TESI di DOTTORATO
Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
Dipartimento di diritto pubblico, internazionale e comuitario
SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN : GIURISPRUDENZA
INDIRIZZO: DIRITTO PENALE COMPARATO
CICLO: XXI
NECESSITÀ, EMERGENZA E PUBBLICI POTERI: PROFILI PENALISTICI
Direttore della Scuola : Ch.mo Prof. ROBERTO KOSTORIS
Supervisore :Ch.mo Prof. ENRICO M. AMBROSETTI
Dottoranda : LUISA FANTINATO
INTRODUZIONE
“Il coraggio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare”. Nelle parole di Don
Abbondio si compendia la tensione psicologica dell’uomo quando la sua volontà viene
coartata da circostanze che appaiono non dominabili ed egli è indotto a compiere azioni
che, in condizioni normali, non compirebbe.
Ora, ancorché necessitate, le scelte che l’essere umano quotidianamente affronta,
quando le collisioni tra i valori in gioco coinvolgono postulati della sola sfera della
coscienza, interessano filosofi e sociologi, ma lasciano indifferenti gli studiosi del
diritto, prescindendo la composizione di tali crisi1 dal dato giuridico.
Ancora, se accade che un dovere di natura giuridica imponga comportamenti
difformi dalle convinzioni etiche del soggetto chiamato ad agire, allora la scelta si gioca
tra una norma giuridica ed una norma etica2. Nondimeno, però, anche tali casi il
conflitto viene lasciato in ambito pregiuridico: gli ambiti di operatività delle due norme
impositive del dovere (la “legge del cuore” e il diritto positivo) non sono coincidenti, e
pertanto residua un margine di scelta apprezzabile all’agente almeno dal punto di vista
giuridico, (ossia se incorrere o meno nelle conseguenze previste dalla legge).
Vi sono infine tipi di conflitti affatto peculiari, che si verificano allorquando sono
proprio due norme giuridiche a prescrivere allo stesso soggetto comportamenti diversi e
inconciliabili: sono questi casi di vivo interesse per i giuristi, dal momento che la
decisione coinvolge beni giuridicamente tutelati la cui salvaguardia contemporanea non
è però possibile.
Le situazioni ipotizzabili sono innumerevoli e tra le più disparate: basta pensare a
chi, per sfuggire agli inseguitori, si introduce in casa altrui; al naufrago che tramortisce
il compagno di sventura perché la tavola cui sono entrambi aggrappati può sopportare il
peso di un solo uomo; al medico che deve scegliere a quale tra i due pazienti in fin di
vita attaccare l’unico respiratore disponibile …
Non è agevole raggruppare tali esempi, che per lo più rappresentano casi di scuola,
in una categoria unitaria, ma se ne può individuare un comune denominatore: ossia la
costrizione a commettere un reato3, allorché la lesione del diritto di un terzo innocente
rappresenta l’unica via di scampo da un pericolo incombente. Si versa quindi in stato di
necessità.
I profili penalistici in tema di stato di necessità destano particolare interesse.
Quanto alla lettura del conflitto, per una prima posizione è considerata sempre e
comunque lecita una condotta che, pur ledendo un diritto altrui, sia espressione
dell’incoercibile istinto di conservazione, perché la legge non può pretendere che
l’uomo rinneghi se stesso a vantaggio di altri. Tuttavia, a questa si replica che se i casi
di non punibilità di un fatto costituente reato non fossero preventivamente stabiliti dal
legislatore, allora tale fondamentale decisione sarebbe rimessa alla mera discrezionalità
del giudice del caso concreto.
Nel silenzio della legge sui casi di non punibilità, si potrebbe, viceversa, pensare
1
Come noto, la parola “crisi” deriva dal greco krisis, che significa, appunto, “decisione”.
Significativo a questo proposito è il dilemma di Antigone che si muove tra il dovere morale di dare
rispettosa sepoltura al fratello Polinice e il divieto, legislativamente espresso dal re Creonte, di procedere
alle esequie.
3
Negli esempi riportati potranno essere la violazione di domicilio e l’omicidio.
2
1
che, se un’azione è espressamente vietata dalla legge (ad es. l’omicidio), il singolo sia
sempre e comunque chiamato a conformarsi alla norma, anche a costo di sacrificare un
proprio diritto (ad es. il naufrago dovrà rinunciare a salvare la sua vita se l’unico modo
per farlo è togliere la vita al compagno). Tuttavia, a ciò si obietta che se lo Stato
sanzionasse chi tra gli interessi in gioco ha scelto di tutelare il proprio, definirebbe
implicitamente la prevalenza dell’interesse altrui, in contrasto col principio
fondamentale che vuole i diritti di tutti sullo stesso piano, tutelati per tutti allo stesso
modo.
Ciò premesso, emerge prepotentemente la necessità di una previsione legislativa
per i casi di conflitto tra due interessi meritevoli di tutela giuridica quando non sia
possibile rispettarli entrambi ed invero non si trova ordinamento che abbia tralasciato di
regolare lo stato di necessità, a riprova del fatto che si ha a che fare con un principio
generale di giustizia incidente in situazioni umane universali4. In effetti, per secoli i
giuristi si sono confrontati su tale argomento, che viene unanimemente considerato il
banco di prova delle teorie del reato, ed in particolare di quelle che mirano ad enucleare
la categoria delle giustificanti contrapposta e complementare a quella delle scusanti5.
La prima parte del lavoro è quindi dedicata allo studio della normativa disposta
dal codice penale italiano. Nella convinzione della opportunità di un’analisi
comparatistica, si è poi scelto di dedicare particolare attenzione alla normativa
4
È incontestabile, in proposito, l’affermazione che il problema della necessità abbia un fondamento
pregiuridico, che si radica nel DNA di ogni individuo, e che nei momenti estremi non si può imporre
l’eroismo. Sempre più spesso, infatti, viene fatto notare che restare ancorati ai principi serve “solo se si
resta vivi” (PANEBIANCO Angelo, in Corriere della Sera, 13.8.2006, 15.8.2006, 3.9.2006)
5
Fin dalle pagine introduttive della presente ricerca, appare d’obbligo una precisazione: nei manuali l’uso
di termini quali ‘scriminante’, ‘esimente’, ‘giustificante’ tendenzialmente non è rigoroso, poiché ciascun
autore lega le parole ai concetti in modo discrezionale. Siffatta tendenza può ricondursi al fatto che il
nostro codice penale non opera alcuna distinzione tra le cause di non punibilità, riconducendole tutte alla
non meglio specificata categoria delle circostanze che escludono la pena, distinguendo solo tra cause di
estinzione del reato o della pena. Inoltre, nel nostro ordinamento si deve riscontrare una generale prassi
giurisprudenziale tesa a rifiutare le qualificazioni dogmatiche legali. Appare pertanto opportuno
procedere a una definizione convenzionale dei termini con cui, d’ora in poi, verranno designate le cause
di non punibilità in base alla loro diversa funzione. Ciò premesso, si sceglie quindi di denominare
‘giustificanti’ quelle cause di non punibilità che rappresentano un momento di elisione dell’antigiuridicità
del fatto tipico. ‘Scusanti’ quelle che escludono la possibilità di muovere un rimprovero personale
all’agente, che pure ha posto in essere un fatto penalmente tipico, incidendo nel momento di valutazione
della colpevolezza. ‘Esimenti’ quelle cause che, pur in presenza di un fatto costituente reato anche sotto il
profilo della colpevolezza, statuiscono che, per ragioni di opportunità, non venga irrogata la pena
prevista. Il termine ‘scriminanti’, quindi, verrà adoperato per indicare l’insieme delle cause di non
punibilità, indipendentemente dal loro fondamento, ed anche per indicare quella particolare categoria di
cause di non punibilità che sta tra giustificanti e scusanti nella originale ricostruzione prospettata da
MEZZETTI.
In proposito, è appena il caso di formulare un rapidissimo cenno alla dottrina tedesca che ha, forse con
scarsi rilievi pratici, complicato il campo di analisi affiancando alle cause scusanti
(Entschuldigungsgrunde), le c.d. cause di esclusione della colpevolezza (Schuldausschließungsgrunde), e
precisandone il differente fondamento: per le prime l’ha rinvenuto nel principio di inesigibilità o lo ha
fatto riposare nell’area della ‘responsabilità per il fatto’; per le seconde nella mancanza di dolo o colpa.
La distinzione, che nel passato ha riscosso notevoli successi, sembra oggi entrata in crisi e, per quanto
non possa dirsi inesatta, la sua rilevanza pratica non è tale da giustificare una duplicazione di categorie;
pertanto, nel presente lavoro, si è scelto di utilizzare come sinonimi i termini ‘scusante’ e ‘cause di
esclusione della colpevolezza’.
2
predisposta dal codice tedesco6, mentre si fa solo un cenno ad altri ordinamenti.
Date siffatte premesse, si è poi constatato che il problema della necessità è venuto
assumendo, negli ultimi tempi, particolari connotati che destano nuova curiosità e
solleticano lo spirito speculativo dello studioso del diritto.
Sono noti a tutti i fatti dell’11 settembre 2001, e l’attacco kamikaze alle Torri
Gemelle, ed è altresì di dominio comune il dibattito che ne è sorto all’indomani, anche
in seguito alla dichiarazione di “guerra globale al terrore”7. Nella particolare
contingenza storica che sta vivendo la società odierna, è alta l’allerta mondiale contro il
terrorismo di matrice islamica8: dalle pagine dei quotidiani o dai servizi televisivi, si
apprendono spesso notizie di nuovi attacchi kamikaze, non solo nelle zone calde del
vicino oriente, ma nei luoghi più diversificati. Basti ricordare i vili attacchi di matrice
terroristica si sono verificati l’11 marzo 2004 alla stazione dei treni di Madrid e il 7
luglio 2005 nella metropolitana di Londra: è innegabile, quindi, che il problema
riguarda l’intera società globale.
La minaccia terroristica pone agli Stati dilemmi etici e giuridici, e allora occorre
chiedersi se la norma sullo stato di necessità, attesi i principi generali del codice penale,
offra strumenti adeguati per affrontare la necessaria lotta al terrorismo, consentendo di
giustificare, attesa l’importanza del fine, le condotte che integrano la commissione di
reati asseritamene compiute da organi pubblici in nome della sicurezza collettiva (in
tema di violazione della riservatezza, dalle restrizioni della libertà di movimento fino
all’ipotesi di ricorso alla tortura).
Nello specifico, per quanto concerne il nostro ordinamento, a fronte della recente
emergenza terroristica, si sono levate voci, anche dall’opinione pubblica, favorevoli
all’individuazione di una “zona grigia” di sospensione della legalità, per la tutela della
sicurezza del Paese, a tutto svantaggio dei membri delle organizzazioni terroristiche.
Occorre quindi indagare se il pericolo, a tutti tristemente noto, sotto il profilo
giuridico, presenti i connotati dell’attualità, se da esso derivi una minaccia che può
definirsi grave e altrimenti inevitabile, se tale minaccia rilevi in quanto rivolta non ad
una persona, ma ad un’intera società, e, infine, fin dove possa ritenersi proporzionato il
rapporto tra minaccia e difesa.
Ai fini di una migliore individuazione del problema, è necessario un riferimento ai
casi del passato, sia a quelli avvenuti nel nostro Paese (caso Dozier, caso Sossi, per
citarne solo alcuni), sia negli ordinamenti stranieri (caso Lorenz e caso Schleyer in
Germania). L’analisi è ricca di risvolti pratici di viva attualità, e, come accennato,
emerge con prepotenza la questione della tortura, se sia ammissibile o meno un
“mandato di tortura” per estorcere confessioni a presunti terroristi; e, in quest’ambito,
si impone anche una valutazione (giuridica) delle c.d. extraordinary rendition. Resta poi
6
Comune è infatti il retroterra di cultura giuridica in cui si è sviluppato il diritto penale, affini sono i
percorsi battuti dalla dottrina, ma differenti ne sono stati gli esiti, forse in ragione delle ferventi riflessioni
d’oltralpe che hanno ad oggetto la teoria tripartita del reato e la natura delle cause di non punibilità.
7
GEORGE W. BUSH, estratto dal discorso tenuto il 20 settembre 2001, www.whitehouse.gov., chiama a
raccolta tutti i paesi liberi, nella lotta al terrorismo: “This is not, however, just America's fight. And what
is at stake is not just America's freedom. This is the world's fight. This is civilization's fight. This is the
fight of all who believe in progress and pluralism, tolerance and freedom”.
8
Il “nemico”, nel presente contesto storico, è individuato nel terrorismo di matrice islamica, fortemente
connotato in termini religiosi; ma le considerazioni che seguiranno si attagliano, in realtà, a qualsiasi
movimento che rappresenti una minaccia per la sicurezza pubblica.
3
ancora aperta, forse più modestamente, la questione se il bilanciamento tra sicurezza e
libertà possa giustificare, e in che misura, controlli sulle comunicazioni, restrizioni dei
movimenti delle persone, perquisizioni di abitazioni, impiego della forza pubblica,
fermo delle persone sospette.
Ovvero, nel contempo, se si possa giustificare un’insolita benevolenza premiale
nei confronti di chi richieda la concessione di alcuni benefici al fine di far cessare la
minaccia al bene protetto.
In altre parole, da un lato consta il rispetto assoluto del principio di legalità,
caposaldo dell’ordinamento penale, unitamente alle garanzie individuali dell’imputato;
dall’altro, la necessità di preservare la pubblica incolumità dal pericolo dell’emergenza
terroristica.
Occorre quindi chiedersi quali mezzi, anche eccezionali (commissione di reati),
siano giustificati dall’importanza del fine. A ben vedere, l’approccio alla lotta al
terrorismo si può atteggiare da un lato invocando la norma sullo stato di necessità allo
scopo di un’inquisitoria compressione dei diritti fondamentali dell’individuo (terrorista)
per perseguire lo scopo di tutela del bene collettivo minacciato (sicurezza e incolumità
pubblica). E, dall’altro, la medesima norma può venire invocata con lo scopo opposto di
potenziamento dei diritti del singolo, come in occasione della concessione di benefici
altrimenti non conferibili (ad esempio con una procurata evasione), volto all’identico
fine di tutela del bene minacciato.
Nel primo caso col rischio di compromettere il sistema delle garanzie di libertà
personale nei confronti dello stato, nel secondo con quello di creare un’eccessiva
larghezza delle maglie del sistema di controllo, con conseguente indebolimento dello
Stato.
Sotto il profilo comparatistico, è interessante rilevare che le risposte a tali
emergenze sono state molto diverse, in passato e ancora oggi, tra Germania e in Italia,
nonostante la sostanziale affinità culturale dei predetti ordinamenti.
Lo stato di necessità nell’ordinamento d’oltralpe, come si vedrà, è da considerarsi
norma attributiva di un potere eccezionale di risposta ‘flessibile’ a situazioni di
emergenza, senza che la rottura della legalità debba per questo considerarsi l’oggetto di
uno specifico dovere a carico degli organi statali. Esso è considerato una norma
giustificante, e non crea alcun empasse nel sistema penale.
Di contro, nell’ordinamento italiano, si è ritenuto in passato che i concetti di Stato
di diritto e Stato democratico postulassero che anche la lotta contro il terrorismo fosse
fatta con le armi della legalità e che proprio per l’uso di tali armi lo Stato si ponesse in
antitesi con il suo nemico, in modo che alla barbarie venisse contrapposta la civiltà.
Nel corso del presente lavoro, è risultato quindi evidente il ruolo primario del
diritto penale nella lotta al terrorismo e, nella dialettica del ragionamento, è emerso che
la necessità, in un primo tempo integrata nella disciplina codicistica, è divenuta non
solo ispiratrice, ma prepotente sovrana nella legislazione emergenziale: in altre parole,
in nome della necessità è stata approntata una normativa speciale, che si è ritenuta
meritevole di un cenno, in ottica comparatistica, senza alcuna pretesa di esaustività.
Come noto, peraltro, anche lo stato italiano, nel sostanziale rispetto dei principi
generali dell’ordinamento, ha rafforzato una serie di norme volte al contenimento del
pericolo, ad esempio modificando la disciplina dei reati di terrorismo, quella relativa ai
servizi segreti, e, in ossequio alle linee guida del Consiglio d’Europa, ha disciplinato
4
alcune misure di prevenzione (sequestro dei beni).
Nel panorama internazionale si sono quindi individuati sostanzialmente quattro
modelli di risposta all’emergenza (terroristica), quattro paradigmi emersi negli
ordinamenti che si sono trovati ad agire in casi di estrema necessità9: vi sono Stati,
come la Gran Bretagna, per i quali si è adottata una specifica martial law, e si è data
copertura costituzionale (postuma) ad alcuni atti altrimenti illegittimi; negli Stati Uniti,
come noto, similmente si parla di martial law, ma questa si realizza nell’aperta
previsione di generale possibilità di deroga (preventiva) ai diritti costituzionalmente
garantiti. Entrambi gli ordinamenti si connotano, sostanzialmente, per il conferimento di
poteri speciali all’esecutivo.
In altri ordinamenti europei, quale ad esempio la Spagna, si sono disciplinati
singolari “stati di eccezione”, con deroghe puntuali e limitate sospensioni dei diritti
costituzionali. Come si vedrà, inoltre, il legislatore tedesco, sulla scia emozionale degli
attacchi alle Torri Gemelle, aveva approntato una legge atta a permettere l’abbattimento
di velivoli civili nel caso venissero a costituire una minaccia per la collettività: ma tale
legge è stata irrimediabilmente censurata dalla Corte Costituzionale.
