o quanto meno parziale, del bacino di clientela, tale da poter oggettivamente determinare un'apprezzabile calo del volume d'affari del ricorrente. In sostanza, l'insediamento
commerciale realizzato ex novo nella zona può
considerarsi pregiudizievole e radicare un interesse tutelabile, quando venga a servire oggettivamente in tutto o in parte uno stesso bacino
di clientela, oggettivamente circoscrivibile in
un determinato ambito spaziale. Così, la legittimazione al ricorso non può di certo configurarsi allorquando l'instaurazione del giudizio
appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi,
di mero fatto o contra ius, siccome volti nella
sostanza a contrastare la libera concorrenza e
la libertà di stabilimento. E ciò in coerenza con
la funzione svolta dalle condizioni dell'azione
nei processi di parte, innervati come sono dal
principio della domanda e dal suo corollario
denza, ed in particolare quella di questa Sezione che il collegio pienamente condivide, ha
precisato con indirizzo pressoché univoco che il
mero criterio della vicinitas riguardato in senso
solo materiale non può di per sé radicare la legittimazione al ricorso giurisdizionale “prescindendo dal generale principio dell'interesse
ad agire in relazione alla lesione concreta, attuale e immediata della posizione sostanziale
dell'interessato…….., presupponendo altresì la
detta legittimazione la specificazione, con riferimento alla situazione concreta e fattuale del
come, del perché ed in quale misura il provvedimento impugnato si rifletta sulla propria posizione sostanziale, determinandone una lesione concreta, immediata e di carattere attuale”
(Sez. IV 5.11.2004 n. 7245 ; 17.9.2012 n. 4924 ;
27.1.2012 n. 420 ; 30.11.2010 n. 8364 ;
4.12.2007 n. 6157 ) . Ed al riguardo è stato aggiunto “che la sussistenza dell'interesse ad agire deve essere valutata in astratto, con riferimento al contenuto della domanda, e non secundum eventum litis, e che requisiti imprescindibili per la configurazione di questa condizione dell'azione sono il suo carattere personale, la sua attualità e la sua concretezza……
per cui la lesione arrecata dal provvedimento
impugnato deve essere effettiva, nel senso che
dall'esecuzione di esso discenda in via immediata e diretta un danno certo alla sfera giuridica della ricorrente,ovvero potenziale, intendendosi come tale, però, quello che sicuramente (o molto probabilmente ) si verificherà in futuro” ( Sez. IV 30.11.2010 n. 8364 ). Infatti,” al
fine di evitare il proliferare di ricorsi non effettivamente rispondenti al principio della tutela
di un interesse qualificato……… in concreto
devono ritenersi titolati alla impugnativa solo i
soggetti che possono lamentare una rilevante e
pregiudizievole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio per effetto della realizzazione dell'intervento controverso……. in
termini, ad esempio, di deprezzamento del valore del bene o di concreta compromissione del
diritto alla salute ed all'ambiente” ( Sez. IV
17.9.2012 n. 4924 ) . Ed in questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha avuto modo di
precisare ulteriormente che mentre la comprovata vicinitas è elemento sufficiente a legittimare l’impugnativa di un titolo edilizio da parte
del proprietario confinante, non può viceversa
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
no doverosamente esercitabili, come poi esercitati, dovendosi la P.A. procedente farsi carico
di una verifica di conformità urbanistica a trecentosessanta gradi, comprensiva cioè della disamina di un pluralità di intereressi pubblici
tra i quali si annoverano certamente i profili di
tutela dell’ambiente e del paesaggio proprio al
fine di imprimere ai luoghi un modello urbanistico più consono allo storia e ai costumi della
comunità ivi insistente. Parimenti, sempre in
linea di principio, la classificazione di un’area
ad uso agricolo ben può esorbitare
dall’esigenza di promuovere un utilizzo ad attività agricole dell’area stessa ed essere strumentale all’esigenza di conservazione di valori
ambientali (cfr. Cons. Stato 27/7/2010 n. 4920;
idem 2166/2010 ), sicchè anche questi aspetti
specifici possono e debbono essere tenuti in
considerazione dall’Autorità chiamata alla cogestione delle procedure di pianificazione.
rappresentato dal principio dispositivo; sul
punto va richiamata la tesi (corroborata dalla
più recente giurisprudenza nelle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, cfr.22.4.2013 n.
9685), secondo cui tali condizioni (ed in particolare il titolo e l'interesse ad agire ), assolvono una funzione di filtro in chiave deflattiva
delle domande proposte al giudice, fino ad assumere l'aspetto di un controllo di meritevolezza dell'interesse sostanziale in gioco, alla luce
dei valori costituzionali ed internazionali rilevanti, desumibili dagli artt. 24 e 111 della Costituzione. Ne consegue che il riconoscimento
della legittimazione ad agire non è genericamente ammesso nei confronti di tutti gli esercenti commerciali, ma è subordinato al riconoscimento di determinati presupposti, e ciò al
fine di poter ritenere giuridicamente rilevante,
nonché qualificato e differenziato, l'interesse
all'impugnazione. Pertanto, è necessario che
l’operatore economico che intende impugnare
un titolo edilizio a cui accede una valida e formale autorizzazione commerciale eserciti nelle
immediate adiacenze, che l’attività commerciale esercitata sia dello stesso tipo in tutto o in
parte di quella relativa ai provvedimenti in
contestazione, e che le due attività vengano a
servire uno stesso bacino di clientela oggettivamente circoscritto o comunque circoscrivibile con sufficiente certezza.
Consiglio di Stato Sez. IV 5.10.2015 n. 4628
Distanza tra pareti finestrate - d.m. n.
1444/1968 – inapplicabilità ai lucernari di tipo velux.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 5.10.2015 n. 4628 si è occupata
dell'art. 9 del D. M. n. 1444 del 1968 che fissa
la distanza minima che deve intercorrere tra
“pareti finestrate e pareti di edifici antistanti” .
Nella sentenza viene precisato che sul piano
formale tale norma fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza unicamente “
le pareti munite di finestre qualificabili come
vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali
si aprono semplici luci” ( cfr. Cass. Civ. Sez. II
6.11.2012 n. 19092; 30.04.2012 n. 6604 ; Cons.
Stato Sez. IV 04.09.2013 ; 12.02.2013 n. 844 ) .
Nel caso di specie, viceversa, la parete finestrata da cui a dire degli appellanti dovrebbe calcolarsi la distanza fissata dalla richiamata
normativa, è il tetto dell'edificio di loro proprietà da cui prendono luce ed aria, mediante
lucernari di tipo velux, gli ambienti situati al
primo piano. Sennonché i velux in questione
non possono di certo considerarsi “vedute” alla stregua dell'articolo 900 codice civile - non
consentendo né di affacciarsi sul fondo del vicino (prospectio) né di guardare di fronte, obli-
Consiglio di Stato Sez. IV 13.10.2015 n. 4716
Urbanistica - esercizio del potere pianificatorio - i principi del Consiglio di Stato.
L’esercizio del potere di pianificazione non attiene solo all’aspetto edilizio del territorio ma
va esercitato anche in relazione ad altre esigenze di sviluppo economico- sociale del territorio stesso in riferimento alla concreta vocazione dei luoghi e ai valori ambientali e paesaggistici, nell’ambito di una più ampia accezione del concetto di urbanistica ( cfr sentenza
n. 2710/2012 già citata ) e in relazione alla
portata del concetto di garanzia dello ius aedificandi come delineato da tempo dalla Corte
costituzionale ( vedi sentenze nn.55 e 56 del
1968 ). In aderenza ai suddetti principi giurisprudenziali quindi gli interventi tutori
dell’Amministrazione concorrente alla gestione
dei procedimenti di approvazione degli strumenti urbanistici, in linea di massima, appaioGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come
depositi, magazzini e simili, e che non siano
diretti a soddisfare esigenze meramente
temporanee e salvo che siano installati, con
temporaneo ancoraggio al suolo, all´interno di
strutture ricettive all´aperto, in conformità alla
normativa regionale di settore, per la sosta ed
il soggiorno di turisti”. Peraltro, a seguito del
passaggio in decisione del ricorso, la Corte
costituzionale, con sentenza 24.7.2015, n. 189
ha dichiarato la (parziale) illegittimità
costituzionale della disposizione da ultimo
richiamata per violazione dell’art. 117, terzo e
quarto co., Cost. Sul punto, tuttavia, osserva il
Collegio che (anche prescindendo da
qualunque rilievo in ordine agli effetti di una
pronuncia di incostituzionalità intervenuta
all’indomani del passaggio in decisione di un
ricorso nel cui ambito si faccia – appunto –
questione dell’applicazione della disposizione
dichiarata illegittima), la richiamata pronuncia
di incostituzionalità non determina effetti ai fini
del presente giudizio in quanto la declaratoria
di incostituzionalità ha riguardato una parte
della disposizione (quella che va dalle parole
“e salvo che” fino a “turisti”) che non rileva ai
fini della presente decisione. Ad avviso del
Collegio, al fine di impostare in modo corretto
la soluzione della vicenda di causa occorre in
primo luogo domandarsi se sussistano in atti
sufficienti indizi i quali depongono nel senso
che i sei containers in questione fossero
effettivamente utilizzati quali spogliatoi al
servizio degli atleti che fruiscono del Circolo
sportivo e, in caso di risposta affermativa, quali
siano le conseguenze ai fini della corretta
qualificazione urbanistico-edilizia di tale
cambiamento di destinazione d’uso. Ebbene,
per quanto riguarda il primo dei richiamati
quesiti il Collegio ritiene che sussistano agli
atti di causa elementi i quali dimostrano in
modo inequivoco l’effettivo utilizzo dei
richiamati containers quali spogliatoi al
servizio degli atleti. Si ritiene, infatti, che
costituiscano indici del tutto persuasivi (e
difficilmente confutabili) in tal senso: - la
circostanza
per
cui,
nel
rilasciare
un’autorizzazione in deroga alle previsioni di
cui all’art. 3 del d.P.R. 380 del 2001 (atto in
data 11.7.2012) il Presidente del V Municipio
ebbe espressamente ad affermare che tale
quamente o lateralmente (inspectio) -, ma semplici luci in quanto consentono il solo passaggio dell'aria e della luce. Pertanto, correttamente il primo giudice ha osservato al riguardo, come già sopra segnalato, che l'invocato
art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 non può comunque “trovare applicazione in quanto nella
specie non vengono in evidenza le distanze tra
pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, e
ciò perché non può considerarsi parete finestrata il tetto dell'abitazione del ricorrente solo
perché caratterizzato da sette finestre di tipo
velux” .
Consiglio di Stato Sez. VI 4.9.2015 n. 4116
Installazione di container - attività di edilizia
libera o intervento di nuova costruzione.
Innanzi alla Sesta Sezione del Consiglio di
Stato è stato discusso il ricorso in appello
proposto da una società che gestisce in Roma
un impianto sportivo (campo di calcio) su area
di proprietà comunale. Il TAR del Lazio, in
primo grado aveva respinto il ricorso avverso il
provvedimento con cui il competente dirigente
comunale aveva ordinato la rimozione di alcuni
container destinati ad uso spogliatoio
(container per i quali, nel 2003, era stato
assentito “l’utilizzo temporaneo”). Con
sentenza del 4.9.2015 n. 4116 il Consiglio di
Stato nel rigettare l´appello ha esaminato la
questione centrale ai fine del decidere ovvero
se l’installazione e il mantenimento in loco di
sei (degli otto) containers inizialmente collocati
sull’area al servizio delle opere di
cantierizzazione finalizzate al ripristino
funzionale dell’impianto siano riconducibili alla previsione di cui all’art. 6, co. 2, lett. b)
del d.P.R. 6.6.2001, n. 380 (secondo cui
rientrano nell’ambito della c.d. ‘attività edilizia
liberà “le opere dirette a soddisfare obiettive
esigenze contingenti e temporanee e ad essere
immediatamente rimosse al cessare della
necessità e, comunque, entro un termine non
superiore a novanta giorni” (si tratta della tesi
sostenuta dall’appellante), ovvero - alla
previsione di cui costituisce intervento di
‘nuova costruzionè
(inter alia) “e.5)
l´installazione di manufatti leggeri, anche
prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere,
quali roulottes, campers, case mobili,
imbarcazioni, che siano utilizzati come
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
data 21.5.2012 resa dagli Operatori comunali
del V Gruppo all’esito del sopralluogo ispettivo
del precedente 15 maggio, era emerso che “i
lavori erano fermi e non v’era alcun operaio
nel cantiere sopra indicato, parimenti,
all’interno di alcuni containers, presumibilmente, gli stessi avventori dei campi di
calcio, avevano collocato sulle panche e sugli
appendiabiti presenti, svariati capi di
abbigliamento e varie borse sportive, tutte
riportanti la dicitura ‘*, ritenendo, per tale
motivo, che detti locali fossero utilizzati dai
vari atleti”. Né a conclusioni diverse rispetto a
quelle appena tracciate può giungersi in
relazione al fatto che il provvedimento
impugnato in primo grado abbia descritto i
containers in questione come poggianti “su una
serie di plinti prefabbricati in cemento” (e non,
come affermato dall’appellante, su una serie di
manufatti in c.a.v. – pozzetti per cavidotti -). Il
Collegio si soffermerà nel prosieguo sul se tale
diversa prospettazione in fatto possa incidere
sulla corretta individuazione del carattere di
contingenza e temporaneità dei containers in
questione. Ciò che interessa qui osservare è che
tale circostanza non apporta alcun elemento
effettivo in ordine alla circostanza, che qui
rileva, relativa all’effettivo utilizzo dei
containers in questione quali spogliatoi per gli
atleti. Ma una volta rilevato (lo si ripete, sulla
base di elementi univoci e difficilmente
confutabili) che i containers in questione
fossero stati effettivamente destinati (e per un
periodo senz’altro lungo – almeno dal luglio
2012 -) alla diversa destinazione di spogliatoi
per gli atleti, il Collegio ritiene che la
fattispecie in esame sia stata correttamente
inquadrata, da parte del Dirigente tecnico del
IV Municipio (già V Municipio), nell’ambito
applicativo dell’art. 3, co. 1, lett. e.5) del d.P.R.
380 del 2001 (il quale, come si è già rilevato,
ascrive alla nozione di ‘nuove costruzioni’ e
assoggetta all’obbligo di permesso di costruire
“[i] manufatti leggeri, anche prefabbricati, e
[le] strutture di qualsiasi genere, quali
roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni,
che siano utilizzati come (…) ambienti di
lavoro, oppure come depositi, magazzini e
simili, e che non siano diretti a soddisfare
esigenze meramente temporanee (…)”. E il
fatto che i manufatti in questione non fossero
autorizzazione fosse – appunto - volta a
consentire l’utilizzo dei baraccamenti di
cantiere “a funzione di spogliatoi sportivi”; la circostanza per cui, nel richiedere tale
autorizzazione, la stessa società appellante (e
con valenza sostanzialmente confessoria)
avesse in effetti chiesto “[l’]utilizzo
temporaneo di una parte dei baraccamenti di
cantiere
situati
nell’impianto
sportivo
monotematico di via degli * a funzione di
spogliatoi sportivi”; - la circostanza per cui,
nel rendere la propria relazione alla Procura
della Repubblica in data 30.11.2012, i tecnici
comunali avessero – appunto – rilevato che i
sei containers in questione fossero “allestiti ed
accessoriati con panchine appendiabiti, w.c. e
docce, idonei all’uso di spogliatoi”. Vero è che,
nell’ambito di tale relazione si riferisce che
“nel corso dei sopralluogo non è stato possibile
verificare il cambio di destinazione d’uso dei
containers da spogliatoi a servizio dei campi
sportivi, in quanto i suddetti containers
risultavano liberi da persone e cose, vestiario e
suppellettili varie”. Tuttavia, precisa il
Collegio "quanto nell’occasione riferito non
assume affatto la valenza definitivamente
liberatoria invocata dalla società appellante.
Ed infatti, la relazione dei tecnici comunali per un verso – conferma l’assoluta idoneità
funzionale e strutturale dei containers in parola
a fungere da spogliatoi per gli atleti; per altro
verso si limita ad attestare che, al momento
degli accessi, non fossero presenti gli atleti e le
loro suppellettili. Tale circostanza è stata del
tutto plausibilmente ricostruita dal Funzionario
di P.L. della Sezione di P.G. nella sua relazione
al Sostituto procuratore in data 15.01.2013.
Nell’occasione il F.P.L. ha osservato che la
verifica al cui esito non era stata riscontrata la
presenza di atleti nei containers “ha avuto
luogo, presumibilmente, previo accordo
intercorso col suddetto concessionario che,
probabilmente,
al
fine
di
ovviare
all’inconveniente di incorrere negli stessi
addebiti che, a suo tempo, sono stati constatati
dal locale Comando del V Gruppo (…), ha
provveduto, per tempo, a interdire l’accesso e/o
a rimuovere qualsivoglia elemento che
avrebbero potuto indurre i tecnici a dare una
diversa valutazione circa il loro uso”; - dalla
circostanza secondo cui, nell’informativa in
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
un´utilizzazione perdurante nel tempo, di talché
l´alterazione del territorio non può essere
considerata temporanea, precaria o irrilevante
(in tal senso: CdS, VI, 3.06.2014, n. 2842).
Pertanto, conclude il Consiglio di Stato, deve
essere confermata la tesi secondo cui gli
interventi per cui è causa fossero riconducibili
alla previsione di cui all’art. 3, co. 1, punto e.5)
e non anche a quella di cui all’art. 6, co. 2, lett.
b) del d.P.R. 380 del 2001.
destinati a soddisfare “esigenze meramente
temporanee” risulta confermato dal diuturno
utilizzo in questione e dalla circostanza per cui,
secondo quanto rilevato dalla stessa
appellante, tale utilizzo è destinato a perdurare
fino a quando non sarà possibile completare le
opere di ripristino funzionale del complesso
(anche attraverso il completamento dei nuovi
spogliatoi). Tuttavia, è la stessa appellante a
riferire che al momento non si dispone di
alcuna certezza in ordine a tale tempistica,
anche a causa della mancata erogazione dei
necessari finanziamenti (erogazione che, a sua
volta, viene resa difficoltosa dalle complesse
vicende amministrative e giudiziarie che hanno
caratterizzato la vicenda). Ma al di là di
qualunque valutazione di merito, il Collegio
ritiene che il complesso di circostanze appena
richiamate confermi ancora una volta il fatto
che l’utilizzo dei containers quali spogliatoi per
gli atleti non risulti certamente finalizzato a
soddisfare “esigenze meramente temporanee”,
in tal modo rendendo inapplicabile la
previsione di cui all’art. 6, co. 2, lett. b) del
richiamato d.P.R. 380 del 2001 (il quale
richiama, al contrario, “opere dirette a
soddisfare obiettive esigenze contingenti e
temporanee”). Al riguardo si ritiene di
richiamare l’orientamento secondo cui i
manufatti non precari, ma funzionali a
soddisfare esigenze stabili nel tempo vanno
considerati come idonei ad alterare lo stato dei
luoghi, a nulla rilevando la precarietà
strutturale del manufatto, la potenziale
rimovibilità della struttura e l´assenza di opere
murarie. Ciò, in quanto il manufatto non
precario (nel caso di specie: container) non
risulta in concreto deputato ad un suo uso per
fini contingenti, ma viene destinato ad un
utilizzo destinato ad essere protratto nel tempo.
La ‘precarietà’ dell’opera, che esonera
dall´obbligo del possesso del permesso di
costruire, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. e.5,
d.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso
specifico e temporalmente delimitato del bene e
non ammette che lo stesso possa essere
finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non
eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel
tempo. Non possono, infatti, essere considerati
manufatti destinati a soddisfare esigenze
meramente temporanee quelli destinati a
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 4.9.2015 n. 4124
Edilizia - interventi di trasformazione
soggetti a permesso di costruire.
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la
sentenza del 4.9.2015 ha affermato che:
"L’attività edilizia deve essere compatibile con
le destinazioni impresse sull’area dagli
strumenti urbanistici. L’art. 10 del d.P.R.
6.6.2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia)
dispone, inoltre, che: «Costituiscono interventi
di trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio e sono subordinati a permesso di
costruire: a) gli interventi di nuova
costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione
urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione
edilizia che comportino aumento di unità
immobiliari, modifiche del volume, della
sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero
che, limitatamente agli immobili compresi nelle
zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d´uso». La giurisprudenza del
Consiglio ha già avuto modo di affermare, per
definire l’ambito applicativo della norma
riportata, che: i) «manufatti non precari, ma
funzionali a soddisfare esigenze permanenti,
vanno considerati come idonei ad alterare lo
stato dei luoghi, con un sicuro incremento del
carico urbanistico, a nulla rilevando la
precarietà strutturale del manufatto, la
rimovibilità della struttura e l´assenza di opere
murarie, posto che il manufatto non precario
non è deputato ad un suo uso per fini
contingenti, ma è destinato ad un utilizzo
destinato ad essere reiterato nel tempo in
quanto stagionale» (Cons. Stato, sez. IV,
3.06.2014, n. 2842); ii) «non vi è dubbio sulla
assenza della natura pertinenziale – ai fini
edilizi – quando sia realizzato un nuovo
volume, su un´area diversa ed ulteriore rispetto
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
adeguamento degli standard.
a quella già occupata dal precedente edificio
essendo ravvisabile la natura pertinenziale solo
quando si tratti: a) di opere che non
comportino un nuovo volume, come una tettoia
o un porticato aperto da tre lati; b) di opere
che comportino un nuovo e modesto volume
‘tecnico´, confermandosi con ciò, in definitiva,
che devono essere tali da non alterare in modo
significativo l´assetto del territorio o incidere
sul carico urbanistico, caratteristiche queste la
cui sussistenza deve essere peraltro dimostrata
dall´interessato» (CdS, Sez. VI, 29.1.2015, n.
406).
Consiglio di Stato Sez. VI 16.7.2015 n. 3555
Abusi edilizi - non è invalidante l’indicazione
nell’ordine di demolizione di un termine
inferiore a quello di novanta giorni, ma è
solo l’inutile decorrenza di quest’ultimo
termine che consente gli effetti acquisitivi al
patrimonio comunale.
A norma del citato art. 31, co. 3, d.P.R. n. 380
del 2001, l’inottemperanza all’ordine di
demolizione comporta acquisizione gratuita al
patrimonio comunale non solo del bene e della
relativa area di sedime, ma anche di “quella
necessaria, secondo le vigenti prescrizioni
urbanistiche, alla realizzazione di opere
analoghe a quelle abusive”, purché l’area
complessivamente acquisita non sia “superiore
a dieci volte la complessiva superficie utile
abusivamente costruita”.
È questo il principio sancito dalla Sesta
Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza
del 16.7.2015, n. 3555 nella quale il Collegio
precisa altresì che "Non invalidante, inoltre,
appare l’indicazione nell’ordine di demolizione
di un termine (trenta giorni) inferiore a quello
di novanta, previsto dallo stesso art. 31, co. 3,
del d.P.R. n. 380 del 2001: è solo l’inutile
decorrenza di quest’ultimo termine, infatti, che
consente gli effetti acquisitivi previsti dalla
legge, mentre il primo ha carattere solo
diffidatorio."
Consiglio di Stato Sez. VI 7.8.2015 n. 3911
Lottizzazione abusiva: gli elementi precisi ed
univoci da cui ricavare l'intento di asservire
all'edificazione un'area non urbanizzata.
Il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del
7.8.2015 n. 3911 ha affermato che: "In base ad
un consolidato orientamento, è ravvisabile
l´ipotesi di lottizzazione abusiva soltanto
quando sussistono elementi precisi ed univoci
da cui possa ricavarsi oggettivamente l´intento
di asservire all´edificazione un´area non
urbanizzata; pertanto, ai fini dell´accertamento
della sussistenza del presupposto di cui all’art.
18 della l. 28.2.1985, n. 47 (in seguito: art. 30
del d..R. 6.6.2001, n. 380). Pertanto, al fine di
poter affermare l’esistenza di un’ipotesi di
lottizzazione abusiva (nel caso in esame, di tipo
c.d. ‘materialè) è necessario acquisire un
sufficiente quadro indiziario dal quale sia
possibile desumere in maniera non equivoca la
destinazione a scopo edificatorio degli atti posti
in essere, con conseguente giustificazione del
provvedimento repressivo a fronte della
dimostrazione della sussistenza di elementi
precisi e univoci (in tal senso –ex multis -:
Cons. Stato, V, 27.3.2013, n. 1809; in termini
analoghi: Cons. Stato, V, 3.8.2012, n. 4429)".
Da ultimo viene richiamato l’orientamento
secondo cui, affinché si concretizzi l’illecito
della lottizzazione abusiva in senso materiale, è
sufficiente la realizzazione di qualsiasi tipo di
opere in concreto idonee a stravolgere l’assetto
del territorio preesistente e quindi, in ultima
analisi, a determinare sia un concreto ostacolo
alla futura attività di programmazione (che
viene posta di fronte al fatto compiuto), sia un
carico urbanistico aggiuntivo che necessità di
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. IV 16.7.2015 n. 3579
Strumenti urbanistici generali o attuativi vicinitas - interesse all´impugnativa.
Secondo l´insegnamento della giurisprudenza
in sede di impugnazione di strumenti
urbanistici generali o attuativi -a differenza di
quanto comunemente si afferma laddove sia
contestato direttamente un titolo abilitativo
all´edificazione- la semplice vicinitas (ossia la
situazione di stabile collegamento esistente tra
la proprietà del ricorrente e quella interessata
dal provvedimento censurato) non è sufficiente
a
fondare
l´interesse
all´impugnativa,
occorrendo che il ricorrente alleghi e dimostri
anche l´esistenza di uno specifico e concreto
pregiudizio derivantegli dagli atti impugnati
(cfr. tra le tante Sez. IV, 25.9.2014 n. 4816;
12.10.2010 n. 7439). E questo, per evitare che
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Numero 3/4 - 2015
Uso del territorio:
urbanistica, ambiente e paesaggio
un´eccessiva dilatazione del concetto di
interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., con
riferimento ai piani urbanistici, consenta
l´impugnativa anche ai soggetti titolari di un
interesse di mero fatto (cfr. tra le tante Sez. IV ,
13.7.2010 n. 4545; 30.11.2010 n. 8365).
«:::::::::GA:::::::::»
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
UNIONE EUROPEA E
COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
NOTIZIE E AGGIORNAMENTI
PIRATERIA: IN G.U. IL DECRETO
SULL'INDIVIDUAZIONE
DELLE
ACQUE INTERNAZIONALI A RISCHIO
NELLE QUALI È CONSENTITO L'IMPIEGO DI GUARDIE GIURATE A
BORDO DELLE NAVI MERCANTILI
BATTENTI BANDIERA ITALIANA
sulla Gazzetta Ufficiale n. 201 del 31.8.2015)
«::::::::: GA :::::::::»
COOPERAZIONE GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE IN MATERIA PENALE. CANALI DI TRASMISSIONE DELLE RICHIESTE DI ASSISTENZA GIUDIZIARIA INTERNAZIONALE. ESIGENZA DI RAZIONALIZZAZIONE
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale,
Serie Generale, n. 231 del 6.10.2015 il decreto 24.9.2015 del Ministero della Difesa recante "Individuazione delle acque internazionali soggette al rischio di pirateria nell'ambito delle quali è consentito l'impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana" (Decreto del Ministero dello Difesa pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 231 del 6.10.2015).
Il Ministero della Giustizia ha pubblicato lla
Circ. Prot. m_dg.DAG. 10.8.2015.00
115769.U del 10.08.2015 recante “Cooperazione giudiziaria internazionale in materia
penale. Canali di trasmissione delle richieste
di assistenza giudiziaria internazionale. Esigenza di razionalizzazione”.
1. Premessa
Il continuo incremento delle richieste di assistenza giudiziaria internazionale in materia
penale indirizzate dalle Autorità Giudiziarie
italiane a questo Ministero, per il successivo
inoltro alle Autorità Centrali dei Paesi richiesti, impone una riflessione volta all'individuazione del miglior uso dei canali di trasmissione di tali atti, nel rispetto dei principi
di buon andamento della pubblica amministrazione e di ragionevole durata del processo.
Vigono da alcuni decenni norme convenzionali che, prevalendo ai sensi dell'art.696
C.p.p. sulle disposizioni codicistiche dedicate
alla disciplina delle rogatorie internazionali,
abilitano i pubblici ministeri e i giudici italiani alla trasmissione diretta delle richieste
«::::::::: GA :::::::::»
PAGAMENTI
TRANSFRONTALIERI
NELLA COMUNITÀ: IN G.U. IL D.LGS
SUI REQUISITI TECNICI E COMMERCIALI PER I BONIFICI E GLI
ADDEBITI DIRETTI IN EURO E LE
SANZIONI
Entra in vigore il 1.9.2015 il d.lgs.
18.08.2015, n. 135 recante "Attuazione
dell´art. 11 del Reg. (UE) n. 260/2012 del
14.03.2012 che stabilisce i requisiti tecnici e
commerciali per i bonifici e gli addebiti
diretti in euro e disposizioni sanzionatorie
per le violazioni del Reg. (CE) n. 924/2009
relativo ai pagamenti transfrontalieri nella
Comunita´" (D.lgs. n. 135/2015 pubblicato
Gazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
Repubblica Slovacca, Romania, Russia, San
Marino, Serbia, Slovenia, Spagna, Svezia,
Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria.
Con riferimento ai Paesi parte del richiamato
Accordo di Schengen, giova inoltre richiamare l'opportunità di rilevante semplificazione
procedurale offerta nella specifica materia
delle notifiche penali.
L'art. 52 dell'Accordo prevede, infatti, che gli
atti da notificare a persone che si trovino nel
territorio dei Paesi aderenti vadano inviati
direttamente al destinatario a mezzo posta
raccomandata con avviso di ricevimento, esonerando l'Autorità giudiziaria anche
dall'obbligo di comunicare a questo ufficio
l'avvenuta spedizione. Con l'avvertenza (art.
52, co. 2) che gli atti da notificare dovranno
essere corredati della traduzione nella lingua
del destinatario quando si ha motivo di ritenere che quest'ultimo non comprenda la lingua nella quale l'atto è redatto.
3. La necessità di prediligere, ove possibile,
l'inoltro diretto tra Autorità Giudiziarie
Nonostante la vigenza di questo quadro normativo, un crescente numero di richieste di
assistenza dirette alle Autorità Giudiziarie
dei predetti Stati viene trasmesso per il tramite di questo Ministero.
La scelta di questo più gravoso percorso procedurale non dà luogo a profili di illegittimità
tali da giustificare la restituzione o il blocco
della richiesta da parte degli uffici ministeriali.
Essa però arreca danno alla speditezza
dell'attività giudiziaria per l'evidente rallentamento che l'esecuzione della richiesta di
assistenza subisce in ragione del duplice passaggio, per il tramite di questo Ministero e
per quello dell'omologa autorità centrale
straniera.
Inoltre, essa costringe gli uffici di questo Ministero a sottrarre energie alla trattazione
delle rogatorie in cui il passaggio per la via
politica e diplomatica è invece imposto dalle
convenzioni o dalla disciplina del codice.
Si è osservato che il ricorso alla via ministeri
aie trova spiegazione nella difficile individuazione dell'autorità giudiziaria estera territorialmente competente a ricevere la richiesta.
Detta difficoltà può però trovare soluzione
attivando i punti di contatto della Rete Giudi-
di assistenza alle autorità giudiziarie estere,
consentendo l'obliterazione sia della fase di
valutazione politica della richiesta che il canale diplomatico di trasmissione.
2. Le principali convenzioni internazionali
che prevedono ipotesi di inoltro diretto delle
richieste di assistenza tra Autorità Giudiziarie
Già nella Convenzione europea di assistenza
giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20.4.1959 e ratificata con l.
23.02.1961 n. 215, si prevedono numerose
ipotesi di inoltro diretto tra Autorità Giudiziarie..
Al paragrafo 2 dell'art. 15, ad esempio, si
prevede che "In caso di urgenza, dette rogatorie potranno essere indirizzate direttamente
dalle autorità giudiziarie della Parte richiedente alle autorità giudiziarie della Parte richiesta ", Nel successivo paragrafo 4, si aggiunge che " ( ... ) le richieste di indagini preliminari al procedimento penale potranno essere oggetto di comunicazione diretta tra le
autorità giudiziarie".
A partire dall'entrata in vigore della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, ratificata con l. 30.9.1993, n. 388, la trasmissione diretta diventa il principale canale
di invio delle rogatorie ["le domande di assistenza giudiziaria possono essere fatte direttamente tra le autorità giudiziarie e nello
stesso modo possono essere inviate le risposte" (art. 53, par. l)], senza essere limitato né
al caso dell'urgenza, né ai soli atti dell'indagine preliminare.
Riassuntivamente, da oltre venti anni, con
quasi tutti gli Stati Membri dell'Unione Europea, con quelli appartenenti all'area cd.
Schengen ed anche con numerosi altri Stati è
possibile l'inoltro diretto della quasi totalità
delle richieste di assistenza giudiziaria.
Di tali Stati si fornisce di seguito un elenco:
Albania, Andorra, Armenia, Austria, Azerbaijan, Belgio, Bosnia e Erzegovina, Bulgaria,
Cile, Cipro, Corea, Croazia, Danimarca, Estonia, Macedonia, Finlandia, Francia, Georgia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldavia, Monaco, Montenegro, Norvegia, Paesi
Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca,
Gazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
niera, il potere di blocco previsto dall'art.
727, co. secondo, cod. proc. pen. nei casi in
cui ritenga esposti a pericolo la sicurezza o
altri interessi essenziali dello Stato.
Laddove ricorra il presupposto dell'urgenza,
essa realizza però il miglior contemperamento tra le esigenze dell'Autorità giudiziaria rogante e le istanze di efficiente funzionamento
del competente Ufficio ministeriale.
5. Obblighi di comunicazione
Si rammenta che, a norma dell'art. 204 bis
disp. att. c.p.p., quando un accordo internazionale consente la trasmissione diretta della
richiesta di assistenza giudiziaria, l'autorità
giudiziaria interna che percorre questa strada ne trasmette senza ritardo copia al Ministero della Giustizia (e, più in dettaglio,
all'Ufficio II della Direzione generale della
Giustizia Penale), al fine di consentire l'assolvimento dei compiti di monitoraggio che
vanno assumendo crescente importanza per
la risposta agli organismi internazionali che,
con cadenza periodica, valutano il funzionamento delle convenzioni relative alla cooperazione internazionale in materia penale.
Analogo obbligo di comunicazione è previsto
dall'art. 727, co. quinto c.p.p. quale adempimento preliminare all'inoltro diretto della richiesta di assistenza urgente all'agente diplomatico o consolare italiano, con la finalità
di consentire il tempestivo esercizio del potere di blocco ministeriale stabilito dal co. secondo della disposizione.
6. Conclusioni.
Si rivolge, in conclusione, l'invito alle Autorità Giudiziarie a fare ricorso al canale di comunicazione diretta ogniqualvolta la base
normativa convenzionale e le circostanze del
caso concreto lo consentano, e in particolare,
in ogni ipotesi prevista dalla Convenzione di
Applicazione degli Accordi di Schengen.
Si rappresenta che, a partire dal 1.9.2015, le
richieste di assistenza da inoltrare necessariamente per la via diplomatica o ministeriale
avranno priorità nella trattazione da parte di
questo Ministero, mentre le rimanenti richieste saranno evase, prevedibilmente, non prima di 60 giorni dal loro pervenimento.
Si chiede alle SS.LL. di portare la presente
nota a conoscenza degli Uffici Giudiziari,
giudicanti e requirenti, dei rispettivi distretti,
ziaria Europea presenti in ogni distretto di
Corte di Appello. I nominativi dei magistrati
italiani incaricati di detta funzione, cosÌ come
quelli dei magistrati stranieri che assolvono
funzione analoga nei rispettivi Paesi sono reperibili sul sito della Rete, al seguente indirizzo web:
http://www.ejncrimjust.europa.eu/ejn/EJN_L
ogin.aspx
Per accedere all'elenco dei magistrati è necessario autenticarsi con il seguente username: rje e password: Ejn_2009
In alternativa, l'autorità estera territorialmente competente a ricevere la richiesta di
assistenza giudiziaria è generalmente individuabile consultando il Judicial Atlas pubblicato sul sito della Rete Giudiziaria Europea
all'indirizzo
web:
http://www.eincrimjust.europa.eu/ejnl.
I medesimi organismi e l'Ufficio II di questo
Ministero potranno poi essere consultati,
presso i recapiti telefonici e di posta elettronica indicati sul sito istituzionale, per la soluzione preventiva delle difficoltà che dovessero insorgere nella compilazione delle richieste di assistenza.
4. La previsione dell'art. 727, co. 5, c.p.p.
La ricorrenza di casi nei quali l'Autorità giudiziaria segnala, al momento della trasmissione a questi Uffici, la necessità di urgente
evasione della richiesta di assistenza impone
in questa sede il richiamo della previsione
dell'art. 727, co. quinto, c.p.p.
La disposizione abilita, "nei casi urgenti" il
pubblico ministero o il giudice italiano a trasmettere l'atto direttamente all'agente diplomatico o consolare italiano, informandone il
ministro della giustizia.
L'ambito applicativo di detta previsione è generale. Prescinde cioè dall'esistenza di una
norma pattizia che espressamente abiliti detta
deroga alla disciplina ordinaria delle rogatorie attive.
Si tratta di una forma di trasmissione che, diversamente da quelle previste nelle fonti pattizie sopra richiamate, non consente l'obliterazione della via diplomatica né realizza la
completa depoliticizzazione della procedura,
posto che il ministro può comunque esercitare, fino a quando l'agente diplomatico non
avrà trasmesso la richiesta all'autorità straGazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
compresi i Tribunali di Sorveglianza. transfrontalieri nella Comunità" (Circ. del Ministero della Giustizia Prot. m_dg.DAG.
10.8.2015.00115769.U del 10.8.2015).
del Parlamento europeo e del Consiglio; Visto il reg. (UE) n. 421/2014 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 16.4.2014 recante modifica della direttiva 2003/87/CE che
istituisce un sistema per lo scambio di quote
di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità, in vista dell'attuazione, entro il 2020,
di un accordo internazionale che introduce
una misura mondiale unica basata sul mercato da applicarsi alle emissioni del trasporto
aereo internazionale; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 27.3.2015; Acquisito il
parere dalla Conferenza permanente per i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano reso nella
seduta del 7.5.2015; Acquisiti i pareri delle
competenti Commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica; Vista
la deliberazione del Consiglio dei ministri,
adottata nella riunione del 26.6.2015; Sulla
proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con
i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti;
E m a n a il seguente d.lgs.:
Art. 1 Modifiche al d.lgs. 13.3.2013, n. 30
1. All'art. 3, co. 1, del d.lgs. 13.3.2013, n. 30,
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lett. t) le parole: "detiene o gestisce"
sono sostituite dalle seguenti: "gestisce o
controlla";
b) la lett. ff) è sostituita dalla seguente: "ff)
'operatore aereo amministrato dall'Italià:
1) l'operatore aereo in possesso di una licenza d'esercizio valida rilasciata dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC);
2) l'operatore aereo, diverso da quello di cui
al numero 1) e non in possesso di una licenza
d'esercizio valida rilasciata da un altro Stato
Membro, le cui emissioni provenienti dalle
attività di trasporto aereo, stimate per l'anno
di riferimento, siano per la maggior parte attribuibili all'Italia; viene fatto salvo il caso in
cui nei primi due anni del periodo di riferimento detto operatore non abbia prodotto
emissioni attribuibili all'Italia, per cui non è
piu' considerato 'operatore aereo ammini-
«::::::::: GA :::::::::»
DISPOSIZIONI CORRETTIVE ED INTEGRATIVE AL D.LGS. 13.3.2013, N. 30,
RECANTE
ATTUAZIONE
DELLA
DIRETTIVA 2009/29/CE CHE MODIFICA LA DIRETTIVA 2003/87/CE AL FINE
DI PERFEZIONARE ED ESTENDERE
IL SISTEMA COMUNITARIO PER LO
SCAMBIO DI QUOTE DI EMISSIONE
DI GAS A EFFETTO SERRA.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
168 del 22.7.2015 il d.lgs. 2.7.2015, n. 111
recante “Disposizioni correttive ed integrative al d.lgs. 13.3.2013, n. 30, recante attuazione della direttiva 2009/29/CE che modifica
la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo
scambio di quote di emissione di gas a effetto
serra”.
Il Presidente Della Repubblica
Visti gli artt. 76 e 87 della Cost.; Vista la l.
4.06.2010, n. 96, recante disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee Legge comunitaria 2009, e, in particolare,
l'art. 1, co. 5;
Visto il d.lgs. 13.3.2013, n. 30, recante attuazione della direttiva 2009/29/CE che modifica
la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo
scambio di quote di emissione di gas a effetto
serra;
Visto il reg. (UE) n. 389/2013 della Commissione del 2.5.2013 che istituisce un registro
dell'Unione conformemente alla direttiva
2003/87/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, alle decisioni n. 280/2004/CE e n.
406/2009/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio che abroga i regolamenti (UE) n.
920/2010 e n. 1193/2011 della Commissione;
Visto il reg. (UE) n. 1123/2013 della Commissione dell'8.11.2013 relativo alla determinazione dei diritti di utilizzo di crediti internazionali a norma della direttiva 2003/87/CE
Gazzetta Amministrativa
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Cooperazione Internazionale
quorum costitutivo e deliberativo del Consiglio direttivo. I membri del Consiglio direttivo rimangono in carica quattro anni.";
e) il co. 9 è soppresso;
f) al co. 10 le parole: "composta da ventitrè
membri" sono sostituite dalle seguenti: "composta da ventidue membri.";
g) dopo il co. 10 è inserito il seguente: "10bis. I curricula dei membri del Consiglio direttivo di cui al co. 8 e della Segreteria tecnica di cui al co. 10 sono resi pubblici sul sito
del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare.";
h) al co. 11 è aggiunto, in fine, il seguente
periodo: "Il regolamento disciplina in particolare le audizioni dei soggetti interessati, le
forme di pubblicità delle convocazioni del
Consiglio direttivo e della Segreteria tecnica,
dei relativi ordini del giorno, degli atti e delle
decisioni, nonchè i lavori della Segreteria
tecnica in gruppi istruttori.";
i) al co. 12 le parole: "Il Comitato di cui al
co. 1" sono sostituite dalle seguenti: "Il Consiglio direttivo di cui al co. 8";
l) al co. 13 le parole: "Il Comitato di cui al
co. 1" sono sostituite dalle seguenti: "La Segreteria tecnica, su indicazione del Consiglio
direttivo";
m) al co. 15 le parole: "del predetto Comitato
e" sono soppresse;
n) dopo il co. 15 sono inseriti i seguenti: "15bis. Agli eventuali compensi e rimborsi spese
ai membri del Comitato si provvede a valere
sui proventi delle aste ai sensi dell'art. 19, co.
6, lett. i). 15-ter.
Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto
con il Ministro dello sviluppo economico e il
Ministro dell'economia e delle finanze sono
stabilite le modalità di corresponsione e di
determinazione dei compensi e dei rimborsi
spese per i componenti del Comitato e la relativa durata, in modo da garantire l'invarianza dei saldi di finanza pubblica.".
3. L'art. 5 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, è sostituito dal seguente:
"Art. 5. Ambito di applicazione 1. Le disposizioni del presente capo si applicano, salvo
quanto previsto al co. 2, all'assegnazione e al
rilascio di quote per le attività di trasporto
aereo elencate all'all. I svolte da un operato-
strato dall'Italià per il periodo di riferimento
successivo;
3) l'operatore aereo, diverso da quello di cui
ai numeri 1) e 2) e non in possesso di una licenza d'esercizio valida rilasciata da uno
Stato Membro, le cui emissioni provenienti
dalle attività di trasporto aereo, stimate per i
primi due anni del periodo di riferimento
precedente, siano per la maggior parte attribuibili all'Italia;";
c) dopo la lett. ff) sono inserite le seguenti:
"ff-bis) 'anno di riferimento': ai fini della definizione di cui alla lett. ff), numero 2), per gli
operatori aerei che hanno iniziato ad operare
nella Comunità dopo il 1.01.2006, il primo
anno civile di esercizio, in tutti gli altri casi
l'anno civile che decorre dal 1.1.2006: f-ter)
'periodo di riferimento': ai fini della definizione di cui alla lett. ff), numeri 2) e 3), il periodo compreso tra il 1.1.2012 e il
31.12.2012, e ciascuno dei successivi periodi
di otto anni a partire dal 1.1.2013;". 2.
All'art. 4 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il co. 1 è inserito il seguente: "1-bis.
Il Comitato di cui al co. 1 è composto da un
Consiglio direttivo e da una Segreteria tecnica. Il Consiglio direttivo è l'organo deliberante del Comitato; per l'istruttoria delle attività di cui al presente articolo il Consiglio
direttivo si avvale della Segreteria Tecnica.";
b) al co. 4, dopo la lett. o) è inserita la seguente: "o-bis) redigere ed aggiornare annualmente una lista di operatori aerei amministrati dall'Italia, avvalendosi anche dell'elenco degli operatori aerei di cui all'art. 3,
co. 1, lett. q);";
c) il co. 6 è soppresso; d) al co. 8:
1) dopo le parole: "da nove membri" sono inserite le seguenti: "di comprovata esperienza
nei settori interessati dal presente decreto";
2) dopo le parole: "tre nominati dal Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare" sono inserite le seguenti: ", compreso
il presidente,";
3) dopo le parole: "Ministro dello sviluppo
economico", sono inserite le seguenti: ",
compreso il vicepresidente,";
4) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "I
membri con funzioni consultive non hanno diritto di voto e non sono considerati ai fini del
Gazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
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se informazioni in applicazione dell'art. 16.";
b) il co. 8 è sostituito dal seguente: "8. Salvo
che il fatto costituisca reato, il gestore
dell'impianto munito di autorizzazione alle
emissioni di gas ad effetto serra che non fornisce le informative e le comunicazioni ai
sensi degli artt. 16, 24, co. 3, 25 e 26 è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro aumentata, per ciascuna quota indebitamente rilasciata, di una somma pari a tre volte il valore
medio della quota di biossido di carbonio nel
quadrimestre da gennaio ad aprile dell'anno
in corso fino ad un massimo di 100 euro per
ciascuna quota. All'accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l'obbligo per il
gestore di trasferire nel conto unionale di cui
all'art. 53, paragrafo 4, del reg. (CE) n.
389/2013 una quantità di quote di emissione
pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co. 6 in caso di
mancata ottemperanza dell'obbligo di restituzione delle quote.";
c) il co. 9 è sostituito dal seguente: "9. Salvo
che il fatto costituisca reato, nel caso in cui le
informazioni di cui all'art. 7 delle misure comunitarie per l'assegnazione risultino false o
non veritiere il gestore dell'impianto è soggetto ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a 100.000 euro aumentata, per ciascuna quota indebitamente rilasciata, di una somma pari a tre volte il valore
medio della quota di biossido di carbonio nel
quadrimestre da gennaio ad aprile dell'anno
in corso fino ad un massimo di 100 euro per
ciascuna quota. All'accertamento della violazione consegue, in ogni caso, l'obbligo per il
gestore di trasferire nel conto unionale di cui
all'art. 53, paragrafo 4, del reg. (CE) n.
389/2013 una quantità di quote di emissione
pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co. 6 in caso di
mancata ottemperanza dell'obbligo di restituzione delle quote.";
d) il co. 10 è sostituito dal seguente: "10.
Salvo che il fatto costituisca reato, nel caso in
cui le informazioni di cui al co. 9, verificate
ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 22,
co. 2, risultino incongruenti, il gestore
dell'impianto è soggetto ad una sanzione
amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a
re aereo amministrato dall'Italia, come definito all'art. 3, co. 1, lett. ff).
2. Salva diversa disposizione, sono comunque
escluse dall'ambito di applicazione del presente capo le attività di volo effettuate con
aeromobili di cui all'art. 744, primo e quarto
co., del c.nav.".
4. All'art. 7 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
1, secondo e terzo periodo, le parole: "anno
di riferimento", sono sostituite dalle seguenti:
"anno di controllo".
5. All'art. 8 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
1, lettere a) e b), e al co. 3, lett. c), numeri 1),
2) e 3), le parole: "anno di riferimento" sono
sostituite dalle seguenti: "anno di controllo".
6. All'art. 19, co. 1, del d.lgs. 13.3.2013, n.
30, prima delle parole: "La messa all'asta"
sono inserite le seguenti: "A decorrere
dall'anno 2013,".
7. All'art. 24 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
4, ultimo periodo, le parole: "tre mesi" sono
sostituite dalle seguenti: "sei mesi".
8. All'art. 25 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
3, le parole: "ha facoltà di comunicare al
Comitato" sono sostituite dalle seguenti:
"comunica al Comitato".
9. All'art. 26 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, al co.
1 le parole: "comporta le seguenti conseguenze" sono sostituite dalle seguenti: "comporta una delle seguenti conseguenze".
10. All'art. 29 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, il
co. 3 è sostituito dal seguente: "3. Ai fini
dell'adempimento dell'obbligo di restituzione
per il periodo 2013-2020, i gestori degli impianti esistenti, degli impianti nuovi entranti
e gli operatori aerei amministrati dall'Italia
possono utilizzare crediti, CERs ed ERUs che
rispettano i criteri qualitativi sanciti dall'art.
11-bis, paragrafi da 2 a 4, della direttiva
2003/87/CE e fino alla quantità stabilita con
deliberazione del Comitato, sulla base di
quanto stabilito dallo stesso art. 11-bis e, in
particolare, dalle misure adottate dalla
Commissione europea ai sensi dello stesso
articolo.".
11. All'art. 36 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il co. 7 è sostituito dal seguente: "7. La
sanzione di cui al co. 6 si applica anche alle
quote di biossido di carbonio emesse e non
monitorate in conseguenza di omissioni o falGazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
lio nel territorio della Repubblica italiana,
anche ai fini dell'individuazione della competenza territoriale di cui al co. 12.".
12. All'art. 38 del d.lgs. 13.3.2013, n. 30, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al co. 1, lett. c), sono aggiunte, in fine, le
seguenti parole: "che applicano le misure di
cui ai commi 3 e 4.";
b) il co. 2 è sostituito dal seguente: "2. Gli
impianti di cui al co. 1, lett. a) e b), esclusi ai
sensi del medesimo co. che, in uno degli anni
del periodo 2013-2020, emettono piu' di
25000 tCO2eq.rientrano nel sistema comunitario per lo scambio delle quote di emissione
di gas ad effetto serra di cui alla direttiva
2003/87/CE e non possono essere oggetto di
ulteriore esclusione. La verifica è fatta sulla
base della comunicazione annuale delle emissioni di cui al co. 6, lett. a).";
c) dopo il co. 2 è inserito il seguente: "2-bis).
Allorchè un impianto rientra nuovamente nel
sistema comunitario per lo scambio delle
quote di emissione di gas a effetto serra, le
quote assegnate a norma dell'art. 21 sono rilasciate a decorrere dall'anno del rientro.";
d) al co. 4, secondo periodo, dopo le parole:
"su base biennale" sono inserite le seguenti:
"a partire dal 30.06.2015";
13. Al co. 2 dell'art. 41 del d.lgs. 13.3.2013,
n. 30, dopo le parole: "I costi delle attività di
cui", sono inserite le seguenti: "all'art. 4, co.
