TESI di DOTTORATO Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comuitario SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN : GIURISPRUDENZA INDIRIZZO: DIRITTO PENALE COMPARATO CICLO: XXI NECESSITÀ, EMERGENZA E PUBBLICI POTERI: PROFILI PENALISTICI Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. ROBERTO KOSTORIS Supervisore :Ch.mo Prof. ENRICO M. AMBROSETTI Dottoranda : LUISA FANTINATO INTRODUZIONE “Il coraggio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare”. Nelle parole di Don Abbondio si compendia la tensione psicologica dell’uomo quando la sua volontà viene coartata da circostanze che appaiono non dominabili ed egli è indotto a compiere azioni che, in condizioni normali, non compirebbe. Ora, ancorché necessitate, le scelte che l’essere umano quotidianamente affronta, quando le collisioni tra i valori in gioco coinvolgono postulati della sola sfera della coscienza, interessano filosofi e sociologi, ma lasciano indifferenti gli studiosi del diritto, prescindendo la composizione di tali crisi1 dal dato giuridico. Ancora, se accade che un dovere di natura giuridica imponga comportamenti difformi dalle convinzioni etiche del soggetto chiamato ad agire, allora la scelta si gioca tra una norma giuridica ed una norma etica2. Nondimeno, però, anche tali casi il conflitto viene lasciato in ambito pregiuridico: gli ambiti di operatività delle due norme impositive del dovere (la “legge del cuore” e il diritto positivo) non sono coincidenti, e pertanto residua un margine di scelta apprezzabile all’agente almeno dal punto di vista giuridico, (ossia se incorrere o meno nelle conseguenze previste dalla legge). Vi sono infine tipi di conflitti affatto peculiari, che si verificano allorquando sono proprio due norme giuridiche a prescrivere allo stesso soggetto comportamenti diversi e inconciliabili: sono questi casi di vivo interesse per i giuristi, dal momento che la decisione coinvolge beni giuridicamente tutelati la cui salvaguardia contemporanea non è però possibile. Le situazioni ipotizzabili sono innumerevoli e tra le più disparate: basta pensare a chi, per sfuggire agli inseguitori, si introduce in casa altrui; al naufrago che tramortisce il compagno di sventura perché la tavola cui sono entrambi aggrappati può sopportare il peso di un solo uomo; al medico che deve scegliere a quale tra i due pazienti in fin di vita attaccare l’unico respiratore disponibile … Non è agevole raggruppare tali esempi, che per lo più rappresentano casi di scuola, in una categoria unitaria, ma se ne può individuare un comune denominatore: ossia la costrizione a commettere un reato3, allorché la lesione del diritto di un terzo innocente rappresenta l’unica via di scampo da un pericolo incombente. Si versa quindi in stato di necessità. I profili penalistici in tema di stato di necessità destano particolare interesse. Quanto alla lettura del conflitto, per una prima posizione è considerata sempre e comunque lecita una condotta che, pur ledendo un diritto altrui, sia espressione dell’incoercibile istinto di conservazione, perché la legge non può pretendere che l’uomo rinneghi se stesso a vantaggio di altri. Tuttavia, a questa si replica che se i casi di non punibilità di un fatto costituente reato non fossero preventivamente stabiliti dal legislatore, allora tale fondamentale decisione sarebbe rimessa alla mera discrezionalità del giudice del caso concreto. Nel silenzio della legge sui casi di non punibilità, si potrebbe, viceversa, pensare 1 Come noto, la parola “crisi” deriva dal greco krisis, che significa, appunto, “decisione”. Significativo a questo proposito è il dilemma di Antigone che si muove tra il dovere morale di dare rispettosa sepoltura al fratello Polinice e il divieto, legislativamente espresso dal re Creonte, di procedere alle esequie. 3 Negli esempi riportati potranno essere la violazione di domicilio e l’omicidio. 2 1 che, se un’azione è espressamente vietata dalla legge (ad es. l’omicidio), il singolo sia sempre e comunque chiamato a conformarsi alla norma, anche a costo di sacrificare un proprio diritto (ad es. il naufrago dovrà rinunciare a salvare la sua vita se l’unico modo per farlo è togliere la vita al compagno). Tuttavia, a ciò si obietta che se lo Stato sanzionasse chi tra gli interessi in gioco ha scelto di tutelare il proprio, definirebbe implicitamente la prevalenza dell’interesse altrui, in contrasto col principio fondamentale che vuole i diritti di tutti sullo stesso piano, tutelati per tutti allo stesso modo. Ciò premesso, emerge prepotentemente la necessità di una previsione legislativa per i casi di conflitto tra due interessi meritevoli di tutela giuridica quando non sia possibile rispettarli entrambi ed invero non si trova ordinamento che abbia tralasciato di regolare lo stato di necessità, a riprova del fatto che si ha a che fare con un principio generale di giustizia incidente in situazioni umane universali4. In effetti, per secoli i giuristi si sono confrontati su tale argomento, che viene unanimemente considerato il banco di prova delle teorie del reato, ed in particolare di quelle che mirano ad enucleare la categoria delle giustificanti contrapposta e complementare a quella delle scusanti5. La prima parte del lavoro è quindi dedicata allo studio della normativa disposta dal codice penale italiano. Nella convinzione della opportunità di un’analisi comparatistica, si è poi scelto di dedicare particolare attenzione alla normativa 4 È incontestabile, in proposito, l’affermazione che il problema della necessità abbia un fondamento pregiuridico, che si radica nel DNA di ogni individuo, e che nei momenti estremi non si può imporre l’eroismo. Sempre più spesso, infatti, viene fatto notare che restare ancorati ai principi serve “solo se si resta vivi” (PANEBIANCO Angelo, in Corriere della Sera, 13.8.2006, 15.8.2006, 3.9.2006) 5 Fin dalle pagine introduttive della presente ricerca, appare d’obbligo una precisazione: nei manuali l’uso di termini quali ‘scriminante’, ‘esimente’, ‘giustificante’ tendenzialmente non è rigoroso, poiché ciascun autore lega le parole ai concetti in modo discrezionale. Siffatta tendenza può ricondursi al fatto che il nostro codice penale non opera alcuna distinzione tra le cause di non punibilità, riconducendole tutte alla non meglio specificata categoria delle circostanze che escludono la pena, distinguendo solo tra cause di estinzione del reato o della pena. Inoltre, nel nostro ordinamento si deve riscontrare una generale prassi giurisprudenziale tesa a rifiutare le qualificazioni dogmatiche legali. Appare pertanto opportuno procedere a una definizione convenzionale dei termini con cui, d’ora in poi, verranno designate le cause di non punibilità in base alla loro diversa funzione. Ciò premesso, si sceglie quindi di denominare ‘giustificanti’ quelle cause di non punibilità che rappresentano un momento di elisione dell’antigiuridicità del fatto tipico. ‘Scusanti’ quelle che escludono la possibilità di muovere un rimprovero personale all’agente, che pure ha posto in essere un fatto penalmente tipico, incidendo nel momento di valutazione della colpevolezza. ‘Esimenti’ quelle cause che, pur in presenza di un fatto costituente reato anche sotto il profilo della colpevolezza, statuiscono che, per ragioni di opportunità, non venga irrogata la pena prevista. Il termine ‘scriminanti’, quindi, verrà adoperato per indicare l’insieme delle cause di non punibilità, indipendentemente dal loro fondamento, ed anche per indicare quella particolare categoria di cause di non punibilità che sta tra giustificanti e scusanti nella originale ricostruzione prospettata da MEZZETTI. In proposito, è appena il caso di formulare un rapidissimo cenno alla dottrina tedesca che ha, forse con scarsi rilievi pratici, complicato il campo di analisi affiancando alle cause scusanti (Entschuldigungsgrunde), le c.d. cause di esclusione della colpevolezza (Schuldausschließungsgrunde), e precisandone il differente fondamento: per le prime l’ha rinvenuto nel principio di inesigibilità o lo ha fatto riposare nell’area della ‘responsabilità per il fatto’; per le seconde nella mancanza di dolo o colpa. La distinzione, che nel passato ha riscosso notevoli successi, sembra oggi entrata in crisi e, per quanto non possa dirsi inesatta, la sua rilevanza pratica non è tale da giustificare una duplicazione di categorie; pertanto, nel presente lavoro, si è scelto di utilizzare come sinonimi i termini ‘scusante’ e ‘cause di esclusione della colpevolezza’. 2 predisposta dal codice tedesco6, mentre si fa solo un cenno ad altri ordinamenti. Date siffatte premesse, si è poi constatato che il problema della necessità è venuto assumendo, negli ultimi tempi, particolari connotati che destano nuova curiosità e solleticano lo spirito speculativo dello studioso del diritto. Sono noti a tutti i fatti dell’11 settembre 2001, e l’attacco kamikaze alle Torri Gemelle, ed è altresì di dominio comune il dibattito che ne è sorto all’indomani, anche in seguito alla dichiarazione di “guerra globale al terrore”7. Nella particolare contingenza storica che sta vivendo la società odierna, è alta l’allerta mondiale contro il terrorismo di matrice islamica8: dalle pagine dei quotidiani o dai servizi televisivi, si apprendono spesso notizie di nuovi attacchi kamikaze, non solo nelle zone calde del vicino oriente, ma nei luoghi più diversificati. Basti ricordare i vili attacchi di matrice terroristica si sono verificati l’11 marzo 2004 alla stazione dei treni di Madrid e il 7 luglio 2005 nella metropolitana di Londra: è innegabile, quindi, che il problema riguarda l’intera società globale. La minaccia terroristica pone agli Stati dilemmi etici e giuridici, e allora occorre chiedersi se la norma sullo stato di necessità, attesi i principi generali del codice penale, offra strumenti adeguati per affrontare la necessaria lotta al terrorismo, consentendo di giustificare, attesa l’importanza del fine, le condotte che integrano la commissione di reati asseritamene compiute da organi pubblici in nome della sicurezza collettiva (in tema di violazione della riservatezza, dalle restrizioni della libertà di movimento fino all’ipotesi di ricorso alla tortura). Nello specifico, per quanto concerne il nostro ordinamento, a fronte della recente emergenza terroristica, si sono levate voci, anche dall’opinione pubblica, favorevoli all’individuazione di una “zona grigia” di sospensione della legalità, per la tutela della sicurezza del Paese, a tutto svantaggio dei membri delle organizzazioni terroristiche. Occorre quindi indagare se il pericolo, a tutti tristemente noto, sotto il profilo giuridico, presenti i connotati dell’attualità, se da esso derivi una minaccia che può definirsi grave e altrimenti inevitabile, se tale minaccia rilevi in quanto rivolta non ad una persona, ma ad un’intera società, e, infine, fin dove possa ritenersi proporzionato il rapporto tra minaccia e difesa. Ai fini di una migliore individuazione del problema, è necessario un riferimento ai casi del passato, sia a quelli avvenuti nel nostro Paese (caso Dozier, caso Sossi, per citarne solo alcuni), sia negli ordinamenti stranieri (caso Lorenz e caso Schleyer in Germania). L’analisi è ricca di risvolti pratici di viva attualità, e, come accennato, emerge con prepotenza la questione della tortura, se sia ammissibile o meno un “mandato di tortura” per estorcere confessioni a presunti terroristi; e, in quest’ambito, si impone anche una valutazione (giuridica) delle c.d. extraordinary rendition. Resta poi 6 Comune è infatti il retroterra di cultura giuridica in cui si è sviluppato il diritto penale, affini sono i percorsi battuti dalla dottrina, ma differenti ne sono stati gli esiti, forse in ragione delle ferventi riflessioni d’oltralpe che hanno ad oggetto la teoria tripartita del reato e la natura delle cause di non punibilità. 7 GEORGE W. BUSH, estratto dal discorso tenuto il 20 settembre 2001, www.whitehouse.gov., chiama a raccolta tutti i paesi liberi, nella lotta al terrorismo: “This is not, however, just America's fight. And what is at stake is not just America's freedom. This is the world's fight. This is civilization's fight. This is the fight of all who believe in progress and pluralism, tolerance and freedom”. 8 Il “nemico”, nel presente contesto storico, è individuato nel terrorismo di matrice islamica, fortemente connotato in termini religiosi; ma le considerazioni che seguiranno si attagliano, in realtà, a qualsiasi movimento che rappresenti una minaccia per la sicurezza pubblica. 3 ancora aperta, forse più modestamente, la questione se il bilanciamento tra sicurezza e libertà possa giustificare, e in che misura, controlli sulle comunicazioni, restrizioni dei movimenti delle persone, perquisizioni di abitazioni, impiego della forza pubblica, fermo delle persone sospette. Ovvero, nel contempo, se si possa giustificare un’insolita benevolenza premiale nei confronti di chi richieda la concessione di alcuni benefici al fine di far cessare la minaccia al bene protetto. In altre parole, da un lato consta il rispetto assoluto del principio di legalità, caposaldo dell’ordinamento penale, unitamente alle garanzie individuali dell’imputato; dall’altro, la necessità di preservare la pubblica incolumità dal pericolo dell’emergenza terroristica. Occorre quindi chiedersi quali mezzi, anche eccezionali (commissione di reati), siano giustificati dall’importanza del fine. A ben vedere, l’approccio alla lotta al terrorismo si può atteggiare da un lato invocando la norma sullo stato di necessità allo scopo di un’inquisitoria compressione dei diritti fondamentali dell’individuo (terrorista) per perseguire lo scopo di tutela del bene collettivo minacciato (sicurezza e incolumità pubblica). E, dall’altro, la medesima norma può venire invocata con lo scopo opposto di potenziamento dei diritti del singolo, come in occasione della concessione di benefici altrimenti non conferibili (ad esempio con una procurata evasione), volto all’identico fine di tutela del bene minacciato. Nel primo caso col rischio di compromettere il sistema delle garanzie di libertà personale nei confronti dello stato, nel secondo con quello di creare un’eccessiva larghezza delle maglie del sistema di controllo, con conseguente indebolimento dello Stato. Sotto il profilo comparatistico, è interessante rilevare che le risposte a tali emergenze sono state molto diverse, in passato e ancora oggi, tra Germania e in Italia, nonostante la sostanziale affinità culturale dei predetti ordinamenti. Lo stato di necessità nell’ordinamento d’oltralpe, come si vedrà, è da considerarsi norma attributiva di un potere eccezionale di risposta ‘flessibile’ a situazioni di emergenza, senza che la rottura della legalità debba per questo considerarsi l’oggetto di uno specifico dovere a carico degli organi statali. Esso è considerato una norma giustificante, e non crea alcun empasse nel sistema penale. Di contro, nell’ordinamento italiano, si è ritenuto in passato che i concetti di Stato di diritto e Stato democratico postulassero che anche la lotta contro il terrorismo fosse fatta con le armi della legalità e che proprio per l’uso di tali armi lo Stato si ponesse in antitesi con il suo nemico, in modo che alla barbarie venisse contrapposta la civiltà. Nel corso del presente lavoro, è risultato quindi evidente il ruolo primario del diritto penale nella lotta al terrorismo e, nella dialettica del ragionamento, è emerso che la necessità, in un primo tempo integrata nella disciplina codicistica, è divenuta non solo ispiratrice, ma prepotente sovrana nella legislazione emergenziale: in altre parole, in nome della necessità è stata approntata una normativa speciale, che si è ritenuta meritevole di un cenno, in ottica comparatistica, senza alcuna pretesa di esaustività. Come noto, peraltro, anche lo stato italiano, nel sostanziale rispetto dei principi generali dell’ordinamento, ha rafforzato una serie di norme volte al contenimento del pericolo, ad esempio modificando la disciplina dei reati di terrorismo, quella relativa ai servizi segreti, e, in ossequio alle linee guida del Consiglio d’Europa, ha disciplinato 4 alcune misure di prevenzione (sequestro dei beni). Nel panorama internazionale si sono quindi individuati sostanzialmente quattro modelli di risposta all’emergenza (terroristica), quattro paradigmi emersi negli ordinamenti che si sono trovati ad agire in casi di estrema necessità9: vi sono Stati, come la Gran Bretagna, per i quali si è adottata una specifica martial law, e si è data copertura costituzionale (postuma) ad alcuni atti altrimenti illegittimi; negli Stati Uniti, come noto, similmente si parla di martial law, ma questa si realizza nell’aperta previsione di generale possibilità di deroga (preventiva) ai diritti costituzionalmente garantiti. Entrambi gli ordinamenti si connotano, sostanzialmente, per il conferimento di poteri speciali all’esecutivo. In altri ordinamenti europei, quale ad esempio la Spagna, si sono disciplinati singolari “stati di eccezione”, con deroghe puntuali e limitate sospensioni dei diritti costituzionali. Come si vedrà, inoltre, il legislatore tedesco, sulla scia emozionale degli attacchi alle Torri Gemelle, aveva approntato una legge atta a permettere l’abbattimento di velivoli civili nel caso venissero a costituire una minaccia per la collettività: ma tale legge è stata irrimediabilmente censurata dalla Corte Costituzionale. Da ultimo, in altri ordinamenti, il legislatore non ha dettato alcuna disciplina generale per la gestione dei casi di necessità e, pertanto, l’eventuale giustificazione di atti costituenti reato deve essere ritenuta dalla magistratura chiamata a gestire forme e modalità dello stato di eccezione. A ben vedere, quindi, rientra nel fuoco del presente lavoro non solo il ruolo dello stato di necessità quale norma penalistica idonea (o meno) a dare copertura a puntuali rotture della legalità, ma, più in generale, il ruolo dell’intero diritto penale, quale strumento idoneo (o meno) alla lotta all’emergenza terroristica. 9 Si veda cap.IV del presente lavoro. 5 6 LA NECESSITA’ NELLA PARTE GENERALE DEL CODICE PENALE CAPITOLO PRIMO Evoluzione delle teorie dello stato di necessità –panorama italiano 1 L’evoluzione dello stato di necessità .................................................................... 7 2 Le formulazioni della norma nei codici preunitari e nel codice Zanardelli ........ 11 3 Tra logica oggettiva e soggettiva: conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra impostazione ............................................................................................................... 14 4 La formulazione del codice Rocco: l’art. 54 c.p................................................. 21 5 Le altre ipotesi di ‘necessità’ regolate dal codice. Cenni ................................... 28 6 Casi tipici e ipotesi problematiche...................................................................... 32 7 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri .................................................... 42 7.1 Il caso Sossi ................................................................................................ 42 7.2 Il caso Dozier .............................................................................................. 43 7.3 Caso Moro .................................................................................................. 44 7.4 Caso Abu Omar .......................................................................................... 45 7.5 La risposta nell’ordinamento italiano ......................................................... 46 In questi primi capitoli si vuole sommariamente tratteggiare la storia della evoluzione delle teorie sullo stato di necessità, con fine puramente descrittivo, senza pretesa di definizioni dogmatiche. Da una rapida panoramica dell’evoluzione filosoficogiuridica dell’istituto, infatti, risulta evidente che le situazioni di necessità vennero tenute in conto dagli ordinamenti di ogni tempo, ma in ogni tempo presentarono difficoltà di inquadramento, cosicché i diversi legislatori si astennero dal precisarne la ratio, oscillante tra oggettivo e soggettivo10. 1 L’evoluzione dello stato di necessità Non si ritrova nel diritto antico e nell’intermedio una teorica dello stato di necessità nel senso in cui viene concepito oggi11, ma alcune delle fattispecie considerate dalle fonti romanistiche possono essere ricondotte al paradigma dello stato di necessità, senza che, però, sia possibile evincerne una ratio unitaria12. Nelle fonti romane, - dove 10 Nonostante l’apparente chiarezza dei connotati, l’art. 54 c.p. suscita da sempre accesi dibattiti con riguardo al suo fondamento dogmatico: per alcuni la norma in esame costituisce una causa soggettiva di esclusione della colpevolezza, che si fonda sull’impossibilità di muovere un rimprovero penale a fronte dell’inesigibilità di un comportamento conforme alla norma; altri, invece, insistono sull’efficacia oggettivo-giustificante della norma, in applicazione del principio del bilanciamento di interessi. Tali concetti verranno ripresi e argomentati oltre. 11 MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1920, pag. 277: pare che nel diritto romano il soggetto non commettesse reato se, non potendo tutelare i suoi diritti senza sacrificare quelli degli altri, ledeva un diritto meno o egualmente importante di quello in pericolo. Le suddette fattispecie, quindi, sembrano affrontate facendo ricorso al principio del bilanciamento degli interessi in gioco. 12 VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000, pag. 36 e ss: Più volte nel Digesto (D. 9, 2, 49, 1; D. 43, 24, 7, 4, Ulp. 71 ad 7 lo studio delle questioni procede con metodo casistico più che per concettualizzazioni dogmatiche -, non si rinviene, quindi, una norma generale, ma si disciplinano nel dettaglio le fattispecie, nelle quali è possibile riconoscere il minimo comune denominatore nell’esistenza di un pericolo a cui è permesso sottrarsi compiendo azioni che, altrimenti, sarebbero punite. Nel diritto intermedio l’efficacia esimente della necessità venne riconosciuta soprattutto con riguardo al furto13; tuttavia, rimane nebuloso il fondamento giuridico di siffatte previsioni tanto che sembra di potervi ravvisare forme arcaiche di limiti al diritto di proprietà più che manifestazioni dello stato di necessità. Il principio ‘necessitas legem non habet’, invece, è di matrice canonistica: nei testi sacri un duplice riferimento induce ad affermare che la necessità renda lecito ciò che la legge dichiara illecito, con particolare riguardo ai contrasti tra il diritto alla vita e la proprietà14. Viene quindi affermandosi, per questa via, la liceità del furto per fame. Nel contempo, manca ancora il riconoscimento di una generale efficacia esimente della necessità in ipotesi diverse dal furto per fame: per le trasgressioni “necessitate” di altro tipo, infatti, sono solamente previste sanzioni meno gravi, provandosi compassione per l’humana fragilitas, senza però rinunciare al rimprovero15. Quanto ai pratici tra il medioevo e l’età moderna, possono dirsi notevolmente influenzati dalla citata dottrina canonistica16; tuttavia la ragione giustificatrice di siffatte previsioni è ancora indeterminata tra considerazioni oggettive di scelta del male minore e criteri soggettivi ispirati alla comprensione per l’umana fragilità. Vale a dire che è assente una chiara enucleazione del criterio ispiratore, la cui ricerca darà origine a discussioni filosofiche nei secoli successivi e fino ai giorni nostri. ed; D. 47, 9, 3, 7, Ulp. 56 ad ed) ricorre la fattispecie di abbattimento dell’edificio in fiamme da parte del proprietario dell’edificio vicino che teme il propagarsi dell’incendio al fabbricato di sua proprietà, chiarendo in proposito la non esperibilità dell’azione aquiliana, argomentata o per la mancanza di dolus malus o per il riconoscimento della forza cogente del iustus metus originata dalla situazione. Ancora è prevista la possibilità di tagliare le funi dell’ancora della nave altrui impigliatesi con l’ancora della propria nave; ovvero si esclude la punibilità dell’accusato di un delitto sanzionato con pena capitale, se corrompe il delatore per salvare la propria vita; è permesso a genitori liberi vendere come schiavi i propri figli, in deroga alle costituzioni imperiali, se in condizioni di indigenza. L’Autore rinviene il fondamento di tali esenzioni nel riconoscimento dell’influenza, sulla volontà dell’agente, di un pericolo incombente; tuttavia ammette che in altri passi il fondamento dell’esenzione debba invece rinvenirsi nella ripartizione contrattuale dei danni subiti in situazioni eccezionali, com’è ad esempio per il getto delle merci in acqua finalizzato ad evitare l’affondamento della nave, coperto dall’accettazione contrattuale del rischio connesso alla navigazione. 13 Era permesso al viandante tagliare legna sul fondo altrui per scaldarsi, farvi pascolare il cavallo o raccogliere una modica quantità di frutta per sfamarsi. 14 Sempre VIGANÒ, Stato, cit., pag. 38. I passi determinanti sono quelli del Deuteronomio in cui si consente al viandante di mangiare uva senza farne provvista e di cogliere spighe senza usare la falce, e quelli dei Vangeli in cui si narra che il Maestro e i discepoli, passando un sabato tra le messi, avendo fame ne colsero, suscitando scandalo non certo perché avessero commesso furto, ma perché così facendo avevano violato l’obbligo del riposo settimanale; si segnala poi che, in alcuni testi, viene invocata la necessità a giustificare il reato di suicidio, se commesso per preservare la castità. 15 Si ritiene di sanzionare le azioni necessitate, anche se solamente con penitenze e digiuni, perché si ritiene che chi agisce costretto dal timore del pericolo incombente sceglie pur sempre liberamente di compiere un male per sottrarsi ad un altro male. 16 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 40 e ss, ricorda i nomi di Bartolo e Bonifacio, che ritennero conforme a giustizia sia umana che divina consentire all’uomo affamato di appropriarsi di alimenti altrui; l’Autore trova tracce di evidente influenza della dottrina canonistica nella Constitutio Criminalis Carolina del 1533, laddove si prevede la non punibilità del furto di alimenti commesso per salvare sé, la moglie e i figli dalla morte per inedia. 8 Tocca, quindi, ai giusnaturalisti del Seicento approcciare il problema della necessità e recuperare la sua dimensione unitaria17, postulando il diritto naturale di usare in gravissima necessitate delle cose altrui tamquam si communes mansisset, sul presupposto che per effetto della situazione di necessità le cose ridivengono comuni. In tale prospettiva si assume la necessità come il limite razionale del diritto di proprietà e di ogni norma derivante dalla costituzione della società civile, anche laddove le leggi non lo dicano espressamente; la necessità, in altre parole, si concretizza come un dato pregiuridico alla cui presenza la legge cede il passo, ritirandosi. La dottrina giusnaturalistica postgroziana, più sensibile alle istanze di una società mercantile saldamente ancorata alla proprietà e agli altri diritti positivi, si muove, invece, verso criteri “soggettivi”, più consoni a garantire il diritto di proprietà, affermando che non è la necessità a porsi al di fuori della legge, ma è la legge stessa a ricondurla nel proprio alveo, così da trattare con benevolenza chi in situazioni eccezionali si pone contro l’ordinamento. Tali riflessioni, ancorché distanti dal fornire una compiuta teorica penalistica sullo stato di necessità, forniscono comunque una solida base per le riflessioni di Pufendorf, il quale elabora una autentica teoria dello stato di necessità nel quadro della nascente parte generale del codice penale, riconducendo le molteplici ipotesi ad unità nella dottrina dell’imputazione del fatto al suo autore18. Questa dottrina si incentra sul concetto aristotelico di azione volontaria, che trova la sua causa nella volontà dell’uomo, e ne presuppone la libertà e la previa conoscenza delle circostanze in cui agisce. Solo l’atto volontario può venire imputato all’uomo, solo dell’atto volontario l’uomo può essere chiamato a rispondere. Tra le cause che tolgono al soggetto la possibilità di agire diversamente19 viene ricompreso, appunto, lo stato di necessità. Tuttavia le azioni considerate partecipano di una natura mista: da un lato volontaria, essendo il soggetto a scegliere di commettere un male per evitarne un altro, dall’altro involontaria, avendo il soggetto scelto altrimenti se avesse potuto sottrarsi al male in altro modo. Inoltre, vale precisare che nel sistema così delineato difettano regole precise per l’imputazione di dette escludenti, potendo talvolta evitarsi l’imputazione, talaltra ammettersi biasimo, o ancora pietosa tolleranza per la condotta. Così anche per lo stato di necessità: quando si versa in situazioni in cui il soggetto, ineludibilmente costretto al reato, manca di spontaneità e libertà nell’azione, di questa non può venirgli fatto carico20. 17 GROZIO, De iure belli ac pacis, 1758, l. II, c. II. § VI, 1 ss, pag. 96, prende le mosse da un’impostazione inequivocabilmente ‘oggettiva’, anche se di matrice filosofica più che giuridica, postulando l’esistenza di un vero e proprio diritto di servirsi delle cose altrui in gravissima necessitate. 18 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 43, Questa dottrina venne recepita a chiare lettere dalle prime codificazioni settecentesche: il Codex Iuris Bavarici Criminalis del 1751, la Constitutio Criminalis Theresiana del 1768, la Constitutio Josephina del 1787, l’Allgemeines Landrecht del 1794. Il legislatore muove da una scelta di imputabilità delle azioni coatte, e considera tali cause incidenti sulla misura dell’imputazione, che viene così diminuita. MANZINI, Trattato, cit., pag. 277, invece riconduce la prima compiuta analisi giuridica sul tema, nel XVII secolo, ad una monografia del brandeburghese Strykio (1640-1710), che definì lo stato di necessità come una vis compulsiva et cogens, che fa fare ciò che altrimenti non si farebbe, rendendo lecito ciò che per le leggi non lo sarebbe. 19 O semplicemente diminuenti, dal momento che si sta discutendo di concetti graduabili, sono da annoverarsi in primo luogo ignoranza e violenza; ve ne sono poi altre che, incidendo sul momento intellettivo o volitivo dell’atto, tolgono al soggetto la “possibilità di agire diversamente”. Tra queste: minore età, infermità di mente, coazione morale, ubriachezza e, appunto, stato di necessità. 20 Cfr. per successive elaborazioni che seguono questa scia, di matrice spiccatamente soggettivistica: BOEHMER, Elementa jurisprudentiae criminalis, II ed., 1738, I, II, §28. RENAZZI, Elementa iuris 9 Viene poi successivamente precisato che, quando un individuo è minacciato da un pericolo per la vita e l’incolumità fisica, ed è così in gioco il suo istinto di autoconservazione, viene meno l’imperativo di obbedienza alla legge, per la benevolenza del legislatore che rinuncia a pretendere l’eroismo dai sudditi, sottolineandosi, con ciò, la natura discrezionale dei confini della non imputabilità delle azioni necessitate. I principi fondamentali della dottrina dell’imputazione e l’inserimento in essa della previsione sullo stato di necessità vengono recepiti, nell’Ottocento, dalla dottrina dominante21 e dalle codificazioni22. L’opposta formulazione giuridica in senso “oggettivo” viene comunemente fatta risalire ad Hegel, che nel 182023 individua per le situazioni eccezionali un vero e proprio ‘diritto di necessità’ ben oltre la logica della comprensione dettata da ragioni di equità, affermando che colui il quale si trova in immediato pericolo di vita, ha il diritto di ledere l’altrui diritto di proprietà quando non abbia altro modo di salvarsi. La formulazione rievoca il concetto giusnaturalistico di necessità come costrizione, ma nuove sono le premesse teoriche e nuovo è il sistema in cui viene incardinato il principio24: nella gerarchia di diritti descritta dal filosofo tedesco, quando si verifica un conflitto tra due diritti, non c’è illecito se la condotta lede un diritto di rango inferiore per la tutela di quello di rango più elevato. Lo schema del conflitto, più precisamente, viene generalizzato dai penalisti posthegeliani, giustificando la lesione anche di diritti diversi dal patrimonio per la difesa della vita umana e giungendo poi alla formulazione del principio secondo cui il diritto qualitativamente o quantitativamente inferiore deve cedere a quello superiore25. In tale periodo emerge la differenziazione delle ipotesi di necessità: accanto ad ipotesi riconducibili al c.d. “bilanciamento di interessi”, vengono enucleate quelle in cui non si punisce per benevolenza del legislatore chi in situazioni critiche non si è comportato da eroe solo, ad esempio per i casi in cui il conflitto coinvolga diritti dello stesso rango che non sono ponderabili26. Invero, la ricerca di un punto di equilibrio tra oggettivo e soggettivo non può criminalis, IV ed., 1794, I, pag. 54. CREMANI, De iure criminali, 1741, I, I, cap. IV, § 1. (tutti citati da VIGANÒ, Stato, cit., pag. 45 e ss.). FILANGERI, La scienza della legislazione, Venezia, 1822, , IV, capo LVII dell’impunità, pag. 125. 21 Vedi TITTMANN, Handbuch der Strafrechtswissentschafts und der deutschen Strafgesetzkunde, Halle, 1822; ROSSI, Trattato di diritto penale, trad. it. annotata da Pessina, 1896, citato da VIGANÒ, Stato, cit., pag. 45. 22 Per i codici italiani preunitari si veda oltre. 23 HEGEL, Lineamenti di filosofia dl diritto, a cura di Vincenzo Cicero, con testo tedesco a fronte, Milano, 1996. 24 Il filosofo tedesco, individuando una gerarchia di diritti graduata sull’intensità, via via crescente, con cui si manifesta la libertà autocosciente dello spirito, pone in un primo gradino la proprietà; più in alto l’integrità fisica, e a livello più elevato ancora la vita; sopra di tutti, poi, lo Stato. L’illecito viola uno di questi diritti, ma altro è che leda la libertà dello spirito solo per quella parte che si manifesta nel diritto di proprietà, altro e ben più grave, è che la leda nella sua intera estensione manifestantesi nel diritto alla vita. La prevalenza della vita sul diritto di proprietà risulta quindi come principio generale: 25 Tale generalizzazione si deve a HAELSCHNER, Das gemeine deutsche Strafrecht, 1884; BERNER, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Leipzig, 1871, pag. 138; BERNER De impunitate propter summam necessitatem proposita, 1861, citato da VIGANÒ, Stato, cit., pag. 59 e ss.). 26 La c.d. Differenzierungstheorie di Berner sarà attentamente esaminata oltre. 10 dirsi sopita neppure oggi. Ma prima di analizzare la normativa attuale e i problemi che pone, si vuole offrire una breve disamina delle codificazioni ottocentesche, alla ricerca di un riscontro positivo delle sopracitate elaborazioni. 2 Le formulazioni della norma nei codici preunitari e nel codice Zanardelli Nei codici preunitari che non si rinviene una specifica regolamentazione per lo stato di necessità, che secondo l’antica tradizione giusnaturalistica viene annoverato tra le cause che escludono l’imputazione del fatto al suo autore27. Più precisamente, può dirsi che la non punibilità dell’agente in situazioni di necessità viene in genere ricondotta alle norme sulla “forza irresistibile”28, figura omnicomprensiva nella quale vengono stemperate le differenze tra diverse forze di coazione (ipotesi di forza maggiore, di coazione assoluta e di coazione solo relativa, derivante dalla percezione di un grave pericolo). Ad esempio, l’art. 99 del codice penale sardo del 1839 recita: “non vi ha reato se l’imputato trovavasi in istato di assoluta imbecillità, di pazzia o di morboso furore quando commise l’azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non poteva resistere” 29. Una particolare formulazione è poi adottata dall’art. 34 del codice toscano che così dispone: “Le violazioni della legge penale non sono imputabili, quando chi le commise non ebbe coscienza dei suoi atti e libertà d’elezione” 30. In sostanza, nelle parti generali dei codici manca una norma specifica per lo stato di necessità, confuso con le cause di non imputabilità e ciò si spiega anche con la mancanza di una trattazione generale delle cause di giustificazione. Per il vero, nelle parti speciali dei codici si può rinvenire una trattazione embrionale delle cause di giustificazione31, e, quindi, una l’enunciazione in nuce di legittima difesa e stato di 27 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 115. Modellate sull’art. 64 del codice napoleonico 29 Codice penale per gli Stati di S.M. Re di Sardegna (1839), a cura di VINCIGUERRA, Padova 1995. MEZZETTI, “Necessitas non habet legem”? Sui confini tra ‘impossibile’ ed ‘inesigibile’ nella struttura dello stato di necessità, Torino, 2000, pag. 46 cita anche l’art. 46 del codice parmense. 30 Codice penale pel Granducato di Toscana (1853), a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1995. La lettera dell’art. 34 rappresenta la traduzione più pura della dottrina giusnaturalistica dell’imputazione soggettiva, e, secondo Viganò, è in tale prospettiva continua a difettare una norma apposita.VIGANÒ, Stato, cit., pag. 116 31 Cause di giustificazione rilevano con riguardo a norme scriminanti i delitti di sangue. Sono infatti previste ipotesi di omicidi, percosse, lesioni che, pur definiti ancora come ‘non imputabili’, si possono far rientrare in fattispecie riconducibili alle odierne scriminanti degli ordini di legge o di autorità, difesa legittima e stato di necessità. Un esempio è offerto dal codice penale veronese , (Codice penale veronese (1797), a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1996) dove all’art. 3 del Capitolo V (dell’omicidio) si legge: “Omicidio commesso a necessaria difesa sarà riconosciuto quello unicamente, nel caso in cui fosse in imminente pericolo di morte la vita dell’omicida, né fosse egli il provocante o aggressore, né il primo a metter mano all’armi, e non potesse fuggire, o nascondersi, né avesse altro modo di salvare la propria vita”. Dato che, ai fini della non punibilità del delitto, si richiede la difesa della vita, in caso di imminente pericolo di morte, mentre nulla si dice sulla fonte di tale pericolo, è ammissibile ipotizzare che tale pericolo possa derivare sia dall’aggressione ingiusta di un altro uomo, e costituire così un esempio di legittima difesa, sia da cause differenti, concretizzando così una situazione di necessità. diversamente invece per gli artt. 373 e 374 del c.p. siciliano, (Codice penale per lo Regno delle due Sicilie (1819), a cura di VINCIGUERRA, Padova 1998) poiché sono enunciate le situazioni in cui si dà necessità attuale di legittima difesa, e segnatamente: “1) se l’omicidio, le ferite, le percosse sien commesse nell’atto di respingere di notte tempo la scalata, o la rottura de’ recinti o de’ muri, o delle porte di entrata in casa o 28 11 necessità, ma in argomento vale precisare che il riferimento alle attuali giustificanti non può che essere lato, perché in concreto i casi riguardanti lo stato di necessità sono ancora concettualmente confusi con quelli riguardanti la legittima difesa, e il lavoro di chiarificazione sarà portato a felice compimento solo con il codice Zanardelli. Vale solamente sottolineare, in argomento, l’ispirazione di matrice giusnaturalistico-illuministica, che emerge laddove non viene mosso un rimprovero all’autore per ragioni di equità, difettando invece il riconoscimento di un vero diritto di tutelare i propri interessi. Come anticipato, la prima trattazione autonoma e chiara dello stato di necessità è offerta dal codice Zanardelli del 1889, all’art. 49 n. 332: “Non è punibile chi ha commesso il fatto: … 3) per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo grave ed imminente alla persona, al quale non aveva dato volontariamente causa e che non si poteva altrimenti evitare”33. Finalmente, in tale formulazione, lo stato di necessità viene enunciato “come un principio generale allo scopo di disciplinare quelle cause scriminanti, che venivano comprese sotto il concetto della forza irresistibile e della mancata libertà di elezione”34. Quanto all’esegesi della norma, argomenti di natura sistematica e il tenore letterale fanno propendere la dottrina verso una qualificazione soggettiva della stessa35, anche se l’idea di un fondamento oggettivo non può dirsi del tutto sconosciuta nell’ambito della dottrina italiana36. La portata della norma viene precisata derivando la rinunzia del legislatore a punire l’agente da ragioni sia generalpreventive37 sia specialpreventive38. nell’appartamento abitato, o nelle loro dipendenze; 2) se il fatto abbia avuto luogo nell’atto della difesa contro gli autori di furti o di saccheggi eseguiti con violenza”, come nell’identica formulazione dell’art. 615 del c.p. sardo (Codice penale per gli Stati di S.M. Re di Sardegna (1839),, a cura di VINCIGUERRA, cit., pag.182). 32 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 47, lo definisce come la prima ‘codificazione moderna’, notando che continua ad essere rappresentata dalla dottrina delle scuole classica e positiva come un’ipotesi di costringimento della formazione volitiva. 33 Al n. 2 la scriminante della difesa legittima così formulata: “Non è punibile chi ha commesso il fatto: … 2) per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o altri una violenza attuale ed ingiusta”. 34 FLORIAN, Trattato di diritto penale. Dei reati e delle pene in generale, vol. I, Milano, 1901, pag. 504. 35 L’art. 49 infatti segue una serie di disposizioni dedicate ai criteri di imputazione soggettiva, dall’infermità mentale all’ubriachezza; c’è un esplicito riferimento alla ‘costrizione’; i beni salvaguardabili sono limitati a quelli concernenti la persona che in modo più incisivo coinvolgono emotivamente l’agente, e manca un riferimento alla proporzione tra il bene sacrificato e quello salvaguardato. Queste scelte pongono il legislatore sulla scia di quella tradizione che vedeva lo stato di necessità come una situazione incidente sulla volontarietà della condotta e dunque riferito alla (im)possibilità di imputare soggettivamente il fatto al suo autore. VIGANÒ, Stato, cit., pag. 120. Si veda, per la dottrina dell’epoca, Civoli in PESSINA, Enciclopedia del diritto penale italiano, vol. V, Milano, 1904, pag. 165. 36 Si rinviene un’eco delle teorie di Berner nelle parole di IMPALLOMENI, Il codice penale italiano, Firenze, 1904: “esso (il legislatore) ha limitata l’esenzione da pena alla tutela della persona, ed ha avuto cura di impedire che si potesse ritenere lecita qualunque lesione del diritto altrui, senza una causa grave di conservazione personale”. Si veda anche la Relazione del Ministro, Relazione a Sua Maestà, XXIX. 37 Nel senso che la minaccia della pena non vale invece ad intimidire i consociati in tali circostanze estreme ed è quindi inutile ed inopportuna, vedi Civoli in PESSINA, Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 168. Nota altresì l’Autore che “oggettivamente l’azione di chi precipita in mare il compagno per non affondare insieme a lui, è altrettanto ingiusta, quanto quella, che si commette da chi getta nell’acqua colui, del quale vuole la morte non per salvare la propria vita, ma per soddisfare l’odio concepito contro 12 Lo stato di necessità è quindi presentato come una “situazione individuale giuridicamente riconosciuta, per la quale chi in essa si trova viene determinato, senza essere assolutamente coartato, a violare un comando penale a propria od altrui salvezza, e che ha per effetto di rendere impunibile o meno punibile il reato, quando la causa di quella situazione non possa attribuirsi alla volontà dell’agente”39. Quanto all’esplicazione dei requisiti richiesti dalla norma, è sufficiente ricordare, nell’economia del presente elaborato, i concetti di gravità, imminenza e inevitabilità del pericolo nonché la sua non volontaria causazione40, precisando nel contempo che la di esso. La differenza grandissima, che intercede fra queste due azioni, non riguarda che la loro parte soggettiva… però il carattere dell’ingiustizia impresso in un fatto dalla sua contrarietà all’ordine giuridico non è punto cancellato dalla sua attitudine a far sfuggire ad un pericolo mortale”, PESSINA, Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 161 38 Nel senso che il fatto non è invece indice di alcuna particolare pericolosità sociale dell’agente, FLORIAN, Parte generale del diritto penale, vol. I, 1926, pag. 504. 39 MANZINI, Trattato, cit., pag. 278 e ss. Nota il Manzini che “in siffatta ipotesi la legge, pur non concedendo né una autorizzazione né altra facoltà giuridica, rimette o attenua la pena incorsa per il fatto d’aver salvato… sé od altri mediante la violazione di un comando penale… Con ciò si diede riconoscimento giuridico ad un istinto che è in ogni uomo: quello di conservazione, elevato nella sua portata o limitato nei suoi eccessi egoistici dalla civiltà, ed in parte da essa sublimato…; si ridusse a norma di diritto una legge elementare di natura, per la quale la timidezza del cervo si muta in ferocia davanti al pericolo estremo, e la trepidità dell’allodola diventa eroismo per la salvezza dei nati”. E ancora che “non si tratta di un diritto subiettivo che appartenga al necessitato sopra i beni giuridici altrui…, sonvi soltanto circostanze che nel caso individuale concretano gli estremi per i quali lo Stato rinuncia alla potestà di punire, senza che per ciò sia tolto il carattere di reato al fatto commesso”. Sarebbe infatti “vano e ridicolo, talora anche immorale e impolitico” che la legge dicesse “io ti do il diritto o facoltà di rubare quando astenendoti ammaleresti” . Anche perché, nei casi estremi, “chi oserebbe dire che abbiamo compiuto un fatto conforme al diritto, se per salvare noi stessi od altri uccidiamo un innocente?” . 40 MANZINI, Trattato, cit., pag. 286 e ss. Il pericolo dev’essere grave, deve cioè comportare un “detrimento rilevante alla persona stessa”: ad esempio non andrà esente da pena “la moglie che si renda adultera per essere il di lei marito impotente”, perché l’ulteriore astinenza non implica per la donna un pericolo grave. La gravità va apprezzata dal giudice congiuntamente alle altre condizioni poste dalla legge, e così la donna incinta superstiziosa godrà della scriminante se rubò “per soddisfare una voglia, onde evitare il supposto pericolo che il feto nascesse imperfetto” . L’imminenza del pericolo implica che la verificazione dell’evento dannoso non sia ancora cominciata o per lo meno non si sia già esaurita e che il danno incomba urgentemente sopra chi ne è minacciato, così che ogni dilazione aggraverebbe ancor di più la situazione . È poi indifferente che il pericolo venga allontanato da sé o da altri . Nel caso in cui il reato commesso a salvamento si svolga sulla persona stessa del pericolante “non c’è più ingiustizia in rapporto ad alcuno, ma fatto lecito rispetto al subietto attivo e vantaggioso rispetto al subietto passivo” . Il reato inoltre deve essere stato commesso per scampare da un pericolo al quale l’imputato non aveva dato volontariamente causa. La fonte del pericolo deve perciò risiedere in mere energie casuali (inanimate, subumane, o umane incoscienti), ovvero in forze umane imputabili a colpa del pericolante o poste in opera dolosamente da persona diversa da colui che agisce . Ulteriore condizione è l’inevitabilità altrimenti del pericolo, concetto da apprezzarsi “con riferimento a tutte le circostanze del fatto e all’opinione incolposa dell’agente”. Sempre coloriti sono gli esempi proposti dall’Autore: “se una donna non maritata per non basire d’inedia, preferisce prostituirsi anzi che rubare, va impunita certamente per la contravvenzione alle norme sul meretricio; se essa invece, potendo elemosinare o anche rubare, si prostituisce per salvare dall’inedia il marito ignaro o consenziente, non potrà essere scusata, perché essa ha scelto, potendolo evitare, un reato che, oltre del dovere generale di obbedienza alla legge, importava anche la violazione dei doveri giuridici cui è soggetta la donna maritata”. Ugualmente punibile sarà chi, potendo scegliere la fuga come mezzo sicuro di salvamento, 13 previsione trovava applicazione solo quando venisse in gioco il bene vita 41. In definitiva, può affermarsi che il codice Zanardelli positivizza lo stato di necessità per le ipotesi di matrice soggettiva, dimenticando, però, di disciplinare le situazioni risolvibili con un bilanciamento di interessi, anche se le parole del Ministro42 fanno intravedere la giustificazione a fortiori e su base oggettiva di alcune condotte, anche in assenza di norma espressa, purchè rivolte alla tutela di interessi attinenti la persona. 3 Tra logica oggettiva e soggettiva; conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra impostazione Vale precisare che le premesse di teoria generale del reato43 da cui si prende l’avvio per affrontare le problematiche sottese allo stato di necessità, e in particolare riguardanti la logica dell’oggettivo e del soggettivo, sono quelle della teoria tripartita44, che concepisce il reato come fatto umano, antigiuridico e colpevole, individuandone i tre momenti fondanti: 1) il fatto tipico si ha quando condotta ed evento sono legate dal nesso di causalità; 2) l’antigiuridicità obiettiva è la contrarietà del fatto materiale all’ordinamento giuridico, indipendentemente dal dato psicologico; 3) la colpevolezza è la volontà riprovevole nelle sue forme del dolo o della colpa45. In questa ricostruzione i diversi elementi intervengono secondo un ordine concettuale ben preciso e con un altrettanto preciso significato funzionale: il fatto preferì la commissione del reato. Se poi il fatto eccede solo in parte i limiti della necessità, potrà applicarsi la scusante dell’art. 50 c.p. Zanardelli . 41 Di contrario avviso PESSINA, Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 165 “oltre alla collisione preveduta dal nostro codice, fra la conservazione della vita… e l’osservanza di un divieto, può ancora verificarsi una collisione tra l’osservanza di norme giuridiche e la conservazione di un bene diverso da quello della vita… Dalla disposizione, che riconosce la non imputabilità dell’uccisione compiuta per salvarsi, giustamente si può argomentare, che tanto meno debba punirsi chi… per sottrarsi alla morte abbia soltanto danneggiata l’altrui proprietà, ma non è lecito… estendere a chi abbia agito per salvarsi da una perdita pecuniaria o da un pregiudizio nell’onore un benefizio dalla legge accordato a chi sia stato spinto dal timore della morte”. Ipotesi di non punibilità di condotte tenute per salvarsi da altri pericoli, si danno infatti solo nei casi espressamente indicati dal legislatore nella parte speciale e in questa esauriti completamente. 42 Relazione a Sua Maestà, XXIX. 43 Si ricordano i fondamenti della la teoria bipartita del reato, sostenuta dalla dottrina più tradizionale, secondo la quale il reato, fatto umano commesso con volontà colpevole, si compone quindi di due elementi: 1) l’elemento oggettivo, cioè il fatto in tutti i suoi elementi costitutivi; 2) l’elemento soggettivo, cioè il diverso atteggiarsi della volontà nelle forme del dolo e della colpa. L’antigiuridicità è un elemento che investe il fatto in tutti i suoi elementi, il momento valutativo del giudizio di relazione tra il fatto interamente considerato e la norma penale. In quest’ottica le scriminanti sono l’elemento negativo del fatto: il fatto costituisce reato in tanto in quanto siano assenti cause di giustificazione o di scusa. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2009, pag. 138 cita, tra i seguaci della bipartizione, Manzini, Florian, Santoro, Ranieri, Antolisei, Pisapia, Nuvolone; si segnala, in ogni caso, che anche nella bipartizione c’è spazio per una distinzione tra cause di non punibilità. , a seconda che incidano sugli elementi oggettivi ovvero su quelli soggettivi. L’impostazione che vede tutte le scriminanti inserite nella fattispecie oggettiva è criticata da STELLA, L’errore sugli elementi specializzanti della fattispecie criminosa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1964, pag. 94. 44 In Germania la teoria è legata al nome di BELING, Die Lehre von Verbrechen, Tuebingen, 1906 e Die Lehre von Tatbestand, Tuebingen, 1930. 45 MANTOVANI, Diritto, cit., pag. 138 cita, tra i seguaci della tripartizione, Delitala, Maggiore, Alimena, Bettiol. 14 individua il reato nella sua manifestazione esterna; l’antigiuridicità ne rappresenta il momento lesivo e la colpevolezza consente di formulare il giudizio di rimprovero nei confronti dell’autore46. In siffatta teorizzazione le cause di non punibilità si scindono47: le giustificanti elidono l’antigiuridicità, le scusanti impediscono di muovere un rimprovero48. Con particolare riferimento allo stato di necessità, esso può operare come causa di esclusione dell’antigiuridicità se il fatto consiste nel sacrificio di un bene minore per la salvaguardia di uno maggiore, mentre esclude la colpevolezza se, pur nel sacrificio di un bene di alto valore sociale, tale sacrificio sia avvenuto in circostanze in cui non si poteva esigere una condotta differente49. Alla base dell’impostazione oggettiva opera il principio del bilanciamento di interessi: secondo tale principio la lesione del bene serve alla salvaguardia di un bene maggiore (o di eguale valore), e per l’utilità sociale risultante alla fine, l’azione lesiva perde la sua dimensione oggettivamente antigiuridica50, tanto da venire considerata lecita. Ciò ne fa un paradigma riproponibile e, quindi, la scriminante diventa una norma di condotta che concorre così a determinare quale sia la condotta che il singolo può, deve o non deve tenere nel caso concreto51. In altre parole, esse facoltizzano la condotta con effetto in ogni ramo del diritto, poiché la giustificazione del fatto dipende dal suo risultato complessivo, che vede la prevalenza del bene maggiore52 (o l’indifferenza dell’ordinamento di fronte a beni di pari rango)53, e non dall’atteggiarsi della volontà dell’agente. In definitiva, il saldo sociale attivo comporta un giudizio positivo sulla 46 MOLARI, Profili dello stato di necessità, Padova, 1964 pag. 16. Si conviene con quanti riconoscono il valore della distinzione in entrambe le costruzioni dogmatiche VIGANÒ, Stato, cit. pag. 151-152 e GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Milano, 1964, pag. 288. contra VENAFRO, Scusanti, Torino, 2002. 48 Come già detto, nei manuali i vocaboli scriminante, esimente, giustificante sono spesso adoperati in modo impreciso e legati ai concetti in modo discrezionale. Si rinvia, per una definizione convenzionale dei termini, alla nota 5 dell’introduzione. 49 BETTIOL, Diritto penale, Padova, 1982, e DELITALA, Il ‘fatto’ nella teoria generale del reato, Padova, 1930. 50 MOLARI, Profili, cit., pag. 18. 51 Le conseguenze pratiche sono coincidenti sia che si voglia seguire l’idea che le giustificanti non sono norme a sé stanti, ma un limite della norma penale, sia che le si veda come norme non penali ma attributive di facoltà o obbligo che di volta in volta prevalgono sulla norma incriminatrice impedendone l’applicazione nel caso concreto. Per un confronto dei due modelli teorici, si veda VIGANÒ, Stato, cit. pag. 229 e ss. 52 Si è detto che la ricostruzione in termini oggettivi risale ad Hegel e che questo autore aveva costruito una gerarchia di valori nel diritto in base alla quale risultava naturalmente evidente quale fosse l’interesse prevalente in ogni conflitto. Per la dottrina italiana si veda anche ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, (a cura di Conti) Milano, 2003, pag. 306, che parla di mancanza di danno sociale. 53 NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Padova, 1972, pag. 151. Tenaci avversari della teoria dell’indifferente giuridico sono invece BERNER, Lehrbuch, cit., pag. 136 MERKEL, Die Kollision, cit., pag. 14. 47 15 condotta54, con buona pace della “vittima” della condotta necessitata55. Vale segnalare, in argomento, che al principio del bilanciamento sono stati applicati dei correttivi (eccezionalità della situazione, essenzialità della prevalenza, adeguatezza sociale della condotta) al fine di evitare le paradossali conseguenze in cui si potrebbe incorrere con un’applicazione rigorosa e formale dello stesso, così affermando la tutela dell’interesse prevalente e non del ‘semplice’ bene56. Si sposta il concetto da una dimensione spiccatamente ‘oggettiva’ ad una valutazione di natura relazionale, che rinvia ad un rapporto tra un soggetto e un determinato oggetto. E l’adeguatezza della condotta posta in essere è la cartina di tornasole della faccenda, la clausola di controllo dell’esito del bilanciamento. Vale poi precisare che lo stato di necessità opera in base alla sola rilevanza obiettiva dei requisiti, anche se dall’agente ignorato o per errore ritenuto inesistente. La presenza nel nostro ordinamento dell’art. 59 co. 1 c.p., e dei suoi corollari57, induce la dottrina ad applicare la regola della rilevanza obiettiva, anche se l’ambigua formulazione della norma e lo scarso rigore terminologico che la contraddistingue, fanno sorgere dubbi in proposito58. Passare dallo studio della logica che informa le ‘giustificanti’ a quello delle ‘scusanti’, significa, secondo Viganò, “abbandonare un terreno soleggiato, pur se con qualche inevitabile chiazza d’ombra sparsa qua e là, per addentrarsi in una selva oscura e in larga parte ancora inesplorata”59 poiché nella prospettiva soggettiva, assodata l’esclusione di un rimprovero, ancora si discute sul fondamento su cui radicarla. In questo caso la condotta tenuta dall’agente non assurge a paradigma di condotta anche per gli altri consociati, ma viene valutata come atto irripetibile, 54 Facendo però attenzione a conseguenze paradossali che il principio può avere, come nel caso di prelievo coattivo di sangue, prospettato da CARNELUTTI, Problema giuridico della trasfusione di sangue, in Foro it., 1938, IV, pag. 89 e ss. 55 Rileva la contraddittorietà di si riconoscere all’agente un ‘Recht, Unrecht zu tun’, cioè che sia “lecito compiere un illecito” GEYER, ZurLehre vom Notstand, pag. 298, citato in VIGANÒ, Stato, cit. pag. 367. L’Autore cita altri critici al principio di bilanciamento di interessi, applicato fino a paradossali conseguenze: di MEZGER, Die subjektive Unrechtselemente, cit., vol. V, pag. 246, citato in VIGANÒ, Stato, cit., pag. 370. si ricorda l’esempio del malato, che a causa della malattia versa in una situazione disapprovata dall’ordinamento, il quale ben potrebbe impossessarsi del medicinale di altri, non altrimenti reperibile, risultando la lesione del bene-proprietà della medicina meno grave della lesione del bene-vita del malato; di HOLD VON FERNECK, Die Rechtswidrigkeit, vol. II, 1905, pag. 80, citato in VIGANÒ, Stato, cit.pag. 37, ricorda il paventato pericolo che le private abitazioni potevano divenire un rifugio per vagabondi affamati e infreddoliti, se si afferma la generale liceità del sacrificio del diritto altrui per la salvezza di qualsiasi interesse prevalente su quello sacrificato, o ancora, la possibilità data alla facoltosa signora di sottrarre l’ombrello alla servetta che passava per strada per proteggere il suo prezioso abito a scapito del già logoro vestito dell’altra, atteso il maggior valore della veste sontuosa. E Cfr. MEZGER, Diritto penale, Padova, 1935, vol. I, pag.249 e ss.. 56 Sul principio di valutazione dei beni, cfr. MEZGER, Diritto penale, cit., vol. II, pag. 382 e ss.; cfr. inoltre, sul passaggio dalla teoria ‘del bilanciamento dei beni giuridici’ a quella del ‘bilanciamento degli interessi’, come transito all’attuale valutazione multifattoriale dei valori in conflitto (Gesamtabwaegung) MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 214. 57 Al co. 4 sancisce l’equivalenza tra putativo e reale, per il caso di erronea supposizione dell’esistenza della scriminante; al comma 2 art. 119, ne sancisce la comunicabilità a tutti i concorrenti. 58 F. BELLAGAMBA, La problematica esistenza di elementi soggettivi nelle scriminanti, in Diritto penale e processo, n. 4/2001, pag. 495. E sul problema anche VIGANÒ, Stato, cit. pag. 322 e MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 197. 59 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 245. 16 eccezionale, episodico60. Si è detto che la ragione fondante sia un sentimento di pietas per l’humana fragilitas, e l’inesigibilità61 di una condotta differente. Il nostro codice penale non opera alcuna distinzione tra le cause di non punibilità, riconducendole tutte alla non meglio specificata categoria delle ‘circostanze che escludono la pena’62, distinguendo solo tra ‘cause di estinzione del reato o della pena’: il legislatore, così disponendo, ha scelto di non vincolare l’opera di dottrina e giurisprudenza a definizioni dogmatiche. Nel nostro ordinamento si deve poi riscontrare una generale tendenza della giurisprudenza a rifiutare le qualificazioni dogmatiche legali, e generale appare anche il rifiuto dell’inesigibilità come ‘scusante sovralegale’. Solo la voci di Scarano63 nel secondo dopoguerra e di Fornasari escono dal coro. Vale in ogni caso precisare che, ancorché l’ordinamento non preveda un principio generale di scusa, non si esclude che il giudice nell’applicare la legge possa dare alla norma un’interpretazione evolutiva basata sul tale principio e costituzionalmente orientata64. Per evitare, quindi, incertezze e difformità di giudicati e assicurare una tendenziale uniformità di trattamento per gli imputati di un medesimo reato e la controllabilità delle decisioni in sede d’appello, si è cercato di fornire al giudice criteri pregnanti di significato, cui affidarsi per formulare il giudizio che non può essere arbitrario. Si propongono, così, diversi criteri per concretizzare il concetto di esigibilità: col 60 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 85. Ancora una volta la dottrina italiana è tributaria della definizione di un concetto dogmatico nei confronti della dottrina tedesca. Il termine ‘inesigibilità’ infatti è la traduzione di quello tedesco di Unzumutbarkeit. Interessante è lo sviluppo etimologico della parola, così come ricordato da Fornasari , per capire con precisione di cosa si sta trattando e quale sia, in un discorso giuridico, l’utilità del concetto che è stato a volte considerato ‘insignificante’, ‘nebbioso’ e ‘tra i più generici ed incolori’. Il termine zumutbar deriva dal verbo zumuten con l’aggiunte del suffisso bar, equivalente ai nostri suffissi –ibile o –abile. In tedesco un altro verbo, verlangen, corrisponde al nostro ‘esigere’, ma rispetto a questo, zumuten assume una connotazione ‘valorativa, soggettivizzata e relativizzata’, in quanto di regola accompagnato da un dativo personale, che indica l’esigibilità ‘a’ (da) qualcuno. Dal diciassettesimo secolo, per la precisione, il concetto veniva adoperato per indicare la pretesa di qualcosa che non si aveva il diritto di pretendere , e ancor oggi si trovano tracce di quell’interpretazione, nella valutazione negativa dell’aspettativa, per inopportunità o impossibilità, giuridica o morale: nel senso che l’uso del verbo lascia sopravvivere il dubbio se la richiesta del comportamento sia effettivamente giustificabile. Nel linguaggio del diritto il concetto è filtrato in questi termini: il comportamento di Tizio può essere/non essere preteso (è esigibile o no) da Caio; la possibilità di pretesa espressa del verbo è quella morale del dürfen e non quella materiale del können: il comportamento di Tizio, pur materialmente realizzabile, non può invece essere umanamente preteso. Ma la giuridicizzazione del concetto ne ha anche comportato una specificazione: la pretesa non è rivolta a qualunque persona, ma a quella persona che si trova in quella particolare situazione oggetto di giudizio. Il presupposto su cui si innesta il concetto è quello dell’esistenza di un comportamento normalmente richiesto dall’ordinamento. Detto questo, ancora impregiudicata resta la definizione del criterio per discernere quanto è esigibile da quanto non lo è. La portata semantica del verbo è ancora compatibile con le istanze più diverse, ma l’analisi semantica non ha il compito di definire le regole di concretizzazione del concetto. Le regole di riempimento vanno quindi individuate con criteri normativi: FORNASARI, Principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990, pag. 355, cit., pag. 14. 62 Il riferimento è agli artt. 182-184, 198 e 210 c.p. 63 SCARANO, La non esigibilità nel diritto penale, Napoli, 1948. 64 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 284. 61 17 riferimento al ‘poter agire diversamente’ del singolo imputato, al ‘buon padre di famiglia’ o ‘buon cittadino’, al ‘poter agire diversamente’ dell’uomo medio. Il problema di fondo vero sta proprio nel fatto che in casi di eccezionali anomalie non ci sono massime di esperienza per immaginare il comportamento dell’ipotetico uomo-medio, e quindi si finirà per affidarsi all’intuizione del giudice. La logica della scusa viene così ad essere un punto di equilibrio del sistema penale, laddove si dà la misura del rapporto tra cittadini e ordinamento, che non può essere sbilanciato né a favore dei primi, cosicché i comandi legislativi perderebbero la loro efficacia, né del secondo, come accadrebbe negando rilevanza a situazioni non standardizzabili65. In definitiva, l’impossibilità di sollevare un rimprovero a causa dell’anormalità delle circostanze in cui si è svolta l’azione, rende inesigibile dall’imputato una condotta conforme alla norma penale e diversa da quella tenuta. Si è visto, quindi, che fondamentale nella logica della scusa è una ‘personalizzazione’ del giudizio sull’imputato. Tale considerazione porta a tenere presente la motivazione che spinge all’azione e il turbamento psichico o il particolare bilanciamento che ne conseguono. Non si crede, però, che siano sempre e tanto forti da esplicare una coercizione sull’agente, ma che tale è l’effetto solo quando riguardano il soggetto in prima persona o una persona a lui tanto cara da fargli percepire l’esito esiziale della situazione come un pericolo proprio. In una dimensione scusante, infatti, conta essenzialmente l’oggetto del pericolo, perché l’inesigibilità dell’osservanza può ragionevolmente prospettarsi solo in presenza di situazioni-limite. In questo senso viene in luce il ruolo determinante del destinatario del pericolo66. Nel contempo, possono venire introdotti nella valutazione elementi oggettivi, in modo che l’efficacia scusante venga subordinata a limiti di tollerabilità sociale. Oltre tali limiti l’ordinamento pretenderà dal soggetto resistenza agli stimoli che lo inducono a violare la legge67. Di particolare interesse per il giurista sono, poi, le conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra impostazione. La prima questione da affrontare è se contro un’azione necessitata si dia o meno legittima difesa e la risposta dipende dalla qualificazione che si dà della condotta necessitata68. Invero, l’ordinamento facoltizza il privato cittadino ad impedire direttamente la commissione di un fatto antigiuridico, quando ricorrano le condizioni indicate dalla norma che disciplina la legittima difesa69 e, conseguentemente, contro i comportamenti tenuti in casi di stato di necessità giustificante, non sarà data legittima 65 FORNASARI, Principio, cit., pag. 352. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 1999, pag. 222. 67 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 331. 68 LÖFFLER, Unrecht und Notwehr. Prolegomena zu einer Revision der Lehre von der Notwehr, in ZStW, 21, (1901), pag. 537 e ss.. 69 Per l’ordinamento italiano i requisiti sono posti dall’art. 52 c.p. (difesa legittima); per quello tedesco dal § 32 StGB. L’art. 52 c.p. così dice: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Similmente il § 32 StGB, così in traduzione: “(1) Chi commette un fatto imposto dalla legittima difesa non agisce antigiuridicamente. (2) La legittima difesa è la difesa necessaria per respingere da sé o da altri un’aggressione attuale ed antigiuridica”. 66 18 difesa, perché la commissione del fatto è facoltizzata dalla legge. Anzi, in virtù del saldo finale attivo e della prevalenza concordata al bene tutelabile, s’imporrebbe al terzo di sopportare la lesione del proprio bene70. Viceversa per le condotte solo scusate: come si è spiegato, in questi casi permane l’antigiuridicità del fatto; e sarà data legittima difesa al terzo estraneo al pericolo, la cui posizione mantiene la piena protezione dell’ordinamento; laddove lo Stato non sia in condizione di assicurargli efficace e tempestiva tutela, questo soggetto potrà difendere in proprio il suo bene. Ad esempio se un soggetto per evitare la propria morte aggredisce un terzo estraneo, determinando un pericolo di danno grave alla sua persona, quest’ultimo potrà difendersi invocando la legittima difesa. La regola è stringente e sembra non ammettere eccezioni71. Quanto alla comunicabilità della causa di non punibilità ai concorrenti nel medesimo reato, la regola aurea prevede l’estensione a tutti delle cause di giustificazione e, viceversa, l’applicazione solo personale delle scusanti. Ciò in coerenza con i principi informanti le due categorie: chi partecipa ad un fatto giustificato, concorre alla tutela di un interesse considerato superiore, aiuta la realizzazione di un saldo sociale attivo e, di conseguenza, anche il suo comportamento va tenuto come lecito72. Poiché invece le scusanti sono basate sulla possibilità di rimprovero personale all’agente, venendo in considerazione in primo luogo il suo turbamento motivazionale, la loro applicabilità andrà vagliata singolarmente in capo a ciascuno dei partecipi. La dottrina trova conforto nel dettato dell’art. 119 c.p., per il quale “le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”73, mentre “le circostanze soggettive… hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono”. Ancora, con riguardo alle conseguenze civili del danno cagionato dall’azione necessitata, merita essere ricordato l’art. 2045 c.c.: “quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di in danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta una indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice” 74. La sentenza di proscioglimento che accerta che il fatto non costituisce reato 70 Qualcuno immagina, per le situazioni di stato di necessità giustificante, che la situazione di minaccia per il bene del terzo possa risolversi configurando un’ulteriore stato di necessità a suo vantaggio. Nulla osta a questa ricostruzione, se si immagina che questo pericolo verrà ulteriormente scaricato su una quarta persona o sulla fonte incolpevole dell’aggressione. In questo caso la posizione del terzo non è iniquamente peggiorata rispetto a quella che avrebbe se gli fosse concessa legittima difesa. MOLARI, Profili, cit., pag. 119 71 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 317. 72 PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, 1952, pag. 57. 73 Anche se con alcune eccezioni: si pensi a varie norme disciplinanti l’azione di agenti provocatori (artt. 96 e 97 t.u. in materia di stupefacenti) che giustificano solo ben definite categorie di ‘ufficiali’ di polizia giudiziaria e non qualsiasi agente della stessa. Non deve infatti stupire che tra più condotte con pari efficacia causale rispetto all’evento, l’una possa essere espressamente ‘permessa’ e l’altra ‘vietata. Basta pensare che la condotta di chi si suicida non è considerata illecita dall’ordinamento, mentre viene punito chi ha istigato il soggetto a suicidarsi; la prostituzione rappresenta un mestiere lecito, mentre illecito ne è il favoreggiamento. In VIGANÒ, Stato, cit. pag. 320. 74 MANZINI, Trattato, cit., pag. 426. 19 perché commesso in stato di necessità, non preclude l’azione civile, a differenza di quanto accade per la sentenza che accerti che il fatto è stato compiuto nell’esercizio di una facoltà legittima o nell’adempimento di un dovere75. Nel contempo, l’indennità equitativa non può essere pronunciata dal giudice penale perché l’imputato ex art. 54 c.p. deve essere prosciolto: l’art. 74 c.p.p. infatti fa riferimento al danno di cui all’art. 185 c.p., quindi presuppone l’esistenza di un reato, che, si è visto, manca nel caso di condotta necessitata. Il fatto che, poi, il soggetto non sia rimproverabile, esclude che il danneggiato ex. 185 c.p. possa fare richiesta di risarcimento del danno morale. Quanto ai soggetti, possono chiedere tale indennità sia il terzo estraneo che abbia fatto le spese della situazione di pericolo, sia lo stesso soccorritore che abbia personalmente risentito dei danni derivanti dalla propria impresa di salvataggio, come si può facilmente argomentare per analogia dall’art. 2031 c.c.76. Ciò non significa che il fatto compiuto in stato di necessità esuli dalla commissione di un illecito penale ma non da quella di un illecito civile77 (chè altrimenti significherebbe negare allo stato di necessità il valore di causa di giustificazione, identificata appunto con la mancanza di qualsiasi disvalore d’illecito, sia sul piano penale che in quello civile). E allora la previsione di un’indennità si spiega con riferimento all’indennità dovuta per attività lecite dannose78, indennità che, a differenza del risarcimento, non è una vera e propria riparazione del pregiudizio subito dalla vittima, in quanto la sua misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice79 e può risultare anche minore della quantificazione del pregiudizio realmente subito. Nel caso di azione solo scusata, invece, permane il disvalore di illecito e, quindi, nulla osta ad una sanzione in altri rami del diritto, alla luce di parametri differenti da quelli applicati dalla norma penale. E, in tali casi, non ci sono ostacoli all’avanzamento di una richiesta in termini di risarcimento. La distinzione tra le due prospettive è significativa anche in tema di errore. Come già detto, l’art. 59 c.p. pone il principio della rilevanza obiettiva delle cause di giustificazione, stabilendo da un lato che la presenza effettiva della situazione scriminante ha efficaci a scriminante anche se sconosciuta, dall’altro, che è sufficiente che l’autore del fatto l’abbia ritenuta esistente ma non per un errore rimproverabile. La discussione sul fondamento dello stato di necessità, come si diceva, è ancora oggi dibattuta, proprio perché il legislatore ha previsto una sola norma, e ne ha dato una 75 DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale commentato, Parte generale, Milano, 2006, sub. art. 54. Ma gli autori, propendendo per una lettura solo scusante della norma, non hanno difficoltà a leggervi un vero e proprio risarcimento da atto oggettivamente illecito. Ritiene giusto che l’innocente che sconta la situazione trovi ristoro del pregiudizio sofferto MAGGIORE, Diritto penale. Parte Generale, Bologna, 1951, pag. 293 76 MANZINI, Trattato, cit., pag. 426 e BATTAGLINI, Diritto penale. Parte Generale , Padova, 1949, pag. 337. 77 BOSCARELLI , Compendio di diritto penale. Parte generale, Milano, 1994, pag. 70. 78 MOLARI, Profili, cit., pag. 136 e ss.; contra.MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 256, cfr. anche per un’analisi dell’orientamento della giurisprudenza civile sul punto: il fatto necessitato costituirebbe un illecito civile ma in forma attenuata che richiederebbe quindi una forma attenuata di risarcimento. Inoltre la prescrizione per la richiesta del risarcimento del danno è biennale, come quella per altri fatti illeciti. 79 ANTOLISEI, Manuale, cit., pag. 306. 20 configurazione ambigua, sussumibile in entrambe le prospettive. Da ultimo, in argomento, si vuole però avvertire che la diversa configurazione della norma nei due distinti casi è una conseguenza e non la causa della distinzione fra stato di necessità giustificante e scusante, attesa la sua natura pregiuridica e la possibilità del duplice atteggiarsi del conflitto. Ciò vale al fine di evitare l’assolutizzazione di una sola delle due facce dello stato di necessità, in modo tale da farlo diventare un coacervo dove accasare tutti i casi di conflitti ipotizzati, con conseguenze paradossali e disordinate: come rilevato sopra, infatti, un’interpretazione dello stato di necessità esclusivamente orientata in senso obiettivo conduce a risultati inaccettabili da un punto di vista etico-sociale (ad esempio, si dovrebbe ritenere legittima l’azione del chirurgo che, per salvare un proprio paziente da un pericolo di morte, espianti da un paziente occasionale un rene, senza neppure acquisirne il consenso; o il fatto del medico che interrompe la terapia intensiva nei confronti di un paziente cagionandone la morte, per connettere all’unico respiratore un paziente appena giunto; o la giustificazione di torture agli arrestati al fine di ottenere informazioni per la lotta contro il terrorismo)80. 4 La formulazione del codice Rocco: l’art. 54 c.p. Nella parte generale dell’attuale codice penale vi è una sola norma disciplinante lo stato di necessità, l’art. 54 che così dispone al comma 1: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Già alla semplice lettura del testo balzano agli occhi i fondamentali requisiti dello stato di necessità, che non sembrano sostanzialmente modificati rispetto al codice previgente, e segnatamente la presenza di una situazione di pericolo e la condotta lesiva da parte del soggetto che versa in pericolo81. Va rilevata sin da subito l’introduzione del nuovo requisito della proporzione tra il fatto e il pericolo82. Nei primi anni di applicazione della norma, la dottrina continuò ad interpretare la norma in termini soggettivi, riconducendola alla clemenza del legislatore, ma anche all’impossibilità di rimprovero di colpevolezza83, al principio di inesigibilità84, o ad un caso particolare di mancanza di suitas85. Poi, negli anni Sessanta, si è avuta la svolta in senso oggettivo86, supportata 80 DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale, cit. pag. 514. 81 Si veda per tutti: MANTOVANI, Diritto penale, pag. 275. Il requisito viene introdotto perché “non si trovasse ragione a dubitare che quel requisito fosse estraneo allo stato di necessità” Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, I, pag. 97. 83 DELITALA, Il fatto nella teoria generale del reato, Padova, 1930. 