Da ultimo, in altri ordinamenti, il legislatore non ha dettato alcuna disciplina
generale per la gestione dei casi di necessità e, pertanto, l’eventuale giustificazione di
atti costituenti reato deve essere ritenuta dalla magistratura chiamata a gestire forme e
modalità dello stato di eccezione.
A ben vedere, quindi, rientra nel fuoco del presente lavoro non solo il ruolo dello
stato di necessità quale norma penalistica idonea (o meno) a dare copertura a puntuali
rotture della legalità, ma, più in generale, il ruolo dell’intero diritto penale, quale
strumento idoneo (o meno) alla lotta all’emergenza terroristica.
9
Si veda cap.IV del presente lavoro.
5
6
LA NECESSITA’
NELLA PARTE GENERALE DEL CODICE PENALE
CAPITOLO PRIMO
Evoluzione delle teorie dello stato di necessità –panorama italiano
1 L’evoluzione dello stato di necessità .................................................................... 7
2 Le formulazioni della norma nei codici preunitari e nel codice Zanardelli ........ 11
3 Tra logica oggettiva e soggettiva: conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra
impostazione ............................................................................................................... 14
4 La formulazione del codice Rocco: l’art. 54 c.p................................................. 21
5 Le altre ipotesi di ‘necessità’ regolate dal codice. Cenni ................................... 28
6 Casi tipici e ipotesi problematiche...................................................................... 32
7 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri .................................................... 42
7.1
Il caso Sossi ................................................................................................ 42
7.2
Il caso Dozier .............................................................................................. 43
7.3
Caso Moro .................................................................................................. 44
7.4
Caso Abu Omar .......................................................................................... 45
7.5
La risposta nell’ordinamento italiano ......................................................... 46
In questi primi capitoli si vuole sommariamente tratteggiare la storia della
evoluzione delle teorie sullo stato di necessità, con fine puramente descrittivo, senza
pretesa di definizioni dogmatiche. Da una rapida panoramica dell’evoluzione filosoficogiuridica dell’istituto, infatti, risulta evidente che le situazioni di necessità vennero
tenute in conto dagli ordinamenti di ogni tempo, ma in ogni tempo presentarono
difficoltà di inquadramento, cosicché i diversi legislatori si astennero dal precisarne la
ratio, oscillante tra oggettivo e soggettivo10.
1 L’evoluzione dello stato di necessità
Non si ritrova nel diritto antico e nell’intermedio una teorica dello stato di
necessità nel senso in cui viene concepito oggi11, ma alcune delle fattispecie considerate
dalle fonti romanistiche possono essere ricondotte al paradigma dello stato di necessità,
senza che, però, sia possibile evincerne una ratio unitaria12. Nelle fonti romane, - dove
10
Nonostante l’apparente chiarezza dei connotati, l’art. 54 c.p. suscita da sempre accesi dibattiti con
riguardo al suo fondamento dogmatico: per alcuni la norma in esame costituisce una causa soggettiva di
esclusione della colpevolezza, che si fonda sull’impossibilità di muovere un rimprovero penale a fronte
dell’inesigibilità di un comportamento conforme alla norma; altri, invece, insistono sull’efficacia
oggettivo-giustificante della norma, in applicazione del principio del bilanciamento di interessi. Tali
concetti verranno ripresi e argomentati oltre.
11
MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1920, pag. 277: pare che nel diritto romano il
soggetto non commettesse reato se, non potendo tutelare i suoi diritti senza sacrificare quelli degli altri,
ledeva un diritto meno o egualmente importante di quello in pericolo. Le suddette fattispecie, quindi,
sembrano affrontate facendo ricorso al principio del bilanciamento degli interessi in gioco.
12
VIGANÒ, Stato di necessità e conflitti di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e
delle scusanti, Milano, 2000, pag. 36 e ss: Più volte nel Digesto (D. 9, 2, 49, 1; D. 43, 24, 7, 4, Ulp. 71 ad
7
lo studio delle questioni procede con metodo casistico più che per concettualizzazioni
dogmatiche -, non si rinviene, quindi, una norma generale, ma si disciplinano nel
dettaglio le fattispecie, nelle quali è possibile riconoscere il minimo comune
denominatore nell’esistenza di un pericolo a cui è permesso sottrarsi compiendo azioni
che, altrimenti, sarebbero punite.
Nel diritto intermedio l’efficacia esimente della necessità venne riconosciuta
soprattutto con riguardo al furto13; tuttavia, rimane nebuloso il fondamento giuridico di
siffatte previsioni tanto che sembra di potervi ravvisare forme arcaiche di limiti al diritto
di proprietà più che manifestazioni dello stato di necessità.
Il principio ‘necessitas legem non habet’, invece, è di matrice canonistica: nei
testi sacri un duplice riferimento induce ad affermare che la necessità renda lecito ciò
che la legge dichiara illecito, con particolare riguardo ai contrasti tra il diritto alla vita e
la proprietà14. Viene quindi affermandosi, per questa via, la liceità del furto per fame.
Nel contempo, manca ancora il riconoscimento di una generale efficacia esimente della
necessità in ipotesi diverse dal furto per fame: per le trasgressioni “necessitate” di altro
tipo, infatti, sono solamente previste sanzioni meno gravi, provandosi compassione per
l’humana fragilitas, senza però rinunciare al rimprovero15.
Quanto ai pratici tra il medioevo e l’età moderna, possono dirsi notevolmente
influenzati dalla citata dottrina canonistica16; tuttavia la ragione giustificatrice di siffatte
previsioni è ancora indeterminata tra considerazioni oggettive di scelta del male minore
e criteri soggettivi ispirati alla comprensione per l’umana fragilità. Vale a dire che è
assente una chiara enucleazione del criterio ispiratore, la cui ricerca darà origine a
discussioni filosofiche nei secoli successivi e fino ai giorni nostri.
ed; D. 47, 9, 3, 7, Ulp. 56 ad ed) ricorre la fattispecie di abbattimento dell’edificio in fiamme da parte del
proprietario dell’edificio vicino che teme il propagarsi dell’incendio al fabbricato di sua proprietà,
chiarendo in proposito la non esperibilità dell’azione aquiliana, argomentata o per la mancanza di dolus
malus o per il riconoscimento della forza cogente del iustus metus originata dalla situazione. Ancora è
prevista la possibilità di tagliare le funi dell’ancora della nave altrui impigliatesi con l’ancora della
propria nave; ovvero si esclude la punibilità dell’accusato di un delitto sanzionato con pena capitale, se
corrompe il delatore per salvare la propria vita; è permesso a genitori liberi vendere come schiavi i propri
figli, in deroga alle costituzioni imperiali, se in condizioni di indigenza. L’Autore rinviene il fondamento
di tali esenzioni nel riconoscimento dell’influenza, sulla volontà dell’agente, di un pericolo incombente;
tuttavia ammette che in altri passi il fondamento dell’esenzione debba invece rinvenirsi nella ripartizione
contrattuale dei danni subiti in situazioni eccezionali, com’è ad esempio per il getto delle merci in acqua
finalizzato ad evitare l’affondamento della nave, coperto dall’accettazione contrattuale del rischio
connesso alla navigazione.
13
Era permesso al viandante tagliare legna sul fondo altrui per scaldarsi, farvi pascolare il cavallo o
raccogliere una modica quantità di frutta per sfamarsi.
14
Sempre VIGANÒ, Stato, cit., pag. 38. I passi determinanti sono quelli del Deuteronomio in cui si
consente al viandante di mangiare uva senza farne provvista e di cogliere spighe senza usare la falce, e
quelli dei Vangeli in cui si narra che il Maestro e i discepoli, passando un sabato tra le messi, avendo
fame ne colsero, suscitando scandalo non certo perché avessero commesso furto, ma perché così facendo
avevano violato l’obbligo del riposo settimanale; si segnala poi che, in alcuni testi, viene invocata la
necessità a giustificare il reato di suicidio, se commesso per preservare la castità.
15
Si ritiene di sanzionare le azioni necessitate, anche se solamente con penitenze e digiuni, perché si
ritiene che chi agisce costretto dal timore del pericolo incombente sceglie pur sempre liberamente di
compiere un male per sottrarsi ad un altro male.
16
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 40 e ss, ricorda i nomi di Bartolo e Bonifacio, che ritennero conforme a
giustizia sia umana che divina consentire all’uomo affamato di appropriarsi di alimenti altrui; l’Autore
trova tracce di evidente influenza della dottrina canonistica nella Constitutio Criminalis Carolina del
1533, laddove si prevede la non punibilità del furto di alimenti commesso per salvare sé, la moglie e i
figli dalla morte per inedia.
8
Tocca, quindi, ai giusnaturalisti del Seicento approcciare il problema della
necessità e recuperare la sua dimensione unitaria17, postulando il diritto naturale di usare
in gravissima necessitate delle cose altrui tamquam si communes mansisset, sul
presupposto che per effetto della situazione di necessità le cose ridivengono comuni. In
tale prospettiva si assume la necessità come il limite razionale del diritto di proprietà e
di ogni norma derivante dalla costituzione della società civile, anche laddove le leggi
non lo dicano espressamente; la necessità, in altre parole, si concretizza come un dato
pregiuridico alla cui presenza la legge cede il passo, ritirandosi.
La dottrina giusnaturalistica postgroziana, più sensibile alle istanze di una
società mercantile saldamente ancorata alla proprietà e agli altri diritti positivi, si
muove, invece, verso criteri “soggettivi”, più consoni a garantire il diritto di proprietà,
affermando che non è la necessità a porsi al di fuori della legge, ma è la legge stessa a
ricondurla nel proprio alveo, così da trattare con benevolenza chi in situazioni
eccezionali si pone contro l’ordinamento.
Tali riflessioni, ancorché distanti dal fornire una compiuta teorica penalistica
sullo stato di necessità, forniscono comunque una solida base per le riflessioni di
Pufendorf, il quale elabora una autentica teoria dello stato di necessità nel quadro della
nascente parte generale del codice penale, riconducendo le molteplici ipotesi ad unità
nella dottrina dell’imputazione del fatto al suo autore18. Questa dottrina si incentra sul
concetto aristotelico di azione volontaria, che trova la sua causa nella volontà
dell’uomo, e ne presuppone la libertà e la previa conoscenza delle circostanze in cui
agisce. Solo l’atto volontario può venire imputato all’uomo, solo dell’atto volontario
l’uomo può essere chiamato a rispondere. Tra le cause che tolgono al soggetto la
possibilità di agire diversamente19 viene ricompreso, appunto, lo stato di necessità.
Tuttavia le azioni considerate partecipano di una natura mista: da un lato volontaria,
essendo il soggetto a scegliere di commettere un male per evitarne un altro, dall’altro
involontaria, avendo il soggetto scelto altrimenti se avesse potuto sottrarsi al male in
altro modo. Inoltre, vale precisare che nel sistema così delineato difettano regole precise
per l’imputazione di dette escludenti, potendo talvolta evitarsi l’imputazione, talaltra
ammettersi biasimo, o ancora pietosa tolleranza per la condotta. Così anche per lo stato
di necessità: quando si versa in situazioni in cui il soggetto, ineludibilmente costretto al
reato, manca di spontaneità e libertà nell’azione, di questa non può venirgli fatto
carico20.
17
GROZIO, De iure belli ac pacis, 1758, l. II, c. II. § VI, 1 ss, pag. 96, prende le mosse da un’impostazione
inequivocabilmente ‘oggettiva’, anche se di matrice filosofica più che giuridica, postulando l’esistenza di
un vero e proprio diritto di servirsi delle cose altrui in gravissima necessitate.
18
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 43, Questa dottrina venne recepita a chiare lettere dalle prime codificazioni
settecentesche: il Codex Iuris Bavarici Criminalis del 1751, la Constitutio Criminalis Theresiana del
1768, la Constitutio Josephina del 1787, l’Allgemeines Landrecht del 1794. Il legislatore muove da una
scelta di imputabilità delle azioni coatte, e considera tali cause incidenti sulla misura dell’imputazione,
che viene così diminuita. MANZINI, Trattato, cit., pag. 277, invece riconduce la prima compiuta analisi
giuridica sul tema, nel XVII secolo, ad una monografia del brandeburghese Strykio (1640-1710), che
definì lo stato di necessità come una vis compulsiva et cogens, che fa fare ciò che altrimenti non si
farebbe, rendendo lecito ciò che per le leggi non lo sarebbe.
19
O semplicemente diminuenti, dal momento che si sta discutendo di concetti graduabili, sono da
annoverarsi in primo luogo ignoranza e violenza; ve ne sono poi altre che, incidendo sul momento
intellettivo o volitivo dell’atto, tolgono al soggetto la “possibilità di agire diversamente”. Tra queste:
minore età, infermità di mente, coazione morale, ubriachezza e, appunto, stato di necessità.
20
Cfr. per successive elaborazioni che seguono questa scia, di matrice spiccatamente soggettivistica:
BOEHMER, Elementa jurisprudentiae criminalis, II ed., 1738, I, II, §28. RENAZZI, Elementa iuris
9
Viene poi successivamente precisato che, quando un individuo è minacciato da
un pericolo per la vita e l’incolumità fisica, ed è così in gioco il suo istinto di
autoconservazione, viene meno l’imperativo di obbedienza alla legge, per la
benevolenza del legislatore che rinuncia a pretendere l’eroismo dai sudditi,
sottolineandosi, con ciò, la natura discrezionale dei confini della non imputabilità delle
azioni necessitate.
I principi fondamentali della dottrina dell’imputazione e l’inserimento in essa
della previsione sullo stato di necessità vengono recepiti, nell’Ottocento, dalla dottrina
dominante21 e dalle codificazioni22.
L’opposta formulazione giuridica in senso “oggettivo” viene comunemente fatta
risalire ad Hegel, che nel 182023 individua per le situazioni eccezionali un vero e
proprio ‘diritto di necessità’ ben oltre la logica della comprensione dettata da ragioni di
equità, affermando che colui il quale si trova in immediato pericolo di vita, ha il diritto
di ledere l’altrui diritto di proprietà quando non abbia altro modo di salvarsi. La
formulazione rievoca il concetto giusnaturalistico di necessità come costrizione, ma
nuove sono le premesse teoriche e nuovo è il sistema in cui viene incardinato il
principio24: nella gerarchia di diritti descritta dal filosofo tedesco, quando si verifica un
conflitto tra due diritti, non c’è illecito se la condotta lede un diritto di rango inferiore
per la tutela di quello di rango più elevato.
Lo schema del conflitto, più precisamente, viene generalizzato dai penalisti
posthegeliani, giustificando la lesione anche di diritti diversi dal patrimonio per la difesa
della vita umana e giungendo poi alla formulazione del principio secondo cui il diritto
qualitativamente o quantitativamente inferiore deve cedere a quello superiore25.
In tale periodo emerge la differenziazione delle ipotesi di necessità: accanto ad
ipotesi riconducibili al c.d. “bilanciamento di interessi”, vengono enucleate quelle in cui
non si punisce per benevolenza del legislatore chi in situazioni critiche non si è
comportato da eroe solo, ad esempio per i casi in cui il conflitto coinvolga diritti dello
stesso rango che non sono ponderabili26.
Invero, la ricerca di un punto di equilibrio tra oggettivo e soggettivo non può
criminalis, IV ed., 1794, I, pag. 54. CREMANI, De iure criminali, 1741, I, I, cap. IV, § 1. (tutti citati da
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 45 e ss.). FILANGERI, La scienza della legislazione, Venezia, 1822, , IV, capo
LVII dell’impunità, pag. 125.
21
Vedi TITTMANN, Handbuch der Strafrechtswissentschafts und der deutschen Strafgesetzkunde, Halle,
1822; ROSSI, Trattato di diritto penale, trad. it. annotata da Pessina, 1896, citato da VIGANÒ, Stato, cit.,
pag. 45.
22
Per i codici italiani preunitari si veda oltre.
23
HEGEL, Lineamenti di filosofia dl diritto, a cura di Vincenzo Cicero, con testo tedesco a fronte, Milano,
1996.
24
Il filosofo tedesco, individuando una gerarchia di diritti graduata sull’intensità, via via crescente, con
cui si manifesta la libertà autocosciente dello spirito, pone in un primo gradino la proprietà; più in alto
l’integrità fisica, e a livello più elevato ancora la vita; sopra di tutti, poi, lo Stato. L’illecito viola uno di
questi diritti, ma altro è che leda la libertà dello spirito solo per quella parte che si manifesta nel diritto di
proprietà, altro e ben più grave, è che la leda nella sua intera estensione manifestantesi nel diritto alla vita.
La prevalenza della vita sul diritto di proprietà risulta quindi come principio generale:
25
Tale generalizzazione si deve a HAELSCHNER, Das gemeine deutsche Strafrecht, 1884; BERNER,
Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Leipzig, 1871, pag. 138; BERNER De impunitate propter summam
necessitatem proposita, 1861, citato da VIGANÒ, Stato, cit., pag. 59 e ss.).
26
La c.d. Differenzierungstheorie di Berner sarà attentamente esaminata oltre.
10
dirsi sopita neppure oggi. Ma prima di analizzare la normativa attuale e i problemi che
pone, si vuole offrire una breve disamina delle codificazioni ottocentesche, alla ricerca
di un riscontro positivo delle sopracitate elaborazioni.
2 Le formulazioni della norma nei codici preunitari e nel codice Zanardelli
Nei codici preunitari che non si rinviene una specifica regolamentazione per lo
stato di necessità, che secondo l’antica tradizione giusnaturalistica viene annoverato tra
le cause che escludono l’imputazione del fatto al suo autore27.