4, lett. o-bis),".
14. All'All. I "Categorie di attività relative alle emissioni di gas serra rientranti nel campo
di applicazione del presente decreto" sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) prima del punto 1 è inserito il seguente:
"01. Gli impianti o le parti di impianti utilizzati per la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi prodotti e processi e gli impianti che utilizzano esclusivamente biomassa
non rientrano nel presente decreto.";
b) il punto 3 è sostituito dal seguente: "3. Se
una unità serve per un'attività per la quale la
soglia non è espressa come potenza termica
nominale totale, la soglia espressa come capacità di produzione di tale attività è prioritaria per la decisione in merito all'inclusione
nel campo di applicazione del presente decreto.".
Art. 2
100.000 euro aumentata, per ciascuna quota
indebitamente rilasciata, di una somma pari
a tre volte il valore medio della quota di biossido di carbonio nel quadrimestre da gennaio
ad aprile dell'anno in corso fino ad un massimo di 100 euro per ciascuna quota. All'accertamento della violazione consegue, in ogni
caso, l'obbligo per il gestore di trasferire nel
conto unionale di cui all'art. 53, par. 4, del
reg. (CE) n. 389/2013 una quantità di quote
di emissione pari alle quote indebitamente rilasciate. Resta ferma la sanzione di cui al co.
6 in caso di mancata ottemperanza dell'obbligo di restituzione delle quote.";
e) dopo il co. 10 sono inseriti i seguenti: "10bis. Salvo che il fatto costituisca reato, la violazione dell'art. 38, co. 4, è punita con una
sanzione amministrativa pecuniaria da 1000
euro a 5000 euro, aumentata di 20 euro per
ciascuna tonnellata di biossido di carbonio
emessa in eccesso, ciascun anno, rispetto a
quelle determinate con la metodologia, approvata dalla Commissione europea, di cui al
co. 5 del medesimo art. 38. All'accertamento
della violazione consegue, in ogni caso, l'obbligo di corrispondere il pagamento o la restituzione in EUA delle tonnellate di biossido
emesse in eccesso.
10-ter. Salvo che il fatto costituisca reato, il
gestore dell'impianto di ridotte dimensioni di
cui all'art. 38 è soggetto ad una sanzione pecuniaria da 1000 euro a 5000 euro, qualora
ometta di:
a) inviare il Piano di monitoraggio entro 30
giorni dalla formale richiesta del Comitato;
b) comunicare al Comitato il Piano di monitoraggio aggiornato entro 30 giorni dal verificarsi di modifiche dell'identità del gestore,
ampliamenti o riduzioni della capacità produttiva dell'impianto superiori al 20 per cento, modifiche alla natura e al funzionamento
dell'impianto nonchè modifiche significative
al sistema di monitoraggio da valutarsi conformemente ai principi di cui all'art. 15 del
reg. (UE) n. 601/2012;
c) inviare la comunicazione delle emissioni di
gas a effetto serra entro il 30 aprile di ciascun anno.";
f) dopo il co. 13 è aggiunto il seguente: "13bis. Gli operatori aerei, soggetti alla disciplina di cui al presente d.lgs., eleggono domiciGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4- 2015
Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
Disposizioni finanziarie
1. Dall'attuazione del presente decreto non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni ed i soggetti pubblici interessati provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Art. 3
Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo
dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare (D.lgs.
02.07.2015, n. 111 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 168 del 22.07.2015).
recante
“Attuazione
della
Direttiva
2013/29/UE concernente l'armonizzazione
delle legislazioni degli Stati membri relative
alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici. (D.lgs. 29.7.2015, n. 123
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 186 del
12.8.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
DISCIPLINA SANZIONATORIA DELLE
VIOLAZIONI DELLE DISPOSIZIONI
DEL REG. (UE) N. 1177/2010, CHE
MODIFICA IL REG. (CE) N. 2006/2004,
RELATIVO AI DIRITTI DEI PASSEGGERI CHE VIAGGIANO VIA MARE E PER VIE NAVIGABILI INTERNE
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
191 del 18.08.2015 il D.lgs. 29.07.2015, n.
129 recante “Disciplina sanzionatoria delle
violazioni delle disposizioni del reg. (ue) n.
1177/2010, che modifica il reg. (ce) n.
2006/2004, relativo ai diritti dei passeggeri
che viaggiano via mare e per vie navigabili
interne” (D.lgs. 29.07.2015, n. 129 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 191 del
18.08.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA
2012/34/ UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO, DEL
21.11.2012, CHE ISTITUISCE UNO SPAZIO FERROVIARIO EUROPEO UNICO
(RIFUSIONE).
«::::::::: GA :::::::::»
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
170 del 24.07.2015 il D.lgs. 15.07.2015, n.
112 recante “Attuazione della Direttiva
2012/34/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21.11.2012, che istituisce uno
spazio ferroviario europeo unico (rifusione)
(D.lgs. 15.7.2015, n. 112 pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24.07.2015).
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA
2013/11/UE SULLA RISOLUZIONE ALTERNATIVA DELLE CONTROVER-SIE
DEI CONSUMATORI, CHE MODIFICA
IL REG. (CE) N. 2006/2004 E LA
DIRETTIVA 2009/22/CE (DIRETTIVA
SULL'ADR PER I CONSUMATORI).
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
191 del 18.08.2015 il D.lgs. 6.8.2015, n. 130
recante
“Attuazione
della
direttiva
2013/11/UE sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica
il reg. (CE) n. 2006/2004 e la direttiva
2009/22/ce (direttiva sull'ADR per i consumatori)” (D.lgs. 6.8.2015, n. 129 pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 191 del
18.8.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA
2013/29/ UE CONCERNENTE L'ARMONIZZAZIONE DELLE LEGISLAZIONI
DEGLI STATI MEMBRI RELATIVE
ALLA MESSA A DISPOSIZIONE SUL
MERCATO DI ARTICOLI PIROTECNICI.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
186 del 12.8.2015 il d.lgs. 29.7.2015, n. 123
Gazzetta Amministrativa
«::::::::: GA :::::::::»
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Numero 3/4 - 2015
Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
229, ed in particolare l'art. 27; Visto il d.lgs.
27.01.2010, n. 11, ed in particolare gli artt.
39 e 40; Visto il d.lgs. 21.1.2011, n. 3, recante disposizioni sanzionatorie per le violazioni
del reg. (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità; Vista
la l. 24.12.2012, n. 234, ed in particolare gli
artt. 30, co. 2, lett. d), e 33; Vista la l.
6.08.2013, n. 96, ed in particolare l'art. 2;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del
21.4.2015;
Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica; Vista la deliberazione del
Consiglio dei ministri, adottata nella riunione
del 6.08.2015; Sulla proposta del Presidente
del Consiglio dei ministri e del Ministro della
giustizia, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico e dell'economia e delle finanze;
E m a n a il seguente d.lgs.:
Art. 1
Finalità e ambito di applicazione
1. Il presente decreto reca la disciplina sanzionatoria per le violazioni delle disposizioni
del reg. (CE) n. 924/2009 del 16.09. 2009 del
Parlamento europeo e del Consiglio, relativo
ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità,
e del reg. (UE) n. 260/2012 del 14.03.2012
del Parlamento europeo e del Consiglio, che
stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per
i bonifici e gli addebiti diretti in euro.
Art. 2
Definizioni
1. Ai fini del presente decreto si applicano le
definizioni di cui:
a) all'art. 2, paragrafo 1, n. 8), del reg. (UE)
n. 260/2012 del 14.03.2012 del Parlamento
europeo e del Consiglio (prestatore di servizi
di pagamento o PSP);
b) all'art. 2, paragrafo 1, n. 18), del citato
reg. (UE) n. 260/2012 (sistema di pagamento
di importo rilevante);
c) all'art. 2, paragrafo 1, n. 22), del citato
reg. (UE) n. 260/2012 (sistema di pagamento
al dettaglio). 2. Si applicano inoltre le seguenti definizioni:
a) reg. (CE) n. 924/2009: reg. (CE) n.
924/2009 del 16.09. 2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo ai pagamenti
ATTUAZIONE DELL'ART. 11 DEL
REG. (UE) N. 260/2012 DEL 14.3.2012
CHE STABILISCE I REQUISITI TECNICI E COMMERCIALI PER I BONIFICI
E GLI ADDEBITI DIRETTI IN EURO E
DISPOSIZIONI SANZIONATORIE PER
LE VIOLAZIONI DEL REG. (CE) N.
924/2009 RELATIVO AI PAGAMENTI
TRANSFRONTALIERI NELLA COMUNITÀ
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
201 del 31.8.2015 il d.lgs. 18.8.2015, n. 135
recante “Attuazione dell'art. 11 del Reg.
(UE) n. 260/2012 del 14.3.2012 che stabilisce
i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici
e gli addebiti diretti in euro e disposizioni
sanzionatorie per le violazioni del Reg. (CE)
n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità”.
Il Presidente della Repubblica
Visti gli artt. 76 e 87 della Cost.; Visto l'art.
14 della l. 23.8.1988, n. 400, concernente disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri; Visto il reg. (CE) n. 924/2009 del 16.09.
2009, del Parlamento europeo e del Consiglio, relativo ai pagamenti transfrontalieri
nella Comunità, il quale ha introdotto una serie di obblighi a carico degli intermediari
che, nell'ambito della propria attività, eseguono pagamenti transfrontalieri, ed in particolare l'art. 13; Visto il reg. (UE) n.
260/2012 del 14.03.2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce i requisiti tecnici e commerciali per i bonifici e gli
addebiti diretti in euro e che modifica il reg.
(CE) n. 924/2009, ed in particolare gli artt.
11 e 17; Visto il reg. (UE) n. 248/2014 del
26.02.2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio che modifica il reg. (UE) n.
260/2012 per quanto riguarda la migrazione
ai bonifici e agli addebiti diretti a livello di
Unione, ed in particolare l'art. 1; Visto il testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia, approvato con il d.lgs. 1.09.1993,
n. 385, e successive modificazioni, ed in particolare gli artt. 145 e 146; Visto il d.lgs.
6.09. 2005, n. 206, recante codice del consumo, a norma dell'art. 7 della l. 29.07.2003, n.
Gazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
violazione di cui all'art. 9 del reg. (UE) n.
260/2012 si applica, nei confronti dei soggetti
di cui al medesimo art. 9, l'art. 27 del d.lgs.
6.09. 2005, n. 206.
Art. 4
Sanzioni ai sensi del reg. (CE) n. 924/2009
1. Salvo che il fatto costituisca reato, per l'inosservanza degli obblighi a carico dei PSP,
previsti dall'art. 3 del reg. (CE) n. 924/2009,
si applica, nei confronti dei PSP, la sanzione
amministrativa pecuniaria da 50.000 euro a
150.000 euro.
2. Salvo che il fatto costituisca reato, per l'inosservanza degli obblighi previsti dall'art. 4,
paragrafi 1 e 3, del reg. (CE) n. 924/2009, si
applica, nei confronti dei PSP, la sanzione
amministrativa pecuniaria da 10.000 euro a
100.000 euro.
3. Salvo che il fatto costituisca reato, per l'inosservanza degli obblighi previsti dall'art. 7
del reg. (CE) n. 924/2009, si applica, nei confronti dei PSP, la sanzione amministrativa
pecuniaria da 50.000 euro a 150.000 euro.
4. In caso di reiterazione delle violazioni di
cui ai commi 1, 2 e 3, ferma l'applicazione
della sanzione amministrativa pecuniaria,
può essere disposta la sospensione dell'attività di prestazione di servizi di pagamento per
un periodo da uno a sei mesi ai sensi dell'art.
146, co. 2, del t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al d.lgs. 1.09.1993,
n. 385.
Art. 5
Autorità competente per l'irrogazione delle
sanzioni
1. La Banca d'Italia è autorità competente ai
sensi dell'art. 9 del reg. (CE) n. 924/2009 e
dell'art. 10 del reg. (UE) n. 260/2012 anche
ai fini dell'irrogazione delle sanzioni amministrative, cui si applica l'art. 145 del d.lgs.
1.09.1993, n. 385. Resta salva la competenza
dell'Autorità garante della concorrenza e del
mercato per le sanzioni di cui all'art. 3, co. 4,
del presente decreto.
2. Nella determinazione dell'ammontare delle
sanzioni amministrative pecuniarie, l'Autorità
competente per l'irrogazione delle sanzioni
considera, in particolare, le seguenti circostanze:
a) gravità e durata della violazione;
b) capacità finanziaria del responsabile della
transfrontalieri nella Comunità e che abroga
il reg. (CE) n. 2560/2001;
b) reg. (UE) n. 260/2012: reg. (UE) n.
260/2012 del 14.03.2012 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce i requisiti
tecnici e commerciali per i bonifici e gli addebiti diretti in euro e che modifica il reg.
(CE) n. 924/2009;
c) servizi di pagamento: le attività commerciali elencate nell'allegato alla direttiva
2007/64/CE del 13.11.2007 del Parlamento
europeo e del Consiglio, relativa ai servizi di
pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE,
2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE;
d) gestore o gestore ufficiale: società o ente
che gestisce sistemi di pagamento al dettaglio
o singole fasi di questi;
e) partecipante a un sistema di pagamento:
società o ente che partecipa a un sistema di
pagamento al dettaglio assumendo gli obblighi derivanti dalla disciplina contrattuale che
regola la partecipazione al sistema.
Art. 3
Sanzioni ai sensi del reg. (UE) n. 260/2012
1. Salvo che il fatto costituisca reato, per l'inosservanza degli obblighi previsti dall'art. 3,
dall'art. 5, paragrafi 1, 2, 3, 6, 7 e 8, dall'art.
6, paragrafi 1, 2 e 3, e dall'art. 8 del reg.
(UE) n. 260/2012, si applica, nei confronti
dei PSP, la sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 euro a 150.000 euro.
2. Salvo che il fatto costituisca reato, per l'inosservanza degli obblighi previsti dall'art. 4,
paragrafi 2 e 3, del reg. (UE) n. 260/2012, si
applica, nei confronti del gestore o, in assenza di un gestore, dei partecipanti a un sistema
di pagamento al dettaglio la sanzione amministrativa pecuniaria da 50.000 euro a
150.000 euro.
3. In caso di reiterazione delle violazioni di
cui ai coo. 1 e 2, ferma l'applicazione della
sanzione amministrativa pecuniaria, puo' essere disposta la sospensione dell'attività di
prestazione di servizi di pagamento per un
periodo da uno a sei mesi ai sensi dell'art.
146, co. 2, del t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al d.lgs. 1.9.1993, n.
385.
4. Salvo che il fatto costituisca reato, alla
Gazzetta Amministrativa
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
violazione;
c) entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate attraverso la violazione, nella misura in cui essa sia determinabile;
d) pregiudizi causati a terzi attraverso la violazione, nella misura in cui il loro ammontare
sia determinabile;
e) precedenti violazioni commesse da parte
del medesimo soggetto;
f) potenziali conseguenze sistemiche della violazione.
Art. 6
Esposti alla Banca d'Italia
1. Fermo restando quanto previsto dagli artt.
3 e 4, in caso di violazione del reg. (UE) n.
260/2012 e del reg. (CE) n. 924/2009 da parte di un PSP, si applica l'art. 39 del d.lgs.
27.1.2010, n. 11.
Art. 7
Ricorso stragiudiziale
1. Per la risoluzione delle controversie relative ai diritti ed agli obblighi derivanti dal reg.
(UE) n. 260/2012 e dal reg. (CE) n. 924/2009
si applica l'art. 40 del d.lgs. 27.1.2010, n. 11.
Art. 8
Disposizioni transitorie e finali
1. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle violazioni commesse successivamente alla sua entrata in vigore.
2. Alle violazioni commesse anteriormente al-
la data di entrata in vigore del presente decreto, si applicano le disposizioni di cui al
d.lgs. 21.1.2011, n. 3.
3. Per l'accertamento e l'irrogazione delle
sanzioni amministrative pecuniarie si osservano, in quanto compatibili con quanto previsto dal presente d.lgs., le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della l.
24.11.1981, n. 689.
4. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana.
Art. 9
Clausola di invarianza finanziaria
1. Dall'attuazione del presente decreto non
devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
2. Le amministrazioni ed i soggetti pubblici
interessati provvedono all'attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto con le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica italiana.
È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare (D.lgs. 18.8.2015, n.
135 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
201 del 31.8.2015).
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GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato Sez. VI 7.8.2015 n. 3908
Facoltà di Medicina e Chirurgia: non può essere negata l’iscrizione ai corsi di laurea in
Italia a studenti che, in quanto iscritti al
primo anno in un’Università di altro Paese
membro, non si sono sottoposti ai test di accesso.
La questione controversa attiene alla verifica
della compatibilità comunitaria della scelta
della Amministrazione universitaria di negare (
con revirement sollecitato da una nota ministeriale, pur essa oggetto di impugnazione di primo grado, rispetto alla prima determinazione
di ammissione ai corsi) l’iscrizione ai corsi di
laurea in Italia a studenti che, in quanto iscritti
al primo anno in un’Università di altro Paese
membro ( nella specie la Romania), non si sono
sottoposti ai test di accesso previsti dalla legge
2.8.1999, n. 264, che ha introdotto per la Facoltà di Mecidina e Chirurgia il sistema del
numero programmato. Sulla questione si è di
recente pronunciata l’Adunanza plenaria di
questo Consiglio di Stato ( Ad.plen. 28.01.2015
n. 1). Il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del 7.8.2015 n. 3908 ha richiamato tale autorevole precedente, condividendone l’impianto
motivazionale. Al termine di una completa ed
esaustiva disamina di tutte le questioni implicate, nella richiamata sentenza si è tra l’altro
precisato come questo Consiglio abbia più volte ribadito (da ultimo, sez. VI, 22.4.2014, n.
2028 e 30.5.2014, n. 2829) che è legittima
l´esclusione da un qualsiasi anno di corso degli
studenti di università estere, che non superino
la prova selettiva di primo accesso, eludendo
con corsi di studio avviati all´estero la normativa nazionale ( v. anche Cons. Stato, sez.VI,
15.10.2013, n. 5015; 24.05.2013, n. 2866 e
10.04.2012, n. 2063 ). Secondo tale orientamento la disciplina recante la programmazione
a livello nazionale degli "accessi" non farebbe
distinzioni fra il primo anno di corso e gli anni
successivi ( art. 1, co. 1, e 4 della l. 2.8.1999, n.
264, in rapporto alle previsioni del d.m.
Gazzetta Amministrativa
22.10.2004, n. 270, recante il reg.
sull´autonomia didattica degli atenei ); di conseguenza, il rilascio di nulla osta al trasferimento da atenei stranieri e l’iscrizione agli anni di corso successivi al primo richiederebbero
comunque il previo superamento della prova
nazionale di ammissione prevista dall’art. 4 citato ( ai fini, appunto, della “ammissione” ),
sia per l’immatricolazione al primo anno accademico,
sia,
come
dedotto
appunto
dall’Università odierna appellante, per l’iscrizione ad anni successivi in conseguenza del
trasferimento. Tale conclusione, che assume la
legittimità dei dinieghi adottati nei casi in cui si
tratti di trasferimento da ateneo straniero senza
previo superamento dei test d’accesso in Italia
è stata tuttavia sottoposta ad un’attenta rimeditazione, sulla base delle attente osservazioni
attinenti all’interpretazione logico-letterale
della normativa di riferimento. Sul piano puramente letterale e sistematico è stato in particolare rilevato che: - a livello di normazione
primaria e secondaria, le uniche disposizioni in
materia di trasferimenti si rinvengono ai commi
8 e 9 dell’art. 3 del D.M. 16.03.2007 in materia
di “Determinazione delle classi di laurea magistrale”, che, senz’alcun riferimento a requisiti
per l’ammissione, disciplinano il riconoscimento dei crediti già maturati dallo studente; mentre con specifico riguardo ai trasferimenti
nessuno specifico requisito di ammissione è
previsto, l’art. 4 della l. 2.8.1999, n. 264 subordina l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale ( art. 1 ) o
dalle singole università ( art. 2 ) al “previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della
predisposizione per le discipline oggetto dei
corsi medesimi”; - sebbene la norma non riferisca espressamente la locuzione “ammissione”
al solo “primo accoglimento dell’aspirante nel
sistema universitario”, a rendere sicuramente
preferibile e privilegiata tale interpretazione
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
ammesso al sistema universitario – di requisiti
di cultura pre-universitaria” (pagg. 25 – 26). ancora, se la prova stessa è volta ad accertare
la “predisposizione per le discipline oggetto dei
corsi”, è vieppiù chiaro che tale accertamento
ha senso solo in relazione ai soggetti che si
candidano ad entrare da discenti nel sistema
universitario, mentre per quelli già inseriti nel
sistema ( e cioè già iscritti ad università italiane o straniere ) non si tratta più di accertare,
ad un livello di per sé presuntivo, l’esistenza di
una “predisposizione” di tal fatta, quanto piuttosto, semmai, di valutarne l’impegno complessivo di apprendimento (v. art. 5 del d.m. n.
270/2004) dimostrato dallo studente con
l’acquisizione dei crediti corrispondenti alle
attività formative compiute; - non a caso, allora, i già richiamati coo. 8 e 9 dell’art. 3 del
d.m. 16.3.2007 danno rilievo esclusivo, in sede
ed ai fini del trasferimento degli studenti da
un’università ad un’altra, al riconoscimento dei
crediti già maturati dallo studente, “secondo
criteri e modalità previsti dal regolamento didattico del corso di laurea magistrale di destinazione”; In assenza, in definitiva, di specifiche, contrarie disposizioni di legge (atteso che,
come risulta dall’excursus sopra compiuto,
l’art. 4 della l. n. 264/1999 non è applicabile
all’ipotesi del trasferimento di studenti universitarii da un Ateneo straniero ad uno nazionale
), potrà legittimamente dispiegarsi, nella materia de qua, la sola autonomia regolamentare di
ciascun ateneo che, anche eventualmente condizionando l’iscrizione-trasferimento al superamento di una qualche prova di verifica del
percorso formativo già compiuto: - stabilirà le
modalità di valutazione dell’offerta potenziale
dell’ateneo ai fini della determinazione, per
ogni anno accademico ed in relazione ai singoli
anni di corso, dei posti disponibili per trasferimenti, sulla base del rispetto imprescindibile
della ripartizione di posti effettuata dal Ministero negli anni precedenti - nell’àmbito delle
disponibilità per trasferimenti stabilirà le modalità di graduazione delle domande; - fisserà
criteri e modalità per il riconoscimento dei
crediti, anche prevedendo “colloqui per la verifica delle conoscenze effettivamente possedute”
( art. 3, co. 8, del d.m. 16.3.2007); - in tale àmbito determinerà i criteri, con i quali i crediti
riconosciuti ( in termini di esami sostenuti ed
può valere, nell’àmbito del corpus complessivo
delle norme concernenti l’accesso ai corsi di
studio universitari, l’art. 6 del d.m. 22.10.2004,
n. 270, che, nell’indicare i “requisiti di ammissione ai corsi di studio”, fa esclusivo riferimento, ai fini della ammissione ad un corso di laurea (di primo livello o magistrale: vedansi i
commi dall’1 al 3), al “possesso del diploma di
scuola secondaria superiore”, ch’è appunto il
titolo imprescindibile previsto per l’ingresso
nel mondo universitario; il che rende palese
che quando il legislatore fa riferimento alla
ammissione ad un corso di laurea, intende riferirsi appunto allo studente (e solo allo studente) che chieda di entrare e sia accolto per la
prima volta nel sistema; Inoltre, sul piano logico-sistematico la Adunanza plenaria ha rilevato che : - se i contenuti della prova di ammissione di cui all’art. 4 della l. 2.8.1999, n. 264
devono far riferimento ai “programmi della
scuola secondaria superiore”, è evidente che la
prova è rivolta a coloro che, in possesso del diploma rilasciato da tale scuola ( v. il già citato
art. 6 del d.m. n. 270/2004 ), intendono affrontare gli studi universitari, in un logico continuum temporale con la conclusione degli studi orientati da quei “programmi” e dunque ai soggetti che intendono iscriversi per la prima volta
al corso di laurea, sulla base, appunto, del titolo di studio acquisito e delle conoscenze ad esso sottostanti; - non a caso, in tale direzione,
una ulteriore specificazione si ritrova nell’all.
“A” al già citato D.M. 28.6.2012 (“Modalità e
contenuti delle prove di ammissione ai corsi di
laurea ad accesso programmato a livello nazionale a.a. 2012-2013”), che, nel definire i
programmi relativi ai requisiti delle prove di
ammissione ai corsi di laurea magistrale in
Medicina e Chirurgia, prevede che “le conoscenze e le abilità richieste fanno comunque riferimento alla preparazione promossa dalle istituzioni scolastiche che organizzano attività
educative e didattiche coerenti con i Programmi Ministeriali”: ne risulta evidente, come correttamente sottolinea l’Ordinanza di rimessione, “il riferimento della norma ad un accertamento da eseguirsi al momento del passaggio
dello studente dalla scuola superiore
all’università e dunque la dichiarata funzione
alla quale la prova risponde: verificare la sussistenza - nello studente che aspira ad essere
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
chiesti per l’accesso all’istruzione universitaria
nazionale ( sì che non sarebbe predicabile
l’equivalenza del superamento della prova di
ammissione ad un’università straniera con
quella prevista dall’ordinamento nazionale),
una limitazione, da parte degli Stati membri,
all’accesso degli studenti provenienti da università straniere per gli anni di corso successivi
al primo della Facoltà di medicina e chirurgia (
qual è indubbiamente la necessità del superamento, ai fini dell’accesso stesso, di una prova
selettiva nazionale predisposta, come s’è visto,
ai soli fini della iscrizione al primo anno, in
quanto volta ad accertare la “predisposizione”
ad un corso di studi in realtà già in parte compiuto da chi intenda iscriversi ad uno degli anni
successivi), si pone in contrasto con il predetto
principio di libertà di circolazione. La stessa
Corte di Giustizia ha confortato tale tesi con la
sentenza 13.4.2010, n. 73 resa nel procedimento C-73/08, affermando che, se è pur vero che il
diritto comunitario non arreca pregiudizio alla
competenza degli Stati membri per quanto riguarda l´organizzazione dei loro sistemi di istruzione e di formazione professionale - in virtù degli artt. 165, n. 1, TFUE, e 166, n. 1,
TFUE -, resta il fatto, tuttavia, che,
nell´esercizio di tale potere, gli Stati membri
devono rispettare il diritto comunitario, in particolare le disposizioni relative alla libera circolazione e al libero soggiorno sul territorio
degli Stati membri (v., in tal senso, sentenze
11.09. 2007, causa C-76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I-6849, punto 70, nonché 23.10.2007, cause riunite C-11/06 e C12/06, Morgan e Bucher, Racc. pag. I-9161,
punto 24). In definitiva, ciò che soltanto appare
compatibile con l’ordinamento comunitario è
che sia lasciata all’autonomia dell’università il
riconoscimento dei periodi di studio svolti
all’estero (e dunque anche quelli non sfociati in
un “titolo” ivi conseguito), tenendo conto del
dato sostanziale costituito dalla completezza,
esaustività, corrispondenza dei corsi da accreditare con gli omologhi corsi nazionali, prendendo in considerazione i contenuti formativi
del corso di studi seguito all’estero con riferimento alle discipline oggetto d´esame; potere,
questo, rispetto al quale completamente ultronea risulta la pretesa di effettuazione di una
preliminare verifica della “predisposizione” a
eventualmente di frequenze acquisite) si tradurranno nell’iscrizione ad un determinato anno di
corso, sulla base del rispetto dei requisiti previsti dall’ordinamento didattico della singola università per la generalità degli studenti ai fini
della iscrizione ad anni successivi al primo. Alla luce dei principi enunciati dalla Adunanza
plenaria, il Consiglio di Stato ha rigettato
l’appello in esame in quanto il diniego di iscrizione è stato opposto dall’Università de
L’Aquila sulla base della mera circostanza secondo cui gli studenti universitari qui appellati
non si erano sottoposti ai test di ingresso previsti per il primo anno di iscrizione dalla legislazione nazionale suindicata. Senonchè - precisa
il Collegio - una tale interpretazione è contrastante con la normativa nazionale come interpretata dalla sentenza della Adunanza plenaria,
che peraltro si pone in perfetta linea di coerenza con le coordinate desumibili dall’ordinamento comunitario.
Ed infatti se è pur vero che l´ordinamento comunitario garantisce, a talune condizioni, il riconoscimento dei soli titoli di studio e professionali e non anche delle procedure di ammissione, che non risultano armonizzate ciò, tuttavia, lungi dal confermare la veduta tesi restrittiva, significa soltanto che il possesso dei requisiti di ammissione ad un ateneo europeo non
dà di per sé “diritto” al trasferimento dello
studente in qualsiasi altro Ateneo di diverso
Stato dell’Unione Europea. Ma negare tout
court il diritto al trasferimento in Italia degli
studenti provenienti da Università di altri Paesi
UE sarebbe contrario al principio di libertà di
circolazione e soggiorno nel territorio degli
Stati comunitari (art. 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea), suscettibile
di applicazione non irrilevante nel settore
dell’istruzione tenuto conto delle competenze
attribuite all’Unione per il sostegno e completamento dell’azione degli Stati membri in materia di istruzione e formazione professionale
(art. 6, lett. e), del Trattato), nonché degli obiettivi dell’azione dell’Unione fissati dall’art.
165 n. 2 secondo trattino del Trattato stesso,
teso proprio a “favorire la mobilità degli studenti …, promuovendo tra l’altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di
studio”. Ferma, dunque, la non equipollenza
delle competenze e degli standard formativi riGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4- 2015
Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
quale l’Università degli Studi dell´Aquila aveva
respinto la richiesta di trasferimento avanzata
da
studente
italiano
iscritto
presso
un’università straniera per non avere superato
in Italia l’esame di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia.
Il primo giudice, accogliendo il ricorso, annullava il suddetto provvedimento. L’Università
degli Studi dell’Aquila proponeva appello sostenendo la necessità del previo superamento
del test di accesso previsto dalla normativa nazionale. Il Consiglio di Stato Sez. VI nella sentenza del 4.6.2015 ha rigettato l´appello rilevando che la questione posta dall’appello è stata oramai risolta dall’Adunanza Plenaria del
Consiglio di Stato n. 1 del 28.01.2015, che ha
stabilito che è illegittima la delibera con la
quale il Consiglio di Corso di laurea in medicina e chirurgia di una università italiana respinge l’istanza avanzata da alcuni studenti iscritti al primo anno di studi di Facoltà di medicina di una università straniera, volta ad ottenere il trasferimento presso l’università italiana con iscrizione ad anno successivo al primo del corso di laurea in medicina e chirurgia
con la motivazione che gli studenti, provenendo
da università straniere, non avrebbero superato
in Italia l’esame di ammissione al corso di laurea in medicina e chirurgia, requisito essenziale previsto dal manifesto degli studi. Infatti, la
possibilità di transitare al secondo anno o ad
anni successivi della facoltà di medicina e chirurgia di una università italiana non può, sulla
base della vigente normativa nazionale ed europea, essere condizionata all’obbligo del test
di ingresso previsto per il primo anno, che non
può essere assunto come parametro di riferimento per l’attuazione del “trasferimento” in
corso di studi, salvo il potere/dovere
dell’università di concreta valutazione, sulla
base di appositi parametri, del “periodo” di
formazione svolto all’estero e salvo altresì il
rispetto ineludibile del numero dei posti disponibili per il trasferimento, così come fissato
dall’università stessa per ogni anno accademico in sede di programmazione, in relazione a
ciascun anno di corso. È stato superato pertanto l’orientamento giurisprudenziale anche
della Sezione secondo il quale, la disciplina recante la programmazione a livello nazionale
degli accessi non farebbe distinzioni tra il pri-
studi già in parte compiuti. Detta norma consente anche di superare qualsiasi dubbio di discriminazione fra studenti universitari provenienti da università italiane (che comunque
hanno a suo tempo superato, ai fini
dell’accesso all’università di provenienza, una
prova di ammissione ex art. 4 della l. n.
264/1999 ) e studenti universitari provenienti
da università straniere ( che una prova di ammissione alla stessa non abbiano sostenuto o
che comunque abbiano superato una prova di
tal fatta del tutto irrilevante per l’ordinamento
nazionale), giacché il trasferimento interviene,
sia per lo studente che eserciti la sua “mobilità” in àmbito nazionale che per lo studente
proveniente da università straniere, non più
sulla base di un requisito pregresso di ammissione agli studi universitari ormai del tutto irrilevante perché superato dal percorso formativo-didattico già seguito in àmbito universitario,
ma esclusivamente sulla base della valutazione
dei crediti formativi affidata alla autonomia universitaria, in conformità con i rispettivi ordinamenti, sulla base del principio di autonomia
didattica di ciascun ateneo ( art. 11 della l. n.
341 del 1990, che affida l´ordinamento degli
studi dei corsi e delle attività formative ad un
regolamento degli ordinamenti didattici, denominato "regolamento didattico di ateneo"; v.
anche l´art. 2, co. 2, del d.m. 22.10.2004, n.
270, che dispone che - ai fini della realizzazione della autonomia didattica di cui all´art. 11
della l. n. 341 del 1990 - le università, con le
procedure previste dalla legge e dagli statuti,
disciplinano gli ordinamenti didattici dei propri
corsi di studio in conformità con le disposizioni
del medesimo regolamento, nonché l´art. 11,
co. 9, dello stesso D.M., che, a proposito dei
regolamenti didattici di ateneo, prevede che le
università, con appositi regolamenti, riordinano e disciplinano le procedure amministrative
relative alle carriere degli studenti in accordo
con le disposizioni del regolamento statale).
Consiglio di Stato Sez. VI del 4.6.2015 n. 2746
L’università italiana non può opporre
all’istanza di trasferimento degli studenti
provenienti da università straniere per gli
anni di corso successivi al primo il solo fatto
del mancato superamento dei test di accesso.
Oggetto del giudizio è il provvedimento con il
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Unione Europea e
Cooperazione Internazionale
mo anno di corso e gli anni successivi (artt. 1,
co. 1, e 4 l. 2.8.1999, n.264, in rapporto alle
previsioni del d.m. 22.10.2004, n. 270 recante il
regolamento dell’autonomia didattica degli atenei), per il quale il rilascio del nulla osta al
trasferimento da atenei stranieri e l’iscrizione
agli anni di corso successivi al primo richiederebbero comunque il previo superamento della
prova nazionale di ammissione prevista
dall’art. 4 citato (ai fini appunto
dell’ammissione), sia per l’immatricolazione al
primo anno accademico, sia, come dedotto
dall’università odierna appellante, per
l’iscrizione ad anni successivi in conseguenza
del trasferimento.
Secondo il precedente dell’Adunanza Plenaria,
sul piano sistematico: 1) a livello di formazione
primaria e secondaria, le uniche disposizioni in
materia di trasferimenti si rinvengono ai commi
8 e 9 dell’art. 3 del d.m. 16.3.2007 in materia
di “Determinazione delle classi di laurea magistrale”, che, senza alcun riferimento a requisiti
di ammissione, disciplinano il riconoscimento
dei crediti già maturati dallo studente;
2) l’art. 4 l. 2.8.1999, n. 264 subordina
l’ammissione ai corsi i cui accessi sono programmati a livello nazionale (art. 1) o dalle
singole università (art. 2), al “previo superamento di apposite prove di cultura generale,
sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi
medesimi”;
3) la locuzione “ammissione” contenuta nella
norma sopra citata fa riferimento al solo “primo accoglimento dell’aspirante nel sistema universitario”;
4) nel definire “modalità e contenuti delle prove di ammissione ai corsi di laurea ad accesso
programmato a livello nazionale a.a.20122013”, il d.m. 28.6.2012 usa indifferentemente i
termini di “ammissione” ed “immatricolazione”, facendo riferimento quest’ultimo allo studente che si iscriva al primo anno di corso.
Mentre sul piano giuridico, ha rilevato
l’Adunanza Plenaria, i test di accesso mirano a
valutare la preparazione di colui che, terminata
la scuola superiore, deve ancora entrare
nell’università per quelli già inseriti nel sistema
(e cioè iscritti ad università italiane o straniere) non si tratta più di accertare, ad un livello
di per sé presuntivo, l’esistenza di una “predisposizione” di tal fatta, quanto, semmai, di valutarne l’impegno complessivo di apprendimento dimostrato dallo studente con l’acquisizione
dei crediti corrispondenti alle attività formative
compiute. Una limitazione, da parte degli Stati
membri, all’accesso degli studenti provenienti
da università straniere per gli anni di corso
successivi al primo della facoltà di medicina e
chirurgia, si porrebbe in contrasto con il principio comunitario di libertà di circolazione.
Pertanto, l’università italiana non può opporre
all’istanza di trasferimento il solo fatto del mero mancato superamento dei test di accesso, ma
deve in concreto valutare il periodo formativo
svolto all’estero e tenere conto dei posti disponibili per i trasferimenti.
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
CONTRATTI, SERVIZI
PUBBLICI E CONCORRENZA
NOTIZIE E AGGIORNAMENTI
4.6.2015 del Garante per la Protezione dei
dati personali recante "Linee guida in
materia di Dossier sanitario” (Provvedimento del Garante per la Protezione dei
dati personali pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 164 del 17.7.2015).
GARANTE PRIVACY: IN G.U. IL PROVVEDIMENTO SULLA BANCA DATI
RELATIVA A MOROSITÀ INTENZIONALI DELLA CLIENTELA DEL
SETTORE TELEFONICO
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
257 del 4.11.2015 il provvedimento
dell'8.10.2015 del Garante per la protezione
dei dati personali recante "Costituzione di
una banca dati relativa a morosità intenzionali della clientela del settore telefonico
(S.I.Mo.I.Tel) (Provvedimento pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 257 del
4.11.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
ATTUAZIONE DELLA DIRETTIVA
ADR PER I CONSUMATORI: IN G.U. IL
D.LGS. N. 130 DEL 6.8.2015
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
191 del 18/08/2015 il d.lgs. 6.08.2015, n. 130
che attua la dir. 2013/11/UE sulla risoluzione
alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il reg. (CE) n. 2006/2004 e la
direttiva 2009/22/CE.
“ Visti gli artt. 76 e 87 della Cost.;
Visto l'art. 14, co. 1, della l. 23.8.1988, n.
400;
Vista la direttiva 2013/11/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
21.5.2013, sulla risoluzione alternativa
delle controversie dei consumatori, che
modifica il reg. (CE) n. 2006/2004 e la
direttiva 2009/22/CE (direttiva sull'ADR
per i consumatori);
Vista la l. 24.12.2012, n. 234, recante
norme
generali sulla partecipazione
dell'Italia alla formazione e all'attuazione
della
normativa
e
delle
politiche
dell'Unione europea, ed in particolare gli
artt. 31 e 32;
Vista la l. 7.10.2014, n. 154, recante delega
al Governo per il recepimento delle direttive
«::::::::: GA :::::::::»
PREVENZIONE INCENDI: IN G. U. LE
NORME TECNICHE
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale
Serie Generale n.192 del 20-8-2015 - Suppl.
Ordinario n. 51 il decreto del 3.08.2015 del
Ministero dell´Interno recante "Approvazione
di norme tecniche di prevenzione incendi, ai
sensi dell´art. 15 del d.lgs. 8.3.2006, n. 139"
(Decreto del Ministero dell´Interno in G.U.
n. 192 del 20.8.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
DOSSIER SANITARIO: IN G.U. LE LINEE GUIDA DEL GARANTE PRIVACY
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
164 del 17.7.2015 il provvedimento del
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
contrattuali derivanti da un contratto di
vendita o di servizi, nell'ambito della quale
il consumatore, quando ordina i beni o i
servizi, risiede nello stesso Stato membro
dell'Unione europea in cui è stabilito il
professionista;
f) «controversia transfrontaliera»: una
controversia
relativa
ad obbligazioni
contrattuali derivanti da un contratto di
vendita o di servizi, nell'ambito della quale
il consumatore, quando ordina i beni o i
servizi, risiede in uno Stato membro
dell'Unione europea diverso da quello in cui
è stabilito il professionista;
g) «procedura ADR»: una procedura di
risoluzione extragiudiziale delle controversie
conforme ai requisiti di cui al presente titolo
ed eseguita da un organismo ADRAlternative Dispute Resolution;
h) «organismo ADR»: qualsiasi organismo,
a prescindere dalla sua denominazione,
istituito su base permanente, che offre la
risoluzione di una controversia attraverso
una procedura ADR ed è
iscritto
nell'elenco di cui all'art. 141-decies;
i) «autorità competente»: le autorità
indicate dall'art. 141-octies;
l) «domanda»: la domanda presentata
all'organismo per avviare la procedura
ADR;
m) «servizi non economici di interesse
generale»: i servizi di interesse generale
che non sono prestati a fini economici, a
prescindere dalla forma giuridica sotto la
quale tali servizi sono prestati, e, in
particolare i servizi prestati,
senza
corrispettivo economico, da pubbliche
amministrazioni o per conto delle stesse.
2. Ai fini del
presente
titolo
il
professionista si considera stabilito:
a) se si tratta di una persona fisica, presso
la sua sede di attività;
b) se si tratta di una società o di un'altra
persona giuridica o di un'associazione di
persone fisiche o giuridiche, presso la sua
sede legale, la sua amministrazione centrale
o la sua sede di attività, comprese le filiali,
le agenzie o qualsiasi altra sede.
3. Ai fini del presente titolo, l'organismo
ADR si considera stabilito:
a) se è gestito da una persona fisica, nel
luogo in cui svolge le attività ADR;
europee e
l'attuazione
di
altri atti
dell'Unione europea
Legge
di
delegazione europea 2013 - secondo
semestre - ed in particolare l'art. 8, che
introduce principi e criteri direttivi specifici
per
il
recepimento
della direttiva
2013/11/UE;
Visto il d.lgs. 6.9.2005, n. 206, e successive
modificazioni, recante il codice del consumo;
Vista la preliminare deliberazione del
Consiglio
dei
ministri, adottata nella
riunione dell'8.05.2015;
Acquisiti i pareri delle competenti
Commissioni della Camera dei deputati e
del Senato della Repubblica;
Vista la deliberazione del Consiglio dei
ministri,
adottata
nella riunione del
31.7.2015;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio
dei ministri e del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con i Ministri
dell'economia e delle finanze, della giustizia e
degli affari esteri e della cooperazione
internazionale;
E m a n a il seguente d.lgs.:
Art. 1
Modifiche al Codice del consumo in
attuazione della direttiva 2013/11/UE sulla
risoluzione alternativa delle controversie
dei consumatori
1. Alla parte V del d.lgs. 6.9.2005, n. 206,
recante Codice del consumo, il titolo II
termina con l'art. 140-bis e dopo il titolo II è
inserito il seguente: «titolo II-bis risoluzione
extragiudiziale
delle
controversie».
2. L'art. 141 del d.lgs. 6.9.2005, n. 206,
recante Codice del consumo, è sostituito dal
seguente:
«Art.
141
(Disposizioni
generali:
definizioni ed ambito di applicazione). - 1.
Ai fini del presente titolo, si intende per:
a) «consumatore»: la persona fisica, di cui
all'art. 3, co. 1, lett. a);
b) «professionista»: il soggetto, di cui
all'art. 3, co. 1, lett. c);
c) «contratto di vendita»: il contratto di cui
all'art. 45, co. 1, lett. e);
d) «contratto di servizi»: il contratto di cui
all'art. 45, co. 1, lett. f);
e)
«controversia
nazionale»:
una
controversia
relativa
ad obbligazioni
Gazzetta Amministrativa
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
n. 481, che prevede il tentativo obbligatorio
di conciliazione nelle materie di competenza
dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e
il sistema idrico, e le cui modalità di
svolgimento sono regolamentate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il
sistema idrico con propri provvedimenti.
7. Le procedure svolte nei settori di
competenza dell'Autorità per l'energia
elettrica, il gas ed il sistema idrico, della
Banca d'Italia, della Commissione nazionale
per la società e la borsa e dell'Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni, ivi
comprese quelle
che
prevedono
la
partecipazione obbligatoria del professionista, sono considerate procedure ADR ai
sensi del presente Codice, se rispettano i
principi, le procedure e i requisiti delle
disposizioni di cui al presente titolo.
8. Le disposizioni di cui al presente titolo
non si applicano:
a) alle procedure presso sistemi di
trattamento dei reclami dei consumatori
gestiti dal professionista;
b) ai servizi non economici d'interesse
generale;
c) alle controversie fra professionisti;
d) alla negoziazione diretta tra consumatore
e professionista;
e) ai tentativi di conciliazione giudiziale
per la composizione della controversia nel
corso di un procedimento giudiziario
riguardante la controversia stessa;
f) alle procedure avviate da un
professionista nei confronti di
un
consumatore;
g) ai servizi di assistenza sanitaria, prestati
da professionisti sanitari a pazienti, al fine di
valutare, mantenere o ristabilire il loro stato
di salute, compresa la prescrizione, la
somministrazione e
la fornitura di medicinali e dispositivi medici;
h) agli organismi pubblici di istruzione
superiore o di formazione continua.
9. Le disposizioni di cui al presente titolo
non
precludono
il funzionamento di
eventuali organismi ADR istituiti nell'ambito
delle norme e provvedimenti, di cui ai commi
7 e 8, ed in cui i funzionari pubblici sono
incaricati delle controversie e considerati rappresentanti sia degli interessi dei
consumatori e sia degli interessi dei
b) se è gestito da una persona giuridica o
da un'associazione di persone fisiche o di
persone giuridiche, nel luogo in cui tale
persona giuridica o associazione di persone
fisiche o giuridiche svolge le attività ADR o
ha la sua sede legale;
c) se è gestito da un'autorità o da un altro
ente pubblico, nel luogo in cui tale autorità
o altro ente pubblico ha la propria sede.
4. Le disposizioni di cui al presente titolo,
si applicano alle procedure volontarie di
composizione
extragiudiziale
per
la
risoluzione, anche in via telematica, delle
controversie nazionali e transfrontaliere, tra
consumatori e professionisti residenti e
stabiliti nell'Unione europea, nell'ambito
delle quali l'organismo ADR propone una
soluzione o riunisce le parti al fine di
agevolare una soluzione amichevole e, in
particolare, agli organismi di mediazione
per la trattazione degli affari in materia di
consumo iscritti nella sezione speciale di cui
all'art. 16, commi 2 e 4, del d.lgs. 4.03.2010,
n. 28, e agli altri organismi ADR istituiti o
iscritti presso gli elenchi tenuti e vigilati
dalle autorità di cui al co. 1, lett. i), previa
la verifica della sussistenza dei requisiti e
della
conformità
della
propria
organizzazione e delle proprie procedure
alle prescrizioni del presente titolo. Le
disposizioni di cui al presente titolo si
applicano, altresi', alle eventuali procedure,
previste ai sensi del co. 7, in cui l'organismo
ADR adotta una decisione.
5. Le disposizioni di cui al presente titolo si
applicano
altresi' alle
procedure
di
conciliazione paritetica di cui all'art. 141ter.
6. Sono fatte salve le seguenti
disposizioni che prevedono l'obbligatorietà
delle
procedure
di
risoluzione
extragiudiziale delle controversie:
a) art. 5, co. 1-bis, del d.lgs. 4.3.2010, n. 28,
che disciplina i casi di condizione di
procedibilità con riferimento alla mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali;
b) art. 1, co. 11, della l. 31.07.1997, n. 249,
che prevede il tentativo obbligatorio di
conciliazione nel settore delle comunicazioni
elettroniche;
c) art. 2, co. 24, lett. b), della l. 14.11. 1995,
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
direttamente con il professionista;
b) la controversia è futile o temeraria;
c) la controversia è in corso di esame o è
già stata esaminata da un altro organismo
ADR o da un organo giurisdizionale;
d) il valore della controversia è inferiore o
superiore
a
una soglia monetaria
prestabilita a un livello tale da non nuocere
in modo significativo all'accesso del
consumatore al trattamento dei reclami;
e) il consumatore non ha presentato la
domanda all'organismo ADR entro un limite
di tempo prestabilito, che non deve essere
inferiore a un anno dalla data in cui il
consumatore ha presentato il reclamo al
professionista;
f) il trattamento di questo tipo di
controversia
rischierebbe
di nuocere
significativamente all'efficace funzionamento
dell'organismo ADR.
3. Qualora, conformemente alle proprie
norme procedurali, un organismo ADR non
è in grado di prendere in considerazione
una controversia che gli è stata presentata,
tale organismo ADR fornisce a entrambe le
parti una spiegazione motivata delle ragioni
della sua decisione di non prendere in
considerazione la controversia
entro
ventuno giorni dal ricevimento del fascicolo
della domanda. Tali norme procedurali
non devono
nuocere
in
modo
significativo all'accesso da parte dei
consumatori alle procedure ADR, compreso
in caso di controversie transfrontaliere.
4. È fatto obbligo agli organismi ADR di
prevedere e garantire che le persone fisiche
da essi incaricate della risoluzione delle
controversie siano:
a) in possesso delle conoscenze e delle
competenze in materia di risoluzione
alternativa o giudiziale delle controversie
dei consumatori, inclusa
una
comprensione
generale
del
diritto
provvedendo, se del caso, alla loro
formazione;
b) nominate per un incarico di durata
sufficiente
a
garantire l'indipendenza
dell'attività da svolgere, non
potendo
essere sostituito o revocato nell'incarico
senza una giusta causa;
c) non soggette ad istruzioni dell'una o
dell'altra delle
parti
o dei loro
professionisti.
10. Il consumatore non puo' essere privato
in nessun caso del diritto di adire il giudice
competente qualunque sia l'esito della
procedura di composizione extragiudiziale.».
3. Dopo l'art. 141 del d.lgs. 6.9.2005, n.
206, recante Codice del consumo, sono
inseriti i seguenti:
«Art. 141-bis (Obblighi, facoltà e requisiti
degli organismi ADR).
- 1. È fatto obbligo agli organismi ADR di:
a) mantenere un sito web aggiornato che
fornisca alle parti un facile accesso alle
informazioni concernenti il funzionamento
della procedura ADR e che consenta ai
consumatori di presentare la domanda e la
documentazione di supporto necessaria in via
telematica;
b) mettere a disposizione delle parti, su
richiesta delle stesse, le informazioni di cui
alla lett. a), su un supporto durevole, cosi'
come definito dall'art. 45, co. 1, lett. l);
c) consentire al consumatore la possibilità,
ove applicabile, di presentare la domanda
anche in modalità diverse da quella
telematica;
d) consentire lo scambio di informazioni
tra le parti per via elettronica o, se
applicabile, attraverso i servizi postali;
e)
accettare
sia
le
controversie
nazionali
sia
quelle transfrontaliere,
comprese le controversie oggetto del reg.
(UE) n. 524/2013, anche attraverso il ricorso
a reti di organismi ADR;
f) adottare i provvedimenti necessari a
garantire
che
il trattamento dei dati
personali avvenga nel rispetto delle regole
di cui al d.lgs. 30.6.2003, n. 196, e
successive modificazioni.
2. Gli organismi ADR possono, salve le
diverse prescrizioni contenute in altre norme
applicabili ovvero nelle deliberazioni delle
autorità di regolazione di settore, mantenere
e
introdurre
norme procedurali che
consentano loro di rifiutare il trattamento di
una determinata controversia per i seguenti
motivi:
a) il consumatore non ha tentato di
contattare il professionista interessato per
discutere il proprio reclamo nè cercato,
come primo passo, di risolvere la questione
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
composto da un numero uguale
di
rappresentanti dell'organizzazione professionale e dell'associazione di imprese da cui
sono assunte o retribuite e di una o più
associazioni dei consumatori e degli utenti di
cui all'art. 137.