84 SCARANO, La non esigibilità nel diritto penale, 1948. 85 GIULIANI, Dovere di soccorso e stato di necessità nel diritto penale, Milano, 1970. 86 MOLARI, Profili dello stato di necessità, Padova, 1964 e GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Milano, 1964. Siffatta interpretazione sembra trovare conforto nella Relazione ministeriale sul progetto preliminare del codice penale, I, pag. 61: “l’ordinamento giuridico autorizza il privato ad esercitare, al cospetto di due beni giuridici in collisione, una facoltà protettrice di scelta, a sacrificare cioè l’uno (bene) per la salvezza dell’altro” 82 21 anche da riferimenti sistematici, che vuole la scriminante operante sul piano dell’antigiuridicità87; ma non mancano voci di autorevole, ancorché minoritaria, dottrina88 che individuano nella norma un fondamento spiccatamente soggettivo e che ne fanno una causa di esclusione della sola colpevolezza89. Tra i sostenitori delle due tesi contrapposte, non sempre si riscontra uniformità di vedute nell’interpretazione dei requisiti previsti dalla norma, anche se vi è consenso nella circostanza di non poter trarre argomentazioni decisive, a favore dell’una o dell’altra tesi, dai requisiti della costrizione, dalla proporzione, dal pericolo, dalla sua inevitabilità e non volontaria causazione, dalla limitazione a beni personali esistenziali. Quanto alla costrizione, ossia quella situazione in cui il soggetto viene a trovarsi a causa di un pericolo, nella ricostruzione giustificante viene valutata obiettivamente secondo il parametro di un osservatore esterno, indipendentemente dalla rappresentazione che se ne dà l’autore del fatto90, anche se non si esclude del tutto l’esistenza di un nesso psicologico tra la realtà oggettiva e la determinazione ad agire. Per la ricostruzione soggettiva, invece, la costrizione è da intendersi come condizionamento psicologico che presuppone che l’autore si sia rappresentato la situazione condizionante. In ogni caso, si rileva che la coazione morale non annulla completamente qualsiasi possibilità di volere, governa l’azione pur non determinandola in maniera invincibile91. Quanto al pericolo92, deve essere presente, attuale nel momento in cui il soggetto agisce: tuttavia l’interpretazione del dato può essere variamente modulata. Maggiormente rigorosa è quella che richiede "l’imminenza"93 del danno derivabile dal pericolo e che, pertanto, richiede che il pericolo incombente sia individuato e circoscritto, e non ammette l’applicabilità della scriminante in presenza di avvenimenti 87 In questo senso si esprimono, ad esempio, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit.; CARNELUTTI, Teoria generale del reato, Padova, 1933; NUVOLONE, Il sistema del diritto penale2, Padova, 1982; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2009, 241; GROSSO, Difesa, cit.; MANTOVANI, Diritto, cit.; MOLARI, Profili, cit..; DEL CORSO, sub art. 54, in PADOVANI, Codice penale, Milano, 2007, p. 433. 88 In tal senso si esprimono, tra gli altri, DELITALA, Il fatto, cit.; DOLCE, Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel diritto penale, Milano, 1957; PISAPIA, Istituzioni di diritto penale. Parte generale e parte speciale, Padova, 1975; VIGANÒ, Stato di necessità, cit.. 89 In ogni caso, vale sottolineare che sia che si rinvenga un fondamento giustificante ovvero scusante della norma, non si fa comunque questione di imputabilità: infatti, rispetto alle codificazioni preunitarie, l’art. 54 esclude la punibilità per un fatto costituente reato, mentre l’imputabilità dell’agente ne è presupposto. Né si fa questione di forza maggiore (art. 45 c.p.), incidendo tale costrizione sulla suitas della condotta ed escludendo l’attribuibilità psichica dell’azione al soggetto. 90 GROSSO, Difesa, cit., pag. 240; MOLARI, Profili, cit., pag. 37-38. 91 SPAGNOLO, Gli elementi soggettivi, cit., pag. 62-63. 92 BETTIOL, Diritto penale. Parte generale 11, Padova, 1982, pag. 392. Ribadisce il fatto che la volontà del pericolante non si forma completamente libera, ma non vuole ulteriormente indagare se il fondamento della scriminante sia da ritrovarsi nel piano dell’antigiuridicità o nell’impossibilità di muovere un rimprovero all’agente. 93 A favore della tesi restrittiva si schierano: MAGGIORE, Diritto Penale. Parte Generale5, Bologna, 1951, pag. 308. MANTOVANI, Diritto, cit., pag. 267. MANZINI, Trattato, cit., pag. 407. PANNAIN, Manuale di diritto penale. Parte generale, Torino, 1967, pag. 745. VANNINI, Istituzioni di diritto penale, Firenze, 1939, pag. 159. 22 meramente eventuali e futuri, né per quelli possibili o probabili94. Appare tuttavia preferibile la diversa lettura, per la quale è attuale il pericolo quando il danno può verificarsi in un futuro prossimo, purchè abbia una certa consistenza almeno nell’an e non si tratti di semplice timore dello stesso95 o di danni meramente eventuali e a carico di soggetti indeterminati96.. Può anche trattarsi di ‘pericolo perdurante’97: di un pericolo la cui verificazione è così probabile che sono subito da prendere le misure necessarie per la protezione del bene98. La dottrina, poi, concorda sull’irrilevanza della fonte del pericolo, il più delle volte scaturito dalle forze cieche della natura: basta pensare al caso del naufrago che per salvarsi è costretto a respingere in mare il compagno o all’escursionista che infrange la finestra di una baita per ripararsi dalla tormenta. Ma può derivare anche dall’azione illecita di un altro uomo: si avrà allora legittima difesa se il pericolante si rivolge direttamente contro l’aggressore e stato di necessità se andrà a ledere il diritto di un terzo che con la minaccia non ha a che fare99. Un’ipotesi interessante viene prospettata quando la minaccia deriva da ‘nonazioni’ o da azioni conformi a regole di diligenza: si parla a proposito di casi di stato di necessità difensivo provocato dall’uomo100. La scriminante viene poi esclusa nel caso di volontaria causazione: attesa l’intonazione equitativa dello stato di necessità, la sua operatività non può che essere tenuta entro certi limiti, e quindi “è giusto”101 pretendere che il soggetto si astenga dal provocare volontariamente il pericolo e stabilire che, qualora invece lo cagioni, ne sconti tutte le conseguenze. Ponendo tale requisito, l’ordinamento evita il determinarsi di una situazione in cui è la scelta del male minore ad imporsi e riduce al minimo il verificarsi di situazioni di conflitto102. Va precisato che è sufficiente che l’esposizione al 94 Cfr. Co. Cass. 14 gennaio 1987, Cass. Pen., 1988, pag. 1040; Co. Cass. 3 ottobre 1978, Cass. Pen., 1980, pag. 1091. 95 Co. Cass. 6 aprile 1987, Riv. Pen., 1988, pag. 1020. 96 Co. Cass. 14 gennaio 1987, Cass. Pen., 1988, pag. 1040. 97 ROMANO M.-GRASSO G., Commentario, cit., pag. 535. 98 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 267.sostengono che sia sufficiente che il rinvio della condotta comporti un peggioramento delle chance di salvezza del bene: per questa via si apre la porta ad un’azione anticipata per impedire l’aggravamento delle potenzialità lesive del pericolo; tuttavia DOLCINIMARINUCCI, Codice, cit., pag. 518 ritengono che così interpretato il requisito perda ogni capacità selettiva, poiché ogni situazione di pericolo è suscettibile di aggravamento in mancanza di intervento immediato. 99 Nulla osta a che legittima difesa e stato di necessità siano riconosciuti in capo allo stesso soggetto che compie un’azione plurioffensiva. Il rapporto di conflittualità che si instaura in una situazione necessitata viene tradizionalmente descritto come un rapporto ‘trilatero’, in contrapposizione al rapporto ‘bilaterale’ che si crea in una situazione in cui si dà legittima difesa. Nei casi sussumibili nella fattispecie dell’art. 52 c.p., chi subisce un’ingiusta aggressione si può rivolgere contro l’aggressore per la difesa del proprio diritto: i poli del conflitto, quindi, sono l’aggressore da cui deriva il pericolo di un’offesa ingiusta e l’aggredito che si difende. Nei casi sussumibili nell’art. 54, invece un rischio mette a repentaglio un pericolante legittimato a difendersi e viene scaricato su di un terzo innocente: queste tre posizioni rappresentano gli apici di un triangolo. 100 Cfr. ROXIN, Der durch Mensch ausgeloeste Defensivnotstand, Berlin, 1985. Per una versione tradotta dei passi significativi, vedi ROXIN, Antigiuridicità e cause di giustificazione, pag. 297 e ss.. Si individuano altri due casi accanto a quelli citati: la perforazione del feto e l’aggressione soltanto imminente. 101 MOLARI, Profili, cit., pag. 66. 102 MOLARI, Profili, cit., pag. 70-71. 23 pericolo non sia cagionata da chi agisce in stato di necessità, e non già da colui a favore del quale si agisce103. Si precisa, da ultimo, che la causazione del pericolo può avvenire sia per dolo che per colpa104. Per quanto riguarda il requisito della proporzione, questa è da intendersi come un rapporto di conveniente equilibrio, che non va stabilita sul paradigma del bilanciamento di interessi, ma piuttosto accertata sulla base di un confronto tra i mezzi difensivi che il soggetto aveva a propria disposizione ed i mezzi in concreto usati105: quindi, anche se il fatto incide su di un bene la cui lesione rappresenta un danno più rilevante di quello evitato, il fatto sarà scriminato se i mezzi usati erano gli unici idonei ad allontanare il pericolo. In sostanza, la proporzione esiste non solo quando tra i beni esiste un rapporto di eguaglianza, ma anche quando i due termini siano armonicamente commisurabili l’uno all’altro pur se di differente valore106. Il giudizio di proporzione va altresì integrato con la comparazione dei rischi effettivamente incombenti sui beni coinvolti, dal momento che entra nel fuoco del suddetto giudizio107 anche il grado del pericolo che grava sui beni in conflitto, per giungere ad una valutazione in termini di economicità e convenienza dell’azione108. Da ultimo, si segnala che il legislatore pone una limitazione ai beni di rilievo esistenziale, che rilevano ai fini dell’applicabilità della scriminante, per limitare il più possibile l’esposizione al rischio di terzi109. Per contiguità di argomenti, è opportuno accennare subito al comma 3 dell’articolo in esame, il quale sancisce che “la disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”. Il co. 3 dispone, quindi, la non punibilità del minacciato per il fatto necessitato, qualora ricorrano i presupposti dello stato di necessità, e pone a carico del minacciante le conseguenze dell’azione necessitata110: il minacciato è da ogni punto di 103 E’ infatti scriminato il soccorso di necessità anche nei confronti del terzo anche se il pericolo è stato volontariamente causato da questi, giacché il soggetto non può fare sicuro affidamento sull’intervento del soccorritore e ciò rappresenta già una sufficiente remora perché si astenga dall’esporsi volontariamente al pericolo 104 GROSSO, Difesa, cit., pag. 97. 105 MOLARI, Profili, cit., pag. 76. 106 La gravità del danno minacciato non va confusa con la proporzione, poiché un dato non dipende dall’altro e si può agire per sfuggire ad un danno grave ma andando oltre i limiti della proporzionalità Cfr. GROSSO, Difesa, cit., pag. 178 e MOLARI, Profili, cit., pag. 87 107 Si tratta di giudizio su prognosi postuma a base totale GROSSO, Difesa, cit., pag. 69. Del resto, un giudizio a prognosi postuma parziale, che tenesse in considerazione solo le circostanze conoscibili ex ante, renderebbe indistinguibile lo stato di necessità putativo rispetto a quello reale. 108 BELLAGAMBA, Il limite della proporzione nello stato di necessità, in Dir. pen. e proc., 2002, pag. 757. 109 GROSSO, Difesa, cit., pag. 247. 110 L’ipotesi sembrerebbe infatti accostabile a quella dell’art. 46 co. 2 c.p. (Costringimento fisico), tuttavia si deve tener presente la diversità delle due situazioni. In ragione della vis fisica subita il ‘costretto’ considerato dall’art. 46 c.p. non agit, sed agitur, semplice strumento dell’attività altrui. Ancora le parole del Ministro: “diversa è la condizione di chi opera nello stato di costrizione morale, perché questa presenta gradi e stadi, che debbono essere presi in varia considerazione e… non si può disconoscere che la costrizione può raggiungere una intensità e può verificarsi in condizioni tali, da 24 vista l’autore (non punibile) del fatto, che agit, coactus tamen voluit. Agisce volontariamente per salvare sé o altri, pur con diminuita libertà psichica di determinazione, ed è l’espressa previsione dell’art. 54 c.p., in conformità agli artt. 110 e ss. c.p., a rendere punibile il minacciante, quale concorrente “determinatore”111. Passando al comma 2 c.p., qui si rinviene una esplicita causa di esclusione: “Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo”112. I casi ancor oggi tradizionalmente proposti sono quelli del vigile del fuoco, del poliziotto, della guida alpina, del magistrato e del bagnino: tali soggetti assumono una posizione di garanzia, che impedisce loro di usufruire della causa di non punibilità, o perché qualificati dalla legge specificamente periti nel compimento di attività rischiose (come gli appartenenti alle forze di polizia) o perché hanno volontariamente scelto di compiere attività più rischiose del normale (come le guide alpine). L’esclusione dell’operatività per soggetti giuridicamente obbligati ad esporsi al pericolo trova la sua spiegazione nel fatto che la comunità ha bisogno che certi soggetti si impegnino ad assolvere determinati servizi 113. La più alta soglia di tollerabilità del pericolo rispetto all’uomo comune, però, è strettamente connessa alla funzione della professione, essendo siffatti soggetti tenuti a tollerare solo il rischio tipico, funzionale all’adempimento della professione114, mentre potranno comunque appellarsi alla scriminante in occasione di pericoli atipici, diversi da quelli che sono tenuti ad affrontare115: ad esempio il bagnino non sarà tenuto ad affrontare le fiamme per salvare i pericolanti. Si ritiene, infine, che mai l’ordinamento esiga il sacrificio della vita e, pertanto, anche i soggetti costituiti garanti potranno richiamarsi alla scriminante qualora siano giustificare la irresponsabilità dell’agente. Questa intensità e queste condizioni sono … riassunte e identificate nello stato di necessità… Altra ragione è riposta nell’opportunità d’indicare in quale caso lo stato di necessità può dipendere non da forze brute… ma dal fatto di un terzo”. Per l’interpretazione di questo comma, cfr. AA.VV., Digesto, cit., pag. 685. Qui il curatore, Mezzetti, precisa che il co. 3 viene, già de iure condito, interpretato da molti come un’ipotesi scusante di stato di necessità, come ‘corpo estraneo’ in una visione prettamente oggettiva. 111 Così FIORE, Diritto penale. Parte generale, vol. II, Torino 1995, pag. 343. Inoltre MANZINI, Trattato, cit., 1981, pag. 417 specifica che il minacciante risponderà anche del delitto di minaccia (artt. 611, 612 c.p.). 112 Una simile esplicitazione era assente nel codice Zanardelli; tuttavia la dottrina evidenziava un’eccezione alla regola dell’art. 49 n. 3 quando la legge imponesse a determinate persone il dovere giuridico di affrontare un determinato pericolo, per quanto questo fosse grave ed imminente . Così, era previsto nel regolamento di disciplina dell’esercito, e nelle disposizioni delle leggi sanitarie, MANZINI, Trattato, cit., 1920, p. 305. 113 Cfr. GROSSO, Difesa, cit., pag. 229. 114 Cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, Allgemeiner Teil, 5. Auflage, Berlin, 1997, pag. 486 perché le considerazioni sugli ordinamenti italiano e tedesco potrebbero sul punto essere svolte parallelamente. 115 ROMANO.-GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, sub art. 54, p. 568; DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale commentato, art. 54, cit.. 25 esposti a propria volta a rischio quasi certo di morte116. È opportuno, alla fine dell’analisi della norma, indicare le interpretazioni offerte dalla dottrina. Per il più consolidato orientamento dottrinario, lo stato di necessità rappresenta una causa di giustificazione oggettiva che si fonda sul bilanciamento tra gli interessi in conflitto117. La dottrina dominante muove dall’ambiguità del requisito della costrizione, per esprimere la preferenza per l’impostazione oggettiva, che meglio si armonizza con la regola dell’art. 59 co. 1 c.p., perché così è estensibile per analogia; si invocano anche ragioni di coerenza sistematica e parallelismo con la scriminante della legittima difesa118. Una corrente minoritaria, sostiene invece che lo stato di necessità rappresenti una causa di esclusione della colpevolezza fondata sull’inesigibilità di una condotta conforme al precetto119. In tale ottica, vengono sottratti alla sfera di applicazione dello stato di necessità quei conflitti risolvibili in base al bilanciamento di interessi, e inseriti nella categoria dei “conflitti di doveri”, risolvibili con autonomi criteri. I requisiti della necessità e dell’inevitabilità altrimenti non mutano significativamente nelle due impostazioni. La presenza del pericolo, anche in un’ottica soggettiva richiede una certa “serietà”, ossia un’oggettiva possibilità di verificazione del danno, assumendo particolare rilievo la sua effettiva percezione da parte dell’agente120. Il requisito dell’attualità non si atteggia diversamente in questa lettura, ed è peraltro comune alla legittima difesa, che pacificamente costituisce una giustificazione. La richiesta gravità del pericolo minacciato in tale ottica assume rilievo particolare: per non scivolare in un eccessivo ampliamento della gamma di beni tutelabili, è necessario che questi si trovino in stretto collegamento con la situazione di pressione motivazionale, in modo da far venir meno un’equa opportunità di agire diversamente; occorre, quindi, un intenso turbamento motivazionale nell’agente121. Quanto all’involontaria causazione del pericolo, l’esclusione della scriminante va limitata alle sole ipotesi di causazione intenzionale della situazione scusante o a quelle nelle quali l’insorgere della situazione sia stata prevista ed accettata dall’agente122. Quanto alla costrizione, deve sussistere un nesso causale tra la percezione del pericolo e la reazione dell’agente, fermo restando che il 116 E’ poi molto discusso se la norma sia applicabile quando il soccorso di necessità è attuato a favore del garante col sacrificio di un terzo estraneo. A favore dell’applicazione sono Romano, Pagliaro, Grosso; contrario Frosali. Cfr. AA.VV., Digesto penale, 1997, alla voce “Stato di necessità”, pag. 685. 117 In tale corrente si annoverano, ANTOLISEI, Manuale, cit., pag. 305 e ss.; CARNELUTTI, Teoria generale, cit.; NUVOLONE, Il sistema, cit., pag. 211 e ss.; GROSSO, Difesa, cit.; MANTOVANI, Diritto, cit.; MOLARI, Profili, cit.; ROMANO, Commentario, cit., pag. 532 e ss.; MARINI, Lineamenti del sistema penale, Torino, 1993, pag. 393 e ss.; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, cit., p. 440, definisce la struttura della scriminante simile a quella della legittima difesa. 118 GROSSO, Difesa, cit., pag. 240 e 254. 119 In tal senso si esprimono, tra gli altri, DELITALA, Il fatto, cit.; DOLCE, Lineamenti, cit.; PISAPIA, Istituzioni, cit.; VIGANÒ, Stato di necessità, cit.. 120 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 581 e ss. 121 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 586 e ss. 122 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 591. 26 soggetto può agire anche con freddezza e razionalità123. La proporzione si configura come comprensibilità etico-sociale del fatto, alla luce della capacità di resistenza di fronte ai pericoli che si può ragionevolmente attendere da un individuo medio124: è cioè un criterio di valutazione della congruità della reazione di fronte alla qualità, alla gravità e all’imminenza del pericolo. Quanto al soccorso di necessità, si ritiene che l’inesigibilità di un comportamento conforme al precetto sia da valutarsi di volta in volta, e non c’è motivo per negare un giudizio individualizzato quando l’aiuto sia stato prestato ad un estraneo125. Quando non sia possibile pervenire ad una ponderazione oggettiva degli interessi collidenti, alcuni126 ritengono che a fondare l’esclusione della pena concorrano motivi di opportunità. In questa ricostruzione l’art. 54 c.p. assume le vesti di una norma nella quale si individuano più cause di non punibilità a seconda dei canoni di riferimento127. In altre parole, la norma in esame sarebbe ambivalente, e, per la sua applicazione, occorrerebbe prima individuare la logica che presiede la situazione necessitata, e solo poi farne discendere coerentemente le conseguenze. Tale prospettiva, per quanto affascinante, rischia di essere foriera di incertezza sul piano delle conseguenze sistematiche128. Si è poi offerta una originale ricostruzione sul presupposto che la normazione unitaria debba essere il punto di partenza, e che ci si debba attenere ad un’interpretazione unitaria della disposizione, percorrendo una terza via per salvare ciascuna delle due anime dello stato di necessità senza rinunciare completamente all’altra129. In tale prospettiva l’art. 54 c.p. viene classificato nella categoria delle ‘scriminanti’, cioè cause di non punibilità ad efficacia complessiva, caratterizzate dalla contemporanea presenza di elementi oggettivi ed elementi soggettivi. Tale categoria, nella teoria del reato, trova la sua collocazione a metà strada tra le giustificanti oggettive e le scusanti soggettive130. Le condotte sono decriminalizzate 123 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 594. VIGANÒ, Stato, cit., pag. 596 e ss.. 125 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 599. 126 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 509 e ss.; FIORE, Diritto penale, cit., pag. 334 e ss.. 127 CADOPPI-VENEZIANI, Manuale di diritto penale, Padova, 2005, p. 279, sembrano aderire alla dottrina che distingue due ipotesi di stato di necessità: giustificante se si salva l’interesse prevalente, scusante se si ricorre al principio di inesigibilità. 128 La scriminante, in tale prospettiva, talvolta andrebbe considerata valida anche se ignorata, talaltra operante solo se conosciuta; talvolta operante solo se tra i beni in conflitto uno prevale, talaltra al di là di detto limite. 129 MEZZETTI, “Necessitas non habet legem”? Sui confini tra ‘impossibile’ ed ‘inesigibile’ nella struttura dello stato di necessità, Torino, 2000. 130 Le prime sono invocabili per la salvaguardia, tra due interessi confliggenti, di quello prevalente; il risultato finale dell’azione dà un saldo sociale attivo, poiché è stato tutelato l’interesse superiore; il fatto è conforme all’ordinamento e quindi vale per tutti i suoi rami; la giustificazione è comunicabile ai concorrenti. Esempi ne sono l’art. 52 c.p. ed il § 34 StGB. Le seconde, ancora non chiaramente individuate, comportano in duplice affievolimento dei disvalori, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo: ma la non punibilità è legata al notevole affievolimento del disvalore di condotta per comportamenti non riprovevoli compiuti in un contesto condizionante l’umana volontà. Sono ipotesi individualizzanti per le quali si opera un giudizio più sull’autore che sul fatto. Tali cause sono invocabili in tema di errore. MEZZETTI, Necessitas, cit.. 124 27 dalla contemporanea presenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Alla fine non c’è un saldo attivo, né una completa neutralizzazione del disvalore di condotta e delle conseguenze: i fattori di neutralizzazione intervengono tanto sull’offensività della condotta necessitata, quanto sulla riprovevolezza della situazione necessitante, e possono presentarsi alternativamente nell’uno e nell’altro modo. Si concede, in questi casi, la non punibilità del fatto in sede penale, mentre la responsabilità del soggetto resta intatta in sede extrapenale. Queste sono tutte ipotesi riconducibili alla necessità come costrizione, e si contano, oltre all’art. 54, anche gli artt. 242 e 384 c.p. Tale ricostruzione, anche se crea una nuova categoria di cause di non punibilità, presenta almeno due notevoli vantaggi: salva entrambe le anime dello stato di necessità, e, nel contempo, permette di conoscere preventivamente le conseguenze sistematiche della condotta: ad esempio è già chiaro ex ante che l’azione non subisce sanzioni penali ma che residua spazio per conseguenze sanzionatorie in altri rami dell’ordinamento. 5 Le altre ipotesi di ‘necessità’ regolate dal codice. Cenni Altre previsioni nella parte speciale del codice richiamano il tema ananchico, ammettendo il ricorso ad azioni determinate che valgano ad allontanare il pericolo, ma soltanto certe azioni determinate. Ad es. l’art. 384 c.p. (Casi di non punibilità), l’art. 242 c.p. (cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano), l’art. 638 c.p. (uccisione o danneggiamento di animali altrui) fanno riferimento alla necessità intesa come costrizione e dichiarano la non punibilità di alcuni determinati reati; ci sono poi le ipotesi previste dagli artt. 307 co. 3 (assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata) e 418 co. 3 c.p. (assistenza agli associati) che sembrano richiamare l’inesigibilità di un contegno diverso. In particolare, l’art. 384 c.p. prevede la non punibilità per chi ha commesso uno dei delitti contro l’amministrazione della Giustizia indicati131, perché “costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave nocumento nella libertà o nell’onore”. Di regola il reato perpetrato per la necessità relativa di sottrarsi all’esecuzione della legge penale non è giustificato né scusato, nondimeno esistono (ed esistevano132) casi in cui chi agisce a propria salvezza nelle suddette condizioni è completamente giustificato: così era disposto per la falsità in giudizio anche in una norma che rappresenta un antecedente storico di quella attuale, l’art. 215 n. 1 del codice 131 I reati scriminati sono quelli previsti dagli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 371 ter, 372, 373, 374, 378 c.p.. 132 Andava infatti esente da pena chi deponeva il falso in giudizio quando manifestando il vero avrebbe esposto inevitabilmente sé medesimo o un prossimo congiunto a grave nocumento nella libertà o nell’onore, sempre che la falsa deposizione non esponesse un’altra persona a procedimento penale o a condanna. Esente da pena sulla base dell’art. 225 c.p. era anche chi avesse aiutato il prossimo congiunto ad eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle sue ricerche o all’esecuzione della condanna, o avesse soppresso o alterato le tracce di un delitto, sempre che le azioni commesse non costituissero altra specie di reato. Sono fattispecie di favoreggiamento personale. Anche all’attuale art. 378 c.p. è applicabile l’esimente dell'art. 384. Tali norme per l’opinione comune erano ritenute ipotesi di stato di necessità, dettate per ragioni non difformi da quelle fondanti la norma generale. Si è visto infatti che l’art. 49 n.3 era una causa di non punibilità fondata sulla non opportunità di muovere un rimprovero all’agente; la ragione che portava alla non punibilità nelle ipotesi degli artt. 215 e 225 era un particolare bilanciamento di interessi, operato una volta per tutte dal solo legislatore, cui non faceva necessariamente seguito una dichiarazione di piena conformità del fatto al diritto. 28 Zanardelli133. L’attuale formulazione dell’art. 384 c.p. contempla un conflitto tra beni eterogenei: da un lato l’interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia, dall’altro quello privato alla salvaguardia di onore e libertà; denota inoltre alcuni caratteri differenziali rispetto a quella dell'art. 54 c.p.: innanzitutto si parla di nocumento; poi si prescinde dal requisito di non volontarietà del pericolo; ed infine si ha riguardo agli interessi della libertà e dell’onore134. Rileva, in argomento, chiarire se siano solo differenze stilistiche o se non sottendano invece questioni sostanziali, connesse alla ratio della norma. Parte della dottrina135 sostiene che il “nocumento” comporti una valutazione in termini di ‘probabilità’, che è qualcosa di più rispetto alla ‘possibilità’ che integra il pericolo cui fa riferimento l’art. 54; radicalizzando la diversità, altri136 sostengono che non sia sufficiente un evento di pericolo come per l’art. 54, ma che sia richiesto un evento di danno, quindi un effettivo nocumento. Rispetto alla pur volontaria causazione del pericolo137 e al diverso bene giuridico tutelato138, qui rappresentato da libertà e onore, si sostiene che non ci si trova dinnanzi ad un’ipotesi speciale di stato di necessità, perché la norma non contiene in sé indistintamente tutti gli elementi della norma generale con qualcosa di specializzante in più. Pertanto, vi è chi conclude in favore di una ratio “tutta e solo basata sul principio dell’inesigibilità di un comportamento diverso come causa di esclusione della colpevolezza”139. In questa prospettiva, una dimensione oggettiva viene recuperata col riferimento alla sola gravità del danno: questo requisito impedisce l’applicazione dell’esimente sulla base di ciò che il singolo ritiene esigibile con una mera valutazione personale, dovendosi invece guardare alle conseguenze sanzionatorie applicabili in concreto o al pericolo effettivo per l’onore o la libertà dell’agente (o del suo congiunto)140. Sul piano sistematico, si rileva che l’esimente opera solo se il soggetto si sia rappresentato l’esigenza di compiere il fatto tipico a salvamento degli interessi tutelati dalla norma e se sia stata tale consapevolezza a spingerlo all’azione; che la causa di non punibilità non si estende ai concorrenti; infine che il risarcimento deve coprire l’intero danno cagionato, e non essere corrisposto come indennità forfettaria141. La dottrina dominante è invece di diverso avviso, perché ritiene che la disposizione venga ad incidere, escludendola, sull’antigiuridicità del fatto. In questa prospettiva si è dinnanzi ad un’ipotesi speciale di stato di necessità e proprio in virtù del 133 In altri casi, invece, l’agente era soltanto scusato, come nella violenza e resistenza all’autorità, art. 190 u.c. c.p., per cui per un fatto diretto a sottrarre all’arresto se stesso o un prossimo congiunto è comminata una pena minore rispetto a quella prevista dai precedenti commi; e nella subornazione di testimoni, art. 219 c.p., in base al quale è minore la pena se colpevole del delitto è l’imputato o un suo prossimo congiunto, purchè non abbia esposto un’altra persona a procedimento penale o a condanna. 134 MAZZONE, Lineamenti della non punibilità ai sensi dell’art. 384 c.p., Napoli 1992, pag. 109 e ss. per il significato dei singoli elementi costitutivi delle disposizioni dell’art. 384 c.p. 135 BATTAGLINI, Diritto penale. Parte generale, 3° ed., Padova, 1949, pag. 331, nota 2. 136 CRESPI-STELLA- ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, Padova 2001, art. 384, pag. 1292. 137 Sent. Co. Cass. del 5 ottobre 1973, in Cass. Pen. 1976, pag. 672. 138 Sent. Co. Cass. del 30 giugno 1975, in Cass. Pen. 1977, pag. 65. 139 SUCHAN, Stato di necessità e cause di non punibilità ex art. 384, in Cass. Pen., 1977, pag. 65. 140 SUCHAN, Sui rapporti tra l’art. 54 e l’art. 384 c.p., in Cass. Pen., 1976, pag. 672. 141 MAZZONE, Lineamenti, cit., chiarisce che la struttura della norma è soggettiva e che il concetto di inesigibilità permea di sé l’interpretazione della stessa. 29 rapporto di specialità si possono estendere l’estensione all’art. 384 c.p. i requisiti previsti dall’art. 54 c.p.. Anche in questi frangenti la necessità implica che l’agente non possa agire altrimenti per evitare il nocumento, che per specifica richiesta di legge deve presentare i connotati della gravità. Se il nocumento da evitare fosse di lieve entità, infatti, l’autore risponderebbe ugualmente del reato commesso142. Elemento specializzante rispetto alla norma generale è la restrizione del soccorso di necessità ai soli prossimi congiunti143. Altri requisiti non espressi vengono traslati dalla disposizione generale; l’inevitabilità altrimenti esige che il pregiudizio minacciato non possa evitarsi che con una azione che di regola costituirebbe reato; affine è il bene giuridico tutelato, e perché l’espressione dell’art. 54, intesa nel senso di pregiudizio ai beni della persona, viene a ricomprendere la libertà e l’onore, e perché nell’art. 384 si deve a fortiori ritener compreso il danno alla vita e all’integrità fisica. Il requisito della proporzione viene ritenuto implicito secondo alcuni144, secondo altri superfluo perché il conflitto eccezionalmente è già stato risolto dal legislatore145. Per quanto riguarda il fondamento della norma, si è detto che la previsione rappresenta un conflitto solo teorico tra interessi pubblici e privati, poiché è il legislatore a risolverlo preventivamente col dare la prevalenza ai secondi, considerando di valore preponderante i vincoli affettivi e parentali146: a ben vedere la prevalenza non si dà sulla base di un bilanciamento, essendo gli interessi eterogenei e quindi non ponderabili, ma perchè il soggetto non può essere motivato secondo norme, sicché una sanzione sarebbe priva di qualsiasi capacità di dissuasione preventiva. In questo caso il disvalore dell’illecito rappresentato dalla condotta viene solo affievolito dalla necessità, e quindi, se da un lato l’azione non è comunque meritevole di pena, dall’altro residua una responsabilità extrapenale dell’agente. Anche per tale fattispecie si è in presenza, quindi, di una terza categoria di cause di esclusione della punibilità147. In conclusione, può convenirsi che la norma in esame sia accostabile a quella dell'art. 54 c.p.148, ad esso legata in una rapporto di specie a genere, essendo identica la 142 MUSOTTO, Corso di diritto penale. Parte generale, Palermo, 1960, pag. 268. Per l’elenco tassativo di chi sia ‘prossimo congiunto’ si veda la norma definitoria dell’art. 307 co. 2 c.p. 144 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, II, Milano, 2000, pag. 500. 145 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 101. 146 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 99. 147 Sempre nella originale ricostruzione di MEZZETTI, Necessitas, cit., potendosi constatare un affievolimento non totale del disvalore del fatto, ed una solo parziale neutralizzazione delle conseguenze del fatto stesso, con un residuo di responsabilità extrapenale per l’agente. 148 Contra MAZZONE, Lineamenti, cit., pag. 70 e ss.. L’autore individua due ratio differenti tra le disposizioni dell’art. 54 e l’art. 384 c.p., che fondano la diversità di funzione delle norme all’interno dell’ordinamento. L’autore ritiene che la scomposizione dell’art. 54 in due fattispecie non sia un’operazione consentita allo stato attuale della legislazione, per la piena coincidenza degli elementi della fattispecie nelle due ipotesi. Le due norme sono quindi espressione di due diverse eigenze di politica criminale: l’art. 54 strutturato su una forma di bilanciamento oggettivo degli interessi e di proporzione tra l’interesse leso e quello tutelato; l’art. 384 strutturato sulla base di un abbassamento della pretesa legislativa in ordine allo sforzo di adeguamento richiesto ai consociati. Anche se in ipotesi potrebbe ritenersi cumulabile l’applicazione delle due norme, essa tuttavia non risulta corretta, perché le due norme stanno in rapporto di specialità parziale in relazione ai beni tutelati rilevanti: quindi l’applicazione dell’art. 54 trova il solo limite di applicazione, in relazione alle fattispecie incriminatrici considerate, nella 143 30 situazione psicologica dell’agente considerata dalla legge149 . Più agili sono le considerazioni sull’art. 242 co. 2 c.p., che prevede la non punibilità del cittadino italiano che, trovandosi durante le ostilità nel territorio dello Stato nemico, ha portato le armi contro lo Stato italiano per esservi stato costretto da un obbligo impostogli dalle leggi dello Stato medesimo150. Il fondamento della norma si rinviene, per la quasi totalità della dottrina151, nell’elisione dell’antigiuridicità. Anche tale fattispecie può rappresentare una figura speciale di stato di necessità152 dettato dalla particolare considerazione prestata alla situazione in cui si trovano in alcuni Paesi i nostri connazionali emigrati che vengano ad avere doppia cittadinanza. La costrizione necessitante si radica nel fatto che il soggetto si trova nell’impossibilità di sottrarsi all’obbligo senza correre il pericolo di un danno grave alla persona153. Anche in tale caso, si può accedere alla logica della necessità scriminante154 considerando la norma come un altro esempio inquadrabile nel paradigma del conflitto di doveri normativamente composto, fondato sulla supremazia di uno dei doveri in collisione, stabilita preventivamente dal legislatore. Altre ipotesi da considerare sono quelle previste dagli artt. 637 (Ingresso abusivo nel fondo altrui: “chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto …”) e 638 c.p. (Uccisione o danneggiamento di animali altrui: “chiunque senza necessità uccide … animali che appartengono ad altri è punito …”). Il requisito oggettivo della necessità presente in queste disposizioni non equivale allo stato di necessità come prospettato all’art. 54 c.p., anche perché, se così fosse, la dicitura legislativa sarebbe superflua. La necessità qui presa in esame è costituita da qualsiasi motivo che, secondo il giudizio disposizione dell’art. 384. Ma se questa non trova applicazione trattandosi di tutela di un bene attinente alla persona diverso da libertà ed onore, ecco che si riespande l’applicabilità della disposizione dell’art. 54. 149 Contra anche FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, pag. 355. L’autore sostiene che, così facendo, si provoca una illogica duplicazione di norme a contenuto praticamente identico in contrasto con esigenze di economia legislativa e si ricostruisce l’art. 384 sulla base di una interpretazione analogica in malam partem; inoltre non coincide la considerazione delle conseguenze: nel caso dell’art. 384, dottrina e giurisprudenza non hanno dubbi sul fatto che si tratti di una causa assolutamente personale di esclusione della punibilità. In coerenza con ciò, si deve decisamente recidere il cordone ombelicale con lo stato di necessità così come regolato dal nostro codice essendo la norma dell’art. 384 una scusante fondata sul principio di inesigibilità., che diverrebbe superflua se il nosstro orddinamento prevedesse un’ipotesi di stato di necessità scusante. 150 Vale segnalare lo scarsissimo rilievo pratico della stessa. Le uniche applicazioni in concreto riguardano casi di altoatesini che, in conseguenza dell’occupazione bellica della regione, perduta la cittadinanza italiana ed acquistata quella tedesca, erano stati coattivamente arruolati nelle forze armate del Reich, ed in seguito, accusati del reato di cui all’art. 242, si erano appellati al co. 2, evitando così l’irrogazione della sanzione. Cass. pen, sez. II, sent. 13 maggio 1955, Moroder, in Riv. It. Dir. Pen. 1956, pag. 676 151 MARINUCCI-DOLCINI, Codice penale commentato, cit., cita Chiarotti come unica voce che riconduce la norma nell’alveo della colpevolezza, vedendovi un’ipotesi di non esigibilità. Anche FORNASARI, Il principio, cit., pag. 359 concorda con l’indirizzo della dottrina tradizionale. 152 Rimane ancorata ad un momento di elisione dell’antigiuridicità anche l’opinione che vede in questo un caso speciale di adempimento del dovere. 153 ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 554. 154 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 99 e pag. 120. 31 della comunità locale, giustifica l’ingresso nel fondo altrui, se ha un valore sociale maggiore del pregiudizio minimo arrecato155. Il tutto quindi si gioca sul bilanciamento degli opposti interessi, senza nessuna limitazione dei diritti tutelabili. La necessità può anche semplicemente essere relativa a particolari contingenze, quindi rivolta ad evitare un pericolo imminente o ad impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile non solo alla persona propria o altrui, ma anche ai beni, se tale danno non sia altrimenti evitabile156. Si individua, quindi, concetto di necessità più ampio e diverso rispetto a quello dell’art. 54 c.p., per la speciale natura dei delitti ed il loro specifico oggetto materiale157. Non c’è invece alcun richiamo generico alla necessità per le cause di non punibilità degli artt. 307 co. 3 e 418 co. 3 c.p.. La prima norma richiamata sancisce la non punibilità per il reato di assistenza ai partecipanti di cospirazione o banda armata se il fatto è commesso “in favore di un prossimo congiunto”; similmente la seconda per il reato di assistenza ad associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso. Occorre perciò concludere che in questi casi il rapporto di parentela non pare assumere importanza nella formazione anomala del processo volitivo, ma viene ad operare in modo meccanico per l’esenzione da pena, che quindi ha il suo fondamento in mere ragioni di politica criminale158. Si può aggiungere che l’assistenza ai familiari ben potrebbe essere prestata per ragioni diverse dal vincolo interpersonale, come ad esempio per motivi di interesse159. 6 Casi tipici e ipotesi problematiche Come già detto, lo scarso rilievo pratico della norma riguardante lo stato di necessità ha indotto i filosofi a precedere i giuristi nello studio della questione160. Per il vero, dalla semplice lettura di antichi episodi ci si rende conto che le ipotesi prospettabili sono varie ed eterogenee161, ma rischiano di apparire troppo lontani nel 155 ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 419. Ad es. venne esclusa la sussistenza del reato per l’uccisione di un grosso cane che introdottosi in un pollaio, ne aveva mangiato i polli e assalito il proprietario 157 Vedi CRESPI-STELLA- ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, Padova 2001, artt. 637 e 638. ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 435. Cfr. anche Cass. 28 ottobre 1997, in Riv. Pen. 1998, 349. 158 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 102. 159 FORNASARI, Il principio, cit., pag. 358, invece, aggancia il motivo dell’esenzione ad uno stato di turbamento meritevolmente comprensibile. Anche se la cooperazione può avvenire per motivi di interesse, il legislatore presume che il vincolo di parentela sia un motivo che esclude l’esigibilità di un comportamento conforme alla norma. 160 Cicerone riferiva che il testo di un filosofo sconosciuto ai più, Ecatone, era “pieno di questioni relative al condursi nelle varie contingenze” e fra queste ricordava “l’alternativa di lasciar perire d’inedia i concittadini o consumare per sovvenirli i viveri accumulati, per far superare alla famiglia il pericolo di carestia; di far getto in tempo di burrasca di un cavallo prezioso o di un vil servo; di annegare o strappare ad un compagno di naufragio di poco conto la tavola che lo sostiene; di denunciare il padre sacrilego, peculatore o aspirante alla tirannide o venir meno ai doveri di magistrato e di cittadino; di sottostare alla perdita derivante dall’aver accettata moneta falsa per buona od ingannare altrui; di esporsi a quella dall’attitudine a guastarsi, che ha il proprio vino od esporvi altri, vendendolo ad essi”. PESSINA, Enciclopedia, cit., pag. 159 in nota 161 Il Manzini offre una multiforme casistica di vicende che, pur storicamente avvenute, per il lettore di oggi hanno il sapore di “leggende” al limite tra realtà e fantasia, e lo fanno inorridire per la tragicità degli avvenimenti narrati. Tra i più atroci fatti compiuti in stato di necessità ricorda che sotto l’imperatore 156 32 tempo e dalla realtà162. Invero sono di altra specie sono le questioni che, al giorno d’oggi, approdano nei tribunali. Nella pratica molte volte si pone il problema della liceità e/o doverosità di un trattamento sanitario necessario per salvare la vita di un paziente in presenza del dissenso di costui. La drammaticità della fattispecie esige una chiara delimitazione di confine tra l’area del lecito e quella dell’illecito: chi si trova ad operare in tali frangenti deve sapere preventivamente se e a quali condizioni debba o possa intervenire. Si tratta di decidere se è presente un dovere di intervento, cosicché la situazione integra un conflitto di doveri163, inquadrabile per la dottrina maggioritaria quale Diocleziano i soldati germani di una legione romana, non volendo più militare in Gran Bretagna, si ribellarono e, uccisi i capi dell’esercito, si diede alla fuga per mare. Ma due delle navi salpate si smarrirono e colore che erano a bordo, costretti dalla fame, uccisero e mangiarono i più deboli. Similmente accadde nel 1518 per gli sfortunati viaggiatori di due galee percosse dalla tempesta: chi sopravvisse alla burrasca per non morire di fame si cibò dei compagni morti. Di fronte ad una scelta tragica si trovò anche il luogotenente Holmes che, nel 1881, gettò in mare sedici sventurati per salvare gli altri evitando l’affondamento della scialuppa pericolante. O ancora ricorda i noti naufraghi della Mignonnette, che dopo diciotto giorni alla deriva, prossimi a morire di fame e sete, deliberarono di uccidere il mozzo per sostentarsi, bevendone il sangue e cibandosi delle sue carni fino al ventiquattresimo giorno di naufragio. Raccolti poi da una nave e portati in salvo, arrivati a terra furono processati e condannati a morte da una giuria inglese; ma la regina commutò la pena in sei mesi di prigionia. Sposta poi lo scenario in Russia, dove due fratelli che vivevano isolati lungo le sponde di un fiumicello, stremati dalla fame uccisero la sorellina e se ne cibarono. All’autore del fratricidio, scoperto, non valse addurre lo stato di necessità, e venne condannato a tredici anni di lavori forzati. E infine riferisce di un episodio nelle Ande: tra i monti impervi a quattro escursionisti vennero a mancare le vivande; allora tre dei “famelici” viandanti uccisero il quarto e mangiarono le sue carni; furono sottoposti a giudizio dall’autorità argentina, ma è sconosciuto il verdetto finale. Era il 1927. Conclude rammentando i “fatti di feroce e micidiale egoismo avvenuti in occasione di teatri affollati, terremoti, ecc.”. MANZINI, Trattato, cit., pag. 400 in nota. 162 Vale comunque la pena di ricordare almeno alcuni dei topoi ricorrenti, che servono alla dottrina per capire i principi sottesi allo stato di necessità: si fa spesso l’esempio dei due naufraghi che, nel mare in tempesta, lottano per accaparrarsi l’unica tavola che può, però, sostenere solo uno dei due; dello scalatore che, accortosi che la corda sta cedendo per il peso eccessivo, la recide facendo cadere nel vuoto il compagno; dell’escursionista che, sorpreso nottetempo da una bufera, scardina la porta di una baita per trovarvi rifugio; del genitore che, in una situazione di pericolo, può salvare solo uno dei due figli. Del proprietario dell'edificio in fiamme che s’introduce nel fondo vicino per attingere acqua al pozzo; del proprietario dell’edificio vicino al fabbricato in fiamme, che lo abbatte per scongiurare il diffondersi dell’incendio alla propria abitazione. Di chi, inseguito dai malviventi, ruba una bicicletta per guadagnare terreno nella fuga per la salvezza; del malato che, non potendo permettersi di pagare, ruba un medicinale fondamentale per la sua vita; di chi uccide il cane rabbioso che gli ringhia contro; del bagnante che ruba una barca che si trova sulla spiaggia per soccorrere uno sventurato che sta annegando. Del medico che supera i limiti di massima velocità per soccorrere un paziente gravemente ferito; di chi sottrae le chiavi della macchina all’ubriaco per evitare che si metta in quelle condizioni alla guida del suo veicolo; della divulgazione dello stato infettivo di un paziente per evitare che il contagio si diffonda; della reclusione del malato di mente per evitare che, nei suoi eccessi furiosi, sia pericoloso per sé e per gli altri Di chi uccide il padre ubriacone e violento perché cessi di essere un pericolo per madre e sorella. Tipico caso divenuto di scuola ma realmente accaduto è il c.d. caso Spanner: accadeva che, nottetempo, uno sconosciuto ripetutamente s’introduceva nella camera da letto di due sposi. I due erano spaventati ed intimoriti dalla cosa; allora una notte, per tentare di fermarlo, il marito estrasse la pistola e sparò ferendo il guardone che, vista la mala parata, si stava già dando alla fuga. Gli fu riconosciuto lo stato di necessità scusante, perché nel pericolo perdurante venne riconosciuto un pericolo attuale. 163 BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, in Cass. pen., 2000, 6, 1832. 33 sottospecie dello stato di necessità giustificante164. Ma, affermando in linea di principio il divieto di trattamenti coattivi165, si potrebbe comunque riconoscere l’efficacia scriminante dello stato di necessità166. In un paio di occasioni nel nostro ordinamento si è chiamato in causa lo stato di necessità come norma fondante il potere, in capo all’autorità penitenziaria, di alimentare forzatamente il detenuto in sciopero della fame. Una prima vicenda si verificò alla fine del 1981 presso il carcere milanese di San Vittore: cinque detenuti in attesa di giudizio, affiliati alle Brigate Rosse, iniziarono uno sciopero della fame167. Per alcuni venne attuata una terapia di alimentazione forzata, rinvenendone il fondamento nell’art. 54 c.p.: attesa la necessità di impedire che i detenuti si lasciassero morire, nel caso di specie il trattamento venne ritenuto legittimo anche come t.s.o. ex art. 34 l.833/1978. Ma non solo, il g.i. ipotizzò che l’alimentazione forzata fosse doverosa e la Corte d’Appello, ribadendo che il digiuno è frutto di una scelta libera, volontaria e cosciente del detenuto, avvallava il ricorso all’alimentazione forzata. Anche l’allora Ministro della giustizia autorizzò la terapia, mentre il Presidente del consiglio, invitando i medici ad attuare la direttiva per difendere la vita, “ricorrendo lo stato di necessità…, anche contro la volontà del cittadino che cerchi il suicidio”, subordinava comunque il trattamento obbligatorio “alla libera esecuzione dei medici responsabili”. Ma di fatto i medici non diedero esecuzione alla direttiva del Ministro e la vicenda si risolse con l’ammissione al lavoro esterno dei detenuti, lasciando insoluti i nodi problematici emersi dai diversi provvedimenti168. Una vicenda analoga si svolse di lì a poco nel carcere di Venezia: ad un detenuto in gravi condizioni di salute dovute allo sciopero della fame protratto per quasi due mesi, venne concessa la libertà provvisoria169, non ritenendo l’alimentazione forzata strada praticabile poiché, si diceva in motivazione, il t.s.o. era destinato solo ai malati di mente, e, nel caso di un soggetto che liberamente aveva scelto di non nutrirsi, era anche contraria al “rispetto della dignità della persona”. L’ordinanza venne però riformata, anche perché era “fin troppo evidente … la prevalenza che si deve accordare ai due beni costituzionalmente protetti”. All’imputato, nonostante fosse stata praticata l’alimentazione forzata, vennero in fine concessi gli arresti domiciliari per il permanere di una grave sindrome ansioso-depressiva. In argomento, si esclude che l’intervento statale possa basarsi su poteri coattivi dell’amministrazione penitenziaria, perché il detenuto sottostà alle sole limitazioni dei suoi diritti fondamentali espressamente previste dalla disciplina penitenziaria, e quindi continua a godere di tutti gli altri diritti, compreso quello di rifiutare i trattamenti 164 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365 e MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 90 e ss.; contra VIGANÒ, Stato, cit. pag. 475. 165 PALERMO FABRIS, Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale; profili problematici del diritto di autodeterminazione, Padova, 1997, pag. 201, esclude la sussistenza di un obbligo di agire del sanitario in presenza del dissenso ddel paziente capace. BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, , in Cass. pen., 2000, 6, 1860. 166 Giustificante se la condotta può ritenersi comunque facoltizzata, solo scusante se, invece, l’azione può solo essere tollerata. 167 Si vedano le numerose ordinanze pubblicate in Foro it., 1983, II, pag. 241 e ss., 254 e ss., 258; e in Quaest. Giud., 1982, pag. 309, 314, 317, 326. 168 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 5. 169 Trib. Padova, ord. 2 dicembre 1982 (g.i. Palombarini, imp. Cerica), in Foro it., 1983, II, pag. 252. 34 sanitari coattivi. Per giustificare l’intervento statale sembrerebbe percorribile la strada dello stato di necessità170: allorquando le condizioni degli scioperanti facciano presagire il pericolo attuale di morte degli stessi, l’alimentazione forzata costituisce il mezzo necessario e non sostituibile per evitare l’esito infausto, attesa la prevalenza del benevita (indisponibile) sulla libertà morale ed integrità fisica. Tuttavia, la significativa valenza del principio di autodeterminazione dell’individuo, nonché la rilevanza costituzionale del rispetto della dignità umana, hanno indotto la dottrina ad escludere la legittimità e la doverosità dell’alimentazione forzata171, anche se all’atto pratico non si esclude il ricorso alla scriminante per i soggetti che, pur in assenza di un dovere di intervento, si siano adoperati in tal senso al fine di salvare una vita. Frequenti sono poi i casi di testimoni di Geova che rifiutano trattamenti emotrasfusionali per rispettare il divieto biblico di consumare ogni sorta di sangue172. Il problema della praticabilità della trasfusione nonostante il dissenso del paziente si pone quando questi sia adulto e pienamente cosciente delle conseguenze derivanti dalla sua decisione173 ovvero sia un minore e il rifiuto sia opposto dai genitori o da chi ne fa le veci174. Il rifiuto di trasfusione, oltre che per motivi religiosi, potrebbe essere motivato anche dal timore, più o meno fondato, di infezioni da HIV, epatiti e altre malattie emotrasmissibili. In tali circostanze non è certo configurabile, in capo al medico, un diritto soggettivo di praticare la terapia175, poiché il trattamento medico-chirurgico può essere legittimamente praticato solo col consenso del paziente176; se questi è incapace o temporaneamente impossibilitato a prestarlo, perché, ad esempio, in coma o sotto anestesia, un intervento del medico sarà possibile solo in caso di assoluta urgenza, nei 170 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 8. In Quaest. Giud., 1982, si vedano i commenti della vicenda di ONIDA, Dignità della persona e diritto di essere malati, pag. 361; PULITANÒ, Sullo sciopero della fame di imputati in custodia preventiva, pag. 317. Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 202, che esclude in questi casi il ricorso allo stato di necessità perché non si versa in situazioni di emergenza in cui il rifiuto appare irragionevole e non c’è tempo per intraprendere il processo formativo di una volontà consapevole: il rifiuto della terapia è fondato su un convincimento politico, che pare consapevole, ponderato, e frutto di una scelta razionale e precisa. 172 Secondo PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 202 anche in questi casi è da escludersi un ricorso all’art. 54, perché il rifiuto della terapia è fondato su un ragionevole convincimento religioso; affronta il problema specificatamente a pag. 208 e ss., affermando il divieto per il medico di imporre qualsiasi trattamento coattivo e l’insuperabilità della volontà del paziente capace, anche se in pericolo di vita, in linea con quanto sancito dal Comitato Nazionale di Bioetica nel codice di deontologia medica del 1989 all’art. 40. La presenza di un saldo convincimento religioso consente di riconoscere l’esistenza di un dissenso pienamente convinto anche nelle situazioni di emergenza. 173 Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 173 sul dissenso dell’avente diritto. 174 Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 243 sul trattamento quando il paziente sia un minore. 175 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 11; cfr. Pret. Modica, 13 agosto 1990, in Foro it., 1990, I, pag. 271, che interviene con ordinanza ex art. 700 c.p.c.. e, nel contempo, Pret. Roma 2 aprile 1997, De Vivo, in Cass. pen., 1998, pag. 950 che ha rtenuto che il consapevole rifiuto della terapia da parte del paziente avesse fatto venir meno l’obbligo di impedirne la morte 176 Perché ogni intervento comporta una lesione personale; si veda il ‘caso Massimo’: Cass. 21 aprile 1992, in Riv .it. med. leg., 1993, pag. 460. 171 35 limiti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.177. Si ipotizza quindi il ricorso allo stato di necessità per giustificare il tentativo di salvare in extremis con un intervento chirurgico un paziente in coma, o l’amputazione di una gamba per evitare una cancrena al paziente incapace di consentire; o l’esecuzione, durante un intervento consentito, di un ulteriore intervento, anche su un altro organo, senza il consenso del paziente che si trova sotto narcosi178. Di contro, in presenza di un rifiuto179 da parte del malato di intervento vitale l’opinione che resta maggioritaria nega la legittimità dell’intervento stesso, lasciando il malato deve restare il solo “arbitro del proprio destino”180. Non manca tuttavia chi, anche in questi casi, ritiene che, ricorrendo gli estremi dello stato di necessità, il medico sarebbe comunque autorizzato ad eseguire l’intervento181, sempreché la situazione di emergenza non consenta di formare una volontà consapevole182, e ferma restando l’irrilevanza del rifiuto se il pericolo incombe su di un bene indisponibile183, come nel caso di intervento quoad vitam. In definitiva, può dirsi che l’intervento può essere eseguito se risulta proporzionato alla salvaguardia della vita del paziente184, anche se, così dicendo, si rende evidentemente che la soluzione giuridica del conflitto riposa sull’individuale intuizione del singolo giudice circa l’atteggiarsi del rapporto tra i valori nella situazione in esame. E quindi giudici diversi potrebbero pervenire, di fronte a casi analoghi, a decisioni diverse, tutte egualmente corrette185. Per risolvere il conflitto, quindi, si deve ricorrere a criteri extragiuridici. Questi potranno venire da ‘valori morali’186 o dalla visione culturale dominante; oppure ci si 177 RIZ, Trattamento medico e cause di giustificazione, pag. 77 e ss.. Ci sono altre linee per giustificare la condotta del medico interveniente: vedere nel fatto un fatto atipico per la socialità del trattamento medico; ipotizzare una scriminante non codificata, insita nell’esercizio di un’attività medica; rinvenire la causa di giustificazione nel consenso presunto. 178 Cfr. C. App. Firenze, 27 ottobre 1970, Ingiulla, in Giur. Merito, 1972, pag. 324: un noto chirurgo aveva eseguito su una donna di 24 anni una sterilizzazione tubarica, in occasione di un parto cesareo, senza previo consenso della partoriente, sulla base di una ragionevole convinzione della necessità della sterilizzazione medesima per evitare, in caso di successiva gravidanza, l’eventuale rottura dell’utero e la morte della donna. Il tribunale nel caso non ravvisò gli estremi né dell’urgenza né della necessità dell’intervento ulteriore, poiché prorogabile senza gravi pericoli e senza esito letale. 179 Nel caso di paziente incosciente, invece, si può presumere che il paziente si sarebbe espresso per la propria sopravvivenza. 180 MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, 1974, pag. 226. 181 RIZ, Il consenso dell’avente diritto, 1979, pag. 359. 182 PALERMO FABRIS, Diritto alla salute,cit., pag. 202. 183 GROSSO, Difesa, cit. pag. 228. 184 Questo dovrebbe escludere anche la liceità del trapianto coatto di organo da altro vivente, essendo il danno eccessivamente sproporzionato. 185 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 474 e ss., risolve i conflitti senza ricorrere allo stato di necessità, Contesta tale impostazione MEZZETTI Necessitas, cit., pag. 119 e 133, e rifiuta l’autonomia dei criteri di risoluzione dei conflitti di doveri. L’autore, come la maggior parte della dottrina italiana e tedesca riconduce queste ipotesi allo stato di necessità. L’autore individua conflitti di doveri solo apparenti perché già normativamente composti che si sciolgono nella logica dell’adempimento del dovere, e quelli normativamente irrisolti da considerarsi sottotipo dell’art. 54 186 Secondo VIGANÒ, Stato, cit. pag. 459, questo è un criterio ‘molto tedesco’. Per il vero, la dottrina tedesca connette queste ipotesi ad un “conflitto di doveri scusante sovralegale”: il medico che opera, quindi, non agisce legittimamente, ma se lo fa, può trovare comprensione per il suo agire perché il 36 può affidare al prudente apprezzamento del giudice, chiamato a decidere il caso concreto ipotizzando la generalizzazione della condotta sottoposta al suo esame. In tale evenienza, la responsabilità della scelta può essere lasciata all’autore della condotta (medico), mentre al giudice spetta la sua ratifica ex post. Ma, forse, la soluzione che garantisce la maggior certezza del diritto e, soprattutto, la maggior prevedibilità ex ante delle condotte, è quella che passa per l’enucleazione di una categoria di cause di esclusione della sola antigiuridicità penale: niente sanzioni penali, ma possibili sanzioni in altri rami dell’ordinamento187. In conclusione: l’ordinamento può solo autorizzare il sanitario ad intervenire ed in situazioni di emergenza, superando il rifiuto del paziente se ricorrono gli estremi dello stato di necessità; qualora invece il rifiuto sia frutto di una scelta ponderata, e fuori dalle situazioni di emergenza, le imposizioni coattive di terapia sono penalmente rilevanti se rivestono gli estremi di un delitto contro l’integrità personale o contro la libertà individuale188. O, in altre parole, se i beni sono bilanciabili e risulta prevalente quello tutelabile con l’intervento, c’è spazio per un intervento lecito; altrimenti la condotta sarà solo scusata, quindi non lecita (ancorché umanamente comprensibile). Altra possibilità interessante di applicazione dell’art. 54 c.p. potrebbe aversi per la cessione di sostanze stupefacenti nei confronti di un tossicodipendente in crisi di astinenza, per una sorta di necessità terapeutica. Tuttavia, all’atto pratico, siffatta applicazione viene esclusa sia perchè non si riconoscono, nella situazione, gli estremi di un imminente pericolo di vita, sia perché al superamento della stessa si presentano, come normali alternative, l’affidamento del tossicomane ad un medico o il suo ricovero in luogo di cura189. La scriminante è stata altresì invocata con riferimento alle azioni limitative della libertà di tossicodipendenti dissenzienti nelle comunità chiuse di recupero, in quanto il fatto penalmente tipico veniva posto in esser per la salvaguardia del diritto alla salute del soggetto, messo in pericolo dall’eventuale uscita dalla comunità. A giudicare dai repertori giurisprudenziali, le ipotesi in cui è più frequente il richiamo alla norma sono quelli di necessità economica. A ben vedere, da sempre l’attenzione dei giuristi è stata attratta dai casi di imputati che, in condizioni di grave indigenza, avevano commesso qualche reato per la sopravvivenza propria o dei propri familiari. turbamento motivazionale che lo ha spinto al reato è rilevante, pur non riguardando persone a lui vicine, per i valori interni che lo sostengono. Una condotta non lecita ma umanamente comprensibile. 187 Cfr. paragrafo 4 del presente capitolo. 188 PALERMO FABRIS, Diritto alla salute,cit., pag. 205 e ss.. Le questioni suscitano perplessità anche presso la dottrina tedesca: si afferma che quando in ogni caso si tende ad affermare che il dissenso dell’avente diritto escluda la liceità dell’atto. HIPPEL, Die allgemeinen Lehren vom Verbrechen in den Entwürfen, in ZStW 42 (1921) pag. 421; HENKEL, Der Notstand, cit. pag. 117. MEZGER, Die subjektiven Unrechtselemente, cit. pag. 292, citato in VIGANÒ, Stato, cit. pag. 449; ROXIN, Strefrecht, cit. pag. 706. BINDING, Handbuch, cit. pag. 759 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365, dice che per giustificare la violazione sarebbe sufficiente una lieve prevalenza di un dovere sull’altro, perché la cautela richiesta dall’essenziale prevalenza non serve quando il soggetto è comunque costretto a violare una norma dell’ordinamento. 189 Co. Cass. 6 dicembre 1984, Pallini, Cass. pen., 1984, pag. 927; Co. Cass. 21 novembre 1996, Danieli, Cass. pen., 1998, pag. 828; Co. Cass. 11 novembre 1986, Baldassarri, Cass. pen., 1988, pag. 870 37 Sono innumerevoli le sentenze che assolvono ex art. 54 c.p. imputati in condizioni disperate: il danno grave è rapportato alle condizioni minime per la sussistenza della persona, nelle quali si concretizza il valore della dignità umana e sociale ex art. 2 Cost., che lo Stato è chiamato ad assicurare ad ogni cittadino in ottemperanza al dovere di assistenza ai bisognosi ex art. 38 Cost.. La giurisprudenza di merito, quindi, giustifica condotte ritenute necessarie per procurare all’imputato stesso o alla sua famiglia gli indispensabili mezzi di sussistenza190,. Al riguardo va però segnalato che la giurisprudenza di legittimità si mostra assai rigorosa nel circoscrivere l’applicabilità della scriminante a quelle sole ipotesi estreme in cui il bisogno di alimenti, vestiti, medicamenti, si presenti in termini di “assoluta indilazionabilità e cogenza, tali da non lasciare all’agente alternativa diversa dalla violazione della legge”: ipotesi estreme che la Cassazione ravvisa sporadicamente191. I Giudici di merito, invece, concedono con maggior larghezza lo stato di necessità per condotte a basso contenuto lesivo tenute in condizioni di grave disagio economico, aderendo a un’interpretazione elastica dei requisiti di attualità e inevitabilità del pericolo192. La Cassazione, invece, pur nel riconoscimento in linea di principio della tutela di qualsiasi diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione, richiede puntuale e rigorosa verifica dei requisiti della necessità ed inevitabilità della condotta, intesi in senso restrittivo193. Si addita, all’orizzonte, il rischio di una lettura politica della norma194. 190 Ad esempio nel caso di ricettazione commessa da un soggetto clandestinamente fuggito ai territori di guerra del proprio Paese, versante in ‘condizioni obiettivamente disperate’ privo di abitazione, che si era costruito una baracca con materiale di provenienza furtiva, riconosce che il bisogno di migliorare la disumana condizione familiare integra gli estremi richiesti dalla norma. Pret. Lecce, 14 marzo 1994, Petrovic, Riv. pen., 1994, pag. 1036; cfr. anche pret. Avellino, 9 marzo 1994, in Giur. merito 1995, 296, con nota di DEMURO Giustificazione e scusa: evoluzione dottrinale ed analisi comparata. Ovvero scrimina il furto (aggravato) di olive da genitori disoccupati con figli minori gravemente malati: Pret. Nardò, 18 dicembre 1991, Solofra, Riv. pen., 1992, pag. 293. 191 Ciò sulla base della tradizionale considerazione secondo cui “la moderna organizzazione sociale, venendo incontro, con i mezzi più disparati, a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, ha modo di evitare il possibile, irreparabile danno alla persona”, perché “offre ai bisognosi con vari mezzi ed istituti quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di assistenza medica o ospedaliera o di sostentamento”.Co. Cass. 20 maggio 1985, Scalvini; Co. Cass. 9 marzo 1981, Bruschini; Co. Cass. 11 novembre 1986, Caporin, in Riv. pen., 1988, pag. 201. 192 DE FRANCESCO, La proporzione nello stato di necessità, Napoli, 1978. 193 Co. Cass. 7 ottobre 1981, Potenziani; Co. Cass. 24 novembre 1993, Aprea, Cass. pen., 1995, 1534. Co. Cass. sez. I, 81/149970. Si veda anche Co. Cass. sez. I, 95/203245, per cui lo stato di necessità non può essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona. Neustadt NJW 51, 852, citata in SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 673. 194 Un esempio: un cittadino extracomunitario che, spinto dal bisogno di alimentarsi, vende a prezzo ridotto cd contenenti opere musicali o multimediali non contrassegnati dalla Siae. In motivazione si legge che tale azione, formalmente contro legge, è scriminata da uno stato di necessità connesso alla sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna regolamentazione lavorativa, e che la loro attività di venditori ‘abusivi’ è assolutamente necessaria per sopravvivere e proporzionata al pericolo di danno, minimo se non addirittura inesistente, arrecato ai produttori. Il giudice romano, intreccia argomenti di carattere giuridico e sociologico, ponendo accanto alla considerazione che nel bilanciamento di interessi la vita ha un peso maggiore del valore del copyright, anche quella che tiene presente le disperate condizioni di indigenza nelle quali vivono gli immigrati, non certo aiutate dall’inadeguatezza delle leggi vigenti e dall’insufficienza della moderna organizzazione sociale a 38 Molto frequenti sono poi i casi in cui l’imputato allega una necessità abitativa a giustificazione dell’occupazione di un immobile altrui (art. 633 c.p.) o di una contravvenzione in materia edilizia, ma anche in tali casi sono numerose le limitazioni interpretative proposte dalla giurisprudenza. L’esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari della persona195, in conformità dei principi costituzionali che riguardano la persona umana e i diritti a questa inerenti; ma, nel momento in cui si ammette il ricorso alla scriminante con l’estensiva interpretazione del danno grave alla persona, per la tutela di tale diritto, l’indagine giudiziaria diretta a individuarne l’ambito di applicazione deve essere analitica, penetrante e attenta alle esigenze di tutela dei terzi, così da circoscriverne l’applicabilità ai soli casi in cui siano indiscutibili gli altri elementi costitutivi della stessa. Nell’ultimo decennio la giurisprudenza della Corte ha preso le distanze dal più risalente orientamento restrittivo, che sembrava muovere dalla inapplicabilità della scriminante nei casi di necessità abitativa. Non si era fatta applicazione dell’art. 54 c.p. quando il pericolo di restare senza abitazione era evitabile, e cioè quando esisteva la possibilità di soddisfare la necessità attraverso i meccanismi del mercato o dello stato sociale, ovvero quando si era allegata la necessità di sistemare convenientemente la propria famiglia, già abitante in un seminterrato196, né per aver ampliato un fabbricato senza concessione edilizia, motivato dalla circostanza che più persone erano costrette a vivere in un numero insufficiente di vani con pericolo della promiscuità197: la necessità di ottenere un alloggio non rilevava quindi come giustificazione, quando mancava il presupposto di danno grave alla persona198 e se vi sono altre possibilità, prive di disvalore penale, di evitare il danno199. La Corte aveva peraltro già riconosciuto l’esistenza dello stato di necessità in capo a chi “ammalato gravemente, privo di casa e di risorse economiche occupi, nella stagione invernale, un appartamento disabitato per salvare se stesso ed i figli da un grave danno alla salute”200. È stata invece applicata la scriminante “al reato di costruzione senza licenza di un capannone per trasferirvi un piccolo laboratorio di falegnameria con dieci lavoratori, qualora risulti che il laboratorio stesso era destinato alla chiusura perché garantire, ancor prima che il diritto al lavoro, il diritto alla salute e all’integrità fisica.Trib. Roma, 15 febbraio 2001, giud. Francione, imp. Dieng Abou Sanga, in Foro it., 2003, II, pag. 176. La sentenza, considerata ‘abnorme’ sotto il profilo giuridico, anche per la rilevanza data alla consuetudine abrogatrice, ha indotto il Ministro della giustizia ad esercitare l’azione disciplinare, deferendo il giudice al CSM. In definitiva, però, va segnalato che la corte di Cassazione esclude l’applicabilità della scriminante allo stato di bisogno economico, atteso che alle esigenze degli indigenti e dei bisognosi provvede la moderna organizzazione sociale per mezzo degli istituti di assistenza. 195 Co. Cass., sez. II, 19 marzo 2003, n. 24920; Co. Cass., sez. II, 26 settembre 2007, n. 35580, in Gdir 2007, n. 50, pag. 78, con commento di SANTORO, Una doppia occasione di approfondimento che però non produce principi “eclatanti”. Non manca chi attende una pronuncia delle Sezioni Unite che definisca una volta per tutte l’ambito di operatività della scriminante, e che valorizzi l’ultima presa di posizioni della Cassazione a tutela della posizione di chi si trova in stato di bisogno. 196 Co. Cass., sez. III, 17 maggio 1990, Sinatra, in Riv. pen., 1991, pag. 167. 197 Co. Cass., sez. III, 4 dicembre 1987, Iudicello. 198 Co. Cass. sez. VI, 88/180645. 199 Co. Cass., sez. III, 1 dicembre 2000, n.12249, Martinelli E. 200 Co. Cass., 7 aprile 1972, in Mass. pen.,1974, pag. 336. 39 situato in uno scantinato dichiarato inidoneo e pericoloso” 201, ed anche l’occupazione di un appartamento disabitato da parte di coniugi con sei figli costretti ad abbandonare la propria abitazione malsana e fatiscente, non riusciti ad ottenere l’assegnazione di un alloggio popolare ed impossibilitati a prendere in affitto una casa per l’elevatezza dei canoni richiesti, in relazione ai loro redditi202. Da sempre attiene allo studio dello stato di necessità la tematica dai conflitti aventi ad oggetto la vita umana, ossia quando una vita può essere salvata solo a spese di un’altra203, ovvero quando il conflitto coinvolge doveri aventi ad oggetto la vita di più persone204. In tali casi può accadere che la lesione del bene vita avvenga addirittura nella convinzione della giustizia dell’atto205. Si ricorda, in proposito, il caso delle gemelle siamesi peruviane, che in grave pericolo di vita erano state portate in Sicilia. Sarebbero sicuramente morte entrambe senza un’operazione di separazione, che avrebbe sicuramente comportato la morte di almeno una delle due. Si tentò quindi l’intervento a favore di quella delle due sembrava più idonea a sopravvivere. Alla fine morirono entrambe, l’una per le complicazioni post-operatorie, l’altra per una scelta cosciente e volontaria dei medici, che, comunque, non vennero indagati per omicidio. O, ancora, l’ipotesi in cui un medico si trovi di fronte a due pazienti che necessitano urgentemente di cure rianimatorie, ma disponga di una sola macchina cuore-polmoni. O l’ipotesi del padre che, dall’incendio, possa salvare solo uno dei suoi due figli206. In Germania, nel secondo dopoguerra vennero celebrati processi contro i sanitari che avevano partecipato al programma di eutanasia dei malati mentali più gravi 207. Le 201 Pret. Castelfranco Veneto, 3 febbraio 1978, in Giur. mer., 1978, pag. 51. Non è invece invocabile la scriminante per avere agito in qualità di lavoratori dipendenti, cioè perché costretti dalla necessità di non perdere il posto di lavoro. Fattispecie relativa a reati inerenti al trasporto e alla consegna di prodotti petroliferi. Co. Cass., 11 aprile 1984, n. 3161, Landi. 202 Pret. Firenze, 12 gennaio 1986, Trentacosti, in Foro it., 1976, II, pag. 311. 203 Tant’è che in nessun manuale manca l’esempio della zattera di Carneade; si segnala che per risolvere tale conflitto si preferisce per lo più ricorrere alla logica soggettiva di scusa. 204 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 531. A pag. 34, l’Autore ricorda il disastro di Zeebrugge, avvenuto nel 1988: un traghetto stava per affondare con un gran numero di passeggeri a bordo, intrappolati nella stiva. La possibile via di fuga, una scala a pioli che conduceva al ponte superiore, era bloccata da un passeggero che, in preda al panico, pietrificato non si muoveva in alcuna direzione, nonostante i tentativi di convincerlo a spostarsi. Allora il capitano ordinò che fosse spinto in mare; l’uomo annegò, ma un gran numero di passeggeri si poté mettere in salvo attraverso la scala 205 In tali casi non sembra di muoversi in una logica soggettiva di comprensione per l’umana fragilità, ma piuttosto in quella oggettiva della scelta del male minore (la morte di uno per la salvezza di molti). 206 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365. 207 Il programma venne ordinato da Hitler con un’ordinanza segreta del 1939. Gli imputati erano accusati di concorso in assassinio per avere redatto le liste dei malati da inviare nei campi di sterminio, e si difesero affermando di avere collaborato al programma di sterminio per salvare almeno una parte dei malati: se infatti avessero rifiutato la loro collaborazione, l’operazione sarebbe stata compiuta da medici più allineati col regime, che, verosimilmente, avrebbero mandato a morte tutti i malati. La liceità della condotta era sostenibile per il fatto che i soggetti sacrificati erano già esposti ad una condizione di pericolo, e il loro sacrificio era comunque condizione per la salvezza di altre persone anch’esse esposte al pericolo. Tenere fermo il divieto di omicidio significava, in questi casi, optare per la morte di tutti, rinunciando alla salvezza di alcuni. OGHSt. 1, 321, pag. 372; OGHSt. 2, 117, pag. 152, con nota di WELZEL, nota a OGHSt. 