Più precisamente, può dirsi che la non punibilità dell’agente in situazioni di
necessità viene in genere ricondotta alle norme sulla “forza irresistibile”28, figura
omnicomprensiva nella quale vengono stemperate le differenze tra diverse forze di
coazione (ipotesi di forza maggiore, di coazione assoluta e di coazione solo relativa,
derivante dalla percezione di un grave pericolo).
Ad esempio, l’art. 99 del codice penale sardo del 1839 recita: “non vi ha reato se
l’imputato trovavasi in istato di assoluta imbecillità, di pazzia o di morboso furore
quando commise l’azione, ovvero se vi fu tratto da una forza alla quale non poteva
resistere” 29.
Una particolare formulazione è poi adottata dall’art. 34 del codice toscano che
così dispone: “Le violazioni della legge penale non sono imputabili, quando chi le
commise non ebbe coscienza dei suoi atti e libertà d’elezione” 30.
In sostanza, nelle parti generali dei codici manca una norma specifica per lo
stato di necessità, confuso con le cause di non imputabilità e ciò si spiega anche con la
mancanza di una trattazione generale delle cause di giustificazione. Per il vero, nelle
parti speciali dei codici si può rinvenire una trattazione embrionale delle cause di
giustificazione31, e, quindi, una l’enunciazione in nuce di legittima difesa e stato di
27
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 115.
Modellate sull’art. 64 del codice napoleonico
29
Codice penale per gli Stati di S.M. Re di Sardegna (1839), a cura di VINCIGUERRA, Padova 1995.
MEZZETTI, “Necessitas non habet legem”? Sui confini tra ‘impossibile’ ed ‘inesigibile’ nella struttura
dello stato di necessità, Torino, 2000, pag. 46 cita anche l’art. 46 del codice parmense.
30
Codice penale pel Granducato di Toscana (1853), a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1995. La lettera
dell’art. 34 rappresenta la traduzione più pura della dottrina giusnaturalistica dell’imputazione soggettiva,
e, secondo Viganò, è in tale prospettiva continua a difettare una norma apposita.VIGANÒ, Stato, cit., pag.
116
31
Cause di giustificazione rilevano con riguardo a norme scriminanti i delitti di sangue. Sono infatti
previste ipotesi di omicidi, percosse, lesioni che, pur definiti ancora come ‘non imputabili’, si possono far
rientrare in fattispecie riconducibili alle odierne scriminanti degli ordini di legge o di autorità, difesa
legittima e stato di necessità. Un esempio è offerto dal codice penale veronese , (Codice penale veronese
(1797), a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1996) dove all’art. 3 del Capitolo V (dell’omicidio) si legge:
“Omicidio commesso a necessaria difesa sarà riconosciuto quello unicamente, nel caso in cui fosse in
imminente pericolo di morte la vita dell’omicida, né fosse egli il provocante o aggressore, né il primo a
metter mano all’armi, e non potesse fuggire, o nascondersi, né avesse altro modo di salvare la propria
vita”. Dato che, ai fini della non punibilità del delitto, si richiede la difesa della vita, in caso di imminente
pericolo di morte, mentre nulla si dice sulla fonte di tale pericolo, è ammissibile ipotizzare che tale
pericolo possa derivare sia dall’aggressione ingiusta di un altro uomo, e costituire così un esempio di
legittima difesa, sia da cause differenti, concretizzando così una situazione di necessità. diversamente
invece per gli artt. 373 e 374 del c.p. siciliano, (Codice penale per lo Regno delle due Sicilie (1819), a
cura di VINCIGUERRA, Padova 1998) poiché sono enunciate le situazioni in cui si dà necessità attuale
di legittima difesa, e segnatamente: “1) se l’omicidio, le ferite, le percosse sien commesse nell’atto di
respingere di notte tempo la scalata, o la rottura de’ recinti o de’ muri, o delle porte di entrata in casa o
28
11
necessità, ma in argomento vale precisare che il riferimento alle attuali giustificanti non
può che essere lato, perché in concreto i casi riguardanti lo stato di necessità sono
ancora concettualmente confusi con quelli riguardanti la legittima difesa, e il lavoro di
chiarificazione sarà portato a felice compimento solo con il codice Zanardelli.
Vale solamente sottolineare, in argomento, l’ispirazione di matrice
giusnaturalistico-illuministica, che emerge laddove non viene mosso un rimprovero
all’autore per ragioni di equità, difettando invece il riconoscimento di un vero diritto di
tutelare i propri interessi.
Come anticipato, la prima trattazione autonoma e chiara dello stato di necessità è
offerta dal codice Zanardelli del 1889, all’art. 49 n. 332: “Non è punibile chi ha
commesso il fatto: … 3) per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri
da un pericolo grave ed imminente alla persona, al quale non aveva dato
volontariamente causa e che non si poteva altrimenti evitare”33.
Finalmente, in tale formulazione, lo stato di necessità viene enunciato “come un
principio generale allo scopo di disciplinare quelle cause scriminanti, che venivano
comprese sotto il concetto della forza irresistibile e della mancata libertà di elezione”34.
Quanto all’esegesi della norma, argomenti di natura sistematica e il tenore
letterale fanno propendere la dottrina verso una qualificazione soggettiva della stessa35,
anche se l’idea di un fondamento oggettivo non può dirsi del tutto sconosciuta
nell’ambito della dottrina italiana36.
La portata della norma viene precisata derivando la rinunzia del legislatore a
punire l’agente da ragioni sia generalpreventive37 sia specialpreventive38.
nell’appartamento abitato, o nelle loro dipendenze; 2) se il fatto abbia avuto luogo nell’atto della difesa
contro gli autori di furti o di saccheggi eseguiti con violenza”, come nell’identica formulazione dell’art.
615 del c.p. sardo (Codice penale per gli Stati di S.M. Re di Sardegna (1839),, a cura di VINCIGUERRA,
cit., pag.182).
32
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 47, lo definisce come la prima ‘codificazione moderna’, notando che
continua ad essere rappresentata dalla dottrina delle scuole classica e positiva come un’ipotesi di
costringimento della formazione volitiva.
33
Al n. 2 la scriminante della difesa legittima così formulata: “Non è punibile chi ha commesso il fatto: …
2) per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o altri una violenza attuale ed ingiusta”.
34
FLORIAN, Trattato di diritto penale. Dei reati e delle pene in generale, vol. I, Milano, 1901, pag. 504.
35
L’art. 49 infatti segue una serie di disposizioni dedicate ai criteri di imputazione soggettiva,
dall’infermità mentale all’ubriachezza; c’è un esplicito riferimento alla ‘costrizione’; i beni
salvaguardabili sono limitati a quelli concernenti la persona che in modo più incisivo coinvolgono
emotivamente l’agente, e manca un riferimento alla proporzione tra il bene sacrificato e quello
salvaguardato. Queste scelte pongono il legislatore sulla scia di quella tradizione che vedeva lo stato di
necessità come una situazione incidente sulla volontarietà della condotta e dunque riferito alla
(im)possibilità di imputare soggettivamente il fatto al suo autore. VIGANÒ, Stato, cit., pag. 120. Si veda,
per la dottrina dell’epoca, Civoli in PESSINA, Enciclopedia del diritto penale italiano, vol. V, Milano,
1904, pag. 165.
36
Si rinviene un’eco delle teorie di Berner nelle parole di IMPALLOMENI, Il codice penale italiano,
Firenze, 1904: “esso (il legislatore) ha limitata l’esenzione da pena alla tutela della persona, ed ha avuto
cura di impedire che si potesse ritenere lecita qualunque lesione del diritto altrui, senza una causa grave
di conservazione personale”. Si veda anche la Relazione del Ministro, Relazione a Sua Maestà, XXIX.
37
Nel senso che la minaccia della pena non vale invece ad intimidire i consociati in tali circostanze
estreme ed è quindi inutile ed inopportuna, vedi Civoli in PESSINA, Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 168.
Nota altresì l’Autore che “oggettivamente l’azione di chi precipita in mare il compagno per non
affondare insieme a lui, è altrettanto ingiusta, quanto quella, che si commette da chi getta nell’acqua
colui, del quale vuole la morte non per salvare la propria vita, ma per soddisfare l’odio concepito contro
12
Lo stato di necessità è quindi presentato come una “situazione individuale
giuridicamente riconosciuta, per la quale chi in essa si trova viene determinato, senza
essere assolutamente coartato, a violare un comando penale a propria od altrui
salvezza, e che ha per effetto di rendere impunibile o meno punibile il reato, quando la
causa di quella situazione non possa attribuirsi alla volontà dell’agente”39.
Quanto all’esplicazione dei requisiti richiesti dalla norma, è sufficiente ricordare,
nell’economia del presente elaborato, i concetti di gravità, imminenza e inevitabilità del
pericolo nonché la sua non volontaria causazione40, precisando nel contempo che la
di esso. La differenza grandissima, che intercede fra queste due azioni, non riguarda che la loro parte
soggettiva… però il carattere dell’ingiustizia impresso in un fatto dalla sua contrarietà all’ordine
giuridico non è punto cancellato dalla sua attitudine a far sfuggire ad un pericolo mortale”, PESSINA,
Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 161
38
Nel senso che il fatto non è invece indice di alcuna particolare pericolosità sociale dell’agente,
FLORIAN, Parte generale del diritto penale, vol. I, 1926, pag. 504.
39
MANZINI, Trattato, cit., pag. 278 e ss. Nota il Manzini che “in siffatta ipotesi la legge, pur non
concedendo né una autorizzazione né altra facoltà giuridica, rimette o attenua la pena incorsa per il fatto
d’aver salvato… sé od altri mediante la violazione di un comando penale… Con ciò si diede
riconoscimento giuridico ad un istinto che è in ogni uomo: quello di conservazione, elevato nella sua
portata o limitato nei suoi eccessi egoistici dalla civiltà, ed in parte da essa sublimato…; si ridusse a
norma di diritto una legge elementare di natura, per la quale la timidezza del cervo si muta in ferocia
davanti al pericolo estremo, e la trepidità dell’allodola diventa eroismo per la salvezza dei nati”. E
ancora che “non si tratta di un diritto subiettivo che appartenga al necessitato sopra i beni giuridici
altrui…, sonvi soltanto circostanze che nel caso individuale concretano gli estremi per i quali lo Stato
rinuncia alla potestà di punire, senza che per ciò sia tolto il carattere di reato al fatto commesso”.
Sarebbe infatti “vano e ridicolo, talora anche immorale e impolitico” che la legge dicesse “io ti do il
diritto o facoltà di rubare quando astenendoti ammaleresti” . Anche perché, nei casi estremi, “chi
oserebbe dire che abbiamo compiuto un fatto conforme al diritto, se per salvare noi stessi od altri
uccidiamo un innocente?” .
40
MANZINI, Trattato, cit., pag. 286 e ss. Il pericolo dev’essere grave, deve cioè comportare un
“detrimento rilevante alla persona stessa”: ad esempio non andrà esente da pena “la moglie che si renda
adultera per essere il di lei marito impotente”, perché l’ulteriore astinenza non implica per la donna un
pericolo grave. La gravità va apprezzata dal giudice congiuntamente alle altre condizioni poste dalla
legge, e così la donna incinta superstiziosa godrà della scriminante se rubò “per soddisfare una voglia,
onde evitare il supposto pericolo che il feto nascesse imperfetto” .
L’imminenza del pericolo implica che la verificazione dell’evento dannoso non sia ancora cominciata o
per lo meno non si sia già esaurita e che il danno incomba urgentemente sopra chi ne è minacciato, così
che ogni dilazione aggraverebbe ancor di più la situazione .
È poi indifferente che il pericolo venga allontanato da sé o da altri .
Nel caso in cui il reato commesso a salvamento si svolga sulla persona stessa del pericolante “non c’è più
ingiustizia in rapporto ad alcuno, ma fatto lecito rispetto al subietto attivo e vantaggioso rispetto al
subietto passivo” .
Il reato inoltre deve essere stato commesso per scampare da un pericolo al quale l’imputato non aveva
dato volontariamente causa. La fonte del pericolo deve perciò risiedere in mere energie casuali
(inanimate, subumane, o umane incoscienti), ovvero in forze umane imputabili a colpa del pericolante o
poste in opera dolosamente da persona diversa da colui che agisce .
Ulteriore condizione è l’inevitabilità altrimenti del pericolo, concetto da apprezzarsi “con riferimento a
tutte le circostanze del fatto e all’opinione incolposa dell’agente”. Sempre coloriti sono gli esempi
proposti dall’Autore: “se una donna non maritata per non basire d’inedia, preferisce prostituirsi anzi che
rubare, va impunita certamente per la contravvenzione alle norme sul meretricio; se essa invece, potendo
elemosinare o anche rubare, si prostituisce per salvare dall’inedia il marito ignaro o consenziente, non
potrà essere scusata, perché essa ha scelto, potendolo evitare, un reato che, oltre del dovere generale di
obbedienza alla legge, importava anche la violazione dei doveri giuridici cui è soggetta la donna
maritata”. Ugualmente punibile sarà chi, potendo scegliere la fuga come mezzo sicuro di salvamento,
13
previsione trovava applicazione solo quando venisse in gioco il bene vita 41.
In definitiva, può affermarsi che il codice Zanardelli positivizza lo stato di
necessità per le ipotesi di matrice soggettiva, dimenticando, però, di disciplinare le
situazioni risolvibili con un bilanciamento di interessi, anche se le parole del Ministro42
fanno intravedere la giustificazione a fortiori e su base oggettiva di alcune condotte,
anche in assenza di norma espressa, purchè rivolte alla tutela di interessi attinenti la
persona.
3 Tra logica oggettiva e soggettiva; conseguenze sistematiche dell’una e
dell’altra impostazione
Vale precisare che le premesse di teoria generale del reato43 da cui si prende
l’avvio per affrontare le problematiche sottese allo stato di necessità, e in particolare
riguardanti la logica dell’oggettivo e del soggettivo, sono quelle della teoria tripartita44,
che concepisce il reato come fatto umano, antigiuridico e colpevole, individuandone i
tre momenti fondanti: 1) il fatto tipico si ha quando condotta ed evento sono legate dal
nesso di causalità; 2) l’antigiuridicità obiettiva è la contrarietà del fatto materiale
all’ordinamento giuridico, indipendentemente dal dato psicologico; 3) la colpevolezza è
la volontà riprovevole nelle sue forme del dolo o della colpa45.
In questa ricostruzione i diversi elementi intervengono secondo un ordine
concettuale ben preciso e con un altrettanto preciso significato funzionale: il fatto
preferì la commissione del reato. Se poi il fatto eccede solo in parte i limiti della necessità, potrà
applicarsi la scusante dell’art. 50 c.p. Zanardelli .
41
Di contrario avviso PESSINA, Enciclopedia, cit., vol. V, pag. 165 “oltre alla collisione preveduta dal
nostro codice, fra la conservazione della vita… e l’osservanza di un divieto, può ancora verificarsi una
collisione tra l’osservanza di norme giuridiche e la conservazione di un bene diverso da quello della
vita… Dalla disposizione, che riconosce la non imputabilità dell’uccisione compiuta per salvarsi,
giustamente si può argomentare, che tanto meno debba punirsi chi… per sottrarsi alla morte abbia
soltanto danneggiata l’altrui proprietà, ma non è lecito… estendere a chi abbia agito per salvarsi da una
perdita pecuniaria o da un pregiudizio nell’onore un benefizio dalla legge accordato a chi sia stato
spinto dal timore della morte”. Ipotesi di non punibilità di condotte tenute per salvarsi da altri pericoli, si
danno infatti solo nei casi espressamente indicati dal legislatore nella parte speciale e in questa esauriti
completamente.
42
Relazione a Sua Maestà, XXIX.
43
Si ricordano i fondamenti della la teoria bipartita del reato, sostenuta dalla dottrina più tradizionale,
secondo la quale il reato, fatto umano commesso con volontà colpevole, si compone quindi di due
elementi: 1) l’elemento oggettivo, cioè il fatto in tutti i suoi elementi costitutivi; 2) l’elemento soggettivo,
cioè il diverso atteggiarsi della volontà nelle forme del dolo e della colpa. L’antigiuridicità è un elemento
che investe il fatto in tutti i suoi elementi, il momento valutativo del giudizio di relazione tra il fatto
interamente considerato e la norma penale. In quest’ottica le scriminanti sono l’elemento negativo del
fatto: il fatto costituisce reato in tanto in quanto siano assenti cause di giustificazione o di scusa.
MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2009, pag. 138 cita, tra i seguaci della bipartizione,
Manzini, Florian, Santoro, Ranieri, Antolisei, Pisapia, Nuvolone; si segnala, in ogni caso, che anche nella
bipartizione c’è spazio per una distinzione tra cause di non punibilità. , a seconda che incidano sugli
elementi oggettivi ovvero su quelli soggettivi. L’impostazione che vede tutte le scriminanti inserite nella
fattispecie oggettiva è criticata da STELLA, L’errore sugli elementi specializzanti della fattispecie
criminosa, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1964, pag. 94.
44
In Germania la teoria è legata al nome di BELING, Die Lehre von Verbrechen, Tuebingen, 1906 e Die
Lehre von Tatbestand, Tuebingen, 1930.
45
MANTOVANI, Diritto, cit., pag. 138 cita, tra i seguaci della tripartizione, Delitala, Maggiore, Alimena,
Bettiol.
14
individua il reato nella sua manifestazione esterna; l’antigiuridicità ne rappresenta il
momento lesivo e la colpevolezza consente di formulare il giudizio di rimprovero nei
confronti dell’autore46. In siffatta teorizzazione le cause di non punibilità si scindono47:
le giustificanti elidono l’antigiuridicità, le scusanti impediscono di muovere un
rimprovero48.