9. È fatto obbligo agli organismi ADR in
cui le persone fisiche incaricate della
risoluzione delle controversie fanno parte
di un organismo collegiale, disporre che il
collegio sia composto da un numero
uguale di rappresentanti degli interessi dei
consumatori e
di rappresentanti degli
interessi dei professionisti.
10. Se gli organismi ADR, ai fini del co. 4,
lett. a), del presente articolo, provvedono
alla formazione delle
persone
fisiche
incaricate della risoluzione extragiudiziale
delle controversie, le autorità competenti
provvedono a monitorare i programmi
di formazione istituiti dagli organismi ADR in
base alle informazioni comunicate loro ai
sensi dell'art. 141-nonies, co. 4, lett. g). I
programmi di formazione possono essere
promossi ed eseguiti dalle stesse autorità
competenti, di cui all'art. 141-octies.
Restano ferme le disposizioni in materia di
formazione dei mediatori di cui ai commi 4bis, 5 e 6 dell'art. 16 del d.lgs. 4.03.2010, n.
28.
rappresentanti;
d) retribuite indipendentemente dall'esito
della procedura.
5. È fatto altresi' obbligo alle persone
fisiche incaricate della risoluzione delle
controversie, di comunicare tempestivamente all'organismo ADR tutte
le
circostanze,
emerse
durante
l'intera
procedura ADR, idonee ad incidere sulla
loro indipendenza e imparzialità o capaci
di generare conflitti di interessi con l'una o
l'altra delle parti della controversia che sono
chiamate a risolvere.
In tale ipotesi, se le parti non sono soddisfatte
delle prestazioni o del funzionamento della
procedura medesima, l'organismo ADR deve:
a) sostituire la persona fisica interessata, affidando la conduzione della procedura ADR ad altra persona fisica; o in
mancanza
b) garantire che la
persona
fisica
interessata si astenga dal condurre la
procedura ADR e, se possibile, proporre
alle parti di presentare la controversia ad
un altro organismo ADR competente a
trattare la controversia; o in mancanza
c) consentire alla
persona
fisica
interessata di continuare a condurre la
procedura solo se le parti, dopo essere state
informate delle circostanze e del loro diritto
di opporsi, non hanno sollevato obiezioni.
6. Resta fermo il diritto delle parti di
ritirarsi
in
qualsiasi momento dalla
procedura ADR, salvo quanto previsto
dall'art. 141-quater, co. 5, lett. a).
7. Nell'ipotesi prevista dal co. 5, qualora
l'organismo ADR sia costituito da una sola
persona fisica, si applicano unicamente le
lettere b) e c) del medesimo comma.
8. Qualora le persone fisiche incaricate
della procedura ADR siano assunte
o
retribuite esclusivamente da un'organizzazione professionale o da un'associazione di mprese di cui il professionista
è membro, è assicurato che, oltre ai
requisiti del presente titolo e quelli generali
di cui ai commi 4 e 9, esse abbiano a loro
disposizione risorse di bilancio distinte e
apposite che siano sufficienti ad assolvere i
loro compiti. Il presente comma non si
applica qualora le persone fisiche interessate
facciano parte di un organismo collegiale
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Art. 141-ter (Negoziazioni paritetiche). - 1.
Le procedure svolte dinanzi agli organismi
ADR in cui parte delle persone fisiche
incaricate
della
risoluzione
delle
controversie sono assunte o retribuite
esclusivamente dal professionista o
da
un'organizzazione professionale
o
da
un'associazione di imprese di cui il
professionista è membro, sono considerate
procedure ADR, ai sensi del presente
Codice, se, oltre all'osservanza delle
disposizioni
di cui al presente titolo,
rispettano i seguenti ulteriori requisiti
specifici di indipendenza e trasparenza:
a) le persone fisiche incaricate della
risoluzione
delle controversie devono far
parte di una commissione paritetica
composta da un numero uguale di
rappresentanti delle associazioni
dei
consumatori e degli utenti, di cui all'art.
137, e di rappresentanti del professionista,
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bilancio generale del professionista, per lo
svolgimento dei suoi compiti.
2. Rientrano nelle procedure di cui al co. 1
esclusivamente le negoziazioni paritetiche
disciplinate da protocolli
di
intesa
stipulati tra i professionisti o loro
associazioni e un numero non inferiore a un
terzo delle associazioni dei consumatori e
degli utenti, di cui all'art. 137, nonchè
quelle disciplinate da protocolli di intesa
stipulati nel settore dei servizi pubblici
locali secondo i criteri a tal fine indicati
nell'accordo sancito in sede di Conferenza
unificata Stato-regioni e Stato-città ed
autonomie locali del 26.09.
2013,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 254
del 29.10.2013.
e sono nominate a seguito di una procedura
trasparente;
b) le persone fisiche incaricate della
risoluzione delle controversie devono ricevere un incarico di almeno tre anni per
garantire l'indipendenza della loro azione;
c) è fatto obbligo al rappresentante delle
associazioni dei consumatori e degli utenti,
di cui all'art. 137, di non avere alcun
rapporto lavorativo con il professionista, con un'organizzazione professionale
o un'associazione di imprese di cui il
professionista sia membro, per l'intera durata
dell'incarico e per un periodo di tre anni
decorrenti dalla cessazione del proprio
incarico nell'organismo ADR, nè di avere
contributi finanziari diretti da parte degli
stessi; gli eventuali contributi erogati dal
professionista
o
dall'organizzazione
professionale o dall'associazione di imprese di cui il professionista fa parte, quale
parziale rimborso all'associazione
dei
consumatori per gli oneri sostenuti per
prestare
assistenza
gratuita
al
consumatore nella procedura ADR, devono
essere erogati in modo trasparente,
informandone l'autorità competente
o
secondo le procedure dalla stessa stabilite;
d) è
fatto, altresi', obbligo al
rappresentante
del professionista, se tale
rapporto lavorativo non era già in corso al
momento di conferimento dell'incarico, di
non avere alcun rapporto lavorativo con il
professionista,
con
un'organizzazione
professionale o un'associazione di imprese di
cui il professionista sia membro, per un
periodo di tre anni decorrenti dalla
cessazione
del
proprio incarico
nell'organismo ADR;
e) l'organismo di risoluzione delle
controversie, ove non abbia distinta
soggettività
giuridica
rispetto
al
professionista
o all'organizzazione
professionale o all'associazione di imprese di
cui il professionista fa parte, deve essere
dotato di sufficiente autonomia e di un
organo paritetico di garanzia privo di
collegamenti gerarchici o funzionali con il
professionista, deve essere chiaramente
separato dagli organismi operativi del
professionista ed avere a sua disposizione
risorse finanziarie sufficienti, distinte dal
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Art. 141-quater (Trasparenza, efficacia,
equità e libertà). - 1. È fatto obbligo agli
organismi ADR, di rendere disponibili al
pubblico sui loro siti web, su supporto
durevole su richiesta e in qualsiasi altra
modalità funzionale al perseguimento delle
finalità di trasparenza, efficacia, equità e
libertà, informazioni chiare e facilmente
comprensibili riguardanti:
a) le modalità di contatto, l'indirizzo postale
e quello di posta elettronica;
b) il proprio inserimento nell'elenco di
cui all'art. 141-decies, secondo co.;
c) le persone fisiche incaricate della
procedura ADR, i criteri seguiti per il
conferimento dell'incarico nonchè per la
loro successiva designazione e la durata del
loro incarico;
d) la competenza, l'imparzialità e
l'indipendenza
delle
persone fisiche
incaricate della procedura ADR qualora
siano assunte o retribuite esclusivamente
dal professionista;
e) l'eventuale appartenenza a reti di
organismi ADR
che
agevolano la
risoluzione
delle
controversie
transfrontaliere;
f) il settore di competenza specifica, incluso,
eventualmente,
il limite di valore di
competenza;
g) le norme che disciplinano la
procedura
di
risoluzione stragiudiziale
della controversia per la quale l'organismo di
ADR è stato iscritto e i motivi per cui
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Numero 3/4 - 2015
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i rifiuti di cui all'art. 141-bis, co. 2;
d) nel caso di procedure di cui dell'art.
141-ter, le quote percentuali di soluzioni
proposte a favore del consumatore e a favore
del professionista, e di controversie risolte
con una composizione amichevole;
e) la quota percentuale delle procedure DR
interrotte e, se noti,
i motivi della loro interruzione;
f) il tempo medio necessario per la
risoluzione delle controversie;
g) la percentuale di rispetto, se nota, degli
esiti delle procedure ADR;
h) l'eventuale cooperazione con organismi
ADR all'interno di reti di organismi ADR
che agevolano la risoluzione delle
controversie transfrontaliere.
3. Le procedure ADR devono rispettare le
seguenti prescrizioni:
a) essere disponibili e facilmente accessibili
online e offline per entrambe le parti, a
prescindere dalla loro ubicazione;
b) consentire la partecipazione alle parti
senza obbligo di assistenza legale; è fatto
sempre salvo il diritto delle parti di
ricorrere al parere di un soggetto
indipendente o di essere rappresentate o
assistite da terzi in qualsiasi fase della
procedura;
c) essere gratuite o disponibili a costi
minimi per i consumatori;
d) l'organismo ADR che ha ricevuto una
domanda dà alle parti comunicazione
dell'avvio della procedura relativa
alla
controversia non appena riceve il fascicolo
completo della domanda;
e) concludersi entro il termine di novanta
giorni dalla data di ricevimento del
fascicolo completo della domanda da
parte dell'organismo ADR; in caso di
controversie
particolarmente complesse,
l'organismo ADR puo', a sua discrezione,
prorogare il termine fino a un massimo di
novanta giorni; le parti devono essere
informate di tale proroga e del nuovo termine
di conclusione della procedura.
4. Nell'ambito delle procedure ADR deve
essere garantito altresi' che:
a) le parti abbiano la possibilità, entro un
periodo di tempo ragionevole di esprimere
la loro opinione, di ottenere dall'organismo
ADR le argomentazioni, le prove, i documenti
l'organismo ADR puo' rifiutare di trattare
una determinata controversia ai sensi
dell'art. 141-bis, co. 2;
h) le lingue nelle quali possono essere
presentati i reclami all'organismo ADR e
secondo le quali si svolge la procedura ADR;
i) se l'organismo ADR risolve le
controversie in base a
disposizioni giuridiche, considerazioni di
equità, codici di
condotta o altri tipi di regole;
l) eventuali attività che le parti sono tenute
a rispettare prima di avviare la procedura
ADR, incluso il tentativo di risoluzione
della controversia mediante negoziazione
diretta con il professionista;
m) la possibilità o meno per le parti di
ritirarsi dalla procedura;
n) gli eventuali costi che le parti dovranno
sostenere, comprese le norme sulla
ripartizione delle spese al termine della
procedura;
o) la durata media della procedura ADR;
p) l'effetto giuridico dell'esito della
procedura ADR;
q) l'esecutività della decisione ADR, nei
casi eventualmente previsti dalle norme
vigenti.
2. È fatto obbligo agli organismi ADR di
rendere disponibili al pubblico sui loro siti
web, su un supporto durevole su richiesta e in
altra modalità funzionale al perseguimento
delle finalità di trasparenza, le relazioni
annuali d'attività. Tali relazioni, con
riferimento alle controversie sia nazionali
che transfrontaliere devono comprendere le
seguenti informazioni:
a) numero di reclami ricevuti e tipologie di
controversie cui si riferiscono;
b) eventuali cause sistematiche o
significative generatrici delle controversie
tra consumatori e professionisti; tali
informazioni possono essere accompagnate,
se del caso, da raccomandazioni idonee ad
evitare o risolvere problematiche analoghe in
futuro, a migliorare le norme dei
professionisti e ad agevolare lo scambio di
informazioni
e di migliori prassi;
c) la percentuale di controversie che
l'organismo ADR ha rifiutato di trattare e la
quota in percentuale dei tipi di motivo per
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-174-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
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ADR
sui
termini
di prescrizione e
decadenza).
1. Dalla data di ricevimento da parte
dell'organismo ADR, la relativa domanda
produce sulla prescrizione gli effetti della
domanda giudiziale. Dalla stessa data, la
domanda impedisce altresi' la decadenza per
una sola volta.
2. Se la procedura ADR fallisce, i relativi
termini di prescrizione e decadenza iniziano
a decorrere nuovamente dalla data della
comunicazione alle parti della mancata
definizione della controversia con modalità
che abbiano valore di conoscenza legale.
3. Sono fatte salve le disposizioni relative
alla prescrizione e alla decadenza contenute
negli accordi internazionali di cui l'Italia è
parte.
e i fatti presentati dall'altra parte, salvo
che la parte non abbia espressamente
richiesto che gli stessi debbano restare
riservati,
le
eventuali dichiarazioni
rilasciate e opinioni espresse da esperti e di
poter esprimere osservazioni in merito;
b) le parti siano informate del fatto che
non sono obbligate a ricorrere a un
avvocato o consulente legale, ma possono
chiedere un parere indipendente o essere
rappresentate o assistite da terzi in
qualsiasi fase della procedura;
c) alle parti sia notificato l'esito della
procedura ADR per iscritto o su un supporto
durevole, e sia data comunicazione dei
motivi sui quali è fondato.
5. Nell'ipotesi di procedure ADR volte a
risolvere la controversia proponendo una
soluzione, gli organismi ADR garantiscono
che:
a) le parti abbiano la possibilità di ritirarsi
dalla procedura in qualsiasi momento. Le
parti sono informate di tale diritto prima
dell'avvio della procedura. Nel caso in cui è
previsto l'obbligo del professionista
di
aderire alle procedure ADR, la facoltà di
ritirarsi
dalla
procedura
spetta
esclusivamente al consumatore;
b) le parti, prima di accettare o meno o di
dare seguito a una soluzione proposta,
siano informate del fatto che:
1) hanno la scelta se accettare o seguire la
soluzione proposta o meno;
2) la partecipazione alla procedura non
preclude la possibilità di chiedere
un
risarcimento attraverso
un
normale
procedimento giudiziario;
3) la soluzione proposta potrebbe essere
diversa dal risultato che potrebbe essere
ottenuto con la decisione di un organo
giurisdizionale
che
applichi
norme
giuridiche;
c) le parti, prima di accettare o meno o di
dare seguito a una soluzione proposta,
siano informate dell'effetto giuridico che
da cio' consegue;
d) le parti, prima di accogliere una
soluzione proposta o acconsentire a una
soluzione amichevole, dispongano di un
periodo di riflessione ragionevole.
Art. 141-sexies (Informazioni e assistenza ai
consumatori).
1. I professionisti stabiliti in Italia che si
sono impegnati a ricorrere ad uno o più
organismi ADR per risolvere le controversie
sorte con i consumatori, sono obbligati ad
informare
questi
ultimi
in
merito
all'organismo o agli organismi competenti
per risolvere le controversie sorte con i
consumatori. Tali informazioni includono
l'indirizzo del sito web dell'organismo ADR
pertinente o degli organismi ADR pertinenti.
2. Le informazioni di cui al co. 1 devono
essere fornite in modo chiaro, comprensibile
e facilmente accessibile sul sito web del
professionista, ove esista, e nelle condizioni
generali applicabili al contratto di vendita o
di servizi stipulato tra il professionista ed il
consumatore.
3. Nel caso in cui non sia possibile risolvere
una controversia tra un consumatore e un
professionista
stabilito
nel
rispettivo
territorio in seguito a un reclamo
presentato direttamente dal consumatore al
professionista, quest'ultimo fornisce
al
consumatore le informazioni di cui al co. 1,
precisando se intenda avvalersi dei
pertinenti organismi ADR per risolvere la
controversia stessa.
Tali informazioni sono fornite su supporto
cartaceo o su altro supporto durevole.
4. È fatta salva l'applicazione delle
disposizioni relative all'informazione dei
Art. 141-quinquies (Effetti della procedura
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Numero 3/4 - 2015
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dell'ADR da parte di professionisti e
consumatori.
Detti organismi sono altresi' incoraggiati a
fornire ai consumatori le informazioni
relative agli organismi ADR competenti
quando ricevono i reclami dai consumatori.
consumatori sulle procedure di ricorso
extragiudiziale
contenute
in
altri
provvedimenti normativi.
5. Con riferimento all'accesso dei
consumatori
alle
controversie
transfrontaliere, salvo quanto previsto dalla
normativa di settore, gli stessi possono
rivolgersi al Centro nazionale della rete
europea per i consumatori (ECC-NET) per
essere assistiti nell'accesso all'organismo
ADR che opera in un altro Stato membro ed è
competente a trattare la loro controversia
transfrontaliera.
Il medesimo Centro nazionale è designato
anche come punto di contatto ODR ai
sensi dell'art. 7, par. 1, del reg. (UE) n.
524/2013 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 21.05.2013, relativo
alla
risoluzione delle controversie online dei
consumatori.
6. È fatto obbligo agli organismi ADR e al
Centro nazionale della rete europea per i
consumatori (ECC-NET) di
rendere
disponibile al pubblico sui propri siti web,
fornendo un link al sito della Commissione
europea, e laddove possibile su supporto
durevole nei propri locali, l'elenco degli
organismi ADR elaborato e pubblicato
dalla Commissione ai sensi dell'art. 20,
paragrafo 4, della direttiva 2013/11/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio del
21.05.2013, sulla risoluzione alternativa
delle controversie dei consumatori.
7. L'elenco degli organismi ADR di cui al
co. 6 è
posto a disposizione delle
associazioni di consumatori e
delle
associazioni di categoria di professionisti che
possono renderlo disponibile al pubblico
sui loro siti web o in qualsiasi altro modo
esse ritengano appropriato.
8. Sul sito istituzionale di ciascuna
autorità
competente
è
assicurata la
pubblicazione delle
informazioni
sulle
modalità di accesso dei consumatori alle
procedure ADR per
risolvere
le
controversie contemplate dal presente titolo.
9. Le autorità competenti incoraggiano le
associazioni
dei consumatori e degli
utenti, di cui all'art.
137,
e
le
organizzazioni professionali, a diffondere
la conoscenza
degli organismi e delle
procedure ADR e a promuovere l'adozione
Gazzetta Amministrativa
Art. 141-septies (Cooperazione). - 1. Le
autorità
competenti assicurano la
cooperazione tra gli organismi ADR nella
risoluzione delle controversie transfrontaliere
e i regolari scambi con gli altri Stati membri
dell'Unione europea delle migliori prassi
per quanto concerne la risoluzione delle
controversie transfrontaliere e nazionali.
2. Se esiste una rete europea di organismi
ADR che agevola la risoluzione delle
controversie
transfrontaliere
in
un
determinato settore, le autorità competenti
incoraggiano ad associarsi a detta rete gli
organismi ADR che trattano le controversie
di tale settore.
3. Le autorità competenti incoraggiano
la cooperazione
tra organismi ADR e
autorità nazionali preposte all'attuazione
degli atti giuridici dell'Unione sulla tutela
dei consumatori.
Tale cooperazione comprende, in particolare,
lo scambio di informazioni sulle prassi
vigenti in settori commerciali specifici nei
confronti delle quali i consumatori hanno
ripetutamente presentato reclami.
È incluso anche lo scambio di valutazioni
tecniche e informazioni, se già disponibili,
da parte delle autorità nazionali
agli
organismi ADR che ne necessitano per il
trattamento di singole controversie.
4. La cooperazione e lo scambio di
informazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 devono
avvenire nel rispetto delle norme sulla
protezione dei dati personali di cui al d.lgs.
30.06.2003, n. 196.
5. Sono fatte salve le disposizioni in
materia
di
segreto professionale e
commerciale applicabili alle autorità
nazionali di cui al co. 3.
Gli organismi ADR sono sottoposti al
segreto d'ufficio e agli altri vincoli
equivalenti di riservatezza previsti dalla
normativa vigente.
Art. 141-octies (Autorità competenti e punto
-176-
Numero 3/4 - 2015
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Commissione europea.
3. Al fine di definire uniformità di
indirizzo nel compimento delle funzioni delle
autorità competenti di cui al co. 1 è
istituito presso il Ministero dello sviluppo
economico un tavolo di coordinamento e di
indirizzo. Lo stesso è composto da un
rappresentante per ciascuna autorità
competente. Al Ministero dello sviluppo
economico è attribuito il compito di
convocazione e di raccordo. Al tavolo sono
assegnati compiti di definizione degli
indirizzi relativi all'attività di iscrizione e di
vigilanza delle autorità competenti, nonchè
ai criteri generali di trasparenza e
imparzialità, e alla misura dell'indennità
dovuta per
il
servizio prestato dagli
organismi ADR. Ai componenti del predetto
tavolo di coordinamento ed indirizzo non
spetta alcun compenso, gettone di presenza
o altro emolumento comunque denominato e
a qualsiasi titolo dovuto.
di contatto unico). - 1. Per lo svolgimento
delle funzioni di cui agli artt. 141-nonies e
141-decies, sono designate le seguenti
autorità competenti:
a) Ministero della giustizia unitamente al
Ministero dello sviluppo economico, con
riferimento al registro degli organismi di
mediazione relativo alla materia del
consumo, di cui all'art. 16, coo. 2 e 4, del
d.lgs. 4.3.2010, n. 28;
b) Commissione nazionale per le società e la
borsa (CONSOB), di cui all'art. 1 della l.
7.6.1974, n. 216, con riferimento ai sistemi
di
risoluzione
stragiudiziale
delle
controversie disciplinati ai sensi dell'art. 2
del d. lgs. 8.10.2007, n. 179, e dei regolamenti attuativi, e con oneri a carico
delle risorse di cui all'art. 40, co. 3, della l.
23.12.1994,
n.
724,
e
successive
modificazioni, nonchè dei soggetti che si
avvalgono delle procedure medesime;
c) Autorità per l'energia elettrica, il gas e il
sistema idrico (AEEGSI), di cui all'art. 2
della l. 14.11.1995, n. 481, per il settore di
competenza;
d) Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (AGCOM), di cui all'art. 1
della l. 31.07.1997, n. 249, per il settore di
competenza;
e) Banca d'Italia, con riferimento ai
sistemi di risoluzione stragiudiziale delle
controversie disciplinati ai sensi dell'art.
128-bis del d.lgs. 1.9.1993, n. 385;
f) altre autorità amministrative indipendenti,
di regolazione di specifici settori, ove
disciplinino specifiche procedure ADR
secondo le proprie competenze;
g) Ministero dello sviluppo economico,
con
riferimento
alle negoziazioni
paritetiche di cui all'art. 141-ter relative
ai settori non regolamentati o per i quali
le
relative
autorità indipendenti di
regolazione non applicano o non adottano
specifiche disposizioni, nonchè
con
riferimento agli organismi di conciliazione
istituiti ai sensi dell'art. 2, co. 2, lett. g) e co.
4, della l. 29.12.1993, n. 580, limitatamente
alle controversie tra consumatori e
professionisti, non rientranti nell'elenco di
cui alla lett. a).
2. Il Ministero dello sviluppo economico è
designato punto di contatto unico con la
Gazzetta Amministrativa
Art.
141-nonies
(Informazioni
da
trasmettere alle autorità competenti da
parte degli organismi di risoluzione
delle controversie).
1. Gli organismi di risoluzione
delle
controversie che intendono essere considerati
organismi ADR ai sensi del presente titolo e
inseriti in elenco conformemente all'art.
141-decies, co. 2, devono presentare
domanda di iscrizione alla rispettiva
autorità competente, indicando:
a) il loro nome o denominazione,
le
informazioni di contatto e l'indirizzo del
sito web;
b) informazioni sulla loro struttura e sul
loro finanziamento, comprese le informazioni sulle persone fisiche incaricate della
risoluzione delle controversie, sulla loro
retribuzione, sul loro mandato e sul loro
datore di lavoro;
c) le proprie norme procedurali;
d) le loro tariffe, se del caso;
e) la durata media delle procedure di
risoluzione delle controversie;
f) la lingua o le lingue in cui possono essere
presentati i reclami e in cui viene svolta la
procedura di risoluzione delle controversie;
g) una dichiarazione sui tipi di controversie
trattati mediante la procedura di risoluzione
-177-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
persone fisiche incaricate delle risoluzioni
delle controversie di cui all'art. 141-bis, co.
4, lett. a);
h) la valutazione dell'efficacia della
procedura ADR offerta dall'organismo e di
eventuali modi per migliorarla.
delle controversie;
h) i motivi per cui un organismo di
risoluzione delle controversie può rifiutare il
trattamento di una determinata controversia
a norma dell'art. 141-bis, co. 2;
i)
una
dichiarazione
motivata
dell'organismo di possedere o meno
i
requisiti di un organismo ADR che rientra
nell'ambito d'applicazione della presente
direttiva, e di rispettare o meno i requisiti
di qualità di cui al presente titolo.
2. Qualora le informazioni di cui alle lettere
da a) ad h) del co. 1 vengano modificate,
gli organismi ADR informano senza indugio
l'autorità competente in merito a tali
modifiche.
3. Gli organismi di risoluzione delle
controversie dinanzi ai quali si svolgono le
procedure di cui all'art. 141-ter, oltre a
comunicare ai requisiti di cui al co. 1,
devono altresì trasmettere le informazioni
necessarie a valutare la loro conformità ai
requisiti specifici aggiuntivi di indipendenza
e di trasparenza di cui al co. 1 dell'art. 141ter.
4. A far data dal secondo anno di iscrizione
al relativo elenco, con cadenza biennale,
ogni organismo ADR
trasmette
alla
rispettiva autorità competente informazioni
concernenti:
a) il numero di reclami ricevuti ed i tipi di
controversie alle quali si riferiscono;
b) la quota percentuale delle procedure
ADR interrotte prima di raggiungere il
risultato;
c) il tempo medio necessario per la
risoluzione delle controversie ricevute;
d) la percentuale di rispetto, se nota, degli
esiti delle procedure ADR;
e) eventuali problematiche sistematiche o
significative che si verificano di frequente e
causano controversie tra consumatori e
professionisti. Le informazioni comunicate al
riguardo possono essere accompagnate da
raccomandazioni sul modo di evitare o
risolvere problematiche analoghe in futuro;
f) se del caso, una valutazione
dell'efficacia
della
loro cooperazione
all'interno di reti di organismi ADR che
agevolano la risoluzione delle controversie
transfrontaliere;
g) se prevista, la formazione fornita alle
Gazzetta Amministrativa
Art. 141-decies (Ruolo delle autorità
competenti).
1. Presso ciascuna autorità competente è
istituito,
rispettivamente
con decreto
ministeriale o con provvedimenti interni,
l'elenco degli organismi ADR deputati a
gestire le controversie nazionali
e
transfrontaliere che rientrano nell'ambito
di applicazione del presente titolo e che
rispettano i requisiti previsti.
Ciascuna autorità competente definisce il
procedimento per l'iscrizione e verifica il
rispetto
dei
requisiti
di
stabilità,
efficienza, imparzialità, nonchè il rispetto del
principio di tendenziale non onerosità, per il
consumatore, del servizio.
2. Ogni autorità competente provvede
all'iscrizione, alla sospensione e alla cancellazione degli iscritti e vigila sull'elenco
nonchè sui singoli organismi ADR.
3. Ciascuna autorità competente sulla
base di propri provvedimenti, tiene l'elenco
e disciplina le modalità di iscrizione degli
organismi ADR. Tale elenco comprende:
a) il nome, le informazioni di contatto e i
siti internet degli organismi ADR di cui al
co. 1;
b) le loro tariffe, se del caso;
c) la lingua o le lingue in cui possono essere
presentati i reclami e in cui è svolta la
procedura ADR;
d) i tipi di controversie contemplati dalla
procedura ADR;
e) i settori e le categorie di controversie
trattati da ciascun organismo ADR;
f) se del caso, l'esigenza della presenza
fisica delle parti o dei loro rappresentanti,
compresa una dichiarazione dell'organismo
ADR relativa alla possibilità di svolgere la
procedura ADR in forma orale o scritta;
g) i motivi per cui un organismo ADR può
rifiutare il trattamento di una determinata
controversia a norma dell'art. 141-bis, co. 2.
4. Se un organismo ADR non soddisfa piu' i
requisiti di cui al co. 1, l'autorità
-178-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
c) elabora raccomandazioni su come
migliorare l'efficacia
e l'efficienza del
funzionamento degli organismi ADR, se del
caso.».
4. All'art. 139, co. 1, del d.lgs. 6 .09. 2005,
n. 206, e successive modificazioni, alla fine
della lett. b) e della lett. b-bis), il punto è
sostituito dal punto e virgola e, dopo la lett.
b-bis), è aggiunta la seguente:
«b-ter) reg. (UE) n. 524/2013 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del
21.05.2013, sulla risoluzione
delle
controversie online per i consumatori (reg.
sull'ODR per i consumatori).».
5. All'art. 10, co. 1, all'art. 16, co. 2, all'art.
106, coo. 1 e 2, all'art. 107, co. 1, all'art. 110,
coo. 1, 3, 4 e 5, all'art. 136, coo. 1 e 2, primo
e secondo periodo, all'art. 137, coo. 1, 2, 4 e
6, e all'art. 140, co. 7, del d. lgs. 6.9.2005,
n. 206, e successive modificazioni, le
parole: «delle attività produttive» sono
sostituite dalle seguenti: «dello sviluppo
economico».
6. All'art. 66 del d.lgs. 6.9.2005, n. 206, al
co. 2 dopo le parole: «del presente capo»,
prima della virgola, sono inserite le seguenti: «nonchè dell'art. 141-sexies, coo.
1, 2 e 3».
7. All'art. 66 del d.lgs. 6 .09. 2005, n. 206,
il co. 5 è sostituito dal seguente:
«5. È comunque fatta salva la giurisdizione
del giudice ordinario.
È
altresi' fatta salva la possibilità di
promuovere la risoluzione extragiudiziale
delle controversie inerenti al rapporto di
consumo, nelle materie di cui alle sezioni da
I a IV del presente capo, mediante il
ricorso alle procedure di cui alla parte V,
titolo II-bis, del presente codice.».
8. All'art. 66-quater,
del
decreto
legislativo 6.9.2005, n. 206, il co. 3 è
sostituito dal seguente:
«3. Per la risoluzione delle controversie
sorte dall'esatta applicazione dei contratti
disciplinati dalle disposizioni delle sezioni
da I a IV del presente capo è possibile
ricorrere
alle procedure di risoluzione
extragiudiziale delle controversie, di cui
alla parte V, titolo II-bis, del presente
codice.».
9. Al d.lgs. 6.09. 2005, n. 206, recante
Codice del consumo, sono apportate le
competente interessata lo contatta per
segnalargli
tale
non
conformità,
invitandolo a ovviarvi immediatamente. Se
allo scadere di un termine di tre mesi
l'organismo ADR continua a non soddisfare
i requisiti di cui al co. 1, l'autorità
competente cancella l'organismo dall'elenco
di cui al co. 2. Detto elenco è aggiornato
senza indugio e le informazioni
pertinenti sono trasmesse al Ministero dello
sviluppo economico quale punto di contatto
unico con la Commissione europea.
5. Ogni autorità competente notifica senza
indugio l'elenco di cui ai commi 1 e 3, e ogni
suo
successivo
aggiornamento,
al
Ministero dello sviluppo economico quale
punto
di
contatto
unico
con
la
Commissione europea.
6. L'elenco e gli aggiornamenti di cui ai
commi 2, 3 e 4 relativiagli organismi ADR
stabiliti nel territorio della Repubblica
italiana sono trasmessi alla Commissione
europea dal Ministero dello
sviluppo
economico quale punto di contatto unico.
7. Ogni autorità competente mette a
disposizione
del
pubblico l'elenco
consolidato degli organismi ADR, elaborato
dalla Commissione europea e notificato al
Ministero dello sviluppo economico quale
punto di contatto unico, fornendo sul proprio
sito internet un link al pertinente sito
internet della Commissione europea. Inoltre,
ogni autorità competente mette a disposizione
del pubblico tale elenco consolidato su un
supporto durevole.
8. Entro il 9.7.2018 e successivamente ogni
quattro anni, il Ministero dello sviluppo
economico, quale punto di contatto unico,
con il contributo delle altre autorità
competenti,
pubblica
e trasmette alla
Commissione europea una relazione sullo
sviluppo e sul funzionamento di tutti gli
organismi ADR stabiliti sul territorio della
Repubblica Italiana. In particolare, tale
relazione:
a) identifica le migliori prassi degli
organismi ADR;
b) sottolinea le insufficienze, comprovate
da
statistiche,
che ostacolano il
funzionamento degli organismi ADR per le
controversie
sia
nazionali
che
transfrontaliere, se del caso;
Gazzetta Amministrativa
-179-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
funzionamento si provvede, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, ai
sensi dell'art. 9, co. 2.».
2. All'art. 5, co. 1-bis, del
decreto
legislativo 4.3.2010, n. 28, le parole: «il
procedimento di conciliazione previsto»
sono sostituite dalle seguenti: «i procedimenti
previsti» e dopo le parole: «n. 179,» sono
inserite le seguenti: «e dai rispettivi
regolamenti di attuazione».
seguenti modificazioni:
a) all'art. 33, co. 2, dopo la lett. v) sono
aggiunte le seguenti:
v-bis) imporre al consumatore che
voglia accedere ad una procedura di
risoluzione extragiudiziale delle controversie
prevista dal titolo II-bis della parte V, di
rivolgersi
esclusivamente
ad un'unica
tipologia di organismi ADR o ad un unico
organismo ADR;
v-ter) rendere eccessivamente difficile
per il
consumatore l'esperimento della
procedura di risoluzione extragiudiziale
delle controversie prevista dal titolo II-bis
della parte V.».
Art. 2
Disposizioni finali
1. Le disposizioni del presente decreto,
concernenti l'attuazione del reg. (UE) n.
524/2013 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 21 .05. 2013, relativo alla
risoluzione delle controversie online dei
consumatori, si applicano a decorrere dal
9.01.2016.
2. Il Ministero dello sviluppo economico
comunica alla Commissione europea alla
data di entrata in vigore del presente
decreto e successivamente in occasione di
qualsiasi cambiamento sopravvenuto in
relazione a tali dati:
a) il nome e le informazioni di contatto
dell'organismo di cui all'art. 141-sexies, co.
5, del codice;
b) le autorità competenti, incluso il punto
unico di contatto,
di cui all'art. 141-octies del codice;
c) il testo delle disposizioni di cui al
presente d.lgs. e delle altre disposizioni
essenziali di diritto interno adottate nel
settore disciplinato dal presente d.lgs..
3. Il Ministero dello sviluppo economico,
quale punto di contatto unico, comunica alla
Commissione europea entro il 9.01. 2016 il
primo elenco di cui all'art. 141-decies, co. 5,
del codice.
Art. 1 bis
Modifiche al d.lgs. 8.10.2007, n. 179 –
Istituzione di procedure di conciliazione e
arbitrato, sistema di indennizzo e fondo di
garanzia per i risparmiatori e gli investitori
in attuazione dell'art. 27, commi 1 e 2, della l.
28.12.2005, n. 262
1. Dopo il co. 5 dell'art. 2 del d. lgs.
8.10.2007, n. 179, sono aggiunti i seguenti:
5-bis. I soggetti nei cui confronti la
CONSOB esercita la propria attività di
vigilanza, da individuarsi con il regolamento
di cui al co. 5-ter, devono aderire a sistemi
di
risoluzione
stragiudiziale delle
controversie con gli investitori diversi
dai
clienti professionali di cui all'art. 6,
commi 2-quinquies e 2-sexies di cui al d.lgs.
24.02.1998, n. 58. In caso di mancata
adesione, alle società e agli enti si applicano
le sanzioni di cui all'art. 190, co. 1 del citato
d.lgs. n. 58 del 1998 e alle persone fisiche
di cui all'art. 18-bis del predetto d.lgs. n.
58 del 1998 si applicano le sanzioni di cui
all'art. 190-ter del medesimo d.lgs..
5-ter. La CONSOB determina, con proprio
regolamento, nel rispetto dei principi, delle
procedure e dei requisiti di cui alla parte V,
titolo II-bis del d.lgs. 6.09. 2005, n. 206, e
successive modificazioni, i criteri di
svolgimento delle procedure di risoluzione
delle controversie di cui al co. 5-bis
nonchè i criteri di composizione dell'organo
decidente, in modo che risulti assicurata
l'imparzialità
dello
stesso
e
la
rappresentatività dei soggetti interessati.
Alla copertura delle relative spese di
Gazzetta Amministrativa
Art. 3
Clausola di invarianza finanziaria
1. Dall'attuazione delle disposizioni di cui
al presente decreto non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
Le amministrazioni interessate provvedono
agli adempimenti previsti dal presente
decreto con le risorse umane, finanziarie e
strumentali disponibili a legislazione vigente.
-180-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
Il presente decreto, munito del sigillo dello
Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale
degli atti normativi della Repubblica
italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarlo e di farlo osservare (D.lgs.
6.8.2015, n. 130 sulla Gazzetta Ufficiale n.
191 del 18.8.2015).
«::::::::: GA :::::::::»
Gazzetta Amministrativa
-181-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
REDAZIONALI
LA TEORIA DEL “SUBAPPALTO NECESSARIO”: IL RECENTE DIBATTITO ALLA LUCE DEI DIVERSI ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
dell’Avv. Salvatore Napolitano
Giunge all’attenzione dell’Adunanza Plenaria, la questione relativa all’indicazione del nominativo dei subappaltatori in sede di offerta da parte dei concorrenti di una gara di appalto, i quali
abbiano dichiarato di voler subappaltare parte delle prestazioni oggetto dell’affidamento, per le
quali non risultino in possesso della richiesta qualificazione.
Comes to the attention of the plenary session, the issue on the indication of names of subcontractors during the bidding by competitors of a tender, which have declared their intention to subcontract part of the services object of such care, for which do not result in possession of the required
qualifications.
Sommario: 1. La normativa di riferimento in materia di subappaltabilità. 2. Il contrasto giurisprudenziale. 3. L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria.
1. La normativa di riferimento in materia di subappaltabilità.
Come noto, l’art. 118 del codice dei contratti stabilisce, per i lavori, che: “Tutte le
prestazioni nonché lavorazioni, a qualsiasi
categoria appartengano, sono subappaltabili
e affidabili in cottimo. Per i lavori, per quanto riguarda la categoria prevalente, il D.P.R.
n. 207/2010 definisce la quota parte subappaltabile, in misura eventualmente diversificata a seconda delle categorie medesime, ma
in ogni caso non superiore al 30%. Per i servizi e le forniture tale quota è riferita all'importo complessivo del contratto”.
L’art. 92, commi 1 e 3, del d.P.R.
5.10.2010, n.207, che disciplina i requisiti di
partecipazione alla gara, stabilisce, innanzitutto, che, ai predetti fini, è sufficiente il possesso della qualificazione nella categoria prevalente (quando il concorrente, singolo o associato, non la possieda anche per le categorie scorporabili), purchè per l’importo totale
dei lavori.
Il combinato disposto degli artt. 92, co. 7 e
Gazzetta Amministrativa
109, co. 2, d.P.R. cit. e 37, co. 11, d.lgs.
12.4.2006, n. 163 chiarisce, poi, che il concorrente che non possiede la qualificazione
per le opere scorporabili indicate all’art. 107,
co. 2 (c.d. opere a qualificazione necessaria)
non può eseguire direttamente le relative lavorazioni ma le deve subappaltare a
un’impresa provvista della relativa, indispensabile qualificazione.
Ebbene, partendo dal presupposto che tutte
le lavorazioni sono subappaltabili, nei limiti e
con le modalità stabilite dalla legge, in tema
di affidamento di contratti pubblici di lavori,
l’art. 12 della recente legge 80/2014 ha, altresì, previsto e ridisegnato la subappaltabilità
per tutte le categorie a qualificazione obbligatoria espressamente richiamate, stabilendo
che l’affidatario, in possesso della qualificazione nella categoria di opere generali ovvero
nella categoria di opere specializzate indicate
nel bando di gara o nell’avviso di gara o nella
lettera di invito come categoria prevalente ha
la facoltà, fatto salvo quanto previsto alla lettera b), di eseguire direttamente tutte le lavo-182-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
deposito del contratto di subappalto e la certificazione dei requisiti di qualificazione e di
quelli generali di cui all’art. 38.
razioni di cui si compone l’opera o il lavoro,
anche se non è in possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese
in possesso delle relative qualificazioni; b)
non possono essere eseguite direttamente
dall’affidatario in possesso della qualificazione per la sola categoria prevalente, se privo
delle relative adeguate qualificazioni, le lavorazioni, indicate nel bando di gara o
nell’avviso di gara o nella lettera di invito, di
importo superiore ai limiti indicati dall’art.
108, co. 3, del regolamento di cui al d.P.R.
5.5.2010, n. 207, relative alle categorie di opere generali individuate nell’allegato A al
predetto decreto, nonché le categorie individuate nel medesimo allegato A con
l’acronimo OS.
Le predette lavorazioni sono comunque
subappaltabili ad imprese in possesso delle
relative qualificazioni. Esse sono altresì scorporabili e sono indicate nei bandi di gara ai
fini della costituzione di associazioni temporanee di tipo verticale.
In altri termini, è possibile ricorrere al subappalto sia nei limiti consentiti per la categoria prevalente, che per le categorie scorporabili, imponendosi, però, al riguardo, una ulteriore precisazione: quando la categoria
scorporabile è a qualificazione obbligatoria, e
il concorrente non possieda detta qualificazione, essa dovrà essere subappaltata ad imprese in possesso della relativa e idonea qualificazione (subappalto necessario).
Tale impostazione introduce inevitabilmente due figure di subappalto, quello facoltativo e quello necessario, con due distinte
regolamentazioni, che non trovano alcun riscontro positivo nell’ordinamento, e introduce l’obbligo della preventiva indicazione e
qualificazione del subappaltatore.
Di contro, l’art. 118 del d.lgs. n. 163/2006,
in materia di subappalto, disciplina allo stesso
modo il procedimento di autorizzazione del
subappalto, a prescindere dal fatto che lo
stesso sia utilizzato per integrare la qualificazione del concorrente o come modalità esecutiva dell’opera, e si limita a richiedere al concorrente soltanto l’indicazione della volontà
di subappaltare, rimandando espressamente
alla successiva fase di esecuzione dei lavori il
Gazzetta Amministrativa
2. Il contrasto giurisprudenziale.
Relativamente alla disciplina del subappalto e, in particolare, all’obbligo di indicare il
nominativo del subappaltatore in sede di offerta, si sono sviluppati negli anni orientamenti giurisprudenziali contrapposti: da un
lato, una cospicua parte della giurisprudenza caratterizzante l’orientamento prevalente - è
orientata nel ritenere che il nominativo del
subappaltatore debba essere già indicato in
sede di offerta al fine di garantire la corretta
esecuzione della prestazione oggetto del contratto pubblico da parte dell’operatore subappaltato.
In altri termini, l’art. 118, co. 2, del d.lgs.
n. 163/2006, nella parte in cui sottopone
l’affidamento in subappalto alla condizione
che i concorrenti all’atto dell’offerta abbiano
indicato i lavori o le parti di opere ovvero i
servizi e le forniture o parti di servizi e forniture che intendono subappaltare o concedere
in cottimo, va interpretato, secondo tale orientamento, nel senso che la dichiarazione
deve contenere anche l’indicazione del subappaltatore e la dimostrazione del possesso
in capo al medesimo dei requisiti di qualificazione, ogni volta che il ricorso al subappalto
sia necessario a causa del mancato possesso
dei necessari requisiti di qualificazione da
parte del concorrente (cd. subappalto necessario).
Qualora, invece, il concorrente sia autonomamente in possesso delle qualificazioni
necessarie per l’esecuzione delle prestazioni
oggetto dell’appalto (cd. subappalto facoltativo) la dichiarazione può essere limitata alla
mera indicazione della volontà di concludere
un subappalto.
Secondo un diverso orientamento giurisprudenziale, invece, nessuna norma prescriverebbe l’obbligo di indicare, già in sede di
offerta, i nominativi dei subappaltatori, bensì
imporrebbe unicamente al concorrente di indicare le quote che intende subappaltare, qualora sprovvisto della qualificazione per la categoria scorporabile, fermo restando che la
qualificazione “mancante” debba essere co-183-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
munque posseduta in relazione alla categoria
prevalente, dal momento che ciò tutela la stazione appaltante circa la sussistenza della capacità economico-finanziaria da parte
dell’impresa.
Secondo quest’ultima giurisprudenza, inoltre, l’esclusione di un concorrente dalla gara
per non aver indicato il nominativo
dell’subappaltatore – ove non espressamente
indicato nel bando di gara - si porrebbe in violazione del principio di tassatività di cui
all’art. 46, co. 1 ter del codice appalti.
lo strumento del soccorso istruttorio, relativamente alle procedure nelle quali la fase di
presentazione delle offerte si sia conclusa anteriormente al pronunciamento della Plenaria. Nell’incertezza così determinatasi, alla
stregua di un quadro quale quello sopra delineato, si augura che l’Adunanza Plenaria risolva l’annosa querelle in via definitiva onde
sgombrare il campo da incertezze e correlati
profili problematici riguardanti tanto la gestione della procedura di gara quanto la fase
di esecuzione del contratto di appalto.
Ad ogni buon conto, è doveroso constatare
che l’orientamento prevalente sorto negli ultimi anni - secondo il quale l’impresa partecipante che ricorre al subappalto necessario sia
obbligata ad indicare anche il nominativo del
subappaltatore in sede di presentazione
dell’offerta - risulta assolutamente distante da
un’interpretazione rigorosa ed ossequiosa dei
dati letterali e sistematici della norma, rischiando in tal modo di porre in essere
un’operazione ermeneutica meno coerente e
convincente e non del tutto compatibile con
l’assetto normativo vigente.
Al fine di un’esatta interpretazione della
normativa in materia di subappalto sarebbe
necessario, quindi, soffermarsi sugli elementi
desumibili dall’art. 118 del codice appalti, il
quale individua in maniera chiara ed espressa
le condizioni necessarie per l’utilizzo di questo strumento giuridico, ed attenersi solamente a questi, evitando di aggiungere arbitrariamente ulteriori elementi con il rischio di far
dire alla norma una cosa che in realtà la norma non dice.
Sulla base delle considerazioni effettuate,
naturalmente, non resta che attendere la pronuncia dell’Adunanza Plenaria.
3. L’ordinanza di rimessione all’Adunanza Plenaria.
Alla luce dell’eterogeneità interpretativa
sopra rappresentata il Consiglio di Stato,
chiamato a pronunciarsi per l’annullamento
della sentenza del Tar Valle d’Aosta con cui è
stato accolto il ricorso presentato dalla impresa seconda in graduatoria, ha deciso di rimettere con ordinanza 3.6.2015, n. 2707, ex art.
99 c.p.a., la questione all’Adunanza Plenaria
affinché quest’ultima si pronunci, per quanto
interessa in questa sede, sulle seguenti questioni: se sia o meno obbligatoria, ai sensi
dell’art. 118 del d.lgs. n. 163/2006 e delle
norme connesse, l’indicazione già in sede di
presentazione dell’offerta del nominativo del
subappaltatore, laddove il concorrente sia
privo dei requisiti di qualificazione necessari
per alcune categorie scorporabili e se abbia
espresso l’intento di subappaltare tali prestazioni.
In secondo luogo, qualora tale obbligo di
indicare il nominativo sia confermato, la IV
sezione del Consiglio di Stato interroga
l’Adunanza Plenaria circa la possibilità di
ovviare ad un’eventuale omissione attraverso
«:::::::::GA:::::::::»
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
IN HOUSE E ATTIVTÀ’ PREVELENTE: IL CONSIGLIO DI
STATO SOLLEVA DUE QUESITI ALLA CORTE DI
GIUSTIZIA
dell’Avv. Raffaele Fragale
Con l’ordinanza del 20.10.2015 n. 4793, il Consiglio di Stato ha sollevato alla Corte di Giustizia
due questioni pregiudiziali sul requisito dell’ attività prevalente. La prima riguarda gli affidamenti disposti da un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci. La
seconda, invece, gli affidamenti nei confronti di enti soci, disposti prima del perfezionamento del
requisito del controllo analogo
The Council of State, with the Ordinance n.4793 of October the 20th, refered to the Court of Justice Two precondictional suits over the predominant activities requirements. The first one concerns the commitments entrasted by a nonmember public administration in favor of a nonmember public authority. The other one, conversely, regards those commitments in favour of membership organizations, entrasted before the perfection of the control requirement.
Nelle more dell’attuazione della dir.
2014/24/UE, recante la nuova disciplina in
materia di pubblici appalti, il Consiglio di
Stato ha sollevato alla Corte di Giustizia due
questioni pregiudiziali, di particolare interesse, concernenti l’istituto dell’in house providing, e più precisamente il requisito
dell’attività prevalente.
La vicenda sottoposta all’esame dei giudici
amministrativi riguardava l’affidamento diretto per la gestione del ciclo integrato dei rifiuti
urbani disposto dal Comune di Sulmona ad
una sua partecipata, di cui erano soci anche
altri Enti.
L’affidamento era impugnato da una società concorrente. Il TAR Abruzzo respingeva il
ricorso, ritenendo esistenti entrambi i requisiti
elaborati dalla giurisprudenza comunitaria in
tema di in house providing, controllo analogo
e attività prevalente1.
La ricorrente proponeva appello e, con
specifico riferimento al requisito dell’attività
prevalente, sosteneva che non poteva computarsi in detta attività:
i) né l’attività a favore di soggetti non soci,
esercitata dall’affidataria in virtù di disposi1
zioni provvedimentali di un Ente (Regione
Abruzzo), anch’esso non socio;
ii) né l’attività prestata a favore di Enti
prima del configurarsi del rapporto in house
con l’Ente affidante.
Il Consiglio di Stato, muovendo dalla natura comunitaria dell’istituto e dall’assenza di
precedenti al riguardo della Corte di Giustizia, ha sollevato i seguenti quesiti pregiudiziali, ai sensi dell’art. 267 TFUE:
- “se, nel computare l’attività prevalente
svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento all’attività imposta da
un’amministrazione pubblica non socia a favore di enti pubblici non soci”.
- “se, nel computare l’attività prevalente
svolta dall’ente controllato, debba farsi anche riferimento agli affidamenti nei confronti
degli enti pubblici soci prima che divenisse
effettivo il requisito del cd. controllo analogo”.
Come si dirà nel prosieguo, tali quesiti, in
realtà, si prestano oggi ad essere risolti in base alle nuove disposizioni della dir.
2014/24/UE, che ha disciplinato, per la prima
volta, l’istituto dell’in house, introducendo
requisiti meno stringenti di quelli elaborati
CGUE, 18.11.1999, C-107/98, Teckal.
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
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dalla giurisprudenza comunitaria2.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, ritenendo
che la Direttiva non fosse applicabile ratione
temporis alla presente controversia e che la
stessa dovesse essere decisa in base al diritto
comunitario vigente al momento dell’adozione del provvedimento gravato3, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte.
Prima di esaminare più nel dettaglio le
questioni sollevate dal Consiglio di Stato, è
necessario fare un breve accenno al requisito
dell’ attività prevalente che, unitamente al
controllo analogo, costituisce presupposto indispensabile per l’affidamento diretto, senza
gara.
Come è ormai noto, caratteristica tipica
dell’in house providing è il fatto che il soggetto affidatario non è un soggetto distinto
dall’amministrazione affidante, ma un suo
organo, una sua stretta articolazione.