1, 321, pag. 375. WELZEL, Zum Notstandproblem, cit., pag. 51 ritiene che 40 sentenze di merito assolsero gli imputati riconoscendo in loro favore uno “stato di necessità sovralegale”, sul presupposto che il rifiuto di collaborare avrebbe potuto comportare l’uccisione di un maggior numero di malati. Rende bene l’idea del tipo di conflitto una ipotesi di scuola: il manovratore di scambi ferroviari che si accorga che un treno merci sta per scontrarsi con un treno passeggeri carico di persone, non potendo arrestare la corsa in tempo utile, decide di deviare il convoglio su di un binari morto su cui, però, stanno lavorando pochi operai che saranno travolti ed uccisi dal treno. Se omettesse di azionare lo scambio, abbandonando i passeggeri del treno al loro destino, agirebbe in maniera scorretta non solo da un punto di vista etico, ma anche da quello giuridico: l’astensione dalla condotta omicida, in quel caso, sarebbe antigiuridica. Eppure, azionando lo scambio, non può sottrarsi alla colpa che nasce dal sacrificio di qualche vita umana. Ognuna delle due alternative appare al tempo stesso doverosa e illecita, e, in linea di massima, il conflitto può venire risolto secondo le seguenti direttrici: quando si trovano in conflitto un obbligo di azione ed uno di omissione aventi ad oggetto la vita umana, prevale l’obbligo di omissione, ma a chi decide comunque di agire non sarà formulabile un rimprovero in termini di colpevolezza. Se invece a collidere sono due doveri di azione e non sia possibile stabilire quale prevalga, l’adempimento di uno sarà sufficiente motivo per la giustificazione dell’inottemperanza all’altro208. Si segnala, poi, l’applicazione della scriminante putativa in occasione di un blocco ferroviario volto ad impedire il transito di convogli carichi di materiali bellici destinati ad operazioni militari in Iraq, a favore dei pacifisti ‘disobbedienti’ pur mancando del tutto la erronea supposizione da parte dell’agente209 Anche in tema di violazioni delle norme della strada è frequente il richiamo allo stato di necessità; tuttavia l’art. 54 non si ritiene invocabile da chi guida senza patente quando non sia stata dimostrata l’assoluta impossibilità di ricorrere a mezzi di trasporto diversi per provvedere all’opera di soccorso210, né si ritiene che l’insorgenza di un pericolo improvviso obblighi il conducente di un veicolo a compiere manovra di emergenza211. La scriminante è invece applicata al medico che abbia violato le norme sui limiti massimi di velocità per accorrere al letto di un ammalato in seguito ad una telefonata della massima urgenza212. Anche nei processi per mafia è spesso invocato lo stato di necessità, ma viene qualunque consociato avrebbe dovuto agire così, mentre EB. SCHMIDT, nota a OGHSt. 1, 321, pag. 568 preferisce risolvere il problema in termini di inesigibilità 208 Per un esame della dottrina tedesca, si rinvia comunque al cap II. 209 Trib. Trento, 16 gennaio 1992, Sichele, in Cass. pen., 1993, 442, con commento di CARCANO Stato di necessità: il pericolo di un danno grave può essere rappresentato da una guerra evitabile ma giusta? Esclude invece, la scriminante putativa sulla base del difetto di attualità del pericolo ed inevitabilità della condotta una sentenza relativa a pacifisti che si erano sdraiati davanti agli ingressi della base missilistica di Comiso per impedire l’installazione dei missili ivi destinatiTrib. Ragusa, 14 aprile 1984, in Foro it., 1985, II, 22 210 Co. Cass., sez. IV, 8 febbraio 1990, n.1702, Giustizia; e Co. Cass. 30 giugno 1988, Fichera, in Cass. pen., 1989, pag. 2254. 211 Co. Cass. sez. IV, 90/186987. 212 Co. Cass. 8 maggio 1968, Nesi, AP 69, II, 282. 41 negato altrettanta frequenza, in quanto l’eventuale dissenso dalle proposte del vertice espone il membro dissenziente dell’organizzazione ad un grave pericolo di vita, ma non rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 54 c.p., poiché tale situazione è stata volontariamente causata dall’accettazione di un ruolo direttivo e deliberativo nel sodalizio criminoso213. La giustificazione viene altresì esclusa per quel soggetto che presti continuativamente la sua opera per la riscossione del ‘pizzo’ perché minacciato214. Ancora, non si ritiene attuale il pericolo per chi compia falsa testimonianza negando di aver ricevuto richieste estorsive da gruppi malavitosi per il timore di eventuali, ancorché prevedibili, reazioni violente in danno proprio o dei propri familiari215. La norma, infine, è invocabile anche a tutela di beni della collettività, ma con numerose precisazioni: il gestore di pubblico impianto di depurazione che non può essere chiuso senza pregiudicare gravemente la vita della collettività, non può invocare l’art. 54 c.p. in relazione al reato di inquinamento se l’irregolare funzionamento sia cagionato dalla negligenza dell’imputato che non abbia adeguatamente provveduto per vari anni ad approntare i mezzi necessari per il buon funzionamento dell’impianto 216. È stata altresì invocata l’inesigibilità del comportamento perché l’autorizzazione per lo stoccaggio dei rifiuti era stata richiesta più volte e non rilasciata per inerzia della P.A.217. 7 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri Lo stato di necessità è stato a volte invocato, sia nell’ordinamento italiano che in quello tedesco, per giustificare condotte di organi pubblici integranti gli estremi di qualche reato, assertivamente compiute per salvaguardare beni di terzi o della collettività in pericolo. Rispetto a queste costellazioni di ipotesi, laddove, come sopra, non sembra potersi invocare la logica della scusa, merita essere verificato se resta da vedere se sia possibile la giustificazione di condotte poste in attuazione di un dovere istituzionale ma in contrasto con singoli divieti della legge penale. Si prendano le mosse da casi realmente avvenuti. 7.1 Il caso Sossi Nel 1974 le Brigate Rosse sequestrarono il magistrato genovese Mario Sossi, e ne minacciarono l’esecuzione se non fossero stati liberati otto imputati affiliati al gruppo XXII ottobre, già condannati in due gradi di giudizio. Il Ministro di allora rifiutò qualunque compromesso, e i brigatisti si rivolsero alla magistratura, invitando i giudici genovesi a non rendersi complici “della volontà criminale del ministro degli interni”218, concedendo quattro giorni per la liberazione dei detenuti. Allora la famiglia di Sossi presentò alla Corte d’Appello una richiesta di libertà provvisoria per i detenuti terroristi, 213 Co. Cass., sez. II, 2 marzo 1995, n. 5291, Graviano. Co. Cass., sez. V, 23 maggio 1997, n. 4903, P.G. in proc. Montalto. 215 Co. Cass., sez. VI, 18 luglio 2001, n.29126, Vitobello ed altri, in Riv. pen., 2001, pag. 930. 216 Co. Cass., sez. III, 26 settembre 1991, Bernabei ed altri, in Giur. pen., 1993, II, pag. 165, m. 158. 217 Pret. Crotone, 14 marzo 1994, in Riv. pen., 1994, pag. 1037. 218 Cfr. la requisitoria del P.g. presso la Co. Cass., 25 maggio 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545. 214 42 quale “mezzo per la liberazione” del proprio congiunto e la Corte accolse l’istanza219, motivandolo con l’esistenza di un grave ed imminente pericolo per la vita dell’ostaggio, e per “l’inderogabile ed indilazionabile necessità di impedirne l’omicidio”, sottolineando che il diniego avrebbe esposto la corte alla “responsabilità morale di facilitarne, se non addirittura di incoraggiarne l’esecuzione, attraverso il mancato uso dei poteri attribuitile dalla legge”220. L’ordinanza concesse la libertà provvisoria e il nullaosta per il rilascio del passaporto ai brigatisti, sotto condizione della garanzia di incolumità e liberazione dell’ostaggio. Il giudice Sossi venne liberato, ma il P.g. di Genova impugnò l’ordinanza di scarcerazione davanti alla Corte di Cassazione, rifiutandosi di darne provvisoria esecuzione a causa dei radicali vizi da cui era affetta e la Cassazione accolse il ricorso221. 7.2 Il caso Dozier In un’altra occasione lo stato di necessità venne invocato nel nostro paese, per legittimare i metodi inquisitori adottati per combattere l’emergenza terroristica. La vicenda, di notevole impatto presso l’opinione pubblica, vide alla fine del 1981 il rapimento del generale americano Dozier da parte delle Brigate Rosse222. All’inizio del 1982 alcuni agenti scelti del NOCS (nucleo operativo centrale sicurezza) fece irruzione nell’appartamento di Padova dove era tenuto prigioniero il generale, e arrestarono i cinque terroristi che lì si trovavano, conducendoli nell’ispettorato di zona e tenendoli in isolamento. Nei tre giorni successivi, ad opera di funzionari della polizia, furono sottoposti ad interrogatori con metodi inquisitori, consistenti in finte fucilazioni, scosse elettriche ai genitali, somministrazione di farmaci di natura non precisata, minacce di violenza sessuale, calci, schiaffi, insulti di vario genere223. Quattro dei cinque arrestati parlarono e le loro informazioni servirono per localizzare un covo terroristico a Milano. Il quinto, Di Lenardo, invece non ‘collaborava’: siccome gli agenti lo ritenevano il comandante del gruppo e lo pensavano in grado di fornire informazioni molto utili alla lotta contro il terrorismo, furono usate maniere ancora più forti, per indurlo a parlare prima che fosse interrogato dal procuratore della Repubblica. Venne perciò bendato, ammanettato e trasportato in un luogo sconosciuto. Qui fu reiteratamente minacciato e nuovamente percosso. Dato il suo persistente rifiuto, fu ricondotto in caserma, dove gli venne fatta ingerire una mistura di acqua e sale e subì ancora percosse che gli causarono la lesione ad un timpano. In corso di causa questo episodio venne provato, sia per il riscontro medico della lesione del timpano, sia per una serie di ammissioni degli agenti che avevano partecipato all’operazione. I legali degli agenti sostennero che la condotta degli imputati 219 Sulla base dell’allora vigente art. 277 c.p.p. che permetteva di concedere la libertà provvisoria all’imputato in custodia preventiva, “anche nei casi di emissione obbligatoria del mandato di cattura”. 220 Co. Ass. App. Genova, 20 maggio 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545. 221 Co. Cass. 17 giugno 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545. il ricorso venne accolto perché la corte genovese di fatto aveva emesso un provvedimento di libertà definitiva, e quindi era un atto avente solo il nome e l’apparenza di un’ordinanza di libertà provvisoria, mentre in sostanza era esercizio di un potere non riconosciuto dall’ordinamento, quindi inesistente e radicalmente ineseguibile. 222 La storia, successivamente, verrà descritta come “uno sceneggiato all’americana, in cui i nostri per i prime tre quarti subiscono, e poi risollevano le sorti della vicenda”. 223 Trib. Padova, 15 luglio 1983, in Foro it., 1984, II, pag. 230 e ss., con nota di PULITANÒ, Inquisizione non soave, tra pretese “necessità” e motivi apprezzabili, e FIANDACA, Sullo sciopero della fame nelle carceri. 43 era da ritenersi scriminata dallo stato di necessità, poiché “si proponevano di ottenere dal Di Lenardo informazioni necessarie per salvare il Paese dal pericolo rappresentato dalle attività criminose poste in essere dalle bande armate; pericolo attuale, perché l’esistenza di queste bande e le loro opere sono fatti tristemente noti e la semplice esistenza di esse costituisce un reato permanente; di un danno grave quindi non ad una persona, ma, nel caso in esame, ad una societas, in un rapporto in cui la proporzionalità del mezzo (nella fattispecie violenza privata) è certamente inferiore al pericolo”224. La tesi venne rigettata dal Tribunale, stante il fatto che “i concetti di Stato di diritto e Stato democratico postulano che anche la lotta contro il terrorismo sia fatta con le armi della legalità” e che “proprio per l’uso di tali armi lo Stato si pone in antitesi con il suo nemico: alla barbarie va contrapposta la civiltà”. Il Tribunale ebbe anche modo di osservare che “le informazioni che si ottengono mediante il ricorso a violenze morali e fisiche nei confronti degli arrestati, sono utili, ma non assolutamente necessarie alla lotta contro il terrorismo; vi sono altri modi legali, più efficaci, per combatterlo, e la storia di questi anni recenti lo ha dimostrato di certo, perché essi si sono rivelati vincenti”. Quindi gli agenti vennero condannati per abuso di autorità contro arrestati e detenuti ex art. 608 c.p. in concorso con violenza privata ex art. 610 c.p. e lesioni personali ex art. 582 c.p. e, essendo loro riconosciuta l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale, le pene irrogate si attestarono attorno all’anno di reclusione, con i benefici di legge. La Cassazione confermò la sentenza. 7.3 Caso Moro Un altro caso problematico fu il sequestro Moro225. È a tutti noto che l’esponente democristiano venne rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978. La sua scorta venne sterminata e lo statista tenuto in stato di sequestro per 55 lunghissimi giorni, mentre i sequestratori emanavano inquietanti comunicati di rivendicazione dell’atto terroristico, chiedendo alle autorità di trattare la liberazione di alcuni prigionieri226 per la salvezza dell’ostaggio227. Alcuni esponenti politici sostennero la doverosità morale di una trattativa con i terroristi228, al fine di salvare la vita all’ostaggio; ma venne rigettato ogni stato di necessità statale che coprisse deviazioni dalla legalità. Nondimeno si tentarono trattative con i sequestratori in forme non ufficiali e con 224 Trib. Padova, 15 luglio 1983, in Foro it., 1984, II, pag. 266. Le vicende legate al sequestro sono ricostruite in I giorni di Moro, in Atlante de la Repubblica, Roma, 2008. 226 Come da comunicato n. 8 delle BR del 24.4.1978; o dall’invito di Moro al Presidente della Repubblica del 4.5.1978. 227 Si veda, in proposito, la lettera inviata dalle prigioni di Moro a Cossiga, allora Ministro dell’Interno: “…la dottrina per la quale il rapimento non deve arrecare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarti, è inammissibile. Tutti gli stati del mondo si sono regolati in modo positivo, tranne Israele e la Germania, ma non per il caso Lorenz….”. 228 Ad esempio Craxi si espresse per la trattativa, indicando i nomi dei terroristi Besuschio e Buonoconto, in condizioni di salute critiche, per una eventuale concessione della grazia; favorevoli alle trattative si dichiararono inizialmente Fanfani e Bartolomei. Tuttavia, alla fine, la maggioranza dei politici si espresse per la linea della fermezza. 225 44 la consapevolezza, da parte dei protagonisti, della loro illiceità229. Ciò nonostante, Moro venne barbaramente trucidato e ritrovato cadavere il 9 maggio successivo. Nella sfida mortale la ragion di stato ha prevalso a caro prezzo. 7.4 Caso Abu Omar Il caso Abu Omar fa riferimento al rapimento e al trasferimento in Egitto dell’Imam di una moschea milanese, avvenuto il 17 febbraio 2003 a Milano, ad opera di agenti della CIA, con il supporto dei servizi segreti italiani. Secondo quanto dichiarato dall’interessato, dopo il rapimento sarebbe stato condotto presso la base di Aviano e poi trasferito in Egitto, dove sarebbe stato interrogato e avrebbe subito sevizie e torture. La cattura di Abu Omar rientra nelle c.d. extraordinary rendition, prassi pubblicistica di significativa importanza negli USA, e nei paesi Alleati, dopo l’11 settembre. Ciò che rileva, è che l’intelligence italiana avrebbe collaborato al sequestro dell’Imam, finalizzato ad una forma illegale di rendition, con attività finalizzata a garantire la sicurezza pubblica. Le condanne di agenti statunitensi e italiani emanate nel 2009 per coinvolgimento nel rapimento di Usama Mostafa Hassan Nasr (appunto conosciuto come Abu Omar) sono state confermate dalla Corte di Appello di Milano230. In particolare, la Corte ha confermato le condanne di 25 persone, tra cui 22 agenti della Cia, un ufficiale militare statunitense e due agenti dei servizi segreti italiani, aumentando lievemente le pene inflitte. Si tratta, nel panorama internazionale, della prima condanna per violazione dei diritti umani: nei confronti dei cittadini statunitensi e italiani sono state emanate condanne sino a 9 anni di detenzione per i reati di rapimento e favoreggiamento. Tuttavia la Corte d'Appello ha anche confermato il non luogo a procedere verso cinque funzionari dell'agenzia di intelligence militare italiana (allora chiamata SISMI - Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), compreso il suo direttore dell'epoca Niccolò Pollari, e il suo vice Marco Mancini231. In tale fattispecie, dunque, dove in ipotesi poteva esserci spazio per una verifica dell’applicabilità della norma sullo stato di necessità, non è stata risolta in questo senso, ma con riferimento ad una pregiudiziale di rito e il non luogo a procedere per esistenza del segreto di stato232. Il caso qui in esame è quindi l’emblema del ruolo che la necessità ha assunto nella legislazione speciale. 229 Ad esempio da parte dei collaboratori più stretti di Moro, e dalla famiglia dello stesso. Sent. Co. App. Milano, 15.12.2010. nella sentenza a carico dei 23 agenti della Cia c'è inoltre il risarcimento di un milione e mezzo di euro per l'ex Imam Abu Omar e per sua moglie. 231 Il Tribunale di primo grado aveva emesso il giudizio di non luogo a procedere a causa del segreto di stato che aveva impedito l'utilizzo di prove importanti nel processo. Tale statuizione è oggetto di autonoma impugnativa in appello. 232 Sullo sfondo del caso abu Omar si segnalano numerosi conflitti di poteri per l’opposizione del segreto di stato, suggellati nella sentenza della corte Costituzionale n. 106 del 2009. si veda PILI, Il segreto di stato nel caso Abu Omar ed equilibrismi di sistema, in www.forumcostituzionale.it, 27.1.2010. In proposito si rinvia, dunque, alle considerazioni che verranno svolte nel capitolo VI del presente lavoro a proposito del ruolo della necessità nella legislazione speciale. 230 45 7.5 La risposta nell’ordinamento italiano È di particolare interesse la questione del rapporto tra lo stato di necessità e le attività già giuridicamente disciplinate nella loro portata e limiti da specifiche norme di legge o sulla base dei principi generali dell’ordinamento233. Nei casi prospettati si poteva teorizzare che gli compiuti in speciali circostanze, anche se non coperto da norme autorizzative di diritto pubblico, fossero resi leciti dallo stato di necessità, che veniva ad essere la fonte di poteri eccezionali in capo agli organi pubblici, di fronte a pericoli che richiedevano una risposta immediata e flessibile. Quando l’organizzazione terroristica minaccia personaggi di spicco del potere politico od economico di uno Stato, questo è istintivamente condotto a difendersi con ogni mezzo, e non stupisce che l’opinione pubblica ne sostenga l’operato. Nel nostro Paese la linea di condotta ufficiale si ispirò, invece, al rifiuto di ogni trattativa con i terroristi234. In realtà le trattative, che pure non mancarono, si svolsero sempre in segreto e con la consapevolezza, da parte degli esponenti politici che le posero in essere, della loro illegittimità. Allo stato di necessità si richiamò, implicitamente, la Corte d’Appello di Genova per il caso Sossi ed, espressamente, la difesa degli agenti dei NOCS che avevano liberato Dozier. Ma le decisioni definitive sconfessarono la pertinenza del richiamo alla scriminante. Fuori dalle aule dei Tribunali, lo stato di necessità venne invocato dallo stesso Moro, dalla prigionia, per invocare lo scambio politico di prigionieri. Ma rimase un appello inascoltato. Rispetto all’ipotesi di uno scambio di prigionieri, autorizzato in presenza del pericolo attuale e non altrimenti evitabile per la vita dell’ostaggio, si sarebbe qualificata in termini di oggettiva liceità la condotta dei magistrati genovesi che avevano concesso la libertà provvisoria235; rispetto al secondo caso, invece, si sarebbe qualificata come lecita un tipo di inquisizione “non soave”. Prima di procedere nell’analisi, quindi, è utile sottolineare una ulteriore differenziazione tra le due categorie di ipotesi: da un lato, lo stato di necessità potrebbe venire invocato come norma fondante poteri in capo all’amministrazione pubblica per rispondere a situazioni eccezionali, con compressione dei diritti fondamentali dell’individuo; dall’altro può venire invocato con lo scopo opposto di potenziamento straordinario dei diritti del singolo (come per il caso della concessione di qualche beneficio altrimenti non conferibile). In prima battuta, quindi, può affermarsi che non vi sia spazio alcuno, nell’ordinamento, per uno stato di necessità scriminante nelle ipotesi di inquisizione non soave; mentre residua la possibilità di scriminare la condotta dei pubblici poteri se dettata da ragioni umanitarie in caso di concessioni a richieste di terroristi236. Tant’è che si vocifera, come detto, che, superata l’idea di fermezza dello stato di fronte alle pretese di terroristi, oggi la linea di condotta non ufficiale sia quella della trattativa, anche se 233 Ne accenna anche BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, , in Cass. pen., 2000, 6, 1832. Come nel caso Moro 235 Similmente a quanto avvenne in Germania per il riconoscimento della liceità dei provvedimenti che avevano condotto a buon esito la vicenda Lorenz; vicenda peraltro ricordata dallo stesso Moro nelle lettere del sequestro. 236 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 45 e FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 272. 234 46 nelle vicende recenti i comunicati ufficiali escludono sempre qualsiasi concessione alle richieste dei terroristi237. Di recente, e con riferimento al periodo delle stragi di mafia, è assurta agli onori della cronaca la c.d. trattativa stato-mafia, in esito alla quale, nel periodo stragista, lo Stato avrebbe consentito alcune mitigazioni del carcere duro per i soggetti imputati di reati di matrice mafiosa, in cambio di una tregua sul fronte degli attacchi alle istituzioni. Tali vicende sono oggetto, oggi, di verifica giudiziaria. Tuttavia, se prima dell’undici settembre era facile dichiararsi a favore del rispetto assoluto del principio di legalità e delle garanzie individuali dell’imputato, di fronte ad un pericolo gravissimo per l’intera società, rappresentato dall’emergenza terroristica, oggi una risposta così diventa, se non obsoleta, quanto meno sofferta. E il dilemma, se restare ancorati alle garanzie della legalità formale o perseguire l’obiettivo di una lotta efficace costi quel che costi, si ripropone in tutta la sua drammaticità. 237 Di trattative non ufficiali, come già detto, si è parlato anche di recente con riferimento ai rapimenti di cooperanti italiani o turisti nelle zone del medio oriente, a seguito della liberazione, di volta in volta, degli ostaggi, con modalità non chiare. Sembra infatti che, a fronte di una linea ufficiale di fermezza, in realtà il Governo italiano più di una volta abbia pagato un riscatto per il rilascio degli ostaggi. Come potrebbe essere avvenuto, ad esempio, nel caso di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica che venne rapito a Kandahar, in Afghanistan, il 5 marzo del 2007, per essere poi liberato quattordici giorni dopo, il 19 marzo, al termine di una complessa trattativa; o come sembra essere avvenuto per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena in Iraq. Tuttavia tali vicende, per gli aspetti rilevanti nel presente lavoro, non sono approdate nelle aule giudiziarie e, pertanto, si dubita che verrà l’occasione di fare chiarezza. 47 48 CAPITOLO SECONDO Profili comparatistici in tema di stato di necessità 1 Le norme del codice penale tedesco ................................................................... 49 1.1 Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali giustificante e scusante ........................................................................................... 49 1.2 Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand ............... 53 1.3 Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende Notstand .............. 59 1.4 Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni pratiche ..... 65 1.5 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri ............................................ 70 1.6 Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904 BGB ..... 73 2 Lo stato di necessità in altri ordinamenti ............................................................ 76 2.1 In Austria e Svizzera................................................................................... 76 2.2 In Norvegia ................................................................................................. 76 2.3 In Spagna .................................................................................................... 77 2.4 In Portogallo ............................................................................................... 78 2.5 In Francia .................................................................................................... 78 2.6 In Gran Bretagna e negli Stati Uniti ........................................................... 79 2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale ....................... 80 1 Le norme del codice penale tedesco Sotto il profilo comparatistico, questo capitolo verrà dedicata maggiore attenzione all’ordinamento tedesco: comune è il retroterra di cultura giuridica, affini sono i percorsi battuti dalla dottrina, anche se differenti ne sono gli esiti. Inoltre lì fervono riflessioni sulla teoria tripartita del reato e, per la parte che qui più interessa, sulla natura delle cause di non punibilità. 1.1 Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali giustificante e scusante Come già accennato, l’idea di una trattazione differenziata delle ipotesi di necessità risale a Berner un filosofo di scuola posthegeliana: al momento dell’emanazione del primo codice nazionale tedesco, infatti, la dottrina tedesca aveva già chiaramente differenziato le ipotesi di necessità giustificante da quelle di necessità scusante. Ciò nonostante, il Reich238 rimase allineato agli insegnamenti giusnaturalistici 238 BARATTA, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza (Contributo alla filosofia e alla critica del diritto penale), Milano, 1962, pag. 36, delinea il quadro della società tedesca di fine Ottocento: “il Reich di Bismark del 1871 era fondato su un equilibrio elastico tra la nobiltà feudale prussiana e la grossa borghesia liberale; … ma questo equilibrio non aveva una consistenza reale ed era basato piuttosto sulla Realpolitik del Cancelliere; … accanto al conservatorismo degli Junker, v’era l’altro conservatorismo separatista e cattolico; … al di sotto delle classi dominanti, il proletariato veniva assumendo sempre più coscienza e forza politica…Dalla caduta del Bismark la politica del governo fu costretta a basarsi su questo più vasto equilibrio di forze sociali, …ma la crisi mondiale del ‘14-’18 e i moti del 1918 mostrarono che il proletariato tedesco non era in grado di prendere il potere. Mentre il codice civile tedesco del 1901 non potè non tener conto dell’equilibrio politico post-bismarkiano e delle esigenze tecniche di un paese entrato in pieno nell’epoca sociale, ben più grande era la distanza che separava il codice penale tedesco dallo spirito dell’epoca sociale…questo codice chiudeva un’epoca ma non ne 49 dell’esclusione dell’imputazione soggettiva239: anche in questa norma, come in quelle dei codici preunitari italiani, la coazione assoluta derivante da una forza irresistibile e quella relativa identificabile nello stato di necessità rientravano in una previsione unitaria che ne stemperava le differenze, (differenza basata solo sulla diversa fonte del pericolo, azione umana nel caso di specie e evento naturale nella norma generale). La dottrina contemporanea non risparmiò critiche ai compilatori,240 ritenendo la norma inidonea a comprendere i casi, già noti, di autentici diritti di necessità241. Nella dottrina di fine Ottocento l’idea della trattazione differenziata tornò in ombra: si preferì una soluzione unitaria per spiegare il fondamento dell’esimente, scorgendo nell’azione necessitata un’azione semplicemente non vietata dall’ordinamento. Ma tale ricostruzione non suscitò particolari consensi e ben presto si recuperò la trattazione differenziata242 e con l’inizio del nuovo secolo l’anima oggettiva dello stato di necessità venne consacrata nel codice civile, ai paragrafi 228 e 904, che ancora oggi vanno letti per completare la disciplina dello stato di necessità, mentre nel apriva una nuova”. Per una recensione del fondamentale testo di Baratta, si veda CALVI, Recensione a END, Existentielle Handlungen im Strafrecht: die Pflichtkollisionen im Lichte der Philosophie von Karl Jasper, München, 1959, e in Riv. it. dir. e proc. pen, 1963, pag. 539. 239 Il testo del § 54 evitava riferimenti all’esistenza di un diritto in capo all’agente e ad un bilanciamento tra beni, e si limitava a statuire che “non sussiste un’azione punibile se l’azione, fuori del caso di legittima difesa, è stata commessa in uno stato di necessità incolpevole e non altrimenti evitabile per salvare da un pericolo attuale il corpo o la vita dell’agente o di un suo congiunto”. La continuità con l’ottica tradizionale dell’influsso del turbamento motivazionale era d’altro canto corroborata anche dalla limitazione dei possibili beneficiari del soccorso ai congiunti dell’agente; tale continuità risultava ancora più chiaramente nella formulazione del § 52, considerato un caso particolare di stato di necessità: “non sussiste un’azione punibile, qualora l’agente sia stato costretto ad agire a causa di una forza irresistibile o a causa di una minaccia connessa con un pericolo attuale, non altrimenti evitabile, per il corpo o la vita propria o di un congiunto”. Al comma 2 si dà la definizione della parentela rilevante per il diritto penale: “si considerano congiunti, agli effetti di questa legge penale, i parenti e gli affini in linea ascendente e discendente, i genitori adottivi e gli sposi che curano l’allevamento di un minore, i figli adottivi e i minori assistiti, i coniugi e i loro fratelli e sorelle, i fratelli, le sorelle e i loro coniugi, e i fidanzati”. 240 BERNER, Lehrbuch, 14. Auflage, pag. 101, appunta le sue critiche da un lato censurando la trattazione separata della coazione morale, che come mera sottospecie non meritava previsione separata, dall’altro criticando la ristrettezza dello stesso § 54, che escludeva dal soccorso soggetti diversi dai congiunti dell'agente. Venne criticata anche la limitazione alla salvaguardia di vita e integrità fisica, perché la formula veniva così ad escludere azioni dirette a tutela di altri beni importantissimi, quali onore e proprietà. 241 BINDING, Handbuch des Strafrechts, vol. I, Leipzig, 1885, pag. 771. 242 MERKEL, Die Kollision rechtmaessiger Interessen und die Schadenersatzpflicht bei rechtmaessigen Handlungen, 1859. L’opera dell’autore, un civilista, prendeva le mosse dalla definizione dello stato di necessità come conflitto tra due interessi, riconosciuti e tutelati dall’ordinamento, uno dei quali può essere salvaguardato solo a spese dell’altro. Affermava che la sede per dare composizione di tali conflitti era, però, non il diritto penale, ma quello civile: in questo ramo dell’ordinamento il principio regolatore è quello dell’interesse prevalente, valutato dal punto di vista dell’intera società. L’azione volta a tutela di tale interesse sarà lecita, e lo sarà alla stregua dell’intero ordinamento: il che porta ad escludere una sanzione anche se la condotta integra una fattispecie penale e non può rientrare negli angusti limiti dei §§ 52 e 54. La sanzione non è irrogabile perché la legge penale presuppone, non fonda l’antigiuridicità della condotta. L’applicazione delle due norme penali rimane invece integra per i casi in cui i due interessi siano equivalenti: subentrano argomenti di diverso tipo a fondare l’opportunità di non punire in queste ipotesi. Infatti non si ha a che fare col principio oggettivo dell’interesse prevalente, ma con considerazioni squisitamente soggettive, che attribuiscono rilevanza scusante all’anormale motivazione dell’agente. 50 codice penale rimaneva l’ipotesi scusante243. Ben presto ci si rese conto che il principio dell’interesse prevalente poteva essere applicato anche oltre le ipotesi codificate nel BGB, riconoscendo che quelle scriminanti nient’altro erano se non il precipitato normativo del principio generale dell’interesse prevalente: lo schema del conflitto di interessi calzava a pennello per molte delle ipotesi problematiche all’attenzione della dottrina, e venne pertanto utilizzato non solo per classificare le cause di giustificazione esistenti, ma anche per colmare le lacune del diritto rispetto alle ipotesi di esclusione dell’antigiuridicità di una condotta tipica, con la creazione di una categoria di giustificanti non codificate e operative quale diritto vivente. Fu con una storica sentenza del Reichsgericht244 che nel 1927 venne riconosciuto uno stato di necessità giustificante sovralegale245. Il richiamo era ad una necessità diversa da quella consegnata dalla tradizione giusnaturalistica, concretantesi in una situazione di conflitto tra due beni giuridici, risolvibile secondo criteri razionali anche da un soggetto estraneo alla situazione di pericolo ed al turbamento motivazionale che ne scaturisce. L’antigiuridicità della condotta venne perciò esclusa col richiamo al diritto non scritto, ricorrendo ai principi generali immanenti all’ordinamento giuridico e, in particolare, al principio del bilanciamento dei beni e degli interessi, così formulato: “nelle situazioni in cui un’azione conforme ad una fattispecie di reato costituisce il solo mezzo per tutelare un bene giuridico o per adempiere un dovere posto o riconosciuto dall'ordinamento, la questione se l’azione sia lecita, non vietata o illecita deve essere risolta sulla base del rapporto di valore, da ricavarsi dal diritto vigente, tra i beni giuridici o i valori in conflitto” (nella fattispecie 243 FRANK, Das Strafgesetzbuch fuer das Deutsche Reich, Tuebingen, 1931 e GOLDSCHMIDT, Normativer Schuldbegriff, Berlin, in Festgabe fuer Frank, Tuebingen, 1930, pag. 428 e ss.; GOLDSCHMIDT, Der Notstand, ein Schuldproblem,1913. Tali Autori danno un notevole conributo alla costruzione di una categoria di cause di esclusione della colpevolezza. VIGANÒ, Stato, cit., pag. 73 nota che la riflessione sullo stato di necessità ebbe un enorme rilievo storico nella costruzione dogmatica delle categorie di antigiuridicità e colpevolezza: infatti entrambi i principi furono elaborati a partire dai modelli rappresentati dalle due anime dello stato di necessità, l’una espressione del criterio dell’interesse prevalente, l’altra dell’elemento normativo della colpevolezza. 244 RG 61 (1927), 242. Viene a questa sempre accostata anche la sent. RG 62 (1927), 137. La fattispecie concreta da cui scaturì la pronuncia coinvolgeva un medico che aveva effettuato un aborto terapeutico su una gestante che aveva manifestato propositi suicidi nel caso di proseguimento della gravidanza. Il valore ‘epocale’ di questa sentenza non stava nel riconoscimento dell’interruzione di gravidanza per prescrizioni mediche, già assolutamente usuale nella prassi, ma nel fatto che per un caso dubbio di aborto terapeutico si faceva discendere la non punibilità da un principio generale giustificante condotte tipiche. Nel caso di specie, come specificato dalla Corte, non era invocabile il § 54 StGB, perché presupponeva un pericolo per l’integrità fisica o la vita dell’agente o di un suo congiunto, e non era pertanto applicabile al medico che salvasse una paziente a lui estranea; né si poteva far ricorso alle norme del BGB, in cui erano considerati solo lesioni di beni patrimoniali. In sintesi, la sentenza stabilisce i seguenti punti: 1) configurabilità di uno stato di necessità sovralegale desumibile dai principi generali dell’ordinamento giuridico, accanto alla figura legale dei §§ 52 e 54 StGB; 2) Possibilità di una doppia soluzione dei conflitti: in primo luogo con esclusione dell’antigiuridicità della condotta e, se ciò non è possibile, solo in seconda battuta col ricorso all’esclusione della colpevolezza; 3) Fondamento dell’esclusione dell’antigiuridicità è il principio del bilanciamento di interessi; quello dell’esclusione della colpevolezza è autonomo rispetto al primo e radicato nella situazione di conflitto motivazionale in cui versa l’agente. 245 Cfr. WACHIINGER, Der uebergesetzliche Notstand nach der neuesten Rechtsprechung des Reichsgerichtes, Leipzig, in Festgabe fuer R.Frank, I, pag. 469. 51 era evidente la prevalenza della vita della madre su quella del nascituro, e ciò era sufficiente a scriminare il medico che aveva praticato un aborto per tutelare la vita della donna). La maggior parte della dottrina tedesca salutò la sentenza con entusiasmo246, anche per la forza espansiva e la duttilità che dimostrava quanto in essa enunciato: la nuova scriminante non esauriva il suo significato nella giustificazione dell’aborto terapeutico e venne applicata a tutto campo247, così che la citata sentenza ebbe notevole influenza sul legislatore del 1975. Venne ad esempio richiamata in casi politici, per giustificare, durante l’occupazione francese della Ruhr, il contrabbando di merci per il mantenimento dell’economia della regione248 e l’uccisione di supposti traditori di organizzazioni partigiane di resistenza contro l’occupazione straniera249. Trovò frequente applicazione anche in ambito economico: nei casi di sottrazione di benzina all’esercito per bisogni civili250; per non punire la violazione di prescrizioni valutarie finalizzate al mantenimento della liquidità in una banca251 ed altre irregolarità commesse per preservare dei posti di lavoro252. Ancora venne invocata per scriminare una vasta gamma di illeciti da circolazione stradale: ad esempio l’abbandono del luogo dell’incidente da parte del guidatore per evitare di essere bastonato dalla folla inferocita253; o per consentire al medico di superare i limiti massimi di velocità mentre, in lotta contro il tempo, corre a prestare soccorso ad un paziente254. Trovò applicazione anche per la rivelazione di segreti professionali, come nel caso del medico che divulgò notizie sullo stato di salute di un suo assistito per evitare il contagio di altri suoi pazienti255. Infine innumerevoli sentenze la richiamarono nell’ambito della vita familiare, ad esempio per spiegare la necessità di privare della libertà personale un malato di mente nei momenti di eccessi furiosi256. Sul versante della logica di scusa, invece, la ricerca di principio generale oltre i casi previsti dal codice penale, non ebbe la stessa fortuna, pur nel riconoscimento che i casi contemplati nei §§ 52 e 54 non esaurivano la gamma delle condotte non 246 Per riferimenti alle discussioni scaturite dalla sentenza si veda BARATTA, Antinomie, cit., pag. 18. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 360. 248 RG, 62, 35, (46 f.): è in questa sentenza che per la prima volta venne utilizzata la denominazione di stato ‘stato di necessità (giustificante) sovralegale’ (übergesetzlicher Notstand); la fattispecie contemplava un caso di importazione abusiva di acquavite in un ristorante della Ruhr occupata dai francesi, dove le disposizioni della forza occupante rendevano insopportabile l’attenersi alla legge sul monopolio, la cui osservanza si sarebbe tradotta nella chiusura dell’esercizio. 249 RG, 63, 215, (224), e 61, 101, (104), c.d. “Fememord-Urteile”. Tali sentenze, pur cassando la sentenza assolutoria nel caso specifico, non escludono la possibilità di uno ‘stato di necessità nazionale’ nel caso in cui l’uccisione del traditore si presentasse richiesta dalla necessità di non compromettere l’interesse della difesa del territorio nazionale. venne invece negata per la giustificazione del diritto di autodeterminazione dei sudtirolesi BGH NJW 1966, 310 (312). 250 RG 77, 113 (115f.). 251 BGH GA 1956, 382. 252 OLG Hamm NJW 1952, 838 e BayObLG NJW 1953, 1603. 253 BGH VRS 36, 24. 254 OLG Düsserldorf NJW 1970, 674. 255 RG 38, 62 (64). 256 BGH 13, 197, (201). 247 52 rimproverabili257. Una costruzione convincente individuò le circostanze incidenti sulla normalità della motivazione258, come requisito ulteriore rispetto a dolo, colpa e imputabilità, ma l’operatività di tale principio generale di scusa venne limitata alla responsabilità colposa. Il superamento della limitazione avvenne ben presto, con la scoperta del criterio dell’inesigibilità di una condotta conforme al diritto: un correttivo alla rigidità della responsabilità penale per i casi in cui fosse possibile affermare che quell’agente, in quelle circostanze, umanamente non avrebbe potuto agire diversamente da come aveva agito, per cui non era moralmente possibile pretendere un comportamento diverso259. Presto il parametro venne ad essere l’uomo medio260: in quest’ottica appariva assolutamente ingiusto punire una persona per un’azione che, probabilmente, sarebbe stata compiuta da qualsiasi cittadino normale, e, non ultimo, anche dal giudice del caso. Nonostante le travagliate vicende politiche del Secondo conflitto mondiale, negli anni ’60 poteva dirsi definitivamente assodato il dato giuridico della coesistenza di due anime nello stato di necessità e definitivamente superato il dogma del trattamento unitario261. Si riconoscevano, cioè, uno stato di necessità giustificante, solo in parte positivizzato nei §§ 228 e 904 BGB, e integrato per i restanti casi in via giurisprudenziale; uno scusante, regolato dai §§ 52 e 54 StGB, non suscettibile di interpretazioni al di là dei casi legislativamente regolati. 1.2 Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand I compilatori del codice del 1975 ridisegnarono la materia ex novo, scrivendo due norme separate, per la salvaguardia di beni differenti, con limiti e requisiti diversi, ed esplicitandone l’inquadramento dogmatico dell’una nell’ambito delle giustificanti, dell’altra nelle scusanti262. Questa impostazione rappresentò il definitivo trionfo della 257 Ricorrevano il caso del cocchiere che, per il timore di licenziamento, su ordine del padrone aveva fatto trainare la carrozza da un cavallo ombroso, che si era imbizzarrito ferendo un passante; del marito che, informato dei gravi rischi per la vita della moglie in caso di gravidanza, non si era astenuto dai rapporti sessuali con la donna, cagionando la gestazione che ne provocò la morte; del padre che aveva omesso di portare la figlia in ospedale, non impedendone, così, la morte, per rispettare una promessa fatta alla moglie morente di non ricoverare mai la figlia. Tali fattispecie si collocavano al di fuori dagli angusti confini delle suddette norme, ma nondimeno ai giudici parve iniquo sanzionare tali comportamenti, anche se non riuscirono a motivare in modo convincente l’assoluzione degli imputati. 258 FRANK, Ueber den Aufbau des Schuldbegriff, 1907, citato in VIGANÒ, Stato, cit., pag. 80. 259 FREUDENTHAL, Schuld und Vorwurf im geltenden Strafrecht, 1922, citato in VIGANÒ, Stato, cit., pag. 83; FREUDENTHAL, Strafrechtliche Abhandlungen, 1896, vol. I.. 260 LISZT-SCHMIDT, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, XXIII Auflage, Berlin und Leipzig, 1932, pag. 199 e 285 261 AA.VV., Digesto penale, 1997, pag. 674. 262 A titolo informativo, si riportano anche le norme del codice penale della DDR. Nella Repubblica Democratica Tedesca, la disciplina dello stato di necessità era regolata dai §§ 18 e 19. Questo il testo tradotto: § 18: “(1) Chi pregiudica diritti o interessi di terzi allo scopo di sviare da sé o da altri o dall’ordinamento dello Stato un pericolo attuale non altrimenti evitabile, non commette reato se la sua azione è in adeguato rapporto con il tipo e il grado del pericolo. (2) La responsabilità penale è ridotta se chi agisce si trova incolpevolmente in uno stato di violenta agitazione o di grande disperazione a causa di un pericolo attuale per la vita o l’incolumità propria o altrui, non altrimenti evitabile, e cerca di sviare tale pericolo con un attacco alla vita o all’incolumità di altre persone. La pena può essere ridotta secondo i principi sulla diminuzione eccezionale della pena conformemente all’entità della situazione di pericolo, allo stato psichico di costrizione dell’agente e alla gravità del fatto commesso. In casi di 53 Differenzierungstheorie nell’ordinamento tedesco263: l’attuale parte generale264 del codice penale contempla due ipotesi denominate stato di necessità giustificante (§ 34) e scusante (§35)265, integrate, come si vedrà, dalle norme civili266. Il § 34 StGB regola così lo stato di necessità giustificante: “Chi commette un fatto per allontanare da sé o altri un pericolo attuale e non altrimenti evitabile per la vita, l’integrità fisica, la libertà, l’onore, la proprietà o un altro bene giuridico non agisce antigiuridicamente se nel bilanciamento tra gli interessi in conflitto, ovvero tra i beni giuridici offesi ed il grado del pericolo che li minaccia, l’interesse protetto prevale in modo essenziale su quello leso. Ciò peraltro vale solo in quanto il fatto rappresenti un mezzo adeguato ad evitare il pericolo”267. Come già detto, tale formulazione non ha antecedente nel precedente codice del 1871, essendo il punto di approdo dell’evoluzione giurisprudenziale. eccezionale gravità di tale situazione di pericolo si può prescindere dalle misure della responsabilità penale”. Si trova nel comma 1 un’ipotesi di esenzione totale dalla pena, fondata sulla proporzione tra gli interessi confliggenti; al co. 2, invece la sola diminuzione della pena, commisurata all’entità del turbamento motivazionale dell’agente; tale diminuzione può anche portare all’esenzione dalla pena in casi di eccezionale gravità. È qui rappresentato uno stato di necessità che non può definirsi scusante, perché non esclude un rimprovero all’agente, ma semplicemente diminuente la responsabilità penale per la condotta. Così, poi al § 19: “(1) Chi è costretto da altri a commettere il fatto con violenza irresistibile o con minaccia di un pericolo attuale, non altrimenti evitabile, per la vita o l’incolumità propria o altrui non commette reato. Il danno che ne deriva per altre persone o per la società deve essere in relazione con il pericolo incombente. La vita di altre persone non deve essere messa in pericolo. (2) Chi oltrepassa i limiti dello stato di costrizione è responsabile penalmente. La pena può essere ridotta conformemente ai principi sulla diminuzione eccezionale della pena se l’agente è stato posto con violenza in un grave stato psichico di coazione.” Anche qui, un po’ confusamente, l’ipotesi sembra essere giustificante, salva la sola diminuzione della responsabilità nel caso di eccesso colposo, sempre configurabile quando si mette in pericolo il bene sommo dell’altrui vita. Infine il § 20 detta un’apposita disciplina per i conflitti di doveri, delineando un soccorso di necessità chiaramente giustificante se in adempimento di un dovere, tranne che per il caso di volontaria causazione del pericolo: “(1) Chi nell’esercizio del proprio dovere, dopo un esame coscientemente responsabile della situazione, si decide a commettere una violazione del dovere stesso al fine di impedire, attraverso l’adempimento di altri doveri, che si verifichi un danno maggiore per altre persone o per la società, non altrimenti evitabile, agisce in modo giustificato e non commette reato. (2) Se l’agente stesso ha provocato colpevolmente i pericoli contro cui agisce, questa disposizione non trova applicazione”. 263 LENCKNER, Der rechtfertigende Notstand, Tuebingen, 1965, pag. 7, afferma che differenti sono le ragioni della non punibilità dell’alpinista che forza la porta di una baita per ripararsi dall’improvvisa bufera di neve, da quelle del naufrago che tramortisce il compagno perché la tavola di legno cui sono aggrappati può sopportare il peso di un solo uomo, perché “mentre nel primo caso non può essere pronunciato alcun giudizio negativo sul fatto, nel secondo non sussiste alcun ‘diritto’ di compiere il fatto; il fatto è, anzi, giuridicamente disapprovato e l’agente può soltanto essere scusato dall’ordinamento, che rinunzia ad elevare il rimprovero di colpevolezza in considerazione dell’humana fragilitas”. 264 Precisamente: parte generale, sezione II (il fatto), titolo IV (difesa legittima e stato di necessità) dello StGB. 265 Cfr., AA.VV., Digesto penale, 1997, alla voce “Stato di necessità”, pag. 670 ss. 266 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 359. 267 Codice penale tedesco, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1994. Questo il testo tedesco del § 34 StGB “Rechtfertigender Notstand. Wer in einer gegenwaertigen, nichts anders abwendbaren Gefahr fuer Leben, Leib, Freiheit, Ehre, Eigentum oder ein anderes Rechtsgut eine Tat begeht, um die Gefahr von sich oder einem anderen abzuwenden, handelt nicht rechtswidrig, wenn bei Abwaegung der wiederstreitenden Interessen, namentlich der betroffenen Rechtsgueter und der Grades der ihnen drohenden Gefahren, das geschuetze Interesse das beeintraechtigte wesentlich ueberwiegt. Dies gilt jedoch nur, soweit die Tat ein angemessenes Mittel ist, die Gefahr abzuwenden”. 54 Peraltro sono, già di primo acchito, evidenti le somiglianze con la norma italiana: entrambi gli istituti richiamano l’attualità del pericolo, la sua inevitabilità altrimenti e contengono una clausola di proporzionalità tra fatto e pericolo. Altrettanto palesi sono, però, le differenze: la norma tedesca considera conflitti di beni giuridici di qualsiasi natura e non limita, quindi, il danno “alla persona”; fa esplicito riferimento al bilanciamento degli interessi in conflitto, richiedendo l’”essenziale prevalenza” dell’interesse salvaguardato su quello sacrificato268; infine esplicitamente esclude l’antigiuridicità del fatto, qualificando espressamente la causa di non punibilità come una giustificante. Si è già detto dell’evoluzione storica e dell’inquadramento normativo dell’istituto e, quindi, non resta che completare l’analisi dei requisiti richiesti dal legislatore. Il primo presupposto per l’applicazione della scriminante è rappresentato dal pericolo attuale per un bene giuridico dell’autore. Un pericolo incombe, quando una lesione minaccia il bene, cosicché il verificarsi del danno sembra di prossima verificazione. Non è necessario che l’evento sia assolutamente certo, ma è sufficiente che sia solo probabile269: la situazione di pericolo va valutata ex ante, dal punto di vista di un attento osservatore esterno, e si hanno gli estremi per la giustificazione quando, da quel punto di vista, il pericolo appare certo o altamente probabile270. Il danno è probabile, quando c’è la preoccupazione che si realizzi, e lo sviluppo naturale degli eventi fa presagire un’intensificazione del danno271, anche se non immediata. Il pericolo è da considerare attuale sia quando è presente al momento della condotta, sia quando è imminente, tanto da far considerare ragionevolmente necessaria l’utilizzazione di strumenti difensivi272. Tuttavia non è chiara la ‘quantità’ di pericolo necessaria perché si possa invocare il § 34273. Per qualcuno è attuale anche il pericolo perdurante, come per il caso ‘Spanner’. Si afferma che l’attualità del pericolo, così spiegata, ha un significato diverso rispetto a quello assunto nella legittima difesa274. La fonte del pericolo è indifferente275: può derivare da un evento naturale ma anche dall’azione dell’uomo, come ad es. da un delitto276 o da minaccia altrui. Secondo alcuni lo stato di necessità giustifica anche un’azione di difesa ‘preventiva’277. Il pericolo poi non dev’essere altrimenti evitabile: secondo l’opinione più accreditata, non significa che il mezzo adoperato debba necessariamente essere l’unico possibile per allontanare il pericolo, ma che sia, nel caso di più possibilità, il mezzo meno dannoso tra quelli a disposizione dell’agente. Se il pericolo può essere evitato 268 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 93. JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169. 270 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 415. 271 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169. 272 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361. 273 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 643. 274 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 417. 275 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 643. 276 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 416. 277 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 644. 269 55 chiamando in soccorso la forza pubblica, l’uso di ogni altro mezzo esclude gli estremi per l’applicazione della norma. Si tratta, quindi, di adottare una condotta che sia quella meno dannosa relativamente alle circostanze278, perché l’aggressione coinvolge la sfera giuridica di un terzo estraneo al pericolo, e quindi va contenuta quanto più possibile279. La condotta dev’essere comunque idonea280: se ad esempio nei paraggi di un grosso incendio si trova solo un estintore manuale, la possibilità dell’uso di questo strumento palesemente inidoneo a contrastare il fuoco, non influenza la giustificazione della condotta di chi abbia sottratto il cellulare al passante per chiamare i pompieri. Sono tutelabili con la condotta necessitata tutti gli interessi riconosciuti dall’ordinamento281. Infatti l’elencazione dei beni al § 34, a differenza di quella del § 35, non è da considerarsi tassativa282. Quindi sono da includersi anche i beni di pertinenza statale o della collettività283, oltre che, naturalmente, tutti i beni patrimoniali284. Il discorso deve valere, secondo la comune ammissione, per ogni bene giuridico, visto che l’elencazione contenuta nella norma ha un valore puramente esemplificativo, mentre è decisiva, ai fini interpretativi, l’esplicita clausola di apertura che esclude in radice l’antigiuridicità del fatto. Sembra escluso da ogni possibile bilanciamento il bene-vita, secondo alcuni anche quando il saldo finale è ‘quantitativamente’ positivo: la salvezza di molti non vale a giustificare il sacrificio anche di uno solo 285. Anche il soccorso di necessità è ammesso senza limitazioni286 Il § 34 impone al giudice una valutazione sugli interessi in conflitto, riconoscendo la concessione della scriminante solo qualora l’interesse protetto dall’autore risulti prevalente in maniera rilevante287. È da ricordare che il bilanciamento non avviene tra i beni astrattamente in gioco, ma, come è evidente dalla lettera della norma, tra interessi288: (die Abwägung der wiederstreitenden Interessen): quindi vengono all’attenzione anche le circostanze in cui si gioca il conflitto oggetto del giudizio. Per la valutazione complessiva del fatto ci si deve chiedere se l’interesse alla tutela del bene minacciato prevalga sull’interesse all’omissione di tale condotta289. Quanto all’essenzialità della prevalenza, per lo più la dottrina si limita ad affermare che la prevalenza dev’essere chiara, non dubitabile, senza ulteriori 278 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 170, contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361, secondo il quale il bene può essere salvato solo col sacrificio dell’altro. 279 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 646. 280 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 417. 281 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169. 282 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 414. 283 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 639. 284 Risulta qui evidente la fondamentale differenza con l’art. 54 c.p. italiano, che, limitando il pericolo attuale ad un ‘danno grave alla persona’, impone una limitazione rigorosa dei beni tutelabili in stato di necessità; e in questo la nostra norma somiglia di più allo stato di necessità scusante tedesco 285 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361. 286 Purchè sia attuato con ‘volontà di salvezza’, JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363. 287 Anche sotto questo aspetto la disciplina diverge da quella del nostro codice, dove si fa solo menzione della necessaria proporzione tra fatto e pericolo; ma la norma italiana è applicabile solo alle aggressioni di beni di particolare rilievo esistenziale, e, poiché sono a priori escluse le offese bagatellari, non si è ritenuto necessario richiedere anche l’essenziale prevalenza di un bene sull’altro. 288 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 651. 289 HIRSCH, LK, cit., § 34, n.62. 56 qualificazioni290. Il saldo attivo può comunque non essere sufficiente, se non viene integrato anche il requisito dell’adeguatezza291. Dal ‘bene’, comunque, non si può prescindere e in ogni caso la sua considerazione contribuisce a fissare alcuni punti fermi292: ad esempio la lesione di un bene strumentale per la tutela di un bene primario, è senz’altro giustificabile293. Così si applica il §34 allo straniero che s’introduca clandestinamente nel territorio tedesco per salvare la propria vita da un imminente attentato294; un interesse meramente patrimoniale non può, d’altro canto, trovare tutela a mezzo del sacrificio della vita o di beni personali di altri soggetti295. Alle ipotesi di omicidio, come già detto, non si applica la giustificante, ma al massimo la scusante296. Per raggiungere una soluzione adeguata bisogna ancora inserire nel bilanciamento dei criteri integrativi: si devono tenere in considerazione le concrete modalità di lesione e l’effettiva entità del danno. Può infatti accadere che un bene di valore astrattamente inferiore venga ritenuto prevalente se l’aggressione al bene di maggior valore non minacci che una lievissima lesione, mentre sul primo incomba un danno molto consistente297. Ovvero nel caso di conflitto tra beni patrimoniali dello stesso rango, risulterà decisiva la quantità della lesione minacciata ad entrambi, o l’infungibilità dell’uno rispetto all’altro298. La lettera della legge, poi, impone di guardare al grado del pericolo: in base a tale valutazione un interesse prevale sull’altro se la prospettiva di lesione nei suoi confronti è più probabile, e la condotta sarà tanto più scriminabile quanto minore appare la sua portata lesiva299. In relazione ai reati di pericolo, la commissione di un delitto di pericolo astratto, ad esempio, è giustificata se controbilanciata dall’aver impedito la verificazione di un pericolo concreto: ad esempio può essere consentito un cambio di carreggiata in autostrada dopo aver appreso la notizia che un automobilista sta avanzando contromano a folle velocità300. Altri fattori da tenere presente sono le possibilità di salvataggio e il rischio di danni successivi al bene stesso: un interesse sarà prevalente quanto minore è la sua possibilità d’essere altrimenti salvato; d’altro canto, sarà prevalente quanto maggiore è il rischio che possa subire altri danni301. Viene qui in rilievo, anche se non espressamente menzionato, un altro fattore di 290 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 362. Più rigoroso invece HIRSCH, LK, cit., § 34, n.76; anche per JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 426 il saldo finale dev’essere evidentemente positivo. 291 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363. 292 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171. 293 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 422. 294 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 647. 295 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 647. 296 Questo è un altro punto di divergenza con l’attuale norma italiana. In Italia il riferimento alla sola proporzione tra fatto e pericolo non ostacola l’applicazione della disposizione anche ai casi in cui venga sacrificata la vita del terzo, come nelle classiche ipotesi del naufrago o dell’alpinista 297 HIRSCH, LK, cit., § 34, n.63 e JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 649. 298 HIRSCH, LK, cit., § 34, n.63. 299 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 649 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 425. 300 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 424. 301 HIRSCH, LK, cit., § 34, n.66 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 650. 57 bilanciamento, rappresentato dal particolare obbligo di esporsi al pericolo302, da valutarsi come elemento a carico dell’agente. L’esistenza di questo particolare fattore integrante il bilanciamento è dedotta in chiave interpretativa, mentre rappresenta un requisito espresso nella norma italiana e nello stato di necessità scusante del § 35303. Non costituisce invece requisito per l’applicazione della norma il fatto che il pericolo non sia colpevolmente causato dall’agente: manca infatti, a differenza che nella disposizione italiana, una richiesta normativa in tal senso304. E si dice che tale circostanza non incide neppure sulla ponderazione degli interessi305, tranne per il caso che la situazione di necessità sia stata artatamente costruita dall’autore per poter offendere l’altrui bene giuridico. Come già detto nel precedente capitolo, la norma sullo stato di necessità giustificante comprende anche i conflitti di doveri giustificanti306. La norma prevede poi una clausola di adeguatezza (die Angemessenheitsklausel), ossia che il fatto sia un mezzo adeguato per impedire il pericolo. Sull’interpretazione di tale clausola la dottrina tedesca si è divisa. Per alcuni è una formula vuota e superflua, priva di rilevanza pratica, poiché una valutazione in termini di adeguatezza della condotta sarebbe già presente al momento della valutazione degli interessi confliggenti307. Secondo altri, invece, le si può attribuire un proprio autonomo significato, ricollegato al fatto che in alcuni casi è possibile che la tutela di un interesse anche chiaramente prevalente sia disapprovata dall’ordinamento giuridico a causa di un superiore principio di interesse comune308. Questa linea è confortata anche da qualche pronuncia giurisprudenziale. Si fa solitamente l’esempio di un soggetto che, ingiustamente accusato in un processo, istiga un testimone a deporre il falso o evade per sfuggire al pericolo incombente sulla sua libertà309: tali comportamenti non vengono considerati legittimi. Ancora, è per questa clausola che non è consentito un prelievo coatto di sangue, mentre sarebbe da considerare lecito se si guardasse al mero bilanciamento di interessi, perché il ricevente ne ha un vantaggio sicuramente maggiore del danno cagionato al ‘donatore’310. La funzione della clausola viene invocata anche per la tutela della dignità umana311 e per fondare il diritto all’autodeterminazione dell’offeso: in alcuni casi la clausola eleverebbe la dignità umana a limite invalicabile posto a garanzia 302 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 651. SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 650 e HIRSCH, LK, cit., § 34, n.66; JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 424. 304 Contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363, secondo il quale la colpevole causazione della situazione di necessità gioca un ruolo nella ponderazione degli interessi. Ad esempio chi colposamente causa un incendio, se per sfuggirvi uscendo dall’edificio urta contro qualcuno ferendolo, deve lasciarsi obiettare che è stato lui a provocare la situazione di necessità. 305 Contro, JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171, secondo cui la causazione del pericolo è da tenere in considerazione nel rapporto di proporzione. 306 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365 e ss. 307 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 658. 308 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361. 309 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361. 310 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171. 311 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 427. 303 58 dell’ordinamento giuridico, divenendo un criterio vincolante di interpretazione, come nell’ipotesi appena citata delle trasfusioni di sangue. Infine è considerata l’appiglio normativo per non applicare lo stato di necessità giustificante a coloro che hanno un particolare dovere giuridico di esporsi ad un determinato pericolo312 ed introdurre, quindi, la limitazione in via interpretativa. Ancora aperta è la questione se siano richiesti o meno la ‘volontà di salvezza’ e altri elementi soggettivi per la giustificazione (subjektives Rechtfertigungselement). Chi la pretende313, la invoca o come unico scopo o come uno solo dei cofattori motivanti. Probabilmente, però, non serve accertare la presenza di tale volontà per applicare la norma314. L’opinione dominante richiede la presenza di un doveroso esame che però non è da considerare un elemento soggettivo315: qualora manchi un accurato esame della situazione, pur in presenza di tutti gli altri requisiti richiesti dal § 34, il fatto diventa punibile. La questione è strettamente connessa al tema dell’errore, la cui valutazione è a favore dell’agente solo per il caso in cui sia ritenuto inevitabile. 1.3 Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende Notstand Il quadro va poi completato con la lettura del § 35, Abs. I: “Stato di necessità scusante. Agisce senza colpevolezza chi commette un fatto antigiuridico per allontanare da sé, da un congiunto o da un’altra persona a lui vicina un pericolo attuale e non altrimenti evitabile per la vita, l’integrità fisica o la libertà. Ciò non vale se dall’autore, date le circostanze, perché cioè egli stesso ha causato il pericolo o si trovava in una particolare situazione giuridica, si poteva esigere di affrontare il pericolo; tuttavia la pena può essere diminuita ai sensi del § 49 co. 1, se l’autore aveva l’obbligo di affrontare il pericolo ma non in forza di una sua particolare situazione giuridica”316. La causa scusante ricomprende anche la coazione morale derivante dall’altrui minaccia, che nel vecchio codice trovava regolazione separata, assimilata alla coazione derivante da forza irresistibile. Il legislatore della riforma ha scelto di ricondurre l’ipotesi nell’alveo della norma generale, e di non porre differenze di trattamento basate sulla fonte del pericolo. La fattispecie del pericolo derivante da altrui minaccia, mancando un riferimento espresso, va inserita per via interpretativa; questa ‘dimenticanza’ consente tuttavia ad una parte minoritaria della dottrina di non la avvalorarla semplicemente come ipotesi di scusa, ma di darne una valutazione in 312 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364. Richiedono una ‘Rettungswille’ JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364 e HIRSCH, LK, cit., § 34, n.45. 314 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 172. 315 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 659. 316 C.p. tedesco, a cura di VINCIGUERRA, cit. Si riporta di seguito l’integrale testo tedesco del § 35 I: “Entschuldigender Notstand. Wer in einer gegenwaertigen, nichts anders abwendbaren Gefahr fuer Leben, Leib oder Freiheit eine rechtswidrigeTat begeht, um die Gefahr von sich, einem Angehoerigen oder einer anderen ihm nahestehenden Person abzuwenden, handelt ohne Schuld. Dies gilt nicht, soweit dem Taeter nach dem Umstaenden, namentlich weil er die Gefahr selbst verursacht hat oder weil er in einem besonderen Rechtsverhaeltnis stand, zugemutet werden konnte, die Gefahr hinzunehmen; jedoch kann die Strafe nach § 49 Abs. 1 gemildert werden, wenn der Taeter nicht mit Ruecksicht auf ein besonderes Rechtsverhaeltnis die Gefahr hinzunehmen hatte”. 313 59 termini di giustificazione o di scusa in dipendenza dagli interessi coinvolti317. Manca nella norma tedesca il requisito di proporzionalità tra danno cagionato e danno evitato318, dal momento che il principio del bilanciamento resta estraneo alla logica della norma. Espressa è, ancora una volta, l’individuazione di una clausola di esigibilità (Zumutbarkeit) del comportamento, che radica il fondamento319 della norma nel principio di inesigibilità320, palesandone l’inquadramento tra le scusanti321. Si è detto che manca il riferimento al rapporto tra i beni in gioco: ad azione compiuta, non si può riscontrare un saldo oggettivamente positivo, ma permane il disvalore della condotta. È per questo motivo che il legislatore limita il riconoscimento della scusante alla sola tutela di beni altamente personali, quali vita, integrità fisica o libertà, e tralascia del tutto i beni patrimoniali. L’elenco, a differenza di quello del § 34, è da considerarsi tassativo, e non è plausibile la scusa di una condotta volta alla tutela di beni diversi322. Pure la dottrina che ragiona in termini di doppia attenuazione dei disvalori d’illecito, riconosce la necessità di limitare l’intervento nella sfera giuridica di terzi: anche se l’illecito viene diminuito sotto entrambi gli aspetti, oggettivo e soggettivo, non viene mai completamente annullato. Quindi non si può agire a tutela di beni meramente patrimoniali, e l’affermazione trova conferma nel fatto che l’elenco dei beni protetti è tassativo323. Per quanto riguarda la ‘vita’, è discusso se la dizione ricomprenda anche la vita del nascituro. Chi sostiene una risposta negativa, lo fa argomentando dalla lettera della legge: siccome il soccorso di necessità è scusato solo se in favore di congiunti e persone affettivamente legate all’autore, e siccome si dice che il feto non è riconducibile a dette categorie324, si esclude la scusa quando il bene tutelato sia il nascituro. Chi invece lo vuole ricomprendere nell’interpretazione sostanziale del bene vita, denuncia il troppo 317 Per un quadro delle differenti posizioni della dottrina, si veda JOECKS, Studienkommentar, Berlin, 1999, pag. 174. Anche in questo caso è poi possibile un veloce raffronto con la norma italiana, che ne evidenzi affinità e differenze. Affine è, ancora una volta, il riferimento all’attualità del pericolo, alla sua inevitabilità altrimenti e alla non volontaria causazione; ma la somiglianza più significativa si riscontra nella delimitazione, in entrambe le norme, a pericoli per beni di immediato rilievo esistenziale. Differente è, invece, la restrizione presente solo nel testo tedesco, dei possibili destinatari del soccorso a congiunti e persone affettivamente vicine all’agente; è una riserva strettamente connessa all’influenza che il pericolo ha sulla motivazione dell’agente: questi subisce un turbamento rilevante solo qualora il pericolo lo investa direttamente o riguardi una persona a lui tanto ‘cara’ da farglielo percepire come proprio. 318 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 93. 319 Per cenni al dibattito riguardo l’unitarietà del fondamento della scusante, vedi JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176. Sul punto cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 480: l’autore rinviene il fondamento della norma in una doppia diminuzione e della colpevolezza e del disvalore di illecito. 320 Sul principio di inesigibilità e sulle sue possibilità di applicazione anche nell’ordinamento italiano si veda FORNASARI, Principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990. 321 Nel panorama scientifico tedesco si suole inoltre distinguere tra scusanti(Entschuldigungsgrunde) e cause di esclusione della colpevolezza (Schuldausschliessunggrunde). In questa sede non serve comunque indugiare sul punto. 322 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 572, dice che al massimo ci potrà essere una diminuzione di pena. 323 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176. 324 HIRSCH, LK, cit., § 35, n.12. 60 rigido formalismo di tale impostazione325. Riguardo all’integrità fisica, la tutela non si ferma alle ipotesi di protezione della salute, ma comprende altri pericoli di offesa non irrilevante, come ad esempio la difesa da un abuso sessuale326. Deve trattarsi comunque di offese non bagatellari, altrimenti stonerebbe la parificazione della salvaguardia dell’integrità fisica con quella della vita327. Ad esempio solo un danno alla salute per gli abitanti di una fattoria minacciata da un’inondazione può servire a scusare l’apertura di una diga e i danni a cose così provocati in un altro luogo328. In riferimento alla libertà, è da intendersi coinvolta la libertà di movimento, non di decisione o di comportamento329, purchè sempre di una certa rilevanza330. Il bene si reputa tutelabile anche contro le privazioni minacciate da provvedimenti dell’autorità331. In questo modo viene veicolata l’esenzione da pena per gli autori di quei fatti che in Italia ricadono nella previsione dell’art. 384 c.p.. Per la mancanza di un saldo sociale attivo, il legislatore ha opportunamente limitato il soccorso di necessità ai soli ‘congiunti’ e a persone particolarmente vicine all’agente: solo quando il pericolo minaccia tali persone, viene percepito dall’autore come ‘proprio’, e risulta quindi idoneo a turbare il processo motivazionale dell’agente, cosicché l’ordinamento non muove alcun rimprovero. Per la rilevanza della parentela non conta quale sia il rapporto reale tra i soggetti perché la ‘commensalità’ si presume332; contrariamente per la seconda specie di beneficiari del soccorso, in riferimento ai quali è il rapporto sostanziale che va verificato, caso per caso333. Il legislatore non dà una definizione delle ‘persone vicine all’agente’, e pertanto ne risulta controversa l’identificazione. Di regola è accolta l’accezione per la quale si intendono richiamati i rapporti personali connotati da una certa durata e caratterizzati da un sentimento di solidarietà simile a quello tra congiunti334. Segnatamente vengono in considerazione i casi di parentela non riconducibili al § 11 co. 1, n.1 StGB, come i rapporti zio-nipote, di convivenza fuori del matrimonio, di stretta amicizia, di lunga comunità di abitazione, di rapporto padrinofiglioccio, di fidanzamento, mentre vengono esclusi i rapporti di lavoro o di semplice militanza politica. Nella norma italiana non c’è alcuna limitazione dei beneficiari del soccorso di necessità, ma alcuna dottrina ritiene di introdurre la restrizione in via interpretativa. C’è un’altra limitazione espressa: non possono invocare la scusante coloro sui 325 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 663. Contro HIRSCH, LK, cit., § 35, n.13 che preferisce parlare di particolare tutela della libertà. 327 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 663; JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 572. 328 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 481. 329 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176. 330 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 664. 331 Contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 487, perché si tratta di interventi legittimi dell’autorità: si deve quindi ‘sopportare’ il pericolo di lesione. 332 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 571. 333 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 177. 334 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 666, JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482 e HIRSCH, LK, cit., § 35, n.33. 326 61 quali grava un particolare dovere giuridico o coloro che hanno dato causa alla situazione di pericolo. Questo non perché costoro sono ritenuti ‘immuni’ dal turbamento motivazionale, ma perché da loro si esige una tenuta superiore alla media. La limitazione in ogni modo non inficia il principio di inesigibilità: dal momento che si tratta di un concetto normativo, non esclusivamente naturalistico, il legislatore può forgiarlo come meglio crede e stabilire in quali casi si possa presumere l’esigibilità della condotta. Anche il § 35 richiede che incomba sul bene un pericolo attuale, e del requisito si dà un’interpretazione corrispondente a quella del § 34: quindi in base ad un giudizio ex ante, la probabilità del verificarsi della lesione deve essere così forte da far ritenere indispensabile, al momento della condotta, l’intervento a salvaguardia del bene335. Attuale è anche il pericolo protratto nel tempo e sempre attualizzabile: si veda in proposito il celeberrimo caso ‘Spanner’, o l’esempio di chi commette reato di falso giuramento perché da tempo minacciato di morte nel caso in cui presti giuramento secondo verità, o il caso dell’uccisione nel sonno del padre iracondo che durante il giorno minaccia ripetutamente madre e sorella336. Il pericolo deve essere anche non altrimenti evitabile: ciò, come già visto, significa che l’azione deve rappresentare il mezzo meno dannoso tra quelli efficaci a disposizione dell’agente; ovvero che non ci sono altre alternative. Se esiste un mezzo fornito dal diritto per superare il conflitto, questo deve senza dubbio essere adoperato, lasciando da parte tutti gli altri. A proposito in giurisprudenza si è ritenuto che un soldato non potesse disertare perché un comando dell’autorità sanitaria del suo reparto lo obbligava ad indossare l’uniforme il cui tessuto gli provocava una reazione allergica, quando poteva ‘comodamente’ opporre un reclamo all’autorità militare competente337. Quanto alla fonte del pericolo, può indifferentemente essere un evento naturale o una condotta umana: un esempio del secondo caso è dato dall’assoluzione del figlio parricida, perché spinto dal desiderio che cessasse la condotta vessatoria del padre ubriacone e molesto nei confronti della madre e della sorella. Rientrano nella logica della scusa anche i reati perpetrati per bisogno alimentare, pur se solo in casi di estrema gravità338. La fonte del pericolo può anche essere l’altrui minaccia: in questo caso non si può richiedere la giustificazione ex § 34, perché la commissione del reato non è da considerarsi il mezzo adeguato per l’allontanamento del pericolo, ma sicuramente residua spazio per la scusa339. L’azione necessitata può aggredire qualunque bene giuridico altrui: il paragrafo trova applicazione anche nell’ambito dei conflitti di vita contro vita. Ma è necessario che sia accompagnata dall’elemento soggettivo dell’intenzione di allontanare il pericolo. Ne discende che la situazione di pericolo deve essere conosciuta dall’autore perché questi ne senta la spinta motivazionale eccezionale che lo spinge al reato per evitare la lesione. È qui la ragione della riduzione della colpevolezza che porta 335 HIRSCH, LK, cit., § 35, n.29 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 571. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482. 337 FORNASARI, Principi del diritto penale tedesco, Padova, 1993, pag. 363 e ss.. 338 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 673. 339 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483 e pag. 42 di questo testo. 