Con particolare riferimento allo stato di necessità, esso può operare come causa
di esclusione dell’antigiuridicità se il fatto consiste nel sacrificio di un bene minore per
la salvaguardia di uno maggiore, mentre esclude la colpevolezza se, pur nel sacrificio di
un bene di alto valore sociale, tale sacrificio sia avvenuto in circostanze in cui non si
poteva esigere una condotta differente49.
Alla base dell’impostazione oggettiva opera il principio del bilanciamento di
interessi: secondo tale principio la lesione del bene serve alla salvaguardia di un bene
maggiore (o di eguale valore), e per l’utilità sociale risultante alla fine, l’azione lesiva
perde la sua dimensione oggettivamente antigiuridica50, tanto da venire considerata
lecita.
Ciò ne fa un paradigma riproponibile e, quindi, la scriminante diventa una norma
di condotta che concorre così a determinare quale sia la condotta che il singolo può,
deve o non deve tenere nel caso concreto51. In altre parole, esse facoltizzano la condotta
con effetto in ogni ramo del diritto, poiché la giustificazione del fatto dipende dal suo
risultato complessivo, che vede la prevalenza del bene maggiore52 (o l’indifferenza
dell’ordinamento di fronte a beni di pari rango)53, e non dall’atteggiarsi della volontà
dell’agente.
In definitiva, il saldo sociale attivo comporta un giudizio positivo sulla
46
MOLARI, Profili dello stato di necessità, Padova, 1964 pag. 16.
Si conviene con quanti riconoscono il valore della distinzione in entrambe le costruzioni dogmatiche
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 151-152 e GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità, Milano, 1964, pag. 288.
contra VENAFRO, Scusanti, Torino, 2002.
48
Come già detto, nei manuali i vocaboli scriminante, esimente, giustificante sono spesso adoperati in
modo impreciso e legati ai concetti in modo discrezionale. Si rinvia, per una definizione convenzionale
dei termini, alla nota 5 dell’introduzione.
49
BETTIOL, Diritto penale, Padova, 1982, e DELITALA, Il ‘fatto’ nella teoria generale del reato, Padova,
1930.
50
MOLARI, Profili, cit., pag. 18.
51
Le conseguenze pratiche sono coincidenti sia che si voglia seguire l’idea che le giustificanti non sono
norme a sé stanti, ma un limite della norma penale, sia che le si veda come norme non penali ma
attributive di facoltà o obbligo che di volta in volta prevalgono sulla norma incriminatrice impedendone
l’applicazione nel caso concreto. Per un confronto dei due modelli teorici, si veda VIGANÒ, Stato, cit. pag.
229 e ss.
52
Si è detto che la ricostruzione in termini oggettivi risale ad Hegel e che questo autore aveva costruito
una gerarchia di valori nel diritto in base alla quale risultava naturalmente evidente quale fosse l’interesse
prevalente in ogni conflitto. Per la dottrina italiana si veda anche ANTOLISEI, Manuale di diritto penale.
Parte generale, (a cura di Conti) Milano, 2003, pag. 306, che parla di mancanza di danno sociale.
53
NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Padova, 1972, pag. 151. Tenaci avversari della teoria
dell’indifferente giuridico sono invece BERNER, Lehrbuch, cit., pag. 136 MERKEL, Die Kollision, cit., pag.
14.
47
15
condotta54, con buona pace della “vittima” della condotta necessitata55.
Vale segnalare, in argomento, che al principio del bilanciamento sono stati
applicati dei correttivi (eccezionalità della situazione, essenzialità della prevalenza,
adeguatezza sociale della condotta) al fine di evitare le paradossali conseguenze in cui si
potrebbe incorrere con un’applicazione rigorosa e formale dello stesso, così affermando
la tutela dell’interesse prevalente e non del ‘semplice’ bene56. Si sposta il concetto da
una dimensione spiccatamente ‘oggettiva’ ad una valutazione di natura relazionale, che
rinvia ad un rapporto tra un soggetto e un determinato oggetto. E l’adeguatezza della
condotta posta in essere è la cartina di tornasole della faccenda, la clausola di controllo
dell’esito del bilanciamento.
Vale poi precisare che lo stato di necessità opera in base alla sola rilevanza
obiettiva dei requisiti, anche se dall’agente ignorato o per errore ritenuto inesistente. La
presenza nel nostro ordinamento dell’art. 59 co. 1 c.p., e dei suoi corollari57, induce la
dottrina ad applicare la regola della rilevanza obiettiva, anche se l’ambigua
formulazione della norma e lo scarso rigore terminologico che la contraddistingue,
fanno sorgere dubbi in proposito58.
Passare dallo studio della logica che informa le ‘giustificanti’ a quello delle
‘scusanti’, significa, secondo Viganò, “abbandonare un terreno soleggiato, pur se con
qualche inevitabile chiazza d’ombra sparsa qua e là, per addentrarsi in una selva
oscura e in larga parte ancora inesplorata”59 poiché nella prospettiva soggettiva,
assodata l’esclusione di un rimprovero, ancora si discute sul fondamento su cui
radicarla. In questo caso la condotta tenuta dall’agente non assurge a paradigma di
condotta anche per gli altri consociati, ma viene valutata come atto irripetibile,
54
Facendo però attenzione a conseguenze paradossali che il principio può avere, come nel caso di
prelievo coattivo di sangue, prospettato da CARNELUTTI, Problema giuridico della trasfusione di sangue,
in Foro it., 1938, IV, pag. 89 e ss.
55
Rileva la contraddittorietà di si riconoscere all’agente un ‘Recht, Unrecht zu tun’, cioè che sia “lecito
compiere un illecito” GEYER, ZurLehre vom Notstand, pag. 298, citato in VIGANÒ, Stato, cit. pag. 367.
L’Autore cita altri critici al principio di bilanciamento di interessi, applicato fino a paradossali
conseguenze: di MEZGER, Die subjektive Unrechtselemente, cit., vol. V, pag. 246, citato in VIGANÒ, Stato,
cit., pag. 370. si ricorda l’esempio del malato, che a causa della malattia versa in una situazione
disapprovata dall’ordinamento, il quale ben potrebbe impossessarsi del medicinale di altri, non altrimenti
reperibile, risultando la lesione del bene-proprietà della medicina meno grave della lesione del bene-vita
del malato; di HOLD VON FERNECK, Die Rechtswidrigkeit, vol. II, 1905, pag. 80, citato in VIGANÒ, Stato,
cit.pag. 37, ricorda il paventato pericolo che le private abitazioni potevano divenire un rifugio per
vagabondi affamati e infreddoliti, se si afferma la generale liceità del sacrificio del diritto altrui per la
salvezza di qualsiasi interesse prevalente su quello sacrificato, o ancora, la possibilità data alla facoltosa
signora di sottrarre l’ombrello alla servetta che passava per strada per proteggere il suo prezioso abito a
scapito del già logoro vestito dell’altra, atteso il maggior valore della veste sontuosa. E Cfr. MEZGER,
Diritto penale, Padova, 1935, vol. I, pag.249 e ss..
56
Sul principio di valutazione dei beni, cfr. MEZGER, Diritto penale, cit., vol. II, pag. 382 e ss.; cfr.
inoltre, sul passaggio dalla teoria ‘del bilanciamento dei beni giuridici’ a quella del ‘bilanciamento degli
interessi’, come transito all’attuale valutazione multifattoriale dei valori in conflitto (Gesamtabwaegung)
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 214.
57
Al co. 4 sancisce l’equivalenza tra putativo e reale, per il caso di erronea supposizione dell’esistenza
della scriminante; al comma 2 art. 119, ne sancisce la comunicabilità a tutti i concorrenti.
58
F. BELLAGAMBA, La problematica esistenza di elementi soggettivi nelle scriminanti, in Diritto penale e
processo, n. 4/2001, pag. 495. E sul problema anche VIGANÒ, Stato, cit. pag. 322 e MEZZETTI, Necessitas,
cit., pag. 197.
59
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 245.
16
eccezionale, episodico60.
Si è detto che la ragione fondante sia un sentimento di pietas per l’humana
fragilitas, e l’inesigibilità61 di una condotta differente.
Il nostro codice penale non opera alcuna distinzione tra le cause di non
punibilità, riconducendole tutte alla non meglio specificata categoria delle ‘circostanze
che escludono la pena’62, distinguendo solo tra ‘cause di estinzione del reato o della
pena’: il legislatore, così disponendo, ha scelto di non vincolare l’opera di dottrina e
giurisprudenza a definizioni dogmatiche. Nel nostro ordinamento si deve poi riscontrare
una generale tendenza della giurisprudenza a rifiutare le qualificazioni dogmatiche
legali, e generale appare anche il rifiuto dell’inesigibilità come ‘scusante sovralegale’.
Solo la voci di Scarano63 nel secondo dopoguerra e di Fornasari escono dal coro.
Vale in ogni caso precisare che, ancorché l’ordinamento non preveda un
principio generale di scusa, non si esclude che il giudice nell’applicare la legge possa
dare alla norma un’interpretazione evolutiva basata sul tale principio e
costituzionalmente orientata64.
Per evitare, quindi, incertezze e difformità di giudicati e assicurare una
tendenziale uniformità di trattamento per gli imputati di un medesimo reato e la
controllabilità delle decisioni in sede d’appello, si è cercato di fornire al giudice criteri
pregnanti di significato, cui affidarsi per formulare il giudizio che non può essere
arbitrario.
Si propongono, così, diversi criteri per concretizzare il concetto di esigibilità: col
60
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 85.
Ancora una volta la dottrina italiana è tributaria della definizione di un concetto dogmatico nei
confronti della dottrina tedesca. Il termine ‘inesigibilità’ infatti è la traduzione di quello tedesco di
Unzumutbarkeit. Interessante è lo sviluppo etimologico della parola, così come ricordato da Fornasari ,
per capire con precisione di cosa si sta trattando e quale sia, in un discorso giuridico, l’utilità del concetto
che è stato a volte considerato ‘insignificante’, ‘nebbioso’ e ‘tra i più generici ed incolori’.
Il termine zumutbar deriva dal verbo zumuten con l’aggiunte del suffisso bar, equivalente ai nostri suffissi
–ibile o –abile. In tedesco un altro verbo, verlangen, corrisponde al nostro ‘esigere’, ma rispetto a questo,
zumuten assume una connotazione ‘valorativa, soggettivizzata e relativizzata’, in quanto di regola
accompagnato da un dativo personale, che indica l’esigibilità ‘a’ (da) qualcuno. Dal diciassettesimo
secolo, per la precisione, il concetto veniva adoperato per indicare la pretesa di qualcosa che non si aveva
il diritto di pretendere , e ancor oggi si trovano tracce di quell’interpretazione, nella valutazione negativa
dell’aspettativa, per inopportunità o impossibilità, giuridica o morale: nel senso che l’uso del verbo lascia
sopravvivere il dubbio se la richiesta del comportamento sia effettivamente giustificabile.
Nel linguaggio del diritto il concetto è filtrato in questi termini: il comportamento di Tizio può essere/non
essere preteso (è esigibile o no) da Caio; la possibilità di pretesa espressa del verbo è quella morale del
dürfen e non quella materiale del können: il comportamento di Tizio, pur materialmente realizzabile, non
può invece essere umanamente preteso. Ma la giuridicizzazione del concetto ne ha anche comportato una
specificazione: la pretesa non è rivolta a qualunque persona, ma a quella persona che si trova in quella
particolare situazione oggetto di giudizio.
Il presupposto su cui si innesta il concetto è quello dell’esistenza di un comportamento normalmente
richiesto dall’ordinamento.
Detto questo, ancora impregiudicata resta la definizione del criterio per discernere quanto è esigibile da
quanto non lo è. La portata semantica del verbo è ancora compatibile con le istanze più diverse, ma
l’analisi semantica non ha il compito di definire le regole di concretizzazione del concetto. Le regole di
riempimento vanno quindi individuate con criteri normativi: FORNASARI, Principio di inesigibilità nel
diritto penale, Padova, 1990, pag. 355, cit., pag. 14.
62
Il riferimento è agli artt. 182-184, 198 e 210 c.p.
63
SCARANO, La non esigibilità nel diritto penale, Napoli, 1948.
64
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 284.
61
17
riferimento al ‘poter agire diversamente’ del singolo imputato, al ‘buon padre di
famiglia’ o ‘buon cittadino’, al ‘poter agire diversamente’ dell’uomo medio. Il problema
di fondo vero sta proprio nel fatto che in casi di eccezionali anomalie non ci sono
massime di esperienza per immaginare il comportamento dell’ipotetico uomo-medio, e
quindi si finirà per affidarsi all’intuizione del giudice.
La logica della scusa viene così ad essere un punto di equilibrio del sistema
penale, laddove si dà la misura del rapporto tra cittadini e ordinamento, che non può
essere sbilanciato né a favore dei primi, cosicché i comandi legislativi perderebbero la
loro efficacia, né del secondo, come accadrebbe negando rilevanza a situazioni non
standardizzabili65.
In definitiva, l’impossibilità di sollevare un rimprovero a causa dell’anormalità
delle circostanze in cui si è svolta l’azione, rende inesigibile dall’imputato una condotta
conforme alla norma penale e diversa da quella tenuta.
Si è visto, quindi, che fondamentale nella logica della scusa è una
‘personalizzazione’ del giudizio sull’imputato. Tale considerazione porta a tenere
presente la motivazione che spinge all’azione e il turbamento psichico o il particolare
bilanciamento che ne conseguono. Non si crede, però, che siano sempre e tanto forti da
esplicare una coercizione sull’agente, ma che tale è l’effetto solo quando riguardano il
soggetto in prima persona o una persona a lui tanto cara da fargli percepire l’esito
esiziale della situazione come un pericolo proprio.
In una dimensione scusante, infatti, conta essenzialmente l’oggetto del pericolo,
perché l’inesigibilità dell’osservanza può ragionevolmente prospettarsi solo in presenza
di situazioni-limite. In questo senso viene in luce il ruolo determinante del destinatario
del pericolo66.
Nel contempo, possono venire introdotti nella valutazione elementi oggettivi, in
modo che l’efficacia scusante venga subordinata a limiti di tollerabilità sociale. Oltre
tali limiti l’ordinamento pretenderà dal soggetto resistenza agli stimoli che lo inducono
a violare la legge67.
Di particolare interesse per il giurista sono, poi, le conseguenze sistematiche
dell’una e dell’altra impostazione.
La prima questione da affrontare è se contro un’azione necessitata si dia o meno
legittima difesa e la risposta dipende dalla qualificazione che si dà della condotta
necessitata68. Invero, l’ordinamento facoltizza il privato cittadino ad impedire
direttamente la commissione di un fatto antigiuridico, quando ricorrano le condizioni
indicate dalla norma che disciplina la legittima difesa69 e, conseguentemente, contro i
comportamenti tenuti in casi di stato di necessità giustificante, non sarà data legittima
65
FORNASARI, Principio, cit., pag. 352.
PADOVANI, Diritto penale, Milano, 1999, pag. 222.
67
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 331.
68
LÖFFLER, Unrecht und Notwehr. Prolegomena zu einer Revision der Lehre von der Notwehr, in ZStW,
21, (1901), pag. 537 e ss..
69
Per l’ordinamento italiano i requisiti sono posti dall’art. 52 c.p. (difesa legittima); per quello tedesco dal
§ 32 StGB. L’art. 52 c.p. così dice: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta,
sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”. Similmente il § 32 StGB, così in traduzione: “(1) Chi
commette un fatto imposto dalla legittima difesa non agisce antigiuridicamente. (2) La legittima difesa è
la difesa necessaria per respingere da sé o da altri un’aggressione attuale ed antigiuridica”.
66
18
difesa, perché la commissione del fatto è facoltizzata dalla legge. Anzi, in virtù del
saldo finale attivo e della prevalenza concordata al bene tutelabile, s’imporrebbe al terzo
di sopportare la lesione del proprio bene70.
Viceversa per le condotte solo scusate: come si è spiegato, in questi casi
permane l’antigiuridicità del fatto; e sarà data legittima difesa al terzo estraneo al
pericolo, la cui posizione mantiene la piena protezione dell’ordinamento; laddove lo
Stato non sia in condizione di assicurargli efficace e tempestiva tutela, questo soggetto
potrà difendere in proprio il suo bene. Ad esempio se un soggetto per evitare la propria
morte aggredisce un terzo estraneo, determinando un pericolo di danno grave alla sua
persona, quest’ultimo potrà difendersi invocando la legittima difesa.
La regola è stringente e sembra non ammettere eccezioni71.
Quanto alla comunicabilità della causa di non punibilità ai concorrenti nel
medesimo reato, la regola aurea prevede l’estensione a tutti delle cause di
giustificazione e, viceversa, l’applicazione solo personale delle scusanti. Ciò in
coerenza con i principi informanti le due categorie: chi partecipa ad un fatto giustificato,
concorre alla tutela di un interesse considerato superiore, aiuta la realizzazione di un
saldo sociale attivo e, di conseguenza, anche il suo comportamento va tenuto come
lecito72. Poiché invece le scusanti sono basate sulla possibilità di rimprovero personale
all’agente, venendo in considerazione in primo luogo il suo turbamento motivazionale,
la loro applicabilità andrà vagliata singolarmente in capo a ciascuno dei partecipi.
La dottrina trova conforto nel dettato dell’art. 119 c.p., per il quale “le
circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono
concorsi nel reato”73, mentre “le circostanze soggettive… hanno effetto soltanto
riguardo alla persona a cui si riferiscono”.