In tali ipotesi, invero, non c’è ricorso al
mercato, né tantomeno un incontro di volontà
tra due soggetti diversi, come accade nei casi
ordinari di contrattazione, ma un unico soggetto che autoproduce il servizio.
In questo risiede la ragione della mancata
indizione della gara; sempre per questa ragione e con il precipuo fine di tutelare la concorrenza, la Corte di Giustizia ha interpretato i
requisiti dell’in house in termini restrittivi,
considerando l’istituto una eccezione alle
normali regole dell’evidenza pubblica4.
In questa ottica, con specifico riferimento
all’attività prevalente, la Corte ha definito la
finalità e la portata di questo requisito.
Significativa è al riguardo la sentenza Carboterno5, con cui la Corte ha precisato che il
requisito del controllo analogo è certamente
una condizione imprescindibile per la configurazione del rapporto interorganico, ma non
di per sé sufficiente.
Invero, pur se sottoposto ad un penetrante
controllo dell’Ente affidante, il soggetto affidatario potrebbe ugualmente godere di
un’ampia liberta di azione sul mercato, concorrendo con altri operatori.
Il che imporrebbe necessariamente la piena
e rigorosa applicazione delle regole
dell’evidenza pubblica.
Solo quando la sua libertà di iniziativa è
paralizzata - e questo accade nei casi in cui
l’attività è svolta in modo prevalente a favore
dell’Ente affidante - la deroga alla regola della gara pubblica è consentita. In tal caso, infatti, la mancata indizione della gara non determina la sottrazione o comunque la limitazione di aree destinate alla libera concorrenza6.
Muovendo da queste coordinate è possibile analizzare il primo quesito sollevato alla
Corte, relativo alla rilevanza - ai fini della determinazione dell’attività prevalente dell’attività imposta da un’amministrazione
pubblica non socia a favore di enti pubblici
non soci.
Sembrano prospettabili due soluzioni.
La prima formale, ancorata all’orientamento restrittivo della Corte di Giustizia e
alla natura eccezionale dell’istituto dell’in
house.
In linea con questa impostazione, l’attività
svolta su incarico di un soggetto, pur se pubblico, ma terzo rispetto all’affidatario, sarebbe sintomatico della carenza di un rapporto di
esclusività con il soggetto controllante7.
6
Nella citata sentenza Carboterno, la Corte ha
affermato che “un’impresa non è necessariamente
privata della libertà di azione per la sola ragione che
le decisioni che la riguardano sono prese dall’ente
pubblico che la detiene, se essa può esercitare ancora
una parte importante della sua attività economica
presso altri operatori. È inoltre necessario che le
prestazioni di detta impresa siano sostanzialmente
destinate in via esclusiva all’ente locale in questione.
Entro tali limiti, risulta giustificato che l’impresa di
cui trattasi sia sottratta agli obblighi della dir. 93/36,
in quanto questi ultimi sono dettati dall’intento di
tutelare una concorrenza che, in tal caso, non ha più
ragion d’essere“.
7
Nella citata sentenza Carboterno, la Corte ha affermato che ai fini dell’attività prevalente “le attività di
2
Ad esempio, quanto al requisito dell’attività
prevalente, l’art. 12 della dir. prevede che “oltre
l’80 % delle attività di tale persona giuridica sono
effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati
dalle amministrazioni aggiudicatrici controllanti o da
altre
persone
giuridiche
controllate
dalle
amministrazioni aggiudicatrici di cui trattasi”.
3
In tal senso, anche CdS, VI, 26.5.2015, n. 2660.
4
Ciò è stato chiarito con fermezza dalla Corte di
Giustizia nelle pronunce successive alla sentenza
Teckal (in tal senso, 11.1.2005, Stadt Halle e RPL
Lochau, C-26/03; 8.5.2014, C-15/13 Technische
Universität Hamburg-Harburg).
5
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, I, 11.5.2006,
causa C-340/04, Carbotermo.
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
E questo potrebbe condurre ad escludere
l’esistenza di un rapporto interorganico.
A conclusioni opposte si potrebbe arrivare
avendo riguardo invece al profilo sostanziale,
ovvero alla ratio sottesa al requisito
dell’attività prevalente.
Come prima rilevato, esso mira a tutelare
la concorrenza e ad evitare che siano disposti
affidamenti diretti a soggetti che operano sul
mercato, a discapito del normale confronto
concorrenziale.
In questa ottica, dunque, l’attività esercitata per effetto delle prescrizioni di
un’amministrazione, pur se diversa dall’Ente
affidante, sarebbe neutra, irrilevante ai fini
della concorrenza, trattandosi di attività esercitata in virtù di specifiche prescrizioni amministrative e non rimesse al confronto concorrenziale.
Questo dovrebbe indurre a ritenere, così
come paventato dallo stesso Consiglio di Stato, che trattasi di attività che non impedisce la
configurabilità del rapporto in house, non avendo ricadute negative sul piano della concorrenza e della sua tutela.
Fra queste due opposte soluzioni, potrebbe
collocarsi una terza, intermedia. Si potrebbe,
invero, distinguere due ipotesi ovvero il caso
in cui l’amministrazione non socia “imponga”
l’esercizio di determinate attività e la diversa
ipotesi in cui l’esercizio di tali attività sia solo
consentita8.
Nella prima ipotesi, l’imposizione non avrebbe ricadute sul piano della concorrenza e,
di conseguenza, sulla configurabilità del rapporto in house: non vi sarebbe, invero, quelle
libertà di azione sul mercato del soggetto affidatario, che il requisito dell’attività prevalente mira ad elidere.
Discorso diverso andrebbe fatto nel caso in
cui l’esercizio delle attività non sia imposta,
ma solo consentita. In questa ipotesi, invero,
l’esercizio delle attività è rimesso alla decisione del soggetto affidatario che dunque opera, senza vincoli, sul mercato.
Di conseguenza, le attività eventualmente
svolte dovrebbero essere tenute in conto ai fini della verifica del requisito dell’attività prevalente.
In termini non dissimili potrebbe essere risolto anche il secondo quesito sollevato alla
Corte, concernente la possibilità di computare, ai fini dell’attività prevalente, anche gli affidamenti per i quali il requisito del controllo
analogo si è perfezionato successivamente.
Anche in questo caso, un approccio formale e restrittivo potrebbe condurre ad escludere
tali attività da quelle idonee ad integrare il requisito.
Diversamente, muovendo dalla ratio sottostante e dai principi comunitari, anche tali attività potrebbero essere computate fra quelle
rilevanti, trattandosi di affidamenti comunque
coperti da una relazione interorganica, pur se
perfezionatasi in un momento successivo.
In questo senso, come rilevato dal Consiglio di Stato, si pone anche la Direttiva
2014/24/UE che, definita la soglia dell’80%
per la determinazione del requisito
dell’attività prevalente, dispone «Se, a causa
della data di costituzione o di inizio
dell’attività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue
attività, il fatturato, o la misura alternativa
basata sull’attività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più
pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dell’attività, che la
misura dell’attività è credibile».
Ad oggi, i lavori per l’attuazione della Direttiva sono ancora in corso.
Con la l. 28.1.2016, n. 119, il Parlamento
ha conferito delega al Governo per il suo recepimento10.
9
Invero la legge contiene la delega per il recepimento
della dir. 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26.2.2014,
sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli
appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti
erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei
trasporti e dei servizi postali, nonche' per il riordino
della disciplina vigente in materia di contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture.
10
Il testo del decreto è stato approvato dal Consiglio
dei Ministri nella seduta del 3.3.2016 e attende ora di
essere approvato dalle Commissioni Parlamentari. La
un’impresa aggiudicataria da prendere in considerazione sono tutte quelle che quest’ultima realizza
nell’ambito di un affidamento effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice”.
8
Il quesito formulato dal Consiglio di Stato fa espresso
riferimento all’attività imposta.
Gazzetta Amministrativa
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Contratti, Servizi
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Frattanto, è da segnalare che una specifica
previsione in tema di in house e di attività
prevalente è contenuta nel testo, ancora in
corso si approvazione, della riforma sulle società pubbliche11, ove, all’art. 16, co. 5, si
prevede l’applicazione, ai fini della determinazione della prevalenza, del criterio europeo
dell’80% 12 di attività svolta a favore del soggetto pubblico.
Elemento di novità è la disciplina della
produzione ulteriore, consentita solo ove essa
permetta di conseguire economie di scala o
altri guadagni in termini di efficienza produttiva.
Altra novità è il superamento della percentuale di attività rivolta all’esterno, che può essere sanata entro il termine di 6 mesi dal momento nel quale si è verificata attraverso la
rinuncia formale di affidamenti diretti. Sarà
quindi da verificare se la Corte di Giustizia,
tenendo conto delle novità introdotte dalla
Direttiva, abbandoni il proprio orientamento
restrittivo, seguendo la strada tracciata dal legislatore comunitario in sede di riforma
dell’istituto. In egual modo, sarà da verificare
se la decisione della Corte possa in qualche
modo sortire effetti sui lavori parlamentari attualmente in corso.
legge delega ha fissato al 18.4.2016 il termine per il
recepimento della Direttiva.
11
Schema del Testo unico sulle società a partecipazione
pubblica, approvato dal Consiglio dei Ministri nella
seduta del 20.1.2016.
12
Il criterio dell’80% era stato già introdotto dal
legislatore italiano con riferimento all’affidamento dei
servizi informativi per le Università, come disposto
dall’art. 9, co. 11 quater, del d.l. 19.6.2015 n. 78,
convertito in l. 6.8.2015 n. 125.
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
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GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato Sez. V 18.12.2015 n. 5753
Occupazione abusiva suolo pubblico - posizionamento ombrelloni e fioriere - giuridicamente rilevante - esercizio dell’attività
commerciale - strumentalità.
L’oggetto del giudizio giunto all'esame della
Quinta Sezione del Consiglio di Stato è costituito dalla determinazione dirigenziale di Roma
Capitale recante:
I) la cessazione dell’occupazione abusiva (realizzata a mezzo del posizionamento di ombrelloni e fioriere) del suolo pubblico antistante
l’esercizio di ristorazione;
II) la sanzione della chiusura del locale per 5
giorni ai sensi dell’art. 3, co.16, l. n. 94 del
2009. Il Consiglio di Stato nella sentenza del
18.12.2015 n. 5753 ha affermato che tutte le
censure articolate in primo grado risultano infondate, in considerazione dei principi elaborati dalla costante giurisprudenza di questa Sezione in casi analoghi (cfr. Sez. V. nn. 1621 del
2015; 1611 del 2015; 501 del 2015, cui si rinvia) in quanto: I) il posizionamento abusivo di
ombrelloni e fioriere è comunque giuridicamente rilevante, in quanto comporta
l’occupazione del suolo pubblico ed è strumentalmente collegato all’esercizio dell’attività
commerciale; II) la sanzione amministrativa,
che deve essere inderogabilmente inflitta ope
legis, è stata applicata nella misura minima
prevista dalla legge; III) l’Amministrazione
prima, e il T.a.r. poi, hanno attribuito adeguata
rilevanza alle disposizioni contenute negli artt.
20, co. 4, del codice della strada e 3, co. 4 e 16,
l. n. 94 del 2009; IV) la questione di legittimità
costituzionale del più volte menzionato art. 3,
co. 16, cit. è manifestamente infondata, poiché
esso contiene misure logiche e proporzionate,
volte a tutela dei beni pubblici e della legalità,
in conformità all’art. 97 della Costituzione; V)
l’atto presupposto a quelli impugnati in via diretta – ordinanza sindacale n. 258 del
27.11.2012 - risulta pienamente giustificato
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dalle circostanze accertate in sede amministrativa (cfr. Sez. V, n. 5066 del 2014, Sez. V, n.
1611 del 2015 cui si rinvia ai sensi dell’art. 74
c.p.a.).
Consiglio di Stato Sez. III 17.12.2015 n. 5717
Gare - criterio dell’offerta tecnicamente più
vantaggiosa - punteggio numerico motivazione.
Nelle gare indette con il criterio dell’offerta
tecnicamente più vantaggiosa, dev’essere attribuito il punteggio massimo alla migliore offerta
tecnica, riparametrando proporzionalmente il
punteggio assegnato alle altre, al precipuo fine
di mantenere il giusto equilibrio tra l’offerta
tecnica e quella economica e di evitare, così,
che al fattore prezzo venga riconosciuto un peso relativamente maggiore rispetto al fattore
qualità (CdS, V, 25.2.2014, n.899)... Deve premettersi che il punteggio numerico assegnato ai
singoli elementi dell’offerta economicamente
più vantaggiosa integra una motivazione sufficiente ed adeguata, purchè siano stati prefissati
criteri di valutazione sufficientemente precisi e
dettagliati (CdS, III, 15.9.2014, n.4698), e che i
relativi giudizi espressi dalla Commissione di
gara, da intendersi afferenti al perimetro della
discrezionalità tecnica ad essa riservata, posso
essere giudicati illegittimi solo se affetti da vizi
di manifesta irragionevolezza o di macroscopica erroneità (cfr. ex multis CdS, V, 26.3.2014,
n. 1468).
Consiglio di Stato Sez. III 18.12.2015 n. 5780
Istituzione nuova farmacia - parametro demografico - utilizzazione facoltativa del resto.
Nel giudizio in esame l’appellante è titolare di
una delle farmacie esistenti nel Comune di
Sant’Anastasia (Napoli) e si considera leso nei
suoi interessi legittimi dai provvedimenti adottati dal Comune e dalla Regione Campania in
applicazione dell’art. 11 del d.l. n. 1/2012. Con
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
Nel merito il Collegio ha rigettato l'appello. In
particolare il Collegio ha analizzato Il primo
motivo di ricorso che investe gli atti impugnati
nella parte in cui hanno elevato a 9 il numero
delle farmacie istituite nel Comune di
Sant’Anastasia.
La questione riguarda in particolare la farmacia n. 9. Il d.l. n. 1/2012 ha ridotto a 3.300 il
coefficiente del rapporto fra popolazione e farmacie (una popolazione ogni 3.300 abitanti);
tenuto conto del numero degli abitanti del Comune, i quozienti interi sono solo 8, con un resto non molto superiore alla metà. In questa situazione, il ricorrente deduce che la legge
“consente” di utilizzare il resto, purché superiore alla metà del quoziente intero, per istituire una ulteriore farmacia (nella specie, la n. 9),
ma tale utilizzazione è facoltativa e non vincolata. La decisione del Comune doveva quindi
essere convenientemente motivata, mentre ciò
non è avvenuto.
Il Collegio osserva che la determinazione del
numero delle farmacie, nella vicenda in esame,
è stata riprodotta nell’atto impugnato dal ricorrente, ossia la delibera n. 366 del 7.12.2012,
ma era già contenuta nella delibera n. 167 del
12 giugno precedente.
Si porrebbe quindi un distinto problema di
tempestività dell’impugnazione, giacché la scusabilità dell’errore, già riconosciuta con riferimento alla delibera del 7.12.2012, non necessariamente vale anche per la precedente delibera del 12 giugno.
Tuttavia il Collegio vuol prescindere dalla questione, in quanto questo capo d’impugnazione
appare comunque infondato. Nel merito, il problema della farmacia n. 9 si pone perché applicando il nuovo parametro demografico (3300)
stabilito dal d.l. n. 1/2012 si ottengono otto
quozienti interi, non nove.
Il Comune ha inteso avvalersi della disposizione che “consente” di istituire una ulteriore
farmacia (nella fattispecie la n. 9) utilizzando il
resto, se questo è superiore alla metà. Il ricorrente non contesta che, nel caso in esame, il resto sia superiore alla metà (in caso contrario,
l’istituzione della nona farmacia sarebbe illegittima per violazione di legge e per mancanza
del presupposto).
Deduce, però, che la utilizzazione del resto,
pur quando è possibile, non è obbligatoria ma
il ricorso di primo grado ha impugnato una serie di atti, fra i quali il principale è la delibera
7.12.2012, n. 366, della Giunta comunale, con
la quale è stata “revisionata” la pianta organica delle farmacie, a modifica ed integrazione
della precedente delibera n. 167 del 12 giugno
2012. Con motivi aggiunti notificati e depositati
nel corso del giudizio di primo grado
l’interessato ha esteso l’impugnazione ad alcuni atti sopravvenuti, dei quali il più rilevante è
il bando di concorso, emanato dalla Regione,
per l’assegnazione delle farmacie di nuova istituzione.
Il TAR Campania ha definito il giudizio con la
sentenza 8.10.2014, n. 5194, con la quale ha
giudicato tardivo il ricorso introduttivo.
Il TAR ha infatti osservato che la delibera n.
366 era stata affissa, per pubblicazione,
all’albo pretorio del Comune, dal 12 al
27.12.2012; il termine per ricorrere decorreva
dunque da quest’ultima data e scadeva il
25.2.2013; il ricorso invece è stato notificato il
6.3.2013.
La tardività dell’impugnazione della delibera n.
366/2012 ha reso inammissibile per difetto
d’interesse, a giudizio del TAR, l’impugnazione
di tutti gli altri atti comunque connessi o conseguenziali. Il ricorrente ha proposto appello al
Consiglio di Stato contestando la tardività
dell’impugnazione. L’appellante sostiene che a
far decorrere il termine non era sufficiente
l’affissione della delibera all’albo comunale,
ma sarebbe stata necessaria una comunicazione individuale, considerata la posizione di esso
ricorrente. In subordine l’appellante deduce
che le norme sostanziali e procedimentali in
materia di pianificazione delle farmacie erano
di recentissima modificazione e per di più sono
di contenuto alquanto incerto, specie per quanto riguarda le modalità di approvazione e di
pubblicazione degli atti; invoca pertanto il beneficio dell’errore scusabile. Il Consiglio di
Stato, Sezione IV con la sentenza del
18.12.2015 n. 5780 ha ritenuto che nella fattispecie si possa concedere il beneficio
dell’errore
scusabile,
con
riferimento
all’impugnazione della delibera n. 366 del
7.12.2012, trattandosi di vicenda inerente alla
fase di prima applicazione di una normativa
recentemente introdotta e di non chiaro coordinamento con le disposizioni rimaste in vigore.
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
che la decisione non sia manifestamente inficiata da illogicità, irragionevolezza, irrazionalità
ed arbitrarietà ovvero non sia fondata su un
macroscopico travisamento dei fatti. Nella fattispecie la motivazione adottata dalle amministrazioni secondo il primo giudice si sottraeva
a censure di tal fatta. Inoltre, risultava non apprezzabile anche la doglianza inerente la supposta violazione dell’art. 3 bis del d.l.
13.8.2011, n. 138, convertito in l. 14.9.2011, n.
148, poiché il ritardo nella costituzione, o meglio nell’attivazione dei bacini non può impedire o procrastinare l’esercizio di un servizio
pubblico essenziale per la collettività, né obbliga ad una proroga della gestione del servizio.
Infine, il TAR riteneva non fondate le doglianze
con le quali parte ricorrente sottolineava la gestione fruttuosa del servizio da parte propria,
trattandosi di considerazioni non in grado di
inficiare la legittimità degli atti impugnati. La
sentenza è stata impugnata dalla società in
house innanzi al Consiglio di Stato che con sentenza del 18.12.2015 n. 5759 ha rigettato l'appello. In primo luogo il Collegio ha rigettato la
doglianza con la quale l’appellante si doleva
dell’insufficienza della ponderazione da parte
delle amministrazioni appellate circa la scelta
di rivolgersi al mercato. Sul punto la Corte costituzionale, con sentenza 20.3.2013, n. 46, ha
rimarcato come la scelta del legislatore operata con l’art. 3-bis, d.l. 138/2011, militi nel senso di incentivare il ricorso al mercato in materia di servizi pubblici locali. Infatti, la Consulta
ha dichiarato inammissibile la censura relativa
al comma 3 dell'art. 3-bis del D.L. n. 138 del
2011 - il quale prevede che, a decorrere dal
2013, l'applicazione delle procedure di affidamento ad evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o degli enti di governo
locali o del bacino costituisca elemento di valutazione della "virtuosità" degli stessi enti, ai
sensi dell'art. 20, comma 2, del D.L. 6.7.2011,
n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 15.7.2011, n.
111 - in relazione alla violazione degli artt.
117, comma secondo, lettera e), e 118 Cost..
Infatti, l'intervento normativo statale, con il
D.L. n. 1 del 2012, si prefigge la finalità di operare, attraverso la tutela della concorrenza (liberalizzazione), un contenimento della spesa
facoltativa (come è attestato dall’uso del termine “consente”) e che pertanto la scelta di utilizzarlo doveva essere appositamente motivata.
Nella specie, egli osserva, la determinazione
del Comune non è stata motivata e anche nella
sostanza è criticabile, perché il servizio farmaceutico è reso già in modo soddisfacente. La
giurisprudenza del Consiglio di Stato, reiterata
anche di recente, riconosce che l’utilizzazione
del resto è facoltativa; ma che nel sistema del
d.l. n. 1/2012 essa non necessita di particolari
giustificazioni o motivazioni. Infatti lo scopo
dichiaratamente perseguito dall’art. 11 del decreto legge è quello di «favorire l'accesso alla
titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti... nonché di favorire le
procedure per l'apertura di nuove sedi farmaceutiche garantendo al contempo una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico»; mentre il decreto legge nel suo insieme (che riguarda anche materie assai diverse
dal servizio farmaceutico) persegue un obiettivo di politica economica mediante l’incremento
della «concorrenza» e della «competitività».
In questo contesto si comprende come il legislatore pur non qualificando l’utilizzazione del
resto come obbligatoria, non la subordini a
particolari esigenze da accertare caso per caso. Per approfondire scarica gratuitamente la
sentenza.
Consiglio di Stato Sez. V 18.12.2015 n. 5759
Servizi pubblici locali - abbandono dello
strumento dell’in house providing - legittimità della scelta del Comune di rivolgersi al
mercato.
Con plurimi ricorsi proposti dinanzi al TAR per
il Veneto, da quest’ultimo riuniti per ragioni di
connessione, Etra - Energia Territorio Risorse
Ambientali S.p.a. invocava l’annullamento degli atti adottati dai Comuni di Mason Vicentino,
Molvena e Pianezze aventi ad oggetto il servizio di raccolta differenziata, trasporto, recupero o smaltimento rifiuti per gli anni 2014/2019.
Il TAR, premesso che l’originaria ricorrente è
un organismo in house anche delle amministrazioni resistenti, respingeva i suddetti ricorsi,
affermando che la scelta di rivolgersi al mercato è frutto di una valutazione di ampia discrezionalità, sottoposta ad una valutazione c.d.
“debole” del g.a., ossia rivolta ad appurare
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enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a
promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali" e che, ai sensi dell'art. 198
d.lgs. 3.4.2006, n. 152, spetta ai Comuni la gestione dei rifiuti urbani, compresa la disciplina
delle modalità del servizio di raccolta e di trasporto (CdS, V, 1.8.2015, n. 3780; Id.,
13.12.2012, n. 6399). Né è rinvenibile alcuna
disposizione che, in modo espresso, impedisca,
prima dell’attivazione dei bacini territoriali,
che le amministrazioni comunali provvedano
alla gestione del servizio in questione. Come
non può predicarsi un’abrogazione implicita di
quanto disposto dal citato art. 198, poiché una
simile esegesi ritarderebbe quel ricorso al mercato che è la ratio portante dei sopra richiamati provvedimenti legislativi. Infine, quanto alla
dedotta violazione degli artt. 84, d.lgs.
163/2006 e 107, d.lgs. 267/2000, "la stessa è
insussistente dal momento che la nomina della
commissione di gara è stata disposta con provvedimento del responsabile dell’area tecnica,
atto semplicemente confermato con provvedimento sindacale. Del pari, infondata è la doglianza con la quale si lamenta la nomina come
commissario del Segretario comunale del comune. Infatti, il segretario comunale riveste
compiti di collaborazione, di assistenza giuridico-amministrativa e, in presenza di determinati
presupposti, di sovraintendenza e coordinamento del personale dirigenziale, nonché di
consulenza, di verbalizzazione e di ufficiale rogante per tutti i contratti di cui il Comune sia
parte; pertanto, per l'esercizio di altre specifiche funzioni (nella specie, Presidente di una
Commissione di gara d'appalto) occorre un'espressa previsione statutaria o regolamentare,
che nel caso in esame risulta contenuta nell’art.
33 del Regolamento sull’Ordinamento comunale degli uffici e dei servizi, che prevede che il
responsabile di gara assente sia sostituito dal
Segretario comunale. Ancora non è meritevole
di favorevole apprezzamento la censura inerente la violazione dell’art 46, d.lgs. 163/2006, in
quanto l’offerta economica dell’odierna appellante oltre a non risultare conforme ad i modelli di gara, si presenta come incerta, mancando i
dati richiesti dalla lex specialis e conseguente-
pubblica; con la norma impugnata, il legislatore statale ritiene che tale scopo si realizzi attraverso l'affidamento dei servizi pubblici locali
al meccanismo delle gare ad evidenza pubblica,
individuato come quello che dovrebbe comportare un risparmio dei costi ed una migliore efficienza nella gestione: da qui l'opzione - in coerenza con la normativa comunitaria - di promuovere l'affidamento dei servizi pubblici locali a terzi e/o a società miste pubblico/private e
di contenere il fenomeno delle società in house.
Tanto premesso, il Consiglio di Stato ha evidenziato come l’esame della relazione presente
agli atti del fascicolo di causa non evidenzia
elementi di violazione del dettato normativo di
cui all’art. 34, co. 20, d.l. 179/2012, secondo il
quale: “Per i servizi pubblici locali di rilevanza
economica, al fine di assicurare il rispetto della
disciplina europea, la parità tra gli operatori,
l'economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento, l'affidamento del servizio è effettuato
sulla base di apposita relazione, pubblicata sul
sito internet dell'ente affidante, che dà conto
delle ragioni e della sussistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma
di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche se previste”, né tantomeno vizi sintomatici di eccesso di potere. Nella fattispecie, infatti, la relazione espone i costi
della gestione del servizio e li compara con
quelli del bacino VI5 e della media regionale.
Inoltre, indica le finalità che si prefigge con la
scelta di rivolgersi al mercato, prendendo anche in considerazione la possibilità della futura
attivazione dei bacini territoriali, dando così
compiuta motivazione dello stato di fatto esistente al tempo della valutazione e dei risultati
ambiti attraverso il ricorso al mercato e
l’abbandono dello strumento dell’in house providing. Il Collegio non ha accolto neppure la
censura afferente i bacini territoriali, dal momento che il ritardo nella costituzione, o meglio
nell’attivazione dei bacini territoriali non sterilizza nelle more la competenza delle amministrazioni comunali. È noto, infatti, che i servizi
di igiene urbana attinenti la raccolta ed il trasporto di rifiuti rientrano nella qualificazione
dell'art. 112 T.U.E.L., ai sensi del quale "gli
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Pubblici e Concorrenza
le seguenti ragioni. In primo luogo, rispetto alla responsabilità civile, quella in esame presuppone che il comportamento illecito si inserisca nell’ambito di un procedimento amministrativo.
L’amministrazione, in ossequio al principio di
legalità, deve rispettare predefinite regole, procedimentali e sostanziali, che scandiscono le
modalità di svolgimento della sua azione.
L’esistenza di un contatto tra le parti, pubbliche e private, impedisce di ritenere che si sia in
presenza della responsabilità di un soggetto
non avente alcun rapporto con la parte danneggiata. In secondo luogo, rispetto alla responsabilità contrattuale, sono diverse le posizioni soggettive che si confrontano: da un lato,
dovere di prestazione o di protezione e diritto
di credito, dall’altro, potere pubblico e interesse legittimo o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, diritto soggettivo. Infine, rispetto ad
entrambe le responsabilità civilistiche, la stretta connessione esistente tra sindacato di validità sul potere discrezionale e sindacato di responsabilità sul comportamento impone al giudice amministrativo, nel caso in cui sia proposta anche l’azione di annullamento o di nullità,
di non sovrapporre, nell’accertare la sussistenza del fatto illecito, proprie valutazioni a quelle
riservate alla pubblica amministrazione. In definitiva, la peculiarità dell’attività amministrativa – che deve svolgersi nel rispetto di determinate regole procedimentali, sostanziali e
processuali – rende speciale, per le ragioni indicate, anche il sistema della responsabilità da
attività illegittima (in questo senso, da ultimo,
CdS, VI, 29.5.2014, n. 2792). È bene chiarire
che la descritta forma di responsabilità deve
essere tenuta distinta dalla responsabilità precontrattuale. Quest’ultima, da un lato, non richiede necessariamente la sussistenza di una
illegittimità amministrativa, dall’altro, è finalizzata a “sanzionare” l’abuso della libertà negoziale della parte pubblica che, in contrasto
con la buona fede (artt. 1337-1338 cod. civ.),
intesa come lealtà di comportamento, incide
sulla libertà negoziale dei partecipanti nella
fase delle “trattative” che precedono la stipulazione di un contratto (cfr., da ultimo, Cass.
civ., sez. I, 12.5.2015, n. 9636).
Chiarito ciò, deve rilevarsi come gli elementi
costitutivi della responsabilità della p.a., sul
mente la sua comparabilità con quelle offerte
dagli altri concorrenti. Da qui il carattere di
incertezza dell’offerta stessa, sicché il provvedimento di esclusione, contrariamente a quanto
indicato dall’appellante. segue l’indicazione
offerta proprio dall’art. 46, che quindi non risulta essere stato violato.
Deve, altresì, escludersi la denunciata violazione degli artt. 2 e 83, d.lgs. 163/2006, per avere la Commissione indebitamente proceduto
alla puntualizzazione dei criteri di attribuzione
dei punteggi, all’indomani dell’apertura dei
plichi contenenti l’offerta economica e tecnica.
Una simile attività, infatti, non risulta essere
stata posta in essere come si evince dalla lettura dei verbali di gara, essendosi la commissione limitata a porre in essere un mero chiarimento nell’attribuzione dei punteggi, i cui criteri di attribuzione restano fissati dalla lex specialis".
Consiglio di Stato Sez. VI 10.12.2015 n. 5611
Procedure di gara - responsabilità della
Pubblica Amministrazione - nesso di causalità - risarcimento del danno.
Di seguito si riporta la parte motiva della sentenza della Sesta Sezione del Consiglio di Stato
del 10.12.2015 n. 5611. La responsabilità extracontrattuale, che rinviene il fondamento della sua disciplina nell’art. 2043 cod. civ., presuppone che l’agente non abbia normalmente
alcun rapporto o contatto con la parte danneggiata. La norma citata, infatti, impone, con
clausola generale dotata di autonomia precettiva, il rispetto del dovere generale del neminem
laedere a tutela di qualunque posizione soggettiva meritevole di protezione giuridica. La responsabilità contrattuale è conseguenza della
violazione di un dovere di prestazione o di protezione inserito nell’ambito di un rapporto giuridico che sorge non solo da un contratto ma,
esprimendo l’espressione impiegata una sineddoche, anche dalla legge o da contatto tra le
parti che può generare un rapporto contrattuale di fatto. Le posizioni soggettive sono riconducibili alla categoria del diritto soggettivo relativo. La responsabilità della pubblica amministrazione da provvedimento illegittimo ha natura speciale non riconducibile agli indicati
modelli normativi di responsabilità (CdS, VI,
27.6.2013, n. 3521; id. 14.3.2005, n. 1047), per
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Pubblici e Concorrenza
all’esito di tale giudizio si accerta che il privato
aveva “diritto” a quel determinato bene della
vita sarà possibile ottenere, ricorrendo gli altri
presupposti, il risarcimento del danno. In questo caso, pertanto, svolgendosi un giudizio di
spettanza, la regola probatoria applicata è
quella della “certezza” (cfr. CdS, V,
27.12.2013, n. 6260; sez. IV, 4.9.2013, n. 4452;
V, 27.3.2013, n. 1781; V, 8.2.2011, n. 854).
La seconda fattispecie ricorre nel caso in cui la
parte abbia proposto un’autonoma azione di
responsabilità ovvero, ed è questo il profilo che
rileva in questa sede, nel caso in cui l’attività
amministrativa sia vincolata o l’amministrazione abbia esaurito la discrezionalità e pertanto la rinnovazione procedimentale si svolge nel
solo rispetto di quanto stabilito dal giudice ovvero determinato dalla legge. In queste ipotesi
il giudice amministrativo, senza il rischio di sovrapporre il proprio giudizio alle valutazioni
dell’autorità pubblica, può effettuare un giudizio prognostico applicando, con gli esposti adattamenti, le regole elaborate in ambito civilistico per ricostruire il nesso di causalità. Occorre, pertanto, accertare se vi è stato danno
ingiusto valutando se, in applicazione della
teoria condizionalistica e della causalità adeguata, è “più probabile che non” che l’azione o
l’omissione della pubblica amministrazione
siano state idonee a cagionare l’evento lesivo
(CdS, VI, 29.5.2014, n. 2792) ovvero, nel caso
di attività vincolata o discrezionalità esaurita,
se è stato raggiunto il livello probatorio della
certezza. Nel caso la richiesta risarcitoria sia
volta ad ottenere i danni da perdita di chance
la parte deve dimostrare non la perdita del “risultato” favorevole ma la perdita di una “occasione” favorevole (Cass. civ., sez. III,
27.3.2014 n. 7195, ha chiarito che nel danno da
perdita di chance non si possono applicare regole statistiche correlative alle percentuali di
“successo”). Applicando questi principi alla
fattispecie in esame, risulta dimostrata la sussistenza del nesso di causalità. Il Consiglio di
Stato, con la sentenza n. 1418 del 1997, ha ritenuto sussistenti illegittimità di natura sostanziale. La stazione appaltante aveva annullato la
gara ritenendo non sufficiente il numero delle
imprese che avevano partecipato alla gara e
aveva individuato una anomalia delle offerte a
causa di eccessivi ribassi. Il Consiglio di Stato
piano della fattispecie, sono: i) l’elemento oggettivo; ii) l’elemento soggettivo; iii) il nesso di
causalità materiale o strutturale; iv) il danno
ingiusto, inteso come lesione della posizione di
interesse legittimo e, nella materie di giurisdizione esclusiva, di diritto soggettivo. Sul piano
delle conseguenze e, dunque, delle modalità di
determinazione del danno, il fatto lesivo, così
come sopra individuato, deve essere collegato,
con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi subiti dalla parte danneggiata (Cass., 17.9.2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche tale fase, avendo rilevanza causale, debba essere inserita nell’ambito della
fattispecie). In questa sede interessa soffermarsi sul rapporto di causalità. Questa Sezione ha
già avuto modo di ricostruire, con la citata sentenza n. 2792 del 2014, la nozione di nesso di
causalità nell’ambito di una più ampia ricostruzione che ha riguardato anche la natura
giuridica della responsabilità della p.a. In questa sede è sufficiente riportare il passo rilevante di tale decisione, in cui si è affermato quanto
segue. La ricostruzione del nesso eziologico è
necessaria al fine di valutare se la condotta
della pubblica amministrazione sia stata idonea
a ledere la posizione soggettiva di interesse legittimo.L’accertamento
della
lesione
dell’interesse legittimo – in ragione della stretta connessione con il potere pubblico – richiede, infatti, l’effettuazione di un giudizio prognostico mediante il ricorso alla teoria condizionalistica, integrata, ove occorra, dal modello della sussunzione sotto leggi scientifiche e
corretta dalla teoria della causalità adeguata.
Occorre distinguere due diverse fattispecie. La
prima fattispecie ricorre nel caso in cui la parte
abbia proposto sia l’azione di invalidità sia
l’azione di responsabilità e l’esito del giudizio
amministrativo di annullamento di un determinato provvedimento consente il riesercizio di
poteri amministrativi discrezionali. In queste
ipotesi la giurisprudenza del Consiglio di Stato
ha costantemente ritenuto che il giudice amministrativo non possa effettuare, per evitare di
invadere sfere di valutazione che la Costituzione riserva alla pubblica amministrazione, il
predetto giudizio prognostico. Si ritiene, infatti,
necessario attendere che l’amministrazione
rinnovi il procedimento emendato dal vizio riscontrato in sede giudiziale e soltanto se
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re un danno in sé, rappresenta lo stesso presupposto (negativo) del risarcimento del danno
da mancato guadagno, in quanto è proprio
l'immobilizzazione delle risorse e dei mezzi tecnici ad escludere il c.d. aliunde perceptum, il
quale, ove percepito in conseguenza di attività
materialmente incompatibili (data la struttura
imprenditoriale) con la contestuale esecuzione
dell'appalto di cui si lamenta la mancata aggiudicazione, dovrebbe altrimenti essere detratto da quanto riconosciuto a titolo di lucro cessante». Si è aggiunto che: «l'aliunde perceptum
rappresenta, tuttavia, un fatto impeditivo del
diritto al risarcimento del danno: l'onere di eccepirlo e provarlo grava, secondo principi costantemente affermati dalla giurisprudenza civile della Corte di Cassazione (cfr., fra le tante,
Cass. civ. sez. lav., 11 giugno 2013, n. 14643),
sul danneggiante e, in mancanza di tale eccezione o di tale prova, non può darsi luogo a
nessuna detrazione di quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno». La Sezione ha, poi,
condivisibilmente aggiungto che «il contrario
indirizzo a volte espresso da questo Consiglio
di Stato non risulta condivisibile in quanto trasforma irragionevolmente l'(assenza dell') aliunde perceptum da fattore impeditivo ad elemento costitutivo della pretesa risarcitoria, facendo, peraltro, gravare sull'impresa che chiede il risarcimento la difficile prova di un fatto
negativo» (CdS, Sez. VI, 15.9.2015, n. 4283).
C) In relazione al «danno per la perdita di
chance a partecipare ad altre gare di appalto»,
anch’esso non può essere risarcito perché “coperto” dalla voce risarcitoria da lucro cessante. La parte può, infatti, pretendere, quando
non è più possibile ottenere la tutela in forma
specifica, i danni per il mancato utile conseguente alla perdita del “risultato” favorevole
ovvero i danni da perdita di chance conseguente alla perdita di una “occasione” favorevole.
Nel caso in esame, la parte ha optato per la
prima forma di tutela. D) In relazione al “danno curriculare”, esso viene generalmente ritenuto risarcibile «posto che il mancato arricchimento del curriculum professionale dell'impresa danneggiata dal provvedimento illegittimo pregiudica la sua capacità di competere nel
mercato e diminuisce le chances di aggiudicarsi ulteriori affidamenti» (CdS, Sez.
III,
10.4.2015, n. 1839). La sezione, con la citata
ha ritenuto non adeguata tale motivazione in
quanto, da un lato, non sarebbe «comprensibile, in base alla comune esperienza, perché una
partecipazione di 26 imprese su 39 invitate risulti, in sé, un esito non auspicato», dall’altro,
come il giudizio di anomalia presupponga
«l’acquisizione di dati concreti e specifici» e un
contraddittorio con le imprese che è mancato.
Da tale motivazione della sentenza emerge, con
chiarezza, come il Consiglio di Stato abbia ritenuto che l’aggiudicazione già disposta non
doveva essere annullata. Per quanto il vizio sia
stato quello della motivazione inadeguata, in
concreto non vi sarebbe stato spazio, in ragione
del fatto che era stata la stessa amministrazione ad adottare l’atto di aggiudicazione, per una
diversa determinazione in fase di riesercizio del
potere. In altri termini, l’amministrazione, adottando il provvedimento di aggiudicazione,
aveva “esaurito” la sua discrezionalità e, pertanto, una volta annullato l’atto con cui si era
decisa la non stipulazione del contratto, per le
illegittime ragioni sostanziali sopra indicate,
può considerarsi raggiunta, con il livello della
certezza, la prova della lesione della posizione
giuridica vantata dall’appellante. Si rientra,
pertanto, nella seconda fattispecie che questo
Consiglio ha individuato, con conseguente sussistenza del nesso di causalità negato dal primo
giudice. Chiarito ciò si tratta di valutare quali
sono i danni risarcibili. A) In relazione al
«danno per mancato utile» e dunque al lucro
cessante la giurisprudenza di questo Consiglio
ha già avuto modo di affermare che «il risarcimento del cd. lucro cessante è subordinato alla
prova, a carico dell'impresa ricorrente, della
percentuale di utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria
dell'appalto, prova desumibile in via principale
dall'esibizione dell'offerta economica presentata al seggio di gara» (ex multis, CdS, Sez. IV,
11.11.2014, n. 5531). Ne consegue che
all’appellante spetta l'utile effettivo che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicatario
quale risultante dall'offerta economica presentata in sede di gara. B) In relazione al «danno
per vincolo improduttivo di personale e mezzi
tecnici», lo stesso non spetta perché sfornito di
prova sia nell’an che nel quantum. Questa Sezione ha, recentemente, avuto modo di affermare che «tale immobilizzazione, anziché costituiGazzetta Amministrativa
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danno da fatto illecito andrà svolta una duplice
operazione: in primo luogo, il danneggiato andrà reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno
non fosse stato prodotto, dovendosi così provvedere alla rivalutazione del credito, cioè alla
trasformazione dell'importo del credito originario in valori monetari correnti alla data in
cui è compiuta la liquidazione giudiziale, avvalendosi del coefficiente di rivalutazione elaborato dall'ISTAT, applicando l'indice dei prezzi
al consumo per famiglie di operai e impiegati,
in quanto non è stata in questa sede evocato altro criterio; in secondo luogo, dovrà calcolarsi
il cd. danno da ritardo, utilizzando il metodo
consistente nell'attribuzione degli interessi (c.d.
compensativi), da calcolare secondo i criteri
già fissati dalla Corte di Cassazione (sentenza
n. 1712 del 1995), secondo cui gli interessi
vanno calcolati dalla data del fatto non sulla
somma complessiva rivalutata alla data della
liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno, cioè con riferimento
ai singoli momenti con riguardo ai quali la
predetta somma si incrementa nominalmente in
base agli indici di rivalutazione monetaria»
(Consiglio di Stato, sez. IV, 1.4.2015, n. 1708).
sentenza n. 4283 del 2015, ha affermato che, in
relazione a tale voce risarcitoria, «il terreno
della prova si fa evidentemente molto scivoloso,
posto che, come è stato evidenziato, ammettendo una sorta di “danno per immagine depotenziata”, si entra nelle sabbie mobili di un danno
non surrogabile patrimonialmente e non agevolmente quantificabile». La quantificazione di
tale voce di danno è stata, infatti, sino ad ora
operata dal giudice amministrativo in via equitativa, riconoscendo una somma pari ad una
percentuale (variabile dall'1% al 5%) applicata
in alcuni casi sull’importo globale dell'appalto,
in altri sulla somma già liquidata a titolo di lucro cessante. Il Collegio ritiene che, nel caso di
specie, sia congruo, tenuto conto della tipologia di appalto, liquidare in via equitativa a titolo di danno curriculare una somma pari al 2%
di quanto riconosciuto a titolo di mancato guadagno. E) In relazione al danno «da contatto
amministrativo qualificato», riconosciuto dal
primo giudice nei limiti delle spese sostenute e
non delle occasione perse, lo stesso non può essere riconosciuto, neanche nella misura determinata dal Tribunale amministrativo, in quanto
esso attiene alla diversa fattispecie di responsabilità precontrattuale. In quest’ultimo caso, il
risarcimento del danno è “limitato”
all’interesse negativo e dunque è strettamente
correlato al pregiudizio subito dalla parte per
essere stata “coinvolta” in una negoziazione
procedimentale che non è stata condotta dalla
stazione appaltante nel rispetto delle regole
della correttezza. Il danno da illecito civile è,
invece, ancorato all’accertamento di una illegittimità amministrativa nell’ambito dello stesso procedimento. È evidente come, trattandosi
di due diverse tecniche risarcitorie applicabili
alla medesima vicenda, la parte deve effettuare
la scelta di quale è la violazione che, in concreto, ha ritenuto sussistente. Alla luce dei motivi
di ricorso e delle violazioni lamentate,
l’appellante ha agito con l’azione da responsabilità civile connessa ad una illegittimità amministrativa, con la conseguenza che, in relazione a tale azione, non è possibile “aggiungere” voci risarcitorie che, si ribadisce, attengono ad una diversa fattispecie di responsabilità.
F) In relazione, infine, alla corresponsione degli accessori del credito, «va ricordato che nel
liquidare l'obbligazione di risarcimento del
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Consiglio di Stato Sez. V 27.11.2015 n. 5385
Avvalimento - inidoneità del contratto dal
contenuto generico.
In relazione alla disciplina dell’avvalimento
per la qualificazione alle gare (di cui all’art.
49, co. 2, lett. f), del D. Lgs. n. 163 del 2006 e
all’art. 88 del d.P.R. 5.10.2010, n. 207), il Consiglio di Stato Sez. V nella sentenza del
27.11.2015 n. 5385 ha richiamato la giurisprudenza che ha chiarito come la messa a disposizione del requisito mancante non deve risolversi nel prestito di un valore puramente cartolare
e astratto, essendo invece necessario, anche alla luce del chiaro disposto dell’art. 88 del
d.P.R. n. 207 del 2010, che dal contratto risulti
chiaramente l’impegno dell’impresa ausiliaria
di prestare le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo in tutte le parti che giustificano l’attribuzione del requisito di qualità, come i mezzi, il personale, la prassi e tutti gli altri
elementi aziendali qualificanti (CdS, V,
27.4.2015, n. 2063). È invece inidoneo un contratto di avvalimento a contenuto generico a
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
terdittivà o ‘pregiudicantè , che attesta la effettiva sussistenza di pericoli di infiltrazione mafiosa) mantiene la propria efficacia anche oltre
il decorso dei termini di validità (e dunque ‘sine diè o comunque fino all’adozione di un espresso provvedimento riabilitativo o di revisione). Premesso che l’interpretazione in questione può (ed inizia a) suscitare in giurisprudenza qualche perplessità (sia in quanto introduce, in contrasto ad un ben noto canone ermeneutico, elementi ‘di discriminè non emergenti dal chiaro ed univoco significato letterale
del testo normativo; sia in quanto appare rivolta ad ‘estenderè , in deroga ad un altrettanto
ben noto canone ermeneutico - ed in mancanza
di idonei strumenti di garanzia - la ‘strettà portata di ‘norme emergenziali’ introduttive di
‘potestà ablatorie straordinariè ), risulta assolutamente pacifico ed incontroverso in giurisprudenza che tale interpretazione (‘in malam
partem’), e l’applicazione della norma nel senso ad essa conforme, implica - perché si resti
nell’ambito della legittimità - che la situazione
oggetto dell’originario controllo che ha condotto all’informativa interdittiva sia rimasta
comunque del tutto ‘immutatà (Cfr.: CdS, Sez.
III^, n.5955/2014; Id., n.292/2014 e
n.293/2014; CdS, Sez. , V^, n.851/2006; Id.,
n.3126/2007; CdS, Sez., VI^, n.7002/2011). Non
appare revocabile in dubbio - in altri termini che la persistenza dell’efficacia dell’informativa ‘ormai scadutà (o, ciò che esprime il
medesimo concetto, la c.d. ‘ultrattività’
dell’efficacia del provvedimento oltre il termine
di scadenza della sua validità), può verificarsi secondo il ‘sistemà, introdotto dal citato orientamento giurisprudenziale - solamente a condizione che la situazione che ha condotto
all’adozione del provvedimento non si sia modificata. Solamente in tale ipotesi, infatti, la
‘ratio’ sottesa all’orientamento giurisprudenziale in questione appare conforme - come sottolineato dalle sentenze richiamate - ai principii generali che ispirano il sistema ordinamentale della prevenzione; sistema volto non già ad
introdurre rinnovate fattispecie di ‘colpa
d’autorè (determinanti ‘status’ soggettivi interdittivi a carattere tendenzialmente permanente), ma - più linearmente - a limitare il rischio o il pericolo che si verifichino eventi a rilevanza penale. Dai principii fin qui affermati
svolgere la funzione negoziale propria (CdS, V,
28.9.2015, n. 4507).
Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5249
Contratti pubblici: Sì del Consiglio di Stato
all’impiego di personale volontario da parte
delle associazioni di volontariato ammesse
alla gara.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 17.11.2015 n. 5249 ha ribadito
l’orientamento che ha riconosciuto l’ascrivibilità anche delle associazioni di volontariato, quali soggetti autorizzati dall’ordinamento a
prestare servizi e a svolgere, quindi, attività
economiche, ancorchè senza scopi di lucro, al
novero dei soggetti ai quali possono essere affidati i contratti pubblici (cfr. CdS, Sez. III,
16.7.2015; n.3685; Sez. VI, 23.1.2013, n.387),
escludendo, quindi, il carattere tassativo
dell’elenco contenuto nell’art.34 d.lgs. n.163
del 2006. L’ammissione (peraltro, in sé, non
contestata dal ricorrente) delle associazioni di
volontariato alla gara implica, quale logico corollario, la possibilità di impiegare nel servizio
anche personale volontario (altrimenti la clausola partecipativa resterebbe priva di senso),
mentre, a ben vedere, la decisione citata dal
RTI ricorrente come affermativa di un principio
contrario (CdS, Sez. V, 16.1.2015, n.84) non
risulta, come sembra prospettare l’appellante,
impeditiva dell’impiego dei volontari.
Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5256
Informativa antimafia - informazione
interdittiva ormai scaduta - ultrattivà.
Il Consiglio di Stato Sez. III nella sentenza del
17.11.2015 n. 5256 ha affermato di "non ignorare l'esistenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui le norme che stabiliscono
che l’’informativa antimafià debba avere una
validità (e dunque un’efficacia) limitata nel
tempo, siano da interpretare nel senso: - che la
sola
informativa
antimafia
‘favorevolè
all’impresa ed al cittadino sottoposto a controllo (id est: l’informativa ‘non interdittivà o ‘non
pregiudicantè ) perde ‘automaticamentè la
propria efficacia allo scadere del termine (rendendosi così necessaria, da tale scadenza,
l’acquisizione di una nuova informativa); mentre l’informativa antimafia ‘sfavorevolè
all’impresa ed al cittadino (id est: quella ‘inGazzetta Amministrativa
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
5260 del 17.11.2015 nella quale il Supremo
Consesso ha evidenziato come tale affermazione derivi sia dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione che riserva nelle materie di legislazione concorrente, la potestà legislativa
alle Regioni, salva la determinazione dei principi fondamentali, spettante alla legislazione
dello Stato, sia delle normative statali, medio
tempore introdotte dal legislatore - l.n. 36/2001
e d.lgs. n. 259/2003 sulla disciplina delle comunicazioni elettroniche. Nella specie, inoltre,
precisa il Collegio "non appare violato, come
deduce il Comune,l’art. 8 della l. n. 36/2001, in
quanto l’impugnato regolamento aveva previsto
l’esclusione di ogni impianto per le classi “0” e
“1” e cioè per tutte le zone, rispettivamente:
del centro storico ad elevata densità edilizia ed
abitativa, aree residenziali e di completamento,
aree destinate ad attrezzature e servizi
d’interesse generale ed insediamenti produttivi
ed inoltre aree destinate ad uso prevalentemente residenziale caratterizzate da significativa
densità edilizia ed abitativa. Ora dal contenuto
della predetta elencazione emerge in modo fin
troppo evidente, oltre la genericità della descrizione dei siti esclusi, anche una generalizzazione degli stessi, con riferimento alla loro
effettiva estensione, tali, come afferma la decisione del Tar, da rendere del tutto incerti ed
immotivati i criteri di localizzazione degli impianti, circoscritti e si potrebbe dire “confinati” ad aree destinate ad insediamenti produttivi
e terziari".
consegue che prima di ‘spedirè , affinchè possa
essere ‘ultrattivamente utilizzatà, una informativa ‘ormai scadutà (per decorso del termine di
validità), l’Amministrazione prefettizia competente ad emetterla ha almeno l’obbligo di verificare che le condizioni che ne hanno determinato l’originaria emissione non siano modificate e persistano in toto (CdS, Sez. III, nn.292 e
293/2014; CdS, Sez. V, n.851/2006; Id.,
n.3126/2007). E ciò a maggior ragione se il
soggetto interessato abbia chiesto espressamente alla competente Amministrazione - proprio in considerazione dell’avvenuta scadenza
del c.d. termine di validità del provvedimento l’emissione di una nuova informativa, o la revisione di quella ‘ultrattivamente ancora efficacè
. E così pure l’Amministrazione che richiede
l’informativa - al fine di utilizzarla in conformità alla sua fisiologica funzione (prevenzione
contro l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa) - e che se ne veda recapitare una dal carattere apparentemente ultrattivo (id est: trasmessale come efficace ancorchè ormai scaduta
per decorso temporale), ha l’obbligo - prima di
farne uso per effetti escludenti definitivi - di aprire un’istruttoria (rectius: di avviare un subprocedimento istruttorio) sulla questione, con il
coinvolgimento del soggetto interessato.
Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5260
Installazione di impianti di radiotelefonia divieti o limitazioni generalizzate - regolamento comunale.
"Se è vero che dal punto di vista urbanistico i
Comuni possono incidere sulla localizzazione
degli impianti di telefonia mobile a patto che la
regolamentazione non abbia l’effetto di vietare
indiscriminatamente l’istallazione degli stessi
su tutto il territorio comunale, tenendo anche
conto della minimizzazione dell’esposizione
della popolazione ai campi elettromagnetici, è
altrettanto vero che i Comuni non possono introdurre nei piani regolatori e negli altri strumenti pianificatori - regolamento comunale
per gli impianti - divieti o limitazioni generalizzate o, comunque, estese ad intere zone comunali con l’effetto di non assicurare i livelli essenziali delle prestazioni che l’Amministrazione
è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale". È questo il principio sancito dalla Terza
Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza n.
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. IV 19.11.2015 n. 5280
Gare - servizi esclusi dalla possibilità di
procedere all'escussione della cauzione
provvisoria - esclusione concorrente.
L’incameramento della cauzione come più volte rilevato dal Consiglio di Stato (Sez. V
10.9.2012 n. 4778; di recente, questa Sezione
9.6.2015 n. 2829 ) si configura come misura
sanzionatoria costituente conseguenza automatica del provvedimento di esclusione. Invero, i
criteri di esclusione dalla partecipazione alle
gare sono dati in funzione della trasparenza
della posizione dei concorrenti e non ritengono
necessaria la prova della colpa nella formazione delle dichiarazioni presentate, dovendosi tener presente che nella specie l’esclusione è avvenuta proprio in ragione di un rilevato difetto
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
per il caso di specie una norma di rango legislativo e neppure di tipo regolamentare che
regga l’irrogazione della misura afflittiva costituita dalla escussione della cauzione provvisoria".
dei requisiti da dichiararsi ex art.38 del dlgs n.
163/2006. Aderendosi a questa tesi interpretativa, il Consiglio di Stato Sez. IV nella sentenza
del 19.12.2015 n. 5280 ha affermato che "ne
deriva che l’assunto del Tar secondo cui nel
caso de quo necessitava far precedere la determinazione di incameramento da una valutazione sulla gravità dell’addebito contestato alla
Società si appalesa privo di pregio mentre, specularmente, fondata si rivela la tesi difensiva di
parte appellante che fonda il suo motivo di gravame proprio sul carattere automatico della escussione intesa come misura sanzionatoria
applicabile ex lege . Nondimeno, rileva il Collegio che la stazione appaltante non poteva
procedere alla escussione della cauzione per
una ragione che si pone a monte della problematica sopra esposta, ravvisabile, precipuamente, nel fatto che l’art. 48 citato non è applicabile tout court alla fattispecie, come correttamente e fondatamente fatto rilevare dalla Società qui appellata nella memoria di resistenza.
Il titolo II del d.lgs. n. 163/06 che si occupa dei
contratti esclusi dall’ambito di applicazione del
codice annovera l’art. 21 relativo agli appalti
aventi ad oggetto i servizi elencati sia
nell’allegato A sia nell’allegato B . Ora oggetto
della gara per cui è causa risulta essere per tabulas il servizio di ristorazione collettiva mediante catering e la ristorazione è tra gli appalti di servizi inseriti nell’allegato II B del codice
dei contratti . Questo sta a significare, in base
ad una coordinata lettura del disposto legislativo, che la procedura ristretta posta in essere
rientra a pieno titolo tra i servizi esclusi ai quali non è applicabile la norma di cui all’art.48
dettata a proposito della escussione della cauzione provvisoria. In tali sensi si è peraltro già
espressa questa Sezione con sentenza n.2853
del 25/2/2014 proprio in occasione della definizione di una gara avente ad oggetto il servizio
ristorazione (da svolgersi in quella circostanza
in favore della polizia penitenziaria) e il Collegio ritiene di aderire pienamente a tale decisum. D’altra parte occorre rilevare che nella
lex specialis di gara non risulta vi sia una prescrizione che preveda l’escussione della cauzione provvisoria conseguentemente alla disposta esclusione alla gara di un concorrente, senza quindi che la stazione appaltante si sia posto
al riguardo un autovincolo. Insomma non v’è
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 23.10.2015 n. 4894
Congruità dell'offerta - modifiche nell'organigramma del personale - introduzione di
giustificazioni.
Con riguardo all’organigramma del personale,
l’appellante sostiene che in sede di giustificazione della congruità dell’offerta sarebbero
state introdotte modifiche tali da costituire una
sua nuova e diversa modulazione. Osserva il
Consiglio di Stato Sez. III nella sentenza del
23.10.2015 n. 4894 che l’organigramma del
personale è restato invariato nel numero complessivo degli addetti, mentre un contenuto mutamento delle qualifiche di inquadramento e
dell’ anzianità di servizio degli operatori - che
trovano giustificazione anche in esigenze di
mantenimento in servizio del personale in forza
al precedente appaltatore - non vengono a snaturare l’offerta nel suo iniziale contenuto (cfr.
in fattispecie analoga Cons. St., sez, VI, n. 2770
del 5 giugno 2015). Non si versa, quindi, a
fronte di mutamenti essenziali e sostanziali del
contenuto dell’offerta, tali da alterare
l’apprezzamento a suo tempo formulato dalla
stazione appaltante sull’organigramma inizialmente prodotto con vulnus alla par condicio
dei concorrenti.
Consiglio di Stato Sez. V 22.10.2015 n. 4870
Appalti - rilevanza dell'errore grave non è
circoscritta ai casi occorsi nell'ambito di
rapporti contrattuali intercorsi con la stazione appaltante che bandisce la gara, ma attiene indistintamente a tutta la precedente
attività professionale dell'impresa.
La portata dell’art. 38, co. 1, lett. f), del d. lgs.
N. 163/06 e dei correlati obblighi dichiarativi è
stata esaminata dalla dottrina e dalla giurisprudenza che concordano nella necessità che
il concorrente, in linea con l’onere collaborativo che sottende i rapporti con la pubblica amministrazione, renda completa dichiarazione
dei fatti richiesti ai sensi della previsione
dell’art. 38 del d. lgs. n. 163 del 2006, ivi comprese
le
inadempienze
nell’esercizio
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Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
fronti sorge il relativo obbligo dichiarativo”. In
conclusione deve ritenersi che, anche in relazione alle clausole di esclusione di cui alla lettera f) citata, vige la regola – valevole anche
per altre condizioni di cui all’art. 38 del codice
dei contratti pubblici – secondo la quale la
gravità dell’evento è ponderata dalla stazione
appaltante, sicché l’operatore economico è tenuto a dichiarare lo stesso ed a rimettersi alla
valutazione della stazione appaltante (naturalmente, detta valutazione – ove illogica o immotivata – potrà essere censurata innanzi
l’Autorità Giudiziaria). Ne consegue che la
mancata esternazione di un evento, anche se
poi ritenuto non grave, comporta, di norma,
l’esclusione dalla gara specifica e la comunicazione degli atti all’ANAC per l’eventuale provvedimento di iscrizione nel casellario informatico ai fini dell'esclusione dalle procedure di
gara, ai sensi e per gli effetti del comma 1 ter
del citato art. 38. Indubbiamente l’art. 38,
comma 1, lettera f), del codice dei contratti
pubblici pone in evidenza anche alcune anomalie correlate alla mancata previsione (a differenza di altre ipotesi di esclusione previste
dall’art. 38 cit.) di un arco temporale (rispetto
alla gara) entro il quale debbono essersi verificati gli eventi in questione al fine della loro dichiarazione in gara e della conseguente valutazione da parte della stazione, rischiando di estendere in modo irragionevole la portata della
norma, tenuto anche conto della mancata tipizzazione degli eventi rilevanti e dell’obbligo di
esternare l’evento per rimettersi alle valutazioni della stazione appaltante onde non incorrere
nel rischio di rendere una dichiarazione suscettibile di essere ritenuta omissiva/reticente, con
le correlate conseguenze. Tali anomalie, peraltro non ravvisabili nella fattispecie in esame
attesa la prossimità temporale e la gravità delle
inadempienze contestate (“lamentele”, “denunce di disservizi ed inadempimenti” con riferimento ad asserite carenze igienico – sanitarie), non possono portare a rimettere al concorrente alla gara la valutazione dei fatti occorsi nell’esercizio dell’attività professionale,
tanto più in presenza di una espressa e inequivoca previsione della lex specialis di gara. La
circostanza che ai fini dell’articolo 38, comma
1, lettera f), non rileva un qualsiasi inadempimento agli obblighi contrattuali, essendo ne-
dell’attività professionale, per consentire la valutazione della Stazione Appaltante, tanto più
non avendo la clausola di esclusione di cui alla
lettera f) carattere sanzionatorio ma il diverso
obiettivo di salvaguardare l'elemento fiduciario
che deve necessariamente essere presente nei
confronti dell'impresa con cui contrarre e la
cui valutazione non può prescindere dalla conoscenza di inadempienze contrattuali in precedenti rapporti. Dalle disposizioni del citato
art. 38, co. 1, lett. f), emerge, quindi, un sistema
finalizzato alla attribuzione di una facoltà di
scelta in capo alle Amministrazioni diverse
dall’originaria Stazione Appaltante, alle quali
spetta di accertare, in rapporto alle esigenze
del contratto che si andrà a stipulare, l’effettiva
valenza dell’errore professionale precedentemente commesso dall’impresa. In tale prospettiva, caratterizzata dalla esigenza di assicurare
l’affidabilità di chi si propone quale contraente
dell’amministrazione pubblica, il requisito
dell’affidabilità può essere effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze
patologiche contestate da altri committenti in
maniera obiettiva e non attraverso il filtro del
concorrente. A tale orientamento si conforma
anche l’AVCP (ora ANAC), secondo la quale la
rilevanza dell'errore grave non è circoscritta ai
casi occorsi nell'ambito di rapporti contrattuali
intercorsi con la stazione appaltante che bandisce la gara, ma attiene indistintamente a tutta
la precedente attività professionale dell'impresa, in quanto elemento sintomatico della perdita del requisito di affidabilità e capacità professionale ed influente sull'idoneità dell'impresa a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico che la stazione appaltante persegue. Anche le norme europee [cfr.
art. 57 della Direttiva 2014/24/UE, par. 4 lett.
c) e g), nel disciplinare le ipotesi di “gravi illeciti professionali” e di “carenze nell’esecuzione” (analoghi ai concetti di “errore grave”
e di “negligenza e malafede” utilizzati dal legislatore interno)] specificano che esse devono
riguardare un precedente contratto d’appalto
pubblico o un contratto di appalto con un ente
aggiudicatore senza alcuna “separazione tra
l’ipotesi in cui le stesse si siano verificate nei
confronti della medesima o di una diversa stazione appaltante, rispetto a quella nei cui conGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
Appalti - segretario comunale - componente
della commissione di gara - sussiste.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 22.10.2015 ha, tra l'altro, analizzato la censura sollevata da un'impresa partecipate ad una procedura di gara in ordine
all’asserita illegittimità della composizione della commissione di gara, rigettando il motivo di
appello. In particolare il Collegio precisa nella
parte motiva della sentenza che "Come affermato dal TAR con percorso motivazionale corretto, l’importo e la natura dell’appalto (appalto di servizi del valore di base di euro
14.809.773,60) consentivano alla stazione appaltante di avvalersi di soggetti esterni quali
componenti della commissione di gara, naturalmente escluso il presidente, così come previsto dall’art. 282, co. 2, del d.P.R. n. 207 del
2010, in disparte la carenza di personale dipendente di adeguata professionalità. Né v’era
necessità di estrinsecare le motivazioni che avevano portato alla nomina dei membri esterni,
atteso che la natura e il valore dell’appalto ne
consentivano la nomina. Quanto all’asserita
carenza di specifiche professionalità dei componenti scelti dalla stazione appaltante (..), non
è dimostrata ed è smentita dai curricula degli
interessati, sicché la censura deve ritenersi
quanto a tale profilo inammissibile e infondata
e non è nemmeno provato che l’asserita carenza di professionalità si sia tradotta in vizi di valutazione delle offerte o degli esiti della gara o
del presunto e indimostrato vizio di imparzialità. Il segretario comunale, essendo dipendente
del Comune e dotato di professionalità insita
nella stessa funzione espletata, ben poteva essere componente della commissione di gara.
cessario che la condotta dell’impresa sia stata
caratterizzata da rilevanti violazioni dei doveri
professionali o contrattuali, connotate da dolo
o colpa grave, idonee e compromettere il rapporto fiduciario con la stazione appaltante (in
altri termini, non basta che le prestazioni non
siano state eseguite a regola d'arte ovvero in
maniera non rispondente alle esigenze del
committente, occorrendo, invece, una violazione del dovere di diligenza nell'adempimento
qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o comunque gravemente colposo dell'impresa) attiene pur sempre alla valutazione
dell’amministrazione e non esonera il concorrente alla gara dal rendere la dichiarazione,
atteso che, in ogni caso, il grave errore è espressione di un difetto di capacità professionale e lo stesso, nella sua obiettiva rilevanza, costituisce elemento sintomatico della perdita del
requisito di affidabilità e capacità professionale a fornire prestazioni che soddisfino gli interessi di rilievo pubblico perseguiti dall’Ente
committente. Per quanto esposto, essendo la
ricorrente venuta meno agli obblighi dichiarativi, così incorrendo nella correlata causa di
esclusione, non può che condividersi il decisum
del giudice di primo grado. Così delimitata la
causa di esclusione dalla gara della ricorrente,
perde consistenza anche la censura di eccesso
di potere giurisdizionale della sentenza impugnata, incentrata sull’assunto che la decisione
di esclusione da una gara per i motivi di cui
all’articolo 38, comma 1, lettera f), è frutto di
una valutazione discrezionale della stazione
appaltante alla quale il legislatore riserva
l’individuazione del punto di rottura
dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente (cfr. Cass. sez. unite, 17.2.2012, n. 2312;
CdS, Sez. VI, 14.8.2013, n. 4174; sez. III,
5.5.2014, n. 2289) e che non poteva il TAR pervenire a valutazioni opposte, senza incorrere
nell’eccesso di potere giurisdizionale, avendo
la commissione di gara e il Comune di Pomezia
ritenuto che le vicende contestate alla ricorrente dal Comune di Ardea non implicassero un
deficit di fiducia. Tale censura attiene, infatti,
ad un momento logicamente successivo a quello
dichiarativo su cui è fondata la decisione impugnata.
Consiglio di Stato Sez. V 22.10.2015 n. 4871
Procedure di gara - interesse a ricorrere della terza in graduatoria.
In ordine alla individuazione delle condizioni
per valutare la sussistenza dell’interesse a ricorrere della terza graduata in una procedura
di gara, la giurisprudenza ha evidenziato che
l’utilità che essa ricorrente tiene a conseguire,
sia essa finale o strumentale, deve derivare in
via immediata e secondo criteri di regolarità
causale dall’accoglimento del ricorso e non già
in via mediata da eventi incerti e potenziali
quali l’esito negativo di una verifica di anoma-
Consiglio di Stato Sez. V 22.10.2015 n. 4871
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
(come nel caso di specie) la seconda opzione, i
progettisti indicati non costituiscono soggetto
direttamente e formalmente partecipante alla
gara. È , peraltro, innegabile che agli stessi è
affidato il compito di redigere la progettazione
dell’opera (dal bando di gara emerge che, nella
specie, l’appalto ha ad oggetto “la progettazione esecutiva ed esecuzione, ai sensi
dell’articolo 53, comma 2, lett. b) del d.lgs.
163/2006 e ss.mm.ii., sulla base del progetto
definitivo”). Essi, dunque, costituiscono soggetti che realizzano una parte dell’appalto, in particolare il servizio di progettazione. Orbene, in
relazione a tale circostanza – la quale giustifica evidentemente la prescrizione contenuta nel
richiamato articolo 53, comma 3 , a mente della quale deve trattarsi di soggetti “qualificati”
– non vi è motivo per non ritenere agli stessi
applicabili le regole ordinarie di partecipazione alla procedura in relazione alla composizione soggettiva dagli stessi prescelta, soprattutto
quando si tratti di disposizioni dettate a garanzia della affidabilità, serietà e corretta realizzazione della prestazione ( che, ripetesi, è dagli
stessi eseguita). Orbene, nella vicenda in esame
gli appellanti hanno dichiarato di “indicare”
come progettisti “la costituenda ATI .. I progettisti “indicati”, per libera scelta del concorrente, sono, dunque, intervenuti nella procedura
nella connotazione soggettiva del Raggruppamento Temporaneo costituendo. Gli stessi progettisti, nel rendere le dichiarazioni di loro
competenza, sono ricorsi all’istituto del raggruppamento temporaneo di concorrenti previsto dal Codice. Essi, invero, in entrambi gli atti
datati 26-9-2014, presentati sia in sede di prequalifica che di sorteggio (in questa sede sono
state invertite le posizioni del mandatario e del
mandante), hanno prodotto “Atto di impegno a
conferire mandato collettivo speciale ( art. 90,
comma1, lett. g) ed art. 37, co. 1, 3, 8,13 del
D.Lgs. 163/2006 e s.m.i.)” , in cui hanno dichiarato “di partecipare all’appalto in oggetto
congiuntamente, impegnandosi alla costituzione di un raggruppamento temporaneo di concorrenti in caso di aggiudicazione dell’appalto
in oggetto, ai sensi e per gli effetti di quanto
previsto dall’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006”, tra
l’altro impegnandosi (pag. 3) “a conformarsi
alla disciplina prevista per i raggruppamenti
temporanei”. Risultando, dunque, utilizzata
lia. È questo il principio richiamato dal Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza del
22.10.2015 n. 4871 nella quale si precisa altresi che "Tale circostanza costituisce infatti una
mera eventualità, di modo che l’esclusione per
tale ragione dell’offerta della seconda graduata non rappresenta dal punto di vista giuridico
formale una normale ed immediata conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione originaria della prima graduata (in tal senso, cfr.,
tra le tante, CdS, Sez. VI, 2.4.2012, n.1941; IV,
12.2.2007, n.587). L’orientamento giurisprudenziale citato è confluito ed è stato rielaborato
dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 8 del
3.2.2014, che ha precisato che “L’utilità o bene
della vita cui aspira il ricorrente…deve porsi in
rapporto di prossimità, regolarità ed immediatezza causale rispetto alla domanda di annullamento proposta e non restare subordinata ad
eventi solo potenziali e incerti”.
Consiglio di Stato Sez. IV 13.10.2015 n. 4715
Appalto integrato - progettisti devono essere
"soggetti qualificati".
Il Consiglio di Stato Sez. IV con la sentenza del
13.10.2015 n. 4715 ha affermato che "l’articolo
53 del codice degli appalti dispone, al comma
3, che “Quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione, ai sensi del comma 2, gli
operatori economici devono possedere i requisiti prescritti per i progettisti, ovvero avvalersi
di progettisti qualificati, da indicare
nell’offerta, o partecipare in raggruppamento
con soggetti qualificati per la progettazione…”.
Il successivo comma 3 bis prevede ancora che
“…nel caso in cui , ai sensi del comma 3,
l’appaltatore si avvale di uno o più soggetti
qualificati alla realizzazione del progetto, la
stazione appaltante può indicare nel bando di
gara le modalità per la corresponsione diretta
al progettista della quota di compenso corrispondente agli oneri di progettazione, al netto
del ribasso d’asta, previa approvazione del
progetto e previa presentazione dei relativi documenti fiscali del progettista”. Da quanto sopra emerge che, in caso di appalto integrato,
l’operatore economico può effettuare direttamente la progettazione, avvalersi di progettisti
o costituirsi in raggruppamento con soggetti
qualificati per la progettazione. È evidente che
nel caso in cui l’operatore economico scelga
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
stituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l’infiltrazione mafiosa nell’impresa considerata ( C.G.A. Reg. Sicilia Sez. giurisdizionale,
n. 227 del 29.2.2012; C.d.S., III Sez., 115 del
19.1.2015). È questo il principio ribadito dalla
Terza Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza dell'8.10.2015 n. 4667.
per i progettisti indicati la forma soggettiva del
raggruppamento temporaneo, peculiare e propria della disciplina degli appalti pubblici, ed
essendosi gli stessi soggetti interessati impegnati a rispettarne la disciplina giuridica, non
vi è alcun ragionevole motivo per escludere ad
essi l’applicazione dell’articolo 275 del Regolamento. Non merita pregio, dunque, il rilievo
formulato dall’appellante, secondo cui si tratterebbe della opzione del progettista “indicato” e
non anche di quella dell’operatore economico
partecipante in raggruppamento con progettisti
qualificati. L’applicabilità della disposizione
non discende direttamente dal modulo utilizzato
dal progettista “indicato”, quanto piuttosto
dalla forma soggettiva assunta da questi ultimi,
che è quella del Raggruppamento Temporaneo,
al rispetto della cui disciplina, tra l’altro, essi
si sono espressamente impegnati.
Consiglio di Stato Sez. V del 6.10.2015 n. 4653
Procedure di gara - variazioni migliorative
non essenziali del progetto.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 6.10.2015 n. 4653 ha richiamato il
principio per il quale le imprese – salvo che il
bando disponga altrimenti - possono proporre
variazioni migliorative, indispensabili o semplicemente utili sotto l'aspetto tecnico, con il
limite intrinseco consistente nel divieto di alterare i caratteri essenziali della prestazione oggetto del contratto, in maniera da non modificare i profili strutturali, qualitativi o funzionali
dell'opera, come definiti nel progetto posto a
base di gara. In altre parole, sono sempre ammissibili variazioni migliorative non essenziali
del progetto posto a base di gara, ossia tutte
quelle variazioni migliorative che non si traducano in uno stravolgimento dell'oggetto del
contratto, attraverso una sua diversa ideazione
che si ponga come del tutto alternativa rispetto
al disegno progettuale originario (cfr., ex multis, CdS, Sez. IV, 7.11.2014, n. 5497; CdS, Sez.
V, 16.4.2014, n. 1923).
Consiglio di Stato Sez. V 6.10.2015 n. 4654
Interdittiva antimafia - quadro indiziario "condizionamento mafioso".
L'interdittiva antimafia è volta a garantire un
ruolo di massima anticipazione all’azione di
prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento mafioso, con la conseguenza che è sufficiente che vi sia un quadro indiziario tale da
generare un ragionevole convincimento sulla
sussistenza di un “condizionamento mafioso”
(CdS, Sez. III, 21.12.2012, n. 6618; 2734 del
3.6.2015). Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, il Prefetto adotta legittimamente l’informativa ostativa sulla base di
elementi sintomatici ed indiziari dai quali è deducibile il tentativo di ingerenza - quali una
condanna non irrevocabile, l’irrogazione di misure cautelari, il coinvolgimento in un’indagine
penale, collegamenti parentali, cointeressenze
societarie e/o frequentazioni con soggetti malavitosi - che, nel loro insieme, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l’attività
d’impresa possa, anche in maniera indiretta,
agevolare le attività criminali o esserne in
qualche modo condizionata. Anche i legami di
natura parentale assumono rilievo qualora emerga un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell’oggettivo pericolo che rapporti di
collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare coGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. V 6.10.2015 n. 4652
Associazione temporanea di imprese: la
sentenza del Consiglio di Stato sui Consorzi
ordinari.
La vicenda giunta all'attenzione della Quinta
Sezione del Consiglio di Stato vede il ricorrente
incidentale di primo grado dedurre l'illegittima
partecipazione alla gara della società appellata, consorzio ordinario assumente la forma di
società consortile ex art. 2602 c.c., costituito da
due società. In quanto consorzio ordinario, la
Società appellata ha dichiarato di partecipare
in nome proprio e per conto di una sola impresa consorziata, che avrebbe eseguito il 100%
del servizio, in ipotizzata violazione dell’art. 34
d.lgs. n. 163/2006, che, in merito ai consorzi
ordinari, rimanderebbe integralmente alla disciplina delle ATI, nelle quali è necessario che
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
ziate, con l'unica differenza che è loro consentito di operare in forma societaria, sicché la
«causa consortile» del contratto permane e
prevale sulla forma societaria assunta. La circostanza che tale soggetto abbia personalità
giuridica e si presenti alla gara come impresa
singola, in limine, rileva ai fini dell'assunzione
della responsabilità nei confronti della stazione
appaltante, ma non può esimere dagli obblighi
posti dal codice dei contratti pubblici ai consorzi, qualunque sia la loro forma giuridica assunta. L'art. 34, lett. e), indica tra i soggetti che
possono partecipare alle procedure di gara «i
consorzi ordinari di concorrenti di cui all'articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente
comma, anche in forma di società ai sensi
dell'articolo 2615-ter del codice civile». Peraltro, l’art. 37, comma 4, d.lgs. n. 163-2006 (apparentemente dedicato alle sole ATI, in base
alla sua rubrica) specifica che «nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che
saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati», espressamente e letteralmente riferendosi, dunque, anche ai soggetti consorziati. Soltanto i consorzi di cui alle
lett. b) e c) dell’art. 34 citato, ovvero i consorzi
fra società cooperative di produzione e lavoro
costituiti in applicazione della legge 25 giugno
1909, n. 422, e del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 14.12.1947, n. 1577, i
consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge
8.8.1985, n. 443, nonché i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai
sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, tra
imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società cooperative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui
all'art. 36, sfuggono alla disciplina di cui
all’art. 37. Tuttavia, il consorzio appellato,
consorzio ordinario assumente la forma di società consortile ex art. 2602 c.c., non dimostra
(né ha dimostrato in sede di gara) di aver partecipato nelle qualità soggettive indicate
dall’art. 34, lett. b) e c) d.lgs. n. 163-2006, con
la conseguenza che ad esso doveva farsi integrale applicazione del successivo art. 37, che
non prevede alcuna eccezione per le società
consortili (anzi, espressamente includendole). Il
TAR ha respinto il ricorso incidentale sulla ba-
tutte le imprese prendano parte alla gara ed alla relativa esecuzione del servizio. Al fine di
comprendere la questione oggetto del giudizio
il Collegio ha richiamato la dottrina e la giurisprudenza secondo cui l’associazione temporanea di imprese (ATI) sia un contratto associativo atipico, fondato sul mandato collettivo speciale e gratuito, con rappresentanza ed in rem
propriam (nell’interesse del terzo committente)
conferito da parte delle associate ad una di esse (cd. capogruppo), che perciò assume, nei
confronti del committente, la rappresentanza
esclusiva delle mandanti: dalla presentazione
dell’offerta (che è l’unico aspetto disciplinato
dall’ordinamento) sino all’estinzione di ogni
rapporto giuridico. La possibilità di associarsi
temporaneamente, senza obbligo di assumere
vincoli societari che imporrebbero oneri e obblighi sproporzionati rispetto ad un rapporto
caratterizzato dalla durata limitata e dalla unicità dell’affare, è compensata dalla responsabilità solidale che lega le imprese riunite, anche
nei rapporti con i subappaltatori e fornitori
(come previsto dall’art. 37, comma 5, del d.lgs.
n. 163-2006, in continuità normativa con l’art.
13, comma 2, dell’abrogata L. n. 109-94). Dal
punto di vista civilistico, del tutto diversa è la
posizione del consorzio costituito in forma di
società consortile, che è una società caratterizzata dal fatto di svolgere la propria attività
perseguendo scopi consortili; infatti, esso può
consistere in qualsiasi società prevista dal c.c.,
con esclusione della società semplice. Per
quanto riguarda la disciplina degli appalti
pubblici, il consorzio di imprese, se anche costituito in forma di società consortile ai sensi
dell'art. 2615-ter del codice civile, è un soggetto con identità plurisoggettiva, con la conseguenza che ad esso risulta pienamente applicabile la disciplina di cui all'art. 34, lett. e), d.
lgs. n. 163/2006 che, a sua volta, rinvia al successivo art. 37. La disciplina civilistica della
società consortile e la personalità giuridica di
cui è titolare non comportano che essa sia esentata dagli adempimenti richiesti dalla disciplina in materia di contratti pubblici, qualora
la società consortile partecipi a gare d'appalto
indette dalla pubblica amministrazione. Le società consortili, invero, non sono imprese autonome, ma consorzi, per la natura e le finalità
mutualistiche in favore delle imprese consorGazzetta Amministrativa
-204-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
cessione di ramo d'azienda il Consiglio di
Stato applica il proverbiale detto “nel più sta
il meno”.
Il Consiglio di Stato in data 2.10.2015 ha depositato una interessante sentenza, la n. 4617,
nella quale, tra l'altro, ha applicato il proverbiale detto “nel più sta il meno” per risolvere
le problematiche afferenti la omessa dichiarazione dell’assenza dei fatti di reati tassativamente menzionati dall’art.38 del codice degli
appalti per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione
automaticà. Più precisamente, si legge nella
sentenza che "Posto che è incontrovertibile come ben rappresentato da un proverbiale detto (atto ad esprimere con sintetica semplicità
una intuitiva verità) - che “nel più sta il meno”,
appare evidente che la dichiarazione attestante
l’assenza - in capo al soggetto ‘controllato’ - di
qualsiasi reato grave che incida sulla moralità
e sulla capacità professionale (dichiarazione
che comporterebbe, nel caso di opposto contenuto, un onere di valutazione da parte della
Stazione appaltante), non può non includere,
seppur implicitamente (dunque: non può che
implicare), anche l’affermazione dell’assenza in capo al medesimo soggetto - dei più gravi
fatti di reato,tassativamente menzionati
dall’art.38 del codice dei contratti pubblici
(nella specie: partecipazione ad una organizzazione criminale, corruzione, frode e riciclaggio), per i quali è prevista la c.d. ‘esclusione
automaticà." Aggiunge poi il Collegio che anche a prescindere da tale considerazione, "non
può essere ignorato che nella fattispecie dedotta in giudizio era lo stesso Disciplinare di gara
(all’art.10 lett. C) che consentiva di formulare
la dichiarazione di cui all’art.38 del codice degli appalti “in modo omnicomprensivo”; utilizzando, cioè, una pericope attestante la inesistenza di tutte le cause di esclusione previste
dalla norma. Il che appare tranciante. E ciò
non senza sottolineare: a) che la questione relativa all’asserita invalidità o inefficacia delle
dichiarazioni rese (nelle succedutesi qualità di
“legali rappresentanti” o di “legali rappresentanti cessati dalla carica di Amministratore Unico”, oltre che di socie), ben poteva ritenersi come correttamente ha fatto l’Amministrazione
- definitivamente superata in considerazione
dell’avvenuta formulazione (in sede di produzione della documentazione per l’accesso alla
se di una distinzione all’interno della figura dei
consorzi ordinari, tra quelli costituiti nella
«forma semplice» di cui agli art. 2602 e ss. c.c.,
privi di struttura organizzativa, e quelli costituiti con la forma della società consortile ai
sensi dell’art. 2615-ter c.c., distinzione che però non ha alcuna base positiva e che è contraddetta dal tenore letterale delle disposizioni esaminate, come si è sopra rilevato. Pertanto,
partecipando sotto forma di consorzio ordinario, l’appellata Società doveva prendere parte
alla gara per entrambe le imprese consorziate e
non solo per una di esse. Conclusivamente, alla
luce delle predette argomentazioni, il Consiglio
di Stato con la sentenza del 6.10.2015 n. 4652
ha accolto l’appello per tale motivo e, per
l’effetto, ha accolto il ricorso incidentale di
primo grado che, avendo natura escludente in
una gara in cui hanno partecipato 26 concorrenti, esime dall’esame «incrociato» del ricorso
principale e, conseguentemente, dall’esame dei
successivi motivi di appello che rimangono,
quindi, assorbiti, poiché deve essere dichiarato
inammissibile il ricorso principale di primo
grado.
Consiglio di Stato Sez. V 6.10.2015 n. 4650
Aggiudicazione definitiva - atto di revoca –
mancata indicazione dell'ammontare dell'indennizzo - legittimità.
In materia di contratti della P.A., il potere di
revocare l’aggiudicazione definitiva di una gara ben può trovare fondamento, in via generale,
in specifiche ragioni di pubblico interesse (cfr.,
da ultimo, Consiglio di Stato, sez. V, 21.4.2015,
n. 2013) ed è irrilevante, come ha chiarito la
giurisprudenza, ai fini della sua legittimità, la
circostanza che l’Amministrazione nell’atto di
revoca non abbia indicato anche l’ammontare
dell’indennizzo da liquidare alla parte, atteso
che la mancata previsione dell’indennizzo consente al privato di azionare la relativa pretesa
patrimoniale (in presebza dei relativi presupposti), anche davanti al giudice amministrativo
(cfr CdS, Sez. III, 15.11.2011, n. 6039). È questo il principio da ultimo ribadito dalla Quinta
Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza
del 6.10.2915 n. 4650.
Consiglio di Stato Sez. III 2.10.2015 n. 4617
Gare: per i requisiti di moralità in caso di
Gazzetta Amministrativa
-205-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
so una dichiarazione che pur se sostanzialmente ‘omnicomprensivà delle informazioni richieste dalla PA, sia stata espressa in forma sintetica (ma - si badi - non per questo linguisticamente e sintatticamente meno completa) anzicchè in forma analitica. Essendo ben noto - come teorizzato ed affermato in ogni sistema speculativo che si basi su criteri logici - che le
formule definitorie ‘sintetichè non sono - per il
semplice fatto di essere tali - fisiologicamente
(e strutturalmente) meno efficaci e meno complete di quelle analitiche".
gara) di una più analitica, dettagliata e completa dichiarazione resa per loro (e sul loro
conto) dalla società aggiudicataria; b) e che
anche la questione relativa all’asserita invalidità o inefficacia delle dichiarazioni rese dai
soggetti che avevano ceduto all’aggiudicataria
rami d’azienda di loro società (...), ben poteva
ritenersi - come ha fatto l’Amministrazione non costitutiva di alcun reale intralcio
all’aggiudicazione, posto che per analoga fattispecie (relativa a cessione di ramo d’azienda)
l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato
(CdS, Ad.Plen. 16.10.2013 n.23) aveva già statuito - vista la non univocità della normativa
(ingenerante incertezza in ordine alla sussistenza dell’obbligo a carico dei suddetti ‘soggetti cedenti’) - che finanche la totale omissione della dichiarazione (condotta più grave di
quella dedotta in giudizio, consistente nell’aver
formulato la dichiarazione in maniera asseritamente troppo generica) non giustifica
l’esclusione dalla gara. E che pertanto nei casi
di tal fatta (lo si ribadisce: di cessione di ramo
d’azienda) deve applicarsi il principio secondo
cui l’esclusione va disposta non già per il fatto
(puramente formale) della mera omissione della dichiarazione, ma solamente in ragione ed a
cagione dell’acclarata assenza (fatto rilevante
e dirimente in quanto sostanziale) dei requisiti
di moralità (C.D., Ad.Pl., 16.10.2013 n.23).
Principio, quest’ultimo, che è informato a criteri di sostanziale giustizia. E che, ad avviso del
Collegio, ben può essere esteso a tutte le fattispecie; non apparendo giusto né equo - ed è
questa un’ulteriore ed assorbente ragione per
ritenere infondata la doglianza dell’appellante
- che un soggetto che possa dimostrare - eventualmente anche mediante strumenti procedimentali di c.d. “soccorso istruttorio” - di avere
tutti i prescritti requisiti morali (oltre agli altri
richiesti dal bando), e che abbia inteso dichiarare in buona fede di esserne in possesso, sia
escluso da una procedura concorsuale per il
solo e semplice fatto di aver errato nella esposizione delle sue affermazioni al riguardo (o
per il semplice fatto di essersi discostato dalla
pedissequa e formale riproduzione del modello
di dichiarazione prescritto nel bando). Ovvero ciò che è peggio - che venga escluso dalla gara
(lo si ribadisce: non ostante il possesso di tutti i
requisiti) per il solo e semplice fatto di aver reGazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 2.10.2015 n. 4617
Appalti - poteri del Presidente del CdA della
società aggiudicataria - sottoscrizione contratto di avvalimento.
Quando un’impresa intenda avvalersi (mediante stipula di un c.d. ‘contratto di avvalimento’)
dei requisiti finanziari di un’altra, la prestazione (oggetto specifico dell’obbligazione) è costituita non già dalla messa a disposizione da parte dell’impresa ausiliaria di strutture organizzative e mezzi ‘materiali’, ma dal suo impegno
a “garantire” con le proprie complessive risorse economiche - il cui indice è costituito dal fatturato - l’impresa ‘ausiliatà (munendola, così,
di un requisito che altrimenti non avrebbe e
consentendole di accedere alla gara nel rispetto delle condizioni poste dal Bando) (C.S., III^,
6.2.2014 n.584) In altri termini ciò che la impresa ausiliaria ‘prestà alla (rectius: mette a
disposizione della) ‘impresa ausiliatà è il suo
valore aggiunto in termini di “solidità finanziaria” e di acclarata “esperienza di settore”, dei
quali il fatturato costituisce indice significativo.
Ne consegue che non occorre che la dichiarazione negoziale costitutiva dell’impegno contrattuale si riferisca a specifici beni patrimoniali o ad indici materiali atti ad esprimere una
determinata consistenza patrimoniale(dunque
alla messa a disposizione di beni da descrivere
ed individuare), essendo sufficiente che da essa
(dichiarazione) emerga l’impegno (contrattuale) della società ausiliaria a ‘prestarè (ed a
mettere a disposizione della c.d. società ausiliata) la sua complessiva solidità finanziaria ed il
suo patrimonio esperienziale, e garantire con
essi una determinata affidabilità ed un concreto
supplemento di responsabilità. Sono questi i
principi ribaditi dalla Terza Sezione del Consi-206-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
Secondo la costante giurisprudenza del
Consiglio di Stato, le difformità essenziali
nell’offerta
tecnica
che
rivelano
l’inadeguatezza
del
progetto
proposto
dall´impresa offerente rispetto a quello posto a
base di gara - ne legittimano l’esclusione da
quest’ultima, e non già la mera ‘penalizzazionè
dell´offerta nella valutazione del punteggio da
assegnare, a causa della mancanza di un
elemento essenziale per la formazione
dell’accordo necessario per la stipula del
contratto. È questo il principio ribadito dalla
Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 23.9. 2015 n. 4460.
glio di Stato nella sentenza del 2.10.2015 n.
4617 nella quale, peraltro, il Collegio ha ritenuto del pari infondata la censura con la quale
l’appellante lamenta che il Presidente della società aggiudicataria non aveva i necessari poteri (cc.dd. “poteri di rappresentanza”) per sottoscrivere il contratto di avvalimento, non essendo
stato
espressamente
autorizzato
dall’Assemblea dei soci. La giurisprudenza afferma, al riguardo, che gli Amministratori (ed
il Presidente del Consiglio di Amministrazione)
delle società di capitali possono compiere tutti
gli atti che rientrano nell’”oggetto sociale”
della società amministrata (Cass., I^, 3.3.2010
n.5152). Ne consegue che tutti gli atti di tal genere (rientranti, cioè, nell’oggetto sociale in
quanto fisiologicamente orientati al raggiungimento degli obiettivi statutari), vanno considerati “ordinari”. E proprio perché compiuti
nell’esercizio
dell’”ordinaria”
gestione
dell’impresa, costituiscono, per essa, “atti di
ordinaria amministrazione”, che - perciostesso
- ben possono essere compiuti dai soggetti che
esercitano poteri di amministrazione e che
hanno la rappresentanza del soggetto giuridico
che esercita l’attività d’impresa. Sicchè, essendo evidente che l’atto di sottoscrizione di un
contratto di avvalimento per la partecipazione
ad una gara costituisce un atto di ordinaria
amministrazione nel senso testè indicato - in
quanto fisiologicamente volto a realizzare, quale “fatto di ordinaria gestione”, gli obiettivi
statutari - non appare revocabile in dubbio che
il Presidente del CdA ben potesse sottoscriverlo
nell’ordinario esercizio dei suoi poteri di rappresentanza e senza alcuna specifica autorizzazione al riguardo da parte dell’Assemblea dei
soci. Precisa inoltre il Collegio come se a ciò si
aggiunge che nella fattispecie non risulta che
fossero operanti espresse limitazioni statutarie
agli ordinari poteri di amministrazione e che in
pendenza di giudizio è stata prodotta la delibera del CdA che autorizzava il Presidente della
società a sottoscrivere il contratto di avvalimento, non resta che concludere che la condotta della Stazione appaltante resiste sotto ogni
profilo alla doglianza in esame.
Consiglio di Stato Sez. V 11.9.2015 n. 4253
In house providing e partenariato pubblicoprivato - presenza di un socio privato nella
compagine sociale della società esclude il
controllo analogo.
La controversia sottoposta alla Quinta Sezione
del Consiglio di Stato riguarda la gestione dei
rifiuti urbani del Comune di Spilimbergo,
affidata alla s.p.a. appellante con la
deliberazione di quel Consiglio Comunale,
tempestivamente impugnata. Il Consiglio di
Stato nella sentenza del 11.9.2015 n. 4253 ha
condiviso le argomentazioni del primo giudice,
che rileva come la presenza di un socio privato
nell’ambito della compagine sociale della s.p.a.
appellante esclude che nei suoi confronti la
stazione appaltante eserciti un controllo
analogo a quello che esercita nei confronti dei
propri uffici. Ad avviso del Consiglio di Stato la
tesi del primo giudice è conforme a
giurisprudenza sostanzialmente pacifica. C. di
S., A.P., 3.3.2008, n. 1, ha infatti affermato che
solo la partecipazione totalitaria delle
amministrazioni pubbliche, e la totale assenza
di soggetti privati nella compagine sociale,
consentono di ravvisare nel soggetto affidatario
la sottoposizione al cosiddetto “controllo
analogo”
(l’orientamento
consacrato
dall’Adunanza Plenaria è pacificamente
seguito dalla giurisprudenza successiva: da
ultimo, CdS, III, 27.04.2015, n. 2154). La stessa
sentenza dell’Adunanza Plenaria ha inoltre
affermato espressamente che esula dal sistema
dell’“in house providing” il diverso fenomeno
del cosiddetto “partenariato pubblico privato” al quale sembra riconducibile
Consiglio di Stato Sez. V 23.9.2015 n. 4460
Appalti - difformità essenziali nell’offerta
tecnica - conseguenze.
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
conclude il Consiglio di Stato - non può, in
quindi, essere condiviso.
l’assetto della s.p.a. appellante. Il principio
affermato dall’Adunanza Plenaria è applicabile
al caso che ha originato la presente
controversia, nel quale è pacifico che le
amministrazioni che l’hanno costituita non
esercitano, sulla s.p.a. appellante, un controllo
totalitario, in quanto fra di esse se ne trova una
partecipata, all’epoca, da soggetti privati. Le
parti appellanti obiettano, sulla base del parere
della Seconda Sezione di questo Consiglio di
Stato 30.1.2015, n. 298, che il principio
affermato dall’Adunanza Plenaria non è
ulteriormente applicabile in quanto l’art. 12,
par. 1, della direttiva 2014/24 ammette
l’esistenza del controllo analogo anche in casi
in cui il soggetto che opera in regime
privatistico è partecipato da soggetti privati,
purché tale partecipazione sia ristretta nei
limiti ivi stabiliti. Ad avviso della Seconda
Sezione, fatto proprio dagli appellanti, il
richiamato art. 12, par. 1, avendo contenuto
sufficientemente preciso, è immediatamente
applicabile
nel
nostro
ordinamento.
L’orientamento espresso dalla Seconda Sezione
non è condiviso dal Collegio che condivide,
invece, quanto diversamente affermato dalla
Sesta Sezione con la sentenza 26.05.2015, n.
2660. Osserva, infatti, il Collegio che il
legislatore comunitario ha individuato un
termine per il recepimento della suddetta
direttiva nei diversi ordinamenti nazionali, e
che tale termine è ancora pendente. Il
legislatore comunitario ha quindi attribuito ai
legislatori
nazionali
una
sfera
di
discrezionalità nell’individuazione dei tempi
per la trasposizione dei nuovi principi nei
diversi ordinamenti, e per il necessario
coordinamento con la normativa interna
vigente. Tali elementi impongono di escludere
che i nuovi principi acquistino immediata
efficacia nei singoli ordinamenti nazionali,
fermo restando che gli stessi diventeranno
immediatamente applicabili (ove suscettibili di
utilizzazione immediata in ragione della loro
sufficiente specificazione). Tra l’altro, in forza
dell’art. 12 della nuova direttiva appalti, le
“forme di partecipazione di capitali privati”
devono essere “prescritte dalle disposizioni
legislative nazionali, in conformità dei
trattati”. Nella specie, tale ulteriore condizione
non sussiste. Il ragionamento degli appellanti Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 14.9.2015 n. 4257
Farmacie: nessun limite alla distribuzione
dei prodotti anche al di fuori del proprio
contesto territoriale.
Il TAR lombardo nel giudizio di primo grado ha
osservato che, in base al principio della libera
concorrenza di derivazione europea, le
farmacie possono distribuire i loro prodotti
sull’intero territorio nazionale e, pertanto, non
è inibita alla Farmacia la possibilità di
distribuire le sacche anche al di fuori del
proprio contesto territoriale, soprattutto in «un
disegno legislativo ormai ineluttabilmente
orientato verso la rimozione delle restrizioni
all’ingresso di nuovi operatori sul mercato, con
l’implementazione dell’erogazione dei farmaci,
attraverso un’equa distribuzione delle farmacie
nel territorio ed una migliore accessibilità del
servizio per i residenti in aree scarsamente
abitate» Tale conclusione è tuttavia contestata
dall’appellante, la quale eccepisce che è fuori
luogo invocare il principio di libera
concorrenza perché la posizione del farmacista
non è assimilabile a quella di qualsivoglia altro
imprenditore e soggiace ad un limite
territoriale d’azione, venendo vanificato,
altrimenti, l’intento prefigurato dal legislatore
attraverso la pianta organica delle farmacie. Il
Consiglio di Stato Sez. III con la sentenza del
14.9.2015 n. 4257 ha respinto tale motivo di
censura affermando che "Non si rinviene
nell’ordinamento alcun principio o alcun
divieto legislativo che inibisca al farmacista di
preparare le sacche anche per pazienti che si
trovino al di fuori della propria circoscrizione
territoriale, senza per questo venir meno
all’obbligo primario di garantire il servizio,
come è ovvio, alla collettività territoriale di
riferimento. L’unità e l’estemporaneità delle
preparazioni galeniche non sono poi
pregiudicate dal fatto che esse vengano
preparate in grandi quantità, poiché non si
tratta di preparazioni prodotte serialmente e,
cioè, in modo eguale, ripetuto e continuativo,
ma di miscele consegnate ai pazienti sulla base
di una specifica prescrizione medica
personalizzata. Viene dunque a cadere
l’assunto di fondo, sotteso all’intera censura, e
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
5753). Quanto, poi, alla pretesa irrilevanza del
vincolo di parentela intercorrente tra il
soggetto gravato da tali imputazioni e due dei
tre socii (moglie e figlio, quest’ultimo anche
nominato amministratore unico contestualmente alla acquisizione delle quote) della
società di cui si tratta, se deve qui ribadirsi che
questi, in sé considerati, non possono essere
ritenuti idonei a supportare autonomamente
una informativa prefettizia antimafia negativa (
ma assumono rilievo qualora emerga un
intreccio di interessi economici e familiari, dai
quali sia possibile desumere la sussistenza
dell´oggettivo pericolo che rapporti di
collaborazione intercorsi a vario titolo tra
soggetti inseriti nello stesso contesto familiare
costituiscano strumenti volti a diluire e
mascherare l´infiltrazione mafiosa nell´impresa
considerata: C.G.A. Reg. Sicilia Sez.
giurisdizionale, n. 227 del 29.02.2012 ), rivela
qui portata dirimente il fatto che il soggetto “a
rischio” si è “defilato” dalla compagine
sociale ( quale socio e procuratore speciale ),
con una cessione di quote in favore di soggetti
inseriti nello stesso ristretto contesto familiare,
a ridosso della emanazione dell’interdittiva
del.1.2013 ( e precisamente circa un mese
prima,
pendente
il
procedimento
di
accertamento antimafia attivato su richiesta di
Rete Ferroviaria Italiana ) e per di più con un
negozio di donazione; elementi, questi, che,
unitamente alla giovane età ( 22 anni ) del
figlio convivente assurto al ruolo di socio e per
circa undici mesi anche di amministratore,
convergono tutti nel delineare la finalità
elusiva dei controlli previsti dalla legislazione
antimafia della fuoruscita dalla società di detto
soggetto, correttamente pertanto in tal senso
sottolineata dall’impugnata ultima nota
informativa".
cioè che, per le proprie caratteristiche
intrinseche, le sacche contenenti le miscele
allestite su prescrizione medica personalizzata
non siano preparazioni galeniche magistrali,
ma medicinali industrialmente prodotti.
Conclude il Collegio rilevando come il numero
di sacche non muta la natura delle sacche, nel
senso che, se si tratta – come nel caso di specie
si tratta – di sacche galeniche magistrali, che
sia uno, cento o diecimila, le farmacie hanno
piena legittimazione ad allestirle in virtù di
quanto prevede l’art. 3, co. 1, lett. a), del d. lgs.
219/2006."
Consiglio di Stato Sez. III 11.9.2015 n. 4251
Lotta antimafia - informative prefettizie fatti e vicende aventi valore sintomatico ed
indiziario - fondamento.
Le informative prefettizie in materia di lotta
antimafia possono essere fondate su fatti e
vicende aventi valore sintomatico ed indiziario
e mirano alla prevenzione di infiltrazioni
mafiose e criminali nel tessuto economico
imprenditoriale. È questo il principio sancito
dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 11.9.2015 n. 4251 nella quale si
chiarisce come "L´informativa antimafia deve,
quindi, fondarsi su di un quadro fattuale di
elementi, che, pur non dovendo assurgere
necessariamente a livello di prova (anche
indiretta), siano tali da far ritenere
ragionevolmente,
secondo
l´"id
quod
plerumque accidit", l´esistenza di elementi, che,
secondo il prudente apprezzamento del
Prefetto, sconsigliano l´instaurazione di un
rapporto con la p.a. (Consiglio Stato sez. VI,
29.02.2008, n. 756). Il giudizio del Prefetto è
quindi connotato da un margine di
apprezzamento riservato, che il giudice
amministrativo può sindacare solo nei casi
limite in cui il giudizio relativo al pericolo di
infiltrazione si basi su mere congetture o
sospetti; e tali non possono certo considerarsi i
fatti che hanno portato a vere e proprie
imputazioni penali, aventi nel caso di specie
indubbio carattere sintomatico ed indiziario del
pericolo stesso in senso oggettivo, al di là
dell´individuazione, tuttora di là da venire, di
precise responsabilità penali (CdS, Sez. IV,
13.10.2003, n. 6187; 25.07.2001, n. 4065; sez.