336 62 all’applicazione della scusante340. Deve comunque esistere la volontà di allontanare il pericolo accanto alla forte pressione motivazionale: l’influsso del motivo di salvezza è fondamentale nella formazione della volontà341. Si deve precisare che non si richiede che la finalità di salvezza sia l’unica che muove l’autore, ma possono coesistere più scopi342. Secondo una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza, lo scopo di salvataggio di un bene da solo non è sufficiente a scusare la condotta, perché è indispensabile che l’autore svolga uno scrupoloso esame della situazione di necessità; tale impostazione, però, non trova consensi, anche perché non è supportata da alcun dato letterale. Si ammette al massimo che l’esame abbia rilevanza nella valutazione dell’evitabilità dell’errore343: si finisce allora a richiedere comunque un esame dei doveri in gioco con attenzione alla gravità del reato e alla vicinanza del pericolo, perché se questo manca può sempre venire rimproverato e addebitato l’errore344. Si è già accennato alla clausola di inesigibilità (die Unzumutbarkeit). Va ora precisato che la scusante non si applica se dall’autore, date le circostanze, si poteva esigere di affrontare il pericolo. Si ritiene che debba sopportare il pericolo qualora egli stesso lo abbia causato o qualora si trovi in una particolare posizione giuridica che gli impone di esporsi: in questi casi non si avrebbe la diminuzione della colpevolezza presupposta per l’applicazione della scusante345. I motivi delle due esclusioni sono però differenti: nel caso del dovere giuridico la ragione è da rinvenirsi nella fiducia che la collettività ripone in certe persone, per la loro qualifica professionale (vigili del fuoco, forze dell’ordine, medici, soldati) o perché queste hanno assunto per contratto una posizione di garanzia nei loro confronti (guide alpine, bagnini). Costoro, in sostanza, avranno il dovere di agire per far venir meno la situazione di necessità, ma ciò non significa che il soggetto qualificati resta ‘immune’ al turbamento motivazionale; significa solo che, essendo l’esigibilità un concetto normativo, sta al legislatore delimitarne la portata. L’affidamento della comunità permette di presupporre la ‘sopportazione’ solo in relazione al pericolo tipico e mai fino al sacrificio della vita di costoro346. Chi lega il concetto di colpevolezza alle funzioni preventive della pena, fa risiedere la spiegazione nel fatto che lo Stato, avendo il compito di proteggere i beni giuridici, non può permettere che un soggetto, cui spettano funzioni di protezione di specifici interessi, possa sottrarsi ai propri doveri e al contempo apparire di fronte alla comunità come meritevole di andare impunito347. La circostanza che sia l’agente stesso la fonte del pericolo, non ha, di per sé, l’effetto di escludere l’applicabilità della scusante: tale effetto si produce allorché in 340 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 667; HIRSCH, LK, cit., § 35, n.38; JESCHECKWEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483. 341 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483. 342 HIRSCH, LK, cit., § 35, n.38. 343 HIRSCH, LK, cit., § 35, n.40. 344 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482. 345 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; chi invece lega la colpevolezza a ragioni di prevenzione, ritiene che la clausola sia legata al fatto che l’ordinamento non può ammettere che soggetti qualificati dalla loro posizione giuridica vengano meno ai loro obblighi pur se in presenza di una situazione di pericolo, perché altrimenti verrebbe indebolita la fiducia dei consociati nel funzionamento delle norme. 346 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 670; HIRSCH, LK, cit., § 35, n. 56; JESCHECKWEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 178. 347 VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 138. 63 conseguenza della causazione del pericolo, si può esigere dall’agente di affrontarlo. Ciò accade quando la causazione è colpevole, perché l’esigibilità opera solo nei confronti di chi, fin dall’inizio, merita un rimprovero348. Infatti non si ritiene sufficiente la mera causalità tra condotta e pericolo: ad esempio se Tizio invita Caio a fare una gita in barca, non è questo motivo sufficiente per escludere la scusa nel caso in cui una tempesta sorprenda i due amici e Tizio sia costretto a salvarsi a spese di Caio. C’è da segnalare che autorevole dottrina ritiene sufficiente che la condotta causante sia oggettivamente antidoverosa349. Anche in questa ipotesi chi lega la ratio della scusante a ragioni preventive, lega la ratio dell’esclusione all’obiettivo di assicurare una pacifica convivenza: è indispensabile evitare che atteggiamenti irresponsabili producano situazioni di pericolo, e per obbligare il cittadino alla prudenza, il legislatore ha stabilito di punire il soggetto che ha provocato la situazione pericolosa350. In questa tematica ha poi un rilievo particolare la configurazione del soccorso di necessità. Si fa l’esempio del padre che mette colposamente in pericolo la vita del figlio, portandolo in una segheria e del figlio che colposamente mette a repentaglio la propria vita entrando in una segheria senza alcuna precauzione: in entrambi i casi il padre che interviene con una condotta antigiuridica può invocare il § 35351. Si ritiene peraltro che l’esemplificazione dei casi di esigibilità sia puramente indicativa, non di chiusura352 e che, quindi, esistano altre ipotesi in cui l’autore è tenuto ad affrontare il pericolo senza poter invocare la scusante: ad esempio quando l’autore è in una speciale posizione di garanzia nei confronti della potenziale vittima della condotta necessitata353. Non viene completamente scusato pertanto il padre che salvi la propria vita a costo di quella del figlio o il marito che si salvi a scapito della moglie354. Ovvero qualora la situazione sia creata da un soggetto che agisce in legittima difesa 355; o per una situazione di bisogno alimentare da non considerarsi eccezionale. In una pronuncia giurisprudenziale si è stabilito che non può appellarsi al § 35 il soggetto ingiustamente condannato ad una pena detentiva che evadendo uccide un secondino, se il processo di condanna si è svolto in base ai principi dello Stato di diritto356. Tuttavia nelle ipotesi in cui il soggetto, pur dovendo affrontare il pericolo, tiene invece la condotta antigiuridica, ci può essere una diminuzione facoltativa della pena: illecito e colpevolezza diminuiscono per le circostanze straordinarie357. Tranne per i casi in cui l’obbligo nasce da una particolare posizione giuridica. Tale limitazione viene da molti ritenuta inopportuna, perché la pressione motivazionale opera anche sui soggetti particolarmente qualificati, e non pare giusto 348 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 485; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 668. HIRSCH, LK, cit., § 35, n.49. 350 VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 139. 351 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; la necessità è invece ammessa solo nella seconda ipotesi in SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 669. 352 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 484 353 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 487. 354 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 574, ma comunque ci sarà una diminuzione obbligatoria di pena. 355 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 672. 356 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486. 357 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488. 349 64 parificare del tutto la qualificazione della loro condotta a quella di chi si trova completamente libero da influssi esterni358. Si ritiene che la diminuzione ai sensi del co. 2 debba trovare applicazione anche quando l’autore abbia agito in una situazione di necessità ma senza adoperare il mezzo meno dannoso per la vittima359. Si ritiene che la diminuzione di pena venga in considerazione anche quando non può esserci una giustificazione totale ex § 34 per mancanza di proporzionalità o adeguatezza della condotta360. Come già detto, al co. 2 § 35 viene regolata l’ipotesi in cui l’autore, al momento del fatto, supponga erroneamente esistenti i requisiti della situazione necessitata: il soggetto non viene punito se ha compiuto un errore inevitabile, mentre la pena è solo obbligatoriamente diminuita se l’errore era evitabile. Riguardo all’evitabilità dell’errore viene in rilievo l’effettuazione o meno del ‘coscienzioso esame’ dell’esistenza dei presupposti della scusante: la mitigazione è attuabile solo se l’autore ha fatto un accurato esame delle condizioni361. La ragione di tale irrilevanza trova il suo fondamento nel fatto che solo l’ordinamento e non il singolo tramite la sua falsa rappresentazione, può decidere quando sollevare un giudizio di rimprovero362. Secondo molti si tratta di un’autonoma categoria di errore, perché non incide né sul fatto né sull’antigiuridicità, anche se vengono applicate le regole sull’errore sul divieto del § 17 StGB363. Per l’esclusione della pena, l’errore deve cadere su uno dei presupposti di fatto della scusante, e diverse sono le conseguenze se l’errore cade su uno degli elementi normativi della stessa. L’autore è quindi scusato se ha erroneamente ritenuto attuale il pericolo o se non si è reso conto dell’esistenza di un mezzo meno dannoso per la vittima; non beneficia invece della norma se, pur sapendo di trovarsi in una particolare situazione giuridica, ritiene che da lui non sia esigibile la sopportazione del pericolo, o se l’agente ritiene che la scusante opera anche per la tutela di un bene patrimoniale364, ed erra quindi sui confini della scusante. Non c’è scusa neppure per chi erroneamente pensa che ci sia una scusante non codificata. Nell’ipotesi di errore evitabile, il giudice può in ogni caso concedere una diminuzione facoltativa della pena, e quindi tenere presente che, pur essendo rimproverabile per la ‘leggerezza’ nell’agire, il soggetto subisce comunque una pressione motivazionale che gli impedisce di conformarsi alla legge. 1.4 Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni pratiche L’aver preso coscienza della differenza ontologica dei tipi di necessità e averla tradotta in termini normativi, con l’adozione di un modello differenziato, non 358 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 575. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 673. 360 JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176; secondo JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489, invece, non c’è né scusa né mitigazione della pena se l’errore cade sull’esistenza del pericolo o sull’esigibilità della scelta del mezzo meno dannoso. 361 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488. 362 VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 23. 363 SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 674 e JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489. 364 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 674 e 675; HIRSCH, LK, cit., § 35, n. 74. 359 65 rappresenta un’inutile moltiplicazione delle fattispecie legali, ma piuttosto un chiara precisazione delle stesse. Non si nasconde il timore che un’applicazione troppo disinvolta delle norme che escludono la punibilità, siano giustificanti o scusanti, comporta il rischio dell’indebolimento dell’efficacia preventiva delle norme penali. Tuttavia i correttivi all’applicazione ‘pura’ dei principi limitano i punti di collisione col sistema, e, anche se sono inidonei a garantire una rigorosa certezza del diritto, sono comunque in grado di indirizzare l’interprete ad un giudizio obiettivizzabile ed in grado di raccogliere consensi circa la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse365: il deficit di precisione è quindi da ritenere tollerabile per l’autorizzazione di condotte a contenuto lesivo che realizzino comunque un saldo sociale attivo, mentre per le altre, laddove ci siano posizioni giuridiche individuali inviolabili, residua la sola possibilità di scusa. In altre parole, lo stato di necessità giustificante si rivela uno strumento estremamente duttile quando gli interessi siano oggettivamente ponderabili nella scala di valori riconosciuta dall’ordinamento. È tuttavia insoddisfacente in riferimento ai conflitti tra beni incommensurabili o a quelle situazioni necessitate che si fondano su un sostrato di valori etici, come nel caso delle ‘comunità in pericolo’. Ma, a colmare la lacuna, soccorre la norma sullo stato di necessità scusante, con un ruolo sussidiario rispetto al § 34: quando non si è in grado di stabilire l’oggettiva prevalenza del bene salvaguardato su quello tutelato, prima di dichiarare la punibilità della condotta, si deve verificare che la condotta conforme al sistema fosse esigibile dal soggetto, in direzione di una maggiore giustizia per il caso singolo. Vale poi la pena di accennare alle conseguenze sistematiche derivanti dalla formulazione differenziata. Anche i penalisti tedeschi sono soliti spiegare che la legittima difesa è data contro azioni scusate ma non contro quelle giustificate. Tuttavia le cose sono complicate dal fatto che una parte rilevante della dottrina richiede, per il riconoscimento della legittima difesa, che la condotta sia colpevole e talvolta addirittura qualificata in termini di dolo o piena coscienza dell’illiceità, poiché non ci sarebbe bisogno di riaffermare il diritto quando l’aggressore agisce senza colpevolezza. Ma si può non dar seguito a questa opinione se si pensa che il diritto di difendersi non serve alla punizione dell’aggressore, ma solo a rendere visibile chi è dalla parte del lecito e chi da quella dell’illecito: la qual cosa è possibile anche quando l’aggressore agisce senza colpevolezza. Al massimo si può convenire sul fatto che, contro un aggressore non rimproverabile si pongano limitazioni etico-sociali al diritto di difesa. E, in ogni caso, è da notare che la differenza tra giustificanti e scusanti permane, anche se si accede a questa teoria, non essendo consentita la reazione nel primo caso, mentre nel secondo l’aggredito non si lascia sprovvisto di tutela, ma gli viene riconosciuta almeno la scriminante dello stato di necessità366. Sull’estensione della causa di non punibilità ai concorrenti, le risposte della dottrina sono simili a quelle riscontrate per il nostro ordinamento367: la condotta giustificata dev’essere sempre esente da pena; se il fatto è conforme al diritto, ogni 365 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 401, che comunque ritiene immotivata tale fiducia nella capacità del procedimento topico di raccogliere consensi. 366 ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 98. 367 ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 95. 66 contributo ad esso va sottoposto alla stessa valutazione. Al contrario, la partecipazione ad un’azione solo incolpevole, possibile attraverso il principio dell’accessorietà limitata (§§ 26, 27 e 29 StGB368) non va necessariamente esente da pena: lo sarà quando le cause di esenzione per l’autore sono presenti anche rispetto al concorrente o se intervengano ulteriori fattori a escludere la punibilità. Qualcuno369 ha proposto di lasciare in linea di principio impunito il concorso in un fatto scusato per stato di necessità, omologando per questo caso le conseguenze di giustificazione e scusa. Ma l’opinione non viene seguita perché il legislatore tiene comunque fermo il comando della legge, disapprovando il fatto verificatosi: quindi non c’è ragione per non punire, quando manchino le considerazioni che producono la scusa per l’autore, l’estraneo che non si trova affatto costretto dalla situazione di pericolo. In rapporto a costui, infatti, la forza motivante della norma penale non è scalfita; è ipotizzabile comunque una diminuzione di pena, perché egli coopera ad un fatto il cui disvalore complessivo è diminuito: il pregiudizio per il bene sacrificato, infatti, si accompagna alla tutela di un altro bene giuridico. In Germania l’errore sui presupposti concreti di una causa di giustificazione non è espressamente regolato dalla legge, ma la dottrina e la giurisprudenza in caso di errore tendono almeno ad escludere la responsabilità per dolo. La supposizione erronea dei presupposti di una scusante, invece, è disciplinata proprio relativamente all’ipotesi più significativa dal punto di vista pratico, cioè con riguardo allo stato di necessità scusante. Il § 35 co. 2 esclude la colpevolezza in caso di errore inevitabile, mentre negli altri casi viene comminata una pena a titolo di dolo, seppure diminuita370. Prima dell’entrata in vigore della nuova parte generale del codice, la Corte Suprema aveva sostenuto l’opinione che l’erronea supposizione di stato di necessità scusante escludesse il dolo, non differenziandola affatto dal trattamento dell’errore su una norma giustificante. Ma la diversa normativa prevista con la riforma è stata ben accolta: chi suppone la presenza di una situazione giustificabile vuole fare qualcosa che è conforme al diritto, quindi merita al massimo una pena a titolo di colpa. Chi al contrario suppone una situazione scusante, sa di agire antigiuridicamente e lo fa volontariamente. Siccome potrebbe astenersi dalla condotta, il fatto che colpevolmente o erroneamente abbia supposto l’esistenza della scriminante non è una ragione sufficiente per esentarlo senz’altro da una pena a titolo di dolo371. Vale la pena, poi, precisare alcune applicazioni pratiche della norma, similmente a come si è fatto per l’ordinamento italiano. 368 Così i paragrafi in traduzione: § 26: “Istigazione. Allo stesso modo dell’autore è punito, come istigatore, chi ha determinato dolosamente altri alla commissione dolosa di un fatto antigiuridico.” § 27: “Complicità. (1) E’ punito come complice chi dolosamente aiuta altri a commettere un fatto antigiuridico doloso.(2) La pena per il complice è determinata in base alla pena prevista per l’autore. Essa deve essere diminuita ai sensi del § 49 co. 1”. § 29:“ Autonoma punibilità del concorrente. Ogni concorrente viene punito in base alla sua colpevolezza, senza riguardo a quella degli altri”. 369 RUDOLPHI, Ist die Teilnahme an einer Notstandsstat i.S. der §§ 52 e 53 Abs 3 und 54 StGB strafbar?, 1966, pag. 67, citato in ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 95 e RUDOLPHI-HORN, Systematischen Kommentar zum Strafgesetzbuch, Frankfurt am Main, 1982, § 35. 370 ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 98 e JOECKS, Studienkommentar, 1999, pag. 178. 371 ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 99, e cfr. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria dell’illecito penale: contributo ad una sistematica teleologica, Napoli, 2000, pag. 505 sull’errore sulla scriminante come ipotesi di esclusione di un ‘dolo d’illecito’. 67 Anche in Germania lo stato di necessità giustificante è richiamato spesso in tema di contravvenzioni da circolazione stradale: ricorrono sentenze che giustificano il medico che ha percorso contromano una strada a senso unico per soccorrere un paziente gravemente malato372, o abbia superato i limiti di velocità consentita, purché l’abbia fatto con le precauzioni del caso373. O il caso di chi contravviene all’obbligo di non abbandonare il luogo dell’incidente per non essere bastonato dalla folla374; è invece solo scusato chi abbandona il luogo del sinistro per correre in ospedale a trovare la moglie gravemente malata375. Quanto al conflitto tra il divieto di uccidere una persona e l’obbligo di impedire la morte di un’altra è risolto dalla dottrina tedesca con un argomento di tipo formalistico ed uno di tipo sostanzialistico. Il primo richiama il § 34: la giustificazione dell’omicidio non è possibile, non sussistendo ‘l’essenziale prevalenza’ del bene salvaguardato; viceversa, viene giustificata la violazione dell’obbligo. Ma tale argomento non convince376. Più solido sembra quello sostanziale: si afferma che a parità di bene giuridico il divieto di ledere il bene ha un peso specifico maggiore rispetto al corrispondente obbligo di attivarsi per la tutela del medesimo, ancora una volta viene affermato che prevale il diritto del soggetto a che il terzo si astenga dall’intromettersi nella sua sfera giuridica, sul diritto di quello a che il terzo si attivi in suo favore in una situazione di pericolo. Il che, nel campo medico del trapianto di organi, serve anche ad escludere che il medico debba tutelare ad ogni costo la vita dei cittadini, ad esempio mediante il prelievo di un organo da un donatore forzato. L’adempimento dell’obbligo di tutela della vita, quindi, va rapportato alle risorse disponibili, da acquisire col rispetto delle garanzie dei diritti fondamentali dei donatori. Stabilito dunque che il divieto di omicidio prevale, la dottrina tedesca ritiene comunque di poter riconoscere una scusante sovralegale a che ha compiuto la scelta giuridicamente errata: la scusa opera sul piano del giudizio di colpevolezza dell’agente377. Non si può invocare un coinvolgimento emotivo quando la scelta, nei casi di eutanasia o nel caso dell’intervento sulle gemelle siamesi, è frutto di ponderazione; ma un giudizio di colpevolezza deve comunque essere escluso se, chiunque al posto degli imputati, avrebbe agito allo stesso modo: anche in questi frangenti la condanna suonerebbe ipocrita. Un’altra via da percorrere per la non punibilità è quella dell’errore incolpevole sul divieto in capo agli imputati378. Invece per i casi di conflitti di due doveri d’azione, la dottrina minoritaria379 per i casi di doveri che possono essere posti in gerarchia, ritiene il soggetto giustificato solo se la norma violata sia quella soccombente nel giudizio di bilanciamento; nel caso di doveri equivalenti, non sarebbe possibile approvare la violazione di nessuno dei due, e la soluzione del conflitto è da rinvenirsi sul piano della colpevolezza. La dottrina 372 OLG Hamm VRS 14, 431; e OLG Düsseldorf VRS 30, 444. OLG Frankfurt DAR 1963, 244. 374 BGH VRS 36, 24. 375 OLG Köln VRS 66, 128. 376 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 543. 377 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 368. 378 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 547. 379 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 366. 373 68 dominante sostiene, di contro, che l’adempimento di almeno uno dei due doveri equivalenti sia sufficiente per giustificare la condotta380. Quindi il soggetto potrà liberamente scegliere a quale dei due doveri prestare ossequio, perché ad impossibilia nemo tenetur. Se non fosse giustificata, infatti, la condotta verrebbe ingiustamente assimilata a quella di chi resta inattivo, violando entrambi i doveri: non è pensabile assimilare la condotta del medico che presta soccorso ad almeno uno dei due pazienti bisognosi di cure a quella del sanitario che, non sapendo chi dei due soccorrere, li lascia morire entrambi. Questo quindi il quadro riassuntivo: quando si trovano in conflitto un obbligo di azione ed uno di omissione aventi ad oggetto la vita umana, prevale l’obbligo di omissione. Chi non agisce lo fa legittimamente. Tuttavia chi decide comunque di agire, andrà esente da pena perché non è formulabile nei suoi confronti un rimprovero in termini di colpevolezza. Quando a collidere siano due doveri di azione e non sia possibile stabilire quale prevalga, l’adempimento di uno sarà sufficiente motivo per la giustificazione dell’inottemperanza all’altro. Questi criteri sono utilizzabili per le ipotesi che la dottrina tedesca chiama di ‘pericolo comune’: sono ipotesi caratterizzate dal fatto che, in caso di inerzia di chi potrebbe intervenire ci sarebbe una grossa perdita di vite umane, e nel caso di un suo intervento, la perdita sarebbe minore. Si è detto che la vita non è un bene bilanciabile; tuttavia non incentivare un intervento in questi casi, significherebbe rinunciare a priori a salvare anche un solo uomo in più. È vero, d’altro canto, che in questi casi il terzo che decide si sostituisce indebitamente al destino, ma è anche vero che, con la sua azione, qualche vita in più viene salvata. La dottrina tedesca ha creato numerosi casi di Gefahrgemeinschaft, tra i quali si possono ricordare381: il Fährmannsfall, nel quale un barcaiolo porta un gruppo di bambini su un fiume impetuoso, ma accortosi in mezzo alla corrente che non può raggiungere la riva con la barca piena e non potendo salvarsi a nuoto, getta in acqua alcuni di essi per salvarne altri; il Ballonfall in cui, in seguito alla caduta di un aerostato in mare, uno dei due componenti l’equipaggio getta in mare l’altro poiché la navicella non può sostenere entrambi. Tuttavia, mentre nel secondo caso citato si è evidentemente di fronte ad un pericolo incombente sull’agente che ne influenza il processo motivazionale e ne determina la scusabilità, nel primo, come nei casi precedentemente riferiti, si è di fronte ad una selezione delle vittime fredda e semplicemente diversa dal decorso naturale delle cose382. La giurisprudenza tedesca risolve il conflitto sicuramente in termini di giustificazione, quando i beni siano bilanciabili come ad esempio per il caso di rottura 380 JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 445; ROXIN, Strafrecht, cit., pag. 659. MEZZETTI Necessitas, cit., pag. 35 in nota. 382 Mezzetti trova la soluzione dei casi nel prospettare una distinzione tra pericoli ‘sicuramente ad esito infausto’ e pericoli solo ‘probabilmente ad esito infausto’: nel primo caso si devono obbligatoriamente salvare alcuni soggetti a discapito degli altri, e il comportamento è non punibile sulla base della coazione di una forza maggiore (art. 45 c.p.). Nel secondo caso, invece, per l’azione di salvataggio esclude la giustificazione in senso tecnico, ma non riduce la valutazione a una mera scusa, preferendo la via di una ‘scriminante’ collocata tra cause di elisione dell’antigiuridicità e cause di esclusione della colpevolezza 381 69 di una diga quando l’acqua rischia di tracimare, causando danni immediati meno gravi di quelli che si verificherebbero in caso di straripamento. Per beni non bilanciabili le soluzioni sono quelle prospettate in precedenza. 1.5 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri La comparazione con l’ordinamento d’oltralpe è particolarmente interessante con riferimento ai casi nei quali la norma è stata invocata per scriminare azioni illecite di autorità pubbliche asseritamente poste in essere a salvaguardia di diritti fondamentali383. Nel 1975 in Germania un gruppo di terroristi di estrema sinistra sequestrò il politico berlinese Lorenz384, chiedendo, quale prezzo per la liberazione, il rilascio di cinque terroristi già condannati alla reclusione e il loro espatrio verso lo Yemen. Lo speciale comitato di crisi appositamente costituito acconsentì alle richieste e dispose, per il mese di marzo, il rilascio e l’espatrio dei cinque carcerati. Il Lorenz venne allora rilasciato. Il Ministero della giustizia diffuse un comunicato in cui spiegava che il comitato aveva agito nella piena consapevolezza della rilevanza penale della condotta integrante i delitti di procurata evasione e favoreggiamento, ma che tale condotta doveva ritenersi giustificata sulla base dello stato di necessità ex § 34 StGB. La liberazione dei prigionieri rappresentava l’unico mezzo per la liberazione dell’ostaggio e nel bilanciamento il valore dell’esecuzione delle pene criminali risultava minore rispetto alla vita di un uomo, anche perché l’uccisione dell’ostaggio sarebbe stata irrimediabile, mentre il danno derivante dalla scarcerazione dei prigionieri era comunque riparabile. Il comunicato precisava, però, che il governo era solo facoltizzato e non obbligato ad acconsentire alle richieste dei terroristi, per evitare che l’accaduto fosse visto come un precedente vincolante. Nel 1977 venne invece rapito il presidente della Confindustria tedesca, Schleyer, ma il governo federale alla richiesta di rilascio condizionata alla liberazione di undici appartenenti al gruppo ‘Baader Meinhof’ oppose un netto rifiuto. I familiari di Schleyer investirono della questione la Corte Costituzionale, adducendo la violazione del diritto alla vita dell’ostaggio, per chiedere di adottare un’ordinanza provvisoria ed urgente che annullasse il rifiuto governativo. Infatti secondo i legali della famiglia il governo era “tenuto ad accogliere le pretese dei rapitori circa la liberazione e la garanzia di libero espatrio dalla Germania federale dei detenuti indicati dai rapitori, come presupposto indispensabile per evitare il minacciato pericolo per la vita del ricorrente”. Una tale decisione doveva considerarsi sostenuta dal principio di eguaglianza, dal momento che uno scambio di prigionieri si era già verificato in occasione del sequestro Lorenz. La Corte rispose385 che lo Stato deve “ergersi a tutore e promotore della vita” e quindi “difenderla anche dagli attentati illegittimi da parte di terzi”. “A questo imperativo devono allinearsi tutti gli organi dello Stato, a seconda dei 383 Particolarmente critico sull’utilizzo della scriminante da parte dello stato è JAHN, Das Strafrecht des Staatnotstandes. Die strafrechtlichen Rectfertigungsgrunde und ihr Verhultins zu Engriff und Intervention in Verfassungs- und Volkerrrecht der gegenwart, Frankfurt a. M., 2004, pag. 273 e ss. 384 La narrazione della vicenda è tratta da VIGANÒ, Stato, cit. pag. 17. 385 BverfG 46 (1977), 160. La sentenza si trova interamente tradotta in Foro it., IV, 1978, pag. 222, con nota di Arato. 70 propri specifici compiti”, ma tuttavia spettava agli organi stessi decidere come adempiere al loro compito. “La loro libertà nella scelta dei mezzi per la tutela della vita si può restringere, in casi particolari, anche alla scelta di un determinato mezzo, se in altra maniera non si può raggiungere una effettiva tutela della vita”; ma ciò non avviene nel caso di ‘ricatti’ terroristici: in queste ipotesi “le misure prescritte si devono adattare alla molteplicità delle situazioni singolari. Esse non possono né in generale essere preventivamente contemplate da una norma, né essere dedotte come norma da un diritto fondamentale della persona”. Un’efficace osservanza del dovere di tutela della generalità dei consociati, presuppone che “gli organo dello Stato siano in grado di reagire adeguatamente alle circostanze del caso singolo di volta in volta ricorrenti; già questa considerazione esclude che possa essere fissato uno specifico mezzo di tutela”. Oppure “la reazione dello Stato diverrebbe prevedibile a priori per i terroristi, col risultato di rendere per lo Stato impossibile l’effettiva tutela dei cittadini”. Proprio per la flessibilità della risposta la Corte escluse la violazione del principio di eguaglianza: “un’identica decisione non può essere imposta in tutti i casi di sequestro”. Lo stato di necessità doveva, quindi, considerarsi come una norma attributiva di un potere eccezionale di risposta ‘flessibile’ a situazioni di emergenza, senza che la rottura della legalità dovesse considerarsi l’oggetto di uno specifico dovere a carico degli organi statali. In conseguenza della posizione assunta dal governo, Schleyer venne barbaramente giustiziato dai terroristi. Era il 2002 quando Magnus Gäfgen, studente di giurisprudenza di Francoforte, rapì e trucidò l’undicenne figlio dei vicini di casa, Jakob von Metzler, occultandone il cadavere in un lago a poca distanza dal centro finanziario tedesco. Catturato dalla polizia, quando ancora non si sapeva che fine avesse fatto il bimbo, Gäfgen fu minacciato di sofferenze “che non avrebbe mai dimenticato” dal numero due della polizia locale Wolfgang Daschner e da un commissario esperto di interrogatori. Le maniere forti vennero, per il vero, solamente minacciate, ma il vice capo della polizia, per questo suo inaccettabile abuso (che lui la definì una mera “pressione”), fu condannato ad un anno di libertà vigilata e 10.800 euro di multa. Tali pene sono in realtà molto basse rispetto ai reati contestati, e ciò in quanto il Tribunale ritenne la sussistenza di “massicce circostanze attenuanti”386. La confessione estorta a Gäfgen durante l’interrogatorio non servì a salvare Jakob, né poté poi essere assunta in sede processuale, in quanto ottenuta illegittimamente. Il caso divise la Germania, e, oggi, l’assassino, al quale fu poi irrogata la pena dell’ergastolo, ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo perché anche la Repubblica federale risponda dell'accaduto. La risposta dell’ordinamento tedesco appare ben diversa da quella dell’ordinamento italiano: là le autorità invocarono direttamente lo stato di necessità del § 34 StGB per assicurare piena libertà di azione al potere esecutivo nella lotta all’eversione, che si concretizzò in una risposta ‘flessibile’ che contemplava la possibilità di una trattativa e concessioni ai terroristi, o nella legittimazione della 386 Il caso è stato deciso con sentenza del 27. Großen Strafkammer des Frankfurter Landgerichts del 20.12.2004 (AZ: 5/27 KLs 7570 Js 203814/03 (4/04)). Difesa e Accusa hanno riununciato all’appello contro il verdetto. 71 compressione dei diritti fondamentali di indagati e imputati. Ma, nell’ordinamento d’oltralpe si possono rinvenire altri casi in cui la norma scriminante si pose a fondamento di poteri extra ordinem, per fronteggiare situazioni di emergenza. Nel 1970, quindi prima della riforma del codice penale, alcuni poliziotti di monaco di Baviera irruppero in una casa privata dove, e lo sapevano con certezza, si svolgeva un commercio illecito di hashish e LSD, pur essendo privi di un mandato giudiziale. Qui sequestrarono ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. Il conduttore dell’abitazione li denunciò per violazione di domicilio, ma furono assolti dall’accusa perché venne ravvisato in loro favore lo stato di necessità giustificante sovralegale387. Nel 1975 i rappresentanti di un istituto pubblico di previdenza sociale avevano fatto eseguire un prelievo di sangue illegittimo dalla vittima di un incidente stradale, per dimostrare che era ubriaco al momento dello schianto e cautelarsi contro eventuali pretese pensionistiche dei suoi familiari. Per la raccolta di tale anomalo mezzo di prova furono accusati di uso illegittimo di cadavere, ma assolti dall’accusa per la giustificazione offerta dal § 34: l’interesse collettivo ad evitare oneri finanziari non dovuti era considerato prevalente sul confliggente interesse di rispetto dei defunti388. Ancora a proposito dell’emergenza terroristica, tra il 1975 e il 1976 la polizia di alcune regioni fu incaricata di registrare segretamente le conversazioni tra imputati detenuti e difensori, per evitare scambi di informazioni con i compagni latitanti; nel 1977 dei microfoni spia vennero installati in abitazioni private senza autorizzazione giudiziaria. Autorevoli esponenti del governo all’opinione pubblica spiegarono tali condotte come giustificate dalla necessità di lotta al terrorismo389. Simili restrizioni delle libertà degli imputati si verificarono anche in occasione del sequestro Schleyer e il Bundesgerichtshof confermò la legittimità ex § 34 StGB degli atti volti ad impedire la comunicazione tra i terroristi detenuti e i loro difensori390. Sotto il profilo dogmatico, una corrente dottrinale ammette l’invocazione dello stato di necessità da parte di organi pubblici ogni volta che occorre tutelare un interesse ‘essenzialmente prevalente’ rispetto a quello tutelato dalle norme procedurali o amministrative violate391. La dottrina dominante critica questa impostazione perché l’applicazione del principio dell’interesse prevalente all’azione dei pubblici poteri comporterebbe la dissoluzione del sistema di norme che descrivono e limitano i poteri delle P.A., lasciando alla loro discrezionalità la determinazione dell’interesse prevalente. Si afferma poi che le norme attributive di poteri già compiono un bilanciamento tra interessi pubblici e interessi privati in speciali situazioni di conflitto, e non possono essere scavalcate da una norma generale come quella del § 34 che non disciplina alcun particolare conflitto di interessi. Il § 34 potrà quindi, per questa 387 OLG München, in NJW 1972, pag. 2275. OLG Frankfurt, in NJW 1975, pag. 271. 389 Dei due casi riferisce VIGANÒ, Stato, cit. pag. 435, e non risulta che abbiano dato luogo a procedimenti penali. 390 BGHSt 27, 260; e la successiva pronuncia della Corte Costituzionale che riconobbe la legittimità costituzionale di una norma ad hoc approvata dal Parlamento tedesco, BverfG 4 ottobre 1977, in NJW 1977, pag. 2157. 391 JAKOBS, AT, cit., 13/42. 388 72 corrente392, venire invocato per quei casi in cui il legislatore non abbia esaustivamente previsto e regolato determinati conflitti di interesse393: cioè ogniqualvolta gli interessi confliggenti nel caso concreto siano diversi da quelli che ispirarono il legislatore o si versi in situazioni del tutto anomale. Ad esempio non è invocabile lo stato di necessità per la violazione delle norme che regolano l’ingresso dei pubblici ufficiali nelle dimore private, a meno che non ci sia un pericolo atipico non tenuto in considerazione dal legislatore quando pose intenzionalmente dei limiti all’attività investigativa della polizia a tutela della riservatezza del privato. O ancora nel disciplinare i colloqui tra imputato e difensore il legislatore avrebbe messo in conto la possibilità che vengano pianificati reati connessi al processo, ma non che filtrino notizie connesse alla commissione di altri delitti: perciò lo stato di necessità si può richiamare per legittimare la registrazione segreta di colloqui ‘sospetti’, come avvenne in occasione del sequestro Schleyer. Altri, infine, prospettano una soluzione differenziata: la norma è applicabile solo quando siano interessati beni statali o della collettività, ed è invece preclusa quando l’ingerenza avviene in beni individuali394. In definitiva, sotto tale profilo, la norma è venuta ad assumere il ruolo di una norma di diritto pubblico395. 1.6 Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904 BGB Da ultimo vale precisare che i paragrafi analizzati non esauriscono la disciplina generale delle situazioni necessitate; per alcuni casi bisogna far riferimento ai §§ 228 e 904 BGB, previgenti rispetto a quelle dell’attuale StGB e sopravvissute all’ingresso della trattazione differenziata in sede penale. Il § 228 BGB disciplina l’intraducibile “Sachwehr”: permette di danneggiare o distruggere una cosa altrui (e analogamente una cosa senza proprietario), per allontanare un pericolo incombente, derivante dalla cosa stessa, quando il danneggiamento o la distruzione siano indispensabili per allontanare il pericolo e il danno non sia sproporzionato396 al pericolo che si deve evitare, escludendo ogni obbligo risarcitorio nei confronti del proprietario della cosa397. Il § 228 trova soprattutto applicazione contro le aggressioni di animali: l’esempio classico proposto è quello dell’uccisione del cane rabbioso. La situazione ipotizzata è affine a quelle in cui si darebbe legittima difesa, ed infatti si parla di ‘stato di necessità difensivo civile’: c’è la naturale idea di difesa dell’interesse minacciato rivolta contro la fonte dell'aggressione; ma l’aggressione in questi casi non è qualificabile come giuridicamente “ingiusta”, anche perché ‘l’aggressore’ non ha soggettività giuridica autonoma, essendo una cosa o “niente più che un fenomeno naturale, che non compie alcuna ingiusta intromissione nella sfera 392 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364.. LENCKNER § 34, cit., n. 7. 394 JOECKS, Studienkommentar,cit., pag. 173 richiama l’opinione di Hirsch. 395 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 440. 396 Non si richiede, quindi, che il bene salvaguardato sia prevalente rispetto a quello sacrificato. 397 Questa definizione della Sachwehr è tratta da JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, Allgemeiner Teil, 5. Auflage, Berlin, 1997, pag. 355. 393 73 giuridica dell’interessato”398. L’azione è quindi diretta contro la ‘cosa minacciante’, ma lede il diritto vantato sulla cosa stessa da un terzo, che resta estraneo al pericolo. Si costituisce un rapporto trilatero, pericolo-pericolante necessitato-terzo su cui il pericolo viene scaricato, e non un rapporto bilaterale come nella legittima difesa, dove il minacciato affronta direttamente, ledendolo nei suoi diritti, il minacciante-fonte del pericolo. In un rapporto a tre, la lesione è procurata al diritto del terzo innocente, ed è per questo che la Sachwehr è trattata dalla manualistica penale tedesca nel capitolo concernente lo stato di necessità399. Altro classico esempio proposto è quello dell’incendio boschivo: la norma permette di combatterlo col disboscamento o appiccando un incendio contrario, che altrimenti rappresenterebbero condotte vietate. La condotta difensiva deve risultare necessaria: se, ad esempio, è possibile allontanare il cane rabbioso con strepiti ed urla, bisognerà tentare per questa via prima di sparargli; se si dice che non deve sussistere grossa sproporzione tra danno cagionato e pericolo evitato, ugualmente la condotta può comunque provocare considerevoli danni (giustificati). La dottrina ammette anche nel caso di ‘difesa da cose’ il soccorso difensivo. Il paragrafo viene inoltre invocato, in un ragionamento analogico400 che sfocia nella creazione di uno stato di necessità difensivo ultralegale, per giustificare quelle azioni di difesa contro un pericolo che proviene dall’uomo401, quando non sia invocabile la legittima difesa: può infatti accadere che una condotta, oltre a non presentarsi come dolosa, non presenti neppure il disvalore di azione di un delitto colposo. Ad esempio l’automobilista che viene tamponato e proiettato sulla corsia opposta, diventa un pericolo per le automobili che sopravvengono, anche se non ha neppure agito. Innumerevoli esempi di non-azioni sono offerti dalla circolazione stradale, ma non solo: ad es. un automobilista finisce, senza poterlo evitare, sul marciapiede a causa di una lastra di ghiaccio; o se c’è pericolo derivante dalla crisi convulsiva di un epilettico; o dal manufatto del vicino. Caso analogo è quello in cui l’azione pericolosa è comunque conforme a regole di diligenza: ad esempio un veicolo per un difetto non riconoscibile va in panne diventando una minaccia per gli altri automobilisti. In tutti questi casi il necessitato si rivolge contro la fonte del pericolo, ma non agisce in legittima difesa perché l’aggressione subita non è giuridicamente ingiusta. Non si può pretendere che chi è minacciato si esponga inerte al pericolo, ma neppure si può riconoscere in capo agli altri automobilisti un diritto di legittima difesa: pertanto si accorda loro un diritto di difesa secondo le regole di uno stato di necessità difensivo. C’è poi qualcuno che lo vorrebbe esteso alle aggressioni di soggetti che agiscono senza colpevolezza o con colpevolezza notevolmente diminuita402. In altri casi, infine, si rinvia all’applicazione del § 228, ma il rinvio è improprio: si deve piuttosto parlare di applicazione analogica dello stesso per i casi di pericoli derivanti da radiazioni. Tuttavia la materia non ha un assetto chiaro e definitivo e si può 398 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 356. Cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 356. 400 Contro la possibilità di estensione analogica delle norme civili è, invece, JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 356. 401 ROXIN, Der durch Menschen ausgeloeste Defensivnotstand, Muenchen, in Festschrift fuer HansHeinrich Jescheck zum 70. Geburstag, Berlin, 1985, vol. I, pag. 457; e ROXIN, Antigiuridicità e cause di giustificazione, a cura di Sergio Moccia, Napoli, 1996, pag. 298. 402 ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 300 cita tra questi JAKOBS, Strafrecht AT, Die Grundlagen und die Zurechnungslehre, 2. Auflage, 1993. 399 74 dire ancora suscettibile di sviluppi e specificazioni. Altro paragrafo del codice civile preso in considerazione dai manuali di diritto penale è il § 904 BGB. Si tratta dello “Zivilrechtische Angriffnotstand” (stato di necessità aggressivo civile). Anche tale norma consente un intervento del pericolante contro beni patrimoniali altrui per la necessità di allontanare un pericolo attuale; ma in questo caso la fonte del pericolo non è riconducibile alla sfera giuridica del titolare dell’interesse sacrificato403 e si fa salvo l’obbligo di risarcire il danno cagionato. La ratio di tale norma poggia sul bilanciamento di interessi, e in coerenza con ciò il soccorso di necessità non subisce alcuna limitazione soggettiva; l’aggressione del bene altrui dev’essere necessaria alla salvaguardia del bene minacciato; tra il danno cagionato e quello evitato non deve esserci sproporzione404, o meglio il danno che l’agente mira ad evitare deve essere notevolmente maggiore di quello arrecato: la clausola di proporzionalità non si ritrova nel testo del § 904, ma si deduce dalle norme penalistiche. Il classico esempio riportato è quello dell’escursionista che, sorpreso in montagna da una tempesta, forza la porta di una baita e lì si rifugia per trovare riparo dalla tormenta. Si sostiene, infine, che il richiamo alla norma sia precluso per necessità di tutela della collettività, quindi per casi che vanno oltre la tutela di beni patrimoniali individuali. Da ultimo, si segnala che anche il codice penale tedesco conosce norme specifiche scriminanti specifici reati nella parte speciale; ad es. il § 218a II StGB concerne una particolare ipotesi di non punibilità dell’interruzione della gravidanza, quando l’interruzione sia necessaria per evitare un pericolo per la vita o la salute della gestante405: “l’interruzione della gravidanza effettuata da parte di un medico con il consenso della gestante non è illecita quando, tenendo in considerazione le attuali e future condizioni di vita della gestante, sulla base di un accertamento medico, l’interruzione è necessaria per evitare un pericolo per la vita della gestante od il pericolo di un grave pregiudizio per il suo stato di salute fisica o psichica, e il pericolo non può essere evitato in altro modo esigibile nei suoi confronti”. Si ha quindi a che fare con un’ipotesi speciale di necessità chiaramente giustificante406. 403 Per questo si parla di stato di necessità aggressivo, contrapposto allo stato di necessità difensivo che si ha quando l’azione necessitata si rivolge contro la fonte stessa del pericolo. Sul punto cfr. FIORE, Diritto penale. Parte generale, Torino, 1993, pag. 335; cfr. inoltre StGB Leipziger Kommentar, Grosskommentar, 11. Auflage, Berlin, 1994, §§34-35 (Bearbeiter: Hans Joachim Hirsch), n. 1. 404 Per la spiegazione dei requisiti della norma e per i casi in cui, invece, alla norma non ci si può appellare, cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 358. 405 Ecco il testo del §218a II StGB: “Der mit Einwillung der Schwangeren von einem Artz vorgenommene Schwangerschaftsabbruch ist nicht rechtswidrig, wenn der Abbruch der Schwangerschaft unter Beruecksichtigung der gegenwaertigen und zukuenftigen Lebensverhaeltnisse der Schwangeren nach aertzlicher Erkenntnis angezeigt ist, um eine Gefahr fuer das Leben der Schwangeren oder die Gefahr einer schwerwiegenden Beeintraechtigung ihres koerperlichen oder seelischen Gesundheitszustandes abzuwenden, und die Gefahr nicht auf andere fuer sie zumutbare Weise abgewendet werden kann”. 406 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 360 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, Muenchen, 2000, pag. 1752 e ss.. 75 2 Lo stato di necessità in altri ordinamenti Affermata la natura pregiuridica ed universale delle situazioni necessitate, e si è detto che le norme poste dai diversi ordinamenti potrebbero essere lette trasversalmente. Pertanto si vuole offrire una panoramica delle scelte operate da altri Stati in subiecta materia. 2.1 In Austria e Svizzera Pur in assenza di previsioni differenziate dello stato di necessità, la dottrina austriaca e quella svizzera giungono a soluzioni simili a quelle raggiunte dalla dottrina tedesca. In Austria, con la vigenza del codice del 1852, come accadeva negli altri ordinamenti ottocenteschi esaminati, la necessità ‘scusante’ era indistinta dalla ‘forza irresistibile’, perché indistinte erano le ipotesi in cui un soggetto non agit, sed agitur e quelle in cui la condotta era determinata da un turbamento motivazionale causato dalla percezione di un pericolo. Poi, verso la metà del Novecento, la dottrina enucleò uno stato di necessità sovralegale giustificante, ancorandolo al principio dell’interesse prevalente. Tale formulazione non venne recepita dal codice del 1975, che al § 10 continua a disciplinare una situazione ricostruita in base al solo principio di inesigibilità di un comportamento diverso, ma resta comunque indiscussa l'esistenza di una norma giustificante che legittima la commissione di fattispecie costituenti reato se perpetrate al fine di tutelare un interesse inequivocabilmente prevalente su quello sacrificato407. Nell’ordinamento elvetico è presente una sola norma, l’art. 34 c.p. vigente (del 1942). Pur in presenza di un unico modello legale, la dottrina dà un’interpretazione differenziata della disposizione: si ritiene infatti operante quale causa di elisione dell’antigiuridicità qualora l’interesse protetto risulti inequivocabilmente prevalente su quello leso; mentre opera quale mera scusante, occorrendo quindi un riscontro del turbamento emotivo dell’agente, nel caso di equivalenza dei beni in conflitto. Questa differenziazione interpretativa è possibile perché la formula dell’inesigibilità, perno della norma, si presta ad avere fondamento diverso, riconducibile talvolta ad un bilanciamento di interessi, talaltra alla non rimproverabilità dell’azione, a seconda dell’atteggiarsi del rapporto di valore tra i beni in conflitto. 2.2 In Norvegia Un’unica disposizione si rinviene anche nel codice norvegese, al § 47 del codice penale, laddove vengono espressi i requisiti per la punibilità, accanto alle norme sull’infermità di mente, la minore età e l’ubriachezza volontaria. Il testo dice che “nessuno può essere punito per un’azione commessa per salvare una persona o un bene da un pericolo altrimenti inevitabile se le circostanze del fatto lo autorizzavano a ritenerlo particolarmente importante rispetto al danno che sarebbe potuto derivare dall’azione commessa” 408. La norma sembra richiamare i requisiti tradizionalmente richiesti in impostazioni oggettive, quali l’estensione a qualsiasi tipo di bene e il bilanciamento, ma la sua particolare collocazione sembra deporre per una ancora non chiara distinzione rispetto ai requisiti necessari per l’imputabilità. 407 408 76 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 94. Codice penale norvegese, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1998. 2.3 In Spagna Nell’ordinamento spagnolo l’esimente comparve per la prima volta nel codice del 1848, dopo che il primo codice nazionale del 1822 l’aveva ignorata, limitandosi a prevedere l’ipotesi del furto per fame come mera circostanza attenuante. La disposizione che sancì la non punibilità di chi avesse recato un danno alla proprietà altrui per evitare un danno maggiore di quello cagionato, però, non si fondava sull’elaborazione del principio generale dell’interesse prevalente, ma trovava il suo antecedente nella legge medievale che consentiva al proprietario di una casa in fiamme di abbattere la casa del vicino per evitare il propagarsi dell’incendio. La prima formulazione scriminante in termini generali dello stato di necessità risale al codice penale del 1928 e si fondava sul principio dell’interesse prevalente, consentendo la lesione di qualsiasi diritto altrui se indispensabile per evitare un danno a salute, vita, libertà o qualsiasi altro interesse proprio o altrui, sempreché il danno evitato fosse maggiore di quello cagionato con la condotta necessitata. La riforma del 1944 ampliò l’ambito di applicazione dell’esimente, ponendo come unica condizione alla liceità della condotta che il danno arrecato non fosse maggiore di quello evitato. Questa formulazione permise alla dottrina più recente di scorgere una scusante basata sull’inesigibilità nei casi in cui gli interessi in conflitto fossero equivalenti. La dottrina dominante, inoltre, poneva l’inesigibilità del comportamento a fondamento di altra autonoma scriminante prevista dal codice: tale norma operava in presenza di un ‘timore insuperabile’, sempre se il male temuto fosse uguale o maggiore di quello provocato per sfuggirvi. Ma risultava oscuro a quali ipotesi, ulteriori rispetto allo stato di necessità, la norma facesse riferimento409. Il nuovo codice penale del 1995 prevede ancora le due ipotesi, ma ne differenzia i requisiti. All’art. 20.5° dichiara esente da responsabilità penale “chi, in stato di necessità, per evitare un’offesa propria o altrui, lede un bene giuridico di altri o viola un dovere, sempre che ricorrano i seguenti requisiti: primo, l’offesa provocata non dev’essere maggiore di quella che si vuole evitare. Secondo, la situazione necessitata non dev’essere intenzionalmente provocata dal soggetto. Terzo, colui il quale si trova nello stato di necessità non ha, in ragione del suo ufficio o dei suoi incarichi, l’obbligo di sacrificarsi.” Sempre all’art. 20.6°, è così formulata la norma sul timore insuperabile: “è esente da responsabilità penale chi agisce spinto da una paura insuperabile”410. L’assenza della clausola di proporzione, invece presente al n.5, permette di invocare il n.6 per le ipotesi in cui il soggetto abbia agito in presenza del pericolo di un grave danno cagionando, però, un male superiore a quello evitato. Resta tuttavia problematico, in riferimento al n.5, rinvenire il fondamento dell’esenzione per i casi di equivalenza dei beni, mentre è pacifico che nei casi di prevalenza dell’interesse salvaguardato si abbia un fondamento oggettivo della norma411. Nonostante queste difficoltà, si può affermare che la valutazione differenziata dello stato di necessità sia un punto fermo anche nell’ambito dell’ordinamento spagnolo 409 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 96. Codice penale spagnolo, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1998. 411 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 97. 410 77 e che questa derivi da una forte influenza della dottrina tedesca412. 2.4 In Portogallo Ancora uno sguardo alle norme del codice portoghese: all’art. 34 attribuisce un vero diritto di necessità413, di chiara impronta oggettiva: “Non è antigiuridico il fatto commesso in quanto mezzo idoneo per allontanare un pericolo attuale che minaccia interessi giuridicamente protetti dell’agente o di un terzo, quando si verifichino i seguenti requisiti: a) Che non sia stata volontariamente causata dall’agente la situazione di pericolo, salvo il caso in cui si protegge l’interesse di un terzo; b) Che l’interesse da salvaguardare prevalga notevolmente rispetto a quello sacrificato; e c) Che, tenuto conto della natura o del valore dell’interesse minacciato, sia ragionevole imporre all’offeso il sacrificio del suo interesse”. Segue poi all’art. 35 l’enunciazione dello stato di necessità scusante: “1. Agisce senza colpevolezza chi commette un fatto antigiuridico idoneo ad allontanare un pericolo attuale e non altrimenti rimovibile che minaccia la vita, l’integrità fisica, l’onore o la libertà dell’agente o di un terzo, quando non è ragionevole esigere da lui, date le circostanze, un comportamento diverso. 2. Se il pericolo minaccia interessi giuridici diversi da quelli indicati nel numero precedente e sussistono gli altri presupposti ivi menzionati, la pena può essere specialmente attenuata o, in casi eccezionali, l’agente può essere dispensato da pena”. Espressamente fondata sul principio di inesigibilità, la figura qui proposta di stato di necessità scusante per la tutela di determinati beni, è anche integrata dall’ulteriore previsione di diminuzione o esclusione della pena nei casi in cui non si voglia muovere un rimprovero all’agente pur essendo la sua azione volta alla tutela di beni di non immediato rilievo esistenziale. In questi casi, tuttavia, sembrano permanere sia l’antigiuridicità che la colpevolezza del fatto illecito, e il fondamento dell’esenzione è forse da rinvenirsi in mere ragioni di opportunità lasciate dal legislatore alla prudente valutazione del giudice. Il codice portoghese fornisce anche una dettagliata disciplina per la soluzione dei conflitti di doveri, che in altri ordinamenti sono considerati quali sottospecie dello stato di necessità, differenziando anche per questi casi le ipotesi giustificanti414 rispetto a quelle scusanti415. 2.5 In Francia Impermeabile, invece, all’influenza della penalistica tedesca è l’ordinamento 412 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 98, in nota, rileva che anche autori che sostengono la sola efficacia giustificante dello stato di necessità, non possono non riconoscere il duplice fondamento sotteso alla giustificazione. Questa tesi fu espressa da GIMBERNAT ORDEIG, Der Notstand: ein Rechtswidrigkeitsproblem, in Festschrift fuer Welzel, 1974, pag. 485, che rappresenta un importante contributo reso, non a caso, in lingua tedesca. 413 Codice penale portoghese, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1997. 414 Art. 36: (Conflitto di doveri) 1. Non è antigiuridico il fatto di chi, in caso di conflitto nel compimento di doveri o di ordini legittimi dell’autorità, adempie un dovere od esegue un ordine di valore uguale o superiore rispetto a quello del dovere o ordine che sacrifica. 2. Il dovere dell’obbedienza gerarchica cessa quando conduce alla commissione di un delitto. 415 Art. 37: (Obbedienza scusante non dovuta). Agisce senza colpevolezza il pubblico ufficiale che esegue un ordine senza sapere che esso porta alla commissione di un delitto, se ciò non è evidente nel quadro delle circostanze che si è rappresentato. 78 francese. Il codice penale napoleonico del 1810, rimasto in vigore fino al 1994, non disciplinava le fattispecie di necessità, ricondotte dalla dottrina alla previsione dell’art. 64, che dichiarava non punibile l’imputato il quale, al momento del fatto, “fosse stato costretto all’azione da una forza alla quale non aveva potuto resistere”. Restavano escluse dal tenore letterale le ipotesi di soccorso di necessità verso terzi estranei, ma furono coperte dall’estensione dell’esimente operata in via giurisprudenziale, per i casi di furto per fame o per infrazioni del codice della strada, senza che mai tuttavia si giungesse ad enunciare l’esistenza di uno stato di necessità sovralegale. Una timida enucleazione di una causa di giustificazione sovralegale a fondamento oggettivo arrivò solo dopo la metà del ‘900: si diceva, infatti, lecita ed approvata dall’ordinamento una condotta che, violando la lettera della legge, tuttavia costituisse il solo mezzo per la salvaguardia di un interesse superiore o equivalente416. L’ipotesi ha trovato collocazione autonoma nel codice del 1994, all’art. 122-7: “Non è penalmente responsabile colui che, di fronte ad un pericolo attuale o imminente che incombe su se stesso, su di un terzo o su di un bene, compie un atto necessario alla salvaguardia della persona o del bene, salvo che vi sia sproporzione tra i mezzi impiegati e la gravità del pericolo”. Il fondamento, per l’illimitata estensione del soccorso di necessità e per la possibilità di tutela di beni patrimoniali, può dirsi oggettivo. Sopravvive poi, all’art. 122-2, una trattazione autonoma e pacificamente a fondamento soggettivo, dello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, ancora confusamente associato al costringimento fisico: non è infatti punibile chi “ha agito sotto l’impero di una forza o di una coazione alla quale non ha potuto resistere”. Tuttavia non si può dire che si tratta di un’ipotesi generale di stato di necessità scusante, applicabile alle situazioni in cui il pericolo deriva da una fonte diversa dalla minaccia umana417; non si può dire, quindi, che la Francia conosca una generale trattazione differenziata dello stato di necessità. 2.6 In Gran Bretagna e negli Stati Uniti Più complesso è il quadro negli ordinamenti di common law. Nell’area più direttamente influenzata dal diritto inglese, già nelle fonti più antiche viene individuata una defence di duress, coincidente con la coazione morale determinata dall’altrui minaccia di morte o di grave danno all’integrità fisica. La minaccia deve essere reale o ragionevolmente ritenuta tale dall’agente e rivolta contro lo stesso o una persona a lui affettivamente legata, e di tale intensità da indurre a reagire una persona di ragionevole forza d’animo come fece l’imputato. Deve inoltre sussistere un nesso causale tra la minaccia e la commissione del fatto. Pur non essendo richiesta la prevalenza del danno evitato su quello cagionato, è tradizionalmente esclusa l’invocabilità della scriminante in riferimento ai reati di tradimento e di assassinio418. Questi requisiti sono frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, e la commissione incaricata di redigere un progetto di codice penale sembra averli accolti, tranne che per la limitazione suddetta, costruendo l’operatività della defence attorno al principio guida di comprensione per l’umana fragilità. 416 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 100. VIGANÒ, Stato, cit. pag. 102. 418 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 103 riferisce di un acceso dibattito, non ancora sopito, riguardante la limitazione. 417 79 L’opera creatrice della giurisprudenza tutt’oggi non cessa di produrre nuove figure in tema di stato di necessità: recentemente ha elaborato un defence di duress of circumstances, che presuppone un pericolo per la vita o l’integrità fisica dell’agente scaturente non da minaccia umana, ma da qualsiasi altra causa, salva sempre la presenza dei requisiti dell’esistenza di un nesso di causalità e del fatto che l’uomo di ragionevole forza d’animo non avrebbe agito diversamente. In questo contesto, quindi, la duress comprensiva di entrambe le figure, si atteggia come causa scusante, indipendente dai rapporti di valore tra i beni in gioco e fondata sull’anormale motivazione dell’agente. Non è invece ancora chiaro, per la scarsità e la contraddittorietà dei precedenti sul punto, se accanto a questa figura ne esista un’altra fondata sul principio del male minore. Il precedente dei naufraghi della Mignonette, condannati a morte per l’assassinio del mozzo e poi graziati dalla regina, sembrerebbe negare l’esistenza di una defence di necessity. Tuttavia il caso contemplava un’ipotesi affatto particolare, che non osta all’individuazione di uno stato di necessità orientato al criterio del male minore, applicato per giustificare azioni meno impressionanti, come il getto in mare delle merci per evitare l’affondamento, l’abbandono dell’aula delle udienze dei giurati per timore di un crollo, l’aborto operato su di una minorenne vittima di una violenza sessuale. Esplicito richiamo alla necessity si trova in una recente sentenza in cui si giustifica la limitazione della libertà personale di una persona affetta da turbe psichiche. Alcune norme di legge, poi, incriminando la condotta in quanto compiuta ‘senza giusta causa’, sembrano considerarla lecita se necessaria alla protezione di beni propri o altrui. C’è molta cautela, comunque, nel riconoscere una causa di giustificazione generale, pur registrandosi qualche apertura almeno in tema di ‘necessità medica’419. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, una scusante di duress è pressoché dovunque espressamente contemplata nelle varie legislazioni, con requisiti affini a quelli previsti nel diritto inglese. Molti degli ordinamenti statunitensi inseriscono poi nei codici penali una defence di necessity420, orientata oggettivamente sul requisito che il danno evitato sia maggiore di quello cagionato, che cioè dalla condotta risulti un saldo sociale attivo. Sono poi riconducibili al paradigma del male minore quelle norme che consentono al personale medico di commettere fattispecie di reato per evitare un maggior danno al paziente. 2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale In chiusura del presente capitolo, meritano un cenno i principi generali del diritto penale internazionale. Con riguardo alle scriminanti (differenti dalle cause di esclusione della giurisdizione della Corte penale internazionale), infatti, è discusso se almeno le principali siano già recepite dal diritto internazionale penale, in quanto ricavabili dai principi generali del diritto, ovvero in quanto limiti taciti dell’illecito penale. Per porre fine ad ogni dubbio, lo statuto della Corte ha provveduto all’espressa previsione delle tre scriminanti principali, quali legittima difesa, stato di necessità e ordine del superiore. 419 VIGANÒ, Stato, cit. pag. 110. 420 Denominata lesser evils o choice of evils. 80 Esse si basano tanto sul canone generalissimo del bilanciamento degli interessi che comporta un giudizio di non punibilità di fatti che offendono interessi equivalenti o inferiori a quelli salvaguardati, quanto sul principio, esso pure generalissimo, del condizionamento della volontà, ossia dell’anormalità della motivazione della persona che si è trovata ad agire in situazioni eccezionali tali che la punibilità deve essere esclusa o comunque diminuita421. Quanto allo stato di necessità, l’art. 31/1d dello Statuto di Roma prevede che una persona non sia penalmente responsabile se al momento del suo comportamento “il comportamento qualificato come sottoposto alla giurisdizione della Corte è stato adottato sotto una coercizione risultante da una minaccia di morte imminente o da un grave pericolo continuo o imminente per l’integrità di tale persona o di un’altra persona e la persona ha agito spinta dal bisogno ed in modo ragionevole per allontanare tale minaccia, a patto che non abbia inteso causare un danno maggiore di quello che cercava di evitare. Tale minaccia può essere stata: i) sia esercitata da altre persone, o ii)costituita da altre circostanze indipendenti dalla volontà”. L’articolo in parola configura un’ipotesi articolata di necessità causata dalla coercizione risultante da una minaccia per la vita che rievoca la necessity by circumstances se scaturisce da eventi naturali e la duress per le ipotesi di minaccia portata da altro soggetto. A ciò si aggiungono i requisiti della ragionevolezza dell’azione e della inevitabilità altrimenti del pericolo. Quanto al requisito della proporzione, esso viene criticato, in quanto, anziché risultare da un giudizio prognostico oggettivo, viene rimesso alla valutazione soggettiva dell’autore necessitato, con ciò prestandosi a scelte arbitrarie e ad una ampia discrezionalità del giudice in tema di prova dello stesso422. Tuttavia si rileva che le suddette scriminanti sono di possibilità applicative pressoché nulle con riguardo ai crimini di genocidio e contro l’umanità sui quali è chiamata a giudicare la Corte, o, comunque, al più marginali rispetto ai fatti costituenti altrimenti crimini di guerra, se posti in essere come reazione difensiva necessitata dall’altrui ingiusta aggressione423. Nella terminologia internazionalistica duress, qualifica la situazione di colui che si trovi ad agire sotto la minaccia, proveniente da una terza persona, di un grave ed irreparabile danno per la vita o per l’intergità fisica, e, in capo al soggetto che ha agito sotto l’effetto di una simile minaccia, non possa essere riconosciuta alcuna responsabilità penale. La necessity, anche se spesso utilizzata come sinonimo di duress, invece rappresenta una categoria più ampia, e si riferisce tanto ai pericoli per la vita o l’integrità fisica determinati dalla minaccia che promana da una terza persona (duress), quanto ai pericoli che scaturiscono da circostanze naturali incontrollabili per l’uomomedio (necessity by circumstances). 421 MEZZETTI, Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 237. 422 MEZZETTI, Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 252 423 MANTOVANI, Sui principi generali del diritto internazionale penale, in RIDPP, 2003, 1-2, 40. 81 Per quanto concerne le condizioni necessarie all’applicabilità della defence di duress, possono essere individuate quattro stringenti condizioni di applicabilità, delle quali è richiesta la contemporanea presenza per l’operatività come defence. In particolare: a) l’azione incriminata deve essere posta in essere sotto l’effetto di una minaccia imminente di un grave ed irreparabile danno alla vita o all’integrità fisica; b) non esistevano mezzi alternativi per evitare tale danno; c) il crimine commesso non risulta essere sproporzionato rispetto al danno minacciato. In altre parole, il crimine commesso sotto duress deve consistere nel minore dei due mali; d) la situazione che conduce alla duress non deve essere stata volontariamente prodotta dalla persona coartata. All’evidenza, i requisiti sopra menzionati riecheggiano quelli comunemente richiesti nei diversi ordinamenti penali nazionali, anche di civil law. È qui sufficiente rilevare che è il requisito della proporzionalità a presentare da sempre i maggiori aspetti problematici: se la proporzionalità è intesa in senso ampio allora tale condizione è soddisfatta quando il bene salvato e quello sacrificato si equivalgono o quando quello salvato ha un valore superiore424. Se, invece, la proporzionalità è intesa in senso stretto allora si richiede un saldo positivo tra i beni giuridici in gioco425. Invero, anche nei sistemi di common law è richiesto il requisito la proporzionalità, che viene desunta dal c.d. test oggettivo: in sostanza, si richiede che la minaccia abbia un’intensità tale da indurre ad agire, nel modo in cui ha agito l’autore del fatto, una persona di ragionevole forza d’animo. Per l’operatività della defence di duress, è necessario che tale test abbia un esito positivo. Si segnala che, però, in caso di condotte omicidiarie il risultato è invece sempre considerato negativo. Questa diversità rende evidente che nei paesi di common law la defence di duress non viene ascritta alla logica della giustificazione, ma a quella della scusa, restando la condotta antigiuridica, ma venendo scusato il soggetto perché si ritiene che non potesse esigersi da lui, in quella particolare situazione, una condotta diversa. Fermo restando che, laddove ci si trovi di fronte a situazioni nelle quali si deve scegliere tra la propria vita e quella di un innocente, gli ordinamenti di common law impongono l’eroismo del self sacrifice. Infine è opportuno soffermarsi sul requisito della causazione volontaria della situazione necessitante, in ragione della sua particolare rilevanza nelle situazioni di tipo bellico. 424 Secondo un tale approccio un soggetto minacciato di morte sarebbe giustificato nel caso in cui uccidesse una o più persone per salvare la propria vita, dato che i beni giuridici in gioco si equivalgono sotto il profilo qualitativo. 425 Allora se ad esempio una persona è stata minacciata di morte nel caso in cui non proceda all’uccisione di altre persone, e decide di agire, la defence di duress opera nei suoi confronti come scriminante solo previa dimostrazione che anche senza l’esecuzione dell’ordine da parte dell’agente le persone minacciate sarebbero comunque state uccise e che, di conseguenza, al sacrificio delle loro vite si sarebbe aggiunto il sacrificio di vita dell’agente stesso. In questo modo si dimostrerebbe l’esistenza di un saldo positivo. 82 L’elemento di maggiore complessità è connesso alla diversità di approccio alla defence di duress tra i sistemi di common law e quelli di civil law: nei secondi, infatti, verificati i requisiti, la defence opera con riguardo a qualsiasi condotta criminosa, a prescindere dalla gravità del reato in cui essa si concreta. Negli ordinamenti giuridici di common law, invece, consta l’importante eccezione all’operatività della defence nel caso di commissione di delitti omicidiari. Questa notevole differenza tra gli ordinamenti giuridici di common law e di civil law si riverbera nel diritto penale internazionale, dal momento che le fattispecie di diritto penale internazionale, qualificate come crimini di guerra e crimini contro l’umanità, si concretano molto spesso in omicidi di persone innocenti. E, di fronte ad atti di genocidio o a crimini di guerra che si sostanzino in uccisioni, sembra dubitabile che possa invocarsi la defence di duress. 83 84 CAPITOLO TERZO Stato di necessità e tutela della collettività 1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee .................................... 85 1.1 Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività ..................................... 87 1.2 Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo attuale? ................................................................................................................... 89 1.3 La gravità del male minacciato .................................................................. 91 2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”? ................ 92 2.1 La necessità legittima la tortura? ................................................................ 92 2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della Corte Europea ......................................................................................................... 96 2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento ............................... 103 2.4 Lo scenario italiano .................................................................................. 106 2.5 Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo. Prime conclusioni in tema di tortura .................................................................... 108 3 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition ............................................ 110 4 Segue: la tutela della legalità in quanto tale ..................................................... 112 5 Conclusioni ....................................................................................................... 113 1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee È a tutti noto che dopo l’attacco kamikaze alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 è alta l’allerta mondiale nei confronti del terrorismo di matrice islamica. Dalle pagine dei quotidiani o dai servizi televisivi si apprendono notizie di nuovi attacchi kamikaze, non solo nelle zone calde del vicino oriente, ma nei luoghi più diversificati. Il problema riguarda tutti, ed anche la società e l’ordinamento italiani, perché gli estremisti islamici hanno fondi e strutture in tutta Europa, comprese cellule nel nostro Paese. Il terrorismo ha assunto dimensioni globali e, sia tra la gente comune che tra i responsabili della sicurezza quali mezzi, anche eccezionali, siano giustificati dall’importanza del fine della lotta contro il terrorismo, e dalle condizioni d’emergenza in cui è giocoforza perseguirlo426. In altre parole, capita di chiedersi sempre più spesso se nella lotta al terrorismo sia consentito alle pubbliche autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni giuridicamente disciplinate, violare il limite della legalità, assumendo condotte integranti fattispecie di reato, al fine di tutelare la collettività, evidentemente in danno di terroristi o presunti tali, giovandosi poi della scriminante dello stato di necessità. È cosa nota che il legislatore italiano ha affrontato l’emergenza adottando una disciplina specifica e predisponendo una serie di riforme in tema di reati terroristici, segreto di stato e servizi segreti. Ma, nondimeno, vale la pena indagare se condotte asseritamente tenute in nome della tutela della collettività (dal pericolo terroristico) possano venire giustificate e/o scusate sulla base di principi generali dell’ordinamento. 426 È la domanda che si pone PULITANÒ, Inquisizione, cit., pag. 231. 85 Al centro dell’analisi vi è il conflitto tra legalità e sicurezza, che si gioca tra le opinioni di chi ritiene che il rispetto dell’una vada a scapito dell’altra e chi, invece, sostiene che l’una venga rafforzata dal rispetto dell’altra. Vale segnalare che già dall’anno 2006 ha preso avvio un interessante dibattito anche al di fuori del mondo accademico, sul ruolo del diritto penale nel contrasto al terrorismo di matrice islamica427, con la contrapposizione delle tesi di chi ritiene che l’emergenza terroristica imponga un compromesso tra sicurezza nazionale e stato di diritto, identificando una zona grigia tra legalità e illegalità, (in cui gli operatori di sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi, ovvero uno “stato di eccezione”); e di chi ritiene che lo stato di diritto debba avere la precedenza su tutto428. In Italia la questione è stata sollevata da un intervento di Angelo Panebianco429, il quale ha sostenuto che, in situazioni di emergenza, sia giusto accettare quello che viene definito come il giusto compromesso. “Lo stato di diritto deve convivere, se si vuole sopravvivere, con le esigenze della sicurezza nazionale. Il che significa che si deve accettare per forza un compromesso, riconoscere che, quando è in gioco la sopravvivenza della comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve essere ammessa l'esistenza di una «zona grigia», a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli operatori della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi”. In tale prospettiva, si sostiene che lo Stato di diritto è solo uno strumento che serve per la convivenza della società in situazioni di normalità. Quando invece si creano situazioni di emergenza è necessario riconoscere che per la sopravvivenza stessa della democrazia si deve far ricorso a mezzi straordinari, perché non si posso usare gli stessi “strumenti con cui ci si difende dai ladri di polli o dai rapinatori di banche” per combattere il terrorismo. Il dibattito appena accennato trova eco anche nella dottrina penalistica internazionale, dove si rinviene anche una corrente di pensiero che, descrivendo le nuove emergenze come una guerra, teorizza un sistema di contrasto eterogeneo dal diritto penale ordinario, un diritto penale del nemico, difficilmente compatibile con l’anima garantista del sistema penale ordinario. Nello stato di eccezione, si dice, si creano regole giuridiche eccezionali ispirate ad una logica di guerra. La specificità di tale logica è quella della sospensione di alcuni diritto fondamentali: al delinquente normale vanno riservati i diritti e le garanzie derivanti dallo status di cittadino; al delinquente che minaccia l’ordine sociale, diventando un avversario dell’ordinamento giuridico, spetta invece lo status di nemico, e nei suoi confronti si ammette una sospensione delle garanzie connesse al principio di colpevolezza430. La democrazia puramente maggioritaria, in questi casi, rischia la deriva e 427 PANEBIANCO, in corriere della Sera del 13 agosto, 15 agosto e 3 settembre 2006. CORDERO, il diritto nell’era del terrorismo, in Repubblica, 28.08.2006. 429 Corriere della sera, 13 agosto 2006, Il compromesso necessario, di Angelo Panebianco. La posizione assunta dall’autore sorge in relazione alle polemiche suscitate dall’arresto di Abu Omar, e altri mezzi adottati dalle forze dell’ordine statunitensi nella lotta contro il terrorismo islamico. Aprendo un’interessante querelle a cui hanno preso parte Zagrebelsky (Corriere della sera, 18 settembre 2006) e Sofri( Corriere della sera, 25 settembre 2006) tra gli altri. 