Ancora, con riguardo alle conseguenze civili del danno cagionato dall’azione
necessitata, merita essere ricordato l’art. 2045 c.c.: “quando chi ha compiuto il fatto
dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di
in danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né
era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta una indennità, la cui misura è rimessa
all’equo apprezzamento del giudice” 74.
La sentenza di proscioglimento che accerta che il fatto non costituisce reato
70
Qualcuno immagina, per le situazioni di stato di necessità giustificante, che la situazione di minaccia
per il bene del terzo possa risolversi configurando un’ulteriore stato di necessità a suo vantaggio. Nulla
osta a questa ricostruzione, se si immagina che questo pericolo verrà ulteriormente scaricato su una quarta
persona o sulla fonte incolpevole dell’aggressione. In questo caso la posizione del terzo non è
iniquamente peggiorata rispetto a quella che avrebbe se gli fosse concessa legittima difesa. MOLARI,
Profili, cit., pag. 119
71
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 317.
72
PEDRAZZI, Il concorso di persone nel reato, 1952, pag. 57.
73
Anche se con alcune eccezioni: si pensi a varie norme disciplinanti l’azione di agenti provocatori (artt.
96 e 97 t.u. in materia di stupefacenti) che giustificano solo ben definite categorie di ‘ufficiali’ di polizia
giudiziaria e non qualsiasi agente della stessa. Non deve infatti stupire che tra più condotte con pari
efficacia causale rispetto all’evento, l’una possa essere espressamente ‘permessa’ e l’altra ‘vietata. Basta
pensare che la condotta di chi si suicida non è considerata illecita dall’ordinamento, mentre viene punito
chi ha istigato il soggetto a suicidarsi; la prostituzione rappresenta un mestiere lecito, mentre illecito ne è
il favoreggiamento. In VIGANÒ, Stato, cit. pag. 320.
74
MANZINI, Trattato, cit., pag. 426.
19
perché commesso in stato di necessità, non preclude l’azione civile, a differenza di
quanto accade per la sentenza che accerti che il fatto è stato compiuto nell’esercizio di
una facoltà legittima o nell’adempimento di un dovere75. Nel contempo, l’indennità
equitativa non può essere pronunciata dal giudice penale perché l’imputato ex art. 54
c.p. deve essere prosciolto: l’art. 74 c.p.p. infatti fa riferimento al danno di cui all’art.
185 c.p., quindi presuppone l’esistenza di un reato, che, si è visto, manca nel caso di
condotta necessitata. Il fatto che, poi, il soggetto non sia rimproverabile, esclude che il
danneggiato ex. 185 c.p. possa fare richiesta di risarcimento del danno morale.
Quanto ai soggetti, possono chiedere tale indennità sia il terzo estraneo che abbia
fatto le spese della situazione di pericolo, sia lo stesso soccorritore che abbia
personalmente risentito dei danni derivanti dalla propria impresa di salvataggio, come si
può facilmente argomentare per analogia dall’art. 2031 c.c.76.
Ciò non significa che il fatto compiuto in stato di necessità esuli dalla
commissione di un illecito penale ma non da quella di un illecito civile77 (chè altrimenti
significherebbe negare allo stato di necessità il valore di causa di giustificazione,
identificata appunto con la mancanza di qualsiasi disvalore d’illecito, sia sul piano
penale che in quello civile).
E allora la previsione di un’indennità si spiega con riferimento all’indennità
dovuta per attività lecite dannose78, indennità che, a differenza del risarcimento, non è
una vera e propria riparazione del pregiudizio subito dalla vittima, in quanto la sua
misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice79 e può risultare anche minore
della quantificazione del pregiudizio realmente subito.
Nel caso di azione solo scusata, invece, permane il disvalore di illecito e, quindi,
nulla osta ad una sanzione in altri rami del diritto, alla luce di parametri differenti da
quelli applicati dalla norma penale. E, in tali casi, non ci sono ostacoli all’avanzamento
di una richiesta in termini di risarcimento.
La distinzione tra le due prospettive è significativa anche in tema di errore.
Come già detto, l’art. 59 c.p. pone il principio della rilevanza obiettiva delle
cause di giustificazione, stabilendo da un lato che la presenza effettiva della situazione
scriminante ha efficaci a scriminante anche se sconosciuta, dall’altro, che è sufficiente
che l’autore del fatto l’abbia ritenuta esistente ma non per un errore rimproverabile.
La discussione sul fondamento dello stato di necessità, come si diceva, è ancora
oggi dibattuta, proprio perché il legislatore ha previsto una sola norma, e ne ha dato una
75
DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale commentato, Parte generale, Milano, 2006, sub. art. 54. Ma gli
autori, propendendo per una lettura solo scusante della norma, non hanno difficoltà a leggervi un vero e
proprio risarcimento da atto oggettivamente illecito. Ritiene giusto che l’innocente che sconta la
situazione trovi ristoro del pregiudizio sofferto MAGGIORE, Diritto penale. Parte Generale, Bologna,
1951, pag. 293
76
MANZINI, Trattato, cit., pag. 426 e BATTAGLINI, Diritto penale. Parte Generale , Padova, 1949, pag.
337.
77
BOSCARELLI , Compendio di diritto penale. Parte generale, Milano, 1994, pag. 70.
78
MOLARI, Profili, cit., pag. 136 e ss.; contra.MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 256, cfr. anche per
un’analisi dell’orientamento della giurisprudenza civile sul punto: il fatto necessitato costituirebbe un
illecito civile ma in forma attenuata che richiederebbe quindi una forma attenuata di risarcimento. Inoltre
la prescrizione per la richiesta del risarcimento del danno è biennale, come quella per altri fatti illeciti.
79
ANTOLISEI, Manuale, cit., pag. 306.
20
configurazione ambigua, sussumibile in entrambe le prospettive.
Da ultimo, in argomento, si vuole però avvertire che la diversa configurazione
della norma nei due distinti casi è una conseguenza e non la causa della distinzione fra
stato di necessità giustificante e scusante, attesa la sua natura pregiuridica e la
possibilità del duplice atteggiarsi del conflitto.
Ciò vale al fine di evitare l’assolutizzazione di una sola delle due facce dello
stato di necessità, in modo tale da farlo diventare un coacervo dove accasare tutti i casi
di conflitti ipotizzati, con conseguenze paradossali e disordinate: come rilevato sopra,
infatti, un’interpretazione dello stato di necessità esclusivamente orientata in senso
obiettivo conduce a risultati inaccettabili da un punto di vista etico-sociale (ad esempio,
si dovrebbe ritenere legittima l’azione del chirurgo che, per salvare un proprio paziente
da un pericolo di morte, espianti da un paziente occasionale un rene, senza neppure
acquisirne il consenso; o il fatto del medico che interrompe la terapia intensiva nei
confronti di un paziente cagionandone la morte, per connettere all’unico respiratore un
paziente appena giunto; o la giustificazione di torture agli arrestati al fine di ottenere
informazioni per la lotta contro il terrorismo)80.
4 La formulazione del codice Rocco: l’art. 54 c.p.
Nella parte generale dell’attuale codice penale vi è una sola norma disciplinante
lo stato di necessità, l’art. 54 che così dispone al comma 1: “Non è punibile chi ha
commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Già alla semplice lettura del testo balzano agli occhi i fondamentali requisiti
dello stato di necessità, che non sembrano sostanzialmente modificati rispetto al codice
previgente, e segnatamente la presenza di una situazione di pericolo e la condotta lesiva
da parte del soggetto che versa in pericolo81. Va rilevata sin da subito l’introduzione del
nuovo requisito della proporzione tra il fatto e il pericolo82.
Nei primi anni di applicazione della norma, la dottrina continuò ad interpretare
la norma in termini soggettivi, riconducendola alla clemenza del legislatore, ma anche
all’impossibilità di rimprovero di colpevolezza83, al principio di inesigibilità84, o ad un
caso particolare di mancanza di suitas85.
Poi, negli anni Sessanta, si è avuta la svolta in senso oggettivo86, supportata
80
DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale, cit. pag. 514.
81
Si veda per tutti: MANTOVANI, Diritto penale, pag. 275.
Il requisito viene introdotto perché “non si trovasse ragione a dubitare che quel requisito fosse
estraneo allo stato di necessità” Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, I, pag. 97.
83
DELITALA, Il fatto nella teoria generale del reato, Padova, 1930.
84
SCARANO, La non esigibilità nel diritto penale, 1948.
85
GIULIANI, Dovere di soccorso e stato di necessità nel diritto penale, Milano, 1970.
86
MOLARI, Profili dello stato di necessità, Padova, 1964 e GROSSO, Difesa legittima e stato di necessità,
Milano, 1964. Siffatta interpretazione sembra trovare conforto nella Relazione ministeriale sul progetto
preliminare del codice penale, I, pag. 61: “l’ordinamento giuridico autorizza il privato ad esercitare, al
cospetto di due beni giuridici in collisione, una facoltà protettrice di scelta, a sacrificare cioè l’uno
(bene) per la salvezza dell’altro”
82
21
anche da riferimenti sistematici, che vuole la scriminante operante sul piano
dell’antigiuridicità87; ma non mancano voci di autorevole, ancorché minoritaria,
dottrina88 che individuano nella norma un fondamento spiccatamente soggettivo e che
ne fanno una causa di esclusione della sola colpevolezza89.
Tra i sostenitori delle due tesi contrapposte, non sempre si riscontra uniformità
di vedute nell’interpretazione dei requisiti previsti dalla norma, anche se vi è consenso
nella circostanza di non poter trarre argomentazioni decisive, a favore dell’una o
dell’altra tesi, dai requisiti della costrizione, dalla proporzione, dal pericolo, dalla sua
inevitabilità e non volontaria causazione, dalla limitazione a beni personali esistenziali.
Quanto alla costrizione, ossia quella situazione in cui il soggetto viene a trovarsi
a causa di un pericolo, nella ricostruzione giustificante viene valutata obiettivamente
secondo il parametro di un osservatore esterno, indipendentemente dalla
rappresentazione che se ne dà l’autore del fatto90, anche se non si esclude del tutto
l’esistenza di un nesso psicologico tra la realtà oggettiva e la determinazione ad agire.
Per la ricostruzione soggettiva, invece, la costrizione è da intendersi come
condizionamento psicologico che presuppone che l’autore si sia rappresentato la
situazione condizionante. In ogni caso, si rileva che la coazione morale non annulla
completamente qualsiasi possibilità di volere, governa l’azione pur non determinandola
in maniera invincibile91.
Quanto al pericolo92, deve essere presente, attuale nel momento in cui il
soggetto agisce: tuttavia l’interpretazione del dato può essere variamente modulata.
Maggiormente rigorosa è quella che richiede "l’imminenza"93 del danno derivabile dal
pericolo e che, pertanto, richiede che il pericolo incombente sia individuato e
circoscritto, e non ammette l’applicabilità della scriminante in presenza di avvenimenti
87
In questo senso si esprimono, ad esempio, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte generale, cit.;
CARNELUTTI, Teoria generale del reato, Padova, 1933; NUVOLONE, Il sistema del diritto penale2, Padova,
1982; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2009, 241; GROSSO, Difesa, cit.;
MANTOVANI, Diritto, cit.; MOLARI, Profili, cit..; DEL CORSO, sub art. 54, in PADOVANI, Codice penale,
Milano, 2007, p. 433.
88
In tal senso si esprimono, tra gli altri, DELITALA, Il fatto, cit.; DOLCE, Lineamenti di una teoria generale
delle scusanti nel diritto penale, Milano, 1957; PISAPIA, Istituzioni di diritto penale. Parte generale e
parte speciale, Padova, 1975; VIGANÒ, Stato di necessità, cit..
89
In ogni caso, vale sottolineare che sia che si rinvenga un fondamento giustificante ovvero scusante della
norma, non si fa comunque questione di imputabilità: infatti, rispetto alle codificazioni preunitarie, l’art.
54 esclude la punibilità per un fatto costituente reato, mentre l’imputabilità dell’agente ne è presupposto.
Né si fa questione di forza maggiore (art. 45 c.p.), incidendo tale costrizione sulla suitas della condotta ed
escludendo l’attribuibilità psichica dell’azione al soggetto.
90
GROSSO, Difesa, cit., pag. 240; MOLARI, Profili, cit., pag. 37-38.
91
SPAGNOLO, Gli elementi soggettivi, cit., pag. 62-63.
92
BETTIOL, Diritto penale. Parte generale 11, Padova, 1982, pag. 392. Ribadisce il fatto che la volontà del
pericolante non si forma completamente libera, ma non vuole ulteriormente indagare se il fondamento
della scriminante sia da ritrovarsi nel piano dell’antigiuridicità o nell’impossibilità di muovere un
rimprovero all’agente.
93
A favore della tesi restrittiva si schierano: MAGGIORE, Diritto Penale. Parte Generale5, Bologna, 1951,
pag. 308. MANTOVANI, Diritto, cit., pag. 267. MANZINI, Trattato, cit., pag. 407. PANNAIN, Manuale di
diritto penale. Parte generale, Torino, 1967, pag. 745. VANNINI, Istituzioni di diritto penale, Firenze,
1939, pag. 159.
22
meramente eventuali e futuri, né per quelli possibili o probabili94.
Appare tuttavia preferibile la diversa lettura, per la quale è attuale il pericolo
quando il danno può verificarsi in un futuro prossimo, purchè abbia una certa
consistenza almeno nell’an e non si tratti di semplice timore dello stesso95 o di danni
meramente eventuali e a carico di soggetti indeterminati96.. Può anche trattarsi di
‘pericolo perdurante’97: di un pericolo la cui verificazione è così probabile che sono
subito da prendere le misure necessarie per la protezione del bene98.
La dottrina, poi, concorda sull’irrilevanza della fonte del pericolo, il più delle
volte scaturito dalle forze cieche della natura: basta pensare al caso del naufrago che per
salvarsi è costretto a respingere in mare il compagno o all’escursionista che infrange la
finestra di una baita per ripararsi dalla tormenta. Ma può derivare anche dall’azione
illecita di un altro uomo: si avrà allora legittima difesa se il pericolante si rivolge
direttamente contro l’aggressore e stato di necessità se andrà a ledere il diritto di un
terzo che con la minaccia non ha a che fare99.
Un’ipotesi interessante viene prospettata quando la minaccia deriva da ‘nonazioni’ o da azioni conformi a regole di diligenza: si parla a proposito di casi di stato di
necessità difensivo provocato dall’uomo100.
La scriminante viene poi esclusa nel caso di volontaria causazione: attesa
l’intonazione equitativa dello stato di necessità, la sua operatività non può che essere
tenuta entro certi limiti, e quindi “è giusto”101 pretendere che il soggetto si astenga dal
provocare volontariamente il pericolo e stabilire che, qualora invece lo cagioni, ne
sconti tutte le conseguenze. Ponendo tale requisito, l’ordinamento evita il determinarsi
di una situazione in cui è la scelta del male minore ad imporsi e riduce al minimo il
verificarsi di situazioni di conflitto102. Va precisato che è sufficiente che l’esposizione al
94
Cfr. Co. Cass. 14 gennaio 1987, Cass. Pen., 1988, pag. 1040; Co. Cass. 3 ottobre 1978, Cass. Pen.,
1980, pag. 1091.
95
Co. Cass. 6 aprile 1987, Riv. Pen., 1988, pag. 1020.
96
Co. Cass. 14 gennaio 1987, Cass. Pen., 1988, pag. 1040.
97
ROMANO M.-GRASSO G., Commentario, cit., pag. 535.
98
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 267.sostengono che sia sufficiente che il rinvio della
condotta comporti un peggioramento delle chance di salvezza del bene: per questa via si apre la porta ad
un’azione anticipata per impedire l’aggravamento delle potenzialità lesive del pericolo; tuttavia DOLCINIMARINUCCI, Codice, cit., pag. 518 ritengono che così interpretato il requisito perda ogni capacità selettiva,
poiché ogni situazione di pericolo è suscettibile di aggravamento in mancanza di intervento immediato.
99
Nulla osta a che legittima difesa e stato di necessità siano riconosciuti in capo allo stesso soggetto che
compie un’azione plurioffensiva. Il rapporto di conflittualità che si instaura in una situazione necessitata
viene tradizionalmente descritto come un rapporto ‘trilatero’, in contrapposizione al rapporto ‘bilaterale’
che si crea in una situazione in cui si dà legittima difesa. Nei casi sussumibili nella fattispecie dell’art. 52
c.p., chi subisce un’ingiusta aggressione si può rivolgere contro l’aggressore per la difesa del proprio
diritto: i poli del conflitto, quindi, sono l’aggressore da cui deriva il pericolo di un’offesa ingiusta e
l’aggredito che si difende. Nei casi sussumibili nell’art. 54, invece un rischio mette a repentaglio un
pericolante legittimato a difendersi e viene scaricato su di un terzo innocente: queste tre posizioni
rappresentano gli apici di un triangolo.
100
Cfr. ROXIN, Der durch Mensch ausgeloeste Defensivnotstand, Berlin, 1985. Per una versione tradotta
dei passi significativi, vedi ROXIN, Antigiuridicità e cause di giustificazione, pag. 297 e ss.. Si
individuano altri due casi accanto a quelli citati: la perforazione del feto e l’aggressione soltanto
imminente.
101
MOLARI, Profili, cit., pag. 66.
102
MOLARI, Profili, cit., pag. 70-71.
23
pericolo non sia cagionata da chi agisce in stato di necessità, e non già da colui a favore
del quale si agisce103. Si precisa, da ultimo, che la causazione del pericolo può avvenire
sia per dolo che per colpa104.