VI, 29.10.2004, n. 4065; CdS IV, 2.10.2006, n.
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. V 11.9.2015 n. 4249
Gare d´appalto: il soccorso istruttorio può
giungere fino al completamento di
dichiarazioni esistenti.
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 11.09. 2015 n. 4249 ha affermato
che: "Deve essere osservato che l’istituto del
“soccorso istruttorio”, di cui all’art. 46 del
d.lgs. 12.4.2006, n. 163, è espressione del
tradizionale
principio
della
massima
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
appaltante assegna al concorrente un termine,
non superiore a dieci giorni, perché siano rese,
integrate o regolarizzate le dichiarazioni
necessarie, indicandone il contenuto e i
soggetti che le devono rendere. Nei casi di
irregolarità non essenziali, ovvero di mancanza
o incompletezza di dichiarazioni non
indispensabili, la stazione appaltante non ne
richiede la regolarizzazione, né applica alcuna
sanzione. In caso di inutile decorso del termine
di cui al secondo periodo il concorrente è
escluso dalla gara. Ogni variazione che
intervenga, anche in conseguenza di una
pronuncia giurisdizionale, successivamente alla
fase di ammissione, regolarizzazione o
esclusione delle offerte non rileva ai fini del
calcolo di medie nella procedura, né per
l´individuazione della soglia di anomalia delle
offerte”. È evidente che “ratione temporis”
nella presente controversia non è applicabile la
sanzione prevista dalla norma appena
riportata; la norma è peraltro espressione
dell’evoluzione legislativa volta a privilegiare
gli
aspetti
sostanziali
delle
vicende
amministrative, nel solco tracciato dall’art. 21
octies della l. 7.8.1990, n. 241. Deve inoltre,
“ad abundantiam”, essere rilevato che
l’aggiudicataria ha espressamente dichiarato il
possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38
del d. lgs. 12.4.2006, n. 163. La stazione
appaltante ha quindi immediatamente avuto a
disposizione un atto dal quale si ricava anche
la situazione personale del socio di
maggioranza. Tale atto ulteriormente conferma
la legittimità della decisione di ricorrere al
soccorso istruttorio in modo da eliminare ogni
possibile incertezza. Ancora, deve essere
osservato che l’art. 3 del disciplinare di gara
(dal titolo “Clausole espresse di esclusione e
soccorso istruttorio”) non commina in modo
univoco l’esclusione dalla procedura in
relazione ad eventuali imperfezioni della
dichiarazione
richiesta
al
socio
di
maggioranza, mentre, di contro, commina
l’esclusione in caso di mancato possesso dei
requisiti di carattere generale. Infine, deve
essere rilevato che la stazione appaltante ha
proceduto a verificare in relazione a tutti i
partecipanti alla gara l’eventuale presenza, sul
casellario informatico consultabile presso
l’Autorità di Vigilanza sui Contratti della
partecipazione alle gare d’appalto, necessaria
per assicurare all’Amministrazione la massima
concorrenza fra le imprese, e quindi il miglior
risultato economico (in termini CdS, VI,
30.4.2015, n. 2203). In tale ottica il legislatore
con il citato art. 46 ha voluto evitare che
l’aggiudicazione degli appalti avvenga sulla
base di inutili formalismi, che sviano dal
raggiungimento
del
miglior
risultato
sostanziale senza nulla aggiungere alla
trasparenza dell’attività amministrativa. CdS,
III, 23.01.2015, n. 293, che il Collegio
condivide, ammette esplicitamente che il
soccorso istruttorio può giungere fino al
completamento di dichiarazioni esistenti. Alla
luce dei principi di diritto appena riassunti
osserva il Collegio che, nel caso di specie,
l’Amministrazione ha chiamato i partecipanti
alla gara a predisporre una dichiarazione assai
elaborata, che per il suo contenuto complesso
si prestava ad errori di compilazione. Una
volta accertato che l’odierna appellata non ha
occultato alcuna circostanza significativa,
trovandosi nelle condizioni di legge per
partecipare all’appalto, l’incompletezza della
sua dichiarazione è palesemente ascrivibile ad
errore materiale. In tale situazione, non
ammetterla a beneficiare del soccorso
istruttorio avrebbe la conseguenza di affidare
la conclusione del contratto ad adempimenti di
mera forma, allontanando la conclusione del
procedimento dal suo obiettivo, costituito
dall’individuazione della migliore offerta.
Giova sottolineare come i suddetti principi
siano ulteriormente sottolineati nell’evoluzione
legislativa successiva ai fatti di causa, in
quanto l’art. 38, co. secondo bis, del d. lgs.
12.4.2006, n. 163, introdotto dall’art. 39, primo
co., del d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con
modificazioni, dalla l. 11.8.2014, n. 114, ha
stabilito che “la mancanza, l´incompletezza e
ogni altra irregolarità essenziale degli elementi
e delle dichiarazioni sostitutive di cui al co. 2
obbliga il concorrente che vi ha dato causa al
pagamento, in favore della stazione appaltante,
della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di
gara, in misura non inferiore all´uno per mille
e non superiore all´uno per cento del valore
della gara e comunque non superiore a 50.000
euro, il cui versamento è garantito dalla
cauzione provvisoria. In tal caso, la stazione
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
rimanda per completezza, anche ai sensi
dell’art. 74 c.p.a.), proprio l’oggetto della gara
esclude la legittimità dell’affidamento ad un
soggetto il cui legale rappresentante sia stato
condannato per i surriportati reati, incidenti
sulla correttezza personale e professionale del
legale rappresentate della società concorrente.
A questo proposito, vale anche ricordare che,
come sottolinea la sentenza in esame, la
valutazione circa il requisito dell’affidabilità
dell’impresa concorrente ad una gara pubblica
è riservata all’Amministrazione, ed è frutto di
una valutazione sulla quale il sindacato
giurisdizionale deve mantenersi “sul piano
della verifica della non pretestuosità della
valutazione degli elementi di fatto esibiti come
ragioni del rifiuto” (Cass., Sez. unite,
17.2.2012, n. 2312). Questo principio,
enucleato con specifico riferimento alle ipotesi
di cui all’art. 38, lett. f) del d.lgs. n. 163 del
2006 in cui l’esclusione procede da una
valutazione circa la grave negligenza o
malafede nell´esecuzione delle prestazioni
affidate dalla stazione appaltante che bandisce
la gara o dall’accertamento di un errore grave
commesso nell´esercizio dell’attività professionale, è tanto più valido laddove si versi,
come nella fattispecie in esame, in una ipotesi
contemplata dalla precedente lett. c), relativa
ai soggetti nei cui confronti è stata pronunciata
sentenza di condanna per reati che
necessariamente comportano negligenza o
malafede, e che sono direttamente incidenti
sulla fiducia che deve legare i contraenti
nell’ambito della contrattazione pubblica, quali
sono quelli sopra ricordati.
Pubblica Amministrazione, di annotazioni
ostative alla stipula del contratto ai sensi
dell’art. 38 del codice degli appalti, più volte
citato, accertando la loro insussistenza. La
decisione di procedere al soccorso istruttorio è
stata quindi preceduta da idonea istruttoria.
Consiglio di Stato Sez. VI 10.9.2015 n. 4228
Appalti: l’esclusione del concorrente che non
ha dichiarato le sentenze riportate, risultanti
dal casellario giudiziale né la pendenza di
altri carichi penali, con richiesta di rinvio a
giudizio.
L’art. 38, co. 1, lett. c), del codice dei contratti
pubblici, secondo cui sono esclusi dalla
partecipazione alla procedure di affidamento i
soggetti “nei cui confronti è stata pronunciata
sentenza di condanna passata in giudicato, o
emesso decreto penale di condanna divenuto
irrevocabile, oppure sentenza di applicazione
della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444
del c.p.p., per reati gravi in danno dello Stato o
della Comunità che incidono sulla moralità
professionale”, legittima, infatti, l’esclusione
del concorrente che, come nella fattispecie in
esame, non abbia dichiarato le sentenze
riportate, risultanti dal casellario giudiziale
(sentenza irrevocabile di applicazione della
pena su richiesta delle parti a due anni di
reclusione e sospensione condizionale per il
reato di bancarotta fraudolenta, sentenza
passata in giudicato per violazione dei sigilli,
violazione delle norme in materia di controllo
dell’attività urbanistico-edilizia, violazione del
TU delle leggi sanitarie), né la pendenza di
altri carichi penali, con richiesta di rinvio a
giudizio, di cui al relativo certificato. Non è,
del resto, dubitabile che le suddette condanne
debbano essere ricomprese tra quelle
considerate dalla norma in riferimento, e siano
tali da incidere gravemente sulla affidabilità e
sulla moralità professionale del soggetto,
soprattutto se poste in relazione all’oggetto
della
procedura
di
gara,
relativa
all’affidamento di servizi in favore della
collettività e da svolgersi su bene demaniale.
Come questo Consiglio di Stato ha rilevato in
fattispecie del tutto analoga, su ricorso
proposto da altra società cooperativa
partecipante alla medesima procedura (sez. VI,
12.6.2015, n. 2897, alla cui motivazione si
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 4.9.2015 n. 4120
Farmacie comunali: la sentenza del
Consiglio di Stato sull'in house providing.
Nella sentenza inesame il Consiglio di Stato
precisa che "Allo stato e pur dopo l’abolizione
dell’art. 23 bis del d.l. 112/2008 e del
conseguente art. 15 del d.l. 25.09. 2009 n. 135
(conv. modif. dalla l. 20.11.2009 n. 166) ad
opera del referendum ed in forza del d.P.R.
18.7.2011 n. 113, gli artt. 113 e ss. del d. lgs.
18.8.2000 n. 267 ha regolato l´intera materia
sulle forme giuridiche di prestazione dei servizi
pubblici locali, determinando l´abrogazione
delle leggi anteriori che regolavano quelle
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
inerenti ai i singoli servizi. Sicché il sistema di
gestione dei servizi farmaceutici comunali ex
art. 9, I c. della l. 475/1968 è stato abolito,
pure nella parte in cui previde che le farmacie
comunali potevano esser gestite mediante
società di capitali, seppur a condizione che
avessero come soci i farmacisti i quali, all´atto
della costituzione di queste ultime, fossero in
servizio nelle farmacie di cui il Comune avesse
la titolarità (cfr. così Cons. St., III, 9.07.2013 n.
3647). Come si vede, l’abolizione sia del DL
112/2008, sia del d.l. 135/2009 ha
definitivamente ricondotto i metodi di gestione
delle sedi farmaceutiche sotto l’imperio della
disciplina unitaria ed esclusiva recata dall’art.
113 del TUEL, onde non vi sono più,
quand’anche vi fossero mai state, preclusioni
all’in house providing. Ma tali preclusioni, al
di là dell’opera di razionalizzazione
discendente da detto referendum, neppure si
sarebbero potute dire esistenti sotto la vigenza
del ripetuto art. 9, I c., almeno per quanto
attiene al mantenimento del servizio
farmaceutico in mano pubblica. Infatti,
l’impresa in house, appunto grazie al c.d.
“controllo analogo”, costituisce al contempo la
nuova forma dell’azienda speciale ed il modello
ordinario (e non certo derogatorio) di gestione
pubblica dei servizi pubblici locali. Proprio per
questo, pare al Collegio che nessuna utilità
giuridica può esser ritratta dall’appellante
dall’eventuale accoglimento del motivo
sull’arresto procedimentale, a suo dire,
rinvenibile nella nota del 21.12.2009, con la
quale l’AGCM ritenne di non rendere il parere
ex art. 23 bis, co. 4 del d.l. 112/2008 che a suo
tempo il Comune le richiese. Infatti, tal avviso
dell’AGCM va letto non necessariamente come
atto negativo (e, nella prospettazione
dell’appellante, statuizione lesiva), ma come
precisazione della sopravvenuta superfluità del
parere stesso a seguito della novella recata
dall’art. 15, c. 1, lett. a) e a-bis) del DL
135/2009. Poiché quest’ultimo escluse dalla
disciplina generale dei servizi pubblici locali di
rilevanza economica il servizio di gestione delle
farmacie, riconducendolo alla disciplina
dell’art. 9, I co. della l. 475/1968, non si può
dire più necessario detto parere e, al tempo
stesso, preclusa la gestione in house, non
incompatibile con la norma testé citata.
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 11.8.2015 n. 3914
Interdittiva antimafia: i rapporti familiari o
la qualifica di “pluripregiudicato” del padre
dei soci non possono da soli giustificare
l’emissione dell’informativa.
Il Consiglio di Stato, Sezione Terza, nella
sentenza dell´11.08.2015 n. 3914 ha affermato
che seppur sia vero in linea di principio, che i
rapporti familiari non possono da soli
giustificare l’emissione dell’informativa, è del
pari vero che l’esistenza di tali rapporti – tra i
quali, spicca, fra tutti il fratello dei soci,
coniugato con la figlia di un soggetto detenuto
agli arresti domiciliari perché elemento di
spicco della consorteria mafiosa Lo Bianco –
Barba – deve essere considerato unitamente
agli altri significativi elementi, valorizzati
dall’informativa, che i soci di società già
colpite da informative per la loro permeabilità
mafiosa nonché in frequente compagnia di
soggetti controindicati. Invano l’appellante si
richiama alla pronuncia del Consiglio, sez. III,
9.8.2011, n. 4754, poiché tale sentenza ha solo
ribadito, in totale conformità al consolidato
orientamento di questo Consiglio, che
l’esistenza di vincoli familiari o la qualifica di
“pluripregiudicato” del padre dei soci – e,
cioè, nel caso di specie proprio i fratelli – non
può bastare, da sola, a fondare un giudizio di
permeabilità mafiosa, ma non ha escluso
certamente che tali elementi possano essere
valorizzati, in una diversa informativa, insieme
con altri, come nella vicenda qui analizzata.
Consiglio di Stato Sez. III 11.8.2015 n. 3918
Appalti: le irregolarità, l’insufficienza e la
stessa inesistenza della cauzione provvisoria
non possono dar luogo ad esclusione dalla
gara, ma solo ad un “soccorso istruttorio”.
Le irregolarità, l’insufficienza e la stessa
inesistenza della cauzione provvisoria non
possono dar luogo ad esclusione dalla gara, ma
solo ad un “soccorso istruttorio”. È quanto
ribadito dalla Terza Sezione del Consiglio di
Stato nella sentenza del 11.8.2015 n. 3918.
Peraltro, nella vicenda in esame quando è stata
pronunciata l’aggiudicazione definitiva, il
rinnovo della cauzione era stato già effettuato –
mentre
quando
è
stata
pronunciata
l’aggiudicazione provvisoria la cauzione
-212-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
22.11.2013, n. 5542). Una volta conclusa la
fase della valutazione e dunque con
l’aggiudicazione provvisoria, in ogni caso, quel
principio cessa di avere rilievo. Nessuno può
negare che, nella vicenda controversa, la fase
successiva (dall’aggiudicazione provvisoria a
quella definitiva) si sia sicuramente dilatata per
motivi che non è dato conoscere. Tuttavia,
precisa il Consiglio di Stato, se questa
protrazione potrà essere un indice di
amministrazione non particolarmente rapida ed
efficiente, essa non ha alterato l’esito
dell’aggiudicazione provvisoria. Il che
dimostra che nessuna indebita influenza
esterna si può essere esercitata sugli organi
della gara e che il ritardo non ha comunque
leso della società appellante.
originaria non era ancora scaduta benché il
r.u.p. ne avesse già sollecitato il rinnovo.
Pertanto l’Azienda committente non ha avuto
bisogno di ricorrere al “soccorso istruttorio”
in quanto la cauzione era stata già
regolarizzata.
Consiglio di Stato Sez. IV 4.8.2015 n. 3851
Procedure di gara: la valutazione delle
offerte tecniche ed economiche deve avvenire
in una sola seduta, senza soluzione di
continuità.
Violazione del principio di concentrazione e
continuità delle operazioni della gara, è questo
l´argomento esaminato e deciso dalla Quarta
Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza
del 4.8.2015 n. 3851. Ad avviso del Collegio la
valutazione
della
ragionevolezza
nella
scansione dei tempi va effettuata con
riferimento alla fase di espletamento della gara
in senso stretto (che nella vicenda in esame
durava
dal
14.02.2013,
giorno
dell’insediamento della commissione di gara, al
14.05.2013,
data
dell’aggiudicazione
provvisoria). Proprio questa è la fase che viene
in considerazione quando si afferma che le
garanzie
di
imparzialità,
pubblicità,
trasparenza
e
speditezza
dell´azione
amministrativa postulano che le sedute di una
commissione di gara debbano ispirarsi al
principio di concentrazione e continuità.
Discende da questa premessa la conclusione
che, di regola, la valutazione delle offerte
tecniche ed economiche debba avvenire in una
sola seduta, senza soluzione di continuità, al
fine di scongiurare possibili influenze esterne
ed assicurare l´assoluta indipendenza di
giudizio
dell´organo
incaricato
della
valutazione stessa (cfr. da ultimo Cons. Stato,
sez. V, 22.01.2015, n. 257). Nel caso di specie,
d’altronde, occorreva anche tenere conto
dell’esigenza di procedere alla verifica
dell’anomalia dell’offerta, cioè della necessità
di svolgere un incombente che - anche per la
mancanza di limitazioni prefissate al potere di
verifica della stazione appaltante (cfr. Cons.
Stato, sez. VI, 24.08.2011, n. 4801) - può
condurre ad una dilatazione della tempistica di
espletamento delle operazioni di gara, senza
che tale evento possa implicare illegittimità
della procedura (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
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Consiglio di Stato Sez. IV 4.8.2015 n. 3857
Appalti: legittima la clausola che consente
l´escussione della cauzione provvisoria anche
nei confronti di imprese non risultate
aggiudicatarie, ma solo concorrenti.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 4.8.2014 ha annullato la sentenza
del Giudice di prime cure nella parte in cui
aveva ritenuto illegittima la previsione del
disciplinare di gara nella parte in cui non
limita l’escussione della cauzione provvisoria
per mancanza dei requisiti generali di
partecipazione alla gara in capo al concorrente
affidatario del contratto. Ad avviso del
Supremo Consesso, la pronuncia del T.A.R. sul
punto si è posta in contrasto con l’orientamento
affermatosi in giurisprudenza ed in particolare
l´escussione della cauzione provvisoria appare
del tutto coerente con il principio stabilito da
Consiglio di Stato, ad. plen., 10.12.2014 n. 34,
dove si è affermata la legittimità della clausola,
contenuta in atti di indizione di procedure di
affidamento di appalti pubblici, che preveda
l´escussione della cauzione provvisoria anche
nei confronti di imprese non risultate
aggiudicatarie, ma solo concorrenti, in caso di
riscontrata assenza del possesso dei requisiti di
carattere generale di cui all´art. 38 del codice
dei contratti pubblici, approvato con d.lg.
12.04.2006, n. 163.
Consiglio di Stato Sez. VI 16.7.2015 n. 3571
Installazione e gestione dei distributori
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
distributori automatici di cui trattasi, è
propriamente qualificabile come concessione di
servizi, che si differenzia dall’appalto di servizi
in quanto il corrispettivo della fornitura
“consiste unicamente nel diritto di gestire i
servizi, o in tale diritto accompagnato da un
prezzo”, ex art. 3, co. 12, del d.lgs. 12.04.2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture, in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18CE). L’art. 30
(Concessione di servizi) del medesimo Codice
sottrae dette concessioni alle disposizioni
riferite ai contratti pubblici, ma le assoggetta
comunque – in armonia con quanto disposto
nell’art. 27 (Principi relativi ai contratti
esclusi) – al rispetto dei principi di
“economicità, efficacia, imparzialità, parità di
trattamento, trasparenza, proporzionalità”, con
residuale obbligo, pertanto, di procedure
selettive che, anche attraverso una gara
informale, assicurino il rispetto dei principi
stessi......Con il quarto motivo di gravame, in
particolare, si contesta la tipologia contrattuale
prescelta
dall’Amministrazione,
poiché
implicante
“oggettiva
confusione
fra
concessione in uso di spazi pubblici e appalto
di servizi”, con incertezza della normativa
applicabile e alterazione della par condiciodei
concorrenti a favore di quelli con maggiori
disponibilità economiche: quanto sopra, a
seguito della prevista corresponsione di un
canone per l’installazione e la permanenza in
loco dei distributori, senza miglioramento del
servizio offerto e con indebito arricchimento
dell’Amministrazione. Improprio, in primo
luogo, appare il riferimento all’appalto,
anziché alla concessione di servizi. Con
quest’ultima una pubblica amministrazione
trasferisce ad altro soggetto la gestione di un
servizio,
che
la
medesima
potrebbe
direttamente (ma non può o non intende)
svolgere nei confronti di utenti terzi. Il
concessionario – a differenza di quanto avviene
nell’appalto di servizi (nell’ambito del quale
l’Amministrazione riceve dal contraente una
prestazione ad essa destinata, in cambio di un
corrispettivo) - ottiene il proprio compenso non
già dall’Amministrazione ma dall’esterno,
ovvero dal pubblico che fruisce del servizio
stesso, svolto dall’impresa con assetto
organizzativo autonomo e con strumenti
automatici - concessione servizi attraverso
un contratto atipico.
La questione sottoposta all’esame del
Consiglio di Stato concerne una fattispecie
contrattuale mista o atipica, in quanto
implicante sia una concessione d’uso di spazio
pubblico (sedi dell’Azienda regionale per il
Diritto allo Studio Universitario), sia una
concessione di servizi, che l’ente pubblico
intende affidare a terzi, tramite installazione di
distributori automatici di bevande e snack:
servizi, quelli indicati, con evidenza diversi da
quelli istituzionali dell’ente, ma riconducibili a
utilità accessorie, per esigenze connesse alla
continuità della presenza in sede del personale,
nonché degli utenti del vero e proprio servizio
pubblico universitario. La possibilità di ristoro
alimentare all’interno delle strutture in
questione costituisce, infatti, non solo un palese
miglioramento delle condizioni materiali di
lavoro dei dipendenti, ma anche una
facilitazione materiale dell’offerta culturale a
diretto vantaggio dei frequentatori (docenti e
discenti) dell’ateneo. Un contratto atipico,
espressione di autonomia negoziale, non è
d’altra parte estraneo all’ambito dell’attività
contrattuale
di
diritto
privato,
che
l’Amministrazione è abilitata a svolgere, pur
nell’osservanza delle regole procedurali
pubblicistiche circa la formazione della volontà
negoziale e l’individuazione del contraente, per
rispettare i parametri di buon andamento e
imparzialità di cui all’art. 97 della Cost.. Il
raggiungimento degli obiettivi di interesse
pubblico perseguiti – anche attraverso
esternalizzazione di alcuni servizi – non
richiede quindi, necessariamente, il ricorso a
forme contrattuali tipiche disciplinate dalla
legge, ma può all’occorrenza essere modulato
in termini particolari, eventualmente misti,
benchè col minore possibile discostamento,
rispetto ad anologhe fattispecie tipizzate e,
comunque, nel rispetto dei concorrenti
parametri legislativi (di natura mista, a titolo
esemplificativo, sono stati ritenuti i contratti,
rispondenti a criteri di housing sociale, nonché
i contratti di sponsorizzazione: cfr., per il
principio, CdS, Ad. plen., 30.1.2014, n. 1; V,
1.7.2014, n. 4358; VI, 31.7.2013, n. 4034 e
12.11.2013, n. 5378). La prestazione,
concernente l’installazione e la gestione dei
Gazzetta Amministrativa
-214-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
l’occupazione dello spazio occupato dai
distributori, con fruizione di energia elettrica,
nonché dei servizi di pulizia e custodia dei
locali interessati non solo non implicasse un
indebito arricchimento dell’Amministrazione,
ma assicurasse una corretta gestione di risorse
pubbliche (da non dissipare né cedere
gratuitamente in occasione di una gara),
evitando al tempo stesso ingiustificati margini
di utile per il gestore, a seguito dell’omessa
copertura di parte dei costi del servizio.
Infondato appare anche il quinto motivo di
gravame, in cui si contestano l’assenza di
copertura normativa per l’imposizione di un
canoneconcessorio
e l’entità
eccessiva
dell’importo al riguardo fissato. Una volta
ammessa, infatti, la natura atipica del contratto
e la sussistenza di une vera e propria
concessione d’uso di spazi pubblici, il carattere
oneroso di quest’ultima risponde ai principi
generali, che configurano il canonecome
corrispettivo per l’uso esclusivo o speciale di
beni pubblici, con carattere discrezionale delle
scelte per la relativa determinazione (cfr. in tal
senso, per il principio, Cass., SS.UU.
12.10.2011, n. 20939, 28.06.2006, n. 14864 e
25.01.2007, n. 1613; Cons. Stato, V, 1.08.2007,
n. 4270).
privatistici, come è usuale per i servizi
alimentari, come quello in esame. Sul piano
economico,, il rapporto complessivo è dunque
trilaterale, poiché coinvolge l’Amministrazione
concedente (che resta titolare della funzione
trasferita), il concessionario e il pubblico. Il
concessionario utilizza quanto ottiene in
concessione (nel caso specie: il servizio con
l’utilizzo di spazi interni alla sede dell’ente
pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo come richiede il diritto europeo - il rischio
economico connesso alla gestione del servizio,
svolto con mezzi propri; per godere delle
risorse
materiali
appartenenti
all’Amministrazione, il medesimo normalmente
corrisponde un canone e non riceve
dall’Amministrazione alcun corrispettivo. In
conformità al già ricordato art. 30 del Codice
dei
contratti
pubblici,
infatti,
«la
controprestazione [dell’Amministrazione] a
favore del concessionario consiste unicamente
nel diritto [dato al concessionario] di gestire
funzionalmente e di sfruttare economicamente
[verso
il
pubblico]
il
servizio».Le
prospettazioni dell’appellante non appaiono
dunque condivisibili, in rapporto alla
configurazione – già ritenuta ammissibile
nell’ambito della presente pronuncia – del
contratto da stipulare nel caso di specie come
contratto misto, o atipico, avente i caratteri
propri della concessione in uso di suolo
pubblico e della concessione di servizi. Non si
comprende d’altra parte (né comunque è stato
dimostrato) perché la previsione di un canone –
da considerare coperto dai ricavi del servizio
stesso e non da corrispondere anticipatamente
– avrebbe privilegiato le imprese con una
situazione generale di maggiore liquidità: tutti i
partecipanti alla gara si trovavano infatti in
analoga posizione, in rapporto ai possibili
ricavi e, per tutti, la disponibilità del bene
pubblico costituiva pari chance di guadagno,
con piena possibilità di valutare le condizioni
previste dal bando all’atto della presentazione
delle offerte. La par condicio da assicurare
nelle procedure di gara, d’altra parte, si
riferisce alle modalità dipartecipazione, non ai
requisiti soggettivi o alle condizioni
economiche di partenza dei concorrenti.
Correttamente, peraltro, l’Amministrazione
rileva come la previsione di un canone per
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 16.7.2015 n. 3571
Installazione e gestione dei distributori
automatici: la concessione di servizi
attraverso un contratto atipico.
La questione sottoposta all’esame del
Consiglio di Stato concerne una fattispecie
contrattuale mista o atipica, in quanto
implicante sia una concessione d’uso di spazio
pubblico (sedi dell’Azienda regionale per il
Diritto allo Studio Universitario), sia una concessione di servizi, che l’ente pubblico intende
affidare a terzi, tramite installazione di distributori automatici di bevande e snack: servizi,
quelli indicati, con evidenza diversi da quelli
istituzionali dell’ente, ma riconducibili a utilità
accessorie, per esigenze connesse alla continuità della presenza in sede del personale, nonché
degli utenti del vero e proprio servizio pubblico
universitario. La possibilità di ristoro alimentare all’interno delle strutture in questione costituisce, infatti, non solo un palese miglioramento delle condizioni materiali di lavoro dei di-215-
Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
sta la tipologia contrattuale prescelta
dall’Amministrazione, poiché implicante “oggettiva confusione fra concessione in uso di
spazi pubblici e appalto di servizi”, con incertezza della normativa applicabile e alterazione
della par condiciodei concorrenti a favore di
quelli con maggiori disponibilità economiche:
quanto sopra, a seguito della prevista corresponsione di un canone per l’installazione e la
permanenza in loco dei distributori, senza miglioramento del servizio offerto e con indebito
arricchimento dell’Amministrazione. Improprio, in primo luogo, appare il riferimento
all’appalto, anziché alla concessione di servizi.
Con quest’ultima una pubblica amministrazione trasferisce ad altro soggetto la gestione di
un servizio, che la medesima potrebbe direttamente (ma non può o non intende) svolgere nei
confronti di utenti terzi. Il concessionario – a
differenza di quanto avviene nell’appalto di
servizi (nell’ambito del quale l’Amministrazione riceve dal contraente una prestazione
ad essa destinata, in cambio di un corrispettivo) – ottiene il proprio compenso non già
dall’Amministrazione ma dall’esterno, ovvero
dal pubblico che fruisce del servizio stesso,
svolto dall’impresa con assetto organizzativo
autonomo e con strumenti privatistici, come è
usuale per i servizi alimentari, come quello in
esame. Sul piano economico,, il rapporto complessivo è dunque trilaterale, poiché coinvolge
l’Amministrazione concedente (che resta titolare della funzione trasferita), il concessionario e
il pubblico. Il concessionario utilizza quanto
ottiene in concessione (nel caso specie: il servizio con l’utilizzo di spazi interni alla sede
dell’ente pubblico) a fini legittimi di lucro, assumendo - come richiede il diritto europeo - il
rischio economico connesso alla gestione del
servizio, svolto con mezzi propri; per godere
delle
risorse
materiali
appartenenti
all’Amministrazione, il medesimo normalmente
corrisponde un canone e non riceve
dall’Amministrazione alcun corrispettivo. In
conformità al già ricordato art. 30 del Codice
dei contratti pubblici, infatti, «la controprestazione [dell’Amministrazione] a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto [dato al concessionario] di gestire funzionalmente
e di sfruttare economicamente [verso il pubblico] il servizio».
pendenti, ma anche una facilitazione materiale
dell’offerta culturale a diretto vantaggio dei
frequentatori (docenti e discenti) dell’ateneo.
Un contratto atipico, espressione di autonomia
negoziale, non è d’altra parte estraneo
all’ambito dell’attività contrattuale di diritto
privato, che l’Amministrazione è abilitata a
svolgere, pur nell’osservanza delle regole procedurali pubblicistiche circa la formazione della volontà negoziale e l’individuazione del contraente, per rispettare i parametri di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 della
Costituzione. Il raggiungimento degli obiettivi
di interesse pubblico perseguiti - anche attraverso esternalizzazione di alcuni servizi - non
richiede quindi, necessariamente, il ricorso a
forme contrattuali tipiche disciplinate dalla
legge, ma può all’occorrenza essere modulato
in termini particolari, eventualmente misti,
benchè col minore possibile discostamento, rispetto ad anologhe fattispecie tipizzate e, comunque, nel rispetto dei concorrenti parametri
legislativi (di natura mista, a titolo esemplificativo, sono stati ritenuti i contratti, rispondenti a
criteri di housing sociale, nonché i contratti di
sponsorizzazione: cfr., per il principio, CdS,
Ad. plen., 30.1.2014, n. 1; V, 1.7.2014, n. 4358;
VI, 31.7.2013, n. 4034 e 12.11.2013, n. 5378).
La prestazione, concernente l’installazione e la
gestione dei distributori automatici di cui trattasi, è propriamente qualificabile come concessione di servizi, che si differenzia dall’appalto
di servizi in quanto il corrispettivo della fornitura “consiste unicamente nel diritto di gestire
i servizi, o in tale diritto accompagnato da un
prezzo”, ex art. 3, co. 12, del d.lgs. 12.4.2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture, in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18CE). L’art. 30
(Concessione di servizi) del medesimo Codice
sottrae dette concessioni alle disposizioni riferite ai contratti pubblici, ma le assoggetta comunque – in armonia con quanto disposto
nell’art. 27 (Principi relativi ai contratti esclusi) – al rispetto dei principi di “economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento,
trasparenza, proporzionalità”, con residuale
obbligo, pertanto, di procedure selettive che,
anche attraverso una gara informale, assicurino il rispetto dei principi stessi......Con il quarto motivo di gravame, in particolare, si conteGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
25.1.2007, n. 1613; CdS, V, 1.8.2007, n. 4270).
Le prospettazioni dell’appellante non appaiono
dunque condivisibili, in rapporto alla configurazione – già ritenuta ammissibile nell’ambito
della presente pronuncia – del contratto da stipulare nel caso di specie come contratto misto,
o atipico, avente i caratteri propri della concessione in uso di suolo pubblico e della concessione di servizi. Non si comprende d’altra
parte (né comunque è stato dimostrato) perché
la previsione di un canone – da considerare
coperto dai ricavi del servizio stesso e non da
corrispondere anticipatamente – avrebbe privilegiato le imprese con una situazione generale
di maggiore liquidità: tutti i partecipanti alla
gara si trovavano infatti in analoga posizione,
in rapporto ai possibili ricavi e, per tutti, la disponibilità del bene pubblico costituiva pari
chance di guadagno, con piena possibilità di
valutare le condizioni previste dal bando
all’atto della presentazione delle offerte. La par
condicio da assicurare nelle procedure di gara,
d’altra parte, si riferisce alle modalità dipartecipazione, non ai requisiti soggettivi o alle condizioni economiche di partenza dei concorrenti.
Correttamente, peraltro, l’Amministrazione rileva come la previsione di un canone per
l’occupazione dello spazio occupato dai distributori, con fruizione di energia elettrica, nonché dei servizi di pulizia e custodia dei locali
interessati non solo non implicasse un indebito
arricchimento dell’Amministrazione, ma assicurasse una corretta gestione di risorse pubbliche (da non dissipare né cedere gratuitamente
in occasione di una gara), evitando al tempo
stesso ingiustificati margini di utile per il gestore, a seguito dell’omessa copertura di parte
dei costi del servizio. Infondato appare anche il
quinto motivo di gravame, in cui si contestano
l’assenza di copertura normativa per
l’imposizione di un canoneconcessorio e
l’entità eccessiva dell’importo al riguardo fissato. Una volta ammessa, infatti, la natura atipica del contratto e la sussistenza di une vera e
propria concessione d’uso di spazi pubblici, il
carattere oneroso di quest’ultima risponde ai
principi generali, che configurano il canonecome corrispettivo per l’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, con carattere discrezionale
delle scelte per la relativa determinazione (cfr.
in tal senso, per il principio, Cass., SS.UU.
12.10.2011, n. 20939, 28.6.2006, n. 14864 e
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. III 3.7.2015 n. 3310
Interdittiva antimafia: il mero rapporto di
parentela con soggetti appartenenti alla
criminalità organizzata, in assenza di
ulteriori elementi, non è di per sè idoneo a
dare conto del tentativo di infiltrazione.
Si segnala la sentenza della Terza Sezione del
Consiglio di Stato n. 3310 del 3.07.2015 nella
quale - con riguardo alla rilevanza del
rapporto di parentela (nella specie di affinità)
con soggetti che si affermano appartenenti o in
rapporto di contiguità con la criminalità
organizzata, agli effetti dell´inibitoria della
costituzione di rapporti contrattuali e di
sovvenzioni da parte di enti che utilizzano
risorse pubbliche - si richiama la prevalente
giurisprudenza a tenore della quale il mero
rapporto di parentela, in assenza di ulteriori
elementi, non è di per sè idoneo a dare conto
del tentativo di infiltrazione. Non può, infatti,
configurarsi un rapporto di automatismo tra un
legame familiare, sia pure tra stretti congiunti,
ed il condizionamento dell´impresa, che
deponga
nel
senso
di
un´attività
sintomaticamente connessa a logiche e ad
interessi malavitosi (CdS, Sez. III, n. 96 del
10.1.2013; n. 4995 del 5.9. 2011; sez. VI, n.
5880 del 18.8.2010; n. 3664 del 23.7.2008; n.
3707 del 27.6.2007). Se è infatti vero, aggiunge
il Collegio, che in base alle regole di comune
esperienza il vincolo di parentela o di affinità
può
esporre
il
soggetto
all´influsso
dell´organizzazione, se non addirittura imporre
(in determinati contesti) un coinvolgimento
nella
stessa,
tuttavia
l´attendibilità
dell´interferenza dipende anche da una serie di
circostanze ed ulteriori elementi indiziari che
qualifichino, su un piano di attualità ed
effettività, una immanente situazione di
condizionamento e di contiguità con interessi
malavitosi.
Ad avviso del Collegio nessuno di siffatti
elementi e circostanze si rinviene nell´atto
impugnato che a sostegno della misura
interdittiva, rinvia ob relationem al rapporto di
polizia recante il solo elenco di incontri del
cognato del ricorrente con soggetti malavitosi.
In ogni caso l´applicazione automatica della
misura interdittiva rappresenterebbe un
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
nistrazione intimata di ritenere attendibile e
congrua l´offerta e di non procedere ad una
specifica valutazione sulla sua possibile
anomalia.In particolare il Consiglio di Stato ha
evidenziato che non si può ritenere illegittima
la scelta dell´Amministrazione di non
sottoporre l´offerta alla verifica dell´anomalia
in relazione all´asserita difformità dalle tabelle
ministeriali di riferimento posto che la
valutazione sulla serietà e congruità
dell´offerta ha per oggetto l´offerta nel suo
insieme e non riguarda i suoi singoli aspetti, e
tenuto conto che la società, risultata
aggiudicataria, aveva dato una chiara
esposizione, anche nel dettaglio, dei costi per il
personale che avrebbe sopportato per dare
esecuzione all´appalto.Con riferimento poi al
rispetto dei minimi stabiliti dalle tabelle
ministeriali, si deve ricordare che l´art. 86, co.
3 bis, del Codice dei contratti pubblici prevede
che "nella predisposizione delle gare di appalto
e nella valutazione dell´anomalia delle offerte
nelle procedure di affidamento di appalti di
lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti
aggiudicatori sono tenuti a valutare che il
valore economico sia adeguato e sufficiente
rispetto al costo del lavoro e al costo relativo
alla sicurezza, il quale deve essere
specificamente indicato e risultare congruo
rispetto all´entità e alle caratteristiche dei
lavori, dei servizi o delle forniture" e che, ai
fini di tale disposizione, "il costo del lavoro è
determinato periodicamente, in apposite
tabelle, dal Ministro del lavoro e della
previdenza sociale, sulla base dei valori
economici previsti dalla contrattazione
collettiva
stipulata
dai
sindacati
comparativamente più rappresentativi, delle
norme
in
materia
previdenziale
ed
assistenziale, dei diversi settori merceologici e
delle differenti aree territoriali". Sul punto la
giurisprudenza, anche di questa Sezione, ha
ritenuto che i valori del costo del lavoro
risultanti dalle tabelle ministeriali non
costituiscono tuttavia un limite inderogabile,
ma semplicemente un parametro di valutazione
della congruità dell´offerta, con la conseguenza
che l´eventuale scostamento da tali parametri
delle relative voci di costo non legittima di per
sè un giudizio di anomalia (cfr., fra le tante,
CdS, Sez. III, n. 1743 del 2.4.2015, Sez. V, n.
irragionevole ostacolo al ripristino di un
regime di vita lavorativa improntato al rispetto
della legge nelle aree geografiche del Paese
contraddistinte dalla forte presenza di
organizzazioni criminali (CdS, Sez. VI, n. 5866
del 25.11.2009).
Consiglio di Stato Sez. III del 3.7.2015 n. 3329
Appalti: un'offerta non può ritenersi
anomala, ed essere esclusa da una gara, per
il solo fatto che il costo del lavoro è stato
calcolato secondo valori inferiori a quelli
delle tabelle ministeriali o dei contratti
collettivi.
L´art. 86, del codice dei contratti individua, nei
coo. 1 e 2, distinti criteri per L´individuazione
delle offerte che si sospetti essere anomale, a
seconda che il criterio di aggiudicazione sia
quello del prezzo più basso, ovvero, come nella
fattispecie, quello dell´offerta economicamente
più vantaggiosa.Al co. 3, con una clausola
generale valida per entrambe le ipotesi,
stabilisce poi che la stazione appaltante può
procedere in ogni caso alla valutazione della
congruità di ogni altra offerta che in base ad
elementi specifici appaia anormalmente bassa.
L´esercizio di tale facoltà comporta, pertanto,
l´apertura di un subprocedimento in
contraddittorio con il concorrente che ha
presentato l´offerta ritenuta a rischio di
anomalia.La scelta dell´amministrazione di
attivare
il
procedimento
di
verifica
dell´anomalia
dell´offerta
è,
tuttavia,
ampiamente discrezionale e può essere
sindacata, in conseguenza, davanti al giudice
amministrativo solo in caso di macroscopica
irragionevolezza o di decisivo errore di fatto.La
giurisprudenza ha anche chiarito che le
valutazioni sul punto devono essere compiute
dall´Amministrazione in modo globale e
sintetico, con riguardo alla serietà dell´offerta
nel suo complesso e non con riferimento alle
singole voci dell´offerta (fra le più recenti:
CdS, Sez. VI, n. 2662 del 26.5.2015, Sezione V
n. 2274 del 6.5.2015).Facendo applicazione di
tali principi, il Consiglio di Stato Sez. III nella
sentenza del 3.7.2015 n. 3329 ha ritenuto che
nella vicenda in esame gli elementi di asserita
criticità dell´offerta, indicati dall´appellante
non sono sufficienti a manifestare una chiara
illogicità nella scelta compiuta dall´AmmiGazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Contratti, Servizi
Pubblici e Concorrenza
imprese, con la conseguenza che, ai fini di una
valutazione sulla congruità dell´offerta, la
stazione appaltante deve tenere conto anche
delle possibili economie che le diverse singole
imprese possono conseguire (anche con
riferimento al costo del lavoro), nel rispetto
delle disposizioni di legge e dei contratti
collettivi (CdS, Sez. III, n. 1743 del 2.4.2015
cit.).
In applicazione di tali principi, un´offerta non
può ritenersi anomala, ed essere esclusa da una
gara, per il solo fatto che il costo del lavoro è
stato calcolato secondo valori inferiori a quelli
risultanti dalle tabelle ministeriali o dai
contratti collettivi occorrendo, perché possa
dubitarsi della sua congruità, che la
discordanza sia considerevole e palesemente
ingiustificata.
3937 del 24.7.2014).
Si è quindi affermato che devono considerarsi
anormalmente basse le offerte che si discostino
in modo evidente dai costi medi del lavoro
indicati nelle tabelle predisposte dal Ministero
del lavoro in base ai valori previsti dalla
contrattazione collettiva, in quanto i costi medi
costituiscono non parametri inderogabili ma
indici del giudizio di adeguatezza dell´offerta,
con la conseguenza che è ammissibile l´offerta
che da essi si discosti, purchè lo scostamento
non sia eccessivo e vengano salvaguardate le
retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito
in sede di contrattazione collettiva.
La Sezione ha peraltro di recente anche
affermato che non possono non essere
considerati, in sede di valutazione delle offerte,
aspetti particolari che riguardano le diverse
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Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
PUBBLICO IMPIEGO E RESPONSABILITÀ
DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
NOTIZIE E AGGIORNAMENTI
ADEGUATA
DISTRIBUZIONE
NEL
TERRITORIO NAZIONALE" DEGLI
ISTITUTI DI PATRONATO E DI
ASSISTENZA SOCIALE: IN G.U.
INDIVIDUAZIONE "DI CRITERI DI
ADEGUATA
DISTRIBUZIONE
NEL
TERRITORIO NAZIONALE"
APPRENDISTATO: IN G.U. IL DECRETO SUGLI STANDARD FORMATIVI E
CRITERI GENERALI.
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
296 del 21.12.2015 il decreto del Ministero
del Lavoro e delle Politiche Sociali recante
"Definizione degli standard formativi dell'apprendistato e criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato, in attuazione dell'art. 46, co. 1, del d.lgs. 15.6.2015,
n. 81" (Decreto 12.10.2015 del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 296 del
21.12.2015).
È stato pubblicao sulla Gazzetta Ufficiale n.
218 del 19.9.2015 il D.m. del 7.8.2015 recante “Individuazione "di criteri di adeguata distribuzione nel territorio nazionale" degli Istituti di Patronato e di assistenza sociale
(Decreto del Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali del 7.8.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 218 del 19.8.2015).
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FONDO MILLE GIOVANI PER LA
CULTURA: IN G.U. I CRITERI E LE
MODALITÀ DI ACCESSO
DISPOSIZIONI DI RAZIONALIZZAZIONE E SEMPLIFICAZIONE DELLE
PROCEDURE E DEGLI ADEMPIMENTI
A CARICO DI CITTADINI E IMPRESE
E ALTRE DISPOSIZIONI IN MATERIA
DI RAPPORTO DI LAVORO E PARI
OPPORTUNITÀ,
IN ATTUAZIONE
DELLA L. 10.12.2014, N. 183: IN G.U. IL
D.LGS. N. 151 DEL 14.9.2015
Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale
n.193 del 21.8.2015 è stato pubblicato il decreto 19.6.2015 del Ministero dei beni e delle
attività culturali e del turismo recante "Criteri e modalità di accesso al «Fondo mille giovani per la cultura» per l´anno 2015" (Decreto del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in G.U. n.193 del
21.8.2015).
È stato pubblicao sulla Gazzetta Ufficiale n.
221 del 23.9.2015 il d.lgs. n. 151 del
14.09.2015 recante “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e
degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attua-
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INDIVIDUAZIONE "DI CRITERI DI
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
zione della l. 10.12.2014, n. 183”(D.lgs. n.
151 del 14.09.2015 pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale n. 221 del 23.09.2015).
È stato pubblicao sulla Gazzetta Ufficiale n.
221 del 23/09/2015 il D.lgs. n. 148 del
14.09.2015 recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della l. 10.12.2014, n. 18”
(D.lgs. n. 148 del 14.09.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.09.2015).
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DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO
DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI
SERVIZI PER IL LAVORO E DI
POLITICHE
ATTIVE,
AI
SENSI
DELL'ART. 1, CO. 3, DELLA L.
10.12.2014, N. 183: IN G.U. IL D.LGS. N.
150 DEL 14.09.2015
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REGOLAMENTO IN MATERIA DI
ESERCIZIO DEL POTERE SANZIONATORIO AI SENSI DELL'ART. 47 DEL
D.LGS. 14.03.2013, N. 33: IN G.U. IL
REG. A.N.A.C. DEL 15.7.2015
È stato pubblicao sulla Gazzetta Ufficiale n.
221 del 23.9.2015 il d.lgs. n. 151 del
14.9.2015 recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per
il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell'art.
1, co. 3, della l. 10.12.2014, n. 183” (D.lgs.
n. 150 del 14.9.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.09.2015).
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.
176 del 31.7.2015 il Reg. A.N.A.C. del
15.7.2015 recante “Regolamento in materia
di esercizio del potere sanzionatorio ai sensi
dell'art. 47 del d.lgs. 14.03.2013, n. 33”
Visto l’art. 1, co. 15, della l. 6.11.2012, n.
190, recante disposizioni per la prevenzione e
la
repressione
della
corruzione
e
dell’illegalità nella pubblica amministrazione, in base al quale la trasparenza
dell’attività amministrativa costituisce livello
essenziale delle prestazioni concernenti i
diritti sociali e civili ai sensi dell'art. 117,
secondo co., lett. m), della Cost.;
Visto il d.lgs. 14.3.2013, n. 33, recante il
“Riordino della disciplina riguardante gli
obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle
pubbliche amministrazioni", adottato ai sensi
dell'art. 1, commi 35 e 36 della predetta l. n.
190 del 2012;
Visto l’art. 14 del d. lgs. 33/2013,
riguardante gli obblighi di pubblicazione
delle informazioni concernenti i titolari di
incarichi politici di carattere elettivo o
comunque di esercizio di poteri di indirizzo
politico, di livello statale, regionale e locale;
Vista la delibera dell’Autorità nazionale
anticorruzione (A.N.AC.) n. 144 del
7.10.2014 relativa agli obblighi di
pubblicazione di dati riguardanti gli organi
di indirizzo politico nelle pubbliche
amministrazioni;
Vista la delibera dell’Autorità nazionale
anticorruzione (A.N.AC.) n. 146 del
«::::::::: GA :::::::::»
DISPOSIZIONI PER LA RAZIONALIZZAZIONE E LA SEMPLIFICAZIONE
DELL'ATTIVITÀ
ISPETTIVA
IN
MATERIA DI LAVORO E LEGISLAZIONE SOCIALE, IN ATTUAZIONE
DELLA L. 10.12.2014, N. 183: IN G.U. IL
D.LGS. N. 149 DEL 14.9.2015
È stato pubblicao sulla Gazzetta Ufficiale n.
221 del 23.9.2015 il d.lgs. n. 149 del
14.09.2015 recante “Disposizioni per la razionalizzazione e la semplificazione dell'attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale, in attuazione della l.
10.12.2014, n. 18” (D.lgs. n. 149 del
14.09.2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23.09.2015).
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DISPOSIZIONI PER IL RIORDINO
DELLA NORMATIVA IN MATERIA DI
AMMORTIZZATORI
SOCIALI
IN
COSTANZA DI RAPPORTO DI LAVORO, IN ATTUAZIONE DELLA L.
10.12.2014, N. 183: IN G.U. IL D.LGS. N.
148 DEL 14.9.2015
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4– 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
quali sono pubblicati i dati relativi ai
componenti degli organi di indirizzo e ai
soggetti titolari di incarico in applicazione
degli artt. 14 e 15”;
Vista la determinazione dell’A.N.AC. n. 8 del
17.6.2015 recante «Linee guida per
l’attuazione della normativa in materia di
prevenzione della corruzione e trasparenza
da parte delle società e degli enti di diritto
privato controllati e partecipati dalle
pubbliche amministrazioni e degli enti
pubblici economici»;
Visto l’art. 47 cit., ove al co. 2 è stabilito che
“la violazione degli obblighi di pubblicazione
di cui all’art. 22, co. 2, dà luogo a una
sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a
10.000 euro a carico del responsabile della
violazione. La stessa sanzione si applica agli
amministratori societari che non comunicano
ai soci pubblici il proprio incarico e il
relativo compenso entro trenta giorni dal
conferimento ovvero, per le indennità di
risultato,
entro
trenta
giorni
dal
percepimento.”
Visto l’art. 47 cit, ove al co. 3 è disposto che
“le sanzioni di cui ai commi 1 e 2 sono
irrogate
dall’autorità
amministrativa
competente in base a quanto previsto dalla l.
24.11.1981, n. 689”;
Visto l’art. 19, co. 7, del d.l. 24.06.2014, n.
90, recante “Misure urgenti per la
semplificazione
e
la
trasparenza
amministrativa e per l’efficienza degli uffici
giudiziari”, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l.