430 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, in Cass. pen., 2006, 750, BEVERE, Il diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, in Crit. Dir., 2008, 3-4, p.227; CATTANEO, Riflessioni sul diritto penale del “nemico”, in crit. Dir., 2008, 1-2, p.141; PAGLIARO, “Diritto penale dl nemico” : una costruzione illogica e pericolosa, in CP, 2010, 6, 2460. 428 86 soprattutto la strumentalizzazione dell’opinione pubblica, attesa la politicità del problema. E, posto che sul richiamo ai diritti fondamentali concordano tutti, si deve finalmente riconoscere che per rendere tali diritti effettivamente vincolanti anche all’atto pratico, il giurista deve porvi la giusta attenzione, tesa ad uno sforzo definitorio e di concretizzazione dei valori in gioco. Occorre quindi indagare proprio sui valori in gioco e sulle possibilità di bilanciamento, ed occorre altresì verificare se, nella fattispecie, ricorrano i presupposti di attualità del pericolo, di gravità della minaccia, di inevitabilità altrimenti e se sia rispettato il requisito della proporzione ai fini dell’invocabilità della scriminante oggetto di studio. Dalla disamina di tali elementi dovrà quindi evincersi se il conflitto tra legalità e sicurezza possa, ed eventualmente con che limiti, trovare una risoluzione nella logica della necessità. 1.1 Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività In primo luogo merita di venire tratteggiato il bene protetto per la cui tutela si agisce, ossia la sicurezza della collettività431, e a tale analisi verrà dedicato questo primo paragrafo. Si fa notare che il concetto di sicurezza è connaturale alla convivenza sociale432: allorché gli individui si organizzano in un gruppo, sorge l’esigenza di tutela non solo dei singoli, ma del gruppo stessi da pericoli, sia esterni che interni. Anzi, secondo alcune teorie, la sicurezza degli individui è una delle giustificazioni del patto sociale e del riconoscimento di un superiore potere sovrano. Si arriva, per questa via, ad enucleare due dimensioni della sicurezza: sicurezza da potenziali intrusioni nell’ambito di sfere individuali di libertà, e sicurezza di poter esprimere appieno la propria personalità. Sotto il primo profilo, nel nostro ordinamento sono previste diverse legittime ipotesi di limitazione della sfera della sicurezza personale dei singoli individui da parte delle pubbliche autorità. Tali previsioni sono peraltro corredate di garanzie particolarmente significative, soprattutto in ambito penale (dalla riserva di legge alle garanzie più strettamente procedurali). La sicurezza personale viene così garantita anche da una serie di limitazione all’azione dei pubblici poteri. Nel contempo, si garantisce la sicurezza collettiva, affidata agli interventi dell’Amministrazione, che dovranno svolgersi nel rispetto delle norme e dei principi costituzionali433. La sicurezza “giuridica”, come detto, nasce dalla soggezione generalizzata alla legge, ovvero nel conoscere, a priori, il limite delle proprie azioni nello svolgimento dei rapporti sociali434. Dall’idea hobbesiana della sicurezza come fondamento del potere, e per certi 431 INSOLERA, Sicurezza e ordine pubblico, in IP, 2010, 1, p. 27; HASSEMER, sicurezza mediante il diritto penale (traduzione di Cavaliere), in crit. Dir., 2008, 15. Si segnala che CAVALIERE, Può la sicurezza costituire un bene giuridico o una funzione del diritto penale?, in Crit. Dir., 2009, p.43, ritiene che la sicurezza non possa costituire un bene giuridico a sé. 432 Di sicurezza parla anche l’art. 29 TUE, elevandola a finalità delle istituzioni europee. 433 Si rammenta, peraltro, che l’ordine pubblico e la sicurezza rientrano nell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato. 434 FROSINI, Il diritto costituzionale alla sicurezza, in www.forumcostituzionale.it 87 versi anche della legalità, si approda poi alla concezione della sicurezza come diritto: è nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 che troviamo, all'art. 2, il “diritto alla sicurezza” tra i diritti naturali e inalienabili dell'uomo, accanto alla libertà, alla proprietà, alla resistenza e all’oppressione. Pertanto, la sicurezza può qualificarsi come bene inscindibilmente legato alla vita, alla incolumità fisica, al benessere dell'uomo e alla qualità della sua esistenza, nonché alla dignità della persona. Da ciò discende che la sua titolarità è in capo allo Stato, nella forma di interesse a garantire una situazione di pace sociale, ma è altresì riferibile a ciascun individuo come diritto a un’esistenza protetta, indispensabile al godimento degli altri diritti di cui è titolare in condizioni di sicurezza. La sicurezza, quindi, diviene un valore ambivalente: da un lato assurge al rango di diritto della persona, dall’altro integra una situazione ambientale che caratterizza lo stato dell’intera comunità in cui la persona si esprime. Tale passaggio rappresenta la chiave di volta del passaggio da concetto “statico” ad un concetto “dinamico”, dallo stato di diritto allo stato di prevenzione. Più precisamente, il legislatore si dedica ad assicurare i cittadini sui beni giuridici minacciati e messi in pericolo; ed allora accade che, nei momenti di tensione, lo stato di diritto, che garantisce la certezza del diritto, viene a essere ampliato dallo stato di prevenzione, e la tutela viene rivolta direttamente ai beni giuridici. Sicurezza, allora, significa non solo la coscienza della libertà garantita all'individuo ma l’affermazione di un’attività statale per tutelare il cittadino da rischi e pericoli sociali causati dal crimine. La garanzia della sicurezza contro un nemico costante è divenuta l’imperativo categorico dello stato attuale. Vale in proposito rilevare come lo sviluppo tecnologico e la conseguente moltiplicazione delle fonti di rischio innescano una spirale in cui il pericolo è socialmente percepito come una costante, non circoscritto a contesti specifici e marginali, ma suscettibile di incidere su chiunque435. Ecco allora che il concetto di sicurezza collettiva, garantita dallo stato con azione di prevenzione, viene a sovrastare il concetto di sicurezza individuale, e, così, a trovarsi in antitesi con il concetto di legalità: ciò accade in particolare quando si ammette la tutela della prima a scapito della seconda, ossia quando lo Stato, in nome della prevenzione, ritiene superabili i limiti che lo stesso ordinamento ha posto all’esercizio del potere (es. fattispecie di reato). Vale quindi osservare, a proposito del concetto di sicurezza, che la sue essenza ultima deve essere ricondotta alla sfera dell’esercizio del potere politico. In definitiva, la sicurezza della collettività non può ricondursi (e ridursi) alla tutela dell’incolumità fisica di più persone, ma, di fronte all’emergenza terroristica, essa viene in evidenza come tutela dell’ordinamento stesso: invero, atteso che l’atto terroristico è qualificabile, in via di estrema sintesi, come un’aggressione all’ordine costituito,436 la tutela della collettività minacciata si risolve in tutela dell’ordinamento in quanto tale. Emerge quindi una prima criticità dell’indagine: il concetto più o meno esteso di 435 RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 182 Per il vero, anche la nozione di terrorismo è assai diversa da Paese a Paese. Si può infatti osservare che un atto violento che un determinato ordinamento giuridico, fondato su un determinato sistema ideologico, qualifica come terroristico, per altro ordinamento potrebbe invece costituire l’atto fondativo di un nuovo patto costituzionale. 436 88 “sicurezza nazionale”, che rappresenta il bene giuridico di cui si persegue la tutela, amplia o riduce i confini dell’azione necessitata. In altre parole, alla variazione di tale concetto in relazione ai singoli Stati, al mutare dei contesti storici e delle priorità può mutare anche l’estensione della scriminante della necessità. Così individuato il bene, appare evidente che lo scopo di tutela dello stesso non può avere alcuna funzione selettiva della condotta necessitata437, ed occorre quindi proseguire nello sforzo definitorio per concretizzare gli parametri di giudizio438. 1.2 Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo attuale? Quanto alla concretizzazione del concetto di pericolo, incerta è la nozione giuridica di emergenza e sembra in parte differenziarsi da Paese a Paese. A ben vedere, nei diversi ordinamenti giuridici spesso non se ne dà una definizione giuridica o comunque il termine è accostato ad altri che consentono di qualificarne meglio il contenuto nella concreta situazione. Si può così tentare di definire “emergenza” ogni situazione nella quale le norme giuridiche vigenti si rivelano inadeguate a rimediare alle lesioni o ai pericoli di lesione grave ai principi fondamentali dell’ordinamento, che provengono da accadimenti naturali o da comportamenti umani imprevisti o imprevedibili: tra tali eventi vi sono le guerre, le guerre civili, le crisi economiche, le catastrofi naturali e i disastri ambientali, le varie forme di criminalità organizzata, tra le quali spicca quella terroristica. Con particolare riguardo a quest’ultima, il terrore appare il nucleo essenziale del fenomeno, atteso che la finalità principale di gruppi terroristici pare quella di compiere azioni violente che hanno finalità latu sensu politiche, miranti da una lato a generare una condizione collettiva di grande timore e, dall’altro, a diffondere tra la popolazione una notevole sfiducia nelle capacità degli organi istituzionali di garantire la sicurezza della collettività. La dottrina penalistica individua un elemento oggettivo ed uno soggettivo del terrorismo. Sotto il primo profilo (oggettivo), si ritiene che l’atto terroristico sia caratterizzato da peculiarità riconducibili alla qualità della persona offesa, rappresentante in qualche modo le istituzioni; alla potenzialità dell’offesa capace di rivolgersi a persone indeterminate e, quindi, di ingenerare timore nella collettività; all'estraneità delle vittime ai rapporti interpersonali del terrorista, in quanto le vittime rilevano non per i loro rapporti con l’agente, ma per i loro rapporti con le istituzioni ovvero per il solo fatto di essere parte della collettività. Infatti il terrorismo trascende la mera violenza, che presuppone un aggressore ed una vittima, e coinvolge anche una terza parte, ossia l’insieme dei cittadini e/o i pubblici poteri, vittime ultime dell’intimidazione perpetrata per mezzo della vittima. Sotto il secondo profilo (soggettivo), l’atto terroristico si caratterizza per la finalità ideologica che lo sorregge e per la finalità politica in vista del quale è compiuto, secondo combinazioni variabili. 437 In altre parole, una condotta non sarà scriminabile solo per il fatto di essere finalizzata alla tutela della sicurezza collettiva. 438 HASSEMER, sicurezza mediante il diritto penale (traduzione di Cavaliere), cit., 38, esorta al rispetto delle tradizioni fondamentali del diritto penale perché solo garantendo la centralità della persona, una risposta adeguata all’illecito e alla colpevolezza, gli scopi di tutela e l’umanità del diritto, si può dare sicurezza mediante il diritto penale. 89 Vale sin da ora osservare alcuni generici caratteri comuni delle legislazioni predisposte da stati democratici per fronteggiare il fenomeno terrorista: un primo gruppo di disposizioni prevede le diverse fattispecie di reati di terrorismo; un secondo gruppo di disposizioni prevede il rafforzamento dei poteri di controllo e di indagine a disposizione delle autorità di pubblica sicurezza e dell’autorità giudiziaria (con una tendenziale crescita dei poteri delle forze di polizia rispetto alle competenze degli organi giudiziari); un terzo gruppo prevede, per tutti i cittadini ovvero talvolta soltanto per gli stranieri, specifiche misure restrittive della libertà personale, della libertà di domicilio, della libertà e segretezza delle comunicazioni, della libertà di circolazione e di soggiorno; un quarto gruppo, infine, istituisce o rafforza le competenze di speciali organi governativi (e nei sistemi federali o regionali degli organi centrali o federali a scapito degli organi dei singoli stati o delle singole regioni) finalizzate alla prevenzione e al contrasto di ogni forma di atto terroristico. In simili circostanze i pubblici poteri, una volta accertata l’esistenza di una situazione di emergenza sono posti nelle condizioni di adottare nuove norme e provvedimenti tendenzialmente urgenti e temporanei che innovano a livello legislativo l’ordinamento giuridico oppure hanno la possibilità di applicare quelle norme preventivamente predisposte per simili evenienze eccezionali439: si possono avere così deroghe temporanee alle stesse norme costituzionali o addirittura una sospensione dell’efficacia delle stesse con l’instaurazione di un particolare tipo di “stato d’eccezione” preventivamente disciplinato finalizzato alla tutela dei principi fondamentali dell’ordinamento e al ripristino della normalità costituzionale440. Il ricorso allo stato di necessità, peraltro, non viene escluso dalla predisposizione di siffatti armamentari legislativi, poiché, come già detto, residua uno spazio per l’applicabilità soprattutto laddove vengano rafforzati i poteri di controllo e di indagine dell’autorità di pubblica sicurezza ed è comunque interessante indagare sulla possibilità di giustificazione sulla scorta dei principi generali, quando l’azione comunque si spinga oltre i limiti legislativamente disciplinati. In ogni caso, quindi, l’emergenza terroristica sembra poter integrare una fonte di pericolo prevista dall’art. 54 c.p.. Vale comunque svolgere qualche breve considerazione sul requisito dell’attualità del pericolo, che sembra dotato di efficacia selettiva delle condotte. Infatti, quando il pericolo è imminente, ossia individuato e circoscritto, può ritenersi integrato il requisito, e, ferma la verifica degli altri elementi richiesti dalla norma, può ritenersi operante la scriminante in esame441. Ciò avviene, ad esempio, in caso di ostaggi. Per il vero, anche se ci fosse un unico ostaggio, si può comunque ipotizzare la giustificazione di eventuali interventi praeter legem: infatti non si accede ad una valutazione del bene tutelato in termini meramente quantitativi442 e deve pertanto 439 Si vedano, infatti, le scelte di diversi ordinamenti di fronte all’emergenza terroristica compendiate nel cap V del presente lavoro 440 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160 441 Similmente a quanto sostenuto nell’analisi dei singoli requisiti condotta nel capitolo I del presente lavoro. 442 Anche la dottrina tedesca sembra rifiutare il ricorso ad un criterio meramente quantitativo, come si vedrà nel paragrafo dedicato. 90 escludersi che l’azione volta alla tutela di una sola potenziale vittima abbia minore significato di quella volta alla tutela di più individui443. Senza dire che, poi, la strumentalizzazione politica del rischio di vittimizzazione induce l’identificazione empatica del corpo sociale nella vittima minacciata dal criminal-nemico444 e, così, in tale prospettiva il ricorso alla scriminante per la neutralizzazione del criminale-nemico si impone in nome della tutela della società (e della governabilità). Similmente deve concludersi per i casi in cui il danno minacciato può verificarsi in un futuro prossimo, purchè abbia una certa consistenza almeno nell’an e non si tratti di semplice timore dello stesso o di danni meramente eventuali e a carico di soggetti indeterminati. Come già esposto nella trattazione generale, può anche trattarsi di un pericolo perdurante, la cui verificazione è così probabile che si ritengono da subito necessarie misure per la protezione del bene. Ciò accade, ad esempio, in caso di attacchi annunciati, laddove può ritenersi accettabile il ricorso alla scriminante (sempre ferma restando la sussistenza degli altri requisiti). Occorre invece essere più cauti quando il pericolo sia meramente eventuale, ossia quando l’azione dei pubblici poteri si presenti come eminentemente preventiva. In tal caso, infatti, viene senz’altro meno il requisito dell’attualità, dal momento che il pericolo è meramente potenziale e ancora non si sa se avrà l’attitudine a concretizzarsi. In simili ipotesi, quindi, sembra da escludersi la pertinenza del richiamo alla scriminante e devono rimanere ferme le garanzie dello stato di diritto. Possono rientrare in siffatta fattispecie i casi in cui il pericolo imminente sia cessato, ma occorra proseguire l’azione di contrasto al terrorismo per evitare il ripresentarsi della situazione di pericolo, ovvero al fine di sgominare la cellula operativa445. È appena il caso di precisare, in proposito, che tale impostazione non lascia certo priva di protezione la collettività, dal momento che l’ordinamento prevede appositi strumenti di indagine e espressi poteri già disciplinati. Ed è per tale ragione che non merita giustificazione il superamento dei limiti dettati dal diritto positivo, tanto più in considerazione del fatto che la legislazione emergenziale (per lo più applicabile alla fattispecie) ha già predisposto gli idonei strumenti per perseguire una tutela preventiva del bene. Tali considerazioni, in conclusione, evidenziano la funzione selettiva del requisito dell’attualità del pericolo. 1.3 La gravità del male minacciato Come già detto, il danno grave alla persona è stato interpretato in senso lato, e sembra quindi offrire un valido appiglio per l’applicabilità della scriminante in tutte le situazioni considerate: sia nel caso di ostaggi, sia nel caso di attacchi annunciati. Tanto più che, di fronte all’emergenza terroristica, come sopra ricordato, il danno alla persona si risolve in un danno alla collettività e/o ai pubblici poteri, 443 Non sembra fuori luogo, in proposito, il richiamo al caso Moro, laddove lo statista è stato scelto non come individuo ma come simbolo del sistema che le BR volevano contrastare. 444 RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 185. 445 Come ad esempio accadde nel caso Dozier, dopo la liberazione dell’ostaggio. 91 coinvolgendoli come bersaglio ultimo dell’intimidazione: in tali casi la gravità del danno non può che ritrovarsi in re ipsa, poiché riguarda, in ultima analisi, la sopravvivenza stessa dell’ordinamento. In definitiva, quindi, può affermarsi che la gravità del danno non abbia alcuna efficacia selettiva nelle fattispecie in esame. 2. Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”? Quanto ai requisiti della proporzione e dell’inevitabilità altrimenti, questi sono strettamente connessi al bene “sacrificato”, in quanto, come detto, vanno accertati sulla base di un confronto tra i mezzi difensivi che il soggetto aveva a propria disposizione ed i mezzi in concreto usati. Pertanto, per la verifica della loro sussistenza va fatta una preliminare disamina dei diritti che possono venire compromessi o lesi dall’azione dei pubblici poteri asseritamente compiuta in nome della tutela della collettività. All’evidenza, il più significativo valore tutelato dall’ordinamento e messo in discussione è quello dell’incolumità fisica del nemico-criminale e in tale prospettiva viene in evidenza il dibattito sociale in tema di tortura. Vi sono tuttavia altri beni comprimibili, come la libertà di movimento, e in tal caso il riferimento inevitabile è alle c.d. rendition. Inoltre, si possono poi prospettare lesioni di altri diritti, pure costituzionalmente garantiti, come la segretezza della corrispondenza, il diritto alla privacy, l’inviolabilità del domicilio e simili. Da ultimo viene in evidenza anche il valore della legalità in quanto tale, qualora lo Stato sia invitato a scendere a patti con i terroristi, e i pubblici funzionari si trovino costretti a scegliere se “allargare le maglie” dello stato di diritto, “potenziando” i diritti del singolo (terrorista) a scapito della collettività. 2.1 La necessità legittima la tortura? Una particolare attenzione merita la questione della tortura. Come noto, la tortura si è espressa storicamente - giustificata, teorizzata e legalmente ammessa- a due fini: nel processi penale come strumento inquisitorio, per strappare la verità all’imputato in processi penali, ovvero come strumento di ricerca prova; oppure come sanzione penale. La tortura è fenomeno antico che affonda le proprie radici nella storia dell’uomo e la campagna abolizionista vittoriosamente condotta dai riformatori illuministi446 ha 446 In argomento, non può non accennarsi agli autori italiani hanno contribuito alla condanna della tortura con le loro opere. Tra questi Beccarla (Dei Delitti e delle Pene -1764), Verri (Osservazioni sulla Tortura 1804), e Manzoni (Storia della Colonna Infame -1840). Il primo Autore analizza la tortura del reo perpetrata per costringerlo a confessare un delitto, per verificare le contraddizioni nelle quali il reo incorre, o per facilitare la scoperta dei complici. Sul presupposto che in assenza di una condanna definitiva un uomo non può essere chiamato “reo” ne può essere privato di pubblica protezione, e su quello che il delitto può essere certo o incerto, l’Autore afferma che nel primo caso sarà punito con la pena prevista per il reato commesso, mentre nel secondo non vi è alcun diritto di tormentare un innocente. Quanto alla tortura inflitta nella ricerca della verità, l’Autore chiarisce che se tale verità difficilmente si scopre in un soggetto tranquillo e non sottoposto a tortura, molto meno la si può ricavare da un uomo in cui il dolore altera ogni sensazione e comportamento, e che può essere indotto a dichiarare qualsiasi cosa solo per eliminare o almeno sospendere la sofferenza. 92 relegato le pratiche di tortura nel mondo dell’illecito, ma non ha potuto estirparla dalla realtà fattuale. In altre parole, si è avuto (solo) un mutamento della nozione di tortura, che ha assunto una dimensione oscura e illecita, divenendo l’oscuro e denegato strumento cui ricorrono servizi di sicurezza, forze di polizia e apparati militari per estorcere informazioni, punire colpevoli o reprimere nemici ideologici. Chi subisce atti di tortura viene degradato dallo status di cittadino a oggetto senza diritti e senza tutele. In epoca relativamente recente, inoltre, la tortura è riapparsa, con scopi differenti, non solo in stati illiberali, dove mancano le garanzie istituzionali e processuali, rappresentando una ricaduta nella barbarie in paesi essenzialmente democratici447, e si esprime con modalità più sofisticate, mediante l’inflizione di dolori fisici con strumenti sempre più raffinati, che non lasciano tracce448. Quanto alle teorizzazioni sulla legittimità della tortura stessa, merita attenzione la tesi di Dershowitz449, che non deve essere liquidata in chiave semplicistica. Il noto professore americano parte dalla constatazione, ineccepibile, che le forze dell’ordine, Anche il Verri è stato deciso fautore dell’abolizione della tortura, quale “pretesa ricerca della verità con i tormenti”: in caso di rei robusti decisi a morire di spasmi per i tormenti stessi piuttosto che autoaccusarsi la tortura appare infatti inutile, negli altri casi potrebbe provocare una confessione menzognera, dettata dalla sola regione di sottrarsi al dolore fisico. Tale constatazione del Verri ha invitato alla riflessione molti studiosi e criminologi che hanno più tardi affrontato il medesimo problema. Nella Storia della Colonna Infame anche il Manzoni stigmatizza la tortura, affinché non divenga modo di affrontare situazioni eccezionali dando ascolto alle voci della paura e dei più profondi istinti anziché alla voce della ragione e della civiltà. Cfr. BIANCHI, Commento alla storia della colonna infame, Milano, 1980. 447 Ad esempio, i paesi balcanici hanno conosciuto la tortura sistematica su base etnica, inflitta alla popolazione civile durante i conflitti di Bosnia (1991-1995) e Kosovo (1997-1999). Le torture a sfondo sessuale sono state predominanti e ne sono state vittime soprattutto le donne Inoltre, i decessi durante il periodo di custodia, causati dai maltrattamenti e dalle torture, non sono, purtroppo, una prerogativa dei paesi in cui vigono norme di emergenza. Questo accade in Belgio, Austria, Irlanda del Nord, Grecia, Svizzera, Spagna e soprattutto nell’Est europeo (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca ed Ungheria) dove si ha notizia di torture e maltrattamenti da parte della polizia. Amnesty InternationalI ha rilevato che nella Federazione Russa esistono dei “campi di selezione” nei quali cittadini ceceni vengono detenuti senza accusa né processo V. Concerns in Europe, op. cit., pp. 5-8. Fonte primaria delle preoccupazioni di Amnesty International è anche la situazione delle carceri: dal Portogallo arrivano continue denunce di maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria. Grande scalpore ha inoltre suscitato di recente, in Francia, la pubblicazione di un libro scritto dall’ex responsabile medico del carcere La Santé di Parigi, in cui denunciava le condizioni di detenzione inumane e degradanti. Anche in Italia, in diverse carceri e in alcuni centri di detenzione temporanea per stranieri, le condizioni di vita dei detenuti sono al limite di trattamenti degradante, perpetrati in un generale clima di impunità. 448 Ad esempio, anche nell’Irlanda del Nord, i detenuti erano sottoposti a forme di tortura consistite in lunghe privazioni di cibo e acqua, di sonno, a veglie in piedi per ore, incappucciamenti, o disorientamento con rumori e suoni frastornati prima degli interrogatori. 449 Docente di etica del diritto presso la prestigiosa law school di Harvard, l’l’Autore è uno dei più autorevoli avvocati degli Stati Uniti. L’A. analizza le tecniche per combattere il terrorismo: disincentivazione, inabilitazione, persuasione e prevenzione attiva. La deterrenza contro il terrorismo è ardua dal momento che il terrorista suicida non è intimorito dalla minaccia di morte nei suoi confronti. Vi è solo un deterrente ipotizzabile contro le rivendicazioni, - per quanto legittime -, attuate col ricorso al terrorismo: non vi sarà alcuna considerazione delle istanze mosse. Di contro, il trattare con i terroristi costituisce un’agevolazione, anche perché il terrorismo viene peraltro alimentato dall’attenzione dell’opinione pubblica. La macrostrategia di contrasto al terrorismo sta, quindi, nel trasformarlo in una proposta perdente. 93 specie in momenti di tensione, a poco a poco tendono ad abusare della propria autorità sui detenuti, fino a torturarli senza nessuna certezza che i sospetti siano a conoscenza di ulteriori obiettivi terroristici. A maggior ragione se essi sono sicuri che il sospettato sia depositario di importanti informazioni. La questione posta dall’avvocato americano, quindi, non è se la tortura debba o meno essere utilizzata, perché è evidente che essa lo è, ma se debba essere usata dentro o fuori dalla legge, ossia con o senza le garanzie di un sistema legale. L’Autore ritiene che le democrazie richiedano una sorta di “mandato di tortura” emanato da un giudice in grado di stabilirne l’uso ed evitarne l’abuso. In tal modo, il peso morale della decisione sarebbe in capo al giudice (e non al funzionario di polizia), che sarebbe chiamato a decidere dopo l’esperimento di una precisa procedura apparentemente garantista, nei casi nei quali si ritenga che una persona nasconda illegalmente informazioni decisive per scongiurare un imminente atto di terrorismo che farebbe morire un grande numero di persone. In tale ricostruzione le informazioni assunte non possono trovare ingresso nel processo contro il sospettato, ma servono a prevenire un attentato o una strage già programmata. In tal modo, la tortura verrebbe tratta dall’ombra nella quale è praticata, similmente a quanto è stato fatto in Israele. Tuttavia, per quanto le premesse di fatto siano condivisibili, (anzi, innegabili), non si può accedere alla tesi prospettata in quanto, fatto venir meno un tabù, la discesa e il decadimento del sistema democratico diventerebbe inevitabile. Nondimeno, siffatta teoria è stata propugnata in modo assai articolato e giuridicamente motivato, effettuando un particolarissimo bilanciamento tra tre valori che sono in gioco in presenza del terrorismo: il primo è la sicurezza e l’incolumità dei cittadini di una nazione, il secondo è il mantenimento delle libertà civili e dei diritti umani, il terzo la responsabilità pubblica e la trasparenza che sono proprie di una democrazia. Poiché dunque l’Autore ritiene che l’integrità fisica sia un bene meno importante della vita, ne consegue che infliggere un dolore non letale ad un terrorista colpevole sia un male minore e rimediabile rispetto alla morte di molte persone innocenti450. A tali teorizzazioni si obietta che non sarebbe mai possibile avere la ragionevole certezza che il soggetto da sottoporre a tortura disponga davvero delle informazioni indispensabili, che la tortura nulla potrebbe contro persone che siano disponibili anche ad attentati suicidi, che comunque - come già ricordava secoli fa già Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura - le dichiarazioni rese dal malcapitato potrebbero essere non attendibili. O ancora che, come ricordava Beccaria, cederebbero a simili trattamenti soprattutto le persone fisicamente e psicologicamente meno forti, ma anche in esito all’estorsione di siffatte informazioni, non è affatto sicuro che l’intervento delle autorità possa giungere a buon fine evitando il compimento degli atti terroristici. Inoltre, legittimando un uso circoscritto della tortura, non è comunque prevedibile ex ante fino a quale punto potrebbe giungere la degenerazione dell’abuso, cosicché anche soggetti estranei potrebbero trovarsi travolti da una strumentali chiamate in correità. In fin dei conti, qualora si legalizzasse la tortura, il cittadino sarebbe sottoposto a due nemici: il nemico terrorista “esterno” all’ordinamento, ed un nuovo e assai più forte nemico “interno” costituito dai pubblici poteri le cui funzioni non 450 94 DERSHOWITZ, Terrorismo (2003), tr. it., Roma, 2003. sarebbero più conformate alla tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, ma al solo mantenimento dell’ordine costituito. Finora il divieto della tortura è stato proclamato in vari atti internazionali di carattere generale: Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948; il Patto dell’ONU sui diritti civili e politici del 1966 e la Convenzione ONU contro la tortura e le altre pene e trattamenti crudeli inumani o degradanti. Tuttavia risulta assai arduo definire il termine tortura in maniera compiuta, rischiando ogni definizione o accezioni troppo late o letture troppo anguste. Sotto il profilo della “vittima”, va peraltro segnalato che non esiste una rigida linea di demarcazione tra la punizione inflitta legittimamente dallo Stato e l’atto della tortura: può accadere che l’una implichi l’altra, e la sottile distinzione dipende largamente dalla reazione individuale della vittima alla sofferenza fisica e mentale. Nel contempo, l’uso del termine di punizione, anche in caso di tortura, non ha consentito una piena e adeguata comprensione dell’ampiezza della sua effettiva applicazione, sia passata che presente451. Vi è poi una ulteriore forma di tortura di natura psicologica, che può affiancare quella di natura fisica, ma può anche essere inflitta indipendentemente da essa, stimolando i meccanismi dell’ansia della paura, della solitudine, della disperazione. Da ultimo, si ricorda anche un tipo di tortura farmacologica, tesa a debilitare l’equilibrio psico-fisico ed la personalità della vittima mediante la somministrazione di farmaci. La proibizione, disposta dal diritto, di ogni forma di tortura e persecuzione, sia nella fase investigativa che in quella detentiva, non dà invero alcuna garanzia che lo Stato stesso non utilizzi di fatto tali metodi452, laddove si può addurre a giustificazione la necessità di tutelare valori o raggiungere scopi accettati e condivisi. Come detto, infatti, residuano nella prassi numerose sacche di tortura: non soltanto a causa dell’estrema vaghezza dei principi fondamentali, ma anche per un malcelato richiamo alla ragion politica, che tende sempre a far valere la forza sulla ragione ed il raggiungimento del fine sulla scelta dei mezzi, supportato dall’assetto della gerarchia di valori proposti dalla cultura prevalente, che tra l’offesa a una persona e l’offesa alla collettività, tra la salute del singolo e quella di molti, tra la vita di uno e la vita di molti, tende a scegliere di tutelare il bene quantitativamente maggiore453. 451 Vero è comunque che la maggior parte delle pene inflitte oggi nei paesi civilizzati non può essere inserita in genere entro la categoria delle violenze fisiche, e, paradossalmente, anche laddove via la pena di morte, questa non è considerata forma di tortura: si ritiene, infatti, che la tortura esista laddove la morte sia preceduta e causata da azioni implicanti sofferenza o dolore ingiustificati. 452 Per esempio in Gran Bretagna sebbene sia formalmente vietata la tortura, tanto allo Stato quanto ai singoli individui è ancora prescritta dal codice penale la fustigazione. La punizione corporale è così legittimata di fatto come misura correttiva; non è ritenuta dunque una forma di supplizio. Anche negli Stati Uniti d’America, d’altra parte, dove la tortura è proibita da molti decenni, dal codice penale e nell’ambito della vita privata, accade che la fustigazione continui nondimeno a essere inflitta, in vari stati e in diverse occasioni, dal 1868; la polizia americana ha reintrodotto il “terzo grado”, che raggruppa varie forme di supplizio, allo scopo di estorcere confessioni. 453 RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della ‘tortura democratica’, in IP, 2007. 2, pag. 827. 95 Tant’è che Amnesty International ha individuato alcune precondizioni sociali che possono favorire l’uso sporadico o sistematico della tortura: in primis, situazioni di emergenza presentate come tali all’opinione pubblica, con conseguenti legislazioni speciali o eccezionali454. Gli scopi sottintesi o dichiarati della pratica della tortura possono essere individuati nell’intimidazione individuale o generalizzata non più ai fini inquisitori o punitivi, ma di prevenzione e dissuasione rispetto a qualsiasi attività di contrasto all’ordine costituito. Attese siffatte considerazioni di ordine generale, vale comunque la pena di ricordare la definizione legale di tortura e gli strumenti internazionali volti alla repressione del fenomeno. 2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della Corte Europea Come accennato non mancano, nel panorama internazionale, le convenzioni contro la tortura, alle quali si ritiene di accennare poiché l’interpretazione dell’art. 54 c.p., nei casi di specie, deve avere un approccio di tipo sistematico: occorre quindi tener contro dei principi fondamentali ed inderogabili di diritto internazionale, oltre che di quelli dell’ordinamento italiano. Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli Addizionali del 1977, proibiscono l’uso della tortura contro civili e prigionieri di guerra nei conflitti armati internazionali e la intendono come una “grave violazione” delle leggi di guerra. La tortura è proibita non solo ai governi, ma anche ai gruppi di opposizione armata loro contrapposti ed è ritenuto al pari di un crimine di guerra. In tale ottica, gli Stati sono costituiti responsabili della protezione di ogni individuo, non solo contro torture inflitte da funzionari pubblici, ma anche da quella commessa da privati, quando tolleri o appoggi tali abusi. Nel 1966, l’Assemblea Generale ha poi approvato il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR), nel quale si ribadisce il divieto assoluto dell’uso della tortura. Purtroppo il Patto presenta i tipici difetti di moti trattati delle Nazioni Unite, non prevedendo sanzioni in caso di violazioni. Negli anni ’70 l’Assemblea Generale approva la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sancendo tre principi fondamentali: l’impossibilità di giustificare l’uso della tortura; il divieto di espellere o estradare una persona verso uno Stato in cui rischia di essere sottoposto alla tortura; la qualificazione della tortura tra i crimini contro l’umanità. Sotto il profilo normativo, la lotta dell’Europa alla tortura si può far risalire Convenzione del 1950 che riprende quasi testualmente la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, con l’art. 3 che dispone: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. È noto il contributo della Commissione e della Corte europea dei diritti dell’uomo per dare un contenuto concreto e pregnante all’art. 3. Merita ancora di essere ricordata la Convenzione contro la Tortura e le altre Pene e Trattamenti Crudeli Inumani o Degradanti siglata a New York il 10 dicembre 1984. 454 Inoltre: regimi autoritari o “forti”, tendenti ad annullare o a limitare drasticamente i diritti civili e i margini del dissenso ovvero regimi “deboli”, tesi a mantenere ad ogni costo il proprio potere. L’uso della tortura sembra in realtà essere diffuso e riguardare molteplici sistemi nazionali, a prescindere dal loro sistema di organizzazione sociale e di strutturazione politica. 96 Alla sottoscrizione di tale atto è sotteso il riconoscimento di diritti uguali ed inalienabili di tutti gli individui quale fondamento della libertà e della giustizia stessa. Tale considerazione si colloca sulla scia dell’art. 55 Carta delle Nazioni Unite, laddove si riconosce che gli Stati membri sono tenuti a promuovere il rispetto universale dei diritti dell’uomo: la convenzione si pone dunque in continuità anche alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che non possono che venire rafforzati dall’introduzione nel diritto internazionale cogente di un documento che sancisce l’illiceità della tortura La convenzione stessa si impegna nello sforzo definitorio della tortura all’art 1: “Ai fini della presente convenzione, il termine “tortura” designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire o esercitare pressioni su di una terza persona o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate”. La tortura, sempre per la Convenzione del 1984, costituisce una forma aggravata e deliberata di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti455. Tale definizione, inoltre, ha il pregio di aver messo al bando per la prima volta anche forme di sofferenza “mentale 456. La convenzione peraltro stabilisce all’art. 2: “Nessuna circostanza eccezionale, qualunque sia si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato eccezionale può essere invocata a giustificazione della tortura.” All’art. 10 poi si sottolinea il fatto che oltre a punire il reato di tortura in tutte le sue forme, gli Stati devono provvedere affinché insegnamento e informazione sul divieto siano parte della formazione delle persone addette alla custodia e all’interrogatorio dei soggetti e fermati o reclusi. Merita poi un cenno la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei trattamenti e pene inumani o degradanti, aperta alla firma il 26 novembre 1987457 e adottata dal Consiglio d’Europa nel 1987, laddove si ritiene di intervenire a protezione dei diritti umani preventivamente, con l’istituzione di un organo di controllo, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti o punizioni inumani o degradanti458. In esito alla 455 La Costituzione della Repubblica Italiana ribadisce ripetutamente tale concetto e lo amplia. Nell’ art. 13, infatti, si afferma che è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. L’art. 27 stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Purtroppo anche la Repubblica Italiana, nonostante l’esistenza di un solido sistema di garanzie democratiche, appare citata negli elenchi di paesi in cui annualmente si verificano episodi di tortura. 456 Le Nazioni Unite, in un commento del 1979 all’art 5 del codice di condotta per pubblici ufficiali, affermano che “il termine trattamento crudele, inumano o degradante non è stato definito dall’Assemblea generale, ma deve essere esteso alla più ampia protezione possibile contro gli abusi sia fisici che mentali”. 457 La Convenzione europea è entrata in vigore il 1 febbraio 1989. 458 Il CTP non si pronuncia su denunce individuali di tortura. È invece il Consiglio d’Europa ad avere predisposto il sistema più avanzato per quanto riguarda i ricorsi individuali, anche in materia di tortura: la Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali prevede la giurisdizione della Corte europea per i diritti umani, automaticamente riconosciuta dagli Stati firmatari. 97 Convenzione Europea sono poi stati stipulati i Protocolli n. 1 e 2 per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, con lo scopo di creare uno strumento convenzionale a livello europeo utile a verificare l’effettiva validità e praticabilità del sistema delle visite nei luoghi di detenzione e offrire un modello sperimentato su cui calibrare analoghi accordi internazionali a carattere regionale. In essa individuano le direttive relative al trattamento dei detenuti. Detta Convenzione ricorda la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984459, e la Convenzione interamericana per prevenire e punire la tortura460 del 1985. Il 9 aprile 2001, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato le Linee guida per la prevenzione e lo sradicamento della tortura, che si aggiungono a quelle sulla pena di morte adottate nel 1998 e che invita i paesi dell’UE a far rientrare il problema della tortura nei propri programmi politici. Con specifico riguardo allo scenario europeo, e alla Convenzione del 1987, è particolarmente interessate è l’istituzione di un Comitato di ispettori internazionali il cui compito è un accertamento preventivo sulle eventuali pratiche di tortura461. Tale comitato ha iniziato a operare negli anni ’90 e ha effettuato da allora numerosissime ispezioni462. 459 La Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura è entrata in vigore il 26 giugno 1987, è stata sinora firmata da 50 Stati, 21 dei quali l’hanno ratificata. 460 La Convenzione inter-americana, firmata a Cartagena da quattro Stati, è stata successivamente firmata da altri sette Stati. La Convenzione non è ancora entrata in vigore. 461 Il CTP, imparziale e indipendente, ha poteri che non possono essere limitati dagli Stati membri; ha accesso a qualunque luogo in cui si trovino persone private di libertà ma, pur indagando su denunce specifiche, non ha nessun potere giurisdizionale. I rapporti stesi dal Comitato in seguito a queste visite contengono, oltre i risultati dei sopralluoghi, raccomandazioni inerenti la legislazione, i regolamenti amministrativi, le condizioni di detenzione, la formazione delle forze dell’ordine o del personale carcerario. Gli Stati membri (salvo la Turchia) pubblicano questi rapporti unitamente ad eventuali repliche; sono tenuti ad adeguarsi alle raccomandazioni ivi contenute 462 Le ispezioni sono periodiche e ad hoc. Le prime sono più impegnative e coinvolgono numerosi luoghi di detenzione, le seconde invece brevi e mirate a determinate sedi come centri per immigrati o commissariati di polizia. Lo strumento principale attraverso cui il Comitato adempie alla propria funzione di prevenzione (art. 1), sono le visite nei luoghi di detenzione. Il Comitato può effettuare anche delle visite periodiche: in tal modo viene consentito al Comitato un monitoraggio continuo delle condizioni di detenzione nei singoli Paesi ma anche la possibilità di interventi fuori programma. L’art. 2 della Convenzione obbliga gli Stati contraenti ad autorizzare le visite del Comitato in “ogni luogo dipendente dalla loro giurisdizione nel quale si trovino persone private della libertà da un’autorità pubblica”. Quando il Comitato decide di effettuare un sopralluogo deve provvedere a darne comunicazione per conoscenza allo Stato nel cui territorio intende recarsi (art. 8). Una volta eseguita la notificazione, la visita può avere luogo in qualsiasi momento e può interessare anche destinazioni diverse da quelle indicate nell’avviso. Una volta ricevuto l’avviso, lo Stato non può impedire il sopralluogo ma solo formulare delle obiezioni per motivi di difesa nazionale o di sicurezza pubblica (art. 9). Nel frattempo il Comitato deve essere informato sulle condizioni di ogni persona interessata fino a che la visita non ha luogo (art. 9, par. 2, ultima parte) ed in caso di mancata collaborazione da parte delle autorità nazionali può sanzionare il comportamento mediante pubblica dichiarazione (art. 10, par. 2). Al termine di ogni sopralluogo, il Comitato redige un rapporto conclusivo in cui espone gli accertamenti effettuati e formula delle raccomandazioni per migliorare, ove necessario, le misure di protezione dei 98 I rapporti redatti dagli ispettori al termine di ogni visita dovrebbero rimanere confidenziali, e qualora venissero riscontrate violazioni della convenzione il comitato può attivare una collaborazione con lo stato interessato al fine di un miglioramento delle condizioni di detenzione. Se lo stato in questione si rifiutasse di collaborare, il comitato potrebbe minacciare di rendere di pubblico dominio i rapporti. Per evitare questa evenienza gli stati europei hanno adottato una prassi consolidata, che è quella di pubblicare direttamente al termine di ogni visita i rapporti degli ispettori463. Il comitato è caratterizzato da imparzialità e alta professionalità, in quanto formato da membri di più Stati Parte, esperti in campo giuridico, medico, psichiatrico e di campi di detenzione. Dunque si può affermare che l’opera degli ispettori negli ultimi anni ha costituito un modello europeo del tutto nuovo nei confronti del resto del mondo. Il Consiglio d’Europa ha quindi adottato il Protocollo n. 1, che introduce gli opportuni adeguamenti normativi per consentire l’adesione alla CEPT da parte di Stati non membri del Consiglio d’Europa, su invito del Comitato dei Ministri. Si deve quindi constatare che, diversamente dal modello di tutela contenziosa attuato dalla giurisdizione di Strasburgo e da altri meccanismi sopranazionali di controllo in funzione repressiva, la CEPT introduce una procedura intesa a rafforzare, attraverso misure non giudiziarie di natura preventiva, il grado di attuazione degli obblighi imposti dall’art. 3 della CEDU. Come si è detto, però, i principi enunciati stentano a trovare applicazione in contesti di inadeguatezza legislativa e di distorsione applicativa in cui la pena e le altre misure di difesa sociale, in nome del perseguimento di finalità generalpreventive e/o specialpreventive non tengono conto del rispetto della dignità dell’uomo. La giurisprudenza della Corte Europea ha avuto il compito di individuare astrattamente le tipologie lesive dell’art. 3 e di orientare in concreto la discrezionalità tecnica dell’intervento del Comitato464. La giurisprudenza della Corte Europea è peraltro estremamente attenta a non restringere con considerazioni di tipo formalistico i concetti di “tortura” e di “pene o trattamenti inumani o degradanti”. Si definiscono infatti come tortura il trattamento o la pena caratterizzati da grave detenuti dalla tortura e dagli altri trattamenti vietati. Il rapporto è soggetto ad un rigoroso regime di riservatezza (art. 11 e art. 13); il Comitato può solo dare conto delle attività espletate nel rapporto annuale che viene trasmesso al Comitato dei Ministri e successivamente all’Assemblea Parlamentare per la pubblicazione (art. 12) 463 La regola della confidenzialità può essere derogata quando lo Stato interessato richieda espressamente la pubblicazione del rapporto (art. 11, par. 2), oppure quando il Comitato decida a maggioranza dei due terzi di sanzionare la mancanza di collaborazione o il rifiuto delle autorità nazionali di migliorare le condizioni di detenzione conformemente alle sue raccomandazioni, rendendo una dichiarazione pubblica a proposito (art. 10, par. 2). In ogni caso la riservatezza viene pensata anche i funzione di tutela delle persone detenute: nell’esercizio dei suoi poteri investigativi il Comitato si deve attenere alle norme applicabili di diritto interno e di etica professionale ed anche quando il rapporto conclusivo viene reso pubblico nessun dato personale può essere divulgato senza il consenso della persona interessata (art. 11, par. 3). 464 Questa appare, d’altronde, anche la preoccupazione evidenziata nel rapporto esplicativo allorché, con una formulazione la cui cautela è evidente sintomo della volontà di non inserire limiti troppo rigidi all’attività del Comitato, si afferma che “la giurisprudenza della Corte e della Commissione Europea dei diritti dell’uomo relativa all’art. 3, fornisce una guida al Comitato. Tuttavia le attività di quest’ultimo sono orientate verso la prevenzione e non verso l’applicazione di esigenze giuridiche a situazioni concrete. Il Comitato non dovrà cercare di intervenire nell’interpretazione e nell’applicazione di questo art. 3” (Rapporto Esplicativo, punto 27). 99 inumanità, mentre viene riservata l’espressione “pena” al solo ambito dell’esecuzione penale. Lo sforzo interpretativo va quindi nel senso di salvaguardare la possibilità di spaziare senza limiti in ogni forma di intervento che possa violare i diritti dell’uomo nel contesto dell’art. 3 della Convenzione di Roma465. Un primo punto fermo attiene alla gravità oggettiva e soggettiva che devono possedere gli interventi nei confronti della persona per integrare ipotesi previste dall’art 3. Viene infatti posto in risalto come, per aversi le ipotesi previste dall’art. 3, non siano sufficienti trattamenti o pene semplicemente duri o caratterizzati da scarsa sensibilità verso la sofferenza che producono in chi li subisce, ma occorra anche una loro intrinseca gravità466. Quanto alla distinzione tra le fattispecie di enunciate dalla norma di tortura, trattamento inumano e trattamento degradante, la Corte Europea utilizza un criterio quantitativo. La distinzione procede essenzialmente con riguardo alla differenza di intensità delle sofferenze inflitte467, intrinsecamente non consentite468. Emerge poi che la pena sarà inumana o degradante in relazione a gravi abusi ed eccessi in ambito sanzionatorio469, ancorché non sia necessario uno stato di privazione della libertà personale. In sostanza, un comportamento o una pena per rientrare nel divieto dell’art. 3 CEDU devono raggiungere la c.d. soglia minima di gravità, la cui valutazione è relativa, perchè dipende dalle circostanze della causa, come la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e psicologici e, in alcuni casi, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima La gravità della violazione e, quindi, della sofferenza è ciò che consente anche di distinguere tra la tortura e il trattamento disumano o degradante, andando dal più grave (la tortura), al meno grave (il trattamento degradante). La Convenzione, distinguendo tra tali 465 I principi della Convenzione sono dunque diritto vivente, la cui interpretazione evolve in rapporto alle condizioni di vita e al progredire della tutela dei diritti dell’uomo. Secondo la Corte Europea, «l’art. 3 non prevede delimitazioni ed in questo differisce dalla maggior parte delle clausole normative della Convenzione. Esso non soffre alcuna deroga, nemmeno in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della Nazione». Cour. Eur. D.H. série A, n. 26, Affaire Tyrer, Strasburgo, 1978, p. 15, n. 31 . 466 “Per rientrare nell’ambito dell’art. 3, un trattamento lesivo deve raggiungere un minimo di gravità. L’apprezzamento di tale minimo è essenzialmente relativo e dipende dall’insieme dei dati e in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali oltre che, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo stato di salute della vittima. Cour. Eur. D.H. série A, n. 26, Affaire Tyrer, Strasburgo, 1978, p. 65, n. 162. 467 Esistono da un lato violenze che, ancorché condannabili in base alla morale e molto spesso anche in base al diritto interno degli Stati contraenti, non rilevano tuttavia in base all’art. 3 della Convenzione. È evidente invece che quest’ultima, distinguendo la “tortura” dai “trattamenti inumani o degradanti”, ha voluto col primo di questi termini marchiare con una speciale infamia taluni trattamenti inumani deliberati che provocano gravissime e crudeli sofferenze La Corte Europea approfondisce ancora l’analisi della fattispecie in esame evidenziando che caratteristica peculiare della tortura è, oltre alla particolare gravità, il suo essere deliberata, e nell’introdurre quali caratteri distintivi di pena o di trattamento inumano e pena o trattamento degradante, accanto al criterio quantitativo della sofferenza provocata, il criterio qualitativo della umiliazione che caratterizza il trattamento degradante distinguendolo da quello inumano. Se consideriamo la distinzione fra “inumano” e “degradante”, avremo come caratteristica del primo termine che la “sofferenza provocata deve situarsi ad un livello particolare”. Cour. Eur. D.H., série A, n. 26, Affaire Tyrer, cit., p. 14, n. 28 468 Cour. Eur. D.H., série A, n. 25, Affaire Irlande contre Royaume-uni, p. 66, n. 167 469 Cour. Eur. D.H., série B, n. 25, Affaire X contre Royaume-uni, Rapport de la Commission, p. 15. Se la Corte Europea avesse adottato una nozione più ampia di pena come sinonimo di intervento nella materia penale, ne sarebbe derivato un automatico ed ingiustificato innalzamento del livello tollerabile di afflizione in quei comportamenti, inumani o degradanti, che non attengono direttamente all’esecuzione della sanzione. Mentre, se la nozione di pena venisse delimitata, quella di trattamento sarebbe relativa a qualsiasi situazione in cui un individuo subisca l’intervento di una pubblica autorità. 100 fattispecie, ha voluto attribuire uno speciale stigma nei confronti della tortura, che consiste in deliberati trattamenti disumani che provocano sofferenze molto gravi e crudeli. La pena o il trattamento sono disumani o degradanti, anche tenendo conto della loro durata e premeditazione, a seconda che essi provochino una sofferenza fisica o mentale ovvero siano tali da accrescere nelle vittime sentimenti di paura, angoscia e inferiorità capaci di umiliarla. L’intenzione dell’autore, sebbene rilevante, non è però determinante ai fini della illegittimità della condotta, perché per far sì che una pena o un trattamento sia inumano o degradante la sofferenza o l’umiliazione deve necessariamente andare oltre la sofferenza o l’umiliazione inevitabilmente connessa con qualsiasi tipo di legittima pena o trattamento. La Corte ha poi dichiarato che costituiscono trattamenti inumani e degradanti le 5 tecniche di disorientamento o di privazione sensoriale adottate come pratica costante dalle forze di polizia britanniche come aiuto negli interrogatori approfonditi svolti nei confronti dei terroristi nordirlandesi (incappucciamento per tutti il periodo della detenzione, stazionamento contro il muro in piedi per molte ore, privazione del sonno prima degli interrogatori; somministrazione di dosi ridotte di cibo, sottoposizione ad un intenso sibilo). Talvolta, come emerge dai precedenti giurisprudenziali, gli Stati evidenziano le ragioni per le quali le presunte violazioni ai divieti in esame sono state ritenute utili per il raggiungimento di fini apprezzabili per la collettività. All’evidenza, quindi, violazioni dell’art. 3 nascono laddove l’Autorità vuole far valere ad ogni costo ragioni di utilità sociale. In tal contesto la nuova Convenzione vuole porsi come rafforzamento del principio “morale”470 di umanità, che non può in sé giustificare violazioni in base al ricorso alla sola ragion pratica. Da ultimo, si evidenzia che il pericolo di attenuazione del divieto di tortura può derivare dall’atteggiamento dell’opinione pubblica di consenso sociale in relazione a certi trattamenti, ma anche in tale frangente l’opera della Corte appare di fondamentale importanza per “educare” a prassi virtuose. Inoltre la Corte ha gradualmente allargato la portata dei divieti sanciti nell’art 3471, richiedendo il rispetto di standard sempre più elevati e valutando con maggior fermezza le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche: anche in circostanze difficili quali la lotta al terrorismo, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura o qualsiasi trattamento disumano o degradante. Nell’ambito dell’Unione europea la stessa decisione-quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 in materia di lotta contro il terrorismo, che definisce le regole per omogeneizzare la prevenzione e repressione dei reati terroristici, si preoccupa del rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dalla Carta di Nizza. 470 Cour. Eur. D.H., série A, n. 25, Affaire Irlande contre Royaume-uni, cit., p. 66, n. 167. Cour Eur. D.H., série B, n. 24, Affaire Tyrer, Rapport de la Commission, cit., p. 24, n. 35. 471 Anzitutto essa ha messo in rilievo che i valori proclamati in quella norma sono così importanti da valere anche al di fuori della cerchia degli stati parte della Convenzione; non nel senso di poter esigere dagli stati non parte della Convenzione l’osservanza dell’art 3 ma la Corte ha chiesto che gli stati contraenti non si rendano complici di trattamenti disumani o atti di tortura perpetrati da parte di stati terzi, ad esempio espellendo o estradando uno straniero verso uno stato in cui potrebbe essere torturato. 101 Gli Stati europei che membri della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali sono vincolati dall’art. 15 CEDU che consente a particolari condizioni che lo stato membro deroghi a taluni obblighi della convenzione472,. In particolare l’art. 15 CEDU prevede che in caso di guerra o di altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, ogni Stato può prendere delle misure in deroga agli obblighi previsti nella Convenzione nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto internazionale. Tuttavia non è consentita alcuna deroga all’art. 2 (diritto alla vita), nonché agli articoli 3 (proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti), 4, par. 1 (proibizione della schiavitù) e 7 (principi di legalità e di irretroattività in materia penale). Della facoltà di deroga in circostanze eccezionali prevista dall’art. 15 CEDU, nel recente passato di è avvalso solo il regno Unito, (il 18 dicembre 2001) denunciando la deroga ai sensi dell’art. 15 CEDU con riferimento alla estensione dei termini e condizioni di arresto e di detenzione degli stranieri sospettati di atti di terrorismo in applicazione dell’Anti-terrorism, Crime and Security Act 2001, ma il 16 marzo 2005 la dichiarazione di deroga è stata ritirata. La giurisprudenza, della Corte di Strasburgo sulla base di ricorsi individuali pervenuti da soggetti che subirono lesioni ai loro diritti fondamentali in applicazione delle norme nazionali derogatorie, ha avuto modo di fissare diversi principi riferiti alla sospensione dei diritti causati dalla esigenza di combattere efficacemente il terrorismo: inevitabilità delle sospensioni qualora rimedi ordinari si siano rivelati inefficaci, assicurazione del diritto di difesa e di idonei controlli giurisdizionali sulle misure adottate e soprattutto per quelle limitative della libertà personale, informativa agli organi della convenzione, possibile controllo della Corte europea473. Quanto all’esistenza del “pericolo pubblico che minacci la vita della nazione” se ne deve dare una interpretazione restrittiva, trattandosi di un’eccezione al sistema CEDU. Inoltre, attesa anche la previsione degli articoli da 8 a 11 della CEDU – che consentono già restrizioni a taluni diritti fondamentali in caso di pericolo - si ritiene che l’art. 15 CEDU alluda a situazioni di una gravità eccezionale incombenti sull’intera popolazione, escludendo peraltro finalità di mera prevenzione dell’aggravamento di una situazione in atto. Circa la fonte del pericolo, finora le dichiarazioni di deroga ex art. 15 CEDU hanno riguardato le minacce alla sicurezza nazionale derivanti dal terrorismo. La valutazione circa la sussistenza di un pericolo pubblico e sulle misure necessarie per farvi fronte è lasciata al prudente apprezzamento degli Stati, i quali, in sostanza, hanno solo l’obbligo di comunicazione relativa al contenuto delle misure prese e ai motivi che le hanno imposte474. L’art. 15 poi impone il rispetto degli altri obblighi dello stesso Stato derivanti dal diritto internazionale: il sistema CEDU viene quindi a configurarsi come uno standard minimo, rendendo inderogabili per tutti gli Stati membri della CEDU non soltanto le norme indicate nell’art. 15 CEDU, cioè il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù e i principi di tassatività ed irretroattività della legge penale, ma anche l’abolizione della pena di morte (art. 3 Prot. n. 6 alla CEDU), il diritto di non essere punito o giudicato due volte (art. 4 Prot. n. 7 alla CEDU), il diritto alla personalità giuridica (art. 16 Patto internazionale sui diritti civili e politici), la libertà di pensiero, coscienza e religione (che è prevista dall’art. 9 CEDU, ma che l’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici considera inderogabile), il divieto di privare un individuo della libertà a causa di un inadempimento contrattuale (che è previsto 472 Analogamente a quanto stabilito dall’art. 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 che dovrebbe vincolare la generalità degli stati membri dell’ONU. 473 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 140. 474 Si veda, in proposito, la c.d. dottrina del margine di apprezzamento statale. 102 dall’art. 1 del Prot. n. 4 alla CEDU, ma che l’art. 2 del Patto considera inderogabile) e il principio di non discriminazione (che è previsto dall’art. 14 CEDU, ma è previsto come fondamentale ed inderogabile dall’art. 4 del Patto). Vi sono poi altri diritti fondamentali che diventano inderogabili in ogni Stato alla luce di altre convenzioni internazionali in vigore per ciascuno. Dal punto di vista pratico hanno infine particolare significato, tra i principi elaborati dalla giurisprudenza CEDU, quello relativo alla stretta necessità delle misure derogatorie adottate rispetto alla situazione di emergenza e al nesso di proporzionalità tra le modalità concrete di esercizio dei poteri eccezionali e le esigenze concrete poste dalla singola situazione di emergenza. Da ultimo, si chiarisce che la deroga deve avere una durata limitata e deve rimanere sottoposta al controllo parlamentare e alle garanzie giurisdizionali, al fine di evitare un arbitrario comportamento dell’Esecutivo e la conseguente implementazione sproporzionata delle misure. 2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento Come visto, per contrastare le pratiche di una introduzioni di prassi di tortura, per quanto chirurgiche e mirate contro i soli “nemici”, vi sono moltissime norme cui attingere. È quindi compito del giurista individuare un catalogo di principi fondamentali inderogabili anche durante le emergenze e in presenza del terrorismo. Siffatto catalogo può dividersi in tre gruppi: a) del diritto alla vita, con i corollari del divieto della pena di morte, e i connessi divieti di estradizione e di espulsione; b) del diritto all’integrità e del conseguente divieto di torture e trattamenti inumani e degradanti; c) del principio di non discriminazione, sullo sfondo, anch’esso imprescindibile, dei principi del giusto processo. Quanto al diritto alla vita, esso costituisce il presupposto necessario di ogni altro diritto costituzionale, e il suo rispetto viene imposto al legislatore prima ancora che ad ogni cittadino. Esso è inderogabile sia a mente dell’art. 2 CEDU, sia dell’art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Il diritto alla vita da un lato, quindi, si pone fondamento delle misure preventive e repressive poste a tutela della vita delle persone coinvolte da situazioni emergenziali o lese o minacciate da atti terroristici, dall’altro configura un limite alle misure adottabili in situazioni di emergenza e nella repressione del terrorismo475. Si è fatto notare, peraltro, che il fenomeno terroristico ha posto gli Stati di fronte a due delicati aspetti connessi alla tutela effettiva del diritto alla vita, cioè l’uso legittimo della forza letale e il divieto della pena di morte e il connesso divieto di estradizione476. 475 Cfr. VIARENGO, Deroghe e restrizioni alla tutela dei diritti umani nei sistemi internazionali di garanzia, in Riv. Dir. Internazionale, 2005, 4, 955; cfr. CADOPPI, Crimine organizzato, collaborazione internazionale, tutela dei diritti umani - Diritto penale sostanziale, in DPP, 1999, 12, p. 1545. 476 BONETTI, Terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160. 103 In proposito, non si può dimenticare che l’art. 2 CEDU consente l’uso della forza da parte dei pubblici poteri, anche quando abbia esiti letali, in determinati casi. In tali circostante, però, si chiarisce che l’evento morte deve essere un evento involontario, non intenzionalmente connesso all’uso della forza, che deve sempre risultare necessario e proporzionato ex ante. Peraltro per molti Paesi membri dell’ONU il diritto alla vita viene implementato dall’abolizione della pena di morte in tempo di pace. A questo è connesso il divieto di estradizione del soggetto accusato di atti terroristici verso un Paese in cui rischia di essere sottoposto alla pena di morte. Quanto al diritto all’integrità fisica e al conseguente divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti, si ribadisce l’assolutezza del divieto, ancorché non manchino prassi e teorie possibiliste verso un uso moderato della coercizione fisica durante l’emergenza terroristica. Nei sistemi costituzionali democratici si tende a riconoscere un “nucleo duro” e mai limitabile della libertà personale; tuttavia, le Costituzioni degli Stati democratici sono molto spesso lacunose: ad esempio l’VIII emendamento della Cost. degli USA si limita a vietare ogni punizione crudele o inusuale ma un simile divieto non comporta un divieto assoluto della pena di morte, e non riguarda l’eventuale tortura che preceda o accompagni l’irrogazione della pena; la Costituzione italiana sembra più completa vietando ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a misure limitative della libertà personale (art. 13, comma 4) e vietando I trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27, comma 3). Quanto al divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti, previsto dall’art. 3 CEDU e nell’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, viene oggi applicato ad una tipologia di pratiche sempre più ampie, comportando per gli Stati obblighi assai più vasti rispetto al mero obbligo di astenersi da pene corporali, mutilazioni e vessazioni fisiche o psicologiche al fine di ottenerne una qualche rivelazione utile. Peraltro, la convenzione internazionale contro la tortura, al fine di implementare l’assolutezza del divieto, impone agli Stati di prevedere come reato il comportamento da essa descritto. Sotto tale profilo, per il vero, il nostro ordinamento è inadempiente477 rispetto all’obbligo di dare un’’attuazione completa di quegli obblighi costituzionali ed internazionali, ancorché detta previsione non sembri ammettere eccezioni. Ancora poco prima degli attentati del settembre 2001 la Corte europea ripeteva che anche nel caso in cui si trovi in presenza di terroristi riconosciuti ogni stato ha comunque l’obbligo di applicare le procedure repressive in modo da minimizzare ogni minaccia alla vita478, fermo restando che “nessuna circostanza eccezionale, quale che essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato di emergenza pubblica, può essere invocata per giustificare la tortura”. 477 FIORAVANTI, Divieto di tortura e ordinamento italiano: sempre in contrasto con obblighi internazionali?, in Quad. cost., 2004, p. 555. 478 Cfr. CEDU, sent. 11 maggio 2001, Jordan e Kelly c. Regno Unito. 104 Si ricorda, poi, che anche la Corte ha stabilito che le necessità di un’inchiesta e le innegabili difficoltà della lotta contro la criminalità, anche in materia di terrorismo, non possono limitare la protezione dovuta all’integrità fisica della persona479. L’inderogabile divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti ha senz’altro alla base la protezione dell’insopprimibile dignità della persona e della sua corporeità: il suo rispetto è condizione e presupposto dello stesso principio personalista che sta a fondamento di ogni Stato democratico-sociale. Ciò nonostante, le autorità governative di alcuni Stati europei, come la Francia ed il Regno Unito, l’hanno ugualmente violato in situazioni eccezionali di repressione del terrorismo480. Inoltre, lo scatenarsi del terrorismo internazionale contro gli USA ha favorito il risorgere negli Stati Uniti di alcune teorie possibiliste in materia di tortura481, secondo le quali la tortura o trattamenti inumani o degradanti potrebbero essere utilizzati per costringere una persona che si trovi sotto il controllo della polizia, a rilevare informazioni che siano assolutamente indispensabili per salvare vite umane da morte certa, quando tali informazioni non siano altrimenti ottenibili e la loro mancata acquisizione comporta con ragionevole certezza conseguenze letali per le persone sottoposte a pericolo. In argomento si ricorda, peraltro, che il dilemma del bilanciamento tra beni costituzionalmente garantiti (vita da proteggere rispetto a possibili attentati terroristici e integrità personale dei sospettati di terrorismo) è stato esaminato in una sentenza pronunciata dalla Corte suprema di Israele, la quale si pronunciò sull’uso da parte dei membri del General Security Service (GSS), di sistemi di coercizione fisica durante 479 Cfr. CEDU, sent. 27 agosto 1992, Tomasi c. Francia, par. 115. Nel caso francese in realtà non si trattò di violazioni di obblighi internazionali perché l’uso di metodi di tortura e di pratiche vessatorie da parte delle forze di polizia e delle forze armate in Algeria fu praticato prima che la Francia ratificasse la CEDU, ma le denunce della stampa sui trattamenti subiti costrinsero l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Mendès-France a far redigere un rapporto dall’ispettore generale dell’amministrazione Roger Willaume, nel quale l’uso delle pratiche di tortura fu confermato e addirittura si propose di autorizzare legalmente la polizia giudiziaria ad usare alcune delle tecniche meno gravi. Quelle proposte non furono accolte, ma dall’anno successivo fino al 1962 l’approvazione della legge sulla disciplina generale dell’état d’urgence, che lo instaurò di diritto e fin da subito in Algeria, comportò che quelle pratiche divennero ancor più usuali, ancorché formalmente clandestine, in quella particolare situazione eccezionale nella quale si dispose il soggiorno obbligato di ogni persona la cui attività risultasse pericolosa per la sicurezza pubblica e l’affidamento della tutela dell’ordine pubblico alle forze armate. In quell’occasione l’uso clandestino della tortura non fu formalmente punito e cessò soltanto perché la Francia concesse l’indipendenza all’Algeria. Diverso fu il caso britannico, poiché il Regno Unito fu uno dei primi Paesi che ratificarono la CEDU, ma ciò non gli impedì nell’agosto 1971 di reintrodurre nell’Irlanda del Nord l’internamento senza processo che era previsto dallo Special Power Act del 1921, durante il quale le forze di polizia praticarono quei trattamenti vessatori per finalità investigative, che poi portarono alle citate pronunce della Corte europea, la quale più volte dovette intervenire per condannare quelle pratiche. In quell’occasione esse furono attenuate e poi furono soppresse soprattutto sulla base dell’autorevolezza e della pubblicità del giudizio instaurato dalla Corte europea sia su richiesta degli interessati, sia su richiesta dell’Irlanda, cioè di un altro Stato membro del Consiglio d’Europa. Per un approfondimento sul tema cfr., da ultimo, PAPA, La democrazia violenta. Breve storia della tortura in Occidente, in Tortura di Stato. Le ferite della democrazia, a cura di A. Granelli e M.P. Paternò, Roma, 2004, pp. 101-103. 481 Occorre ricordare che gli USA hanno ratificato la Convenzione internazionale contro la tortura con la riserva di applicarla soltanto nella misura in cui essa sia coerente con l’VIII emendamento della Costituzione che proibisce soltanto le punizioni crudeli ed inusuali, ma non proibisce di per sé l’uso della forza fisica al di fuori e prima dell’esecuzione di una pena. 480 105 l’interrogatorio degli indiziati di reato. Questo, infatti, furono indotti a confessare mediante tecniche usuali, quali lo “scuotimento”, (peraltro possibile causa di seri danni cerebro-spinali, di perdita di conoscenza e di perdita di controllo del proprio corpo), la posizione “shabach”, (causa di possibili seri danni muscolari), la messa in posizione “rannicchiata”, l’eccessivo stringimento delle manette (con i conseguenti danni alle mani ed alla circolazione sanguigna), ed infine la privazione del sonno. La Corte tentò la distinzione tra metodi inaccettabili in quanto lesivi della dignità umana senza apprezzabili motivi e metodi che, invece, possono causare sofferenza e deprivazioni fisiche, ma che rientrano in procedure di interrogatorio giustificabili in circostanze di emergenza. Nel bilanciamento tra due esigenze fondamentali, la repressione delle azione terroristiche e la salvaguardia dei diritti umani, la Corte concluse che i GSS non avevano il potere di svolgere abitualmente interrogatori mediante il ricorso a mezzi di “pressione fisica moderata”, dal momento che, al pari delle altre forze dell’ordine, l’uso di una pressione fisica moderata negli interrogatori, per far fronte ad un pericolo imminente di attentato da scongiurare, avrebbe dovuto essere considerato soltanto una circostanza attenuante, e non già una specie di riserva di impunità482. Il principio di non discriminazione, pur non espressamente previsto come inderogabile dall’art. 15 CEDU, lo diviene in virtù del richiamo al rispetto degli altri obblighi internazionali, tra i quali vi è il Patto internazionale sui diritti civili e politici, nel quale il principio è invece considerato come inderogabile. Gli effetti pratici del riconoscimento di siffatto principio, si riscontrano nella necessità di mantenere le garanzie dell’habeas corpus e quelle del giusto processo anche per i c.d. nemici-criminali. Infatti, il divieto di discriminazione per ragioni di razza, religione, nazionalità ed opinioni politiche impedisce ai pubblici poteri di violare il diritto alla difesa e alla riserva di giurisdizione per qualsiasi provvedimento limitativo della libertà personale, qualsiasi sia il suo fondamento e la sua finalità. L’effettivo godimento di efficaci diritti processuali ed un effettivo controllo giurisdizionale di qualsiasi atto dei pubblici poteri che incida sulla libertà personale restano principi inderogabili di fronte a qualsiasi esigenza di tutela della sicurezza collettiva che sorga in una situazione eccezionale. E garante ne viene costituito il giudice costituzionale483. 2.4 Lo scenario italiano Nel codice penale italiano non è invece previsto alcun reato di tortura, anche se non mancano voci a sostegno di una sua introduzione in forza della legge che ha dato esecuzione alla Convenzione del 1984 contenuto nella legge di esecuzione. Tuttavia, dal 1988, anno di entrata in vigore della Convenzione per l’Italia, non vi è mai stata alcuna incriminazione per 482 La sentenza della Corte suprema di Israele nella sua funzione di Alta corte di giustizia, Issa Ali Batat et al. v. The General Security Service et al. del 6 settembre 1999 è disponibile sul sito internet www.court.gov.il ed è commentata da OTTOLENGHI, Una sentenza della Corte Suprema israeliana sulla facoltà dei servizi di sicurezza di fare uso della forza nel corso di interrogatori, in Dir. pubbl. comp. ed eur., 1999, IV, pp.1489-1491. 483 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160 106 reato di “tortura”, anche se non sono mancati episodi484, conclusi con l’incriminazione per reati comuni quali percosse, violenza privata o lesioni personali485. Nondimeno, non sono mancati i tentativi di introdurre la fattispecie nel nostro ordinamento: risale al 1989 il primo disegno di legge per l'introduzione del crimine di tortura nel nostro codice penale, seguito da quello del 1991 e del 1997. Vi è anche una proposta governativa nell’anno 2000 e successivamente anche altri disegni di legge (n.582 del 2001, n. 4990 del 2004486), Anche nel 2006 sono stati presentati altri progetti di legge: col n. 1216 si è proposta l’introduzione degli articoli 613 bis e 613 ter del codice penale in materia di tortura, approvato dalla Camera dei deputati487; si è presentato il n. 324 per l’introduzione dell' articolo 593 bis del codice penale concernente il reato di tortura; i nn. 789, 895 e 954 sono andati nella stessa direzione. Tutti i ddl propongono una descrizione della condotta che integra il reato di tortura sostanzialmente mutata da quella di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Sembra peraltro preferibile la collocazione del reato tra i delitti contro la libertà morale, quindi dopo l’articolo 613 c.p. (ddl 1216), rispetto ad una collocazione come delitto contro la vita e l’incolumità individuale. Ancora, mentre in un progetto il reato è considerato comune (n. 1216), negli altri è reato proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio488. Tutti i disegni di legge, significativamente, escludono l'immunità diplomatica per i cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro paese o da un tribunale internazionale. Quanto alla disciplina delle sanzioni, invece, essa appare inadeguata in pressoché tutti i progetti. Il tema della adeguatezza o meno delle sanzioni per abusi compiuti dalle nostre forze di polizia, compresa la questione della mancata introduzione di un reato di tortura nell’ordinamento italiano, è stato a più riprese toccato anche dal Comitato contro la tortura. Sino ad oggi, però, di fronte alle ripetute raccomandazioni del Comitato dei diritti umani e del Comitato contro la tortura di introdurre un reato specifico di tortura nel nostro ordinamento, i rappresentanti italiani, da un lato hanno escluso una siffatta eventualità, dall’altro, però, hanno continuato a sostenere che non sia indispensabile procedere alla formulazione di una norma criminalizzante ad hoc. A favore di questa posizione si afferma che modifiche all’ordinamento interno finalizzate alla introduzione di un reato di tortura si sarebbero verificate per effetto dell’ordine di esecuzione degli accordi che imporrebbero un obbligo in tal senso; per altro verso che l’ordinamento sarebbe conforme all’obbligo di prevedere la tortura come reato in virtù della 484 Casi tortura sono riportati nei principali documenti di Amnesty International. Negli anni 90 la maggior parte di questi casi ha riguardato percosse e pestaggi, all’interno di stazioni di polizia, caserme dei carabinieri e centri per stranieri. Nell’aprile 2000 c’è stata la prima condanna di un appartenente alle Forze Armate per le torture e le uccisioni verificatesi in Somalia nel corso dell’operazione di pace delle Nazioni Unite del 1993-94: un ex soldato è stato condannato a 18 mesi (con sospensione della pena) per “abuso di autorità” e a un risarcimento di 30 milioni di lire in favore della vittima, un cittadino somalo al cui corpo erano stati applicati elettrodi. 