Per quanto riguarda il requisito della proporzione, questa è da intendersi come
un rapporto di conveniente equilibrio, che non va stabilita sul paradigma del
bilanciamento di interessi, ma piuttosto accertata sulla base di un confronto tra i mezzi
difensivi che il soggetto aveva a propria disposizione ed i mezzi in concreto usati105:
quindi, anche se il fatto incide su di un bene la cui lesione rappresenta un danno più
rilevante di quello evitato, il fatto sarà scriminato se i mezzi usati erano gli unici idonei
ad allontanare il pericolo.
In sostanza, la proporzione esiste non solo quando tra i beni esiste un rapporto di
eguaglianza, ma anche quando i due termini siano armonicamente commisurabili l’uno
all’altro pur se di differente valore106. Il giudizio di proporzione va altresì integrato con
la comparazione dei rischi effettivamente incombenti sui beni coinvolti, dal momento
che entra nel fuoco del suddetto giudizio107 anche il grado del pericolo che grava sui
beni in conflitto, per giungere ad una valutazione in termini di economicità e
convenienza dell’azione108.
Da ultimo, si segnala che il legislatore pone una limitazione ai beni di rilievo
esistenziale, che rilevano ai fini dell’applicabilità della scriminante, per limitare il più
possibile l’esposizione al rischio di terzi109.
Per contiguità di argomenti, è opportuno accennare subito al comma 3
dell’articolo in esame, il quale sancisce che “la disposizione della prima parte di questo
articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma,
in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a
commetterlo”. Il co. 3 dispone, quindi, la non punibilità del minacciato per il fatto
necessitato, qualora ricorrano i presupposti dello stato di necessità, e pone a carico del
minacciante le conseguenze dell’azione necessitata110: il minacciato è da ogni punto di
103
E’ infatti scriminato il soccorso di necessità anche nei confronti del terzo anche se il pericolo è stato
volontariamente causato da questi, giacché il soggetto non può fare sicuro affidamento sull’intervento del
soccorritore e ciò rappresenta già una sufficiente remora perché si astenga dall’esporsi volontariamente al
pericolo
104
GROSSO, Difesa, cit., pag. 97.
105
MOLARI, Profili, cit., pag. 76.
106
La gravità del danno minacciato non va confusa con la proporzione, poiché un dato non dipende
dall’altro e si può agire per sfuggire ad un danno grave ma andando oltre i limiti della proporzionalità Cfr.
GROSSO, Difesa, cit., pag. 178 e MOLARI, Profili, cit., pag. 87
107
Si tratta di giudizio su prognosi postuma a base totale GROSSO, Difesa, cit., pag. 69. Del resto, un
giudizio a prognosi postuma parziale, che tenesse in considerazione solo le circostanze conoscibili ex
ante, renderebbe indistinguibile lo stato di necessità putativo rispetto a quello reale.
108
BELLAGAMBA, Il limite della proporzione nello stato di necessità, in Dir. pen. e proc., 2002, pag. 757.
109
GROSSO, Difesa, cit., pag. 247.
110
L’ipotesi sembrerebbe infatti accostabile a quella dell’art. 46 co. 2 c.p. (Costringimento fisico),
tuttavia si deve tener presente la diversità delle due situazioni. In ragione della vis fisica subita il
‘costretto’ considerato dall’art. 46 c.p. non agit, sed agitur, semplice strumento dell’attività altrui. Ancora
le parole del Ministro: “diversa è la condizione di chi opera nello stato di costrizione morale, perché
questa presenta gradi e stadi, che debbono essere presi in varia considerazione e… non si può
disconoscere che la costrizione può raggiungere una intensità e può verificarsi in condizioni tali, da
24
vista l’autore (non punibile) del fatto, che agit, coactus tamen voluit. Agisce
volontariamente per salvare sé o altri, pur con diminuita libertà psichica di
determinazione, ed è l’espressa previsione dell’art. 54 c.p., in conformità agli artt. 110 e
ss. c.p., a rendere punibile il minacciante, quale concorrente “determinatore”111.
Passando al comma 2 c.p., qui si rinviene una esplicita causa di esclusione:
“Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi
al pericolo”112.
I casi ancor oggi tradizionalmente proposti sono quelli del vigile del fuoco, del
poliziotto, della guida alpina, del magistrato e del bagnino: tali soggetti assumono una
posizione di garanzia, che impedisce loro di usufruire della causa di non punibilità, o
perché qualificati dalla legge specificamente periti nel compimento di attività rischiose
(come gli appartenenti alle forze di polizia) o perché hanno volontariamente scelto di
compiere attività più rischiose del normale (come le guide alpine).
L’esclusione dell’operatività per soggetti giuridicamente obbligati ad
esporsi al pericolo trova la sua spiegazione nel fatto che la comunità ha bisogno
che certi soggetti si impegnino ad assolvere determinati servizi 113.
La più alta soglia di tollerabilità del pericolo rispetto all’uomo comune, però, è
strettamente connessa alla funzione della professione, essendo siffatti soggetti tenuti a
tollerare solo il rischio tipico, funzionale all’adempimento della professione114, mentre
potranno comunque appellarsi alla scriminante in occasione di pericoli atipici, diversi da
quelli che sono tenuti ad affrontare115: ad esempio il bagnino non sarà tenuto ad
affrontare le fiamme per salvare i pericolanti.
Si ritiene, infine, che mai l’ordinamento esiga il sacrificio della vita e, pertanto,
anche i soggetti costituiti garanti potranno richiamarsi alla scriminante qualora siano
giustificare la irresponsabilità dell’agente. Questa intensità e queste condizioni sono … riassunte e
identificate nello stato di necessità… Altra ragione è riposta nell’opportunità d’indicare in quale caso lo
stato di necessità può dipendere non da forze brute… ma dal fatto di un terzo”.
Per l’interpretazione di questo comma, cfr. AA.VV., Digesto, cit., pag. 685. Qui il curatore, Mezzetti,
precisa che il co. 3 viene, già de iure condito, interpretato da molti come un’ipotesi scusante di stato di
necessità, come ‘corpo estraneo’ in una visione prettamente oggettiva.
111
Così FIORE, Diritto penale. Parte generale, vol. II, Torino 1995, pag. 343. Inoltre MANZINI, Trattato,
cit., 1981, pag. 417 specifica che il minacciante risponderà anche del delitto di minaccia (artt. 611, 612
c.p.).
112
Una simile esplicitazione era assente nel codice Zanardelli; tuttavia la dottrina evidenziava
un’eccezione alla regola dell’art. 49 n. 3 quando la legge imponesse a determinate persone il dovere
giuridico di affrontare un determinato pericolo, per quanto questo fosse grave ed imminente . Così, era
previsto nel regolamento di disciplina dell’esercito, e nelle disposizioni delle leggi sanitarie, MANZINI,
Trattato, cit., 1920, p. 305.
113
Cfr. GROSSO, Difesa, cit., pag. 229.
114
Cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts, Allgemeiner Teil, 5. Auflage, Berlin, 1997, pag.
486 perché le considerazioni sugli ordinamenti italiano e tedesco potrebbero sul punto essere svolte
parallelamente.
115
ROMANO.-GRASSO, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, sub art. 54, p. 568;
DOLCINI- MARINUCCI, Codice penale commentato, art. 54, cit..
25
esposti a propria volta a rischio quasi certo di morte116.
È opportuno, alla fine dell’analisi della norma, indicare le interpretazioni
offerte dalla dottrina.
Per il più consolidato orientamento dottrinario, lo stato di necessità rappresenta
una causa di giustificazione oggettiva che si fonda sul bilanciamento tra gli interessi in
conflitto117.
La dottrina dominante muove dall’ambiguità del requisito della costrizione, per
esprimere la preferenza per l’impostazione oggettiva, che meglio si armonizza con la
regola dell’art. 59 co. 1 c.p., perché così è estensibile per analogia; si invocano anche
ragioni di coerenza sistematica e parallelismo con la scriminante della legittima
difesa118.
Una corrente minoritaria, sostiene invece che lo stato di necessità rappresenti
una causa di esclusione della colpevolezza fondata sull’inesigibilità di una condotta
conforme al precetto119.
In tale ottica, vengono sottratti alla sfera di applicazione dello stato di necessità
quei conflitti risolvibili in base al bilanciamento di interessi, e inseriti nella categoria dei
“conflitti di doveri”, risolvibili con autonomi criteri. I requisiti della necessità e
dell’inevitabilità altrimenti non mutano significativamente nelle due impostazioni. La
presenza del pericolo, anche in un’ottica soggettiva richiede una certa “serietà”, ossia
un’oggettiva possibilità di verificazione del danno, assumendo particolare rilievo la sua
effettiva percezione da parte dell’agente120. Il requisito dell’attualità non si atteggia
diversamente in questa lettura, ed è peraltro comune alla legittima difesa, che
pacificamente costituisce una giustificazione. La richiesta gravità del pericolo
minacciato in tale ottica assume rilievo particolare: per non scivolare in un eccessivo
ampliamento della gamma di beni tutelabili, è necessario che questi si trovino in stretto
collegamento con la situazione di pressione motivazionale, in modo da far venir meno
un’equa opportunità di agire diversamente; occorre, quindi, un intenso turbamento
motivazionale nell’agente121. Quanto all’involontaria causazione del pericolo,
l’esclusione della scriminante va limitata alle sole ipotesi di causazione intenzionale
della situazione scusante o a quelle nelle quali l’insorgere della situazione sia stata
prevista ed accettata dall’agente122. Quanto alla costrizione, deve sussistere un nesso
causale tra la percezione del pericolo e la reazione dell’agente, fermo restando che il
116
E’ poi molto discusso se la norma sia applicabile quando il soccorso di necessità è attuato a favore del
garante col sacrificio di un terzo estraneo. A favore dell’applicazione sono Romano, Pagliaro, Grosso;
contrario Frosali. Cfr. AA.VV., Digesto penale, 1997, alla voce “Stato di necessità”, pag. 685.
117
In tale corrente si annoverano, ANTOLISEI, Manuale, cit., pag. 305 e ss.; CARNELUTTI, Teoria
generale, cit.; NUVOLONE, Il sistema, cit., pag. 211 e ss.; GROSSO, Difesa, cit.; MANTOVANI, Diritto, cit.;
MOLARI, Profili, cit.; ROMANO, Commentario, cit., pag. 532 e ss.; MARINI, Lineamenti del sistema
penale, Torino, 1993, pag. 393 e ss.; PAGLIARO, Principi di diritto penale. Parte generale, cit., p. 440,
definisce la struttura della scriminante simile a quella della legittima difesa.
118
GROSSO, Difesa, cit., pag. 240 e 254.
119
In tal senso si esprimono, tra gli altri, DELITALA, Il fatto, cit.; DOLCE, Lineamenti, cit.; PISAPIA,
Istituzioni, cit.; VIGANÒ, Stato di necessità, cit..
120
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 581 e ss.
121
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 586 e ss.
122
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 591.
26
soggetto può agire anche con freddezza e razionalità123. La proporzione si configura
come comprensibilità etico-sociale del fatto, alla luce della capacità di resistenza di
fronte ai pericoli che si può ragionevolmente attendere da un individuo medio124: è cioè
un criterio di valutazione della congruità della reazione di fronte alla qualità, alla gravità
e all’imminenza del pericolo.
Quanto al soccorso di necessità, si ritiene che l’inesigibilità di un
comportamento conforme al precetto sia da valutarsi di volta in volta, e non c’è motivo
per negare un giudizio individualizzato quando l’aiuto sia stato prestato ad un
estraneo125.
Quando non sia possibile pervenire ad una ponderazione oggettiva degli interessi
collidenti, alcuni126 ritengono che a fondare l’esclusione della pena concorrano motivi di
opportunità. In questa ricostruzione l’art. 54 c.p. assume le vesti di una norma nella
quale si individuano più cause di non punibilità a seconda dei canoni di riferimento127.
In altre parole, la norma in esame sarebbe ambivalente, e, per la sua applicazione,
occorrerebbe prima individuare la logica che presiede la situazione necessitata, e solo
poi farne discendere coerentemente le conseguenze. Tale prospettiva, per quanto
affascinante, rischia di essere foriera di incertezza sul piano delle conseguenze
sistematiche128.
Si è poi offerta una originale ricostruzione sul presupposto che la normazione
unitaria debba essere il punto di partenza, e che ci si debba attenere ad
un’interpretazione unitaria della disposizione, percorrendo una terza via per salvare
ciascuna delle due anime dello stato di necessità senza rinunciare completamente
all’altra129. In tale prospettiva l’art. 54 c.p. viene classificato nella categoria delle
‘scriminanti’, cioè cause di non punibilità ad efficacia complessiva, caratterizzate
dalla contemporanea presenza di elementi oggettivi ed elementi soggettivi. Tale
categoria, nella teoria del reato, trova la sua collocazione a metà strada tra le
giustificanti oggettive e le scusanti soggettive130. Le condotte sono decriminalizzate
123
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 594.
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 596 e ss..
125
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 599.
126
FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 509 e ss.; FIORE, Diritto penale, cit., pag. 334 e ss..
127
CADOPPI-VENEZIANI, Manuale di diritto penale, Padova, 2005, p. 279, sembrano aderire alla dottrina
che distingue due ipotesi di stato di necessità: giustificante se si salva l’interesse prevalente, scusante se si
ricorre al principio di inesigibilità.
128
La scriminante, in tale prospettiva, talvolta andrebbe considerata valida anche se ignorata, talaltra
operante solo se conosciuta; talvolta operante solo se tra i beni in conflitto uno prevale, talaltra al di là di
detto limite.
129
MEZZETTI, “Necessitas non habet legem”? Sui confini tra ‘impossibile’ ed ‘inesigibile’ nella struttura
dello stato di necessità, Torino, 2000.
130
Le prime sono invocabili per la salvaguardia, tra due interessi confliggenti, di quello prevalente; il
risultato finale dell’azione dà un saldo sociale attivo, poiché è stato tutelato l’interesse superiore; il fatto è
conforme all’ordinamento e quindi vale per tutti i suoi rami; la giustificazione è comunicabile ai
concorrenti. Esempi ne sono l’art. 52 c.p. ed il § 34 StGB. Le seconde, ancora non chiaramente
individuate, comportano in duplice affievolimento dei disvalori, sia sul piano oggettivo che su quello
soggettivo: ma la non punibilità è legata al notevole affievolimento del disvalore di condotta per
comportamenti non riprovevoli compiuti in un contesto condizionante l’umana volontà. Sono ipotesi
individualizzanti per le quali si opera un giudizio più sull’autore che sul fatto. Tali cause sono invocabili
in tema di errore. MEZZETTI, Necessitas, cit..
124
27
dalla contemporanea presenza di requisiti oggettivi e soggettivi. Alla fine non c’è un
saldo attivo, né una completa neutralizzazione del disvalore di condotta e delle
conseguenze: i fattori di neutralizzazione intervengono tanto sull’offensività della
condotta necessitata, quanto sulla riprovevolezza della situazione necessitante, e
possono presentarsi alternativamente nell’uno e nell’altro modo. Si concede, in questi
casi, la non punibilità del fatto in sede penale, mentre la responsabilità del soggetto resta
intatta in sede extrapenale. Queste sono tutte ipotesi riconducibili alla necessità come
costrizione, e si contano, oltre all’art. 54, anche gli artt. 242 e 384 c.p.
Tale ricostruzione, anche se crea una nuova categoria di cause di non punibilità,
presenta almeno due notevoli vantaggi: salva entrambe le anime dello stato di necessità,
e, nel contempo, permette di conoscere preventivamente le conseguenze sistematiche
della condotta: ad esempio è già chiaro ex ante che l’azione non subisce sanzioni penali
ma che residua spazio per conseguenze sanzionatorie in altri rami dell’ordinamento.
5 Le altre ipotesi di ‘necessità’ regolate dal codice. Cenni
Altre previsioni nella parte speciale del codice richiamano il tema ananchico,
ammettendo il ricorso ad azioni determinate che valgano ad allontanare il pericolo, ma
soltanto certe azioni determinate. Ad es. l’art. 384 c.p. (Casi di non punibilità), l’art. 242
c.p. (cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano), l’art. 638 c.p. (uccisione o
danneggiamento di animali altrui) fanno riferimento alla necessità intesa come
costrizione e dichiarano la non punibilità di alcuni determinati reati; ci sono poi le
ipotesi previste dagli artt. 307 co. 3 (assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda
armata) e 418 co. 3 c.p. (assistenza agli associati) che sembrano richiamare
l’inesigibilità di un contegno diverso.
In particolare, l’art. 384 c.p. prevede la non punibilità per chi ha commesso uno
dei delitti contro l’amministrazione della Giustizia indicati131, perché “costretto dalla
necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave nocumento nella libertà o
nell’onore”. Di regola il reato perpetrato per la necessità relativa di sottrarsi
all’esecuzione della legge penale non è giustificato né scusato, nondimeno esistono (ed
esistevano132) casi in cui chi agisce a propria salvezza nelle suddette condizioni è
completamente giustificato: così era disposto per la falsità in giudizio anche in una
norma che rappresenta un antecedente storico di quella attuale, l’art. 215 n. 1 del codice
131
I reati scriminati sono quelli previsti dagli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 371 ter,
372, 373, 374, 378 c.p..