11.8.2014, n. 114, ai sensi del quale “il
Presidente
dell’Autorità
Nazionale
Anticorruzione
segnala
all’autorità
amministrativa di cui all’art. 47, co. 3, del
d.lgs. 14.3.2013, n. 33, le violazioni in
materia di comunicazione delle informazioni
e dei dati e di obblighi di pubblicazione
previste nel citato art. 47, ai fini
dell’esercizio del potere sanzionatorio di cui
al medesimo articolo”;
Vista la delibera dell’Autorità n. 10 del
21.1.2015, con cui, in base ad una lettura
sistematica della normativa sulla trasparenza
e
della
l.
689/1981,
modificando
l’orientamento espresso nella delibera n.66
del 31.7.2013, viene individuata l’A.N.AC.
quale soggetto competente all’avvio del
18.11.2014 in materia di esercizio del potere
di ordine nel caso di mancata adozione di atti
o provvedimenti richiesti dal Piano nazionale
anticorruzione e dal piano triennale di
prevenzione della corruzione nonchè dalle
regole
sulla
trasparenza
dell'attività
amministrativa o nel caso di comportamenti o
atti contrastanti con i piani e le regole sulla
trasparenza;
Visto l’art. 47 del d. lgs. 33/2013 in materia
di sanzioni per casi specifici, ove al co. 1 è
previsto che “la mancata o incompleta
comunicazione delle informazioni e dei dati
di cui all’art.14, concernenti la situazione
patrimoniale complessiva del titolare
dell’incarico al momento dell’assunzione in
carica, la titolarità di imprese, le
partecipazioni azionarie proprie, del coniuge
e dei parenti entro il secondo grado, nonché
tutti i compensi cui dà diritto l’assunzione
della carica, dà luogo a una sanzione
amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000
euro a carico del responsabile della mancata
comunicazione e il relativo provvedimento è
pubblicato
sul
sito
internet
dell’amministrazione
organismo
interessato”;
Vista la l. 5.7.1982, n. 441, recante
Disposizioni per la pubblicità della situazione
patrimoniale di titolari di cariche elettive e di
cariche direttive di alcuni enti;
Visto l’art. 22, co. 2, del d. lgs. n. 33/2013,
ove è disposto che “per ciascuno degli enti di
cui alle lettere da a) a c) del co. 1 sono
pubblicati i dati relativi alla ragione sociale,
alla misura della eventuale partecipazione
dell’amministrazione,
alla
durata
dell’impegno, all’onere complessivo a
qualsiasi titolo gravante per l’anno sul
bilancio dell’amministrazione, al numero dei
rappresentanti dell’amministrazione negli
organi di governo, al trattamento economico
complessivo a ciascuno di essi spettante, ai
risultati di bilancio degli ultimi tre esercizi
finanziari. Sono altresì pubblicati i dati
relativi agli incarichi di amministratore
dell’ente e il relativo trattamento economico
complessivo”;
Visto l’art. 22, co. 3, del d.lgs. n. 33/2013,
ove è disposto che “nel sito dell’amministrazione è inserito il collegamento con i
siti istituzionali degli enti di cui al co. 1, nei
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
e. «responsabile del procedimento», il
dirigente responsabile dell’Ufficio, ai sensi
della l. 7.08.1990, n. 241, art. 5;
f. «amministrazioni interessate», i soggetti
compresi nell’ambito di applicazione del
d.lgs. n. 33/2013, in conformità a quanto
disposto all’art.11 del medesimo decreto e
alle indicazioni fornite dall’Autorità con la
determinazione n. 8 del 2015;
g. «responsabile per la trasparenza», il
soggetto
individuato
da
ciascuna
amministrazione ai sensi dell’art. 43 d.lgs.
33/2013 e di seguito RT;
h. «OIV» l’Organismo indipendente di
valutazionedi cui all’art. 14 d. lgs. n.
150/2009;
i.«titolare dell’incarico», il componente
dell’organo di indirizzo politico di carattere
elettivo o comunque di esercizio di poteri di
indirizzo politico, di livello statale, regionale
e locale ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 33/2013;
l. «responsabile della violazione» ai sensi
dell’art. 47, co. 2, d.lgs. 33/2013, il
responsabile della pubblicazione dei dati
come individuato nel programma triennale
trasparenza e integrità, ovvero in altro atto
organizzativo interno dell’amministrazione
interessata, che non abbia ottemperato a tale
obbligo;
m. «amministratori societari» ai sensi
dell’art. 47, co. 2, del d.lgs 33/2013, sono il
presidente e i componenti del consiglio di
amministrazione, o di altro organo con
analoghe funzioni comunque denominato, e
l’amministratore delegato delle società di cui
all’art. 22, co. 1, lettere b) e c) del citato
decreto;
n. «Prefetto», il prefetto del luogo dove ha
sede l’amministrazione o l’ente in cui sono
state riscontrate le violazioni;
o. «d.l. 90/2014», il d.l. 24.6.2014 n.90
recante “Misure
urgenti
per
la
semplificazione
e
la
trasparenza
amministrativa e per l’efficienza degli uffici
giudiziari”, convertito in legge, con
modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della l.
11.8.2014, n. 114.
Art. 2 – Ambito di applicazione
1. Il presente Regolamento disciplina il
procedimento
sanzionatorio
per
l’irrogazione, da parte dell’Autorità, delle
sanzioni in misura ridotta per le violazioni di
procedimento sanzionatorio per le violazioni
di cui all’art. 47, commi 1 e 2, d. lgs. 33/2013
ed è altresì individuata nel Prefetto del luogo
in cui ha sede l’amministrazione o l’ente in
cui sono state riscontrate le violazioni
l’autorità
amministrativa
competente
all’irrogazione delle sanzioni definitive;
Vista la l. 24.11.1981, n. 689, riguardante
“Modifiche al sistema penale”, con
particolare riferimento agli artt. da 13 a 18;
Visto l’art.
17
della
l.
689/1981
sull’applicazione
delle
sanzioni
amministrative, ove è stabilito che, nelle
materie di competenza statale, per
l’irrogazione della sanzione definitiva, in
caso di mancato pagamento in misura
ridotta, intervenga il Prefetto in assenza di
altri uffici sul territorio e dunque a chiusura
del sistema sanzionatorio;
Visto l’art. 43 d.lgs 33/2013 riguardante i
compiti del responsabile per la trasparenza;
Visto quanto specificato
nei
comunicati
dell’Autorità del 27 maggio e 6.06.2014 in
merito
ai
compiti
degli
organismi
indipendenti di valutazione (OIV) di cui
all’art. 14 del d.lgs. 27.10.2009, n. 150, in
materia di ottimizzazione della produttività
del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni;
Ritenuto opportuno disciplinare con un
apposito regolamento il procedimento
sanzionatorio di cui all’art. 47 d.lgs.
33/2013,
per
la
parte
relativa
all’applicazione, da parte di A.N.AC., della
sanzione in misura ridotta, in conformità alla
delibera n. 10 del 2015;
Vistoil d.lgs. 30.06.2003 n. 196 recante
“Codice in materia di protezione dei dati
personali” e in particolare gli artt. 59 e 60;
Emana il seguente Regolamento.
Parte I
Art. 1– Definizioni
Ai fini del presente Regolamento, si intende
per:
a.
«Autorità»,
l’Autorità
Nazionale
Anticorruzione;
b. «Presidente», il Presidente dell’Autorità;
c. «Consiglio», il Consiglio dell’Autorità;
d.
«Ufficio»,
l’Ufficio
competente
dell’istruttoria relativa al procedimento
sanzionatorio per le violazioni di cui all’art.
47, commi 1 e 2, del d. lgs. 33/2013;
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4. Le violazioni di cui all’art. 47, co. 2, del
d.lgs. 33/2013, secondo periodo, attengono
alla mancata comunicazione, da parte degli
amministratori societari, ai soci pubblici, del
proprio incarico e del relativo compenso
entro trenta giorni dal conferimento ovvero,
per le indennità di risultato, entro trenta
giorni dal percepimento.
Art. 3 – Responsabile del procedimento
1. Il responsabile del procedimento è il
dirigente responsabile dell’ufficio competente
dell’istruttoria per l’irrogazione delle
sanzioni di cui al presente Regolamento. Egli
può individuare, all’interno dell’Ufficio, un
funzionario per lo svolgimento dell’istruttoria
relativa ai singoli procedimenti.
2. Il responsabile del procedimento assicura
il legittimo, adeguato, completo e tempestivo
svolgimento dell’istruttoria, garantendo il
contraddittorio e l’effettività del diritto di
difesa del soggetto obbligato destinatario
della
comunicazione
di
avvio
del
procedimento.
Parte II
SANZIONI AI SENSI DELL’ART. 47, CO. 1,
PER MANCATA COMUNICAZIONE DEI
DATI
Art. 4 – Accertamento
1. L’Ufficio, qualora nello svolgimento dei
compiti di vigilanza sul rispetto degli
obblighi di pubblicazione dei dati previsti
dalla normativa in materia di trasparenza,
d’ufficio o su segnalazione, rilevi la mancata
o
incompleta
pubblicazione
delle
informazioni indicate all’art. 2, co. 2, del
presente Regolamento, chiede al RT
dell’amministrazione interessata di attestare
all’Autorità, entro il termine di quindici
giorni, se l’inadempimento sia dipeso
dall’omessa comunicazione da parte del
titolare dell’incarico ovvero sia riconducibile
ad
altre
circostanze
da
indicare
specificatamente. La richiesta è comunicata
anche all’OIV, o all’organismo con funzioni
analoghe ed è formulata con espresso
riferimento alla disciplina sanzionatoria di
cui all’art. 47 d.lgs. 33/2013. Il RT, nel
fornire riscontro, trasmette contestualmente i
dati identificativi e l’indirizzo PEC del
titolare dell’incarico o altro recapito,
necessari ai fini della notifica della
contestazione in conformità alla normativa
cui all’art. 47, commi 1 e 2, d. lgs.33/2013, ai
sensi della l. n. 689/1981 e della delibera
A.N.AC. n. 10 del 21.01.2015.
2. Per quanto concerne le violazioni di cui
all’art. 47, co. 1, del d.lgs. 33/2013, tenendo
conto di quanto disposto all’art. 14, in
particolare al co. 1, lettere c) ed f), del
medesimo decreto e del rinvio, ivi contenuto,
agli artt. 2, 3 e 4 della l. 5.7.1982, n. 441, la
mancata o incompleta comunicazione, da
parte del titolare dell’incarico, delle
informazioni e dei dati riguarda:
a. la situazione patrimoniale complessiva, ivi
inclusa la dichiarazione dei redditi, al
momento dell'assunzione in carica;
b. la titolarità di imprese, le partecipazioni
azionarie proprie e tutti i compensi cui dà
diritto l'assunzione della carica, al momento
dell’assunzione in carica e, annualmente, le
eventuali variazioni intervenute;
c.la titolarità di imprese e le partecipazioni
azionarie
del
coniuge
del
titolare
dell’incarico e dei suoi parenti entro il
secondo grado, ove gli stessi abbiano
acconsentito alla pubblicazione dei loro dati,
al momento dell’assunzione in carica dello
stesso e, annualmente, le eventuali variazioni
intervenute.
3. Le violazioni di cui all’art. 47, co. 2, d.lgs.
33/2013, primo periodo, attengono alla
mancata pubblicazione, da parte del soggetto
individuato nel programma triennale
trasparenza e integrità, ovvero in altro atto
organizzativo interno, dei dati relativi agli
enti di cui all’art. 22, co. 1, lettere da a) a c),
d.lgs. 33/2013, concernenti:
a. la ragione sociale;
b. la misura della eventuale partecipazione
dell'amministrazione;
c. la durata dell'impegno;
d. l'onere complessivo a qualsiasi titolo
gravante
per
l'anno
sul
bilancio
dell'amministrazione;
e.
il
numero
dei
rappresentanti
dell'amministrazione negli organi di
governo e il trattamento economico
complessivo a ciascuno di essi spettante;
f. i risultati di bilancio degli ultimi tre
esercizi finanziari;
g. gli incarichi di amministratore dell'ente e
il
relativo
trattamento
economico
complessivo.
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procedimento, con indicazione dei contatti
per eventuali richieste di chiarimenti e/o
comunicazioni successive;
d.la possibilità e i termini del pagamento
della sanzione in misura ridotta in conformità
a quanto previsto dall’art. 16 della l.
689/1981 e le modalità del pagamento.
5. Il pagamento della sanzione in misura
ridotta
estingue
il
procedimento
sanzionatorio.
6. L’Ufficio, in applicazione di criteri
generali predeterminati dal Consiglio, può
accogliere, in tutto o in parte, le richieste
motivate di rateizzazione del pagamento della
sanzione.
Art. 6 –Trasmissione al Prefetto
1. In caso di mancato pagamento della
sanzione pecuniaria in misura ridotta, il
Presidente, ai sensi dell’art. 19, co. 7, del d.l.
n. 90/2014 della delibera A.N.AC. n. 10/2015,
segnala al Prefetto la violazione e il mancato
pagamento, trasmettendo la documentazione
relativa all’istruttoria svolta, in conformità
all’art. 17, co. 1, della l. 689/1981, per le
determinazioni di competenza.
2. L’amministrazione interessata pubblica sul
proprio sito il provvedimento adottato dal
Prefetto, secondo le disposizioni dell’art. 47,
co. 1, del d. lgs. 33/2013 e della delibera
dell’Autorità n. 10 del 2015.
Parte III
SANZIONI AI SENSI DELL’ART. 47, CO. 2,
PER VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI
PUBBLICAZIONE E DI COMUNICAZIONE
Art. 7 – Accertamento
1. L’Ufficio, qualora nello svolgimento dei
compiti di vigilanza sul rispetto degli
obblighi di pubblicazione dei dati previsti
dalla normativa sulla trasparenza, d’ufficio o
su segnalazione, rilevi la mancata o
incompleta pubblicazione delle informazioni
e dei dati di cui all’art. 2, commi 3 e 4, del
presente Regolamento, chiede al RT
dell’amministrazione interessata di attestare
all’Autorità, entro quindici giorni, il
nominativo del responsabile della violazione,
ossia il soggetto che in base alle previsioni
del Programma triennale per la trasparenza
e l’integrità, od altro atto organizzativo
interno,
è
responsabile
dell’omessa
pubblicazione. Nella richiesta è specificato
che in mancanza di attestazione di detto
vigente in materia. In mancanza la notifica
può essere effettuata anche dal RT ai sensi
dell’art. 14, co. 4, della l. 24.11.1981, n. 689,
come precisato all’art. 10 del presente
Regolamento.
2. Nel caso in cui il RT attesti che
l’inadempimento sia dipeso dall’omessa
comunicazione da parte del titolare
dell’incarico delle informazioni e dei dati,
l’Ufficio avvia il procedimento sanzionatorio
contestando la violazione.
3. Nel caso, invece, in cui i dati siano stati
correttamente comunicati dal titolare
dell’incarico al RT e, tuttavia, non siano stati
pubblicati in tutto o in parte, il Consiglio si
riserva di ordinare all’amministrazione di
pubblicare le informazioni e i dati mancanti.
4. L’Ufficio, in caso di segnalazioni
palesemente infondate o prive degli elementi
essenziali, ne dispone l’archiviazione
informandone il Consiglio attraverso una
notizia riassuntiva trimestrale.
Art.
5
– Avvio
del
procedimento
sanzionatorio e contestazione
1. Sussistendo i presupposti per l’avvio del
procedimento sanzionatorio, l’Ufficio notifica
al titolare dell’incarico, entro il termine di 90
giorni dal ricevimento dell’attestazione del
RT, la contestazione della violazione di cui
all’art. 47, co. 1, d.lgs.33/2013.
2. Della contestazione è data notizia al RT e
all’OIV, o all’organismo con funzioni
analoghe, dell’amministrazione interessata,
nonché al Prefetto.
3. L’Ufficio, ogni trenta giorni, predispone
l’elenco dei soggetti a cui è stata notificata la
contestazione, ai fini della successiva
pubblicazione sul sito dell’Autorità, previa
informativa al Consiglio, ai sensi dell’art. 45,
co. 4, del d. lgs. 33 del 2013.
4. Nella comunicazione di avvio del
procedimento devono essere almeno indicati,
nel rispetto di quanto previsto nella l. n.
689/1981:
a. la contestazione della violazione, con
l’indicazione delle disposizioni violate e delle
relative norme sanzionatorie;
b. il termine di trenta giorni, ai sensi dell’art.
18 della l. n. 689/1981, per l’invio al Prefetto
di memorie e documentazione, oltre
all’eventuale richiesta di audizione;
c. l’Ufficio e la persona responsabile del
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relative norme sanzionatorie;
b. il termine di trenta giorni, ai sensi dell’art.
18 della l. n. 689/1981, per l’invio al Prefetto
di memorie e documentazione, oltre
all’eventuale richiesta di audizione;
c. l’Ufficio e la persona responsabile del
procedimento, con l’indicazione dei contatti
per eventuali richieste di chiarimenti e/o
comunicazioni successive;
d. la possibilità e i termini del pagamento
della sanzione in misura ridotta, in
conformità a quanto previsto dall’art. 16
della l. 689/1981 e le modalità del
pagamento.
4. Il pagamento della sanzione in misura
ridotta
estingue
il
procedimento
sanzionatorio.
5. L’Ufficio, in applicazione di criteri
generali predeterminati dal Consiglio, può
accogliere, in tutto o in parte, le richieste
motivate di rateizzazione del pagamento della
sanzione.
Art. 9 –Trasmissione al Prefetto
1. In caso di mancato pagamento della
sanzione pecuniaria in misura ridotta, il
Presidente, ai sensi dell’art. 19, co. 7, del d.l.
n. 90/2014 e della delibera A.N.AC. n.
10/2015, segnala al Prefetto la violazione e il
mancato pagamento, trasmettendo la
documentazione relativa all’istruttoria svolta,
in conformità all’art. 17, co. 1, della l.
689/1981, per le determinazioni di
competenza.
Parte IV
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 10 – Comunicazioni, notificazioni e
pubblicità
1. Le notificazioni nei procedimenti
disciplinati dal presente regolamento sono
effettuate presso la casella di posta
elettronica certificata (PEC), ai sensi dell’
art. 48 del d.lgs. 7.03.1985, n. 82 recante il
codice dell’amministrazione digitale e in
coerenza con quanto previsto dal codice di
procedura civile in merito al riconoscimento
della validità della notifica a mezzo PEC (art.
149-bis c.p.c.).
2. In mancanza di PEC o qualora il RT non
abbia comunicato la PEC o altri recapiti dei
soggetti inadempienti, le comunicazioni e le
notificazioni sono effettuate:
- dal RT dell’amministrazione interessata ai
nominativo, si presume la responsabilità del
RT ai sensi degli artt. 46 e 47 del d.lgs
33/2013. Qualora la omessa pubblicazione
dei dati di cui all’art. 47, co. 2, secondo
periodo,
dipenda
dalla
mancata
comunicazione degli stessi da parte degli
amministratori societari, il RT è tenuto altresì
ad attestare i nominativi degli amministratori
societari
inadempienti.
La richiesta è comunicata anche all’OIV, o
all’organismo con funzioni analoghe ed è
formulata con espresso riferimento alla
disciplina sanzionatoria di cui all’art. 47
d.lgs. 33/2013.
2. In ogni caso il RT, nel fornire riscontro
alla richiesta sui dati identificativi di cui al
co. 1, trasmette contestualmente anche
l’indirizzo PEC o altro recapito del
responsabile
della
violazione
e/o
dell’amministratore societario, necessari ai
fini della notifica della contestazione in
conformità alla normativa vigente in materia.
In mancanza la notifica può essere effettuata
anche dal RT ai sensi dell’art. 14, co. 4, della
l. 24.11.1981, n. 689, come precisato all’art.
10 del presente regolamento.
3. L’Ufficio, in caso di segnalazioni
palesemente infondate o prive degli elementi
essenziali, ne dispone l’archiviazione
informandone il Consiglio attraverso una
notizia riassuntiva trimestrale.
Art.
8
– Avvio
del
procedimento
sanzionatorio e contestazione
1. Sussistendo i presupposti per l’avvio del
procedimento sanzionatorio, l’Ufficio notifica
al responsabile della violazione e/o
all’amministratore societario, entro il
termine di 90 giorni dal ricevimento
dell’attestazione del responsabile della
trasparenza, la contestazione della violazione
di cui all’art. 47, co. 2, d.lgs. 33/2013.
2. Della contestazione è data notizia al
rappresentante legale dell’amministrazione
interessata, al RT, ove diverso dal
responsabile della violazione, all’OIV nonchè
al Prefetto.
3. Nella comunicazione di avvio del
procedimento devono essere almeno indicati,
nel rispetto di quanto previsto nella l. n.
689/1981:
a. la contestazione della violazione, con
l’indicazione delle disposizioni violate e delle
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della Pubblica Amministrazione
sensi dell’art. 14, co. 4, della l. 24 .11.1981,
n. 689,
- con consegna a mani proprie contro
ricevuta,
- con lettera raccomandata con avviso di
ricevimento.
3. Le medesime disposizioni si applicano alla
trasmissione di documenti e di richieste
connesse all’istruttoria da parte degli
interessati o di terzi all’Autorità.
Art. 11 – Disciplina generale
1. Per tutto quanto non espressamente
previsto dal presente regolamento, si
applicano i principi e le disposizioni della l.
24.11.1981, n. 689.
2. Per il computo dei termini previsti dal
presente regolamento si applica l’art. 155 del
c.p.c..
Art. 12 – Entrata in vigore
1. Il presente Regolamento è pubblicato sul
sito istituzionale dell’Autorità ed entra in
vigore il giorno successivo alla sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (Regolamento A.N.A.C. del 15.7.2015 pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del
31.7.2015).
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Numero 3/4– 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
REDAZIONALI
IL LAVORO E’…. AGILE
del Prof. Dott. Stefano Olivieri Pennesi
Lo Smart Working” quale “mutamento genetico” del più datato “Telelavoro” con il conseguente
adeguamento del “modo di lavorare” ai tempi che stiamo attualmente vivendo.
Smart Working "as" genetic mutation" of the more dated "Telecommuting" with the "so
consequent adjustment to work" in the times we are currently experiencing.
Sommario: 1. Considerazioni preliminari. 2. Conclusioni.
1.Introduzione.
Il “lavoro agile” o come si usa chiamarlo
“Smart Working” potrebbe definirsi tranquillamente il “mutamento genetico” del più datato “Telelavoro” in versione 2.0 o, per meglio dire, il salto di qualità naturale che gli
addetti ai lavoro hanno osservato rispetto a
nuove norme/convenzioni che mirano, tra
l’altro, ad adeguare il “modo di lavorare” ai
tempi che stiamo vivendo attualmente.
Ma andiamo con ordine, “l’archetipo” del
“lavoro flessibile” è indubbiamente rappresentato da quello definito, fin dagli anni novanta, anche grazie alla rivoluzione/evoluzione avviata con l’introduzione
“massiva” dei computers, nei vari processi
produttivi e lavorativi, come “telelavoro”.
I primi passi mossi da questa, per così dire,
tipologia lavorativa, risalgono alla fine degli
anni novanta con specifici accordi e protocolli di declinazione europea.
In primo luogo quindi è bene affermare
che lo smart working, detto anche lavoro agile, non è facilmente assimilabile al più datato
telelavoro poiché, la sua peculiarità, consiste
non nel semplice svolgimento delle prestazioni lavorative esternamente alla sede aziendale, bensì, all’effettuazione di attività lavorative sulla base di obiettivi e risultati predefiniti, in un contesto organizzativo e progettuale
svincolato da orari e sedi fisiche di lavoro.
Il presupposto sul quale si muove il lavoro
agile è rappresentato dalla esigenza di preveGazzetta Amministrativa
dere “regole uguali” per chi lavora in ufficio
ovvero da luogo diverso, sia esso la propria
abitazione, un luogo all’aperto, luoghi e spazi
condivisi con altri, vale a dire quei parametri
quali: retribuzione, sicurezza, privacy, doveri,
diritti, infortuni, ecc.
Quindi possiamo tranquillamente affermare che i principi cardine, del lavoro agile, sono alquanto per così dire semplici.
In primis, i vincoli connessi a luogo e
tempo/orario lavorativo si destrutturano, il lavoratore “agile” organizza il proprio impiego
in relativa assoluta autonomia e flessibilità; si
punta a dare maggiore importanza alla responsabilità personale circa i risultati che si
intende ottenere/offrire.
Di fatto, e qui introduciamo un elemento
di discrasia, rispetto alla maggiore diffusione
dello smart working, il terreno offerto dalle
organizzazioni - imprese - amministrazioni –
di medie/grandi dimensioni, che sono oggettivamente meglio attrezzate e strutturate per
implementare diffusamente tale tipologia di
lavoro, se non altro per la conformazionearchitettura interna, delle attività, anche rispetto alle varietà di ambiti e competenze, si
contrappone, inesorabilmente, con realtà lavorative di minori dimensioni naturalmente
vocate ad una maggiore esigenza di rapida interscambiabilità, ma anche relazione costante
tra lavoratori, tale da richiedere una quotidianità di frequentazioni e condivisioni sul lavoro.
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
Della Pubblica Amministrazione
rende necessario individuare un luogo fisico
chiaramente presente e rigidamente strutturato, per caratteristiche fisiche e tecnologiche,
come la postazione fissa, con cui si lavora, la
collocazione in un ambiente casalingo rigorosamente adattato ai requisiti di sicurezza ed
igiene dei luoghi di lavoro, nonché standard
dimensionali; al fatto che le attrezzature devono essere fornite e manutenute dal datore di
lavoro, alla esistenza di infrastrutture tecnologiche pre individuate ed adeguatamente
presenti, ecc.
Di contro, lo smart working, si può svolgere semplicemente utilizzando un “device” e
una “connessione internet” efficiente, ma è
altresì possibile lavorare nei luoghi più disparati: dal parco pubblico, ad un centro benessere, da un albergo o resort, ad un circolo ricreativo, da un locale pubblico ad un albergo, un
polo museale, in viaggio all’estero o in Italia,
su un mezzo di trasporto sia esso treno, aereo,
nave, pulmann, autonolo, taxi, ecc.
Insomma, in sostanza, possiamo affermare
che il lavoro agile meglio si attaglia alle
“moderne vicende di vita”, stili, abitudini, bisogni, senza per questo privare le persone da
attività lavorative idonee a produrre sufficienti redditi, collegati ai “risultati” lavorativi
raggiunti, più che alla presenza fisica in un
luogo di lavoro per un orario prestabilito e/o
rigido.
L’Osservatorio sul lavoro agile, presente
nella Scuola di Managment del Politecnico di
Milano, ha calcolato che nel 2015 più del
17% delle imprese di grandi dimensioni, del
nostro Paese, ha in essere progetti di smart
working, più del 14% sta svolgendo azione di
scouting per questa tipologia lavorativa, e un
altro 17% ha già progettato iniziative e ambiti/settori, per possibili utilizzazioni di lavoro
agile. Parliamo quindi di un quasi 50% delle
imprese che si sta approcciando concretamente a questa nuova realtà lavoristica.
Discorso però nettamente diverso riguarda
il segmento delle aziende italiane mediopiccole, dove è stato calcolato un esiguo 15%
di realtà dove si sta sperimentando una qual si
voglia tipologia “agile” di lavoro.
Dal punto di vista più prettamente economico, lo smart working, calcola sempre
l’Osservatorio del Politecnico di Milano, solo
È anche giusto, però, porre il problema
della necessaria modifica di mentalità legata
al fatto di ritenere, da parte dei datori di lavoro, indispensabile controllare, per così dire, il
lavoratore, con verifiche puntuali degli orari
lavorativi svolti e delle relative prestazioni
effettuate, dove il rapporto di fiducia è oggettivizzato dalla concreta visione di quanto
prodotto materialmente o immaterialmente, e
non anche dal raggiungimento o meno, di risultati lavorativi misurati e misurabili per “obiettivi” raggiunti o meno, in tempi ben definiti.
Ciò detto ci conduce a riflettere in merito
alle necessità di puntare ad una maggiore e
migliore “organizzazione complessiva” dei
processi lavorativi.
La definizione puntuale dei progetti e delle
procedure serve per far si che i dipendenti
possano essere valutati rispetto ai risultati loro assegnati e di conseguenza, ottenuti, e non
su quanto tempo vi è stato destinato per il loro ottenimento.
Ecco la cartina tornasole del lavoro agile
che è rappresentata dal valore assegnato
all’elemento “fiducia” tra datore di lavoro e
dipendente. Una nuova cultura aziendale non
basata su controlli vecchia maniera, di tradizione “fordista” (quanto tempo impieghi per
svolgere una operazione o produrre un componente).
L’impiego del lavoro “smart”, evidentemente, può trovare maggiore terreno fertile
nelle tipologie di impieghi creativi e di concetto, dove la presenza nel luogo di lavoro
può considerarsi accessoria, incidentale.
Altro elemento fondante, del lavoro agile,
e che può poggiarsi, tranquillamente, sia su
contrattazioni collettive, come anche su semplici accordi scritti, stipulati tra singolo lavoratore e datori di lavoro, in una rispettiva/vicendevole, utilità, dove da un lato sono
evidenti i benefici ricadenti su migliore conciliazione tempi di vita e tempi di lavoro, e
dall’altro lato benefici inerenti maggiori e
migliori performance di produttività.
È evidente, quindi, cosa rende oggettivamente differente il telelavoro dallo smart
working.
In primo luogo la maggiore flessibilità di
quest’ultimo, in quanto per il telelavoro si
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telelavoro, è il fatto che si rivolge preminentemente a professionalità maggiormente elevate, anche e soprattutto di tipo manageriale,
usando strumenti tecnologici mobili come:
smartphone, tablet, notebook, pc portatili,
palmari, ecc.
Anche il tema di lavoro per cosi dire “in
esterna” è sostanzialmente “fluttuante” e può
riguardare uno o più giorni a settimana, alcuni pomeriggi, alcune fasce orarie, ecc. senza
alcuna particolare rigidità, relegando il lavoro
svolto tradizionalmente al resto del tempo lavorato, insomma i lavoratori dipendenti potranno definirsi “diversamente presenti”.
Passiamo ora ad analizzare alcuni aspetti
inerenti la effettiva utilità circa una maggiore
diffusione dello smart working.
Risulta, di tutta evidenza, che il lavoro agile si configura come opportunità per migliorare i livelli di produttività e al tempo
stesso ridurre costi, sia aziendali che dei lavoratori, ottimizzando, al tempo stesso, i tempi
e migliorando la qualità della vita dei dipendenti, ed aggiungo, come non secondario, il
beneficio a vantaggio della collettività, per il
minore impatto ambientale sull’inquinamento
e una più fluida mobilità delle popolazioni
soprattutto nei maggiori centri urbani/metropoli.
in Italia produrrebbe un incremento di ricavi
di circa 27 miliardi e, parallelamente, un risparmio di costi per altri circa 10 miliardi.
Lo smart working, precisiamo, si supporta
su un accordo europeo risalente al 16 luglio
2002 recepito in seguito, in Italia, da un accordo interconfederale del 9 giugno 2004, che
però riguardava esplicitamente il Telelavoro,
pensato per coloro, quali lavoratori, non avevano la possibilità di spostarsi da casa, quasi
sempre per motivazioni legate al proprio stato
di salute e quindi, per tale ragione, permettere
l’esecuzione delle prestazioni fuori dalle mura aziendali.
Questo può definirsi il vero punto di contatto con il “lavoro agile” che è bene dirlo,
riveste in se modalità di esecuzione enormemente più elastiche rispetto al vecchio “telelavoro” in quanto si da opportunità di lavorare all’esterno della azienda/Amministrazione,
con meno rigidità rispetto a luoghi, attrezzature, spazi dedicati, ecc. anche per un solo
giorno a settimana, fino ad un massimo del
50% della complessiva attività lavorativa da
svolgere.
Accenniamo però, a questo punto,
l’aspetto che si ritiene, tra gli addetti ai lavori,
maggiormente problematico sia per il classico
telelavoro (in misura maggiore) che sia per il
più evoluto e moderno lavoro agile (in misura
inferiore).
Mi riferisco al possibile ”senso di isolamento” che si può sviluppare tra chi pratica il
lavoro fuori dagli spazi aziendali. Per questa
ragione sono stati ideati e realizzati i cosiddetti “spazi di coworking” al di fuori dei
plessi lavorativi legali/istituzionali, consistenti in uffici, appartamenti, loft, locati in gruppo, anche tra coloro che praticano professioni
ed attività diverse, come anche appartenenti
ad aziende/imprese distinte; luoghi questi dove ogniuno svolge il proprio lavoro, ma dove
si possono condividere anche esperienze, conoscenze, utilità, possibilmente in modalità
trasversale.
Quello dell’isolamento è quindi un aspetto
superabile in vario modo, permettendo la creazione e l’interscambio tra lavoratori di diversa estrazione e dipendenza funzionale.
Un’altra caratteristica del lavoro agile, differenziandosi per questo dall’ormai obsoleto
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2. Conclusioni.
La vera novità però consiste, appunto, in
un diverso approccio organizzativo e gestionale del lavoro, scollegando la prestazione lavorativa dagli orari di lavoro, definiti e rigidi,
collegandolo invece alla mera qualità misurabile sugli obiettivi fissati e risultati ottenuti.
È quindi altresì evidente che non tutte le
tipologie di mansioni possono esplicarsi in
tali modalità.
Sempre l’Osservatorio sullo smart
working, del Politecnico di Milano, ha calcolato che questa forma di lavoro potrebbe far
incrementare la produttività nella misura del
35-40% con una contestuale riduzione del
tasso di assenteismo di quasi il 63%.
A questo punto reputo necessario fare un
accenno anche al significato che può darsi al
cosiddetto “lavoro intelligente” ossia la diretta conseguenza dell’applicazione ed implicazione dello smart working.
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Ebbene questo innovativo “sistema” di lavoro contiene in se ricadute rispetto alla revisione degli spazi fisici di lavoro, l’adozione
di tecnologie digitali anche per facilitare i cosiddetti spazi di lavoro virtuali, ma soprattutto
riguarda il cambiamento della cultura anche
“comportamentale” dei vari soggetti umani
rispetto un diverso “ambiente di lavoro”.
Revisionare, pertanto, gli spazi lavorativi,
sarà la nuova sfida per imprese a amministrazioni, tale da prevedere, per il prossimo futuro, una profonda trasformazione degli “uffici
tradizionali”, come oggi si conoscono, che
evolveranno, certamente, in contesti fisici,
diversamente modulati e quindi più duttili,
dove condivisione e versatilità di ambienti ed
arredi/attrezzature, saranno imprescindibili.
Da ultimo una necessaria attenzione merita
porla, rispetto alle implicazioni dirette scaturenti dal lavoro agile.
In particolare mi riferisco a rischi, evidentemente insidiosi, riguardanti la conseguente
“totale promiscuità” tra luoghi e tempi lavorativi, rispetto ai tempi dedicati al riposo, al
benessere, agli affetti. Il pensiero volge alla
conseguente creazione di generazioni di lavoratori definibili “perennemente connessi” in
quanto reperibili in ogni momento e luogo,
che, per così dire, non staccano mai la spina.
Possiamo quindi dire, a ragione, per chiudere relativamente al lavoro agile…”…eppur
si muove!…”.
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GIURISPRUDENZA
Consiglio di Stato Sez. IV 21.12.2015 n. 5801
Autorità Portuali - controversie sullo
svolgimento di procedure concorsuali giudice amministrativo.
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 21.12.2015 n. 5801 ha evidenziato
che "L’Autorità portuale, secondo il chiaro dettato della legge 28/1/1994 recante il riordino
della legislazione in materia portuale ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è dotata
di autonomia amministrativa nonché di bilancio e finanziaria (art.6). In ordine alla natura
dell’Autorità portuale quale Ente di diritto
pubblico non economico si è più volte espresso
questo Consiglio di Stato (Sez. IV 14/3/2014 n.
1014; idem 20.1.2015), sicché l’attività svolta
da detto Ente è attività pubblica e per le modalità di assunzione di dipendenti valgono le regole delle procedure concorsuali, con
l’ulteriore conseguenza che le controversie attinenti lo svolgimento di dette procedure sono
devolute al giudice amministrativo (in tal senso, Cass. Sez. Unite 24.7.2013 n. 17930)".
spettata dal Ministero evidenziando come con
una recente sentenza, la Sezione ha affermato
principi sul rapporto tra concorso e scorrimento della graduatoria, quali modalità per
l’accesso all’Arma dei Carabinieri, ma indubbiamente estensibili al reclutamento di medici
veterinari dell’Esercito, che il Collegio condivide e che si attagliano perfettamente alla presente controversia (cfr Cons. Stato, Sez. IV,
15/9/2015n. 4330). "Non resta, pertanto, che
riprenderne le motivazioni. «Al riguardo, il
Collegio ritiene necessario preliminarmente richiamare i principi espressi dalla più volte
menzionata sentenza dell'Adunanza Plenaria n.
14 del 28.7.2011. Con essa si è affermata, all'esito di un lungo percorso giurisprudenziale,
una “sostanziale inversione del rapporto tra
l'opzione per un nuovo concorso e la decisione
di scorrimento della graduatoria preesistente
ed efficace”, per cui quest'ultima possibilità
rappresenta, adesso, la regola generale da applicarsi in via principale, in quanto l'attuale
ordinamento afferma un generale favore circa
l'utilizzazione della graduatoria degli idonei,
che recede solo in taluni specifici casi come di
seguito sarà meglio precisato. Pertanto, qualora l'amministrazione propenda per l'indizione
di un nuovo concorso, sarà obbligata ad esprimere un'idonea motivazione che dia conto del
sacrificio imposto ai concorrenti idonei e delle
preminenti esigenze di interesse pubblico. Tuttavia, “la riconosciuta prevalenza delle procedure di scorrimento non è comunque assoluta e
incondizionata”. Infatti, sussistono delle ipotesi
in cui è pienamente giustificabile la scelta di
procedere all'indizione di una nuova procedura
concorsuale, in luogo dello scorrimento delle
graduatorie pregresse: in tali fattispecie, l'Adunanza Plenaria afferma il ridimensionamento
dell'obbligo motivazionale. Fra le ipotesi in
questione, in primo luogo, rientra quella “in
cui speciali disposizioni legislative impongano
una precisa cadenza periodica del concorso,
collegata anche a peculiari meccanismi di pro-
Consiglio di Stato Sez. IV 21.12.2015 n. 5792
Settore militare - concorso - scorrimento della graduatoria - principi.
Nel giudizio in esame il Ministero della Difesa,
deduce che, contrariamente a quanto ritenuto
dal giudice di prime cure, il reclutamento del
personale militare sarebbe regolato da una disciplina sua propria (contenuta nel D. Lgs.
15/3/2010 n. 66 “Codice dell’ordinamento militare”), diversa da quella vigente per tutte le altre pubbliche amministrazioni, che darebbe
prevalenza all’assunzione tramite concorso, rispetto a quella mediante scorrimento delle graduatorie. Nel caso di specie, inoltre,
l’amministrazione avrebbe, anche, esplicitato le
ragioni che l’hanno indotta a non procedere
allo scorrimento della precedente graduatoria
e a preferire l’indizione di un nuovo concorso.
Il Consiglio di Stato Sez. IV nella sentenza del
21.12.2015 n. 5792 ha accolto la censura proGazzetta Amministrativa
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zione può optare fra lo scorrimento delle graduatorie preesistenti o l'indizione di un nuovo
concorso: tuttavia, la scelta non può definirsi
libera in quanto vi è un favor dell'ordinamento
per lo scorrimento delle graduatorie preesistenti. Pertanto, nel momento in cui l'Amministrazione propenda, comunque, per l'indizione
di un nuovo concorso, essa sarà obbligata ad
esternare le ragioni della propria scelta in modo da evidenziare i motivi di interesse pubblico
prevalenti rispetto alle situazioni giuridiche
degli idonei non vincitori nella precedente procedura concorsuale. Sussistono, infine, delle
ipotesi nelle quali, per particolari ragioni dovute alla periodicità del reclutamento imposto
da normative di settore, ovvero dalla differenza
strutturale della disciplina della nuova procedura concorsuale rispetto a quella cui si riferisce la graduatoria preesistente, ovvero, ancora,
dalle esigenze di stabilizzazione del personale
precario, o dalle differenze nel profilo professionale ricercato, sussiste la doverosità per
l'Amministrazione di procedere all'indizione di
nuovi concorsi, in luogo dello scorrimento delle
graduatorie che, al contrario, si rivelerebbe
una soluzione inopportuna e lesiva di preminenti ragioni di interesse pubblico. 2.2 Secondo
il Collegio, nel caso di specie, viene in rilievo
una delle ipotesi in cui l'Amministrazione non
deve necessariamente procedere con lo scorrimento delle graduatorie pregresse, in quanto
sussistono ragioni particolari che fanno ritenere maggiormente opportuna, o meglio doverosa, la scelta di reclutare le figure professionali
mediante concorsi con cadenza periodica. In
particolare, come affermato da parte appellante, le disposizioni inerenti al reclutamento del
personale, alle modalità di svolgimento delle
procedure selettive, nonché al periodo di validità delle graduatorie concorsuali, di cui al
d.lgs. n. 165 del 2001 e d.l. n. 101 del 2013 non
possono ritenersi integralmente applicabili
all'Arma dei Carabinieri. In effetti, l'ordinamento di quest'ultima viene disciplinato dal
d.lgs. n. 66 del 2010 (c.d. Codice dell'Ordinamento Militare), il quale deve essere considerato una normativa speciale destinata a regolare
le modalità di assunzione ed i rapporti di lavoro intercorrenti con le Forze Armate. Detta
specialità si ricava in modo espresso da diverse
disposizioni dell'ordinamento: in primo luogo,
gressioni nelle carriere, tipiche di determinati
settori del personale pubblico”: al ricorrere di
queste circostanze, sussiste un dovere primario
per l'Amministrazione di bandire una nuova
procedura selettiva, in assenza di particolari
ragioni di opportunità per l'assunzione degli
idonei collocati nelle preesistenti graduatorie.
Si tratta, nella sostanza, delle ordinarie procedure concorsuali programmate con cadenza
pressoché annuale, al fine di garantire il costante reclutamento del personale necessario
per le esigenze operative ed organizzative
dell'Arma. Restano quindi escluse da tale specifica ipotesi, le procedure non calendarizzate in
quanto attivate occasionalmente su specifiche
ed immediate esigenze della singola Forza Armata, che non possono attendere gli ordinari
flussi di reclutamento. In questo caso, infatti, il
favore ordinamentale che secondo il richiamato
insegnamento dell'Adunanza Plenaria deve riconoscersi allo scorrimento delle graduatorie
preesistenti, viene a coniugarsi perfettamente
con lo specifico interesse dell'Amministrazione
a soddisfare tempestivamente esigenze impreviste e non risolvibili con l'ordinaria programmazione concorsuale. In secondo luogo, vi sono
dei casi in cui “si manifesta l'opportunità, se
non la necessità, di procedere all'indizione di
un nuovo concorso, pur in presenza di graduatorie ancora efficaci”: fra le ipotesi di questo
genere, rientra, anzitutto, l'esigenza preminente
di determinare, attraverso le nuove procedure
concorsuali, la stabilizzazione del personale
precario, in attuazione delle apposite regole
speciali in materia. L'indizione di una nuova
procedura concorsuale può essere giustificata
anche dall'intervenuta modifica sostanziale della disciplina applicabile alla stessa, rispetto a
quella da cui è scaturita una graduatoria ancora efficace, con particolare riguardo al contenuto delle prove di esame e ai requisiti di partecipazione. Una terza ipotesi che può giustificare ex se l'indizione di un nuovo concorso è
quella in cui si attribuisce “risalto determinante anche all'esatto contenuto dello specifico
profilo professionale per la cui copertura è indetto il nuovo concorso e alle eventuali distinzioni rispetto a quanto descritto nel bando relativo alla preesistente graduatoria”. In definitiva, l'Adunanza Plenaria ha chiarito che, al fine
del reclutamento del personale, l'AmministraGazzetta Amministrativa
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zione militare ha facoltà di procedere, nel termine di un anno dalla data di approvazione
della graduatoria e salvo diverse disposizioni
del presente codice, ad altrettante nomine secondo l'ordine della graduatoria stessa, fermo
restando l'accertamento dell'ulteriore possesso
dei requisiti. Nei concorsi per la nomina a ufficiale e sottufficiale in servizio permanente, se
alcuni dei posti messi a concorso risultano scoperti per rinuncia o decadenza, entro trenta
giorni dalla data di inizio dei corsi, possono essere autorizzate altrettante ammissioni ai corsi
stessi secondo l'ordine della graduatoria. Se la
durata del corso è inferiore a un anno, detta
facoltà può essere esercitata entro 1/12 della
durata del corso stesso.” Dal dato testuale ricavato dalla disposizione sopra citata, risulta
che, per quanto concerne il reclutamento delle
Forze Militari ed anche per l'Arma dei Carabinieri, non incombe sull'Amministrazione un obbligo primario di procedere allo scorrimento
delle graduatorie preesistenti, in luogo dell'indizione di un nuovo concorso per la copertura
di determinati profili professionali. A nulla rileva, secondo il Collegio, la circostanza secondo cui la disposizione è riferita alle nuove assunzioni e non espressamente ai transiti interni
da un ruolo ad un altro: in effetti, la norma è
diretta a contenere l'uso dello scorrimento nei
limiti della disponibilità dei posti al momento
dell'approvazione della graduatoria, ovvero nei
limiti della rinuncia, decadenza o dimissioni
dei vincitori, come affermato dalla giurisprudenza più recente di questo Consiglio (cfr. da
ultimo Cons. di Stato, Sez. II, parere n. 1184
del 23.4.2015). Inoltre, nell'ipotesi di rinuncia,
decadenza o dimissioni dei vincitori, va evidenziato come il limite temporale di un anno (ben
più stringente rispetto a quanto previsto
dall'art. 4 comma 4 d.l. n. 101 del 2013), cui
soggiace la validità della graduatoria, rende
palese la volontà del legislatore di preferire,
quantomeno per le immissioni in ruolo nel
comparto delle Forze Armate, l'indizione di una
nuova procedura concorsuale allo scorrimento
delle graduatorie. La citata giurisprudenza, tra
l'altro, ha affermato che dall'art. 635 d.lgs. n.
66 del 2010 si dovrebbe dedurre un obbligo di
indizione periodica dei concorsi con contestuale perdita di efficacia delle graduatorie preesistenti. Un'ulteriore disposizione che, secondo
l'art. 3 comma 1 d.lgs. n. 165 del 2001 afferma
che “in deroga all'articolo 2 commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti:
[...] il personale militare e delle Forze di Polizia di Stato”. Inoltre, anche il Codice dell'Ordinamento Militare, all'art. 625 comma 1, definisce i rapporti con l'ordinamento generale del
lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche e altri ordinamenti speciali, affermando che “al personale militare si applicano i
principi e gli indirizzi di cui all'art. 19 della l.
4.11.2010, n. 183, nonché le disposizioni contenute nel presente codice”. Infine, l'articolo 19
della l. n. 183 del 2010 statuisce che “ai fini
della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e
della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo
delle Forze armate, delle Forze di polizia e del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco nonché
dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei
compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le
funzioni di tutela delle istituzioni democratiche
e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna
ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di
efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”. 2.3 Se tali disposizioni consentono di affermare la specificità
dell'ordinamento militare rispetto agli altri
comparti dell'amministrazione pubblica, il Collegio ritiene, tuttavia, di dover individuare le
norme che prevedono per le Forze Armate ed,
in particolare, l'Arma dei Carabinieri, una ciclicità nell'indizione dei concorsi, al fine di coprire i posti vacanti all'interno del proprio organico. A tal fine viene in rilievo la disposizione contenuta nell'art. 635 d.lgs. n. 66 del 2010
secondo cui “l'amministrazione militare ha facoltà di conferire, nel limite delle risorse finanziarie previste, oltre i posti messi a concorso,
anche quelli che risultano disponibili alla data
di approvazione della graduatoria. Detti posti,
da conferire secondo l'ordine della graduatoria, non possono superare il decimo di quelli
messi a concorso per il reclutamento degli ufficiali e il quinto per il reclutamento delle altre
categorie di militari. Se alcuni posti messi a
concorso restano scoperti per rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori, l'amministraGazzetta Amministrativa
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menti annuali nell'Arma dei Carabinieri. In effetti, la cadenza annuale delle valutazioni finalizzate alla progressione in carriera all'interno
dell'Arma dei Carabinieri, mal si concilierebbe
con una diversa cadenza di indizione dei concorsi, considerata la sopra esposta necessità di
verificare il possesso dei requisiti psico-fisici
con il carattere dell'attualità. 2.5 Alla luce delle pregresse considerazioni, risulta logico e
non irragionevole l'assunto della Difesa Erariale secondo cui la cadenza annuale o, comunque, periodica dell'indizione del concorso
oggetto del presente giudizio, può essere ricavata dall'interpretazione analogica e sistematica delle disposizioni, contenute nel Codice
dell'Ordinamento Militare, dedicate precipuamente all'Arma dei Carabinieri. In effetti, anche se l'art. 35 d.lgs. n. 199 del 1995, a differenza dell'art. 679 d.lgs. n. 66 del 2010, indica
espressamente l'indizione annuale dei concorsi
per l'immissione nel ruolo di ispettori della
Guardia di Finanza, l'esigenza di valutare il
possesso attuale dei requisiti psico-attitudinali
degli aspiranti ispettori rimane intatta in entrambi i casi. A ben vedere, dunque, ci si troverebbe dinanzi ad uno dei casi di “peculiari
meccanismi di progressioni nelle carriere, tipiche di determinati settori del personale pubblico”: questi ultimi, in connessione a specifiche
disposizioni di settore e secondo i principi esposti dalla sentenza dell'Adunanza Plenaria n.