485 Nel 2000 alcuni dirigenti e agenti di polizia penitenziaria sono stati incriminati per “violenza privata, lesioni e abuso di ufficio a seguito di un pestaggio avvenuto in un carcere della Sardegna. 486 Quest’ultimo, frutto di uno sforzo bipartisan, alla fine non è diventato legge per l’introduzione, all’ultimo momento, di un emendamento volto a richiedere la reiterazione del reato. Secondo l’opposizione, l’emendamento era finalizzato a proteggere le forze dell’ordine che utilizzano episodicamente metodi non proprio ortodossi 487 PADOVANI, Quel progetto di legge sulla tortura dalle prospettive deludenti, in GDir., 2007, 4, p. 6 488 PADOVANI, Quel progetto di legge sulla tortura dalle prospettive deludenti, cit., p. 7, ritiene che l’illecito debba venire configurato necessariamente un reato proprio, anche se in forma non esclusiva, e che l’autorità debba comunque esserci, anche se non come autore materiale della condotta. 107 preesistenza di una serie di figure criminose non specifiche. Quanto alla tesi secondo cui la norma della Convenzione contro la tortura che impone di prevedere questa come reato sarebbe self-executing, però, si deve constatare che in virtù del principio di legalità, la norma in questione non sarebbe direttamente applicabile489. Quanto alla sufficienza delle previsioni di reati ordinari, rimane il dubbio non sia adeguatamente considerata la tortura di tipo psicologico e, in ogni caso, che la Convenzione prevede l’introduzione di un reato specifico 490. La legge n. 498 del 1988 di esecuzione della Convenzione del 1984, opportunamente dedica all’attuazione dell’art. 5 una norma ad hoc491 In definitiva la soddisfacente attuazione, sia dell’obbligo di stabilire pene severe per i colpevoli di atti di tortura, sia dell’obbligo di esercitare la giurisdizione penale sugli atti di tortura nei termini ampi previsti dalla Convenzione, postulano l’esistenza di un reato di tortura specifico. Pertanto nell’esecuzione della convenzione l’Italia appare gravemente inadempiente, non potendo certo prevedere pene appropriate, se difetta del tutto la fattispecie di tortura nel codice penale. E del resto l’inadeguatezza della risposta delle istituzioni italiane al fenomeno appare evidente, in quanto, a fronte dei non pochi casi denunciati, si ha un numero esiguo di procedimenti giudiziari, nei quali sono state formulate imputazioni non particolarmente gravi. 2.5 Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo. Prime conclusioni in tema di tortura A fronte di un pieno accordo, in termini astratti, sul divieto di tortura, si è visto che si tende ad ammettere un’eccezione al principio, non più sul piano processuale ma su quello sostanziale, al fine di sottrarre l’agente alla responsabilità penale. Nel campo dei diritti umani si richiede di osservare standard sempre più elevati e, conseguentemente, occorre una maggior fermezza nel valutare le violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche. E tale principio deve valere anche in circostanze difficili quali la lotta al terrorismo492. Deve infatti riconoscersi che vi sono norme di diritto internazionale e comunitario che impediscono che l’azione degli Stati violi un determinato nucleo minimo di principi e diritti fondamentali e deve quindi ritenersi tale “nucleo” non possa venire infranto neppure dall’azione necessitata giustificata dallo stato di necessità. 489 Nel rapporto iniziale dell’Italia al Comitato contro la tortura si afferma, in verità che «treaty norms already in existence in this field are directli applicable» e si menzionano il Patto internazionale sui diritti civili e politici e le European Conventions on Human Rights and on Torture. 490 Cfr. MARCHESI, L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, Crit. Pen., 1998, p.470-71. 491 In base a questa: «È punito, secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro di grazia e giustizia: a) il cittadino che commette all’estero un fatto costituente reato che sia qualificato atto di tortura dall’art. 1 della Convenzione; b) lo straniero che commette all’estero uno dei fatti indicati alla lett. a) in danno di un cittadini italiano; c) lo straniero che commette all’estero uno dei reati indicati alla lett. a), quando si trovi sul territorio dello Stato e non ne sia disposta l’estradizione». Legge 3 novembre 1988 n. 198 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984). 492 Cfr RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della ‘tortura democratica’, cit., 850. 108 In altre parole, la tortura non può mai essere giustificata né scusata, nemmeno invocando lo stato di necessità: le fattispecie che integrano condotte di tortura, quindi, devono considerarsi in ogni caso prive del requisito della proporzionalità493. Infatti, la tortura non viene mai a costituire né un’azione ragionevole né, tantomeno, un’azione necessaria. Non è mai ragionevole, perché il rischio che la tortura sia del tutto inutile è molto elevato: ex ante non si può sapere se il presunto terrorista sia davvero depositario delle informazioni ricercate; inoltre non è dato sapere se, possedendole, ne renderà partecipe l’interrogante; e infine non c’è garanzia alcuna che riporti l’informazione vera e corretta. Non è poi un’azione necessaria, perché possono esserci altri modi di acquisire le informazioni, senza ricorrere alla violenza. Inoltre non v’è proporzionalità del fatto qualora il male inflitto sia superiore a quello che si è evitato e, in caso di interrogatori non soavi, in realtà neppure si conosce il male evitato e se viene a mancare uno dei termini di comparazione non può farsi giudizio di proporzionalità. Ancora, si osserva che il generalizzato timore del pericolo terroristico rende un’evenienza quasi quotidiana la ricerca di informazioni da affiliati alle organizzazioni terroristiche. Dunque, trattandosi di una esigenza quasi consueta e ordinaria, essa deve venire affrontata con il ricorso ad altri mezzi di difesa, ordinari. Conseguentemente, viene meno anche il requisito dell’inevitabilità altrimenti del pericolo: difetta tale requisito poiché sussiste la possibilità di evitare il pericolo con un’offesa meno grave di quella arrecata, ed inoltre, come visto, le torture sembrano inutili, sul criminale bruto, il quale è disposto a morire, mentre il debole prima o poi si risolverà a collaborare. Peraltro, si è evidenziato che il prigioniero disporrebbe di un potere di far cessare il pericolo, e che, quindi, la scelta ultima sarebbe rimessa allo stesso. Ma, in proposito, va osservato che tra l’attentatore nelle mani della Polizia ed il pericolo da lui generato rischia di esservi è ormai una distanza eccessiva. Anche di fronte ad una procedura legale di tortura, assoggettata a controllo giudiziale, e limitata nel quantum allo stretto necessario, si deve pur sempre obiettare che, sul piano pratico, per sua intima essenza, la tortura non è graduabile a priori nel quantum, pena la perdita della pressione psicologica che essa deve esercitare e che la tortura «buona», quella legalizzata, ne postula una «cattiva», vietata, ma i confini tra le due tipologie sono inevitabilmente vaghi ed indeterminati. E, da ultimo, che la tortura è in realtà anti-utilitarista, in quanto solo occasionalmente fornisce informazioni vere, e quindi utili: d’altronde, se vi sono terroristi disposti a morire, a fortiori vi saranno terroristi disposti a mentire. L’esclusione della legittimità della tortura, inoltre, appare conforme alla dottrina c.d. del margine di apprezzamento statale, la quale individua questioni che appaiono di rilevanza così fondamentale da necessitare di una soluzione omogenea nel sistema internazionale della CEDU494. 493 Cfr. GALETTA, Il proncipio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fra principio di necessari età e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e rilevanza effettiva del principio, in RIDPC, 1999, 3-4, 743. 494 GALETTA, Il proncipio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fra principio di necessari età e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su contenuti e rilevanza effettiva del principio, cit., 743. 109 In definitiva, deve concludersi che non è ipotizzabile uno stato di necessità che consenta una compressione della dignità umana e in particolare del diritto all’integrità fisica e mentale, neppure nei confronti di soggetti sospettati di crimini di terrorismo. Anche tali soggetti, infatti, devono godere del diritto fondamentale sopra enunciato, sia con riguardo al momento dell’arresto, nel quale deve venire utilizzato il grado di forza strettamente necessario a effettuarlo e proporzionato alla pericolosità del soggetto, sia nel periodo di detenzione, nel quale non possono subire tortura al fine di estorcere loro informazioni. 2.6 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition Vi sono altre condotte di contrasto al terrorismo, adottate più o meno apertamente dagli stati, passibili di verifica quanto alla loro compatibilità con il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali che il diritto internazionale assicura a tutti gli individui. Una problematica piuttosto rilevante concerne proprio le estradizioni e i trasferimenti di terroristi, o sospetti tali, in Paesi o luoghi nei quali vi sia un serio rischio che essi vengano sottoposti a misure violanti i diritti umani e specialmente torture e trattamenti inumani o degradanti. In materia gli Stati adottano lo strumento delle “assicurazioni diplomatiche”, ma l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha avuto modo di precisare che il divieto di tortura, in nome della lotta al terrorismo, viene aggirato dagli stati e celato sotto tale pratica. Ad esempio, la Gran Bretagna nel 2005 ha stabilito che, al fine di garantire la sicurezza nazionale, persone sospette terroriste dovessero necessariamente essere trasferite nei loro Paesi d’origine ma a condizione che essi garantissero di non violare i diritti umani e non sottoporle a tortura; questa procedura venne valutata come sufficiente per garantire il rispetto dell’art. 3 della Convenzione contro la tortura del 1984, relativo al divieto estradizione verso Paesi nei quali ci siano seri rischi che il soggetto possa essere sottoposto a tortura e anche dell’art. 4 della CEDU del 1950495, che sancisce il divieto di tortura. In fin dei conti, questo strumento di garanzia non si è rivelato nel corso degli anni adeguato496. 495 Art. 4 Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. 496 Un caso eclatante si è avuto in Svezia, che nel 2001 si servì delle di questo strumento per espellere due sospetti terroristi egiziani; si trattava di Ahmed Agiza, di 42 anni, e Muhammed Zery, 35 anni, sospettati di avere stretti legami con Al Qaida. Prima di espellere i due sospetti terroristi la Svezia cercò di ottenere dall’Egitto queste “assicurazioni diplomatiche” e in particolar modo che i due uomini non venissero sottoposti a tortura o altri trattamenti degradanti, oltre a poter godere di un giusto processo. Anche l’ambasciata svedese al Cairo garantì che avrebbe monitorato sul corretto rispetto di questa assicurazione. Tuttavia nel 2003 Agiza inviò una comunicazione al Comitato contro la Tortura affermando di essere stato torturato durante il trasporto verso l’Egitto e durante la detenzione in una prigione egiziana, trasferimento avvenuto con il coninvolgimento Polizia Segreta Svedese e dei servizi segreti americani. Il 20 maggio 2005 il Comitato, sulla base di una comunicazione presentata dallo stesso Agiza, ha stabilito che la Svezia aveva violato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e che il procedimento delle “assicurazioni diplomatiche”, che comunque necessitava di venire rafforzato, non risultava idoneo al rispetto del divieto di tortura. Caso Agiza vs. Sweden - Com 223/2003 110 Quanto alle c.d. extraordinary rendition, come noto tale locuzione designa un’azione sostanzialmente illegale di cattura, deportazione e detenzione clandestinamente eseguita nei confronti di un soggetto sospettato di essere un terrorista. Detta prassi è stata ripetutamente attuata da servizi segreti statunitensi, e i terroristi deportati verso le prigioni di Guantanamo o verso stati noti per il basso livello di difesa dei diritti umani per essere sottoposti a interrogatori che, nella maggior parte dei casi, comportano torture e detenzione in incommunicando. Lo scopo operativo perseguito con tali operazioni è quello della lotta al terrorismo, e, di fatto, tali consegne rappresentano veri e propri rapimenti di cittadini stranieri, del tutto privi di qualsivoglia utilità sul piano pratico del contrasto al crimine né su quello processuale di condanna dello stesso. Il caso più noto in Italia è quello del rapimento di Abu Omar, ma non mancano esempi simili negli altri ordinamenti. In Germania, ad esempio, nel 2007, ad alcuni agenti della CIA è stata mossa l’imputazione di rapimento e lesioni personali in relazione al sequestro del tedescolibanese Khaled el Masri. In Gran Bretagna, nel 2008, vi è stata l’ammissione ufficiale da parte del Ministro degli esteri della partecipazione a operazioni di extraordinary renditions, e, nel 2010, il Governo Britannico ha anche riconosciuto un risarcimento del danno ai presunti terroristi al fine di evitare un pubblico processo. Il Parlamento Europeo, nel 2007, ha condannato tali i trasferimenti straordinari, stilando un rapporto con le prove delle operazioni illegali, condannando con fermezza il rapimento e la detenzione di sospetti terroristi sul suolo dell’UE, e stigmatizzando la connivenza degli stati dell’Unione Europea e dello stesso Consiglio UE497. Per gli eurodeputati, infatti, il terrorismo va combattuto nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Sotto il profilo dell’applicabilità ai casi in esame della norma sullo stato di necessità, deve rilevarsi come, anche in tale caso, difetta il requisito dell’inevitabilità altrimenti, dal momento che i presunti terroristi ben potrebbero venire interrogati nel Paese in cui si trovano e con le garanzie proprie di un ordinamento democratico. Quanto al requisito della proporzionalità, si osserva che se si ritengono posti in violazione del divieto di tortura i trasferimenti e le estradizioni concordate tra Stati (nei termini suddetti) a maggior ragione dovranno escludersi dall’operatività della scriminante le c.d. extraordinary rendition, che, come noto, avvengono seguendo canali non ufficiali al fine di interrogare i sospettati con metodi “non soavi”. In definitiva, quale corollario del principio precedentemente enunciato, s’impone la conclusione della non operatività della scriminante in tali fattispecie. 497 La relazione della Commissione d’inchiesta è stata presentata dall’on. Europarlamentare Claudio Fava ed è reperibile sul sito dell’UE. La relazione contiene una condanna dell’Italia con riferimento al rapimento di Abu Omar. La relazione invita inoltre la Commissione europea ad effettuare una valutazione di tutta la legislazione antiterrorismo degli stati membri nella prospettiva dei diritti dell’uomo, e a riesaminare la nozione di segreto di stato limitandone e definendone ll’applicabilità in modo restrittivo. Cfr. la decisione quadro del Consiglio 2008/909/GAI relativa al trasferimento dei condannati approvata da Bruxelles. 111 4. Segue: altre fattispecie Quanto alle altre possibili fattispecie, invece, la risposta può essere differente. Ancorché, come si è detto, la legittimazione dei mezzi di indagine debba risultare da un’espressa statuizione legislativa che costituisce espressione di un bilanciamento di interessi, operato dal legislatore ordinario, tra l’esigenza dell' accertamento della verità e quella, contraria, dell’inviolabilità della persona umana, altri mezzi di indagine non ortodossi possono venire giustificati, o meglio scusati, al fine di evitare che essi si presentino come paradigma reiterabile di condotta498. Ciò potrà valere, ad esempio, per violazioni della privacy o della corrispondenza. In tali casi, infatti, ferma la verifica dei requisiti di attualità del pericolo e di gravità del male minacciato, nel bilanciamento tra la sicurezza collettiva e siffatti diritti dell’individuo, sembra potersi affermare la prevalenza della prima Del resto, anche la convenzione CEDU ammette che il rispetto della vita privata e familiare può essere soggetto ad interferenze da parte della pubblica autorità, qualora ciò si riveli “necessario ad una società democratica”, nell’interesse della sicurezza nazionale. Deve rimanere ben chiaro, sullo sfondo, che non si tratta di un’estensione dei poteri extra ordinem, ma che, piuttosto, sul piano della valutazione ex post può trovare spazio la logica della scusa. In tale ricostruzione, mentre l’aver riconosciuto dei principi inderogabili (con riferimento alla dignità umana) segna la differenza tra gli uomini di stato e i criminalinemici, quando ora affermato con riguardo a tali diritti consente allo stato di difendersi da attacchi odiosi così da non sembrare eroe morente. 5 Segue: la tutela della legalità in quanto tale Un altro bene giuridico viene in risalto in situazioni di emergenza, ed è il concetto stesso di legalità. Ciò accade quando lo Stato è chiamato a scendere a patti con i terroristi, e a fare od omettere qualcosa che, per l’effetto, comporta un ampliamento della sfera dei diritti del criminale. Si tratta, in sostanza, di verificare il rilievo dello stato di necessità in tema di “trattative” con i terroristi: ad esempio per il caso di scambio di prigionieri politici potrebbe configurarsi il reato di procurata evasione (386 c.p.), o quello di procurata inosservanza di pena (390 c.p.) o, ancora, il reato di favoreggiamento (378 e 379 c.p.) nel caso di pagamento di riscatto ai sequestratori. In tali casi, quindi, si infrange la legge laddove il bene tutelato è di “ordine pubblico”, ossia l’amministrazione della giustizia. Il rischio, come detto, è che giustificare una condotta in tal senso allarghi le maglie dello stato di diritto sino a rendere lo Stato ricattabile. Per il vero, si osserva che tali condotte sono tenute clandestinamente, ma, a differenza di quelle sopra denunciate, raramente emergono e mai approdano nelle aule giudiziarie. 498 Sembra, quindi, imporsi la scelta di differenziare l’efficacia dello stato di necessità sulla base delle situazioni considerate. Per il vero, poi, accedendo alla teoria di Mezzetti (v. supra, cap. I) che vuole lo stato di necessità come norma scriminante ad efficacia complessiva, tale precisazione risulta superflua. 112 È il caso delle trattative per la liberazione degli ostaggi rapiti in territori di guerriglia, dei cooperanti sequestrati nel vicino oriente, dei giornalisti Mastrogiacomo e Sgrena: si dice che il Governo italiano si sia interessato della loro liberazione, ma dette vicende, sotto tale profilo, non hanno avuto alcuno strascico giudiziario. L’analisi sull’applicabilità della scriminante può quindi apparire superflua, atteso il salvacondotto sostanziale di tali azioni. Vale però la pena chiarire che appare comunque eccessivo estendere a tale casistica la logica della giustificazione. Come si è avuto modo di osservare, infatti, se le indicate condotte dell’autorità vengono giustificate, esse assurgono a paradigma reiterabile ogni volta che se ne presenta l’occasione; con ciò l’apparato statale è “costretto” alla trattativa, e la legalità stessa irrimediabilmente compromessa. In altre parole, lo stato di necessità non può diventare un criterio generale di allargamento dei poteri dell’autorità. In proposito, si rileva che nel nostro ordinamento la presenza delle scriminanti offre regole di valutazioni ex post per la soluzione di conflitti interindividuali, è deputata a stabilire parametri generali di comportamento per un’organizzazione complessa e pianificata come quella statuale. Invocando lo stato di necessità, quindi, si confonderebbero i fini e i mezzi dell’esercizio del potere. È quindi da escludersi fermamente che la norma penalistica dello stato di necessità possa rappresentare una norma pubblicistica fonte del potere dell’Autorità, altrimenti per tale via si indebolirebbe l’ordinamento rendendolo ricattabile. Tuttavia, deve riconoscersi uno spazio per la scusabilità del comportamento: se un pubblico funzionario sceglie di intavolare trattative con il “nemico” lo fa sotto la propria responsabilità, e deve avere contezza del fatto che porre in essere una condotta oggettivamente illecita nel momento in cui accondiscende alle richieste avanzate (ad es: rilascio prigionieri “politici”, pagamento di riscatto). Tuttavia, sotto il profilo soggettivo, è evidente che sarà difficile muovergli un rimprovero. 6 Conclusioni Come si è visto, la legge processuale penale esclude dai mezzi processuali la violenza inquisitoria e, viceversa, disciplina i requisiti necessari alla concessione di eventuali benefici. Pertanto vi è chi esclude in radice la possibilità di praticare un’inquisizione non soave ovvero non aderisce alla linea della trattativa (o linea umanitaria) e propugna la linea della fermezza, come intransigente adesione al principio di legalità, escludendo l’applicabilità dello stato di necessità ai casi individuati499. Si è visto anche che tale linea di “fermezza” su entrambi i fronti è sganciata dal dato reale, poiché spesso gli inquisiti sono fatti oggetto di una qualche pressione e poiché le trattative con il “nemico” spesso vengono condotte in via ufficiosa. Sotto il primo profilo, invero, non si può che aderire alla linea di fermezza, ed evitare la retorica dei casi estremi: deve riconoscersi che l’efficacia selettiva dei requisiti della norma vale a disinnescarne gli artifici retorici delle tesi pro tortura, in particolare superando l’espediente retorico impiegato per relativizzare la dignità umana, ossia quello del c.d. ticking time bomb scenario. Si è infatti visto che, ogni qual volta si tratti di tortura, viene meno soprattutto il requisito di proporzionalità, necessario al fine dell’applicazione della scriminante. Ciò deriva dal fatto che i diritti umani fondamentali 499 BELLAGAMBA, Ai confini dello stato di necessità, , in Cass. pen., 2000, 6, 1832. 113 non sono un’optional della democrazia. Democrazia e diritti umani stanno e dadono insieme500 e, individuatone un “catalogo” essenziale, esso non è mai declinabile501. Colui il quale viola i diritti fondamentali individuati e internazionalmente riconosciuti non può in alcun modo trovare giustificazione (né scusa) alla propria condotta. Tanto più che gli strumenti della ricerca della verità sono definiti dalla legge processuale in vista del fine perseguito, ma anche a garanzia di interessi e diritti fondamentali, che si ritiene che non possano essere in alcun modo sacrificati. Il fine, quindi, non giustifica i mezzi502. Si ritiene quindi che lo stato di necessità non possa trovare applicazione nella prassi di organi statali, i quanto i poteri dei pubblici funzionari sono attribuiti dalla legge, e il legislatore dispone di tutti gli strumenti legali legittimi per predisporne di nuovi, se necessario. Invero, immaginando un pericolo vago e generale quale quello del terrorismo, la situazione tipica dello stato di necessità viene pervertita ad una situazione di emergenza preventiva e forse quasi permanente503, ma, come si vedrà, nelle decisioni pubbliche emergenziali (laddove l’emergenza è divenuta in un certo qual modo “permanente”), lo Stato beneficia già di molti poteri autoritativi e procedurali preclusi ai singoli. Pertanto non si può invocare anche uno stato di necessità statale, o si rinuncerebbe al vincolo della legalità e della riserva di legge504. Esclusa l’invocabilità della scriminante comune, sullo sfondo resta la possibilità di autorizzazione con leggi speciali, di una scriminante speciale proceduralizzata (come quelle previste, ad esempio, in tema di aborto o, in alcuni ordinamenti, in tema di eutanasia). Ma tale scelta non può che essere demandata al legislatore. È anche stato proposto di pensare di definire la logica dell’emergenza a livello costituzionale, in materia penale e processuale penale, in modo da creare una cornice costituzionale della quale imporre il rispetto anche per il diritto penale dell’emergenza505, e in modo da stabilire il carattere necessariamente temporaneo delle leggi penali che causano un arretramento della tutela. Quindi, può affermarsi che non vi sia spazio alcuno, nell’ordinamento, per uno stato di necessità scriminante nelle ipotesi di inquisizione non soave; mentre residua la possibilità di scriminare (in senso scusante) la condotta dei pubblici poteri posta in violazione di diritti “complementari” (riservatezza, privacy), ovvero se dettata da ragioni umanitarie in caso di concessioni a richieste di terroristi506. Fermo restando che occorre far attenzione a non allargare troppo le maglie del sistema e lasciare che lo Stato divenga facilmente ricattabile, pena l’innesco di una spirale inarrestabile verso la dissoluzione dello Stato di diritto507. 500 LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico, nemici del diritto penale, in IP, I, 2007, 54. 501 Non ultimo l’art. 13 della nostra Costituzione. 502 Si ricorda, in proposito, l’opinione di Pulitanò 503 Si veda capitolo successivo. 504 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, in Cass. pen., 2006, 770 505 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit.. 506 MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 45 e FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 272. 507 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 444. 114 NECESSITÀ ED EMERGENZA TERRORISTICA: DALLA NORMA GENERALE ALLA LEGISLAZIONE SPECIALE CAPITOLO QUARTO Profili di diritto comparato 1 2 3 4 5 6 Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale .............................. 115 Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione ............................... 117 2.1 Considerazioni .......................................................................................... 123 Il modello britannico di gestione delle emergenze ........................................... 123 Cenni ai modelli di altri ordinamenti ................................................................ 126 4.1 Modello francese ...................................................................................... 127 4.2 Il modello irlandese .................................................................................. 128 4.3 Il modello spagnolo .................................................................................. 128 4.4 Cenni ad altri ordinamenti. ....................................................................... 129 Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze .... 130 5.1 Il doppio binario ....................................................................................... 133 5.2 I patriot Act e la legislazione d’emergenza .............................................. 135 5.3 Gli strumenti investigativi ........................................................................ 135 5.4 Le deroghe all’habeas corpus ................................................................... 137 5.5 La normalizzazione dell’emergenza ......................................................... 138 5.6 Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema ....................................... 139 5.7 Considerazioni .......................................................................................... 142 La risposta dell’Unione europea all’11 settembre ............................................ 144 1 Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale Si è detto che il diritto penale, usualmente, si pone a tutela di beni giuridici e come statuto di garanzie, ma che può anche porsi, anziché a tutela di cittadini di fronte al potere dello Stato, come tutela dei cittadini nei confronti dei nemici: vale a dire che, prima di assestarsi in forme e contenuti di giustizia, emerge l’urgenza di vincere una lotta, a difesa delle istituzioni e dei singoli. Ciò vale a dire che la politica criminale è concetto più ampio di quella penale. In tale prospettiva si è tentato, da parte di alcuni, di reintrodurre nel dibattito penale contemporaneo la categoria del nemico508: conseguenza è la creazione di un sistema “dell’emergenza” rigorosamente separato da quello comune, un insieme di leggi 508 È stato Jakobs a riprendere tale tematica in tempi recenti. Si veda JAKOBS, derecho penal del ciudadano y derecho penal del enemigo, in JAKOBS-CANCIO MELIA, Derecho penale del emenigo, Civitas, Madrid, 2003, p. 23 e ss; JAKOBS, Bürgerstrafrecht und Feindstrafrecht, in HRRS, 2004, p. 88 e ss.; JAKOBS, Terroristen als Personen im Recht!, in ZStW, 2005, 839; JAKOBS, Kriminalisierung im vorveld einer Rettungsverletzung, in ZStW, 97, 1985, p. 753.; CANCIO MELIA, Feind”strafrecht”?, in ZStW, 2005, 117, p.267.; SCHNEIDER, bellum Justum gegen den Feind in Inneren?, in ZStW, 2001, 113, p. 499; 115 speciali dettate dallo stato di eccezione, che tuttavia tendono a diventare una normativa permanente, e, quindi, perennemente all’interno della normalità del sistema509. Si è detto che chi demonizza tale aspetto del diritto penale, ne vuole fare una scienza morale ed estetica, ma poco verace, una scienza del dover essere, più che riferita all’essere normativo vigente510. Non occuparsi di tale aspetto del diritto penale, in altre parole, significa consegnarlo alla discrezionalità (e all’arbitrio) dell’uso della forza da parte del potere politico511. Uno dei settori dove è più marcata funzione del diritto penale in nome di una lotta contro il nemico è proprio quello della criminalità di matrice terroristica, oltre che in quello della criminalità organizzata e di stampo mafioso. In tali settori, le fattispecie penale tendono ad anticipare la punibilità e ad allargare il novero dei soggetti punibili, con riflessi anche processuali della tipologia emergenziale. Anche perché l’immagine del nemico molto bene si attaglia al tipo soggettivo di terrorista straniero, che opera all’interno della società occidentale nel quadro di una guerra globale, assolutamente impermeabile a qualsivoglia finalità risocializzatrice della pena, e, nel contempo, immune anche all’effetto deterrente della minaccia della stessa512. Sotto tale accezione è possibile compendiare una parte delle politiche criminali e penali contemporanee, emerse dopo l’11 settembre e da allora assestate su posizioni di lotta e di guerra al terrorismo. Si avverte, comunque, che nel presente lavoro tale teorizzazione si atteggia come categoria critica, e non si vuole eleggerla a categoria dogmatica513: in sostanza, il diritto penale dell’emergenza serve a descrivere un fenomeno, senza che però sia opportuno trarne ulteriori conseguenze sul piano critico-valutativo514, fermo restando che la descrizione deve rimanere estranea al carico emozionale associato all’espressione nemico Un’altra ragione per cui meritano attenzione le leggi speciali introdotte nella lotta contro il terrorismo emerge sulla considerazione del fatto che, spesso, esse contengono norme procedurali ad hoc. E, così, emerge da esse una concezione dello stesso processo penale come causa di giustificazione: le procedure penali ledono o mettono in pericolo, per loro natura, beni quali libertà di circolazione, diritto alla segretezza e alla privacy, libertà personale, salute fisica e psichica, con norme sui fermi, custodie cautelari, sequestri, intercettazioni, ispezioni ecc…, ma se sono codificate, per ciò stesso sono legittime (se conformi anche al superiore dettato costituzionale). 509 Cfr anche RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 181; e LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico, nemici del diritto penale, in IP, I, 2007, 52; BEVERE, Il diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, in Crit. Dir., 2008, 3-4, p.227; CATTANEO, Riflessioni sul diritto penale del “nemico”, in crit. Dir., 2008, 1-2, p.141; PAGLIARO, “Diritto penale dl nemico”: una costruzione illogica e pericolosa, in CP, 2010, 6, 2460. 510 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit., 735. 511 Hic sunt leones: qui finisce il diritto e cominciano guerra, violenza e arbitrio, afferma VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 670. 512 Cfr. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 670. 513 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit., 760. 514 VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 672, rifiuta l’ottica del diritto penale del nemico sia sotto il profilo valutativo che sotto quello descrittivo. Si chiede, invero, che il paradigma sicurezza.neutralizzazione sia un processo che investe da tempo l’intero processo penale, secondo la tesi formulate da HASSEMER, Sicherheit durch strafrecht, in HRRS, 2006, p. 130, con traduzione di Cavaliere in cri.Dir., , 2008, p. 15. 116 Sulla base di siffatte premesse, l”arma” rappresentata dal processo penale diviene uno strumento privilegiato nella lotta contro il nemico, e merita pertanto di essere indagato in che modo vengono scriminate (dalla legge stessa) le lesioni ai beni suddetti. In sostanza, il presente lavoro non poteva prescindere dalla descrizione dei connotati salienti dei sistemi di contrasto al terrorismo attualmente operanti nei principali paesi europei, che si sono dati regole ad hoc, derogatorie rispetto alle regole ordinarie destinate al contrasto alla criminalità comune. Per procedere in tale analisi, è opportuno un breve cenno anche ai modelli costituzionali dei paesi oggetto dell’indagine comparatistica . Per il vero, poi, va evidenziato che ogni Paese ha la tendenza a trattare la minaccia terroristica come un problema interno, e a combatterlo con gli strumenti elaborati all’interno della propria cultura. Del resto, il problema del terrorismo non è nuovo in Europa: il nostro continente, infatti, ha conosciuto ogni forma di attacco alle istituzioni, dalla lotta armata per ragioni etniche, a quella per ragioni politiche, al terrorismo mediorientale La reazione contro il terrorismo si caratterizza in due direzioni: da un lato, infatti, la necessità di tutela dei diritti fondamentali richiede interventi legislativi mirati; dall’altra, invece, si connota per le azioni intraprese in violazione proprio dei diritti fondamentali dei presunti terroristi, in “aperto” contrasto con il divieto di tortura, il divieto di detenzione arbitraria e pretermettendo i canoni di un equo processo. 2 Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione Il modello tedesco contempla stati d’eccezione costituzionalmente disciplinati, che restano tuttavia inutilizzati. In caso di emergenza il Parlamento rimane sovrano, non potendo il Governo federale adottare autonomamente atti di rango legislativo in casi di straordinaria necessità ed urgenza, e il legislatore parlamentare non è neppure autorizzato a conferire deleghe legislative all’Esecutivo per questioni che coinvolgono diritti fondamentali515. Il legislatore tedesco è quindi intervenuto in via ordinaria per la gestione delle emergenze e per la previsione e repressione del terrorismo516. Tuttavia nella dottrina tedesca vi è chi afferma che in circostanze eccezionali, come quelle di un attacco terroristico simile a quello subito dagli USA nel settembre 2001 (o anche in quello subito dalla Spagna nel 2004), si deve ipotizzare l’applicazione dei regimi eccezionali oggi previsti a livello costituzionale. La legge fondamentale tedesca ammette la sospensione di alcuni diritti costituzionalmente garantiti in connessione alla deliberazione dello “stato di tensione” (Spannungsfall) e dello “stato di difesa” (Verteidigungsfall) (artt. 80a, comma 1, e 115a), ferma restando anche in tali periodi l’impossibilità di modificare l’assetto organizzativo dello stato. Anzitutto vi è il preliminare “Stato di tensione” (Spannungsfall), previsto dall’art. 80aGG, presupposto per l’applicazione delle cosiddette “Schubladengesetze”, decreti legislativi con i 515 516 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 100. WEISSER, Der Kampf gegen den Terroriten – praevention durch Strafrecht?, in JZ, 2008. 8, p. 388. 117 quali può essere ad es. limitata la libertà di professione (riconosciuta dall’art. 12a GG), costringendo la popolazione al servizio in infrastrutture ospedaliere, civili o militari, o può essere modificato il diritto agli indennizzi per le espropriazioni in deroga all’art. 14 III GG, nonché la disciplina per la privazione della libertà personale. Altre restrizioni di alcuni diritti fondamentali possono però derivare dalle cosiddette “semplici leggi di emergenza” (einfache Notstandsgesetze), per es. la legge per la tutela della popolazione civile in caso di guerra, il cosiddetto Zivilschutzgesetz del 25 marzo 1997, prevede la possibilità di stabilire che nessun cittadino possa lasciare il proprio luogo di residenza senza permesso speciale, o al contrario che tutta la popolazione di una regione minacciata debba essere evacuata. Tale legge, come richiesto dall’art. 19 GG, enumera tutti i diritti fondamentali suscettibili di restrizioni, cioè l’integrità fisica, la libertà della persona, la libertà di circolazione, l’inviolabilità del domicilio. Lo stato di difesa è invece deliberato “quando il territorio federale è oggetto di aggressione armata o quando una tale aggressione è imminente” (art. 115°, comma I GG) con maggioranze qualificate sia del Bundestag (deve trattarsi dei 2/3 dei voti espressi pari ad almeno la metà dei deputati), sia al Bundesrat. Vale la pena sottolineare che nello stato di difesa vi è un inevitabile accentramento federale della potestà legislativa. Non è invece prevista a livello costituzionale una definizione di che cosa sia lo stato di eccezione interno: non avviene una proclamazione formale né dell’inizio né della fine dello stato eccezionale, manca ogni disposizione concernente la limitazione temporale dello stesso e tutti i provvedimenti possibili devono essere presi in conformità alle leggi normali che regolano anche le possibili restrizioni delle libertà fondamentali. Si segnala la possibilità di limitare, con legge, la libertà di circolazione prevista dall’art. 11 GG, quando la limitazione è necessaria per scongiurare un pericolo che minaccia “l’esistenza o l’ordine fondamentale liberaldemocratico della federazione o di un Land”sulla base dei presupposti indicati dall’art. 35, commi II e III GG. Come anticipato, in Germania non constano norme costituzionali in materia di terrorismo, ma previste limitazioni generali dei diritti che potrebbero essere attivate in tal caso. Ad esempio il diritto di associazione è limitabile se gli scopi di un’associazione contrastano con le leggi penali o siano diretti contro l’ordinamento costituzionale o contro il principio della comprensione dei popoli (art. 9 GG); la segretezza della corrispondenza è limitabile per legge se serve per la difesa dell’ordinamento liberale e democratico o della sicurezza federale o statale (art. 10); la libertà di circolazione e residenza è limitabile per legge, tra gli altri, nei casi in cui ciò sia necessario per allontanare un incombente pericolo per l’esistenza o per l’ordinamento fondamentale liberale e democratico o per fronteggiare i pericoli derivanti da epidemie, calamità, catastrofi (art. 11); la libertà di domicilio è limitabile per legge, tra l’altro, per prevenire pericoli imminenti per la sicurezza o per l’ordine pubblico, per rimediare alla mancanza di abitazioni e per combattere il pericolo di epidemie (art. 13)517. Inoltre può essere dichiarata dal giudice costituzionale la decadenza da alcuni diritti costituzionali nei confronti di chi, al fine di combattere l’ordinamento democratico e liberale, abusa del diritto di espressione, di insegnamento, di riunione, di associazione, del segreto della corrispondenza, del diritto di proprietà e del diritto di asilo (art. 18). 517 Per un approfondito esame del rapporto tra Bund e Lander in materia di sicurezza e terrorismo nel sistema costituzionale tedesco e nell’applicazione della recente legislazione antiterrorismo cfr. BALDINI, “Diritto alla sicurezza” e collaborazione tra Bund e Lander nella lotta al terrorismo, in Le politiche legislative di contrasto alla criminalità organizzata, a cura di S. Staiano, Napoli, 2003, p. 410 e ss.. 118 La tendenza alla “legalizzazione normalizzante” in Germania ha comportato che l’esercizio di alcuni diritti costituzionalmente garantiti è stato limitato per motivi di sicurezza con leggi conformi alle riserve di legge appositamente introdotte nella Costituzione518. Nella dottrina tedesca, inoltre, si riconosce che le situazioni di emergenza giustificano delle limitazioni dei diritti fondamentali più severe rispetto a quelle dei periodi normali, anche se anche in tal caso le limitazioni devono essere essenziali, nonché adeguate e proporzionate allo scopo. Si deve infine osservare che, a parte i casi di applicazione delle altre norme costituzionali che consentono in via ordinaria alcune limitate restrizioni a diritti costituzionalmente garantiti, nella recente prassi costituzionale tedesca si sono approvate leggi al fine di prevenire e regolare una situazione simile a quella che accadde con l’attacco terroristico agli USA del settembre 2001. Così nella legge del 2004 sulla sicurezza della navigazione aerea (Luftsicherheitsgesetz) è stata introdotta l’ipotesi di un attacco per mezzo di un aereo civile dirottato, qualificata come “calamità particolarmente grave” ai sensi dell’art. 35 II e III GG, così da ricondurla nell’alveo della competenza federale (e giustificare l’impiego delle forze armate). Di particolare interesse appaiono, quindi, le vicende della legge emanata dal Bundestag il 18/6/2004519. In particolare, ai sensi del § 14520 co. 3 LuftSiG spetta al Ministro della difesa, in caso di dirottamento aereo, attivare una particolare procedura per “L’azione immediata, con l’impiego delle armi, è ammessa solo quando è da attendersi, secondo le circostanze, che l’aereo verrà impiegato contro la vita di esseri umani, e quando essa sia l’unico mezzo per opporsi a questo pericolo attuale”. Strutturalmente la situazione presupposta dalla norma riproduce una ipotesi di c.d. di «comunità in pericolo». Nella fattispecie, il pericolo incombe su beni giuridici appartenenti a persone diverse e la salvezza di alcune è inscindibilmente connessa al sacrificio di altre. In tali casi, il legislatore tedesco aveva pensato di avocare a sé la scelta di sacrificare dei cittadini per salvarne altri. 518 Come è accaduto nel 1998 con la segretezza della posta e delle telecomunicazioni. Nel 1998 la stessa disciplina costituzionale dell’inviolabilità del domicilio prevista dall’art. 13 GG è stata modificata per prevedere la facoltà dei giudici di autorizzare l’uso di microfoni segreti quando gli altri mezzi investigativi si rivelino inadeguati, nei casi di sospetto di reati particolarmente gravi o per prevenire un grave pericolo pubblico, o nei casi in cui è in pericolo la vita umana. 519 NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea (Luftsicherheitsgesetz), in Cass. pen., 2007, 2, p. 780. 520 Questo il testo integrale: misure di intervento militare, autorizzazione all’ordine. I. per impedire il verificarsi di una sciagura particolarmente grave, le forze armate possono, nello spazio arereo, respingere aerei, costringerli ad atterrare, minacciare l’impiego della forza o sparare in aria. II. Tra i diversi mezzi possibili, è da scegliere quello che, prevedibilmente, arrechi minor pregiudizio al singolo come alla collettività. Il provvedimento può essere attuato solo per il tempo e nella misura necessari a conseguire il suo scopo. Esso non può portare ad una perdita che sia, in modo riconoscibile, sproporzionata al risultato auspicato. III. L’azione immediata, con l’impiego delle armi, è ammessa solo quando è da attendersi, secondo le circostanze, che l’aereo verrà impiegato contro la vita di esseri umani, e quando essa sia l’unico mezzo per opporsi a questo pericolo attuale. IV. La misura può essere ordinata dal Ministro della difesa o, in caso di rappresentanza, dal membro del governo incaricato di rappresentarlo (…)”. 119 Come già accennato in precedenza, in tali casi si era ipotizzata una zona giuridicamente franca dal diritto (Rechtsfreier Raum): qualunque soluzione l’ordinamento adottasse per risolvere il conflitto essa apparirebbe comunque giuridicamente insostenibile, perché troppo distante dal quotidiano, non risolvibile sulla base del bilanciamento d’interessi, e, nel contempo, alieno dalla logica delle scusanti. In realtà, in quest’ottica, non si riusciva ad individuare un chiaro confine applicativo tra «Rechtsfreier Raum» e «Notstand» e, par far fronte all’inafferrabilità della fattispecie probabilmente il legislatore si è risolto a regolarla. Infatti, alle ipotesi contemplate non sarebbe stata applicabile la norma sullo stato di necessità scriminante: a ciò osta il necessario requisito del bilanciamento tra gli interessi in pericolo e la prevalenza “essenziale” degli interessi protetti rispetto a quelli lesi dalla reazione necessitata. Come già detto, infatti, tale requisito non può essere soddisfatto laddove il conflitto coinvolga il bene vita. Per il vero, si segnalano alcune correnti minoritarie che leggono la clausola di prevalenza essenziale in senso quantitativo anziché in senso qualitativo: si pensi alla teoria della mera quantificazione del numero delle vittime, scarsamente seguita ed, anzi, avversata in quanto basata su un’impostazione di tipo collettivistico-utilitarista; ovvero la teoria dell’asimmetria del rischio, che propone di commisurare il bilanciamento «vita contro vita» confrontando le chances di salvezza di un bene giuridico rispetto ad un altro, nei casi in cui appaia evidente che almeno qualcuna delle vittime è comunque destinata a soccombere. In quest’ottica, l’uccisione di cento persone potrebbe essere scriminata a fronte di una sola vita da salvare, allorchè si pensasse che, a breve, la vita dei più fosse comunque ineluttabilmente segnata. Tuttavia ciò significherebbe attribuire funzione discriminante all’aspettativa di vita, con evidente lesione dei più basilari principi di pari dignità di ciascuna persona umana. O, ancora, si deve ricordare che per la teoria c.d. della reificazione, sostenuta peraltro dal Governo tedesco adducendo che nelle circostanze previste dal § 14 co. 3 LuftSiG, sussisterebbe un’assimilazione dei passeggeri innocenti a «componenti l’arma» (l’aereo impiegato come arma dai terroristi). Per questa via, si perverrebbe ad una (inaccettabile) reificazione delle persone innocenti presenti a bordo del velivolo. Tuttavia, tali motivazioni appaiono deboli e, comunque, insufficienti all’applicazione dello «stato di necessità difensivo» di cui al § 228 BGB, atteso che in casi drammatici come quelli di dirottamento aereo non è possibile imputare ai passeggeri né la fonte del pericolo, né un innalzamento di grado del medesimo. Di contro, deve riconoscersi che tali ultimi requisiti appaiono essenziali per giustificare l’aggressione ai passeggeri ex § 228 BGB)521. Da ultimo, a tali fattispecie non è applicabile neppure la logica della scusa: la previsione normativa del § 35 StGB non si attaglia alle situazioni di cui al § 14 co. 3 LuftSiG in quanto l’efficacia scusante dello stato di necessità opera soltanto laddove si verifichino legami “stretti” tra il soggetto agente e la persona pericolante. Peraltro, nonostante il dato normativo, la dottrina ha sostenuto uno stato di necessità scusante extralegale, che però all’atto pratico risulta difficilmente percorribile: l’azione scusata resterebbe antigiuridica, autorizzerebbe i passeggeri aggrediti al ricorso alla legittima difesa, ma soprattutto implicherebbe la cosciente commissione di un fatto penalmente illecito da parte di organi statali522. 521 NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea (Luftsicherheitsgesetz), cit., 2007, 2, p. 784-787. 522 NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea (Luftsicherheitsgesetz), cit., p. 788. 120 La pronunzia del BVerfG sulla norma in esame è stata preceduta da un ampio dibattito523: la previsione è stata criticata, ma nondimeno applaudita in quanto “rottura di un tabù” dell’inviolabilità del diritto alla vita, dando forma ad una teorica delle situazioni eccezionali. Secondo una prima ricostruzione, nel caso in cui siano minacciate le fondamenta del rapporto Stato-individuo il vincolo dello Stato al rispetto dei principi interni verrebbe meno, con conseguente vera e propria revoca dello status di cittadino; secondo diversa ricostruzione sussisterebbe in capo a ciascun componente una comunità statuale un obbligo giuridico di sacrificare la propria vita, obbligo subordinato, però, alla sussistenza di un pericolo per l’esistenza stessa dello Stato. Sulla base di siffatte premesse, la critica al paragrafo 14 si è appuntata sulla mancanza, tra i presupposti applicativi della norma, di una enunciazione chiara dei criteri in base ai quali possa ritenersi subentrata una situazione eccezionale: soprattutto, si lamentava il fatto che i presupposti presenti nella norma non richiamassero la messa in pericolo dell’esistenza stessa dell’ordinamento giuridico. Il tema coincide, più in generale, con la delimitazione dei presupposti per l’ingresso in uno “stato di necessità di Stato” (Staatsnotstand), il cui ambito viene dalle impostazioni più recenti limitato ad un pericolo “esistenziale” per lo Stato, restrittivamente inteso come (almeno) una delle sue tre componenti tradizionali524. La Corte Costituzionale tedesca è stata quindi investita da una serie di ricorsi525 contro la norma miranti a far dichiarare incostituzionale la LuftSiG emanata l’11/1/2005 e il BVerfG di Karlsruhe ha infine deliberato con voto unanime l’illegittimità costituzionale del § 14 co. 3 LuftSiG. Più specificamente, tale norma è stata dichiarata incostituzionale, rispetto alla Carta Costituzionale del 1949, per due diversi ordini di ragioni, le une di carattere tecnico-formale (mancherebbe infatti al Bund la competenza legislativa necessaria per emanare la norma in esame); le altre di ordine sostanziale (l’impiego delle armi contro l’aereo dirottato violerebbe il principio costituzionale d’intangibilità della dignità della persona umana, nella misura in cui esso coinvolgesse anche le sorti di eventuali passeggeri innocenti presenti a bordo del velivolo). Per quanto riguarda le motivazioni d’incostituzionalità tecnico-formali, secondo la Corte l’uso delle armi da parte dell’Aviazione militare a mente del § 14 co. 3 LuftSiG autorizza contrasterebbe con tre diverse norme della GG526: A) art. 35 co. 2 II periodo GG: che attribuisce al Bund la competenza legislativa in materia di spegamento delle forze armate in occasione di “incidenti gravi” e di coordinamento rispetto ai Länder conivolti. A tale proposito, il problema non sta nel fatto che l’incidente grave non si sia ancora verificato (dovendosi con ciò intendere il 523 ARCHANGELSKIJ, Das Problem des Lebensnotstandes am Beispiel des Abschusses eines von Terroristen entfuehrten Flugzeuges, Berlin, 2005, anticipa molti degli argomenti che verranno poi utilizzati dalla Corte Costituzionale. 524 In effetti, è sufficiente pensare all’attacco alle Twin Towers di NY dell’11 settembre 2001 per cogliere le difficoltà definitorie in concreto: il tragico successo di quegli attentati non ha rappresentato, in sé e per sé, un pericolo essenziale per gli USA a meno di non passare dalla nozione di pericolo «attuale» a quella di pericolo «preventivo e permanente». 525 Presentati, tra gli altri, dall’ex-Vicepresidente del Bundestag Hirsch (FDP), dall’ex-Ministro degli interni Baum (anch’egli FDP), da tre avvocati e da un pilota. 526 DONINI, Il diritto penale di fronte al «nemico», cit., 770. 121 dirottamento e non l’abbattimento del velivolo), quanto piuttosto nel fatto che la norma citata non consente l’impiego di armamenti di carattere militare nelle azioni d’intervento conseguenti a “calamità naturali” e ad “altri incidenti gravi”; in altre parole, le modalità di assistenza assicurate dall’Aviazione militare non possono rispondere a criteri qualitativamente differenti dalle forme d’intervento abitualmente messe in campo da parte delle forze dell’ordine dei Länder nell’esercizio delle loro funzioni, e, conseguentemente, si deve escludere l’uso delle armi come strumento di aggressione militare; B) art. 35 co. 3 I periodo GG: che prevede espressamente che, in caso di emergenza di portata extra-regionale, solo e soltanto il Governo federale possa decidere di impiegare le forze armate; non è quindi ammissibile che il § 14 co. 3 LuftSiG attribuisca al Ministro della difesa la deliberazione in proposito (a meno che non si ipotizzi di ottenere un provvedimento tempestivo dell’esecutivo, ipotesi in concreto difficilmente praticabile); C) art. 87a co. 2 GG: che stabilisce che le forze armate possano essere impiegate, al di fuori dei tradizionali compiti di difesa, nei soli casi espressamente previsti dalla GG, tra i quali non rientra il caso di cui al § 14 co. 3 LuftSiG. Per quanto concerne le motivazioni d’incostituzionalità sostanziali, invece, la Corte ritiene che il § 14 co. 3 LuftSiG contrasti con l’art. 2 co. 2 I periodo GG in combinato disposto con l’art. 1 co. 1 I periodo GG, ossia con il diritto alla vita e con la tutela della dignità umana: in tale prospettiva, infatti, i passeggeri innocenti presenti a bordo dell’aeromobile dirottato verrebbero reificati. E qui risiede proprio il punctum dolens ossia nel rapporto tra diritto alla vita e diritto alla dignità umana, e nel contenuto assegnato a tale ultimo termine: in sostanza, qualunque limitazione che lo Stato intenda imporre al diritto alla vita trova un limite invalicabile nel rispetto della dignità umana. In definitiva, l’obbligo di tutelare le potenziali vittime di un attacco aereo (obbligo che pure grava sullo Stato ex art. 1 co. 1 II periodo GG) si considera recessivo dinnanzi al rispetto della dignità delle vite presenti a bordo. La Corte chiarisce ancora in che cosa consista il rispetto della dignità umana statuendo che è assolutamente proibito reificare una persona “lasciando che si avverta la mancanza del rispetto del valore che spetta ad ogni persona in virtù di sé stessa”. Fissati così i necessari confini della fattispecie, la Corte approfondisce ulteriori aspetti della norma censurata, evidenziando anzitutto come sia scaricata sui passeggeri innocenti l’incertezza della situazione: la Corte, pur senza entrare nello delle conseguenze penalistiche di un eventuale ordine di abbattimento e della sua esecuzione, si limita ad affermare l’illegittimità costituzionale di una norma con efficacia scriminante (quindi di portata molto lata) che ponga una presunzione nel giudizio di ponderazione degli interessi in pericolo. In tale ricostruzione si ritiene che al pensiero della Corte sia sottesa la convinzione che invece possa ritenersi intervenire nulla una causa scusante extralegale in fattispecie come quella in esame. Nella sentenza, peraltro, la Corte prende posizione, respingendole, su una serie di tesi dottrinali: rifiuta la presunzione di consenso tacito, dei passeggeri presenti a bordo, a sacrificare la loro; rifiuta la teoria della asimmetria del rischio di morte e del computo delle chances di sopravvivenza; rifiuta la reificazione dei passeggeri innocenti in quanto 122 componenti di un’arma (teoria sostenuta proprio dall’Avvocatura del Bund nella discussione della causa dinanzi al BVerfG); rifiuta l’individuazione di un obbligo, a carico dei passeggeri imbarcati sull’aeromobile, di sacrificare la loro vita anchorchè questo sia l’unico mezzo per elidere un pericolo esiziale per l’ordinamento giuridico statale; rifiuta, da ultimo, di individuare un obbligo di intervento dello stato a tutela di quei cittadini la cui vita sia minacciata dall’aeromobile in mano ai terroristi, ovvero individua in tali casi un obbligo di intervento con l’impiego dei soli mezzi legittimamente predisposti nella GG. Al tirar delle somme, la Corte di Karlsruhe evidenzia come residui un unico spazio applicativo del § 14 co. 3 LuftSiG, ossia per l’ipotesi di un attacco a mezzo di un aereo in cui non siano imbarcate persone, a bordo, estranee all’attentato: in tali casi, infatti, si potrà ricorrere alla legittima difesa come scriminante. 2.1 Considerazioni Non è semplice, per la dottrina costituzionalistica tedesca, decifrare il principio d’intangibilità della dignità della persona umana di cui all’art. 1 co. 1 GG527. La c.d. “Objektformel” è uno strumento che si risolve in una definizione «in negativo», mutuando (come ha fatto il BVerfG) la formula di Dürig a mente della quale la dignità umana è lesa in caso di «reificazione» della persona, e, nel contempo, con l’utilizzo di tale formula in un contesto in cui l’oggettificazione dell’essere umano è indiscutibilmente evidente, secondo i principi propri dell’ordinamento tedesco, proprio perché i cittadini vengono privati proprio delle loro caratteristiche essenziali di «soggetti» e ridotta a componente di un’arma528. Un’interpretazione «in negativo» attesta l’impossibilità di definire compiutamente il concetto di dignità, e ne predilige invece una concretizzazione caso per caso. Ciò comporta senz’altro un’apprezzabile flessibilità, ma, nel contempo, conduce ad esiti condivisibili solo laddove si presenti un certo grado di evidenza. Come già anticipato, con tale decisione in definitiva si lascia aperta la possibilità di un’ipotesi scusante in capo a chi abbia agito secondo la fattispecie dichiarata illegittima, applicando una ipotesi di inesigibilità ultralegale529. In tal modo, si evita la creazione di stati di necessità indeterminati e indeterminabili ex ante, lasciando che sia qualcun altro a “sporcarsi le mani”, al momento di decidere se fare o omettere qualche cosa nel momento topico, con la possibilità che però tale soggetto trovi, ex post, una possibilità di scusa. 3 Il modello britannico di gestione delle emergenze Il modello britannico di gestione delle emergenze prevede la martial Law, Bill of Indemmnity, poteri governativi in attuazione della legislazione emergenziale, un debole controllo giurisdizionale, un primato del Parlamento, in assenza di norme costituzionali inderogabili. 527 Sul bilanciamento sicurezza vs dignità umana, cfr. RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della ‘tortura democratica’, cit., pag. 858 e BIN, Democrazia e terrorismo, cit.. 528 NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea (Luftsicherheitsgesetz),cit., p. 795 529 DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit.., 770. 123 Tale modello è forse quello più antico: alla Corona e ai suoi funzionari compete la Martial law, spetta il diritto di opporre forza alla forza in caso di una qualsiasi forma di resistenza violenta nei confronti dell’ordinamento costituito. Si tratta peraltro di un diritto-dovere che spetta anche ad ogni suddito e non può comunque essere esercitato in senso difforme dalla legge. L’uso della forza, autorizzato al perseguimento dello scopo, non deve essere eccessivo. I presupposti per l’applicazione della legge marziale sono implicitamente l’insufficienza dei mezzi legali ordinari per respingere il pericolo e la necessità e l’urgenza, senza che serva una esplicita proclamazione. Lo stato di necessità sembra peraltro essere l’unico fondamento per l’applicazione della legge marziale, ma esso è inteso nel diritto britannico in modo del tutto peculiare. Una volta ristabilita la pace i giudici ordinari hanno comunque giurisdizione su qualsiasi atto compiuto dalle autorità militari o da altri soggetti in base alla martial law. Chiunque, militare o civile, durante il periodo della guerra o della ribellione abbia compiuto senza un’evidente giustificazione legale un atto lesivo della vita, della libertà o della proprietà di un inglese è soggetto alle medesime sanzioni di chiunque abbia violato le leggi, a meno che non intervenga uno specifico Act o Bill of indemnity del Parlamento, alla fine del periodo di guerra o di disordini, al fine di legittimare ex post gli eventuali atti illegittimi commessi nell’interesse collettivo. Ciò vale a dire che il Governo in caso di emergenza dovrebbe adottare tutti gli atti necessari senza violare alcuna legge approvata, ma, qualora in caso di urgente necessità abbia adottato misure in violazione di una legge in adempimento al dovere di difendere lo Stato, ne rimane politicamente responsabile a meno che il Parlamento non approvi un Act of Indemnity dei provvedimenti adottati dal Governo in deroga alle leggi, al fine di sanare ex post l’azione governativa. La deroga al Bill of Rights mediante semplice legge è possibile nel sistema britannico in quanto non vi è una costituzione rigida530. Il Regno Unito conosce provvedimenti antiterrorismo già dal 1922, con il Civil Authority (Special Powers) Act, il quale prevedeva numerose forme di arresto e detenzione stragiudiziale, senza limiti temporali definiti531: accanto all’arresto senza mandato a scopo di interrogatorio, e il fermo qualora si ritenesse che il sospettato agisse in modo tale da pregiudicare il mantenimento della pace o dell'ordine, che avevano durata relativamente breve, vi era la detenzione su ordine delle Autorità di polizia o di internamento su disposizione del Ministro degli Interni su raccomandazione delle Autorità di P.S., entrambe senza previsione di durata massima. Ancora, nel 1973. l’Emergency Provision Act (EPA, 1973) sostituì il precedente Act del 1922. Nel 1974 fu introdotto il Prevention of Terrorism Act –(PTA) e nel 2000 il Terrorism Act 2000, volto a censurare condotte anche solo latamente criminose, (incitamento al terrorismo, l’addestramento all’uso delle armi da fuoco e l’insegnamento o l’apprendimento di tecniche terroristiche, all’estero o in patria), ampliando parimenti i poteri di fermo di polizia: inizialmente rivolto all’antiterrorismo nell’Irlanda del Nord, detto atto fu destinato a predisporre misure per combattere ogni manifestazione di terrorismo. 530 MARAZZITA, L’emergenza costituzionale. Definizione e modelli, Milano, 2003, pp. 90-95 Cfr. anche DE SANTIS, Il divieto di tortura e trattamento disumano e degradante nell’ordinamento europeo: il caso della Gran Bretagna, in Diritto&Diritti, novembre 2004, in www.diritto.it. 531 124 All’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il parlamento britannico ha quindi approvato il controverso Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001 (ATCSA)532. Esso, in origine, autorizzava la detenzione a tempo indeterminato di cittadini stranieri sospettati di attività terroristiche, senza alcun controllo di legittimità da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria: era sufficiente che il Ministro dell’Interno identificasse i soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale sulla base di rapporti di intelligence, non sottoposti ad alcun controllo di attendibilità. I provvedimenti amministrativi relativi a tale detenzione extra giudiziaria erano quindi sottoposti a revisione da parte di una commissione speciale Special Immigration Appeals Commission (SIAC), e l’unica garanzia risiedeva nella previsione di un eventuale giudizio impugnatorio della decisione innanzi la Court of Appeal su iniziativa di entrambe le parti (condannato e Ministro dell’Interno). L’ATCSA aveva carattere di legislazione straordinaria, prevedendo la durata provvisoria delle procedure descritte, che sarebbero comunque cessate entro il 10 novembre 2006. Detto atto, ancorché usato con parsimonia dalle autorità britanniche, è stato censurato, innanzi la House of Lords533: per violazione degli artt. 5 e 14 CEDU534e degli artt. 9 e 26 del Patto sui diritti civili e politici del 1966535 , attesa l’esclusione del controllo di legittimità sulle misure detentive da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria, e per violazione del principio di non discriminazione, visto che dette misure trovavano applicazione nei confronti di soli cittadini stranieri. Del resto lo Human Rights Act 1998 (Designated Derogation) Order 2001, dichiarava ufficialmente le deroghe dell’ATCSA alla CEDU, solo con riguardo all’art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e non l’art. 14 (divieto di discriminazione), con la conseguenza che tale seconda norma rimaneva cogente per il legislatore britannico536. Quanto alla SIAC, che può annullare i certificati degli immigrati, essa opera senza sostanziali garanzie: l’accusa viene mantenuta segreta, la decisione viene presa in 532 www.opsi.gov.uk Ricorso deciso Corte con sentenza 16 dicembre 2004, con effetto di dichiarare illegittima la carcerazione in quanto protrattasi per anni e contro soggetti colpevoli solo di essere stranieri. Ha tuttavia ammesso la legittimità delle confessioni estorte con la tortura. Cfr. BIN, Democrazia e terrorismo, cit.; cfr inoltre DI PAOLO, una recente decisione della House of Lords inglese sul divieto di utilizzo di prove ottenute tramite la tortura, in CP, 2006, 7-8.2640. 534 Il testo della Convenzione è disponibile su www.giustizia.it. Le disposizioni della CEDU sono state attuate nell’ordinamento interno britannico con lo Human Rights Act del 1998. 535 Il testo dei Patti sui diritti civili e politici è disponibile su www.infoleges.it. 536 La delegazione del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, nel febbraio 2002 effettuò in Inghilterra, in virtù dell’art. 7 della Convenzione per la Prevenzione della Tortura del 1987, una visita ad hoc allo scopo di valutare il trattamento di persone sospettate di terrorismo internazionale detenute in forza dell’Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001. La delegazione del Comitato nell’esaminare le garanzie contro i maltrattamenti aveva constatato che, mentre la situazione relativa alla notifica della custodia e l’accesso ad un dottore era in definitiva soddisfacente, rispetto al diritto di accesso a un avvocato la situazione non poteva considerarsi accettabile dal momento che molti detenuti avevano dichiarato di aver atteso più di una settimana, prima di avere un primo contatto con l’avvocato. La delegazione europea aveva altresì rilevato che, a fronte di buone condizioni generali dei luoghi di detenziona, a nessuna delle persone detenute in forza dell’Atto anti-terrorismo venivano di fatto garantiti lavoro, attività educative o culturali e solo alcune di esse avevano avuto il permesso di fare attività fisica. 533 125 assenza del soggetto interessato e di un difensore, e l’esito è comunicato solamente in forma riassuntiva. Il legislatore britannico quindi ha emanato il Prevention of Terrorism Act 2005537, prevedendo una nuova categoria di provvedimenti amministrativi, i control orders, ossia differenziate misure di sicurezza emessi dal Ministro dell’Interno o dall’autorità giudiziaria a seconda che comportino o meno misure detentive, ferma la competenza dell’High Court (A.G. ordinaria)in ordine al controllo di legittimità degli stessi. Tuttavia, sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, anche tale provvedimento appare censurabile in quanto attribuisce al Segretario di Stato il potere di imporre c.d. “control orders”, a carico dell’interessato disponendo il divieto di possedere certi oggetti, restrizioni alla libertà di movimento, di comunicazione e di associazione, sino agli arresti domiciliari, - senza previa audizione dell'interessato, - senza previo controllo giurisdizionale sulla misura, tranne che per le ipotesi più rilevanti (che danno luogo ai c.d. “derogating control orders”, laddove la deroga è da intendersi come riferita ai diritti ed alle libertà previste dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo), ed pur sempre con valutazione limitata alla verifica di "gravi indizi di reato", - con significative limitazioni alla ricorribilità giurisdizionale, limitata al controllo di legittimità del provvedimento, in un'udienza nell'ambito della quale le prove contro l'interessato sono tenute segrete - senza la previsione del diritto di nominare un proprio difensore di fiducia, essendo invece prevista l’assistenza di uno special advocate incaricato dal Governo; - senza alcuna limitazione quanto a durata della misura, con illimitata possibilità di reiterazione della stessa - con la possibilità, per il governo, di reiterare il provvedimento anche qualora fosse annullato da una decisione giurisdizionale. In conclusione, appare evidente che nel Regno Unito è forte la prassi di emanare, in materia di terrorismo, legislazioni restrittive e suscettibili di critiche per il mancato rispetto dei diritti umani. 4. Cenni ai modelli di altri ordinamenti Il terzo modello costituzionale di gestione dell’emergenza è quello nel quale si prevede di disciplinare con legge ogni tipo di evento e nel quale le norme costituzionali in casi eccezionali, più o meno circostanziati, nei quali non sia possibile rimediare agli eventi con mezzi legislativi ordinari, consentono la deroga di specifiche norme costituzionali o addirittura la sospensione totale o parziale della costituzione o l’introduzione più o meno limitata nel tempo di “stati di eccezione” rispetto alle norme costituzionali ordinarie538. Oggi i regimi derogatori previsti dalle Costituzioni degli Stati democratici sembrano rispondere ad una forma “normalizzata” di emergenza, le cui conseguenze 537 538 Testo disponibile su www.statewatch.org/news/2005/mar/uk-pta-2005.pdf. BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 70 126 negative sono attenuabili proprio in virtù della previsione costituzionale: tipizzano i presupposti e le condizioni per l’attivazione degli stati di eccezione, limitano le conseguenze negative sulla Costituzione perché prevedono modifiche temporanee al regime delle competenze degli organi coinvolti e modifiche al regime di alcuni diritti di libertà. Vale osservare che con simili istituti l’emergenza può avere l’effetto di svincolare l’azione straordinaria dei pubblici poteri da ogni vincolo ancorché, generando “uno spazio vuoto di diritto”, paradossalmente si accampi la pretesa di stare ancora applicando il diritto. Lo stato di eccezione si presenta quindi come “la forma legale di ciò che non può avere forma legale”, in cui l’eccezione sovrana agisce come dispositivo con cui il diritto “include in sé il vivente attraverso la sua propria sospensione”539. Il modello così delineato di gestione delle emergenze appare quantitativamente prevalente negli Stati costituzionali democratici. 4.1 Modello francese Il modello della Francia della V Repubblica prevede illimitati poteri presidenziali eccezionali (art. 16), e lo stato d’assedio(art. 36), nonché la previsione legislativa di un ulteriore “état d’urgence”, con conseguente mortificazione dei controlli parlamentari e lo svilimento del controllo di legittimità costituzionale. Si segnala, peraltro, che la Francia è uno dei pochi Stati democratici europei in cui si sono avuti casi di effettiva applicazione delle norme costituzionali che consentono l’uso di poteri eccezionali in caso di emergenza Il sistema costituzionale francese appare tanto complesso quanto vago. In primo luogo, ex art. 16 Cost., spetta al Presidente della Repubblica, l’attivazione di poteri diretti a proteggere le istituzioni, in caso di minaccia grave ed immediata per le istituzioni della Repubblica o l’indipendenza della nazione o l’integrità del territorio o l’esecuzione degli obblighi internazionali, se vi sia l’impossibilità del funzionamento regolare dei poteri pubblici costituzionali. Le decisioni presidenziali di natura legislativa beneficino di una sorta di immunità dal controllo giurisdizionale, senza alcun limite neppure per quanto concerne i diritti costituzionalmente garantiti. L’unico limite sembra essere il divieto di scioglimento delle camere e di revisione costituzionale. Secondo l’art. 36 spetta invece al Consiglio dei Ministri di dichiarare l’instaurazione dello stato d’assedio, e tale fattispecie è rigorosamente disciplinata nel titolo II dell’ordinanza n. 2004-1374 del 20 dicembre 2004 (artt. 2121-1/8), che limita siffatta proclamazione ai casi di pericolo imminente di un’invasione straniera o di un’insurrezione armata, prevedendo altresì il conferimento all’autorità militare soltanto dei poteri per il mantenimento dell’ordine pubblico. In tali casi rimangono fermi i diritti costituzionalmente garantiti, ma l’autorità militare può fare perquisizioni di giorno e di notte, allontanare le persone condannate definitivamente per delitti e le persone non domiciliate nella zona sottoposta allo stato d’assedio, ordinare la consegna di armi e munizioni e procedere alla loro ricerca e confisca e vietare le pubblicazioni e le riunioni che essa ritenga di natura tale da minacciare l’ordine pubblico. 539 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 60 127 Durante lo stato d’assedio i giudici ordinari mantengono la loro competenza, ma i giudici militari possono avocare a sé le azioni penali promosse nei confronti di taluni delitti commessi dai non militari. Il codice della difesa del 2004 prevede altresì che in alternativa allo stato d’assedio si possa proclamare lo stato d’urgenza disciplinato dalla legge n. 55-385 del 3 aprile 1955, come modificato dall’art. 119 della legge 6 settembre 1984, e in tal caso spetta al legislatore la conciliazione tra il rispetto delle libertà e la salvaguardia dell’ordine pubblico. In sostanza, la Costituzione demanda la decisione sul bilanciamento degli interessi contrapposti (libertà e ordine pubblico) alla mera discrezionalità del legislatore, e alle autorità governative lascia il potere di imporre notevoli limiti all’esercizio delle libertà costituzionali. 4.2 Il modello irlandese Il modello irlandese prevede illimitati poteri parlamentari in caso d’emergenza qualora siano minacciati gli interessi vitali dello Stato, (art. 28, 1.3), ponendo al riparo da ogni eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale ogni legge approvata dal Parlamento (a maggioranza semplice) allo scopo esplicito di garantire la sicurezza pubblica e la difesa dello Stato in tempo di guerra o di ribellione armata, impedendo l’annullamento di qualsiasi atto compiuto per l’esecuzione di tale legge. In tale sistema viene impedito alla radice ogni controllo di costituzionalità e di legittimità, costituendo la maggioranza parlamentare unico arbitro dei diritti fondamentali della persona. Addirittura il bilanciamento tra libertà e sicurezza è positivamente risolto a favore di quest’ultima, dal momento che l’art. 40. vieta di invocare la tutela costituzionale della libertà personale al fine di ostacolare l’azione delle Forze armate in stato di guerra540. In definitiva, lo stato di emergenza si configura come una questione politica, di per sé sottratta da ogni valutazione di legittimità costituzionale. 4.3 Il modello spagnolo Il modello spagnolo prevede la sospensione generalizzata di talune norme costituzionali in determinati stati d’eccezione, la sospensione individualizzata dei diritti per fini investigativi in materia di terrorismo, un significativo ruolo parlamentare, e restano fermi i controlli giurisdizionali541. Nella Costituzione spagnola del 1978, invero, sembrano essere presenti tutti gli strumenti ordinari e straordinari utili per fronteggiare situazioni emergenziali e fenomeni terroristici. L’art. 86 prevede che il Governo possa adottare decreti-legge in casi straordinari di necessità e di urgenza, con limiti di efficacia temporale e senza la possibilità di modifica del sistema costituzionale né dei diritti, dei doveri e delle libertà dei cittadini previste dalla Costituzione. Ma vi sono altre ipotesi nelle quali la Costituzione consente sospensioni generalizzate di talune norme costituzionali in vigenza di determinati stati di eccezione, e consente alla legge di prevedere sospensioni individualizzate di taluni diritti 540 541 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 80 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 90 128 costituzionalmente garantiti per finalità investigative in caso di terrorismo, sotto controllo giudiziario e supervisione parlamentare. Gli istituti previsti per la “protezione straordinaria dello Stato”, che derogano alla disciplina costituzionale dell’assetto dei poteri pubblici e della tutela delle libertà costituzionali, sono deliberati dal Parlamento a maggioranza qualificata, e, ex art. 116 Cost. (integrata dalla ley organica 1.6.1981, n. 4), rappresentano tre forme crescenti di stato di eccezione, con differenti presupposti e differenti competenze di ciascuna542. Inoltre, si segnala la previsione dell’art. 55 co. 2 Cost. che demanda alla legge organica sospensioni individuali di taluni diritti costituzionalmente garantiti dagli artt. 17, comma 2 e 18, comma 2 e 3 (inviolabilità del domicilio e della corrispondenza) in relazione alle investigazioni nei confronti di bande armate o di elementi terroristi, assicurando il controllo del giudice e del Parlamento. La giurisprudenza costituzionale spagnola ha contribuito a dare una definizione stretta e rigorosa della nozione di terrorismo, ha vigilato affinché fossa garantita l’effettività del controllo parlamentare ed ha chiarito il termine sospensione, precisando che deve trattarsi soltanto di una restrizione e non già una perdita della titolarità dei diritti e deve essere una sospensione davvero individualizzata nei confronti di determinati indagati e soltanto nella misura in cui ciò è davvero necessario per lo svolgimento delle indagini, contribuendo altresì a definire i limiti della sospensione dei singoli diritti. In particolare, si segnala che la sospensione dell’inviolabilità del domicilio può essere autorizzata dalla legge a posteriori, così come le sospensioni del diritto al segreto delle comunicazioni. 