132
Andava infatti esente da pena chi deponeva il falso in giudizio quando manifestando il vero avrebbe
esposto inevitabilmente sé medesimo o un prossimo congiunto a grave nocumento nella libertà o
nell’onore, sempre che la falsa deposizione non esponesse un’altra persona a procedimento penale o a
condanna. Esente da pena sulla base dell’art. 225 c.p. era anche chi avesse aiutato il prossimo congiunto
ad eludere le investigazioni dell’autorità o a sottrarsi alle sue ricerche o all’esecuzione della condanna, o
avesse soppresso o alterato le tracce di un delitto, sempre che le azioni commesse non costituissero altra
specie di reato. Sono fattispecie di favoreggiamento personale. Anche all’attuale art. 378 c.p. è applicabile
l’esimente dell'art. 384. Tali norme per l’opinione comune erano ritenute ipotesi di stato di necessità,
dettate per ragioni non difformi da quelle fondanti la norma generale. Si è visto infatti che l’art. 49 n.3 era
una causa di non punibilità fondata sulla non opportunità di muovere un rimprovero all’agente; la ragione
che portava alla non punibilità nelle ipotesi degli artt. 215 e 225 era un particolare bilanciamento di
interessi, operato una volta per tutte dal solo legislatore, cui non faceva necessariamente seguito una
dichiarazione di piena conformità del fatto al diritto.
28
Zanardelli133.
L’attuale formulazione dell’art. 384 c.p. contempla un conflitto tra beni
eterogenei: da un lato l’interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia,
dall’altro quello privato alla salvaguardia di onore e libertà; denota inoltre alcuni
caratteri differenziali rispetto a quella dell'art. 54 c.p.: innanzitutto si parla di
nocumento; poi si prescinde dal requisito di non volontarietà del pericolo; ed infine si
ha riguardo agli interessi della libertà e dell’onore134. Rileva, in argomento, chiarire se
siano solo differenze stilistiche o se non sottendano invece questioni sostanziali,
connesse alla ratio della norma. Parte della dottrina135 sostiene che il “nocumento”
comporti una valutazione in termini di ‘probabilità’, che è qualcosa di più rispetto alla
‘possibilità’ che integra il pericolo cui fa riferimento l’art. 54; radicalizzando la
diversità, altri136 sostengono che non sia sufficiente un evento di pericolo come per l’art.
54, ma che sia richiesto un evento di danno, quindi un effettivo nocumento.
Rispetto alla pur volontaria causazione del pericolo137 e al diverso bene giuridico
tutelato138, qui rappresentato da libertà e onore, si sostiene che non ci si trova dinnanzi
ad un’ipotesi speciale di stato di necessità, perché la norma non contiene in sé
indistintamente tutti gli elementi della norma generale con qualcosa di specializzante in
più. Pertanto, vi è chi conclude in favore di una ratio “tutta e solo basata sul principio
dell’inesigibilità di un comportamento diverso come causa di esclusione della
colpevolezza”139. In questa prospettiva, una dimensione oggettiva viene recuperata col
riferimento alla sola gravità del danno: questo requisito impedisce l’applicazione
dell’esimente sulla base di ciò che il singolo ritiene esigibile con una mera valutazione
personale, dovendosi invece guardare alle conseguenze sanzionatorie applicabili in
concreto o al pericolo effettivo per l’onore o la libertà dell’agente (o del suo
congiunto)140.
Sul piano sistematico, si rileva che l’esimente opera solo se il soggetto si sia
rappresentato l’esigenza di compiere il fatto tipico a salvamento degli interessi tutelati
dalla norma e se sia stata tale consapevolezza a spingerlo all’azione; che la causa di non
punibilità non si estende ai concorrenti; infine che il risarcimento deve coprire l’intero
danno cagionato, e non essere corrisposto come indennità forfettaria141.
La dottrina dominante è invece di diverso avviso, perché ritiene che la
disposizione venga ad incidere, escludendola, sull’antigiuridicità del fatto. In questa
prospettiva si è dinnanzi ad un’ipotesi speciale di stato di necessità e proprio in virtù del
133
In altri casi, invece, l’agente era soltanto scusato, come nella violenza e resistenza all’autorità, art. 190
u.c. c.p., per cui per un fatto diretto a sottrarre all’arresto se stesso o un prossimo congiunto è comminata
una pena minore rispetto a quella prevista dai precedenti commi; e nella subornazione di testimoni, art.
219 c.p., in base al quale è minore la pena se colpevole del delitto è l’imputato o un suo prossimo
congiunto, purchè non abbia esposto un’altra persona a procedimento penale o a condanna.
134
MAZZONE, Lineamenti della non punibilità ai sensi dell’art. 384 c.p., Napoli 1992, pag. 109 e ss. per il
significato dei singoli elementi costitutivi delle disposizioni dell’art. 384 c.p.
135
BATTAGLINI, Diritto penale. Parte generale, 3° ed., Padova, 1949, pag. 331, nota 2.
136
CRESPI-STELLA- ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, Padova 2001, art. 384, pag. 1292.
137
Sent. Co. Cass. del 5 ottobre 1973, in Cass. Pen. 1976, pag. 672.
138
Sent. Co. Cass. del 30 giugno 1975, in Cass. Pen. 1977, pag. 65.
139
SUCHAN, Stato di necessità e cause di non punibilità ex art. 384, in Cass. Pen., 1977, pag. 65.
140
SUCHAN, Sui rapporti tra l’art. 54 e l’art. 384 c.p., in Cass. Pen., 1976, pag. 672.
141
MAZZONE, Lineamenti, cit., chiarisce che la struttura della norma è soggettiva e che il concetto di
inesigibilità permea di sé l’interpretazione della stessa.
29
rapporto di specialità si possono estendere l’estensione all’art. 384 c.p. i requisiti
previsti dall’art. 54 c.p..
Anche in questi frangenti la necessità implica che l’agente non possa agire
altrimenti per evitare il nocumento, che per specifica richiesta di legge deve presentare i
connotati della gravità. Se il nocumento da evitare fosse di lieve entità, infatti, l’autore
risponderebbe ugualmente del reato commesso142. Elemento specializzante rispetto alla
norma generale è la restrizione del soccorso di necessità ai soli prossimi congiunti143.
Altri requisiti non espressi vengono traslati dalla disposizione generale;
l’inevitabilità altrimenti esige che il pregiudizio minacciato non possa evitarsi che con
una azione che di regola costituirebbe reato; affine è il bene giuridico tutelato, e perché
l’espressione dell’art. 54, intesa nel senso di pregiudizio ai beni della persona, viene a
ricomprendere la libertà e l’onore, e perché nell’art. 384 si deve a fortiori ritener
compreso il danno alla vita e all’integrità fisica. Il requisito della proporzione viene
ritenuto implicito secondo alcuni144, secondo altri superfluo perché il conflitto
eccezionalmente è già stato risolto dal legislatore145.
Per quanto riguarda il fondamento della norma, si è detto che la previsione
rappresenta un conflitto solo teorico tra interessi pubblici e privati, poiché è il
legislatore a risolverlo preventivamente col dare la prevalenza ai secondi, considerando
di valore preponderante i vincoli affettivi e parentali146: a ben vedere la prevalenza non
si dà sulla base di un bilanciamento, essendo gli interessi eterogenei e quindi non
ponderabili, ma perchè il soggetto non può essere motivato secondo norme, sicché una
sanzione sarebbe priva di qualsiasi capacità di dissuasione preventiva. In questo caso il
disvalore dell’illecito rappresentato dalla condotta viene solo affievolito dalla necessità,
e quindi, se da un lato l’azione non è comunque meritevole di pena, dall’altro residua
una responsabilità extrapenale dell’agente. Anche per tale fattispecie si è in presenza,
quindi, di una terza categoria di cause di esclusione della punibilità147.
In conclusione, può convenirsi che la norma in esame sia accostabile a quella
dell'art. 54 c.p.148, ad esso legata in una rapporto di specie a genere, essendo identica la
142
MUSOTTO, Corso di diritto penale. Parte generale, Palermo, 1960, pag. 268.
Per l’elenco tassativo di chi sia ‘prossimo congiunto’ si veda la norma definitoria dell’art. 307 co. 2
c.p.
144
ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, II, Milano, 2000, pag. 500.
145
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 101.
146
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 99.
147
Sempre nella originale ricostruzione di MEZZETTI, Necessitas, cit., potendosi constatare un
affievolimento non totale del disvalore del fatto, ed una solo parziale neutralizzazione delle conseguenze
del fatto stesso, con un residuo di responsabilità extrapenale per l’agente.
148
Contra MAZZONE, Lineamenti, cit., pag. 70 e ss.. L’autore individua due ratio differenti tra le
disposizioni dell’art. 54 e l’art. 384 c.p., che fondano la diversità di funzione delle norme all’interno
dell’ordinamento. L’autore ritiene che la scomposizione dell’art. 54 in due fattispecie non sia
un’operazione consentita allo stato attuale della legislazione, per la piena coincidenza degli elementi della
fattispecie nelle due ipotesi. Le due norme sono quindi espressione di due diverse eigenze di politica
criminale: l’art. 54 strutturato su una forma di bilanciamento oggettivo degli interessi e di proporzione tra
l’interesse leso e quello tutelato; l’art. 384 strutturato sulla base di un abbassamento della pretesa
legislativa in ordine allo sforzo di adeguamento richiesto ai consociati. Anche se in ipotesi potrebbe
ritenersi cumulabile l’applicazione delle due norme, essa tuttavia non risulta corretta, perché le due norme
stanno in rapporto di specialità parziale in relazione ai beni tutelati rilevanti: quindi l’applicazione
dell’art. 54 trova il solo limite di applicazione, in relazione alle fattispecie incriminatrici considerate, nella
143
30
situazione psicologica dell’agente considerata dalla legge149 .
Più agili sono le considerazioni sull’art. 242 co. 2 c.p., che prevede la non
punibilità del cittadino italiano che, trovandosi durante le ostilità nel territorio dello
Stato nemico, ha portato le armi contro lo Stato italiano per esservi stato costretto da un
obbligo impostogli dalle leggi dello Stato medesimo150.
Il fondamento della norma si rinviene, per la quasi totalità della dottrina151,
nell’elisione dell’antigiuridicità. Anche tale fattispecie può rappresentare una figura
speciale di stato di necessità152 dettato dalla particolare considerazione prestata alla
situazione in cui si trovano in alcuni Paesi i nostri connazionali emigrati che vengano ad
avere doppia cittadinanza. La costrizione necessitante si radica nel fatto che il soggetto
si trova nell’impossibilità di sottrarsi all’obbligo senza correre il pericolo di un danno
grave alla persona153.
Anche in tale caso, si può accedere alla logica della necessità scriminante154
considerando la norma come un altro esempio inquadrabile nel paradigma del conflitto
di doveri normativamente composto, fondato sulla supremazia di uno dei doveri in
collisione, stabilita preventivamente dal legislatore.
Altre ipotesi da considerare sono quelle previste dagli artt. 637 (Ingresso abusivo
nel fondo altrui: “chiunque senza necessità entra nel fondo altrui recinto …”) e 638 c.p.
(Uccisione o danneggiamento di animali altrui: “chiunque senza necessità uccide …
animali che appartengono ad altri è punito …”). Il requisito oggettivo della necessità
presente in queste disposizioni non equivale allo stato di necessità come prospettato
all’art. 54 c.p., anche perché, se così fosse, la dicitura legislativa sarebbe superflua. La
necessità qui presa in esame è costituita da qualsiasi motivo che, secondo il giudizio
disposizione dell’art. 384. Ma se questa non trova applicazione trattandosi di tutela di un bene attinente
alla persona diverso da libertà ed onore, ecco che si riespande l’applicabilità della disposizione dell’art.
54.
149
Contra anche FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, pag. 355. L’autore sostiene
che, così facendo, si provoca una illogica duplicazione di norme a contenuto praticamente identico in
contrasto con esigenze di economia legislativa e si ricostruisce l’art. 384 sulla base di una interpretazione
analogica in malam partem; inoltre non coincide la considerazione delle conseguenze: nel caso dell’art.
384, dottrina e giurisprudenza non hanno dubbi sul fatto che si tratti di una causa assolutamente personale
di esclusione della punibilità. In coerenza con ciò, si deve decisamente recidere il cordone ombelicale con
lo stato di necessità così come regolato dal nostro codice essendo la norma dell’art. 384 una scusante
fondata sul principio di inesigibilità., che diverrebbe superflua se il nosstro orddinamento prevedesse
un’ipotesi di stato di necessità scusante.
150
Vale segnalare lo scarsissimo rilievo pratico della stessa. Le uniche applicazioni in concreto
riguardano casi di altoatesini che, in conseguenza dell’occupazione bellica della regione, perduta la
cittadinanza italiana ed acquistata quella tedesca, erano stati coattivamente arruolati nelle forze armate del
Reich, ed in seguito, accusati del reato di cui all’art. 242, si erano appellati al co. 2, evitando così
l’irrogazione della sanzione. Cass. pen, sez. II, sent. 13 maggio 1955, Moroder, in Riv. It. Dir. Pen. 1956,
pag. 676
151
MARINUCCI-DOLCINI, Codice penale commentato, cit., cita Chiarotti come unica voce che riconduce la
norma nell’alveo della colpevolezza, vedendovi un’ipotesi di non esigibilità. Anche FORNASARI, Il
principio, cit., pag. 359 concorda con l’indirizzo della dottrina tradizionale.
152
Rimane ancorata ad un momento di elisione dell’antigiuridicità anche l’opinione che vede in questo un
caso speciale di adempimento del dovere.
153
ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 554.
154
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 99 e pag. 120.
31
della comunità locale, giustifica l’ingresso nel fondo altrui, se ha un valore sociale
maggiore del pregiudizio minimo arrecato155. Il tutto quindi si gioca sul bilanciamento
degli opposti interessi, senza nessuna limitazione dei diritti tutelabili. La necessità può
anche semplicemente essere relativa a particolari contingenze, quindi rivolta ad evitare
un pericolo imminente o ad impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente
apprezzabile non solo alla persona propria o altrui, ma anche ai beni, se tale danno non
sia altrimenti evitabile156.
Si individua, quindi, concetto di necessità più ampio e diverso rispetto a quello
dell’art. 54 c.p., per la speciale natura dei delitti ed il loro specifico oggetto materiale157.
Non c’è invece alcun richiamo generico alla necessità per le cause di non
punibilità degli artt. 307 co. 3 e 418 co. 3 c.p.. La prima norma richiamata sancisce la
non punibilità per il reato di assistenza ai partecipanti di cospirazione o banda armata se
il fatto è commesso “in favore di un prossimo congiunto”; similmente la seconda per il
reato di assistenza ad associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso.
Occorre perciò concludere che in questi casi il rapporto di parentela non pare assumere
importanza nella formazione anomala del processo volitivo, ma viene ad operare in
modo meccanico per l’esenzione da pena, che quindi ha il suo fondamento in mere
ragioni di politica criminale158. Si può aggiungere che l’assistenza ai familiari ben
potrebbe essere prestata per ragioni diverse dal vincolo interpersonale, come ad esempio
per motivi di interesse159.
6 Casi tipici e ipotesi problematiche
Come già detto, lo scarso rilievo pratico della norma riguardante lo stato di
necessità ha indotto i filosofi a precedere i giuristi nello studio della questione160. Per il
vero, dalla semplice lettura di antichi episodi ci si rende conto che le ipotesi
prospettabili sono varie ed eterogenee161, ma rischiano di apparire troppo lontani nel
155
ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 419.
Ad es. venne esclusa la sussistenza del reato per l’uccisione di un grosso cane che introdottosi in un
pollaio, ne aveva mangiato i polli e assalito il proprietario
157
Vedi CRESPI-STELLA- ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, Padova 2001, artt. 637 e 638.
ANTOLISEI, Manuale, P.s., cit., pag. 435. Cfr. anche Cass. 28 ottobre 1997, in Riv. Pen. 1998, 349.
158
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 102.
159
FORNASARI, Il principio, cit., pag. 358, invece, aggancia il motivo dell’esenzione ad uno stato di
turbamento meritevolmente comprensibile. Anche se la cooperazione può avvenire per motivi di
interesse, il legislatore presume che il vincolo di parentela sia un motivo che esclude l’esigibilità di un
comportamento conforme alla norma.
160
Cicerone riferiva che il testo di un filosofo sconosciuto ai più, Ecatone, era “pieno di questioni relative
al condursi nelle varie contingenze” e fra queste ricordava “l’alternativa di lasciar perire d’inedia i
concittadini o consumare per sovvenirli i viveri accumulati, per far superare alla famiglia il pericolo di
carestia; di far getto in tempo di burrasca di un cavallo prezioso o di un vil servo; di annegare o
strappare ad un compagno di naufragio di poco conto la tavola che lo sostiene; di denunciare il padre
sacrilego, peculatore o aspirante alla tirannide o venir meno ai doveri di magistrato e di cittadino; di
sottostare alla perdita derivante dall’aver accettata moneta falsa per buona od ingannare altrui; di
esporsi a quella dall’attitudine a guastarsi, che ha il proprio vino od esporvi altri, vendendolo ad essi”.
PESSINA, Enciclopedia, cit., pag. 159 in nota
161
Il Manzini offre una multiforme casistica di vicende che, pur storicamente avvenute, per il lettore di
oggi hanno il sapore di “leggende” al limite tra realtà e fantasia, e lo fanno inorridire per la tragicità degli
avvenimenti narrati. Tra i più atroci fatti compiuti in stato di necessità ricorda che sotto l’imperatore
156
32
tempo e dalla realtà162. Invero sono di altra specie sono le questioni che, al giorno
d’oggi, approdano nei tribunali.