14 del 2011, da un lato, determinano una regressione del principio della prevalenza dell'istituto dello scorrimento in luogo dell'indizione
di nuovi concorsi, e, dall'altro lato, non impongono all'Amministrazione uno stringente obbligo motivazionale in merito alla scelta effettuata
per il reclutamento». Nel caso di specie,
l’amministrazione intimata ha stabilito di indire un nuovo concorso, piuttosto che procedere
allo scorrimento della graduatoria di quello
precedente, “…in quanto, in relazione alle peculiari esigenze operative e organizzative del
ministero della difesa, il reclutamento del personale militare esige l’attualità dell’accertamento dei requisiti di efficienza e di idoneità
psicofisica e attitudinale”. Tale motivazione è
sufficiente, giusta quanto più sopra evidenziato,
a sorreggere la scelta. Né, quest’ultima, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato,
è inficiata dal fatto che nel bando con cui era
l'Amministrazione appellante imporrebbe l'indizione annuale di concorsi nell'Arma dei Carabinieri è quella contenuta nell'art. 688 comma 7 del Codice dell'Ordinamento Militare, secondo cui “i termini di validità della graduatoria dei candidati risultati idonei ma non vincitori del concorso per l'ammissione al corso biennale di cui all'art. 684 possono essere prorogati con motivata determinazione ministeriale,
in caso di successivi e analoghi concorsi banditi entro diciotto mesi dall'approvazione della
stessa”. A ben vedere, in effetti, la ciclica indizione dei concorsi è strumentale all'esigenza di
verificare l'attualità del possesso dei requisiti
inerenti all'età, all'efficienza fisica ed al profilo
psico-attitudinale, in capo ai soggetti che si apprestano a ricoprire una specifica qualifica
professionale all'interno dell'Arma dei Carabinieri: dal momento che il possesso dei requisiti
fisici e psico-attitudinali deve necessariamente
rivestire il carattere dell'attualità, l'ordinamento militare incentiva l'indizione di nuovi concorsi in luogo dello scorrimento di preesistenti
graduatorie. Diversamente argomentando, verrebbero lesi i diritti dei soggetti che non possano partecipare ad un concorso indetto in un determinato anno, per via dell'età anagrafica inferiore al limite minimo prefissato, e, a causa
dell'obbligato scorrimento delle graduatorie,
non potrebbero partecipare nemmeno ad un eventuale successivo concorso, indetto a distanza di diversi anni per la medesima qualifica
professionale, stante il superamento dei limiti
di età prescritti dall'ordinamento. 2.4 Inoltre,
non può sottovalutarsi un ulteriore elemento
che consente di affermare la necessaria cadenza periodica o, più precisamente, annuale del
concorso oggetto dell'odierno contenzioso: il
Codice dell'Ordinamento Militare, infatti, dispone espressamente che “gli organi di vertice
dell'Amministrazione della Difesa sono tenuti
alla programmazione triennale del fabbisogno
personale dell'Arma dei Carabinieri (art. 634)
in tal modo imponendo una previsione ciclica
delle esigenze di personale. Questa disposizione, in combinato disposto con l'art. 1035 del
medesimo d.lgs. n. 66 del 2010 - secondo cui le
Commissioni Superiori di Avanzamento sono
annualmente riunite per valutare l'operato dei
singoli appartenenti alle Forze Armate - determinerebbe la ineludibile necessità di reclutaGazzetta Amministrativa
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l. 7.8.1990 n. 241, in relazione alla esclusione
di un candidato dalla selezione per la riscontrata carenza di un requisito partecipativo
(Cons. Stato, sez. V, 17.2.2009, n. 865).
stato indetto il concorso per l’anno 2011, fosse
stato richiamato il D.P.R. 9/5/1994 n. 487, il
cui articolo 15, al comma 7, stabilisce che “
…le graduatorie dei vincitori rimangono efficaci per un termine di diciotto mesi dalla data
della sopracitata pubblicazione per eventuali
coperture di posti per i quali il concorso è stato
bandito e che successivamente ed entro tale data dovessero rendersi disponibili”. Dalle considerazioni più sopra svolte, discende, infatti, che
con specifico riguardo al settore militare, la disposizione dà facoltà all’amministrazione di
procedere allo scorrimento, ma non la vincola
in tal senso.
Consiglio di Stato Sez. III 17.11.2015 n. 5251
Polizia di Stato: il Ministero non ha nessun
vincolo nel "quando" per l’individuazione
degli uffici nell’ambito dei quali possono essere affidate le funzioni di vice dirigente del
personale appartenente al ruolo degli Ispettori.
Il Ministero dell’Interno ha impugnato la sentenza del Tar del Lazio con la quale è stata accolta l’istanza del Comitato per la tutela degli
Ispettori di Polizia CO.TI POL., volta ad ottenere la declaratoria d’illegittimità del silenzio
serbato dall’Amministrazione sulla diffida ad
adottare entro il termine di trenta giorni il decreto
del
Capo
della
Polizia
per
l’individuazione degli uffici nell’ambito dei
quali possono essere affidate le funzioni di vice
dirigente del personale appartenente al ruolo
degli Ispettori. Il Consiglio di Stato Sez. III con
la sentenza del 17.11.2015 n. 5251 ha accolto
l'appello
non
ravvisando
l’obbligo
dell’Amministrazione, nella specie appunto il
Ministero dell’Interno, di provvedere nei confronti del privato in quanto nel caso in esame
l’Amministrazione anzidetta se pure vincolata
nell’”an” ad assumere l’invocato provvedimento non lo è nel “quando” anche se logicamente
ciò non vuol dire che l’Amministrazione possa
"sine die” rimanere inerte ed esimersi dal disciplinare gli adempimenti stabiliti dalla legge.
Si precisa, infatti, nella parte motiva della sentenza che "L’art.31 quater del D.P.R.n.
335/1982 – Regolamento di Servizio per la Polizia di Stato – stabilisce al 1°comma che gli
ispettori superiori- sostituti ufficiali di pubblica
sicurezza che al 1°gennaio abbiano maturato
quindici anni di effettivo servizio nella qualifica
possono partecipare ad una specifica selezione
per titoli, a conclusione della quale, fermo restando la qualifica rivestita, assumono la denominazione di”sostituto – commissario. Il
6°comma dello stesso articolo dispone che agli
ispettori – sostituti ufficiali di pubblica sicurezza- “sostituti commissari” possano essere attribuite nell’ambito delle funzioni di cui all’art.
26/5°comma, le funzioni di vice dirigente di uf-
Consiglio di Stato Sez. V 27.11.2015 n. 5381
Concorsi pubblici - conseguenze - omessa o
incompleta indicazione di un titolo di studio compilazione del modulo.
La giurisprudenza non ha mancato di rilevare
che l'omessa o incompleta indicazione di un titolo di studio in sede di compilazione del modulo, anche se conseguenza di mera svista dell'istante, determina una vera e propria carenza
della domanda, nella parte relativa all'indicazione del titolo in questione, e non una semplice
indicazione erronea o imprecisa (da ultimo
Cons. Stato, III, 1.2.2010, n. 348) Questo è il
principio ribadito dalla Quinta Sezione del
Consiglio di Stato nella sentenza del
27.11.2015 n. 5381 nella quale, inoltre, è stato
osservato che, in materia di concorsi finalizzati
all'accesso a posti di pubblico impiego, l'esclusione del candidato dal concorso, per mancanza dei requisiti previsti dal bando, non è provvedimento che consegue ad un subprocedimento avente connotati di autonomia e
specialità rispetto all'unico procedimento concorsuale finalizzato alla selezione dei vincitori,
sicché l'amministrazione si riserva sempre la
facoltà di verificare in capo a ciascun candidato il possesso dei requisiti previsti nel bando.
Pertanto, anche l'eventuale evoluzione del procedimento selettivo verso la fase delle prove
d'esame, e il superamento delle stesse da parte
del candidato, non sono di per sé sintomatici
del positivo scrutinio dei requisiti di ammissione, operazione che può essere postergata fino
all'approvazione della graduatoria, con la conseguenza che nessun onere di comunicazione di
avvio del procedimento può profilarsi, ex art. 7,
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della Costituzione” (sentenza n.5830/2010).
Sulla base di tale principio la Quinta Sezione
del Consiglio di Stato nella sentenza del
6.11.2015 n. 5078 ha evidenziato testualmente
"come nella fattispecie controversa, però,
l’amministrazione regionale si trovava davanti
ad una procedura di mobilità già esperita e con
le relative assunzioni già deliberate, dunque il
problema risiedeva e risiede nella potestà
dell’amministrazione di continuare i procedimenti di assunzione per i posti che le possibilità
di bilancio offrivano di ricoprire, utilizzando
nuovamente la procedura di mobilità al tempo
attivata ed esaurita e quindi successivamente e
nuovamente sostituita dallo scorrimento delle
graduatorie. Precisa il Collegio che "Occorre
allora cercare di offrire alla questione un inquadramento sistematico alla luce delle norme
vigenti al momento originario della controversia in esame, in modo tale da fornire una soluzione in armonia con l’ordinamento e riprendere quindi quella giurisprudenza che ha indagato i rapporti tra i diversi mezzi di assunzione
alle dipendenze della pubblica amministrazione. La giurisprudenza di questo Consiglio con
alcune importanti pronunce ha chiarito il rapporto esistente tra le differenti modalità di assunzione alle dipendenze della p.a., prevedendo
tra le stesse una gradazione elastica, ossia ricavando la presenza nell’ordinamento di una
disciplina di preferenza delle modalità di assunzione per l’accesso all’impiego alle dipendenze della p.a.; l’Adunanza plenaria
28.7.2011 n. 14 ha analizzato i rapporti esistenti tra l’indizione di un concorso e lo scorrimento della graduatoria di un concorso, già espletato, concludendo che: “Posto che in tema di
copertura di posti nel pubblico impiego la decisione di “scorrimento” della graduatoria non
può essere collocata su un piano diverso e contrapposto rispetto alla determinazione di indizione di un nuovo concorso, tenendo presente
che entrambi gli atti si pongono in rapporto di
diretta derivazione dai principi dell’art. 97
Cost., e quindi devono essere sottoposti alla
medesima disciplina anche in relazione
all’ampiezza dell’obbligo di motivazione, va
precisato che si è oramai realizzata la sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per
un nuovo concorso e la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace, in
fici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi siano altri funzionari del
ruolo di commissari o del ruolo direttivo speciale. Con decreto del Capo della PoliziaDirettore generale della pubblica sicurezzasono individuati gli uffici nell’ambito dei quali
possono essere affidate le funzioni predette,
nonché ulteriori funzioni di particolare rilevanza di cui a medesimo art. 26 sopra citato. Dal
chiaro tenore letterale delle disposizioni appena sopra enunciate discende che la facoltà di
attribuzione delle funzioni e conseguentemente
di emissione del decreto di individuazione delle
sedi in cui possano essere affidate le funzioni
anzidette, non contiene termini di sorta ed attiene all’ambito dei profili organizzatori e di
gestione dell’apparato amministrativo, in quanto appare atto conclusivo di un procedimento di
organizzazione interna e di analisi della situazione organica e, come tale, rientra, a pieno titolo, almeno dal punto di vista sopra indicato,
nel campo delle scelte discrezionali della Pubblica Amministrazione. Consegue a quanto detto che essendo la materia riservata al potere
discrezionale dell’Amministrazione, nessun
vincolo almeno nel “quando” sussisteva in capo al Ministero dell’interno di emissione
dell’invocato provvedimento, ma logicamente
ciò non vuol dire che l’Amministrazione possa”
sine die” rimanere inerte ed esimersi dal disciplinare gli adempimenti stabiliti dalla legge.
Consiglio di Stato Sez. V del 6.11.2015 n. 5078
Assunzione nelle pubbliche amministrazione
- oobbligo della Regione - uso della mobilità
volontaria - indizione del concorso - extrema
ratio.
Dall’esame della giurisprudenza del Consiglio,
ed in particolare della sentenza 17.2.2014 n.
177 e della giurisprudenza con essa richiamata
- n. 5830/2010 -msi desume il principio
dell’obbligo della mobilità volontaria prima
dell’indizione del concorso anche per gli enti
locali, chiarendo che: “il reclutamento dei dipendenti pubblici avviene attraverso un procedimento complesso nell’ambito del quale la
procedura concorsuale non è affatto soppressa,
ma è subordinata alla previa obbligatoria attivazione della procedura di mobilità, in attuazione dei fondamentali principi di imparzialità
e buon andamento, predicati dall’articolo 97
Gazzetta Amministrativa
-237-
Numero 3 /4- 2015
Pubblico impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
disciplina, nel secondo è l’elusione del principio del previo esperimento di mobilità, che determina la patologia dell’atto, dal ché si evince
come in capo all’amministrazione regionale residui un potere discrezionale, che deve essere
orientato al rispetto del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento
di nuovo personale. Ma le previsioni di cui
all’art. 34 bis citato nello strutturare il procedimento di mobilità, non permettono la formazione di sorta di graduatorie sul modello di
quelle concorsuali, per cui esse non possono
essere considerate efficaci negli anni seguenti
al pari di queste ultime, ma si esauriscono al
momento delle specifiche assunzioni cui sono
finalizzate: infatti, come si è visto, la regola generale delle assunzioni rimane sempre quella di
tipo concorsuale dello scorrimento delle graduatorie che viene derogata solo nella fase preliminare mediante le procedure di mobilità tanto è che il comma 4 dell’art. 34 bis stabilisce
che “Le amministrazioni, decorsi due mesi dalla ricezione della comunicazione di cui al
comma 1 da parte del Dipartimento della funzione pubblica (…) ossia dal bando per la mobilità, possono procedere all'avvio della procedura concorsuale per le posizioni per le quali
non sia intervenuta l’assegnazione di personale
ai sensi del comma 2, vale a dire il provvedimento di assegnazione che definisce la mobilità
medesima. E la stessa Regione, dal canto suo,
ha previsto sulla scia di tali previsioni il previo
esperimento delle procedure di mobilità e quindi l’attuazione della regola generale, che può
essere nei fatti residuale, dello scorrimento delle graduatorie concorsuali". Da tutta questa
ricostruzione - conclude il Consiglio di Stato discende
la
correttezza
delle
tesi
dell’appellante, secondo cui non poteva ammettersi un’improvvisa e contraddittoria obliterazione dello scorrimento delle graduatorie in
luogo di una reviviscenza dei risultati delle
procedure di mobilità non prevista dal legislatore, ma nemmeno dai provvedimenti della Regione medesima, per cui non è ravvisabile
l’inammissibilità eccepita dalle difese regionali.
quanto quest’ultima modalità di reclutamento
rappresenta oggi la regola generale, mentre
l’indizione del nuovo concorso costituisce
l’eccezione e richiede un’apposita e approfondita motivazione, che dia conto del sacrificio
imposto ai concorrenti idonei e delle preminenti esigenze di interesse pubblico”. Venendo ad
affrontare direttamente il tema della causa, non
vi è alcun dubbio che la Regione non possa obliterare l’uso della mobilità volontaria, né
possa disciplinarne autonomamente gli effetti.
Rimane da appurare se l’amministrazione regionale resta effettivamente titolare di un potere di organizzazione discrezionale nel determinare la quantità dei posti riservati alla mobilità
volontaria rispetto a quelli riservati al pubblico
concorso (Sez. V, n. 177/2014 cit.), sempre
tramite un atto fornito di congrua motivazione,
affinché si dimostrino chiaramente quali sono
le ragioni per le quali si preferisce uno dei tipi
di reclutamento del personale. La deliberazione
di Giunta n. 2448 del 2011 è nella specie l’atto
con il quale la Regione ha esercitato le sue
scelte, dando priorità nel “piano assunzionale”
all’esperimento delle procedure di mobilità ex
art. 30 e 34 bis stabilite dal D. Lgs. 165 del
2001 e prevedendo lo scorrimento eventuale
delle graduatorie concorsuali vigenti in caso di
assenza o parziale risposta alle predette procedure. Fin qui le determinazioni della P.A. appaiono del tutto rispettose delle più complesse
previsioni legislative, soggette a continue modificazioni sin dalla primitiva emanazione del d.
lgs. 165/2001. Infatti la lettura del dato testuale
dell’art. 30 ed il confronto con quello dell’art.
34 bis in parola conduce all’interpretazione secondo cui le amministrazioni pubbliche “sono
tenute” ad utilizzare la procedura della mobilità d’ufficio prima di avviare le altre procedure
di assunzione di personale e le eventuali assunzioni effettuate in violazione di tale previsione
“sono nulle di diritto”. L’art. 30 d.lgs.
165/2001 dispone poi che: “Le amministrazioni
possono ricoprire posti vacanti in organico
mediante cessione del contratto di lavoro...” e
che “sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole
dei contratti collettivi volti ad eludere
l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di
nuovo personale”. Quindi, mentre nel primo
caso la nullità scatta in caso di violazione della
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Consiglio di Stato Sez. III 23.10.2015 n. 4888
Inquadramento del dipendente pubblico qualifica superiore - calcolo interessi legali e
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Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
accogliere la richiesta di trasferimento
avanzata dall’assistente capo -OMISSISosservando che la situazione rappresentata dal
medesimo nelle note del 9 e 23.06.2010 “non
consente valutazioni in deroga ai criteri
ordinari che disciplinano la mobilità a
domanda”;
pertanto
“l’aspirazione
dell’interessato, alla luce delle motivazioni e
delle necessità evidenziate, è stata acquisita
agli atti al fine di essere esaminata,
comparativamente alla posizione di pariqualifica”.
In tal modo l’Amministrazione ha chiaramente
espresso il motivo del diniego, che consiste nel
mancato apprezzamento come “gravissime ed
eccezionali” delle ragioni esposte e
documentate dal dipendente. Tale valutazione
si dimostra esente dai palesi vizi di cui innanzi,
come del resto rilevato dalla Sezione in sede
cautelare (cfr. ord. 18.11.2011 n. 5089).
Invero, la patologia dei due figli del
richiedente, così come documentata e pur
oggettivamente di una certo livello di gravità,
non era stata riconosciuta in via ufficiale
particolarmente grave, cioè “gravissima”.
L’appellato ha difatti comprovato in questa
sede che solo in date 5.07.2012 e 4.02.2013 le
competenti
commissione
medica
per
l’accertamento dell’handicap e commissione
medica per l’accertamento delle invalidità
hanno riconosciuto uno dei due figli “portatore
di handicap in situazione di gravità” e,
rispettivamente, “minore invalido con difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni
proprie della sua età”, peraltro in entrambi i
casi assoggettando il responso a futura
revisione. Oltretutto, neanche tali sopravvenuti
giudizi medico-legali attestano una situazione
“gravissima” sotto il profilo clinico. Né
avrebbe potuto condurre ad un diverso
apprezzamento, da un lato, la circostanza
dell’esenzione dal pagamento del ticket
sanitario, che compete ai cittadini affetti da una
o più patologie croniche previste dal d.m. n.
296/2001, non necessariamente gravi e tanto
meno gravissime; dall’altro lato, il parere
favorevole del Questore della sede di
provenienza, atteso che, come giustamente
addotto da parte appellante, l’Amministrazione
centrale, in una visione estesa a tutti i reparti
della Polizia di Stato, deve basarsi su criteri
rivalutazione monetaria - differenze retributive.
La Terza Sezione del Consiglio di Stato nella
sentenza del 23.10.2015 n. 4888 ha affermato
che "nelle ipotesi di ricostruzione di carriera a
seguito dell'inquadramento del dipendente
pubblico in una qualifica superiore, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria sulle differenze retributivetardivamente corrisposte
dall'Amministrazione decorrono dalla data del
provvedimento, con il quale, a séguito del disposto reinquadramento, sorge il diritto di credito del dipendente ( C.d.S., sezione III, n. 4854
del 13.9.2012). Sulle differenze retributive,
dunque, sono dovuti, sino al soddisfo, gli interessi legali e la rivalutazione monetaria (fermo
naturalmente restando il divieto di loro cumulo
dal 1.1.1995, ex artt. 16, VI comma, legge
30.12.1991, n. 412, e 22, XXXVI comma, legge
23.12.1994, n. 724), a partire dalla data di adozione della delibera che riconosce in capo
all'interessato la qualifica superiore, o meglio,
nella fattispecie, a partire dalla sentenza esecutiva del TAR Puglia n. 1739 del 2000, da cui è
sorto - retroattivamente - il diritto di credito di
cui si sta trattando, a cui l’Amministrazione avrebbe dovuto dare esecuzione mediante
l’adozione della delibera di reinquadramento".
Consiglio di Stato Sez. III 23.10.2015 n. 4890
Polizia di Stato - "gravissime ed eccezionali
situazioni personali" che consentono il
trasferimento “anche in soprannumero”.
L’art. 55, co. 4, del d.P.R. 24.04.1982 n. 335,
recante ordinamento del personale della
Polizia di Stato, consente di prescindere dalle
ordinarie procedure di mobilità a domanda e di
disporre il trasferimento del dipendente “anche
in soprannumero” quando, tra l’altro,
ricorrano “gravissime ed eccezionali situazioni
personali”. La norma attribuisce, dunque,
all’Amministrazione un potere eccezionale e
derogatorio, come tale caratterizzato da ampia
discrezionalità, il cui esercizio, com’è noto, può
essere sindacato nei limiti della sussistenza di
gravi ed evidenti vizi di razionalità ed illogicità
o di travisamento dei fatti, nonché a fronte del
quale
sono
ovviamente
configurabili
unicamente situazioni soggettive di interesse
legittimo del dipendente. Nella specie, il Capo
della Polizia ha ritenuto di non poter
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3 /4- 2015
Pubblico impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
eventuali profili soggettivi di colpa nelle
vicende che hanno determinato tali disagi. Il
trasferimento della tipologia in parola non ha,
infatti, carattere sanzionatorio né disciplinare,
non postulando comportamenti sanzionabili in
sede penale e/o disciplinare, ed è condizionato
solo alla valutazione del suo presupposto
essenziale costituito dalla sussistenza oggettiva
di una situazione di fatto lesiva del prestigio,
decoro o funzionalità dell´amministrazione che
sia, da un lato, riferibile alla presenza del
dipendente in una determinata sede e,
dall’altro lato, suscettibile di rimozione
attraverso l´assegnazione del medesimo ad
altra sede. Inoltre, come pure nella specie
evidenziato dal primo giudice, in materia
competono all´Amministrazione ampi e
penetranti poteri discrezionali, sindacabili da
parte del giudice amministrativo unicamente ab
externo, in relazione ai noti vizi di grave e
manifesta illogicità, travisamento dei fatti ed
incompletezza della motivazione, rimanendo
esclusa ogni indagine del merito dell’effettuata
valutazione (cfr., tra le tante, Cons. St., sez. III
12.11.2014 n. 5569, 11.07.2013 n. 3739,
9.04.2013 n. 1955 e 16.12.2011 n. 6623).
ben più ampi, avuto riguardo anche alle istanze
di altri operatori richiedenti per problemi
similari le sedi a cui aspira l’originario
ricorrente. Infine, poiché le puntuali ragioni di
fatto del diniego ed il conseguente iterlogico
seguito emergono compiutamente dal mero
raffronto tra l’anzidetta motivazione del
diniego e la documentazione prodotta
dall’interessato a sostegno della richiesta di
trasferimento, non può propriamente parlarsi
di difetto di motivazione, Per le considerazioni
sin qui esposte deve ritenersi che erroneamente
il TAR, pur dando atto che in materia residua
al giudice un controllo limitato alla
ragionevolezza dei parametri utilizzati ed alla
coerenza
dell’operazione
ermeneutica
condotta, si è sostanzialmente sovrapposto
all’Amministrazione nel giudizio da questa
espresso. Anzi, nel rilievo della sussistenza di
giurisdizione esclusiva è pervenuto persino a
disporre che il Ministero trasferisca anche in
soprannumero il ricorrente presso una delle
sedi da lui indicate, senza però considerare che
siffatta tipologia di giurisdizione (vale a dire
anche sulle controversie in cui si faccia
questione di diritti nelle materie di cui all’art.
133 co. proc. amm., sempreché la controversia
non ricada comunque, come nella specie, nella
giurisdizione generale di legittimità) non si
traduce nella diversa tipologia della
giurisdizione estesa al merito di cui all’art. 134
cod. proc. amm.
Consiglio di Stato Sez. III 3.9.2015 n. 4107
Dimissioni dei dipendenti pubblici: il
rapporto d´impiego cessa con la comunicazione all´interessato dell´atto di accettazione delle dimissioni, prima è sempre
possibile la revocarle.
È principio consolidato quello per cui il
rapporto d´impiego, ivi compreso quello
militare, cessa con la comunicazione
all´interessato dell´atto di accettazione delle
dimissioni che viene quindi catalogato come
atto recettizio, con l´evidente corollario che la
revoca di queste ultime può essere sempre fatta
valere validamente ed efficacemente fino alla
data di notifica dell´accettazione (cfr., tra le
più recenti, CdS, IV, n. 4197/2013 e n.
3450/2012; V, n. 5384/2011; I, n. 2644/2010;
CGA, n. 41/2014). La giurisprudenza del
Consiglio di Stato ha ribadito detti principi
anche di fronte a vicende in cui, come nel caso
in esame, la revoca della rinuncia ed il
provvedimento di dimissioni erano intervenuti
nell’ambito di un corso di formazione. In
particolare, riguardo a corsi finalizzati
Consiglio di Stato Sez. III 10.9.2015 n. 4234
Trasferimento per motivi di opportunità ed
incompatibilità ambientale: gli ampi e
penetranti poteri discrezionali dell´Amministrazione sono sindacabili dal giudice
amministrativo unicamente ab externo,
rimanendo esclusa ogni indagine del merito
della valutazione.
Per
consolidata
giurisprudenza,
il
trasferimento per motivi di opportunità ed
incompatibilità ambientale ha il fine di tutelare
il prestigio ed il corretto funzionamento degli
uffici pubblici e di garantire la regolarità e
continuità
dell´azione
amministrativa,
eliminando la causa obiettiva dei disagi che
derivano dalla presenza del dipendente presso
un determinato ufficio, a prescindere
dall’imputabilità al dipendente stesso di
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
oggettiva del rapporto di lavoro.
Il Consiglio di Stato Sez. V nella sentenza del
20.8.2015 n. 3959 ha affermato che: "La
circostanza che trattasi di corso – concorso
riservato al personale interno della regione e
finalizzato alla riqualificazione del personale ai
fini della progressione di carriera non è
circostanza significativa ai fini del riparto di
giurisdizione in materia di pubblico impiego tra
giudice ordinario e giudice amministrativo. In
base a giurisprudenza consolidata, infatti, va
riconosciuta la giurisdizione del giudice
amministrativo anche nelle controversie
relative a concorsi interni, quando il concorso,
riservato al personale già dipendente
dell’Amministrazione, comporti la progressione
in senso verticale e cioè una novazione
oggettiva del rapporto di lavoro (cfr. CdS, Sez.
V, 16.7.2007, n. 4030; Cass., SS.UU.,
23.3.2005, n. 6217). Invero, il quarto co.
dell’art. 63 del d.Lgs. n. 165 del 2001, laddove
riserva alla giurisdizione del giudice
amministrativo le controversie in materia di
procedure concorsuali per l’assunzione dei
dipendenti delle Pubbliche amministrazioni, fa
riferimento non solo alle procedure concorsuali
strumentali alla costituzione, per la prima
volta, del rapporto di lavoro, ma anche alle
prove selettive dirette a permettere l’accesso
del personale già assunto ad una fascia o area
superiore o qualifica superiore, dovendo il
termine “assunzione” essere correlato alla
qualifica che il candidato tende a conseguire, e
non solo all’ingresso iniziale nella pianta
organica del solo personale (cfr. CdS, Sez. IV,
22.10.2004, n. 6942). I concorsi interni non si
configurano, infatti, come ordinario sviluppo di
carriera degli impiegati che vi partecipano, ma
vanno intesi come procedimenti selettivi che,
alla pari di quelli in cui sono ammessi
candidati esterni, consentono l’accesso a posti
alle
dipendenze
delle
pubbliche
amministrazioni diversi da quelli già occupati.
I concorsi interni, quindi, non presentano
connotati differenti dai concorsi denominati
pubblici, e questa identità, di natura e di
risultato, consente di ricondurli sotto la
previsione normativa (ora, dell’art. 63, co. 4,
del d. lgs. 30.3.2001, n. 165 e, con riguardo
all’epoca del provvedimento impugnato in
prime cure, dell’art. 68 del d. lgs. 3.2.1993, n.
all’immissione in ruolo come agenti o assistenti
della Polizia di Stato, dopo aver richiamato la
giurisprudenza sui limiti di revocabilità delle
dimissioni del pubblico dipendente, si è
affermato che non poteva impedire l’efficacia
della revoca neanche la comunicazione che il
provvedimento di dimissioni era in corso di
perfezionamento (cfr. CdS, VI, n. 3968/2011 –
relativo ad un corso disciplinato dall’art. 6-ter
del d.P.R. 335/1982, come introdotto dall’art.
1, co. 4-bis, del d.lgs. 197/1995, disciplina del
tutto analoga a quella dell’art. 5 del d.lgs.
334/2000); e che, viceversa, vale ad estinguere
il rapporto la comunicazione del contenuto del
provvedimento di dimissioni completo e
comprensivo del numero di protocollo, se
intervenuta prima della revoca della revoca
delle dimissioni (VI, n. 7096/2005). Il Consiglio
di Stato Sez. III con sentenza del 3.9.2015 n.
4107 ha aderito a tali orientamenti. Nel caso in
esame, è pacifico che la revoca della rinuncia
al corso sia intervenuta prima che il
provvedimento di dimissioni (provvedimento
che, in sostanza, nel procedimento delineato
dall’art. 5 del d.lgs. 334/2000, quando
consegue alla rinuncia del soggetto ammesso a
frequentare il corso, equivale all’accettazione
della
rinuncia)
venisse
comunicato
all’appellante. Le ragioni che avrebbero
indotto l’Amministrazione a disporre il
subentro di un nuovo partecipante subito dopo
aver adottato il provvedimento di dimissioni
dell’appellante, legate all’ottimizzazione della
partecipazione al corso, appaiono certamente
commendevoli, ma non possono condurre ad
obliterare
la
natura
recettizia
del
provvedimento ed il conseguente spazio di
tutela assicurata al diritto di revoca del
destinatario. Peraltro, per l’Amministrazione al fine di assicurare la copertura del posto che
si rendeva disponibile, senza dover rischiare di
avere un partecipante in meno - sarebbe stato
sufficiente comunicare all’appellante il
provvedimento di dimissioni con sollecitudine
(non tre giorni dopo, ma non appena la
rinuncia era stata presentata).
Consiglio di Stato Sez. V 20.8.2015 n. 3959
Concorsi riservati al personale interno giurisdizione - giudice amministrativo in
caso di progressione verticale - novazione
Gazzetta Amministrativa
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Numero 3 /4- 2015
Pubblico impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
finalizzata alla progressione verticale, la
controversia appartiene alla giurisdizione del
giudice amministrativo.".
29, come modificato dai decreti legislativi n. 80
e n. 387 del 1998) che attribuisce al giudice
amministrativo
le
controversie
“sulle
procedure concorsuali per l’assunzione dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni”
(cfr. CdS, Sez. V, 12.10.2004, n. 6560; Cass.,
SS. UU., 15.10.2003, n. 15403, sulla scorta di
C. cost. n. 41/99 e n. 2/2001; Cass., sez. un.,
5.05.2011, n. 9844, 25.05.2010, n. 12764 e
89.04.2010, n. 8424). 1Ciò posto è indubbio
che il concorso di cui trattasi, riservato ai
dipendenti inquadrati nella quinta qualifica
funzionale, per la copertura di 12 posti di
“istruttore amministrativo”, figura professionale 6.01, integri una progressione verticale.
Nel sistema articolato in livelli e qualifiche
funzionali disciplinato dal d.P.R. 25.6.1983, n.
347 e successive modifiche, al tempo vigente, il
passaggio dal livello di inquadramento ad altro
livello superiore costituisce progressione di
carriera comportando l’attribuzione di
mansioni superiori. Il sistema rimane
sostanzialmente invariato anche con la
introduzione della articolazione del sistema di
classificazione
in
quattro
categorie
denominate, rispettivamente, A, B, C e D,
previsto dal d.P.R. n. 333 del 1990 integrativo
per gli enti locali del d. P.R. n. 347 del 1983.
Le categorie sono individuate, infatti, mediante
le declaratorie - riportate nell´all. A - che
descrivono l´insieme dei requisiti professionali
necessari per lo svolgimento delle mansioni
pertinenti a ciascuna di esse e il contenuto
professionale delle attribuzioni proprie della
categoria. Sta di fatto che, ai sensi dell’art. 4
del d.P.R. n. 347 del 1983, come integrato dal
d.P.R. n. 333 del 1990, è considerata
progressione verticale il passaggio dei
dipendenti alla categoria immediatamente
superiore. Tale passaggio deve avvenire a
mezzo procedure selettive nel limite dei posti
vacanti della dotazione organica della
categoria superiore. La citata disposizione
consente anche che con le medesime procedure
gli enti possano procedere alla copertura dei
posti vacanti dei profili caratterizzati da una
professionalità acquisibile esclusivamente
dall´interno degli stessi enti, quindi con
concorso riservato al personale interno, così
come avvenuto nel caso in esame. In
conclusione, trattandosi di procedura selettiva
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TAR Lazio Rm Sez. III bis 18.8.2015 n. 10847
Precari della scuola: la sentenza del TAR
Lazio che salva i "congelati".
Davanti alla Sezione Terza bis del TAR Lazio è
stata decisa la controversia che vede una
pluralità di docenti precari che aspirano da
svariati anni ad ottenere l’abilitazione
all’insegnamento, ciascuno nella classe di
concorso per cui ha il titolo di studio valido.
Essi, per conseguire l’abilitazione si sono
iscritti nell’a.a. 2007/08 al IX ciclo della SSIS,
ma poi - per diversi motivi (dottorato di
ricerca, motivi di lavoro, ecc.) non hanno
potuto frequentarla, congelando dunque la loro
iscrizione. Confidavano nel X ciclo che si
sarebbe dovuto svolgere l’anno dopo, ma la
riforma Gelmini ha bloccato le SSIS e quindi i
ricorrenti non hanno potuto abilitarsi. Nelle
more, però, di un complessivo processo di
riforma della formazione e del reclutamento dei
docenti, il MIUR ha emanato il decreto n. 249
del 10.09.2010, con cui ha previsto un
regolamento concernente la “Definizione della
disciplina dei requisiti e delle modalità della
formazione iniziale degli insegnanti della
scuola dell’infanzia, della scuola primaria e
della scuola secondaria di primo e secondo
grado, ai sensi dell’art. 2, co. 416, della l.
24.12.07 n. 244”. Con il regolamento il MIUR
ha disciplinato dei percorsi formativi – i c.d.
Tirocini Formativi Attivi (TFA) – gestiti e
organizzati dalle Università, finalizzati alla
formazione degli insegnanti, al conseguimento
dell’abilitazione all’insegnamento e dunque
all’immissione nei ruoli dei docenti in base al
fabbisogno annuo stabilito dal MIUR. L’art. 15
co. 17 del d. n. 249/2010 ha previsto che questi
docenti
avrebbero
potuto
conseguire
l’abilitazione per le classi di concorso per le
quali era stata effettuata l’iscrizione alla SSIS
attraverso lo svolgimento del tirocinio
formativo attivo, senza dover nemmeno
sostenere l’esame di ammissione e con il
riconoscimento degli eventuali crediti acquisiti,
anche in soprannumero rispetto al numero
massimo dei docenti previsti nei TFA. I
ricorrenti, dunque, si sono tutti abilitati con i
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Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
relativa frequenza in quanto “congelati” per la
contestuale frequenza del dottorato di ricerca.
Il TAR Lazio Roma Sez. III bis con sentenza del
18.8.2015 n. 10847 ha ritenuto fondato il
ricorso presentato dai docenti precari nella
parte in cui censura l’irragionevolezza e la
disparità di trattamento. In particolare, ad
avviso del giudice capitolino, tali aspetti
emergono in modo evidente laddove si
consideri che, nel definire la platea dei soggetti
aventi pieno titolo all’iscrizione nella GAE,
essa viene ristretta ai soli insegnati già iscritti
con riserva nelle graduatorie ad esaurimento in
attesa del conseguimento del titolo, senza
invece considerare la categoria – assimilabile
sotto il profilo della provenienza e
dell’equivalenza (dove non della prevalenza)
curricolare – di coloro che, come i ricorrenti,
pur ammessi alla SSIS, non hanno potuto
frequentarla per concomitante frequenza di un
dottorato di ricerca e che sono rimasti in
permanenza
in
tale
condizione
di
“congelamento” per la successiva mancata
attivazione delle stesse scuole (nella specie
nell’a.a. 2008/2009). Il tutto in un contesto nel
quale non era dato prevedere la data di
attivazione dei tirocini formativi attivi,
avvenuta nei fatti solo molti anni dopo e
all’esito dei quali gli stessi ricorrenti hanno
conseguito l’abilitazione per le medesime classi
di concorso nell’a.a. 2012/2013. Aspetto
quest’ultimo che accentua ancora di più la
disparità di trattamento nel confronto tra
ammessi alla odierna domanda di iscrizione, in
quanto già iscritti con riserva anche ove, in
ipotesi, ancora non abilitati, ed esclusi, come la
ricorrente, ancorché ormai abilitati. Infine, per
ciò che concerne l’irragionevolezza della
disposizione, risalta la mancanza di una chiara
logica idonea, nello stabilire un asse di
continuità tra SSIS e GAE, a fondare in modo
ragionevole l’esclusione in parola come
predicato necessario di quella premessa. Il
TAR ha, quindi, annullato il decreto del
Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca n. 572 del 27.06.2013, nella parte in
cui non consente anche l’iscrizione alle GAE
dei ricorrenti, nonché i provvedimenti con i
quali gli Uffici Scolastici abbiano rigettato le
domande di iscrizione nelle G.A.E. dei
ricorrenti.
TFA. Il MIUR, come ogni anno, ha emanato il
D.M. 27.06.2013 n. 572 per l’aggiornamento
delle graduatorie ad esaurimento del personale
docente ed educativo, prevedendo, all’art. 2
una disposizione che prevede lo scioglimento
della riserva da parte dei docenti di cui all’art.
15 co. 17 del d.m. n. 249/2010, iscritti in
soprannumero ai percorsi TFA al fine di
completare il percorso intrapreso presso le
soppresse SSIS e che avrebbero conseguito
l’abilitazione anche successivamente al termine
della presentazione della domanda (in ragione
del ritardo con cui sono stati attivati alcuni
corsi di TFA). Al riguardo, nello presente
articolo 2, si precisa che potevano sciogliere la
riserva solo i docenti iscritti nell’a.a. 2007/08
alle SSIS e che erano inseriti con riserva nelle
graduatorie ad esaurimento alla data di
pubblicazione definitiva delle medesime, in
applicazione dell’art. 5 bis della l. 169/08 e del
D.M. n.42/09 concernente l’integrazione e
l’aggiornamento delle graduatorie per il
biennio 2009/2011.. Le domande di alcuni
ricorrenti, che hanno presentato istanza di
inserimento nelle graduatorie ad esaurimento
ai vari USR – Uffici provinciali, sono state
rigettate. Il legislatore ha escluso dalla
fattispecie coloro che, come i ricorrenti, si sono
iscritti al IX corso della SSIS, ma non lo hanno
frequentato (per i più svariati motivi, lo
svolgimento di un dottorato di ricerca, motivi
personali, ecc.), congelandolo. Stavano invece
frequentando il TFA che li avrebbe portati, di lì
a pochi giorni, ad ottenere l’abilitazione, come
infatti poi è stato. Così ricostruito il quadro
normativo, il TAR Lazio ha esaminato la
posizione dei ricorrenti – che non sono stati
presi in considerazione per l’iscrizione con
riserva nelle GAE in quanto non frequentanti la
SSIS nell’a.a. 2007/2008 e che non avevano
potuto
frequentare
tale
Scuola
di
specializzazione perché “congelati”, in quanto
contestualmente ammessi a dottorati di ricerca
– non sono stati neppure considerati per
l’iscrizione definitiva alla GAE in quanto non
iscritti con riserva nelle medesime graduatorie.
Nella sostanza, con il d.m. n. 572 del 2013 sono
stati tenuti definitivamente fuori dal percorso
formativo immaginato in continuità tra SSIS e
GAE, pur essendo stati ammessi a suo tempo
alla Scuola di specializzazione, ma non alla
Gazzetta Amministrativa
-243-
Numero 3 /4- 2015
Pubblico impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
ammissibile un’azione volta ad ottenere un
diverso
inquadramento,
se
non
tempestivamente
proposta
contro
il
provvedimento di attribuzione della qualifica,
né è ammesso un autonomo giudizio di
accertamento, nel quale si chieda la
disapplicazione
dei
provvedimenti
amministrativi, atteso che l’azione di
accertamento è esperibile a tutela di un diritto
soggettivo, mentre la posizione del pubblico
dipendente,
a
fronte
della
potestà
organizzatoria della pubblica amministrazione,
è quella di titolare di un mero interesse
legittimo (v., ex plurimis, CdS, Sez. V,
30.6.2014, n. 3277). 7.4. Né a rimettere in
termini l’odierno appellante, che non ha
tempestivamente impugnato l’inquadramento,
può bastare la proposizione del ricorso avverso
la citata nota n. 2198 del 4.10.1996, del
Servizio Personale – Settore Trattamento
Giuridico ed Economico, a firma del Direttore
amministrativo,
dott.
Giuseppe
Testa,
contestata in primo grado, atteso che si tratta
di provvedimento meramente confermativo del
precedente inquadramento, che non contiene
alcuna nuova determinazione autoritativa in
ordine allo stesso, limitandosi a negare
l’estensione del giudicato riguardante altri
soggetti all’odierno appellante, e non è il frutto
di una nuova e approfondita rivalutazione, da
parte dell’Amministrazione, in ordine alla sua
posizione funzionale. Il T.A.R. capitolino,
conclude il Consiglio di Stato, sulla scorta di
tale consolidato indirizzo ermeneutico, ha
perciò correttamente dichiarato inammissibile
il ricorso proposto in primo grado dall’odierno
appellante, a nulla rilevando l’asserito
formarsi di un giudicato favorevole ottenuto da
altri colleghi del dott. Longo sulla medesima
questione qui dibattuta".
Consiglio di Stato Sez. III 11.8.2015 n. 3912,
Pubblici dipendenti - diverso inquadramento
necessaria impugnazione del provvedimento
di attribuzione della qualifica.
La vicenda vede l´appellante, impugnare in
primo grado avanti al T.A.R. Lazio il
provvedimento del Servizio Personale – Settore
Trattamento Giuridico ed Economico, a firma
del Direttore amministrativo, con il quale è
stata rigettata la sua richiesta di
inquadramento nella posizione funzionale di
“coadiutore amministrativo”, livello VIII, dalla
data di maturazione del triennio di anzianità
nella
qualifica
di
“collaboratore
amministrativo”. Il TAR Lazio, con la sentenza
n.
17369
del
20.4.2009,
dichiarava
inammissibile il ricorso. Avverso tale sentenza
ha proposto appello l’interessato, che è stato
dichiarato infondato dal Consiglio di Stato,
Sezione III che con la sentenza del 11.8.2015 n.
3912 ha respinto l´appello. Nella parte motiva
della sentenza il Consiglio di Stato rileva come
"Il T.A.R. ha dichiarato inammissibile il ricorso
per il rilievo che non è ammessa, nel nostro
ordinamento, una pretesa volta ad un miglior
inquadramento
senza
che
sia
stato
tempestivamente
impugnato
l’atto
di
inquadramento in una posizione inferiore,
essendo quest’ultimo atto espressione di una
potestà organizzatoria che può essere
contestata solo mediante la proposizione di
tempestivo ricorso avverso di esso. La tesi
dell’appellante, sostenuta nel I motivo di
gravame,
riposa
sull’affermazione
che
l’inquadramento, nel caso di specie, si riduca
ad una mera attività vincolata, avente ad
oggetto la ricognizione della qualifica
posseduta e del mero decorso del tempo, sicché
non
sarebbe
configurabile
in
capo
all’Amministrazione alcun potere discrezionale
e, quindi, la posizione del dipendente sarebbe
di diritto soggettivo, non soggetto al termine di
decadenza. Una simile tesi, pur suggestiva, non
può tuttavia essere accolta perché la
consolidata giurisprudenza di questo Consiglio
ha affermato che i provvedimenti di
inquadramento dei pubblici dipendenti hanno
natura di atti autoritativi e, come tali, sono
soggetti
al
termine
decadenziale
di
impugnazione, con la conseguenza che non è
Gazzetta Amministrativa
Consiglio di Stato Sez. VI 16.7.2015 n. 3570
Scuola - giurisdizione nelle controversie
riguardanti lo scorrimento della graduatoria
o l´indizione di un concorso.
La vicenda giunta all´esame del Consiglio di
Stato riguarda Il decreto del direttore generale
per il personale scolastico che ha indetto il
concorso a cattedre, per titoli ed esami,
finalizzato al reclutamento del personale
docente nelle scuole dell’infanzia, secondaria
-244-
Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
che rimangono attribuite alla giurisdizione del
giudice amministrativo le controversie in
materia di procedure concorsuali per
l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni,
nonché,
in
sede
di
giurisdizione esclusiva, quelle relative ai
rapporti di lavoro del personale in regime di
diritto
pubblico.
La
giurisprudenza
amministrativa è costante nel ritenere che le
questioni relative al mero scorrimento delle
graduatorie, involgendo il diritto soggettivo
all’assunzione, appartengono alla giurisdizione
del giudice ordinario (Cons. Stato, Ad. plen.,
12.07.2011, n. 11) mentre le questioni in cui si
controverte in ordine alla legittimità
dell’esercizio del potere pubblico inerente alla
decisione se indire un concorso o utilizzare una
determinata graduatoria appartiene alla
giurisdizione del giudice amministrativo (tra le
altre, CdS, Sez. V, 9.03.2015, n. 1186; Cass.,
sez. un., 6.5.2013, n. 10404). La controversia
all´esame del Consiglio di Stato è regolata
dalle disposizioni di seguito riportate. L’art.
399 del d.lgs. 16.04.1994, n. 297 (Approvazione
del testo unico delle disposizioni legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle
scuole di ogni ordine e grado) prevede che
l´accesso ai ruoli del personale docente della
scuola materna, elementare e secondaria, ivi
compresi i licei artistici e gli istituti d´arte, ha
luogo, per il 50 per cento dei posti annualmente
assegnabili, mediante concorsi per titoli ed
esami e, per il restante 50 per cento, attingendo
alle graduatorie permanenti. Il suddetto doppio
binario è regolato dagli artt. 400 e 401. L’art.
401 disciplina le graduatorie permanenti
disponendo che «le graduatorie relative ai
concorsi per soli titoli del personale docente
della scuola materna, elementare e secondaria,
ivi compresi i licei artistici e gli istituti d´arte,
sono trasformate in graduatorie permanenti da
utilizzare per le suddette assunzioni in ruolo».
L’art. 400, che interesse in questa sede,
disciplina i «Concorsi per titoli ed esami»,
disponendo, tra l’altro, che: - i concorsi per
titoli ed esami sono indetti su base regionale
con frequenza triennale, con possibilità del loro
svolgimento in più sedi decentrate in relazione
al numero dei concorrenti (co. 1); - l’indizione
dei concorsi è subordinata alla previsione del
verificarsi nell’ambito della Regione, nel
di I e II grado. Le parti, avendo superato tutte
le prove ed essendo risultate idonee
all’insegnamento nella rispettiva classe di
concorso, sono state inserite in una apposita
graduatoria di merito predisposta dalla
commissione giudicatrice ed approvata dal
Direttore generale dell’ufficio scolastico
regionale. Le suddette parti hanno impugnato,
innanzi al Tribunale amministrativo regionale
per il Lazio, il bando e l’atto di approvazione
delle graduatorie definitive, rilevando in
particolare: i) l’illegittimità del bando nella
parte in cui ha previsto l’effettuazione di
concorsi ogni due anni anziché ogni tre; ii) la
violazione dei principi di buon andamento
dell’azione amministrativa in quanto si sarebbe
disposto che, pure in presenza di graduatorie
ancora valide, si sarebbero dovuti bandire
nuovi concorsi; iii) la violazione del principio
dell’assunzione per merito di cui all’art. 51
Cost. Il Tribunale amministrativo, con sentenza
2.09. 2014, n. 9273, ha dichiarato
inammissibile il ricorso affermando che,
venendo in rilievo una questione afferente allo
scorrimento della graduatoria che involge
diritti soggettivi all’assunzione, la giurisdizione
spetti al giudice ordinario. I ricorrenti in primo
grado hanno proposto appello deducendo che
essi «non hanno rivendicato un proprio attuale
diritto all’assunzione sulla base della propria
utile collocazione in graduatoria» ma hanno
chiesto che venga dichiarata «l’illegittimità
degli atti amministrativi impugnati, laddove
questi ultimi negano l’utilizzazione delle
graduatorie di merito ai fini della possibile
assunzione degli idonei non vincitori in
relazione ai posti che saranno autorizzati dal
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e
della Ricerca in aggiunta al contingente delle
11. 542 cattedre già bandite». Il Consiglio di
Stato nella sentenza del 16.07.2015 n. 3570 ha
evidenziato che "L’art. 63, co. 1, del d.lgs.
30.3.2001,
n.
165
(Norme
generali
sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche) prevede che
sono devolute al giudice ordinario, in funzione
di giudice del lavoro, tutte le controversie
relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni, incluse, tra
l’altro, quelle concernenti l’assunzione al
lavoro. Il co. 4 del medesimo art. 63 stabilisce
Gazzetta Amministrativa
-245-
Numero 3 /4- 2015
Pubblico impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
triennio di riferimento, di un´effettiva
disponibilità di cattedre o di posti di
insegnamento (co. 1); - all’indizione dei
concorsi regionali per titoli ed esami provvede
il Ministero della pubblica istruzione, che
determina altresì l´ufficio dell’amministrazione
scolastica periferica responsabile dello
svolgimento dell´intera procedura concorsuale
e della approvazione della relativa graduatoria
regionale (co. 2); - l’ufficio che ha curato lo
svolgimento delle procedure concorsuali
provvede anche all´approvazione delle
graduatorie (co. 16); - le graduatorie relative
ai concorsi per titoli ed esami restano valide
fino all´entrata in vigore della graduatoria
relativa al concorso successivo corrispondente
(co. 17). Le appellanti, alla luce della suddetta
normativa, contestano la scelta dell’amministrazione di “utilizzare” le graduatorie
predisposte
all’esito
della
procedura
concorsuale soltanto per i “vincitori” e non
anche per gli “idonei”. Pur trattandosi di una
fattispecie con tratti di peculiarietà rispetto a
quelle oggetto di esame da parte della
giurisprudenza sopra riportata, la Sezione
ritiene che in questo caso le parti del processo
contestano le modalità di esercizio di un potere
pubblico.
La determinazione contestata all’amministrazione non attiene, infatti, alla singola
posizione di un concorrente che reclama il
“diritto all’assunzione” di un posto
“disponibile” mediante scorrimento della
graduatoria ma ha valenza di portata generale
afferendo alla decisione pubblica di approvare
la graduatoria con esclusione della possibilità
di impiego “futuro” della graduatoria stessa
per la chiamata degli idonei non vincitori. In
definitiva, la valutazione della natura
dell’attività
esercitata
dalla
pubblica
amministrazione e della situazione giuridica
protetta conduce a ricondurre anche questa
fattispecie nell’ambito di quelle per le quali la
giurisdizione spetta al giudice amministrativo.
«:::::::::GA:::::::::»
Gazzetta Amministrativa
-246-
Numero 3/4 - 2015
Pubblico Impiego e Responsabilità
della Pubblica Amministrazione
PARERI
Questa sezione della Gazzetta Amministrativa raccoglie la pareristica redatta dall’AVVOCATURA DELLO STATO
mente gli atti di assenso, concerto o nulla osta comunque denominati, e perciò atti di natura sostanzialmente provvedimentale da parte di Amministrazioni o gestori di servizi
pubblici chiamati a partecipare alla formazione della volontà dell’Amministrazione
procedente.
La norma non riguarda, invece, la richiesta e
l’adozione di pareri da parte degli organi
consultivi dello Stato, ai quali si applica la
specifica disciplina per gli stessi prevista.
Sulla predetta questione di massima è stato
sentito il Comitato Consultivo, che nella riunione del 26.10.2015 si è espresso in conformità.
DOMANDA
L’istituto del silenzio-assenso. Parere
28/10/2015-481307, al 35684/15, Avv. Maria
Letizia Guida
RISPOSTA
Codesta Amministrazione chiede se l’art. 17
bis della l. n. 241/1990 (introdotto dall’art. 3
della L. 28.08.2015, n. 124) sia applicabile
anche all’attività consultiva di questa Avvocatura. Si osserva al riguardo che, secondo il
chiaro tenore letterale della novella legislativa e secondo le prime interpretazioni dottrinali, l’istituto del silenzioass
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