4.4 Cenni ad altri ordinamenti. La Costituzione del Portogallo del 1976 disciplina lo stato di polizia e lo stato di emergenza (art. 19), proclamabili dal Presidente della Repubblica col consenso dell’Assemblea nazionale (art. 138) in tutta o una parte del territorio nazionale soltanto nei casi di aggressione effettiva o imminente di forze straniere, di grave minaccia o turbamento dell’ordine costituzionale democratico o di calamità pubblica. Si prevedono come inderogabili alcuni diritti costituzionalmente garantiti (i diritti alla vita, all’integrità personale, all’identità personale, alla capacità civile e alla cittadinanza, all’irretroattività della legge penale, il diritto di difesa degli imputati e la libertà di coscienza e di religione). La dichiarazione di uno dei due stati risponde al principio di proporzionalità e deve limitarsi a ciò che è strettamente necessario al pronto 542 Il grado più basso è l’Estado de Alarma, in caso di calamità naturali, emergenze sanitarie, carenza di prodotti di prima necessità, paralisi dei servizi pubblici essenziali e non abilita a deroghe delle norme costituzionali. Il secondo grado è l’Estado de Excepción, quando il libero esercizio dei diritti e delle libertà dei cittadini, il normale funzionamento delle istituzioni democratiche e dei servizi pubblici essenziali per la comunità o qualsiasi altro aspetto dell’ordine pubblico risultino così grandemente compromessi che l’esercizio dei poteri ordinari si riveli insufficiente per il ristabilimento dell’ordine pubblico; in tale caso può esservi la sospensione, espressa, di alcuni diritti costituzionali tra quelli indicati nell’art. 55 - libertà personale, di domicilio, segretezza delle comunicazioni private, libertà di circolazione e soggiorno, di manifestazione del pensiero e di informazione, di riunione, diritto di sciopero e di conflitto sindacale. Il grado più severo è lo Estado de Sitio, deliberato a maggioranza assoluta del Parlamento, con sospensione ancor più significativa dei diritti sopra elencati, quando si verifichi o un’insurrezione o un atto di forza contro la sovranità o l’indipendenza nazionale, l’integrità territoriale o il suo ordinamento costituzionale. 129 ristabilimento della normalità costituzionale. Vi è poi uno strumento ordinario di gestione delle emergenze, ossia una facoltà per il Governo di adottare decreti-legge in casi eccezionali di necessità e urgenza e nelle materie per le quali non sia prevista una riserva di legge formale del Parlamento, da sottoporre subito alla conversione in legge del Parlamento entro termini molto brevi (cfr. art. 198 Cost. portoghese)543. L’art. 103 della Costituzione del 1983 dei Paesi Bassi prevede che sia la legge a determinare i casi nei quali lo stato di eccezione può essere proclamato con decreto reale al fine di mantenere la sicurezza interna o esterna e a regolarne le conseguenze. In tali casi è consentita la deroga a taluni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. Un ultimo modello non prevede invece alcuna sospensione né deroga alle norme costituzionali fuori dello stato di guerra, disciplinando invece il ruolo ordinario della decretazione d’urgenza: solo durante lo stato di guerra si ammettono espressamente determinate deroghe alle norme costituzionali. Ciò avviene in Italia, Austria, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Svezia: in taluni paesi è espressamente previsto il divieto di sospensione di norme costituzionali - Belgio (art. 108 e 187 cost.) e Lussemburgo (art. 34 e 113 cost.) -; in altri la Costituzione espressamente prevede la possibilità per il Governo di adottare appositi provvedimenti provvisori aventi valore di legge in casi di necessità e di urgenza, provvedimenti da convertirsi in legge dal Parlamento in tempi brevissimi – art. 77 cost. italiana, art. 23 Cost. Danimarca, art. 18 cost. Austria, cap. VIII art. 7 cost. Svezia. 5 Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze Il modello statunitense di gestione delle emergenze prevede deroghe costituzionali limitate e nominate, ampi poteri presidenziali e del Congresso, rimanendo oscillante ruolo di controllo della Corte Suprema544 La Costituzione degli USA consente la sospensione dell’habeas corpus quando ciò è richiesto dalla sicurezza pubblica in caso di rivolta o di invasione (art. 1, sez. 9) 545, prevede limitazioni al diritto di proprietà previa disciplina legislativa (III^ emendamento) e consente deroghe al diritto di difesa dei militari in tempo di guerra o di pericolo pubblico (V^ emendamento) se lo esige la pubblica sicurezza. I vari Presidenti ne fecero usi più o meno disinvolti, spesso arginati dalla giurisprudenza della Corte suprema che ha concorso a meglio precisare il sistema546. Di contro, per le situazioni di emergenza che coinvolgono soltanto uno Stato la decisione di ricorrere alla martial law e di sospendere l’habeas corpus è di competenza di ogni Stato federato e la Corte esige che la proclamazione della martial law debba essere giustificata ragionevolmente in base alle circostanze del caso concreto. In ogni caso nell’ordinamento costituzionale statunitense, a parte i poteri di guerra di cui dispone il Presidente anche in qualità di comandante supremo delle Forze armate, se, quando e fino a quando il Congresso glielo consente (ai sensi del War power Act del 543 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 110. BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 60. 545 Art. 1 sez. IX: 1. … 2. Il privilegio dell'habeas corpus non sarà sospeso se non quando, in caso di ribellione o di invasione, lo esiga la sicurezza pubblica. 3…”. 546 Cfr. BIN, Democrazia e terrorismo, cit.. 544 130 1973), nei casi di altre emergenze si applicano eventuali leggi abilitanti l’uso di strumenti derogatori alle leggi vigenti547. La Costituzione statunitense tuttavia, pur evocando la possibilità di uno stato d’eccezione, non individua il dominus di tale emergenza. Al contrario, sulla questione della titolarità dei poteri di guerra, il testo costituzionale sembra costituire un perenne «invito al contrasto»548 tra Congresso e Presidente, individuando per entrambi competenze in materia. Il primo è infatti coinvolto nell’applicazione di alcune delle citate norme sull’emergenza549, è titolare di varie competenze specifiche quali il potere di dichiarare guerra e di stabilire norme per regolare le forme e le procedure di intervento delle forze di terra e di mare, è titolare infine di una competenza omnibus quale quella derivante dai poteri impliciti550. Il secondo, d’altro canto, è Comandante in capo dell’esercito551, titolare monocratico del potere esecutivo552, nonché titolare della competenza generale sugli affari esteri, considerata tradizionalmente inclusa nello stesso potere esecutivo553. 547 BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, cit., p. 76. CHEMERINSKY, Constitutional Law, Aspen Law and Business , New York, 2001, p. 288. 549 Il III emendamento fa esplicitamente riferimento alla legge, mentre la suspension clause relativa alla sospendibilità del diritto di habeas corpus è contenuta nel art. I della costituzione dedicata ai poteri del Congresso, facendo così propendere la dottrina per la necessità del consenso del Congresso stesso per l’applicazione della disposizione: sul punto, ACKERMAN B., The emergency constitution, Yale L.J., vol. 113, p. 1053. 550 Art. I, sez. VIII: 1. Il Congresso avrà le seguenti attribuzioni: (….) 11. dichiarare guerra, concedere permessi di preda e rappresaglia e stabilire norme relative alle prede fatte sulla terraferma e lungo le vie d'acqua; 12. reclutare e mantenere esercìti; ma a questo scopo non si potrà stanziare somma alcuna per un periodo superiore ai due anni; 13. creare e mantenere una Marina Militare; 14. stabilire norme per regolare le forme e le procedure di intervento delle forze di terra e di mare; 15. predisporre l'intervento della milizia per far applicare le leggi dell'Unione, reprimere le insurrezioni e respingere le invasioni; 16. procedere ad organizzare, armare, e disciplinare la milizia e regolare le forme di intervento per quella parte di essa che possa essere impiegata al servizio degli Stati Uniti, lasciando ai singoli Stati il potere di nomina degli ufficiali e il compito di addestrare la milizia secondo le norme disciplinari prescritte dal Congresso; 17. esercitare esclusivo potere di legiferare in merito a qualsiasi materia, in quel Distretto (non eccedente le dieci miglia quadrate) che per cessione di singoli Stati e dietro approvazione del Congresso, divenga sede del Governo degli Stati Uniti; ed esercitare analoga autorità su tutti i terreni acquistati col consenso dell'organo legislativo dello Stato in cui si trovano - per la costruzione di fortezze, di depositi, di arsenali, di cantieri e di altri edifici indispensabili; 18. porre in essere tutte le necessarie e opportune per l'esercizio dei poteri di cui sopra, e di tutti gli altri poteri che la presente Costituzione conferisce al Governo degli Stati Uniti, o a qualsiasi Dicastero o suo ufficio interno. 551 Art. II, sez. II: 1. Il Presidente sarà Comandante in Capo dell'Esercito, della Marina degli Stati Uniti e della milizia dei diversi Stati, quando questa sarà chiamata al servizio effettivo degli Stati Uniti; egli potrà richiedere il parere scritto dei titolari di ciascuno dei Dicasteri dell'esecutivo su ogni argomento inerente i compiti dei loro rispettivi uffici, e avrà anche facoltà di concedere commutazioni di pena e la grazia per tutte le infrazioni di legge commesse contro gli Stati Uniti, salvo nel caso dei procedimenti di cui all'Art. II, Sez. IV. (…) . 552 Art. II, sez. I: 1. Il potere esecutivo sarà conferito a un Presidente degli Stati Uniti d'America. Egli rimarrà in carica per un periodo di quattro anni e la sua elezione - insieme a quella del Vicepresidente prescelto per lo stesso periodo - avrà luogo secondo le modalità seguenti:… 553 Indicazioni in questo senso provengono anche dalla Corte suprema: v. United States v. Curtiss-wright Export. Corp., 299 U.S. 320 (1936). Sul tema dei ruoli di Presidente e Congresso sugli affari esteri si veda 548 131 L’ampio potere che la prassi ha riconosciuto al Presidente sembra attenuarsi, tuttavia, con due interventi legislativi che mirano a procedimentalizzare la gestione delle emergenze e aumentare i controlli congressuali sull’esecutivo554, ma nella prassi, per il vero, tali provvedimenti hanno incidenza molto ridotta. Le dichiarazioni presidenziali d’emergenza vengono infatti adottate con grande frequenza (ben quaranta in trent’anni)555, anche dinanzi a situazioni la cui gravità appare discutibile; la relazione del governo alle Camere è di fatto una mera formalità e il Congresso non utilizza mai la possibilità di votare la cessazione dello stato d’eccezione556. Il modello di gestione delle emergenze si sostanzia, in definitiva, nella delega al Presidente che, nel corso degli anni, ha utilizzato tale modus procedendi per fronteggiare l’immigrazione, per controllare impianti energetici, per eseguire arresti tramite militari e, ovviamente, per contrastare il terrorismo. Ed infatti, all’indomani del crollo delle Twin Towers, il 14 settembre 2001, il Presidente Bush ha emesso una dichiarazione d’emergenza, seguendo il procedimento previsto nel National Emergency Act. Di qualche giorno successivo è il provvedimento del Congresso, l’Authorization for Use of Military Force, che autorizza il Presidente a “usare tutta la forza necessaria e opportuna contro quelle nazioni, organizzazioni, o persone che egli ritenga abbiano pianificato, autorizzato, commesso o aiutato gli attacchi terroristici”557. In nome dell’esigenza di tutela della democrazia e della libertà dalla minaccia del terrorismo, la c.d. teoria Bush giustifica non solo le scelte di politica estera, come l’attacco all’Afghanistan, ma anche scelte di politica interna che comportano un rafforzamento dei poteri degli organi pubblici, come verrà argomentato successivamente, rivolgendosi a tutti i paesi liberi: “This is not, however, just America's fight. And what is at stake is not just America's freedom. This is the world's fight. This is civilization's fight. This is the fight of all who believe in progress and pluralism, tolerance and freedom” 558. “The terrorists believe that free societies are essentially corrupt and decadent, and with a few hard blows they can force us to retreat. They are anche RIESENFELD, The Power of Congress and the President in International Relations: Three Recent Supreme Court Decisions, 87 Cal. L. Rev. 786, 1999. 554 Nel 1976 e nel 1977 vengono adottati rispettivamente il National Emergency Act e l’International Emergency Economic Powers Act. I due provvedimenti fissano, fra l’altro, una procedura che mira a creare maggiore trasparenza e quindi maggior controllo: per instaurare uno stato d’emergenza occorre una dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti; quest’ultimo deve poi sottoporre una relazione al Congresso con le motivazioni di tale dichiarazione, ed entro sei mesi ogni Camera deve riunirsi per valutare l’opportunità di far cessare l’emergenza stessa. Se dopo un anno tale emergenza non viene ufficialmente rinnovata dal Presidente, essa cessa automaticamente e inoltre, in ogni momento, il Congresso può adottare una joint resolution (proposta di legge approvata dai due rami del Congresso) per interromperla. Per la disciplina delle emergenze si ricordi anche il War Powers Act del 1973 con cui il Congresso nel 1973 aumentò i suoi controlli sull’attività del Presidente in occasione dell’invio di forze armate all’estero: sui tre provvedimenti si veda fra gli altri: BENAZZO, L’emergenza nel conflitto fra libertà e sicurezza, Torino, 2004, p. 121ss.; TONIATTI, L’ordinamento costituzionale della difesa e degli stati di crisi negli Stati Uniti d’America, in DEVERGOTTINI (a cura di), Costituzione della difesa e stati di crisi, Rivista militare, Roma, 2002,p. 339ss.; CHEMERINSKY E., Constitutional Law, p. 288ss. 555 Dopo l’adozione del National Emergency Act, tra 1976 e 2006, vengono adottate 40 dichiarazioni di stato di emergenza. Sul punto si veda il dossier dell’ Ufficio Studi del Congresso: RELYEA, National Emergency Powers, 30 agosto 2007, reperibile in www.fas.org 556 LOBEL, Emergency Power and the Decline of Liberalism, Yale L.J., vol. 98, pp. 1386ss. 557 Authorization for Use of Military Force, Public Law 107-40, sez. 2 558 BUSH, estratto dal discorso tenuto il 20 settembre 2001, www.whitehouse.gov 132 mistaken. After September the 11th, I made a commitment to the American people: This nation will not wait to be attacked again. We will defend our freedom. We will take the fight to the enemy”.559 Dopo poco più di un mese dall’attacco al cuore degli USA, il Congresso ha approvato il Patriot Act, con numerose misure limitative di diritti costituzionali. Fra queste, si ricorda il fermo fino a 7 giorni per stranieri sospettati di legami con cellule terroristiche, senza l’obbligo per le autorità governative di formulare accuse o ottenere provvedimenti di convalida da parte dell’autorità giudiziaria; la detenzione illimitata dello straniero in attesa di espulsione se sospettato di attentare alla sicurezza nazionale; il forte incremento delle c.d. «lettere di sicurezza nazionale» con cui, senza alcuna autorizzazione giudiziaria, gli ufficiali della polizia federale possono ottenere da terzi, come compagnie telefoniche, internet provider e banche, informazioni su sospettati560. Successivamente, il13 novembre 2001, il Presidente ha adottato un military order relativo a “Detenzione, trattamento e processo di alcuni non cittadini nella guerra al terrorismo”561, che costituisce il fondamento normativo sia per la detenzione dei sospetti terroristi nel campo di Guantanamo, sia per il loro processo davanti a tribunali speciali. 5.1 Il doppio binario Già all’indomani dell’11 settembre la parola d’ordine dell’amministrazione statunitense è stata quella della guerra al terrorismo: coerentemente, sono ispirate ad una logica bellica le azioni dell’amministrazione Bush, sia sul piano degli interventi armati in Afghanistan e in Iraq, sia con la predisposizione di procedure ad hoc per gli enemy comatants, volte a sottrarre i sospetti terroristi alle ordinarie garanzie del diritto penale. Si delinea, così, un doppio sistema562: il diritto penale ordinario è stato pressoché emarginato dall’ambito della lotta al terrorismo, mentre si sono create fattispecie ad hoc a sanzionare la partecipazione e qualsiasi forma di sostegno alle organizzazioni, e la punibilità è stata anticipata a numerose condotte meramente preparatorie563. 559 BUSH, estratto dal discorso tenuto il 28 giugno 2005, www.whitehouse.gov Il Patriot Act ha aumentato enormemente la possibilità di emettere national security letters; prima di tale provvedimento esse potevano essere utilizzate solo in riferimento a una potenza straniera o a un suo agente, mentre ora possono essere emesse per cittadini statunitensi, residenti e società americane. Il Patriot Act ha inoltre aumentato il numero di persone che possono adottare questi provvedimenti poichè prima dovevano provenire dagli uffici principali dell’FBI, mentre ora in ogni ufficio di tale corpo investigaivo vi è un agente preposto a tale funzione. Per ulteriori dettagli si veda DORF, The FBI's Misuse of National Security Letters Reveals the Often-False Dichotomy Between Security and Privacy, 14 marzo 2007, in www.findlaw.com. 561 66 Fed. Reg. 57833 testo consultabile su www.whitehouse.gov. 562 Per il vero, il sistema di contrasto al terrorismo degli Stati Uniti ha origini anteriori all’11 settembre. Già fal 1978 le indagini in argomento sono accentrate a livello federale, e il governo centrale può disporre intercettazione e acquisizione di tabulati senza autorizzazione giudiziale. Dal 1966 l’esecutivo ha anche assunto la competenza in ordine all’irrogazione di sanzioni, e il dipartimento di stato forma e aggiorna liste nere di organizzazioni ritenute pericolose per la sicurezza dei cittadini e della nazione senza alcun controllo giudiziale. All’inserimento in tali liste può conseguire il congelamento dei beni e, per gli stranieri, l’impossibilità di ottenere il visto d’ingresso, ovvero l’espulsione, nonché la detenzione amministrativa nelle more del procedimento di espulsione. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent leges? , in RIDPP , 2005, 751 563 Come ad esempio il semplice possesso di prodotti tossici o biologici, ovvero l’addestramento preso organizzazioni straniere. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent leges?, cit., 758. 560 133 L’essenza del doppio binario può sintetizzarsi così: il delinquente “ordinario” rientra nella competenza del dipartimento della Giustizia, viene giudicato da tribunale penale ordinario; il combattente nemico rientra nella competenza del dipartimento della Difesa e viene giudicato da corti militari, sulla base di diritto sostanziale e processuale creato ad hoc (executive order 13/11/01 e military order 30/11/03). L’inquadramento dell’attentato come atto di guerra, e l’inserimento dei terroristi tra i nemici combattenti ha infatti comportato la concessione al Presidente di poteri di guerra, in forza dei quali si sono istituite speciali corti militari, con l’effetto di sottrarre i presunti terroristi alla giurisdizione delle corti ordinarie564. Detti prigionieri possono rimanere in stato di detenzione amministrativa, nel limbo giuridico delle prigioni di Guantanamo, a tempo indeterminato565, senza alcun obbligo, per il governo, di formulare le imputazioni in tempi ragionevoli. Anche le regole processuali predisposte non danno alcune delle fondamentali garanzie del processo ordinario: la difesa degli imputati è affidata a difensori d’ufficio nominati dal Governo; udienze e prove rimangono segrete; possono essere ammesse in giudizio prove comunque raccolte, anche a esito di tortura; la pena di morte può venire irrogata a sola maggioranza e l’ultima parola in ordine all’esecuzione spetta al Presidente. Quanto agli strumenti investigativi tradizionali, sul presupposto del IV emendamento è previsto il divieto di perquisizioni e sequestri ingiustificati, gli atti rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria566; le perquisizioni, in particolare, rispondono al principio “knock and announce”. Quanto agli strumenti investigativi straordinari, per le intercettazioni è esteso il potere discrezionale di disporre delle intercettazioni ambientali, mentre le perquisizioni domestiche rispondono al principio sneak and peek. Vi sono regole probatorie straordinarie, volte a mantenere la segretezza delle prove raccolte. I combattenti nemici vengono sottratti anche alle procedure per i combattenti legittimati e, quindi, tra le altre, alle garanzie della Convenzione di Ginevra. I combattenti nemici, ritenuti tali per il mero collegamento con organizzazioni terroristiche567, possono essere detenuti senza specifiche imputazioni, sono sottoposti a severi interrogatori, non hanno accesso agli atti del processo né diritto ad un difensore di fiducia, né possono invocare l’habeas corpus. La Corte suprema, per il vero, sta tentando di ripristinare un livello minimo di garanzie568. 564 Con la sola eccezione del processo celebrato contro Massaoui, sospettato di essere il ventesimo dirottatore e condannato all’ergastolo da una corte ordinaria. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent leges? , cit., 771. 565 VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent leges?, cit.,778. 566 Le intercettazioni ordinarie, richieste dall’FBI, sono di competenza del giudice federale; quelle per la sicurezza nazionale, richieste dala CIA, sono vagliate dalla FISC. 567 Solo dal 2004 sono stati istituiti tribunali per il riesame dello status di combattente nemico, composti da un collegio di 3 ufficiali militari, avanti il quale il detenuto compare con un rappresentante personale, ufficiale anch’esso. Il collegio giudica sulla base della prevalenza delle prove, e non ci sono vincoli all’istruzione probatoria (vale anche la prova per dicerie). In ogni caso, il Tribunale non ha il potere di rilasciare il detenuto. 568 MIRAGLIA, Una nuova normalità: metamorfosi della giustizia penale statale dopo l’11 settembre, in Cass. pen., 2005, 2825. 134 5.2 I patriot Act e la legislazione d’emergenza Il 25 ottobre del 2001 il Senato americano ha approvato lo “Uniting and Strenghtening America by Providing Appropiate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act of 2001” più noto come USA Patriot Act569. In nome della sicurezza nazionale, tale legge aumenta la possibilità, per gli organi di polizia, di intercettare le comunicazioni via telefono o computer, di eseguire perquisizioni all’interno di abitazioni o uffici all’insaputa del proprietario, di prelevare da biblioteche, istituti di credito, ospedali, scuole documenti riguardanti aspetti strettamente personali di qualsiasi individuo, dalle sue condizioni di salute, alla sua situazione economica, ai libri che legge, e consente al governo di detenere, in presenza di particolari condizioni, senza limiti di tempo, lo straniero che abbia violato le leggi sull’immigrazione o sia ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale570. Inoltre, come visto il Patriot Act autorizza la carcerazione a tempo indeterminato, senza processo o capi d’accusa, di stranieri sospetti di terrorismo, installando un generale sistema di sorveglianza della popolazione. Alcune di queste misure di controllo sono permanenti, altre sono state inizialmente votate per un periodo di quattro anni. Quanto alle modifiche del PA sulla procedura vigente, se ne analizzano solamente i tratti fondamentali. 5.3 Gli strumenti investigativi La disciplina dell’intercettazione delle comunicazioni telefoniche, orali o elettroniche anteriore all’11 rispondeva all’esigenza, individuata dalla Corte Suprema, che la tutela dei cittadini nelle proprie case, fosse estesa anche alle intercettazioni ambientali, per le quali, in linea di massima, era necessaria l’autorizzazione di un giudice che ne valutasse l’effettiva necessità e ne disciplinasse le forme minime; le procedura, nel caso di sospetto di terrorismo internazionale, erano meno rigide, se dettate dallo “scopo unico” di ottenere foreign intelligence information571. La sezione 218 del Patriot Act, invece, sostituisce il concetto di “unico scopo” con quello di “scopo significativo”572, cosicché la FISA Court573, può autorizzare addirittura la sorveglianza di cittadini americani purchè tale sorveglianza sia finalizzata ad ottenere informazioni spionistiche. 569 Le 342 pagine dello USA Patriot Act sono disponibili in numerosi siti internet, tra i quali www.aclu.org. Il PA è costituito da dieci sections. Le prime due forniscono maggiore capacità di incisione agli organi inquirenti nel recupero di prove del reato nei settori della comunicazione via cavo e via etere; la terza emenda le leggi relative al riciclaggio monetario, con particolare riguardo alle attività internazionali ed emenda anche il bank secrecy act; la quarta modifica la legislazione relativa all’immigrazione al fine di prevenire la penetrazione di terroristi stranieri negli USA; la quinta e la settima mirano a facilitare la lotta al terrorismo; la sesta interviene in favore delle vittime del terrorismo e delle loro famiglie; l’ottava crea nuove fattispecie di reato o aumenta le pene relative agli atti di terrorismo; la nona rafforza l’attività di intelligence; nella decima si trovano interventi vari. 570 Sulla procedura di approvazione del Patriot Act, si veda American Library Association, Cronology of the USA Patriot Act, 2001 in www.ala.org. 571 THAMAN, L’impatto dell’11 settembre sulla procedura penale americana, in CP, 2006, 1, p. 251 572 USA Patriot Act, sec. 218 : FOREIGN INTELLIGENCE INFORMATION, “Sections 104(a)(7)(B) and section 303(a)(7)(B) (50 U.S.C. 1804(a)(7)(B) and 1823(a)(7)(B)) of the Foreign Intelligence Surveillance Act of 1978 are each amended by striking `the purpose' and inserting `a significant purpose'. In www.epic.org. 573 Corte federale speciale composta da giudici federali provenienti da vari distretti. Nella sua configurazione originaria la FISA Court era composta da sette giudici federali, provenienti dai sette distretti giudiziari, in seguito al Patriot At del 2001 il numero dei componenti della corte speciale è stato aumentato a undici. Si veda il 50 U.S.C. § 1803 in www4.law.cornell.edu. 135 Quanto ai “pen registers and trap and trace devices”574, ossia la sorveglianza limitata ai tabulati telefonici che non si estende al contenuto delle conversazioni, a seguito della modifica introdotta dalle sezioni 214 e 216 del Patriot Act, è stata disposta la tracciabilità di tutti i mezzi elettronici cui può essere applicato un apparecchio di controllo: in sostanza l’FBI può verificare i siti visitati da ogni cittadino americano e i destinatari delle sue e-mail, sulla base di una richiesta al Giudice senza troppe formalità, e diviene così possibile raccogliere, attraverso la verifica dei documenti scaricati da qualsiasi cittadino notizie in merito alla sua personalità o ai suoi gusti.575. In merito al contenuto delle comunicazioni interpersonali, la sezione 103 del Patriot Act II estende la “wartime exemption”576 estendendo l’esenzione da responsabilità ad ogni ufficiale che agisca in ottemperanza ad un ordine del giudice577, anche a colui che agisca, sempre in veste ufficiale, in nome del Presidente o dell’Attorney General 578. La sez 104 del Patriot Act II consente, poi, all’Attorney General, in assenza di una previa autorizzazione giudiziale, la possibilità di ascoltare qualsiasi conversazione, all’interno degli Stati Uniti, tramite telefoni, computer, o altri apparecchi elettronici di proprietà di Governi stranieri o organizzazioni internazionali579. Quanto alle informazioni sulla personalità di un individuo, viene incrementata la possibilità, per la polizia federale, di prendere visione, nel corso di indagini sul terrorismo, di registri di scuole, università, biblioteche, centri medici, istituzioni finanziarie, e riguardanti elementi di particolare rilevanza nella determinazione della personalità di un individuo, dalla sua situazione economica, alle sue situazioni di salute, ai suoi gusti in materia di libri: anche in tal caso la sezione 215 del Patriot Act, ha eliminato i limiti esistenti580 all’esercizio del potere, escludendo solamente le produzioni documentali inerenti le attività dei cittadini americani tutelate dal I emendamento581 della Costituzione americana. In altre parole, si consente all’FBI di procedere al sequestro di beni materiali semplicemente certificandone la rilevanza ai fini delle indagini, senza obbligo di dimostrare che la persona in merito alla quale si cercano le informazioni ha commesso un qualche reato né che essa sia di nazionalità straniera, e impone, altresì la segretezza delle indagini anche nei casi nei quali non vi siano reali esigenze582. La sezione 128 del Patriot Act consente all’Attorney General, di procedere autonomamente alla citazione di testimoni, indicando a questi ultimi i documenti e, più in 574 Titolo 18, parte II, capitolo 206 in www4.law.cornell.edu. Sull’applicazione ad internet delle “pen registers searches” e più in generale sul conferimento al Governo di nuovi poteri di sorveglianza, si veda American Civil Liberties Union, Surveillance under the USA Patriot Act , in www.aclu.org. 576 prevista dalla FISA in caso di dichiarazione di guerra approvata dal Congresso consente all’Attorney General di autorizzare la sorveglianza elettronica senza previa autorizzazione giudiziale per un termine massimo di quindici giorni 577 “It is a defence to a prosecution under subsection (a) of this section that the defendant was a law enforcement or investigative officer engaged in the course of his official duties and the electronic surveillance was authorized by and conducted pursuant to a search warrant or court order of a court of competent jurisdiction.” Titolo 50, capitolo 36, § 1809 in www4.law.cornell.edu. 578 Per le critiche rivolte a questa legge si veda www.aclu.org. 579 USA Patriot Act, sec. 104 in www.epic.org. 580 “sezione 501 del Foreign Intelligence Surveillance Act The Director of the Federal Bureau of Investigation or a designee of the Director (whose rank shall be no lower than Assistant Special Agent in Charge) may make an application for an order requiring the production of any tangible things (including books, records, papers, documents, and other items) for an investigation to obtain foreign intelligence information not concerning a United States person or to protect against international terrorism” Titolo 50, capitolo 36, § 1862 in www4.law.cornell.edu. 581 I emendamento “Il Congresso non può fare leggi rispetto ad un principio religioso, e non può proibire la libera professione dello stesso: o limitare la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti.” 582 USA Patriot Act sec. 215, lett d): “No person shall disclose to any other person (other than those persons necessary to produce the tangible things under this section) that the Federal Bureau of Investigation has sought or obtained tangible things under this section.” 575 136 generale, i mezzi di prova che hanno l’onere di produrre, nonché imponendo la segretezza, mentre l’intervento del giudice è solo residuale, ossia condizionato alla contumacia del testimone o al suo rifiuto di comparire. La sezione 213 amplia i poteri degli organi investigativi che possono svolgere le c.d. “sneak and peek searches”, ossia possono ottenere mandati che consentano di entrare segretamente all’interno di immobili o uffici, di effettuare perquisizioni, fotografare documenti, copiare file, eventualmente sequestrare beni, senza notificare all’interessato la loro presenza se non in un momento successivo, fissato dal giudice al momento dell’emissione del mandato, ma prolungabile tutte le volte in cui si ritenga opportuna una proroga. Mentre prima del 2001 la disciplina in tema di perquisizioni, in linea di massima, imponeva all’agente incaricato di rilasciare una copia del mandato al soggetto attenzionato (cui era stato sottratto il bene e nell’abitazione del quale era avvenuto il sequestro)583, oggi i giudici hanno molta più libertà nel’emettere mandati per entrare segretamente nelle abitazioni dei cittadini americani ed prelevarvi tutto ciò che gli organi inquirenti ritengono, tanto che ormai sono da considerarsi eccezione le perquisizioni compiute previa notifica, in ossequio alla regola 41 delle Federal Rules of Civil Procedure584. 5.4 Le deroghe all’habeas corpus Le norme esaminate in materia di riservatezza riguardano sostanzialmente tutti i residenti negli Stati Uniti, indipendentemente che abbiano o meno la cittadinanza americana. Invece, la disciplina che amplia i poteri del Governo in tema di arresto e detenzione dei sospetti terroristi riguarda quasi esclusivamente cittadini stranieri sospetti terroristi. Prima del PA, si riteneva, in ossequio all’ habeas corpus585, che al detenuto spettasse impugnare la decisione di detenzione davanti ad un giudice federale, indipendentemente dal fatto che il suo ingresso negli Stati Uniti fosse legale o meno, in quanto la clausola del Due Process of Law, sancita dal V emendamento586, facendo riferimento espresso alla persona, e non al cittadino, tutela chiunque si trovi, legalmente o illegalmente, in territorio americano587. Nella legge del 2001, la sezione 412 consente all’Attorney General di porre in stato di detenzione qualsiasi straniero che egli ritenga coinvolto in attività terroristiche, o, comunque, tali da mettere in pericolo la sicurezza nazionale, senza contestargli alcun reato per un termine massimo di sette giorni; trascorso questo lasso di tempo, al detenuto deve essere contestato il reato che si ritiene abbia commesso, iniziando, così, il procedimento per definire l’ espulsione dal territorio americano. La normativa, però, non prevede tutela per lo straniero che, definito il procedimento, riesca invece a mantenere il diritto di rimanere negli Stati Uniti. In questo caso, 583 Rule 41 delle Federal Rules of Criminal Procedure in www.law.cornell.edu. Si veda in questo senso University of Georgia, Sneek and Peek Search Warrants and the USA Patriot Act, in www. Law.uga.edu. 585 Nel sistema anglosassone di common law, si indica, con la locuzione habeas corpus (trad. lat. ordiniamo che tu abbia il corpo) l'ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio cospetto. Con tale espressione si fa riferimento, più in generale, al diritto in base al quale una persona può difendersi dall'arresto illegittimo di se stessa o di un'altra persona. 586 V emendamento “Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato, che comporti la pena capitale, o che sia comunque grave, se non per denuncia o accusa fatta da una grande giuria, a meno che il caso riguardi membri delle forze di terra o di mare, o della milizia, in servizio effettivo, in tempo di guerra o di pericolo pubblico; e nessuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo reato, a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni, senza un giusto processo; e nessuna proprietà privata potrà essere destinata a uso pubblico, senza equo indennizzo”. 587 “The Fifth Amendment's Due Process Clause forbids the Government to "depriv[e]" any "person ... of ... liberty . . . without due process of law." Freedom from imprisonment--from government custody, detention, or other forms of physical restraint--lies at the heart of the liberty that Clause protects”. 584 137 infatti, l’Attorney General ha il potere di trattenere quest’ultimo in stato di custodia per un periodo indefinito di tempo, qualora ritenga, discrezionalmente, che costituisca ancora una minaccia per la sicurezza nazionale o l’incolumità fisica di una persona o di una comunità. Al detenuto viene però espressamente consentito di impugnare siffatta decisione attraverso il procedimento dell’habeas corpus davanti alla Corte Suprema o alla Corte distrettuale competente, ma il riferimento ad un concetto talmente vago quale le minaccia alla sicurezza nazionale, in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti relativi alla commissione attività terroristiche, sembra estendere la discrezionalità del giudice di autorizzare il provvedimento dell’Attorney General. A questo proposito, va segnalato il Military Order588 del 13.11.2001 (cui si aggiunge quello del 21.03.2002 e le nove militar instruction tra il 30 aprile e il 26 dicembre 2003)589, diretto ad istituire un tribunale militare i cui membri devono essere nominati dal Segretario della Difesa, in conformità ai principi contenuti nell’Order e che, in merito al potere detentivo del Governo, consente al Segretario della Difesa di procedere, per un periodo indefinito di tempo, alla detenzione di cittadini stranieri ritenuti terroristi dal Presidente, senza contestare loro alcun reato. Detto Military Order crea poi una procedura speciale per gli stranieri sospettati di aver esercitato attività terroristiche, sul presupposto della gravità della minaccia alla sicurezza nazionale e del rischio del loro ripetersi, nonché sul presupposto che, per proteggere i cittadini da così gravi pericoli, sia indispensabile l’utilizzo di forze armate non solo ai fini dell’identificazione, ma anche nella fase di giudizio dei terroristi. L’esecutivo ha il potere di nominare non solo i giudici, ma anche i pubblici ministeri ed inoltre rimane, nella persona del Segretario della Difesa o dello stesso Presidente, l’unico organo che può rivedere, in sede d’appello, la sentenza emessa dalla Commissione militare giudicante, dato l’espresso divieto imposto al detenuto di rivolgersi ad un qualsiasi giudice ordinario, statunitense o straniero, o ad un qualsiasi tribunale internazionale. Anche il Patriot Act II stabilisce significativi livelli di segretezza relativamente alle indagini sul terrorismo e ai soggetti coninvolti. Si ricorda ancora la sezione 302 PA II che consente all’Attorney General di sottoporre i detenuti che egli stesso ha qualificato come terroristi al prelievo di tessuti ematici per ottenere il loro DNA da inserire in un apposito database, anche prima di una sentenza di condanna590. 5.5 La normalizzazione dell’emergenza Il Patriot Act è stato votato molto rapidamente, mentre non altrettanto è avvenuto per il suo rinnovo, al quale i senatori contrari si sono opposti anche con il ricorso a pratiche ostruzionistiche, dilatandone notevolmente la discussione parlamentare sul contenuto. Tuttavia le poche modifiche inserite nel corso delle procedure per il rinnovo della legge non servono a ristabilire l’equilibrio in favore del potere giudiziario, non essendo riusciti gli oppositori ad inserire misure di controllo che garantissero le libertà individuali. Alla fine, infatti, ben 14 delle misure temporanee adottate nel 2001 sono divenute disposizioni permanenti591. Ad esempio sono state stabilizzate le tecniche d’inchiesta previste dall’articolo 213, tecniche molto invasive, denominate sneak and peek, di perquisizioni domiciliari in assenza di previa autorizzazione del tribunale e di tempestiva notifica all’interessato. 588 Il President Military Order è reperibile nel sito internet della Casa Bianca, www.whitehouse.gov. CERQUA, Profili processuali della legislazione antiterrorismo u.s.a.: brevi cenni, in CP, 2006, 5, p. 1954. 590 Norma simile, come si vedrà, era stata prevista anche nell’ordinamento Italiano. 591 COYLE, Patriot Act heads for renewal, in The National Law Journal, 1 Agosto 2005589 138 Detta notifica, che inizialmente poteva venire rinviata sine die, su autorizzazione di un giudice, con il rinnovo del Patriot Act, deve avvenire in 30 giorni592. Altra procedura permanente prorogata è quella prevista dalla clausola 505 che ampia la prassi delle “lettere di sicurezza nazionale”, una forma di citazione amministrativa che dà accesso a dati personali, medici, finanziari, ai dati delle agenzie di viaggio, di noleggio autovetture, dei casinò, delle biblioteche. 5.6 Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema Le prime pronunce della Corte Suprema in tema sono del giugno 2004. Si tratta dei casi Hamdi v. Rumsfeld593 e Rasul v. Bush594. La prima decisione concerne la possibilità di contestare davanti a un tribunale la qualifica di enemy combatant595 assegnata dall’esecutivo. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha sostenuto la non impugnabilità, davanti a un tribunale, della dichiarazione presidenziale che attribuisce lo status di combattente nemico. La Corte Suprema ha statuito invece che tale diniego rappresenta una violazione del V emendamento, relativo al due process of law596, precisando altresì che va operato un bilanciamento tra le garanzie individuali e la sicurezza collettiva seguendo il c.d. Mathews test597, nella consapevolezza che ciò si traduce in un 592 Sen. John E. Senunu, Patriot Act deal balances liberty, security, Washington Memo, 12 febbraio 2006. 593 542 U.S. 507 (2004) in www.law.cornell.edu. 594 542 U.S. 466 (2004) in www.law.cornell.edu . La terza decisione del giugno 2004, Rumsfeld v. Padilla (542 U.S. 507), non ha rappresentato invece una decisione di censura nei confronti del Governo. Al contrario la Corte Suprema ha avallato la teoria sostenuta dal governo secondo cui la il giudice competente a giudicare sulle istanze di habeas corpus dei combattenti nemici di nazionalità americana muta con il mutare del luogo in cui il detenuto viene trasferito, permettendo così un «forum shopping» da parte del Governo: cfr. DWORKIN, Corte suprema e garanzie nel trattamento dei terroristi, in Quad. cost. 2005, p. 912. Sulle tre decisioni del 2004 v. anche LANCHESTER, La Corte suprema e l’emergenza, in www.associazionedeicostituzionalisti.it. 595 Gli enemy combatants sono i combattenti nemici illegali, figura giuridica con cui il governo statunitense indica tutti coloro che, cittadini o meno, abbiano presunti legami con Al Qaeda. I «combattenti nemici» non appartengono alla categoria dei civili perchè svolgono attività belliche, ma contemporaneamente non sono militari perchè non fanno parte di alcun esercito statale. Ai combattenti nemici, conseguentemente, non si applicano le garanzie né degli uni nè degli altri: tutte le Convenzioni di Ginevra, in particolare, risultano inapplicabili. La definizione di enemy combatant comparirà in un documento ufficiale solo nel 2004, all’interno di un’ordinanza del Dipartimento della Difesa del 7 luglio che ha istituito i Combatant Status Review Tribunals. Una nuova definizione più ampia, degli unlawful enemy combatants comparirà nel Military Commission Act del 2006. Sull’uso di tale termine cfr. BASSU, La legislazione antiterrorismo e la limitazione della libertà personale in Canada e negli Stati Uniti, in GROPPI (a cura di), Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre 2001, Napoli, 2006, p. 425 e ss. 596 Il V emendamento prevede che il governo federale non possa privare “alcuna persona della vita, della libertà o delle sue proprietà, senza due process of law”. Il due process appresta a sua volta due tipi di protezioni. Una è il “procedural due process”, che fa riferimento alle procedure che i poteri pubblici devono seguire per privare qualcuno della vita, della proprietà, della libertà. La seconda garanzia è il “substantive due process”, in base al quale il governo deve avere adeguate ragioni per privare qualcuno della vita, della proprietà, della libertà. Il primo aspetto riguarda le procedure che devono essere seguite per limitare i diritti dei cittadini, mentre il secondo richiede sufficienti giustificazioni per limitarli. Cfr. CHEMERINSKY, cit., p. 451. 597 Così definito perchè elaborato nel caso Mathews v. Eldridge, 424 U.S. 319 (1976) in www.law.cornell.edu. 139 bilanciamento tra il rischio di limitare la libertà di un incolpevole e la mera probabilità di accrescere la sicurezza collettiva598. La Corte garantisce la possibilità di contestare, davanti a un giudice neutrale, le assunzioni del governo599 e rivendica così il ruolo del potere giudiziario negli stati d’emergenza, rigettando «l’asserzione del governo secondo cui il principio della separazione dei poteri impone in queste circostanze un ruolo notevolmente circoscritto per le corti», e sottolineando, invece, che «lo stato di guerra non è un assegno in bianco per il Presidente»600. Affermato il diritto di ricorrere a un giudice per chi sia dichiarato combattente nemico, la Corte lascia tuttavia residuare ampi margini di autonomia all’esecutivo: la competenza a giudicare su tale status non deve infatti essere necessariamente affidata a un tribunale ordinario, ma può essere affidata a una corte «appositamente autorizzata e opportunamente costituita»601. A ciò si aggiunga l’avvallo di una sostanziale inversione dell’onere della prova, in maniera da sollevare da tale incombente il governo nei periodi di conflitti bellici602. Si ritiene infatti che «la Costituzione non sarebbe violata da una presunzione a favore delle prove del governo, fintanto che questa presunzione potesse essere superata e fossero fornite adeguate opportunità per farlo»603. Nel caso Hamdi tuttavia non viene chiarito se il diritto a contestare la qualifica di combattente nemico appartenga anche agli stranieri detenuti a Guantanamo, oggetto invece della decisione Rasul v. Bush: la ragione del diniego di habeas corpus, in tal caso, secondo le corti di merito sarebbe riconducibile, al fatto che i prigionieri si trovano fuori dal territorio statunitense e sono quindi sottratti alla giurisdizione dei giudici americani. La Corte Suprema rigetta siffatta ricostruzione e sottolinea che è la stessa legge federale che disciplina l’habeas corpus ad affermare che le corti federali distrettuali possono accogliere i ricorsi «che rientrino nelle loro rispettive giurisdizioni»604. L’elemento dirimente, pertanto, non viene individuato nella presenza del detenuto sul suolo statunitense, ma nell’ambito di estensione della giurisdizione degli Stati Uniti d’America; e poichè alla luce dei «termini espliciti del suo accordo con Cuba, gli Stati Uniti esercitano “giurisdizione e controllo completi” sulla base navale della Baia di Guantanamo»605, anche su questa deve estendersi la giurisdizione dei giudici americani606. Non si tratta quindi di una decisione di incostituzionalità, ma di una mera applicazione di legge ordinaria interpretata estensivamente. 598 V. Hamdi v. Rumsfeld, 542 U.S. 529. L’interesse generale, nel caso di specie, è che coloro che siano sospettati di coinvolgimento con cellule terroristiche non possano tornare a compiere atti di violenza contro gli Stati Uniti. Per un approfondimento sul bilanciamento operato in questa decisione dalla Corte suprema v. ROSENFELD, Judicial balancing in times of stress: la risposta di Stati Uniti, Canada e Israele, in GROPPI (a cura di), Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre 2001, cit., pp. 121ss. 599 542 U.S. 533 in www.law.cornell.edu. 600 542 U.S. 535-536. 601 542 U.S. 538. 602 542 U.S. 533. 603 542 U.S. 534. 604 28 U.S.C. §§2241 (a), (c) (3) in www4.law.cornell.edu. 605 542 U.S. 480 in cases.justia.com. 606 Nelle sue argomentazioni la Corte Suprema compie un’ulteriore specificazione chiarendo che ciò che rileva sempre in materia di habeas corpus non è il luogo di detenzione del soggetto, ma piuttosto il fatto che il custode del detenuto stesso possa essere raggiunto o meno dalla giurisdizione delle corti americane: v. 542 U.S. 478. 140 Il contenuto della decisione non è tuttavia perspicuo607: la Corte non specifica nè se la sua giurisdizione si estenda a tutti coloro che sono detenuti dagli Stati Uniti nelle varie parti del mondo608, nè quali diritti sostanziali abbiano i detenuti di Guantanamo. È chiaro, tuttavia, che non riconosce un diritto costituzionale ad un giudice, ma solo un diritto che ha fondamento legislativo nella disciplina dell’habeas corpus.. La deferenza alla interpretazione della legge, anziché una pronuncia di incostituzionalità, rappresenta la chiave di lettura della terza decisione assunta dalla Corte suprema nel 2006, Hamdan v. Rumsfeld609. In questo caso la Corte afferma l’illegittimità delle Commissioni militari, in tanto in quanto istituite in violazione delle indicazioni legislative esistenti in materia. In sostanza, il Presidente ha la facoltà di istituire tali commissioni secondo legge (ossia delle norme che il Congresso ha dettato in materia nello Uniform Code of Military Justice), mentre non ha alcun potere autonomo di istituzione. In definitiva, le commissioni sono da dichiararsi illegittime per contrasto con le disposizioni del Codice di giustizia militare, laddove prevedono poteri coercitivi di ricerca della prova e negano al detenuto la possibilità di partecipare al processo. In sostanza, la Corte Suprema agisce con massima cautela, cassando l’operato dell’amministrazione solo con precisi riferimenti normativi al V emendamento (due process), ovvero a leggi ordinarie. Va ancora segnalato che alle due decisioni del giugno 2004, relative agli enemy combatants, è seguita l’ordinanza del 7 luglio 2004, che ha creato i Combatant Status Review Tribunals, preposti a giudicare sulla fondatezza dell’attribuzione dello status di combattente nemico (così da evitare che i detenuti di Guantanamo adissero i tribunali ordinari)610. Tale Tribunale non garantisce la neutralità del giudicante, essendo costituito da ufficiali militari quando militari sono nel contempo anche i difensori, ed, inoltre, essendo prevista l’utilizzabilità di tutte le prove «che possa ritenere rilevanti e utili per la risoluzione della questione»611. Nonostante tali caratteristiche, detto organo sembra in linea con le indicazioni della Corte stessa che, come visto, ha legittimato i tribunali speciali e le deroghe alle norme ordinarie sull’assunzione delle prove. 607 R. H. Fallon – D.J. Meltzer, Habeas corpus jurisdiction, substantive rights, and the war on terror, 120 Harv. Law. Rev. 2048 (2007) 608 In un punto della decisione la Corte tuttavia distinguendo il caso Rasul dal precedente caso Eisentrager sembra escludere che il principio si applichi ai cittadini di paesi in guerra con gli Usa, a coloro che hanno realizato atti di aggressione contro gli Usa e a quelli che abbiano altre forme di accesso ad un giudice: 542 U.S. 476. 609 126 S.Ct. 2749 (2006) in www4.law.cornell.edu. 610 Nell’ordinanza viene peraltro definito il combattente nemico come colui che «è stato parte o ha supportato forze talebane o di Al Qaeda, o forze associate che siano coinvolte in ostilità contro gli Stati Uniti o suoi partner della coalizione. Questo include ogni persona che abbia commesso un atto belligerante o che abbia direttamente sostenuto ostilità in aiuto alle forze armate nemiche» Il testo completo dell’ordinanza (Memorandum for the Secretary of the Navy) è disponibile sul sito del Dipartimento della Difesa all’indirizzo: http://www.defenselink.mil 611 V. Memorandum for the Secretary of the Navy, paragrafo g (9) 141 Alla luce delle decisioni brevemente richiamate, si evince che i maggiori freni all’Esecutivo non derivano dalla Costituzione, ma dalle leggi vigenti sia in materia di habeas corpus, sia in materia di limiti all’utilizzo delle Commissioni militari. In ultima analisi, ciò significa riconoscere al Congresso un ruolo rilevante durante gli stati d’emergenza, e questo può, quindi, autorizzare il Presidente alla gestione dell’emergenza stessa: la deroga delle norme costituzionali non può essere fondata sulla sola emergenza, che non è fonte autonoma del diritto, ma deve avere anch’essa fondamento costituzionale. Dalla doppia competenza di questi organi discende automaticamente la necessità di una loro volontà congiunta e quindi, per le azioni del Presidente, la necessità di una previa autorizzazione del Congresso. Viene quindi smentita la ricostruzione proposta dall’amministrazione Bush, secondo cui il Presidente è gestore unico degli stati d’emergenza612 e la Corte conferma che le garanzie costituzionali possono essere sospese, ma solo con un’azione congiunta di Presidente e Congresso, in linea con un assetto di governo che deve essere appunto di «separated institutions sharing powers»613. Si segnala in ogni caso che il Congresso, a maggioranza repubblicana, non ha fatto mancare il suo appoggio alla presidenza Bush e nel dicembre 2005 ha approvato il Detainee Treatment Act che, oltre a regolare il trattamento dei detenuti vietando pratiche degradanti e inumane, priva esplicitamente i tribunali ordinari della possibilità di giudicare sulle azioni di habeas corpus dei prigionieri nella Baia di Guantanamo: atteso che il diritto a un giudice ha fondamento nella legge ordinaria, ne discende che una nuova legge ordinaria può negarlo. Analogamente, nell’ottobre 2006, quattro mesi dopo la decisione sul caso Hamdan v. Rumsfeld (che aveva censurato le procedure delle commissioni militari in contrasto con il Codice Uniforme di Giustizia militare), il Presidente Bush ha ottenuto l’approvazione del Military Commission Act, concernente la modifica delle disposizioni del Codice di Giustizia militare614 e così la sospensione delle garanzie costituzionali viene avallata da un esplicito intervento del Congresso. 5.7 Considerazioni In sostanza, fino ad oggi la lotta al terrorismo è stata portata avanti dall’esecutivo: il ministero del Tesoro gestisce le misure contro il finanziamento alle organizzazioni sospette; il ministero della giustizia gestisce i procedimenti di espulsione e il sistema Guantanamo, con il supporto dell’intelligence la quale agisce con poteri pressoché illimitati di compressione dei diritti fondamentali dell’individuo al di fuori di ogni garanzia giurisdizionale. Trattandosi di diritto sorto in nome dell’emergenza, era da aspettarsi uno scarso livello di rispetto degli elementari principi di civiltà giuridica, compresa quella penale. Ed infatti la war on terrorism ha imboccato la strada del confronto privo di regole certe, dal momento che l’Amministrazione americana si è dimostrata propensa a sacrificare, 612 KATYAL, Hamdan v. Rumsfeld: the legal academy goes to practice, 120 Harv. L. Rev. 65 (2006), anche in www.law.georgetown.edu. 613 R.E. Neustadt, Presidential Power, New York, 1960, p. 33. 614 Il provvedimento disciplina più in generale l’habeas corpus dei combattenti nemici detenuti anche fuori dalla Baia di Guantanamo e a parere di certa dottrina legittimerebbe la detenzione anche di cittadini americani senza obbligo di sottoporli a giudizio. La legge tra l’altro nega esplicitamente l’applicabilità delle Convenzioni di Ginevra che, ancora una volta in ossequio ad una legge del Congresso, erano state considerate applicabili davanti alle Commissioni militari nel caso Hamdan. 142 in nome della sicurezza, gli elementari standards garantistici cristallizzati nel diritto internazionale consuetudinario e le stesse regole del diritto federale interno. Il mondo giuridico statunitense non si è sottratto alle discussioni in proposito, affrontando il tema tradizionale della legittimità degli stati d’eccezione e della necessità di una loro tipizzazione legislativa. Parte della dottrina ha infatti ribadito non solo l’inopportunità di una disciplina emergenziale che sacrifica i diritti alla sicurezza, ma ne ha soprattutto contestato l’utilità, ricordando come essa costituisca prevalentemente uno strumento politico volto ad attenuare il senso di insicurezza dei cittadini e destinato quindi a svilire la carta costituzionale attraverso un estemporaneo «costituzionalismo dimostrativo»615. Altra dottrina616, invece, ribadendo l’inevitabilità degli stati d’eccezione, ne ha proposto una maggiore tipizzazione, volta a ridurre soprattutto il ruolo dei giudici ai quali, al momento, spetta il delicato compito di definire i limiti dell’emergenza stessa. In particolare, la disciplina degli stati d’eccezione dovrebbe prevedere la possibilità di dichiarare l’emergenza solo dopo un attacco effettivo, al fine di escludere l’abuso di tali dichiarazioni. A emergenza dichiarata, anche i diritti costituzionali e le garanzie del processo penale potrebbero essere sospesi e l’emergenza stessa dovrebbe venire prorogata solo attraverso maggioranze crescenti, fermo il diritto, per le minoranze, all’accesso alle informazioni617. Una sicura vittima dell’esercizio dei pieni poteri reclamati dall’Esecutivo è stata la certezza del diritto, senza contare il fatto che la repressione del terrorismo ha messo a dura prova il funzionamento dei tradizionali checks and balances che permeano l’architettura costituzionale statunitense, primo fra tutti il controllo del Congresso sull’attività del Governo618. In tale contesto, come si è visto, sono intervenute le sentenze della Corte Suprema, che ha riassegnato al Congresso un ruolo centrale, quantomeno nella definizione dei margini di autonomia del Presidente nella gestione delle emergenze. Sotto il profilo dei mezzi di indagine, si è visto che dopo l’11 settembre, il dipartimento della difesa ha permesso l’uso delle c.d. tecniche di categoria II, che consistono in posizioni di stress, nell’uso di documenti o rapporti falsi, isolamento, interrogatori di venti ore, incappucciamento, spogliazione, taglio dei capelli e sfruttamento delle fobie per provocare stress; inoltre, con l’autorizzazione del dipartimento della difesa, si può ricorrere alle tecniche di categoria III, che consistono nel waterboarding e nell’uso di un asciugamano bagnato, che provocano un senso di soffocamento, nell’esposizione al freddo e all’acqua619. Nel 2009 il Presidente Obama ha deciso la pubblicazione di quattro memorandum dell’amminsitrazione Bush, nei quali si descrivono appunto le tecniche di interrogatorio, per aiutare l’America “ad affrontare un capitolo buio e doloroso”, nel contempo pubblicamente giustificando gli agenti della CIA che in buona fede hanno usato le tecniche di tortura, inserendo le valutazioni in un’ottica di riflessione e non di vendetta. 615 TRIBE - GUDRIDGE, The Anti-Emergency Constitution, The Yale Law Journal, June 2004, p. 1809 ACKERMAN, La costituzione d’emergenza ,Roma, 2005. 617 ACKERMAN, La costituzione d’emergenza, cit., p. 40 e ss. 618 RIONDATO, Profili del diritto penale di guerra statunitense contro il terrorismo (dopo il Nine-Eleven), 2003, in www.riondato.com 619 THAMAN, L’impatto dell’11 settembre sulla procedura penale americana, cit., p. 260 616 143 Ora si attende la chiusura della base militare di Guantanamo, dove sono detenuti presunti terroristi islamici, per «tornare agli standard della Costituzione, anche in un momento di guerra». «Intendiamo proseguire la battaglia contro la violenza ed il terrorismo ma lo faremo nel rispetto della legge, appoggiando la diplomazia» ha poi detto il Presidente, dopo aver firmato i decreti esecutivi circondato dai membri del suo governo. Tra i diversi decreti firmati anche quello che ribadisce il divieto di tortura nei confronti dei detenuti nelle carceri statunitensi, nel rispetto della Convenzione di Ginevra. Il secondo ordine esecutivo impone alla Cia di chiudere la sua rete di prigioni segrete e usare le stesse regole in vigore per i militari negli interrogatori dei sospetti di terrorismo620. L’ auspicio, pertanto, è che nel prossimo futuro ci sia un approccio più meditato alla disciplina del terrorismo – soprattutto quello di matrice internazionale – reinserendo il problema nell’alveo dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione d’indipendenza americana, affinché cessi l’epoca in cui “il diritto revoca il Diritto”. 6. La risposta dell’Unione europea all’11 settembre Gli attacchi terroristici dell’11 settembre costituiscono un momento storico dopo il quale la percezione del pericolo terrorismo è radicalmente cambiata in tutti i Paesi occidentali. La comunità internazionale ha preso coscienza di un problema gravissimo che, per il suo modo di manifestarsi in modo imprevedibile, richiede un agire congiunto ed uno sforzo comune costante. Quanto all’Unione Europea, ancorché manchi una risposta politico-giuridica condivisa dagli stati membri, può comunque individuarsi una comune filosofia, ispirata al diritto-dovere, sentito come proprio da tutti gli stati membri, di impedire che i diritti fondamentali dell’individuo siano utilizzati contro l’ordine costituzionale che quei diritti stessi garantisce. Anche se la lotta al terrorismo rientrava nell’ambito sia del Secondo Pilastro621 sia del Terzo Pilastro622 del Tattato di Maastricht, nell’Ue la questione è stata per lo più affrontata come questione di ordine pubblico e giustizia. Di talchè l’assenza di una comune politica contro il terrorismo trova la sua prima spiegazione nel fatto che i Governi sono restii a rinunciare alle proprie prerogative in tali ambiti. Certo, non sono mancate le dichiarazioni congiunte623 (ad es. 14.09.2001)624, né cornici definitorie che però, in fin dei conti, lasciano agli Stati la libertà di scegliere gli strumenti più opportuni per il raggiungimento dello scopo condiviso. 620 Articolo del Sole 24 ore del 22 gennaio 2009. (politica estera, sicurezza e difesa comune, PESC) 622 (cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari Interni, CGAI). Si segnala che con l’entrata in vigore, il 1 dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, il sistema dei pilastri viene ricondotto ad un unico quadro istituzionale. 623 In proposito si deve ricordare che una posizione comune PESC è uno strumento con il quale le politiche degli Stati membri si conformano all’approccio indicato dall’Unione sul tema oggetto dell’atto, sicchè agli Stati è lasciata la scelta sui mezzi per raggiungere e sui tempi per rendere operativi gli scopi previsti nell’atto e così la tempestività dell’intervento appare vanificata dalla mancanza di previsione sui tempi e i modi in cui la posizione deve essere attuata. La scelta della posizione comune è sintomo della difficoltà di obbligare gli Stati a realizzare la cooperazione in un settore delicato come la lotta al terrorismo. 621 144 A livello internazionale, quindi, si deve constatare un approccio c.d. settoriale, ossia l’elaborazione di una serie di convenzioni miranti a contrastare, di volta in volta, le diverse manifestazioni del terrorismo internazionale. L’Europa, infatti, si è immediatamente allineata al governo statunitense nell’adozione di misure amministrative contro il finanziamento al terrorismo internazionale. Prevedendo il congelamento di beni di soggetti e organizzazioni sospette, sulla base del loro inserimento in apposite liste, al di fuori di ogni controllo giurisdizionale625. Vale comunque precisare che, ove sia in gioco la libertà personale degli individui, gli ordinamenti europei non hanno sottratto la competenza alla giustizia ordinaria, continuando a scommettere sul diritto penale come valido strumento di difesa sociale. Non mancano tuttavia voci discordi di chi auspica la creazione di tribunali con regole speciali ad hoc sul modello di quelli americani, nel timore che la tradizione garantistica possa rappresentare un freno alla lotta contro il terrorismo: si invoca una risposta flessibile dell’ordinamento all’emergenza, e la conseguente responsabilità politica, ma non giuridica, degli organi che attuano una difesa tempestiva, efficace e fuori dei limiti della legalità In particolare, ferma restando la necessità di conformità agli standard di tutela dei diritti umani, diversi trattati prevedono comunque la possibilità di derogare a taluni diritti, quando si versi in una situazione di emergenza o minaccia alla vita stessa della nazione. In tali casi, però, lo stato di necessità deve essere ufficialmente proclamato626; in particolare, si precisa che le deroghe ai diritti del presunto terrorista debbono conformarsi ai principi di necessità e proporzionalità e non possono mai riguardare il divieto di tortura, il diritto alla vita, i principi di legalità della pena e di retroattività della legge penale. Anche nel caso di restrizioni consentite, peraltro, gli stati dovrebbero contenerle per il tempo strettamente necessario. È quindi nel difficilissimo equilibrio tra la necessità di proteggere la propria comunità e quella di garantire la tutela dei diritti fondamentali che si gioca una delicata partita. Con riguardo alla cooperazione di polizia, oltre alla cooperazione operativa nella prevenzione dei crimini, sono previsti un fitto scambio di informazioni e iniziative comuni, con l’istituzione dell’Europol. La cooperazione giudiziaria in materia penale è invece perseguita facilitando sia la cooperazione tra ministeri ed autorità giudiziarie sia le procedure per l’estradizione, sia le iniziative per uniformare i sistemi normativie gli Stati membri si informano e si consultano regolarmente in seno al Consiglio, che può emanare atti giuridici (posizioni comuni, decisioni quadro, decisioni, convenzioni) 627. 624 “I tragici eventi ci obbligano a prendere decisioni urgenti sui modi in cui l’Unione europea risponderà alle seguenti sfide: essa deve impegnarsi con ogni mezzo a difendere la giustizia e la democrazia mondiali, a promuovere un modello internazionale di sicurezza e prosperità per tutti i paesi e a contribuire all’emergere di un’azione globale, ferma e prolungata contro il terrorismo. Continueremo a sviluppare la politica estera e di sicurezza comune affinché l’Unione possa veramente parlare in modo chiaro e univoco.(…) L’Unione europea accelererà l’attuazione di una vera e propria area di giustizia europea, la quale implicherà tra l’altro l’istituzione di un mandato di arresto ed estradizione europeo, in conformità con le conclusioni del Consiglio di Tampere e il reciproco riconoscimento di decisioni e verdetti giudiziari.” (cfr. “11 settembre – La risposta dell’Europa”, Dossier Europa, n. speciale dicembre 2001, p. 41). 625 VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 648. 626 ES: dichiarazione di commissione diritti umani e di commissione interamericana dei diritti dell’uomo, o del consiglio d’Europa dl 24.01.2001 e del 15.07.2002 627 Il 21 settembre 2001, si riunì in sessione straordinaria, a Bruxelles, il Consiglio europeo per “analizzare la situazione internazionale in seguito agli attacchi terroristici sferrati negli Stati Uniti e imprimere l'impulso necessario all'azione dell'Unione europea” approvando un Piano d’azione che prevedeva di rinforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, di attuare e sviluppare gli accordi internazionali in materia, di far cessare il finanziamento al terrorismo, di rafforzare la sicurezza aerea e di 145 Il 27 dicembre 2001, il Consiglio dell’Unione ha adottato la posizione comune 2001/931/PESC628 in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 1373, e disposto il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche di determinate persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici ed individuati in un elenco allegato alla posizione stessa che deve essere redatto sulla base di informazioni precise o di elementi del fascicolo di un’autorità competente che ha preso una decisione nei confronti di tali persone o entità. L’elenco non è definitivo, ma soggetto ad un aggiornamento almeno semestrale629. Viene data, inoltre, una definizione puntuale di “persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici” e di “atto terroristico”. Sempre in osservanza della risoluzione ONU 1373(2001) è stata adottata, la posizione comune 2001/930/PESC630 e, contestualmente a tali atti, ma nell’ambito del Trattato sulla Comunità europea, è stato adottato il Regolamento 2580/2001631 relativo al congelamento dei capitali e delle altre risorse economiche e finanziarie contro determinate persone ed entità ricompresi nell’elenco di cui al regolamento stesso, e destinate a combattere il terrorismo632. Un atto fondamentale per consentire un’effettiva attuazione del Piano d’azione deciso al Consiglio straordinario di Bruxelles è stata l’adozione di una definizione comune di reato terroristico, con la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI633. Fino ad allora erano soltanto sei gli Stati membri che avevano una legislazione penale specifica per siffatte fattispecie di reato (Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna e Regno Unito) mentre negli altri quegli atti erano puniti come reati comuni. coordinare maggiormente l’azione complessiva dell’UE anche in materia di politica estera. Il piano è stato poi attuato negli anni successivi con l’adozione di precise norme comunitarie (Conclusioni e Piano di Azione del Coniglio europeo straordinario del 21 settembre 2001). 628 2001/931/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p.93) relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo. 629 Le disposizioni contenute nell’atto non contemplano il congelamento dei fondi di Osama Bin Laden e dei soggetti e delle entità soggette a quest’ultimo, che costituisce l’oggetto della posizione comune 2001/154/PESC. Si può comunque osservare quanto possa essere costituzionalmente delicata la preparazione e l’aggiornamento degli elenchi dei nominativi delle persone fisiche o giuridiche, con riguardo alla scarsa tassatività della procedura di compilazione di quegli elenchi, alle scarse garanzie a disposizione degli interessati che si sentano ingiustamente inclusi in un elenco che comporta un’automatica paralisi all’esercizio del loro diritto di proprietà. 630 2001/930/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p. 90) , riguardante la criminalizzazione e la repressione del finanziamento al terrorismo. 631 L’uso del regolamento, in quanto fonte normativa di applicazione diretta all’interno degli Stati membri, permette di evitare la scarsa efficacia e tempestività proprie di ogni posizione comune, che, invece, necessita di un’azione positiva da parte degli Stati membri per porre in essere i mezzi necessari al raggiungimento dello scopo che la posizione comune prevede. Con il regolamento, si è così realizzato l’obiettivo di congelare i capitali di soggetti coinvolti in atti terroristici ed di criminalizzare il finanziamento al terrorismo in modo uniforme e simultaneo in tutti gli Stati membri, adempiendo, così, a quanto prescritto dalla risoluzione ONU 1373 (2001): regolamento 2580/2001 (GUCE L 344 del 28.12.2001, p.70 ). 632 L’elenco di cui al regolamento 2580/2001 è stato attuato con la decisione 2001/927/CE del 27 dicembre 2001 e, sino ad ora, successivamente aggiornato dalle decisioni 2002/334/CE del 2 maggio 2002, 2002/460/CE del 17 giugno 2002, 2002/848/CE del 28 ottobre 2002 e 2002/974/CE del 12 dicembre 2002. L’elenco della posizione comune 2001/931/PESC è stato aggiornato dalle posizioni comuni 2002/340/PESC, 2002/462/PESC, 2002/847/PESC del 28 ottobre 2002 e 2002/976/PESC del 12 dicembre 2002. I due elenchi restano distinti, anche gli stessi nominativi possono essere presenti in entrambi, con la conseguenza che restano ferme le differenti disposizioni previste per essi nei due atti da cui emanano 633 Decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI (GUCE L 164 del 22.6.2002, p.3). 146 Ora, l’intervento dell’Unione attraverso la decisione quadro, che appare molto più vincolante per gli Stati membri rispetto ad una convenzione internazionale, rappresenta una novità a livello internazionale. Ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché siano considerati atti terroristici634 una serie di reati comuni definiti dal diritto nazionale ed elencati nella decisione stessa (tra cui, attentati alla vita e all’integrità di una persona, distruzioni di strutture pubbliche o governative, sequestri di mezzi di trasporto, omicidi, lesioni personali, cattura di ostaggi, ricatti, fabbricazione d'armi, attentati fatti eseguire da terzi, minaccia di porre in atto simili azioni ecc.). Tali atti, che “per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o ad un’organizzazione internazionale”, devono essere commessi “al fine di: intimidire gravemente la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale” (art.1). La decisione definisce altresì l’organizzazione terroristica 635(art.2). Il mandato d'arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI636, adottata il 13 giugno 2002, costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del principio di riconoscimento reciproco che il è stato definito “il fondamento della cooperazione giudiziaria”. Il nuovo mandato di arresto sostituisce tutti i precedenti strumenti in tema di estradizione. Tuttavia, il mandato può applicarsi solo riguardo ai reati previsti nella decisione stessa e, tra questi, il reato terroristico, per la definizione del quale è intervenuta la decisione 2002/475/GAI637. 634 Sul terrorismo quale settore in cui appare tanto più necessario contemperare l’esigenza di armonizzazione delle legislazioni penali nazionali con il rispetto dei principi generali e dei diritti fondamentali, cfr. PECCIOLI, Il terrorismo quale settore chiave per l’armonizzazione del diritto penale, in Dir. Pen. Proc., 2007, 6, pag. 801. 635 deve intendersi l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici Sono contemplate, inoltre, alcune ipotesi di reati da considerare connessi alle attività terroristiche: furto aggravato, estorsione e formazione di documenti amministrativi falsi, commessi per realizzare i comportamenti di cui all’art. 1 (art.3). E’ considerata anche la punibilità dell’istigazione, il concorso e il tentativo alla commissione di uno di questi reati (art.4). In tutte queste ipotesi di reati, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l’estradizione (art.5). Passibili di sanzione non sono solo gli individui, ma anche le persone giuridiche ritenute responsabili direttamente di uno di questi atti o indirettamente per il mancato controllo o la mancata sorveglianza che abbia reso possibile la commissione di tali atti (art.7). Anche in questo caso, la sanzione dovrà rispondere ai criteri dell’effettività, proporzionalità e dissuasione (art.8). La decisione detta alcune regole relative alla competenza di uno Stato membro per l’esercizio dell’azione penale e alla collaborazione fra Stati, quando i legittimati all’esercizio dell’azione sono più di uno (art.9). E’, inoltre, ricordato l’impegno alla protezione delle vittime dei reati, attraverso la previsione che la denuncia non debba provenire da queste, e all’assistenza alle famiglie delle stesse (art.10 636 Il mandato d'arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI (GUCE L 190 del 18.7.2002, p. 1) 637 Come è noto, la nuova disciplina prevede un meccanismo molto più semplice, che coinvolge esclusivamente le autorità giudiziarie competenti dei vari Stati membri. L’autorità emittente trasmette il mandato direttamente all’autorità dell’esecuzione, attraverso un formulario che deve contenere tutti gli elementi necessari all’identificazione del ricercato, del reato per cui esiste a suo carico una sentenza esecutiva e della pena inflittagli (art. 8). Nell’arresto, nella cattura e nella riconsegna vengono assicurate all’arrestato una serie di garanzie, prima fra tutte la sua audizione per il proprio consenso alla consegna all’autorità emittente (artt. 11 e 14). La decisione sulla consegna spetta all’autorità che ha effettuato l’arresto, sulla base delle informazioni fornitele dall’autorità emittente (art 15). In ogni caso, il mandato deve essere eseguito con la massima urgenza (art. 17). Si tratta, quindi, di un meccanismo molto più snello e di natura essenzialmente procedurale, che dovrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti nella lotta comune contro il terrorismo. 147 Altro strumento è l’Eurojust, istituito con la decisione 2002/187/GAI638 del 28 febbraio 2002. Si tratta di un organo con personalità giuridica (art.1), composto da un membro nazionale, distaccato da ciascuno Stato membro in conformità del proprio ordinamento giuridico, avente titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative (art.2), istituito con lo scopo essenziale di tale organo è il coordinamento tra le autorità competenti degli Stati membri nelle indagini, nelle azioni penali e nell’esecuzione delle sentenze in ordine alle forme gravi di criminalità (art.3), che riguardino almeno due Stati membri. Si tratta degli stessi crimini per cui sussiste la competenza dell’Europol, tra cui il terrorismo, ed altri specifici reati elencati nella decisione stessa (art.4)639. Attraverso questo complesso meccanismo, la Comunità ha legiferato in un settore a confine fra il Secondo e il Terzo Pilastro dell’Unione, per i quali, invece, i Trattati hanno previsto strumenti di concertazione a livello governativo e politico piuttosto che atti normativi, come i regolamenti comunitari. In conclusione, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, l’Unione europea è intervenuta essenzialmente nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, attraverso l’adozione di misure come il mandato di arresto europeo, la definizione comune di terrorismo, l’istituzione dell’Eurojust e le squadre investigative speciali antiterrorismo dell’Europol. Oltre a questo, vengono costantemente aggiornati gli elenchi delle organizzazioni terroristiche e dei loro membri nei confronti dei quali vengono adottate misure restrittive in tema di congelamento dei capitali e delle risorse finanziarie. Non sono da dimenticare, inoltre, gli sforzi costanti che vengono attuati a livello politico e diplomatico e le misure specifiche proposte dalla Commissione europea riguardanti nuove regole in tema di sicurezza aerea (DOC COM (2001) 575 del 26 febbraio 2002). Si segnala, infine, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona640, l’Unione Europea diviene definitivamente competente a svolgere il giudizio di necessità della pena, ma non di esercitare la potestà punitiva. In altre parole, l’U.E., pur non disponendo di competenza penale, è comunque in grado, mediante strategie di intervento, di esprimere una vera e propria politica criminale europea. L’Unione si è spinta in direzioni diverse ma complementari fra loro. Tuttavia, il suo ruolo soffre dello scarso potere decisionale in tema di politica estera e cooperazione giudiziaria e di polizia che, nonostante le importanti innovazioni, restano essenzialmente di appannaggio governativo. 638 Decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (GUCE L 63 del 6.3.2002, p.1). cfr. DI BITONTO, La composizione dei conflitti di giurisdizione in seno ad Eurojust, in CP, 2010, 7-8, p. 2896. 639 L’Eurojust può agire sia tramite uno o più membri nazionali interessati, sia collegialmente (art.5), al fine di avviare indagini o azioni penali per fatti precisi, di coordinarle, di istituire squadre investigative comuni di scambiare informazioni e coordinare l’esercizio di azioni penali fra le autorità competenti negli Stati membri (artt. 6 e 7). Si tratta, dunque, di un organo di ausilio per le autorità competenti negli Stati membri e di coordinamento fra le stesse, che ne facilita l’azione. 640 BELFIORE, Il futuro della cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione Europea dopo il Trattato di Lisbona, in CP, 2010, 12, p.4428; SOTIS, Il Trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione Europea, in CP, 2010, 3, p. 1146. 148 CAPITOLO QUINTO Focus sull’ordinamento italiano 1. 2. 3. 4. 5. Cenni al modello costituzionale italiano .......................................................... 149 La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni) .................................. 152 Riforma dei servizi segreti (cenni) ................................................................... 159 Riforma del segreto di stato (cenni) ................................................................. 162 Considerazioni conclusive sul modello italiano ............................................... 164 1. Cenni al modello costituzionale italiano Come visto, l’Italia rientra nel modello costituzionale che non prevede alcuna sospensione né deroga alle norme costituzionali fuori dello stato di guerra, disciplinando invece il ruolo ordinario della decretazione d’urgenza. Come noto, la Costituzione consente al Governo l’adozione in casi straordinari di necessità e di urgenza di decreti-legge che devono essere convertiti in legge dalle Camere (art. 77), e, nel contempo, consente alle Camere la deliberazione dello stato di guerra (art. 78), che deve essere proclamato dal Presidente della Repubblica (art. 87), e il conferimento al Governo dei poteri necessari, prevedendo altresì altre disposizioni speciali per i casi di pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza (art. 126 co. 1, art. 120, comma 2). Quanto, invece, alla possibilità di sospensioni temporanee dell’esercizio dei diritti di libertà vi sono orientamenti assai divergenti641: per un primo orientamento al di fuori dello stato di guerra, in presenza di situazioni di emergenza non altrimenti fronteggiabili, il Governo con decreto-legge potrebbe introdurre sospensioni e deroghe delle norme costituzionali. Così la necessità diviene una fonte autonoma implicita nel sistema costituzionale. Tuttavia, tale impostazione si sconta con la natura del sistema a costituzione rigida, laddove le fonti del diritto consistono in fatti e atti espressamente qualificati come tali, e non c’è spazio per la necessità come fonte del diritto extra ordinem. Altri, invece, ritengono che al di fuori dello stato di guerra le sole deroghe o sospensioni temporanee delle norme costituzionali possano essere adottate con leggi costituzionali, le quali, potrebbero anche sospendere talune garanzie per un tempo da esse stesse definito, ferma l’impossibilità di revisione costituzionale dei diritti costituzionalmente tutelati e perciò inviolabili ai sensi dell’art. 2. Altri, ancora, ritengono che la necessità sia da considerare una fonte del diritto compatibile col sistema costituzionale, implicita nel sacro dovere dei cittadini di difendere la patria previsto dall’art. 52 Cost.: siffatto dovere, anche al di fuori dello stato di guerra, imporrebbe la salvaguardia delle istituzioni, in caso di un’aggressione non altrimenti affrontabile. In tal caso, quindi, la tutela della sicurezza nazionale potrebbe perseguirsi con qualsiasi mezzo, che, anche se non consentito formalmente, diverrebbe sostanzialmente legittimo. Tuttavia sembra preferibile l’opinione che limita la sospensione di alcuni diritti costituzionalmente garantiti e di alcune norme in materia di organizzazione costituzionale al solo stato di guerra, così escludendo ogni altro tipo di sospensione 641 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 130 149 durante altre situazioni emergenziali meno rilevanti642. Conseguentemente, soltanto durante lo stato di guerra la difesa della patria ex art. 52 Cost. potrebbe essere attuato mediante norme parzialmente derogatorie della Costituzione643. In definitiva, laddove non si riesca a fronteggiare l’emergenza con il decreto legge e questa (terroristica o meno) abbia caratteristiche così eccezionali di pericolosità generalizzata, non resterà che deliberare lo stato di guerra ai sensi degli art. 78 e 87 Cost., la cui formulazione non impedisce il riferimento anche alla “guerra interna”644, ferma restando l’impossibilità di deroghe o sospensioni alle norme costituzionali concernenti la composizione e le funzioni dei pubblici poteri645. Siffatta soluzione ha il pregio di non alterare il sistema costituzionale delle fonti del diritto e del controllo di costituzionalità e di mantenere la supremazia del Parlamento, ma lascia agli organi costituzionali l’ampio uso di tutte le fonti espresse per tentare di consentendo l’uso degli strumenti ordinari (legge, decreto-legge ecc.) per fronteggiare l’emergenza e il terrorismo prima di ricorrere come extrema ratio all’unico stato di eccezione previsto646. Col solo monito di evitare espedienti pericolosi perché “la salvezza della Repubblica può essere il velo dietro il quale si nascondono velleità autoritarie, deliri di onnipotenza, dissociazioni del potere dalle regole del suo democratico esercizio”647. Si segnala peraltro che dopo il 2001 la distinzione tra conflitti internazionali e conflitti interni diventa sempre più labile e, pertanto, potrebbe ammettersi il ricorso all’art. 78 Cost. anche per la difesa dell’ordinamento costituzionale democratico nelle ipotesi in cui sia indispensabile la difesa contro organizzazioni terroristiche che minacciano l’uso di armi di distruzione di massa, così privilegiando i tempi dell’emergenza rispetto a quelli della “burocrazia”: per tale evenienza, si suggerisce l’elaborazione e l’aggiornamento costante di testi di decreti-legge o di conferimento di poteri utilizzabili durante lo stato di guerra ex art. 78 Cost.648 Sul piano pratico, il Presidente del Consiglio dei ministri ha decretato, il 28 marzo 2003, lo stato di emergenza (G.U., serie generale, n. 74 del 29/3/2003 p.15) in relazione alla tutela della pubblica incolumità, a causa dell'attuale situazione internazionale. Nella stessa data è stata inoltre approvata l'ordinanza n.3275, concernente disposizioni urgenti di protezione civile per fronteggiare l’emergenza derivante dai possibili rischi terroristici. In tale contesto è passato sotto silenzio, in quanto segregato per ragioni di sicurezza, il DPCM 2 aprile 2004, con il quale il Governo Berlusconi ha predisposto delle linee guida per il caso di abbattimento di aerei civili al fine di contrastare attacchi terroristici simili a quelli dell’undici settembre. I criteri e le procedure da seguire, anch’essi secretati, sarebbero di competenza dell’esecutivo. 642 Cfr. GIARDINA, Art. 78, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, Art. 76- 82, BolognaRoma, 1979, p.112. 643 Cfr. BETTINELLI, Art. 52, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA -PIZZORUSSO, Art. 48 - 52, Bologna-Roma, 1992, p. 52 ss 644 PALADIN, In tema di decreti-legge, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, p. 582 ss. 645 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 140 646 cfr. LABRIOLA, L’emergenza per la lotta al terrorismo internazionale e i diritti fondamentali della persona (prime osservazioni), in Studi per Giovanni Motzo, Milano, 2003, p. 295-296 647 PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 232. 648 BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 140 150 Probabilmente era preferibile potenziare l’attività degli enti competenti in via ordinaria, ovvero fronteggiare la situazione utilizzando lo strumento del decreto legge (sottoposto a ratifica e controllo parlamentare). L’esecutivo ha invece preferito la strada del monopolio decisionale sull’emergenza, non indicando, peraltro, né una data né un momento finale della stessa (con problemi relativi alla essenziale temporaneità delle ordinanze emergenziali ex art. 5 della L. 225 del 24.2.1992649). Per l’effetto di tale scelta, ne risulta irrimediabilmente sfumata la linea di demarcazione fra legislazione ordinaria ed emergenziale, e, così, l’emergenza perde la sua tipica connotazione di situazione “patologica” ed “estrema”. Anche se disposta al fine di salvaguardare - in una situazione di crisi - gli interessi fondamentali della collettività, la decretazione d’urgenza, sembra eccedere le attribuzioni del governo che dovrebbe avvalersi di questi decreti solo nei limitati casi in cui sia chiamato a fronteggiare situazioni di stringente emergenza, e che prevedano deroghe ben definite nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio. Soltanto tali limitazioni, infatti, sembrano idonee ad attenuare il pericolo di creare un ordinamento in perenne “emergenza-ordinaria”650. Il ricorso del Governo ai decreti legge nei momenti di emergenza terroristica, per il vero, non è fenomeno nuovo: ad esempio l’introduzione dell’art. 270-bis del codice penale è frutto di una decreto- legge del 15 dicembre 1979, convertito in legge n. 15 del 1980. Il pronunciamento legislativo era dettato dalla necessità di dovere fronteggiare gravi episodi di terrorismo, di natura interna, finalizzati a minare lo Stato repubblicano651. E, riconfermando tale linea di azione anche a seguito degli attentati 649 Art. 5 Stato di emergenza e potere di ordinanza “1. Al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualita' ed alla natura degli eventi. Con le medesime modalita' si procede alla eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti. 2. Per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si provvede, nel quadro di quanto previsto dagli articoli 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico. 3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, puo' emanare altresi' ordinanze finalizzate ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose. Le predette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, qualora non siano di diretta sua emanazione. 4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il Ministro per il coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo, puo' avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di delega deve indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalita' del suo esercizio. 5. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate. 5-bis. … 5-ter. … 6. Le ordinanze emanate ai sensi del presente articolo sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonche' trasmesse ai sindaci interessati affinche' vengano pubblicate ai sensi dell'articolo 47, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142. (5) (9)” Il D.L. 23 maggio 2008, n. 90, convertito con L. 14 luglio 2008, n. 123, ha disposto che il presente articolo 5 "si interpreta nel senso che i provvedimenti adottati ai sensi delle predette disposizioni non sono soggetti al controllo preventivo di legittimita' di cui all'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n. 20". 650 SCAFFARDI, Emergenza e situazione internazionale: prime note in merito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 marzo 2003, del 18.3.2003, in www.forumcostituzionale.it. 651 PALMA, Terrorismo internazionale: risposta dello Stato italiano, su www.studiperlapace.it. 151 dell’11 settembre, il Governo ha emanato il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito con l. 15 dicembre 2001, n. 438. 2. La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni) Con più specifico riguardo al tema qui trattato, si osserva che in Italia, nella lotta al terrorismo islamico, si sono riproposti e raffinati gli strumenti repressivi già elaborati per il contrasto a emergenze terroristiche interne, senza la creazione di un modello ad hoc come quello americano, ma, purtroppo, nondimeno passibile di critiche per le vistose deviazioni rispetto al diritto e al processo penale ordinari. I tratti salienti di tale sistema vanno colti sul piano del diritto sostanziale, processuale, penitenziario e delle misure di prevenzione e del diritto dell’immigrazione652. Quanto al diritto sostanziale, sono previste fattispecie associative che permettono l’attivazione di mezzi di indagine invasivi ed efficaci (intercettazioni telefoniche ed ambientali), anche in presenza di una bassa soglia indiziaria653, e consentono l’applicazioni di pene severe al condannato in conseguenza della sola partecipazione all’organizzazione. In altre parole, si anticipa la soglia della punibilità al fine di prevenire, anziché reprimere, la commissione di reati, sia con la previsione di fattispecie associative, sia con la punibilità di atti preparatori654. Inoltre, vengono incriminate anche condotte di mera manifestazione del pensiero655. Tali fattispecie si connotano per la vaghezza della formulazione e nel contempo per l’asprezza delle sanzioni656. Inoltre l’enucleazione di specifici reati fine, caratterizzati dalla struttura a consumazione anticipata e dalla previsione della finalità terroristica657, ha conseguenze sia sul piano della recidiva e che in quello delle misure di sicurezza. Sul piano del diritto processuale, le peculiarità del sistema riguardano le indagini preliminari, e, oltre all’affidamento delle stesse a sezioni distrettuali speciali della Procura della repubblica658, un correlativo ampliamento dei poteri investigativi con una dilatazione dei tempi per la chiusura delle indagini659, e nei più ampi margini per la 652 VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 648. Art. 13 DL 152/1991, convertito con mod. L 203/1991, parla di sufficienti indizi. 654 Il riferimento è agli artt. 302 e 304 c.p., che puniscono rispettivamente l’istigazione e l’accordo a commettere alcuni reati, tra cui quelli di natura terroristica; agli artt. 270 quater e quinquies che sanzionano l’arruolamento e l’addestramento all’uso di armi e tecniche di combattimento con finalità terroristiche; all’art. 497 c.p.. che prevede la fabbricazione e il possesso di documenti falsi validi per l’espatrio. 655 Probabilmente alla repressione delle predicazioni “pericolose” degli imam nelle moschee si deve l’introduzione dell’ultimo comma del’art. 414 c.p., che prevede un’aggravante se l’istigazione a delinquere riguarda atti di terrorismo. VALSECCHI, Misure urgenti per il contrasto al terrorismo internazionale 656 Art. 270-bis c.p. prevede da cinque a dieci anni di reclusione per il mero partecipe; da sette a quindici per tutti gli altri ruoli. 657 Art. 280 c.p. attentato per finalità di terrorismo o di eversione; 280 bis c.p. atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi; 289 bis c.p. sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione. 658 Art. 51 co. 3 quater c.p.p., con conseguente competenza del gip del capoluogo distrettuale ex art. 328 co. 1 ter c.p.p. 659 Artt. 405, 406 co 5 bis, 407 co.2 lett. a c.p.p. 653 152 disposizione di intercettazioni telefoniche ed ambientali660, di perquisizioni di interi edifici661 e di operazioni sotto copertura662. Sono poi previsti, in capo a Polizia di Stato e Carabinieri, poteri di effettuare con i detenuti colloqui a fini investigativi, volti ad acquisire informazioni utili per la prevenzione o repressione dei delitti con finalità di terrorismo663. Con riguardo al diritto penitenziario, si segnala l’applicabilità del regime di carcere duro ex art. 41 bis c.p., nonché la subordinazione di eventuali benefici alla collaborazione, con palese deviazione dalla finalità rieducative della pena. Con riferimento alle misure di prevenzione, che possono essere di natura patrimoniale o personale, esse hanno scarsissima effettività664, mentre maggiore applicazione viene data alle le espulsioni amministrative. Si osserva, in proposito, che è proprio grazie alle misure di prevenzione che il potere esecutivo può svolgere un ruolo di primo piano nella lotta al terrorismo, per lo più sottraendosi al controllo giurisdizionale. Approfondendo le modifiche intervenute nel diritto penale sostanziale, merita attenzione l’art. 270-bis c.p. introdotto nel nostro codice penale dall'art. 3 del Decreto legge 15/12/1979, convertito nella legge 06/02/1980 n. 15, con la finalità di introdurre una fattispecie di reato che consentisse di combattere le varie manifestazioni di terrorismo diffusesi in Italia negli anni c.d. “di piombo”665. L’articolo 270-bis sanzionava le sole associazioni che si proponevano di compiere «atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico», intendendosi per “ordine democratico” il sistema dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione. Prendendo atto della gravità del crimine terroristico e a prescindere dalla realizzazione di una fattispecie associativa, il legislatore ha ritenuto di introdurre l’aggravante specifica (quella della finalità di terrorismo ex art. 1 legge 06/02/1980 n. 15), idonea a reprimere tali fatti. Concretizza quindi la finalità di terrorismo l’ incutere terrore nella collettività con azioni criminose indiscriminate, ossia dirette non contro singoli individui, ma contro il simbolo da esse rappresentato; essendo quindi le azioni sono dirette contro la persona, indipendentemente dal ruolo ricoperto nella società, esse mirano a incutere terrore nella collettività proprio per indebolire le strutture portanti dell’Ordinamento. La finalità di eversione si connota, invece, per l’azione maggiormente diretta a sovvertire l’ordinamento costituzionale e travolgere l’assetto democratico dello Stato, sgretolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai principi fondamentali che costituiscono l’essenza stessa dell’ordinamento costituzionale. Intervenendo più volte sul tema, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare che l'associazione rilevante ex art. 270 bis c.p. doveva mirare direttamente e immediatamente all'ordine democratico costituito, e che, qualora la finalità di eversione o terrorismo non avesse toccato l'ordinamento costituzionale italiano, si era al di fuori 660 Art. 13 DL 152/1991; art. 295 co. 3 bis c.p.p.; art. 266 disp. Att. C.p.p. e 4 DL 144/2005). Cfr. FILIPPI, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, in Dir. Pen. Proc., 2005, p. 1214; GARUTI, Le intercettazioni preventive nella lotta al terrorismo internazionale, in Dir. Pen. Proc., 2005, 1457. 661 Art. 25 bis DL 306/1992 662 Art. 9 L 146/2006 663 Art. 18 bis co. 1 bis ord. pen. 664 VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in RIDPP., 2006, 2, 648. 665 LAUDI., voce Terrorismo (diritto interno), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, Milano, 1992, p. 361 153 del bene giuridico protetto dalla norma666. Dunque, secondo la Cassazione, alle associazioni terroristiche con obiettivi esterni potevano essere ascritti solo reati di diritto comune quali l’associazione per delinquere e altri eventuali reati strumentali, con conseguente impossibilità di utilizzare gli strumenti investigativi e processuali (intercettazioni, termini di custodia, trattamento penitenziario ecc.) più congrui ad affrontare in modo efficace un preoccupante fenomeno667. Dopo l’11 settembre 2001, la norma è stata riscritta, con il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito con l. 15 dicembre 2001, n. 438, superando i limiti del terrorismo interno668: è stato riformulato l'elemento soggettivo del reato, con l’introduzione espressa della finalità di terrorismo alternativa a quella eversiva, ed è stata prevista espressamente la punibilità delle condotte ancorchè rivolte contro uno Stato estero. In tal modo, il riconoscimento della portata internazionale del terrorismo consente l’applicabilità del 270 bis c.p. anche ad associazioni volte a realizzare condotte criminore al di fuori dei confini dello Stato in cui hanno la loro base. La norma presenta quindi quattro importanti innovazioni. In primo luogo, come accennato, si è ampliata la portata applicativa dell’art 270-bis chiarendo la portata internazionale già nella rubrica, fondendo le fattispecie che nel decreto legislativo inizialmente erano state distinte negli artt. 270-bis e 270-ter (in quanto le ipotesi criminose dei due articoli erano sovrapponibili). Ad oggi, quindi, la fattispecie punita dalla norma è associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico669. Dunque, è punito chi promuove, organizza o partecipa ad un’associazione che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di eversione dell’ordine democratico670; con finalità di terrorismo; con finalità di terrorismo rivolta anche contro uno stato estero, un’istituzione o un organismo internazionale. Ad una semplice lettura si possono qunidi individuare tre tipi di illecito associativo che può dirsi politicamente orientato, mentre rimane esclusa una quarta forma di illecito quale l’associazione che persegua come obiettivo la sovversione, ossia il rovesciamento con mezzi violenti dell’ordinamento costituzionale di uno Stato estero671. Per la configurabilità della fattispecie è necessaria la compresenza nel gruppo di due o più persone che svolgono, in modo coordinato tra loro, una qualsiasi attività, sintomatiche del fatto 666 Cass., sez. VI, 17 aprile 1986, n. 973, Ferdjani Mouland ed altri, in Cass. Pen., 1987, p. 51; Cass., sez. VI, 30 gennaio 1986, Bendebka, in Giust. Pen. 1987, II, p. 158; Cass., sez. VI, 1 giugno 1999, Abdaoui Youssef ed altri, in DPP, 2000, 4. 667 SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della finalità terroristica, in Cassazione penale: rivista mensile di giurisprudenza, n. 10, 2006, p. 3367 668 Sul terrorismo internazionale prima della riforma, cfr. CERQUA, Sulla nozione di terrorismo internazionale, in CP, 2007, 4, 1580. 669 Cfr. Cass. pen, sez. I, 17.01.2007, n. 1072, in G.dir., 2007, 17, 90, con nota di ROSI., dove si precisa che la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti ed attuali di violenza, non vale a realizzare il reato. Detta sentenza chiarisce anche che il semplice inserimento negli elenchi di associazioni terroristiche stilati dall’UE non può in sé costituire un elemento di prova della natura terroristica dell’associazione, traducendosi altrimenti i nun’anomala prova legale. 670 SALVINI G., L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della finalità terroristica, in Cassazione penale: rivista mensile di giurisprudenza, n. 10, 2006, p. 3368 671 ROSI E., Terrorismo internazionale: le nuove norme interne di prevenzione e repressione. Profili di diritto penale sostanziale, in Dir. Pen. e proc., 2002, p. 157. 154 che gli associati intendono perseguire, attraverso il compimento di reati fine, la consumazione di atti di violenza672 con finalità di terrorismo. Tuttavia si rileva che il terrorismo di matrice fondamentalista non appare sempre agevolmente riconducibile alla configurazione di una associazione criminosa, nel senso elaborato da dottrina e giurisprudenza con tradizionale riferimento o ai fenomeni di criminalità organizzata di tipo mafioso ovvero comune (associazione finalizzata al traffico di stupefacenti: art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, o associazione per delinquere: art. 416 c.p.). Il reato associativo dell’art 270-bis c.p. non si discosta molto dai cennati modelli, salvo che per la sufficienza di sole due persone ai fini della sussistenza del reato673. In secondo luogo, è stata aggiunta, nel comma 1, accanto alle condotte di promozione, costituzione, organizzazione e direzione dell’associazione, anche quella di finanziamento674. In terzo luogo, si è inasprito il trattamento sanzionatorio, con l’aumento dei limiti edittali della pena detentiva prevista per la partecipazione all’associazione (minimo e massimo, stabiliti in cinque e dieci anni di reclusione). Infine, è stata introdotta, al comma quattro, un’ipotesi di confisca obbligatoria di tutte le cose del colpevole, che sono servite o sono state destinate a commettere il reato, nonché di tutte quelle cose che ne sono state il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscano l’impiego. Tra le innovazioni introdotte merita quindi un cenno particolare la disciplina della confisca (art. 270-bis c.p. comma 4). La l. 438/2001 prevede la confisca «delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego». La previsione risponde all’esigenza di privare l’associazione di ogni bene che ne consenta il sostentamento e che ne garantisca la funzionalità operativa675. Inoltre è prevista la possibilità di avocare allo Stato, sulla falsariga di quanto stabilito in rapporto alle organizzazioni mafiose, anche le cose che vengano a configurarsi quale impiego dei proventi del gruppo terroristico. Ulteriore cenno, tra le conseguenze giuridiche del reato, merita di essere fatto richiamando la corresponsabilizzazione delle persone giuridiche, a mente di quanto disposto dalla l. 7/2003, con l’estensione della peculiare responsabilità degli enti alle fattispecie di illeciti amministrativi dipendenti da reato, anche alle ipotesi di commissione di delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione. In particolare, il legislatore ha previsto sanzioni pecuniarie ed interdittive, arrivando quindi a stabilire anche l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, laddove si accerti che l’ente è stato stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati (art. 25-quater). L’applicazione della nuova disciplina, 672 Gli atti di violenza possono consistere in atti lesivi dell’incolumità o della libertà delle persone, quali lesioni o uccisioni o sequestri di persone, oppure in atti lesivi dell’integrità delle cose, quali danneggiamenti, attentati a beni, edifici ecc., in danno di qualunque collettività, anche diversa da quella rappresentata dallo Stato italiano. Trattandosi di un reato di pericolo presunto, per la sua sussistenza non è affatto necessario che sia in concreto compiuto nessuno degli atti di violenza programmati; quando, infatti, uno di tali atti di violenza programmati sia effettivamente portato a compimento, insieme con il reato associativo di cui all’art. 270-bis c.p., concorrerà anche lo specifico reato in cui si concretizza l’atto di violenza commesso (ad es. strage, omicidio, sequestro di persona, danneggiamento, ecc.). 673 ROBERTI,Le nuove fattispecie in materia di terrorismo , (a cura di DALIA),, Milano, 2006, p. 464. 674 SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della finalità terroristica, p. 3369. 675 FIANDACA-TESAURO, Le disposizioni sostanziali: linee, in Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, a cura di DI CHIARA, Torino, 2003, p. 126. 155 con riferimento all’art 270-bis, si riferisce all’ipotesi di enti economici, in sé leciti, coinvolti in attività di finanziamento o di riciclaggio a favore di organizzazioni di natura terroristica676. Sotto il profilo soggettivo è appena il caso di accennare che per una parte della dottrina, il dolo viene individuato nella conoscenza e volontà di tenere una delle condotte di partecipazione, descritte dall’art. 270-bis c.p., nella sola consapevolezza del programma di atti violenti assunto come obiettivo strumentale dell’associazione e del fine politico perseguito. Per diversa opinione, invece, è necessaria la volontà di realizzare il programma (strumentale e finale) dell’organizzazione, trattandosi di un reato a dolo specifico677. Con particolare riguardo alla conoscibilità del programma criminoso, la dottrina ha rilevato, poi, che nelle associazioni terroristiche internazionali, la programmazione potrebbe risultare tanto meno conoscibile da parte dei singoli associati, quanto più l’associazione si riveli estesa nel tempo e nello spazio e quanto maggiore sia l’apporto di militanti stanziati nelle diverse parti del mondo. Ne conseguirebbe che «il nesso funzionale che lega […] i vari contributi prestati dai singoli associati deve essere valutato tenendo conto di una simile strategia complessiva, e il grado di consapevolezza richiesto ai fini della punibilità della condotta associativa dovrà essere correlato a quanto un militare può sapere delle operazioni di guerra programmate dal suo Stato Maggiore»678. La l. n. 438 del 2001, nel solco dell’ampliamento della fattispecie di cui all’art 270-bis, ha introdotto ulteriori importanti novità di carattere processuale, prevedendo che, nel caso di investigazioni riguardanti illeciti penali commessi con finalità di terrorismo, si possa procedere all’effettuazione di intercettazioni preventive e giudiziarie, intercettazioni ambientali per la ricerca di latitanti, e possano trovare applicazione altre specifiche disposizioni: sia quelle già riferibili ai procedimenti per reati in materia di traffico di stupefacenti, riciclaggio ed immigrazione clandestina, che consentono il ritardo degli ordini di cattura, arresto, sequestro, nonché il compimento delle c.d. operazioni «sotto copertura», sia le norme che permettono l’esecuzione di perquisizioni di edifici o di blocchi di edifici, ai sensi dell’art. 25-bis del d.l. n. 306 del 1992. Sono inoltre applicabili le speciali norme processuali inerenti lo svolgimento di udienze dibattimentali o camerali con le modalità della partecipazione a distanza È stato inoltre inserito nell’art. 51 c.p.p. un nuovo comma 3-quater, modificato l’art. 328 c.p.p. e, per l’effetto, in caso di reati con finalità di terrorismo trovano applicazione le norme processuali, concernenti le attribuzioni del pubblico ministero e la competenza del GIP o del GUP, previste per i delitti di criminalità organizzata. La legislazione italiana ha dato attuazione alle decisioni assunte in sede internazionale679, oltre che con il nuovo art. 270-bis c.p., anche con il decreto legge 12 ottobre 2001 n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 dicembre 2001, n. 431, istituendo presso il ministero dell’Economia e finanze, il comitato di sicurezza finanziario (CSF)680. 676 PELISSERO, Terrorismo internazionale e diritto penale, in Studium juris, Padova, 2005, p.1284 SPAGNOLO, Reati associativi, in EG, XXVI, Roma, 1996. 678 LAUDI, Reato associativo e terrorismo: un ruolo importante per il nuovo art. 270-bis c.p., in Studi in onore di Marcello Gallo, Torino, 2003, p.534. 679 La più importante delle quali è la n. 1373 del 28 settembre 2001. 680 LO MONTE, Gli interventi in tema di misure di prevenzione: il problema del congelamento di beni,in Le nuove norme di contrasto al terrorismo, (a cura di DALIA), Milano, 2006, p. 414. 677 156 Subito dopo gli attentati alla metropolitana di Londra, nell’estate del 2005 è stato approvato in tempi rapidi il c.d. pacchetto antiterrorismo, ( decreto legge del 27 luglio 2005, n. 144 convertito poi nella legge 31 luglio 2005, n. 155). L’intervento legislativo percepiva il duplice obiettivo di recepimento e adesione ad concetto di terrorismo affine a quello elaborato in sede internazionale e di lotta alle condotte di supporto al terrorismo internazionale indipendentemente dalle risultanze processuali della loro ascrivibilità ad un contesto associativo sul modello descritto dall’art 270-bis c.p. Una spinta decisiva alla riforma è venuta dalla Convenzione sulla prevenzione del terrorismo svoltasi a Varsavia il 16 maggio 2005681, in esito alla quale si è imposta l’incriminazione anche dei delitti connessi al terrorismo, per la prima volta distinti da quelli di terrorismo in senso stretto. I delitti connessi al terrorismo che le parti contraenti hanno deciso di sanzionare con pene efficaci, proporzionate e dissuasive, applicabili anche nei confronti delle persone giuridiche, sono la pubblica istigazione a compiere delitti di terrorismo (art. 5), il reclutamento per terrorismo (art. 6) e l’addestramento al terrorismo (art. 7)682. La Convenzione evidenzia proprio come gli atti terroristici, per loro stessa natura hanno la finalità di «intimidire gravemente una popolazione ovvero di costringere indebitamente un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un atto ovvero di destabilizzare gravemente o distruggere le strutture fondamentali, politiche, costituzionali, economiche o sociali di un paese o di un’organizzazione internazionale»683. Tale formulazione è perfettamente sovrapponibile a quella della Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea 2002/475/GAI del 13 giugno 2002684 e riecheggia quella nozione comune di terrorismo recepita dal Parlamento nell’art. 270-sexies c.p., in sede di conversione del decreto legge. Infatti, come detto, l’Italia ha inteso dare esecuzione alla convenzione inserendo nel codice penale due nuove fattispecie di delitto, gli artt. 270-quater e 270-quinquies, avendo osservato che gli il fenomeno terroristico emerso negli ultimi anni non è opera di autori improvvisati, ma di gente addestrata alle c.d. tecniche del terrore685. 681 La Convenzione di Varsavia, entrata in vigore l’8 giugno 2008, comporta fra l'altro per le Parti contraenti l'obbligo di sanzionare con pene efficaci, applicabili non solo nei confronti delle persone fisiche ma anche delle persone giuridiche, tre reati di pericolo connessi al terrorismo considerati di elevata pericolosità in quanto attraverso di essi si realizzano le precondizioni per portare a termine azioni terroristiche vere e proprie: si tratta della pubblica istigazione a compiere delitti di terrorismo, del reclutamento e dell'addestramento. L'obbligo è stato adempiuto dall'Italia con l'introduzione nel D.L. 144/05 rispettivamente dell'art.414 ultimo comma c.p., dell'art. 270-quater c.p. e dell'art. 270 quinquies c.p. Si veda PERDUCA, Terrorismo: con la Convenzione di Varsavia obiettivo su giurisdizione e reati connessi, in Gdir., 2005, 30, p.126 e ss. 682 PERDUCA, Terrorismo: con la Convenzione di Varsavia obiettivo su giurisdizione e reati connessi, cit. p.130. 683 Preambolo della Convenzione, in www.senato.it.; cfr. MANTOVANI, le condotte con finalità di terrorismo, in Contrasto al terrorismo interno ed internazionale, (a cura di KOSTORIS-ORLANDI), Torino, 2007, pag. 79. 684 Si veda il capitolo precedente. 685 SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della finalità terroristica, CP, 2008, p. 3372, cfr. Cass. pen., sez V, 25.7.2008, 31389, in CP, 2009, p. 2370. 157 L’ipotesi contemplata nell’art. 270-quater c.p.686 (Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale) è, quindi, volta a contrastare specificamente la fattispecie di chiunque pone in atto condotte volte all’individuazione, alla persuasione nonché all’armamento di persone da avviare alla perpetrazione di azioni terroristiche. In altre parole, la fattispecie risponde all’esigenza politico- criminale di contrastare il fenomeno del reclutamento. Siffatta previsione, invero, si è resa necessaria allorchè è stato chiaro che la previgente norma relativa all’associazione per finalità di terrorismo internazionale soffrisse notevoli difficoltà probatorie per dalla dimensione sovranazionale delle realtà associative e a causa dell’estrema frammentazione del fenomeno687. La ratio dell’art. 270-quinquies c.p.688 (Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale), invece, si rinviene nella necessità di perseguire coloro che sono in grado di formare adeguatamente all’attività terroristica: anche in tal caso, quindi, si è voluto anticipare la tutela della sicurezza pubblica ad un momento preliminare rispetto al concreto compimento di atti di terrorismo, per contrastare la preparazione dell’aspirante terrorista all’uso di mezzi offensivi ad ampio raggio (esplosivi, armi da fuoco, sostanze chimiche o batteriologiche), normalmente destinata ad aver luogo con l’inserimento in campi d’addestramento o con la divulgazione di materiale illustrativo appositamente confezionato689. Con la medesima legge è stata inoltre introdotta nel codice penale una definizione di terrorismo, nell’art. 270-sexies c.p.690. La norma, per il vero, non definisce la finalità di terrorismo, ma piuttosto le condotte commesse a tal fine, riecheggiando la già citata decisione quadro 2002/ 475/ GAI. Si osserva, al proposito che sarebbe stato preferibile che il legislatore si limitasse a delineare la finalità di terrorismo, e non, invece, a prevedere la rilevanza penale di una serie di specifici comportamenti diretti a realizzare la finalità di terrorismo691. Altri, invece, parlano in proposito di un sistema a «doppia tipizzazione», in forza del quale, dopo aver tipizzato il fine di terrorismo, si rinvia ad altre norme per la 686 270 quater c.p. Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale: - Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, e' punito con la reclusione da sette a quindici anni. 687 LECCESE,, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l'odio rischia grosso, in Digesto disc. pen, Torino,2005, p. 94. 688 270 quinquies c.p. Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale: Chiunque, al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche nocive o pericolose, nonche' di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale, e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata. 689 LECCESE, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l'odio rischia grosso, cit., p. 95. 690 270 sexies c.p. Condotte con finalità di terrorismo:. – [1]. Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonche' le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italia. 691 PISTORELLI, Punito anche il solo arruolamento,p. 58. 158 tipizzazione del fatto obiettivo692. Da ultimo si segnala che, con il rinvio agli strumenti internazionali vincolanti per l’Italia, il legislatore si è assicurato un automatico adeguamento della fattispecie e, quindi, l’automatica armonizzazione della legislazione ai principi della comunità internazionale. 3. Riforma dei servizi segreti (cenni) Le vicende connesse al prelevamento in Italia dell’egiziano Abu Omar da parte di agenti della CIA, hanno coinvolto anche i vertici del nostro servizio segreto militare (ex SISMI), riaprendo il dibattito sui limiti legali delle attività di intelligence all’interno di un ordinamento democratico. Lo scandalo giudiziario ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica il problema relativo ai limiti dell’attività dei Servizi, mentre, per il vero, era ancora in vigore la L. 801 del 24.10.1977. Vale appena precisare che i Servizi Segreti rappresentano un apparato di significativa importanza a garanzia e tutela della sicurezza dello Stato; a mente della legge 801/77 i Servizi Segreti svolgevano attività puramente informativa, c.d. di intelligence, mentre per effettuare operazioni sul campo dovevano ricorrere all’ausilio di reparti speciali delle Forze dell’Ordine. In sostanza, l’attività svolta dal SISMI (oggi AISE servizio informazione e sicurezza esterna) era volta alla sola raccolta di informazioni e dati, e si concretizzava in attività preventiva posta in essere cioè al fine di evitare o contrastare tempestivamente fatti o eventi pregiudizievoli di natura interna o esterna. Nonostante la legge 801/77 delineasse con evidenza il quadro delle finalità che presiedevano all’attività di intelligence, nondimeno era carente e insoddisfacente la disciplina che ne regolava le forme, le modalità e gli aspetti organizzativi, di fatto imponendo ai servizi di operare nell’ombra ai margini della legalità al fine di eseguire i propri compiti. In altre parole, mancava un efficace insieme di garanzie funzionali idoneo a indicare chiaramente quali attività fossero lecite e quali no, con conseguente difficoltà nell’individuazione delle responsabilità e delle modalità di autorizzazione delle operazioni693. Su tale sfondo è intervenuta la L. 124/2007 al fine di riformare “il sistema di informazione per la sicurezza della repubblica”694. Particolare interesse suscitano le competenze in materia di prevenzione attribuite ai servizi di sicurezza. In realtà, pur essendo ben distinte le funzioni della polizia di sicurezza (cfr. l. n. 121/1981) e quelle dei servizi di informazione (cfr. l. n. 801/1977; nonché, ora, l. n. 124/2007), la recente emergenza terroristica ha visto l’estensione di tradizionali strumenti di prevenzione anche in capo ai servizi di informazione695. 692 PALAZZO F., Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in Questione Giustizia, 2006, p. 670. 693 Cfr SALVI, Garanzie funzionali, responsabilità e controllo per dare una svolta ai servizi di intelligenze, in GDir, 2006, 31, pag. 11. 694 Mentre la legge era ancora in fase di approvazione: CORNELI, Servizi segreti: più spazio a Palazzo Chigi per coordinale le operazioni sul campo, in GDir, 2007, 9, pag. 10. Per un commento a caldo alla legge si veda Servizi segreti:un intervento bipartisan che modifica l’organizzazione e i controlli, in G.dir, 2007, 40,12. 695 BRICCHETTI – PISTORELLI, le forze di polizia sono tenute a collaborare, in G.dir, 2007, 40,57. 159 Tradizionalmente, come detto, l’ambito di intervento dei servizi di informazione era quello concernente la raccolta e la gestione delle informazioni utili alla tutela della difesa militare e della sicurezza dello Stato, che restava ben distinto da quello di tutela dell’ordine pubblico e di prevenzione dei reati, tipico della polizia di sicurezza. Oggi, quando si tratta di prevenire complesse attività criminali di natura eversiva o terroristica (anche di rilievo internazionale), possono assumere particolare importanza le informazioni raccolte e le attività svolte dagli apparati dei servizi di sicurezza “interna” (un tempo il SISDE, oggi l’AISI), ai quali spetta il compito di “ricercare ed elaborare nei settori di competenza tutte le informazioni utili a difendere, anche in attuazione di accordi internazionali, la sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento da ogni minaccia, da ogni attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica” (art. 7 della l. 124/2007). E come in passato, atteso lo scopo di salvaguardia delle istituzioni democratiche, in relazione alle attività dei servizi di sicurezza si pone il problema della garanzia dei diritti fondamentali. A maggior ragione, poiché i funzionari oggi attendono anche a servizi di tradizionali strumenti preventivi, tipici delle operazioni di polizia. Ad esempio l’art. 4 della l. n. 155/2005 estende il citato regime delle intercettazioni preventive anche al personale appartenente ai servizi, su richiesta del Presidente del consiglio o dei direttori dei servizi stessi, al fine della “prevenzione di attività terroristiche o di eversione dell’ordinamento costituzionale” (di recente, si ricorda, i vertici dei servizi segreti sono stati coinvolti dalle vicende giudiziarie relative all’illegittimo “prelevamento” dell’egiziano Abu Omar, imam della moschea milanese)696. Proprio per agevolare tale attività di prevenzione, la 1.124/2007, artt. 17 e 18, ha introdotto una speciale causa di giustificazione697. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 17 dispone che “fermo quanto disposto dall'art. 51 cp, non è punibile il personale dei servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla legge come reato, legittimamente autorizzate dei volta in volta in quanto indispensabili alle finalità istituzionali ditali servizi, nel rispetto rigoroso dei limiti di cui ai commi 2,3,4 e 5 del presente articolo e delle procedure fissate dall'articolo 18”. Quanto alla clausola di salvezza, “fermo quanto disposto dall'art.5l cp”, si fa notare che essa sottolinea il carattere speciale sussidiario dell’esimente in esame e, nel contempo, garantisce la copertura agli agenti per eventuali condotte non previste dalla nuova causa di giustificazione. In ogni caso, per completare il perimetro delle garanzie funzionali, si auspica che i protocolli organizzativi delle agenzie prevedano la contestuale attribuzione agli appartenenti ai servizi della qualifica di ufficiale o agente di pubblica sicurezza ex art.23 della Legge istitutiva. Infatti, la legge prevede espressamente che al personale in servizio presso gli apparati di intelligence non sia possibile attribuire la qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza, salvo che “in relazione allo svolgimento di attività strettamente necessarie a una specifica operazione dei servizi di informazione per la sicurezza o volte alla tutela 696 Si veda capitolo I del presente lavoro; GIUPPONI, Stato di diritto e attività di intelligence: gli interrogativi del caso Abu Omar, in Quad. cost., 2006, pp. 810ss.; nonché GIUPPONI, Il conflitto tra Governo e Procura di Milano nel caso Abu Omar, in Quad. cost., 2007, pp. 384 ss.; GIUPPONI., sicurezza personale, sicurezza collettiva e misure di prevenzione. La tutela dei diritti fondamentali e l’attività di intelligence, in www.forumcostituzionale.it BIN, Democrazia e terrorismo, in Forum Quad. cost., all’indirizzo www.forumcostituzionale.it. 697 BRICCHETTI – PISTORELLI, Garanzie funzionali agli 007, in G.dir, 2007, 40, 59 160 delle strutture e del personale […] dei servizi di informazione per la sicurezza, la qualifica di ufficiale o di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di prevenzione, può essere attribuita […] per non oltre un anno, dal Presidente del Consiglio dei ministri” (art. 23 della l. n. 124/2007). Ciò, con tutta evidenza, al fine di consentire l’attivazione degli ordinari strumenti di prevenzione, di norma estranei alle attività di intelligence. Ciò, a ben vedere, rappresenta ancora un caso di (seppur eccezionale) estensione del tradizionale ambito connesso alla prevenzione di pubblica sicurezza a favore del personale dei servizi di sicurezza, con tutte le perplessità del caso e le possibili difficoltà di coordinamento che possono ben immaginarsi. Tornando all’art. l7, c.2 della legge in commento, questo dispone che "la speciale causa di giustificazione di cui al c.1 non si applica se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l'incolumità di una o più persone". In tale caso, quindi, il bilanciamento degli interessi in gioco è effettuato a monte dalla legge, la quale prevede la prevalenza dell’interesse dei diritti umani fondamentali su quello della sicurezza dello stato. Si ricorda, ancora, che le condotte alle quali si applica la speciale causa di giustificazione devono presentare determinati requisiti ai sensi dell’art. 17, c. 6: “a) deve trattarsi di condotte poste in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali dei servizi di informazione per la sicurezza, in attuazione di un’operazione autorizzata e documentata … ; b) devono risultare come indispensabili e proporzionate al conseguimento degli obiettivi dell’operazione, non altrimenti perseguibili; c) devono essere frutto di una obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti; d) sono effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli interessi lesi”. Sotto il profilo procedurale, l’art. 18 prevede l’autorizzazione delle condotte previste dalla legge come reato, in presenza dei presupposti dell'art. 17 e nel rispetto dei limiti da essi stabiliti. Detta autorizzazione è di competenza del Premier o del Capo del servizio che però ne deve dare comunicazione al Premier nelle 24 ore successive. Nel caso le condotte autorizzate vengano in rilievo in un procedimento penale, (art. 19) il Direttore del servizio interessato oppone all’autorità giudiziaria l’esistenza della speciale causa di giustificazione. A sua volta, l’autorità giudiziaria propone interpello al Presidente del Consiglio, a conferma dell’esistenza della specifica autorizzazione, il quale si pronuncia entro dieci giorni. In caso di conferma, l’autorità giudiziaria pronuncia il non luogo a procedere o l’assoluzione dei soggetti incriminati, ferma restando la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale per il caso in cui il giudice sollevasse un conflitto di attribuzioni. La speciale causa di giustificazione, se opposta al momento dell’arresto dell’appartenente ai servizi, sospende il provvedimento e impone una tempestiva verifica. Non sembra invece applicabile agli agenti dei servizi la speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 9 della legge 146 del 2006 per gli agenti provocatori, ossia ufficiali ed agenti di p.g. che operano ad es. in tema di droga, prostituzione e terrorismo, a mente della quale i soggetti indicati sono autorizzato a compiere una serie di operazioni sotto copertura in sé costitutive di reato (es. acquistare o ricevere beni che 161 sono oggetto, prodotto,profitto, o mezzo per commettere il reato ) sottraendoli così alla pena per essi prevista. Residua, invece, come già accennato, la possibilità di applicare la scriminante dell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p., poiché, ex art. 55 c.p.p, è previsto l’obbligo a carico della polizia giudiziaria di impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori, di ricercarne gli autori e di compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova. Detta scriminante opera sulla condotta dell’agente di p.g. il quale, infiltrandosi in organizzazione criminale, ometta o ritardi di intervenire per impedire il compimento dell' altrui attività illecita al fine di condurre a termine l'investigazione in corso, mentre è da escludersi laddove l’agente partecipi attivamente alla commissione di un reato; nel qual caso egli risponderà del reato stesso a titolo di concorso. Quanto alla riforma, deve conclusivamente osservarsi che desta perplessità il coinvolgimento della Corte costituzionale in caso di controversie sull’ambito operativo delle garanzie funzionali; la previsione, in questo senso, delle medesime procedure previste in materia di conflitti sul segreto di Stato non sembra infatti garantire un controllo più ampio in relazione ai limiti di operatività delle citate autorizzazioni speciali (previsti per legge), rappresentando al contempo un’ulteriore esposizione politica del Giudice delle leggi. 4. Riforma del segreto di stato (cenni) La 1. 124/2007 ha anche modificato la disciplina del segreto di stato che, come noto, viene tutelato sia sul piano sostanziale che su quello processuale. Per il vero, la L.124/2007 è intervenuta solo sul piano della tutela processuale del segreto di stato, mentre la mancanza di coordinamento con le norme del codice penale lascia aperti alcuni problemi interpretativi. Il segreto di stato si sostanzia in “notizie, documenti, atti e attività che, per legge, devono rimanere segreti” e concerne sia la sfera di sicurezza dello stato (segreto militare), sia quella relativa all’interesse politico, interno o internazionale dello stato (segreto politico). Il Codice Rocco tutela il segreto di stato agli artt. 256-263 c.p., prevedendo singole ipotesi di reato che possono distinguersi nelle due categorie, di procacciamento delle notizie segrete (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello stato, spionaggio politico e militare, agevolazione colposa) e di divulgazione delle notizie segrete. Il nucleo centrale della disciplina è rappresentato dalla fattispecie di cui all’art. 261 c.p., che incrimina le condotte di rivelazione costituenti la maggior fonte di pericolo e di danno per il bene della sicurezza interna ed esterna dello stato e per gli altri interessi sostanziali dello stato medesimo (rivelazione di notizie segrete, rivelazione a scopo di spionaggio, rivelazione colposa di notizie segrete, ottenuta rivelazione del segreto). La modifica introdotta dalla L. 124/2007 ha invece inciso sugli articoli artt 202 e 204 c.p.p.. La L.124/2007 ha ridotto le sfere di segretezza in precedenza previste, eliminando quella attinente al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionalied ha nel contempo aumentato le materie che devono essere escluse dall’oggetto del segreto di stato - oltre ai fatti eversivi dell’ordine costituzionale, vi ha aggiunto, 162 appunto, i fatti di terrorismo, oltre a quelli costituenti i delitti di strage e di associazione di stampo mafioso-698. Quanto al primo, è rimasto invariato l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti coperti dal segreto di stato per pubblici ufficiali, pubblici impiegati, incaricati di un pubblico servizio; è stata invece modificata la procedura da seguire nel caso di opposizione del segreto di stato. Oggi, poi, vige l’obbligo di attivare la procedura di interpello in ogni caso, ed inoltre è interdetta al giudice qualsivoglia iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto del segreto: la conferma del segreto, infatti, sottrae al giudice non più la prova di cui il segreto stesso rappresenta l’oggetto, bensì la notizia segreta in quanto tale. Inoltre, il “non doversi procedere” impone un vaglio positivo di essenzialità, non più sulla prova incisa dal segreto, bensì sulla conoscenza di quanto coperto dal segreto medesimo. Pare, quindi, che il legislatore del abbia ritenuto opportuno imporre un divieto probatorio assoluto, introducendo un limite volto ad incidere non sulla prova, ma sull’oggetto della stessa. Tuttavia si segnala la difficile applicazione della normativa laddove il giudice è chiamato alla ponderazione di una notizia non conosciuta (perchè segreta) né conoscibile (perché con l’opposizione e la successiva conferma il segreto è destinato a rimanere tale). Inoltre le disposizioni dei commi 5 e 6 dell’art. 202 c.p.p. , introdotti ex novo, sembrano contraddirsi in quanto il comma quinto impone un divieto probatorio assoluto, mentre, nel contempo, il comma sesto sembra permettere all’autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi ed indipendenti dagli atti, documenti e cose coperti dal segreto. Interpretando il divieto come relativo, quindi, sembra potersi concludere che all’autorità giudiziaria non è preclusa ogni attività istruttoria o investigativa, ma solo quelle che siano volte ad aggirare l’ostacolo rappresentato dall'opposizione del segreto su una determinata prova, individuando così un criterio di bilanciamento tra esigenze di giustizia (della collettività e delle parti processuali) e ragion di stato. Quanto all’art. 204 c.p.p., si è già anticipato che sono state aggiunte nuove materie che non possono costituire oggetto di segreto, quali i fatti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista dalla 1.124/2007 per attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza. Si fa notare che non c’è una perfetta coincidenza tra le fattispecie di segreto di stato e la speciale causa di giustificazione. Quanto al resto, l’art. 204 mantiene la sua impostazione iniziale: se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal giudice e, qualora il giudice rigetti l’eccezione di segretezza, ritenendo il reato tra quelli che non possono essere oggetto del segreto di stato, ne da comunicazione al Presidente del Consiglio il quale, laddove ritenesse il rigetto dell’opposizione frutto dell’arbitrio del giudice, avrebbe la possibilità di attivarsi per impedire un’ingiustificata e pericolosa rivelazione del segreto di stato. Qualora l'autorità giudiziaria dubiti della legittimità della conferma del segreto espressa dal premier, essa può promuovere un conflitto di attribuzioni tra poteri dello 698 SALVI, interpretazione estensiva delle fattipecie, in G.dir, 2007, 40, 73, fa notare che il legislatore non ha menzionato il terrorismo internazionale. Nel silenzio dei lavori parlamentari si deve ritenere che rientri tra i fatti che non consentono l’apposizione del segreto. 163 stato avanti la Corte Costituzionale699, alla quale “in nessun caso, il segreto di stato è opponibile” Una procedura più contratta è prevista in caso di arresto in flagranza o di esecuzione di una misura cautelare nei confronti di un agente dei servizi che eccepisca personalmente la speciale causa di giustificazione. Specifiche disposizioni, che non prevedono un’autorizzazione al Presidente del consiglio, ma solo una comunicazione allo stesso, regolano l’attivazione di identità di copertura o di iniziative imprenditoriali simulate (artt. 24 e 25 della l. n. 124/2007). Attesa l’importanza rivestita dagli interessi in gioco, la legge di riforma sembra potenziare la funzione di controllo del Parlamento: lo stesso Presidente del consiglio deve informare il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR, ex COPACO) “circa le operazioni condotte dai servizi di informazione per la sicurezza nelle quali siano state poste in essere condotte previste dalla legge come reato, autorizzate ai sensi dell’articolo 18 della presente legge e dell’articolo 4 del decretolegge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155” (art. 33 della l. n. 124/2007). Tuttavia, la circostanza che tale informativa debba essere attuata entro trenta giorni dalla data di conclusione delle operazioni incide notevolmente sull’effettività del controllo in questione, relativo ad operazioni ormai già compiute. Del resto, in caso di riscontro di attività irregolari o illegittime da parte degli appartenenti ai servizi di sicurezza, le sanzioni saranno di natura essenzialmente politica, potendo il COPASIR solo informare il Presidente del Consiglio dei ministri e riferire ai Presidenti delle Camere delle illegittimità riscontrate (art. 34 della l. n. 124/2007). Nel complesso, sembra che la soluzione adottata dal legislatore rappresenti un buon punto di equilibrio tra i valori costituzionali in gioco. Ciò nonostante, alcune decisioni lasciano perplessi, come quella di limitare il controllo parlamentare ad una fase successiva al compimento delle attività sotto copertura. 5. Considerazioni conclusive sul modello italiano Come sommariamente tratteggiato, la finalità politica di contrasto al terrorismo in Italia si è tradotta in interventi legislativi ispirati alla logica del criminale-nemico. In particolare, la L. 144/2005 ha introdotto numerose modifiche di carattere sostanziale e processuale alla legislazione antiterroristica, approntando misure a tutto campo per la prevenzione e la repressione del fenomeno. Sotto il profilo dell’anticipazione della soglia di punibilità, si ricordano gli artt. 270 quater e quinquies c.p., a mente dei quali viene sanzionato l’arruolamento e l’addestramento ad attività di violenza o sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo (delineate dal successivo art. 270 sexies). In tali formulazione non basta il dolo specifico ad operare in funzione selettiva, poiché l’indeterminatezza del bene giuridico tutelato – ossia l’ordine democratico e la sicurezza pubblica mondiale – rappresenta l’aspetto peculiare della fattispecie. 699 SALVI, conflitti di attribuzione dietro l’angolo, in G.dir, 2007, 40, 70; SALVI, Alla consulta il ruolo di ultimo garante, in G.dir, 2007, 40, 84. 164 Alla stessa logica risponde l’introduzione, nel corpo dell’art. 414 c.p., dell’ipotesi aggravata di istigazione o apologia, laddove dette condotte riguardino delitti di terrorismo o crimini contro l’umanità. Sul versante processuale, emergono sempre più preponderanti i poteri della polizia giudiziaria e dei servizi segreti ex art. 226 disp. att. c.p.p., nonché in tema di misure di prevenzione personali e patrimoniali700. Anche i poteri di fermo ex art. 384 co. 3 c.p.p. sono stati ampliati per i delitti di cui all’art. 497 bis c.p.p. Era poi stato autorizzato il prelievo coattivo si saliva o capelli per facilitare l’identificazione degli indagati ex art. 354 co 3 c.p.p., possibilità poi soppressa dalla L. 30.6.2009, n. 85, probabilmente anche per al palese violazione della riserva di giurisdizione e di legge. Si citano anche le disposizioni premiali per gli stranieri che collaborino. Non è mancato chi ha letto, in tale tentativo, la funzione strumentale di catalizzare il consenso dell’opinione pubblica, a fini di legittimazione politica e di strategia elettorale. Complice la strumentalizzazione mediatica del fenomeno terroristico e criminale in genere, con l’avvertimento che la scarsa tassatività sistemica delle fattispecie introdotte porta come effetto la ineffettività delle stesse, e il conseguente mancato raggiungimento dei risultati auspicati701. In tale ottica, la norma introdotta dall’art. 270 sexies c.p. conferma la vocazione simbolica e di difesa sociale della legislazione emergenziale702. Vale solo la pena di accennare, in tale sede, che anche il settore della normativa sull’immigrazione rappresenta uno tra i più interessanti stilemi di legislazione emergenziale703. Ancora, per far fronte all’emergenza terroristica, si sono estesi i tradizionali sistemi di prevenzione anche in capo ai tradizionali servizi di informazione704. Non si vuole certo nascondere che le attività connesse alla sicurezza nazionale, ed in particolare quelle di intelligence, per loro stessa natura sfuggono alla trasparenza e alla pubblicità che caratterizzano l’attività dei pubblici poteri in un ordinamento democratico705. In via generale, potrebbe avvenire anche attraverso azioni formalmente illegali (ad es. una violazione di domicilio, un’intercettazione telefonica o una falsificazione documentale sottratte al vaglio dell’autorità giudiziaria), ma finalizzate alla raccolta di informazioni per la sicurezza nazionale e legittime alla luce del bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (tutela dei diritti-sicurezza nazionale). Il nocciolo del problema, in ogni caso, è essenzialmente quello delle c.d. garanzie funzionali da riconoscere agli appartenenti agli organismi di intelligence, per un efficace perseguimento delle loro 700 Si veda inoltre Dlgs 109/2007, che prevede il congelamento dei fondi per contrastare il finanziamento al terrorismo. 701 RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 204. 702 RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 206. 703 RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 214. cfr. FORLENZA, Per motivi di prevenzione del terrorismo scatta l’allontanamento dal territorio, in GDir, 2008, 3, pag. 24. Cfr anche la L. 125/2008, che rappresenta l’ennesimo provvedimento emergenziale di impronta repressiva e tendenzialmente in violazione di fondamentali garanzie individuali. 704 Pur essendo distinte le funzioni della polizia di sicurezza regolate dalla L. 121/1981 –tutela di o.p. e prevenzione di reati- e quelle dei servizi di informazione – raccolta e gestione di informazioni utili per difesa militare e sicurezza dello Stato-, disciplinate dalla L. 801/1977 e ora, da L. 124/2007 705 GIUPPONI., sicurezza personale, sicurezza collettiva e misure di prevenzione. La tutela dei diritti fondamentali e l’attività di intelligence, in www.forumcostituzionale.it 165 peculiari finalità di raccolta ed analisi di informazioni indispensabili a garantire la sicurezza nazionale706, ma con la chiara individuazione dei limiti di tali attività, al fine di evitare sacche di impunità esenti da ogni controllo. Tuttavia, le modalità seguite per positivizzare le istanze di giustificazione delle condotte “funzionali” non appaiono del tutto soddisfacenti, dal momento che sembrerebbe che si sia ovviato alla lacuna sulle garanzie funzionali con l’utilizzo del segreto di stato. Soprattutto, con riguardo alle disposizioni volte ad incidere sulla tutela del segreto di stato nel processo penale, le gravi disfunzioni del sistema previgente non sono state superate e le norme sono tali da lasciare incertezze in sede applicativa. In altre parole, il peso delle scelte operative sembra essere stato scaricato, ancora una volta, sulla magistratura chiamata ad applicare le norme in materia di cause di giustificazione. 706 Cfr. CORNELI, In monitoraggio puntuale delle minacce per contribuire alla difesa della democrazia, in GDir, 2007, 20, pag. 10. CORNELI, Una visione integrata dell’intelligence per i nuovi servizi disegnati dalla riforma, in GDir, 2008, 11, pag. 11. 166 CONCLUSIONI La necessità e l’emergenza, che caratterizzano le situazioni eccezionali, capovolgono il comune sentire. La prima è stata regolata dal legislatore di ogni tempo, e in ogni tempo ha presentato difficoltà di inquadramento, oscillandone la ratio tra oggettivo e soggettivo: con tale clausola ogni ordinamento penale pone un limite alla propria portata punitiva, per tenere conto di insopprimibili esigenze umane. Anche la seconda rappresenta una costante nella storia degli ordinamenti costituzionali, ed ispira in ogni tempo la legislazione speciale. Del resto, la rottura della tutela costituzionale dei diritti e delle libertà in nome della difesa della sicurezza dello Stato non rappresenta un fenomeno nuovo ma, anzi, ad essa possono ricondursi i moti del 1848, la Grande Guerra, l’avvento del fascismo ed ogni momento di crisi, di minaccia al sistema, al quale è poi conseguita la rottura del sistema costituzionale di diritti al fine di una pretesa tutela dell’ordine pubblico. È peraltro nota la tentazione dell’ordinamento di inglobare, nella regola, anche l’eccezione, e di teorizzare la necessità come fonte suprema dell’ordinamento707; tuttavia questo non è stato l’oggetto principale della presente indagine, che ha riguardato, invece, un aspetto peculiare del problema della necessità e dell’emergenza, ossia quello dei rapporti esistenti tra la queste e l’azione dei pubblici poteri sotto il profilo spiccatamente “penalistico”. La storia insegna che in tempi di crisi si è sovrastimato il bisogno di sicurezza e svalutato il valore della libertà e che, nel contempo, molto spesso l’emergenza connessa a pericoli esterni all’ordinamento giustifica restrizioni dei diritti che poi trovano asilo nella gestione ordinaria delle vicende interne.. Si osserva, quindi, che gli effetti di giustificazioni troppo estese di condotte illecite sono destinate ad avere effetto per lungo tempo, determinando un indebolimento dell’efficacia preventiva delle norme penali anche una volta finita l’emergenza, e che, similmente, l’introduzione di una previsione legislativa che autorizzi decisioni estreme finisce per normalizzare l’evento anziché prevenirlo. In ogni caso, sia la giustificazione operante a livello dei principi generali del codice penale, sia essa derivante da un sistema di leggi create ad hoc, la conseguenza e quella della deresponsabilizzazione dell’autore del fatto. E, concedendo a chi agisce di valicare i limiti della tutela dei diritti e delle garanzie, si determina un graduale passaggio dallo stato di diritto al diritto dello stato. In tale prospettiva il diritto, anziché limitare il potere in funzione delle garanzie individuali, ne diviene il braccio armato. Sotto il profilo penalistico, la chiave di volta è rappresentata dal passaggio dalla legislazione codicistica alla legge speciale, significativamente ispirata alla lotta contro la delinquenza, che si caratterizza per l’ampio avanzamento della soglia di punibilità e l’assenza di una riduzione di pena proporzionale all’anticipazione, e che è accompagnato alla riduzione delle garanzie processuali. In tale ottica viene in rilievo anche lo stesso processo penale come causa di giustificazione: le procedure penali ledono o mettono in pericolo, per loro natura, beni quali libertà di circolazione, diritto alla segretezza e alla privacy, libertà personale, salute fisica e psichica, con norme sui fermi, custodie cautelari, sequestri, intercettazioni, ispezioni ecc…, ma se sono 707 Invero, come detto, il problema sembra rientrare nella “competenza” dei costituzionalisti.. 167 codificate, per ciò stesso sono legittime (se conformi anche al superiore dettato costituzionale). Invero, la ricognizione dei differenti ordinamenti, senza pretesa di esaustività, ha mostrato che la nuova stagione della legislazione d’emergenza, innescata dopo l’undici settembre, è di ispirazione repressiva: sospensioni o forti restrizioni dei diritti degli stranieri si accompagnano alle deroghe dalle usuali regole processuali e dall’introduzione di misure di prevenzione. Infatti, anche negli stati più “fedeli” al loro impianto costituzionale, si registrano operazioni di intelligence al di fuori della legalità: di fatto, cioè, si lascia carta bianca ad attività di polizia al di fuori dalle garanzie imposte dagli ordinamenti legali. E più la paura del pericolo diventa forte, più si abbassa il livello effettivo di tutela dei diritti e delle libertà individuali. Si può quindi osservare che i fenomeni terroristici nascono sul terreno di una profonda caduta di legittimazione dell’ordinamento, che si rivela inefficace sul piano del controllo sociale, e, per contrastare detto fenomeno, sotto la spinta di una sollecitazione sicuritaria, il diritto si converte in ragion di stato, ammettendo deroghe ai principi cardine dello stato di diritto. Con riguardo all’ordinamento italiano, tra le misure adottate successivamente all’11 settembre si annoverano da un lato una serie di misure legislative che hanno accresciuto i poteri degli apparati investigativi e repressivi e che hanno condotto all’introduzione del reato di terrorismo internazionale, fattispecie ampia e ambigua; dall’altro sono ritornati i decreti emergenziali. Il comune denominatore tra diversi ordinamenti si coglie quindi nel fatto che, sia pur con strumenti diversi, ogni sistema giuridico è alla ricerca di un paradigma per una tranquillante risoluzione del conflitto tra legalità e sicurezza (tranquillante dal punto di vista della società molto più che da quello del giurista). In tale prospettiva occorre rivendicare allo studioso del diritto il ruolo di prefigurare le finalità di politica criminale al legislatore stesso, non limitandosi ad approntare gli strumenti concettuali e tecnici per il conseguimento di fini di politica legislativa individuati da altri, pena l’alienazione del giurista alla sfera decisionale. L’analisi comparatistica, disincantata e quanto più possibile scevra da emotività della legislazione degli Stati che sono ricorsi a “regole eccezionali”, è stata condotta anche con il fine di far fronte alla tentazione (sempre presente quando si tratta di pericoli che incombono sulla società) di erodere la sfera di operatività del diritto penale, invocando un rafforzamento speciale delle prerogative di altri poteri dello Stato (come l’esecutivo e la sua longa manus rappresentata dai servizi segreti). Con un’avvertenza ulteriore: evitare di mutuare risposte da ordinamenti di sensibilità giuridica molto diversa dalla nostra. Tali soluzioni, infatti, per quanto suggestive, finirebbero per stridere con i principi che permeano il nostro “DNA”: ad esempio, per quanto riguarda il nostro ordinamento, è fondamentale il rispetto della Costituzione, assai garantista rispetto a misure eccezionali, e incompatibile con normative tipo il Patriot Act americano. In ultima analisi, si vuole proporre un ulteriore modello di reazione all’emergenza. Atteso che le garanzie dei diritti non posso essere “vanificate” e devono rispettare “criteri di congruità”, lo stato d’emergenza all’interno di un sistema rappresenta uno shock per l’ordinamento giuridico, come un sasso lanciato in una rete elastica, lo 168 deforma, ma non lo sfonda. La rete tende ad assorbire il colpo e a riprendere la forma originale. Sono proprio i giudici a far reagire la rete. Ciò avviene in quanto ai giudici non spetta la valutazione sull’efficacia del mezzo adoperato, poiché come ha affermato Barak, “la Corte non deve prendere posizione sul problema di quali siano le misure di sicurezza efficaci nella lotta contro il terrorismo”708. Il giudice intervenendo a posteriori, pur facendo una valutazione ex ante, deve invece garantire che l’emergenza non sia la scusa per introdurre limitazioni eccessive, ingiustificate o discriminatorie ai diritti costituzionali. La rete delle argomentazioni giuridiche non deve subire lacerazioni in nome della necessità di provvedere, e deve riprendere il prima possibile la sua forma originale. Il c.d. Modello Barak si caratterizza, quindi, per il ruolo fondamentale dei giudici. A questi, infatti, viene attribuito il compito di protezione dei principi della democrazia; essi hanno l’obbligo di non far tacere in battaglia le leggi dello Stato democratico; il legislatore, dal canto suo, deve individuare lo strumento per attivare l’intervento giudiziario nelle petizioni di chi, cittadino o straniero, lamenti la violazione di un diritto; l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici nei confronti del governo e dell’apparato esecutivo; la tempistica dell’intervento giudiziario, considerata decisiva per impedire che un’azione ingiusta possa essere portata a compimento709. Tali sono le caratteristiche del modello la cui applicazione potrebbe salvare lo stato di diritto nell’emergenza. La fiducia pubblica negli organi dello stato è infatti vitale per la democrazia: “soltanto una democrazia forte, sicura e stabile può tutelare i diritti umani e soltanto una democrazia costruita sulle fondamenta dei diritti umani può avere sicurezza. Il corretto equilibrio tra libertà e sicurezza è dunque il risultato di una chiara posizione che riconosce sia la necessità della sicurezza, sia quella della protezione dei diritti umani …è un equilibrio razionale e delicato che è il prezzo della democrazia. È un prezzo molto alto ma val la pena di perseguirlo perché rafforza lo stato e fornisce un motivo alla sua lotta”710. In definitiva, attesa la peculiare conformazione del nostro ordinamento, si deve convenire sulla “necessità e insostituibilità dell’intervento del sistema penale e dei suoi attori istituzionali”711, nella particolare contingenza storica di contrasto all’emergenza terroristica. 708 BARAK, democrazia, terrorismo e corti di giustizia, in giur. Cost., 2002, 5, 3385; cfr. BEVERE, Il diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, cit., p.227, il quale encomia la magistratura che opera i necessari controlli sull’operato dell’esecutivo soprattutto in tema di immigrazione. 709 STELLA, I diritti fondamentali nei periodi di crisi, di guerra e di terrorismo: il modello Barak, in RIDPP, 2005, 3, 398 710 BARAK, democrazia, terrorismo e corti di giustizia, in giur. Cost., 2002, 5, 3385. 711 VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in RIDPP, 2006, fasc. 2, p. 648. 169 170 BIBLIOGRAFIA AA.VV.I giorni di Moro, in Atlante de la Repubblica, Roma, 2008. ACKERMAN B., The emergency constitution, Yale L.J., vol. 113, p. 1053. ACKERMAN, La costituzione d’emergenza ,Roma, 2005 ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, (a cura di Conti) Milano, 2003. 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Cenni……………......……28 Casi tipici e ipotesi problematiche…………………………………………..32 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri………………………………42 7.1 Il caso Sossi…………………………………………………………….42 7.2 Il caso Dozier………………………………………………………......43 7.3 Caso Moro……………………………………………………….……..44 7.4 Caso Abu Omar………………………………………………………...45 7.5 La risposta nell’ordinamento italiano………………………………….46 Tra logica oggettiva e soggettiva: conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra impostazione…...14 CAPITOLO SECONDO Profili comparatistici in tema di stato di necessità 1 2 Le norme del codice penale tedesco…………………………………………...49 1.1 Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali giustificante e scusante………………………………………………………...49 1.2 Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand…......53 1.3 Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende Notstand………...59 1.4 Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni pratiche………….…66 1.5 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri………………………70 1.6 Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904 BGB…….…73 Lo stato di necessità in altri ordinamenti……………………………………75 2.1 In Austria e Svizzera………………………………………………...75 2.2 In Norvegia………………………………………………………….…76 2.3 In Spagna………………………………………………………………76 2.4 In Portogallo……………………………………………………………77 177 2.5 In Francia………………………………………………………………78 2.6 In Gran Bretagna e negli Stati Uniti………………………………...…79 2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale……………...…80 CAPITOLO TERZO Stato di necessità e tutela della collettività 1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee………………………………………..85 1.1 Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività………………....87 1.2 Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo attuale?... 89 1.3 La gravità del male minacciato……………………………...91 2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”?........................92 2.1 La necessità legittima la tortura?.................................................92 2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della Corte Europea……………………………………………………………...96 2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento………...103 2.4 Lo scenario italiano…………………………………………...106 2.5 Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo. Prime conclusioni in tema di tortura…...108 3 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition………………110 4 Segue: la tutela della legalità in quanto tale………………………..112 5 Conclusioni………………………………………………………...113 NECESSITÀ ED EMERGENZA TERRORISTICA: DALLA NORMA GENERALE ALLA LEGISLAZIONE SPECIALE CAPITOLO QUARTO Profili di diritto comparato 1 2 3 4 178 Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale………………..115 Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione…………………...117 2.1 Considerazioni………………………………………………………..123 Il modello britannico di gestione delle emergenze…………………………...123 Cenni ai modelli di altri ordinamenti ………………………………………...126 4.1 Modello francese……………………………………………………...127 4.2 Il modello irlandese…………………………………………………...128 4.3 Il modello spagnolo…………………………………………………...128 5 6 4.4 Cenni ad altri ordinamenti……………………………………………129 Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze…130 5.1 Il doppio binario……………………………………………………133 5.2 I Patriot Act e la legislazione d’emergenza………………………...135 5.3 Gli strumenti investigativi………………………………………….135 5.4 Le deroghe all’habeas corpus………………………………………….137 5.5 La normalizzazione dell’emergenza…………………………….138 5.6 Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema……………………....139 5.7 Considerazioni……………………………………………………………..142 La risposta dell’Unione europea all’11 settembre……………………………144 CAPITOLO QUINTO Focus sull’ordinamento italiano 1. 2. 3. 4. 5. Cenni al modello costituzionale italiano……………………………………149 La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni)……………………152 Riforma dei servizi segreti (cenni)…………………………………………….159 Riforma del segreto di stato (cenni)…………………………………………...162 Considerazioni conclusive sul modello italiano………………………….164 CONCLUSIONI…………………………………………………………………………167 BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………...171 179