Nella pratica molte volte si pone il problema della liceità e/o doverosità di un
trattamento sanitario necessario per salvare la vita di un paziente in presenza del
dissenso di costui. La drammaticità della fattispecie esige una chiara delimitazione di
confine tra l’area del lecito e quella dell’illecito: chi si trova ad operare in tali frangenti
deve sapere preventivamente se e a quali condizioni debba o possa intervenire.
Si tratta di decidere se è presente un dovere di intervento, cosicché la situazione
integra un conflitto di doveri163, inquadrabile per la dottrina maggioritaria quale
Diocleziano i soldati germani di una legione romana, non volendo più militare in Gran Bretagna, si
ribellarono e, uccisi i capi dell’esercito, si diede alla fuga per mare. Ma due delle navi salpate si
smarrirono e colore che erano a bordo, costretti dalla fame, uccisero e mangiarono i più deboli.
Similmente accadde nel 1518 per gli sfortunati viaggiatori di due galee percosse dalla tempesta: chi
sopravvisse alla burrasca per non morire di fame si cibò dei compagni morti. Di fronte ad una scelta
tragica si trovò anche il luogotenente Holmes che, nel 1881, gettò in mare sedici sventurati per salvare gli
altri evitando l’affondamento della scialuppa pericolante. O ancora ricorda i noti naufraghi della
Mignonnette, che dopo diciotto giorni alla deriva, prossimi a morire di fame e sete, deliberarono di
uccidere il mozzo per sostentarsi, bevendone il sangue e cibandosi delle sue carni fino al ventiquattresimo
giorno di naufragio. Raccolti poi da una nave e portati in salvo, arrivati a terra furono processati e
condannati a morte da una giuria inglese; ma la regina commutò la pena in sei mesi di prigionia. Sposta
poi lo scenario in Russia, dove due fratelli che vivevano isolati lungo le sponde di un fiumicello, stremati
dalla fame uccisero la sorellina e se ne cibarono. All’autore del fratricidio, scoperto, non valse addurre lo
stato di necessità, e venne condannato a tredici anni di lavori forzati. E infine riferisce di un episodio nelle
Ande: tra i monti impervi a quattro escursionisti vennero a mancare le vivande; allora tre dei “famelici”
viandanti uccisero il quarto e mangiarono le sue carni; furono sottoposti a giudizio dall’autorità argentina,
ma è sconosciuto il verdetto finale. Era il 1927. Conclude rammentando i “fatti di feroce e micidiale
egoismo avvenuti in occasione di teatri affollati, terremoti, ecc.”. MANZINI, Trattato, cit., pag. 400 in
nota.
162
Vale comunque la pena di ricordare almeno alcuni dei topoi ricorrenti, che servono alla dottrina per
capire i principi sottesi allo stato di necessità: si fa spesso l’esempio dei due naufraghi che, nel mare in
tempesta, lottano per accaparrarsi l’unica tavola che può, però, sostenere solo uno dei due; dello scalatore
che, accortosi che la corda sta cedendo per il peso eccessivo, la recide facendo cadere nel vuoto il
compagno; dell’escursionista che, sorpreso nottetempo da una bufera, scardina la porta di una baita per
trovarvi rifugio; del genitore che, in una situazione di pericolo, può salvare solo uno dei due figli. Del
proprietario dell'edificio in fiamme che s’introduce nel fondo vicino per attingere acqua al pozzo; del
proprietario dell’edificio vicino al fabbricato in fiamme, che lo abbatte per scongiurare il diffondersi
dell’incendio alla propria abitazione. Di chi, inseguito dai malviventi, ruba una bicicletta per guadagnare
terreno nella fuga per la salvezza; del malato che, non potendo permettersi di pagare, ruba un medicinale
fondamentale per la sua vita; di chi uccide il cane rabbioso che gli ringhia contro; del bagnante che ruba
una barca che si trova sulla spiaggia per soccorrere uno sventurato che sta annegando. Del medico che
supera i limiti di massima velocità per soccorrere un paziente gravemente ferito; di chi sottrae le chiavi
della macchina all’ubriaco per evitare che si metta in quelle condizioni alla guida del suo veicolo; della
divulgazione dello stato infettivo di un paziente per evitare che il contagio si diffonda; della reclusione
del malato di mente per evitare che, nei suoi eccessi furiosi, sia pericoloso per sé e per gli altri Di chi
uccide il padre ubriacone e violento perché cessi di essere un pericolo per madre e sorella. Tipico caso
divenuto di scuola ma realmente accaduto è il c.d. caso Spanner: accadeva che, nottetempo, uno
sconosciuto ripetutamente s’introduceva nella camera da letto di due sposi. I due erano spaventati ed
intimoriti dalla cosa; allora una notte, per tentare di fermarlo, il marito estrasse la pistola e sparò ferendo
il guardone che, vista la mala parata, si stava già dando alla fuga. Gli fu riconosciuto lo stato di necessità
scusante, perché nel pericolo perdurante venne riconosciuto un pericolo attuale.
163
BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, in Cass. pen., 2000, 6, 1832.
33
sottospecie dello stato di necessità giustificante164. Ma, affermando in linea di principio
il divieto di trattamenti coattivi165, si potrebbe comunque riconoscere l’efficacia
scriminante dello stato di necessità166.
In un paio di occasioni nel nostro ordinamento si è chiamato in causa lo stato di
necessità come norma fondante il potere, in capo all’autorità penitenziaria, di alimentare
forzatamente il detenuto in sciopero della fame.
Una prima vicenda si verificò alla fine del 1981 presso il carcere milanese di San
Vittore: cinque detenuti in attesa di giudizio, affiliati alle Brigate Rosse, iniziarono uno
sciopero della fame167. Per alcuni venne attuata una terapia di alimentazione forzata,
rinvenendone il fondamento nell’art. 54 c.p.: attesa la necessità di impedire che i
detenuti si lasciassero morire, nel caso di specie il trattamento venne ritenuto legittimo
anche come t.s.o. ex art. 34 l.833/1978. Ma non solo, il g.i. ipotizzò che l’alimentazione
forzata fosse doverosa e la Corte d’Appello, ribadendo che il digiuno è frutto di una
scelta libera, volontaria e cosciente del detenuto, avvallava il ricorso all’alimentazione
forzata. Anche l’allora Ministro della giustizia autorizzò la terapia, mentre il Presidente
del consiglio, invitando i medici ad attuare la direttiva per difendere la vita, “ricorrendo
lo stato di necessità…, anche contro la volontà del cittadino che cerchi il suicidio”,
subordinava comunque il trattamento obbligatorio “alla libera esecuzione dei medici
responsabili”. Ma di fatto i medici non diedero esecuzione alla direttiva del Ministro e
la vicenda si risolse con l’ammissione al lavoro esterno dei detenuti, lasciando insoluti i
nodi problematici emersi dai diversi provvedimenti168.
Una vicenda analoga si svolse di lì a poco nel carcere di Venezia: ad un detenuto
in gravi condizioni di salute dovute allo sciopero della fame protratto per quasi due
mesi, venne concessa la libertà provvisoria169, non ritenendo l’alimentazione forzata
strada praticabile poiché, si diceva in motivazione, il t.s.o. era destinato solo ai malati di
mente, e, nel caso di un soggetto che liberamente aveva scelto di non nutrirsi, era anche
contraria al “rispetto della dignità della persona”. L’ordinanza venne però riformata,
anche perché era “fin troppo evidente … la prevalenza che si deve accordare ai due
beni costituzionalmente protetti”. All’imputato, nonostante fosse stata praticata
l’alimentazione forzata, vennero in fine concessi gli arresti domiciliari per il permanere
di una grave sindrome ansioso-depressiva.
In argomento, si esclude che l’intervento statale possa basarsi su poteri coattivi
dell’amministrazione penitenziaria, perché il detenuto sottostà alle sole limitazioni dei
suoi diritti fondamentali espressamente previste dalla disciplina penitenziaria, e quindi
continua a godere di tutti gli altri diritti, compreso quello di rifiutare i trattamenti
164
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365 e MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 90 e ss.; contra
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 475.
165
PALERMO FABRIS, Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale; profili problematici del
diritto di autodeterminazione, Padova, 1997, pag. 201, esclude la sussistenza di un obbligo di agire del
sanitario in presenza del dissenso ddel paziente capace. BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, ,
in Cass. pen., 2000, 6, 1860.
166
Giustificante se la condotta può ritenersi comunque facoltizzata, solo scusante se, invece, l’azione può
solo essere tollerata.
167
Si vedano le numerose ordinanze pubblicate in Foro it., 1983, II, pag. 241 e ss., 254 e ss., 258; e in
Quaest. Giud., 1982, pag. 309, 314, 317, 326.
168
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 5.
169
Trib. Padova, ord. 2 dicembre 1982 (g.i. Palombarini, imp. Cerica), in Foro it., 1983, II, pag. 252.
34
sanitari coattivi. Per giustificare l’intervento statale sembrerebbe percorribile la strada
dello stato di necessità170: allorquando le condizioni degli scioperanti facciano presagire
il pericolo attuale di morte degli stessi, l’alimentazione forzata costituisce il mezzo
necessario e non sostituibile per evitare l’esito infausto, attesa la prevalenza del benevita (indisponibile) sulla libertà morale ed integrità fisica.
Tuttavia, la significativa valenza del principio di autodeterminazione
dell’individuo, nonché la rilevanza costituzionale del rispetto della dignità umana,
hanno indotto la dottrina ad escludere la legittimità e la doverosità dell’alimentazione
forzata171, anche se all’atto pratico non si esclude il ricorso alla scriminante per i
soggetti che, pur in assenza di un dovere di intervento, si siano adoperati in tal senso al
fine di salvare una vita.
Frequenti sono poi i casi di testimoni di Geova che rifiutano trattamenti
emotrasfusionali per rispettare il divieto biblico di consumare ogni sorta di sangue172. Il
problema della praticabilità della trasfusione nonostante il dissenso del paziente si pone
quando questi sia adulto e pienamente cosciente delle conseguenze derivanti dalla sua
decisione173 ovvero sia un minore e il rifiuto sia opposto dai genitori o da chi ne fa le
veci174. Il rifiuto di trasfusione, oltre che per motivi religiosi, potrebbe essere motivato
anche dal timore, più o meno fondato, di infezioni da HIV, epatiti e altre malattie
emotrasmissibili.
In tali circostanze non è certo configurabile, in capo al medico, un diritto
soggettivo di praticare la terapia175, poiché il trattamento medico-chirurgico può essere
legittimamente praticato solo col consenso del paziente176; se questi è incapace o
temporaneamente impossibilitato a prestarlo, perché, ad esempio, in coma o sotto
anestesia, un intervento del medico sarà possibile solo in caso di assoluta urgenza, nei
170
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 8.
In Quaest. Giud., 1982, si vedano i commenti della vicenda di ONIDA, Dignità della persona e diritto
di essere malati, pag. 361; PULITANÒ, Sullo sciopero della fame di imputati in custodia preventiva, pag.
317. Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 202, che esclude in questi casi il ricorso allo
stato di necessità perché non si versa in situazioni di emergenza in cui il rifiuto appare irragionevole e non
c’è tempo per intraprendere il processo formativo di una volontà consapevole: il rifiuto della terapia è
fondato su un convincimento politico, che pare consapevole, ponderato, e frutto di una scelta razionale e
precisa.
172
Secondo PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 202 anche in questi casi è da escludersi un
ricorso all’art. 54, perché il rifiuto della terapia è fondato su un ragionevole convincimento religioso;
affronta il problema specificatamente a pag. 208 e ss., affermando il divieto per il medico di imporre
qualsiasi trattamento coattivo e l’insuperabilità della volontà del paziente capace, anche se in pericolo di
vita, in linea con quanto sancito dal Comitato Nazionale di Bioetica nel codice di deontologia medica del
1989 all’art. 40. La presenza di un saldo convincimento religioso consente di riconoscere l’esistenza di un
dissenso pienamente convinto anche nelle situazioni di emergenza.
173
Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 173 sul dissenso dell’avente diritto.
174
Cfr. PALERMO FABRIS, Diritto alla salute, cit., pag. 243 sul trattamento quando il paziente sia un
minore.
175
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 11; cfr. Pret. Modica, 13 agosto 1990, in Foro it., 1990, I, pag. 271, che
interviene con ordinanza ex art. 700 c.p.c.. e, nel contempo, Pret. Roma 2 aprile 1997, De Vivo, in Cass.
pen., 1998, pag. 950 che ha rtenuto che il consapevole rifiuto della terapia da parte del paziente avesse
fatto venir meno l’obbligo di impedirne la morte
176
Perché ogni intervento comporta una lesione personale; si veda il ‘caso Massimo’: Cass. 21 aprile
1992, in Riv .it. med. leg., 1993, pag. 460.
171
35
limiti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.177. Si ipotizza quindi il ricorso allo stato di
necessità per giustificare il tentativo di salvare in extremis con un intervento chirurgico
un paziente in coma, o l’amputazione di una gamba per evitare una cancrena al paziente
incapace di consentire; o l’esecuzione, durante un intervento consentito, di un ulteriore
intervento, anche su un altro organo, senza il consenso del paziente che si trova sotto
narcosi178.
Di contro, in presenza di un rifiuto179 da parte del malato di intervento vitale
l’opinione che resta maggioritaria nega la legittimità dell’intervento stesso, lasciando il
malato deve restare il solo “arbitro del proprio destino”180. Non manca tuttavia chi,
anche in questi casi, ritiene che, ricorrendo gli estremi dello stato di necessità, il medico
sarebbe comunque autorizzato ad eseguire l’intervento181, sempreché la situazione di
emergenza non consenta di formare una volontà consapevole182, e ferma restando
l’irrilevanza del rifiuto se il pericolo incombe su di un bene indisponibile183, come nel
caso di intervento quoad vitam.
In definitiva, può dirsi che l’intervento può essere eseguito se risulta
proporzionato alla salvaguardia della vita del paziente184, anche se, così dicendo, si
rende evidentemente che la soluzione giuridica del conflitto riposa sull’individuale
intuizione del singolo giudice circa l’atteggiarsi del rapporto tra i valori nella situazione
in esame. E quindi giudici diversi potrebbero pervenire, di fronte a casi analoghi, a
decisioni diverse, tutte egualmente corrette185.
Per risolvere il conflitto, quindi, si deve ricorrere a criteri extragiuridici. Questi
potranno venire da ‘valori morali’186 o dalla visione culturale dominante; oppure ci si
177
RIZ, Trattamento medico e cause di giustificazione, pag. 77 e ss.. Ci sono altre linee per giustificare la
condotta del medico interveniente: vedere nel fatto un fatto atipico per la socialità del trattamento medico;
ipotizzare una scriminante non codificata, insita nell’esercizio di un’attività medica; rinvenire la causa di
giustificazione nel consenso presunto.
178
Cfr. C. App. Firenze, 27 ottobre 1970, Ingiulla, in Giur. Merito, 1972, pag. 324: un noto chirurgo
aveva eseguito su una donna di 24 anni una sterilizzazione tubarica, in occasione di un parto cesareo,
senza previo consenso della partoriente, sulla base di una ragionevole convinzione della necessità della
sterilizzazione medesima per evitare, in caso di successiva gravidanza, l’eventuale rottura dell’utero e la
morte della donna. Il tribunale nel caso non ravvisò gli estremi né dell’urgenza né della necessità
dell’intervento ulteriore, poiché prorogabile senza gravi pericoli e senza esito letale.
179
Nel caso di paziente incosciente, invece, si può presumere che il paziente si sarebbe espresso per la
propria sopravvivenza.
180
MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, 1974, pag. 226.
181
RIZ, Il consenso dell’avente diritto, 1979, pag. 359.
182
PALERMO FABRIS, Diritto alla salute,cit., pag. 202.
183
GROSSO, Difesa, cit. pag. 228.
184
Questo dovrebbe escludere anche la liceità del trapianto coatto di organo da altro vivente, essendo il
danno eccessivamente sproporzionato.
185
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 474 e ss., risolve i conflitti senza ricorrere allo stato di necessità, Contesta tale
impostazione MEZZETTI Necessitas, cit., pag. 119 e 133, e rifiuta l’autonomia dei criteri di risoluzione dei
conflitti di doveri. L’autore, come la maggior parte della dottrina italiana e tedesca riconduce queste
ipotesi allo stato di necessità. L’autore individua conflitti di doveri solo apparenti perché già
normativamente composti che si sciolgono nella logica dell’adempimento del dovere, e quelli
normativamente irrisolti da considerarsi sottotipo dell’art. 54
186
Secondo VIGANÒ, Stato, cit. pag. 459, questo è un criterio ‘molto tedesco’. Per il vero, la dottrina
tedesca connette queste ipotesi ad un “conflitto di doveri scusante sovralegale”: il medico che opera,
quindi, non agisce legittimamente, ma se lo fa, può trovare comprensione per il suo agire perché il
36
può affidare al prudente apprezzamento del giudice, chiamato a decidere il caso
concreto ipotizzando la generalizzazione della condotta sottoposta al suo esame. In tale
evenienza, la responsabilità della scelta può essere lasciata all’autore della condotta
(medico), mentre al giudice spetta la sua ratifica ex post.
Ma, forse, la soluzione che garantisce la maggior certezza del diritto e,
soprattutto, la maggior prevedibilità ex ante delle condotte, è quella che passa per
l’enucleazione di una categoria di cause di esclusione della sola antigiuridicità penale:
niente sanzioni penali, ma possibili sanzioni in altri rami dell’ordinamento187.
In conclusione: l’ordinamento può solo autorizzare il sanitario ad intervenire ed
in situazioni di emergenza, superando il rifiuto del paziente se ricorrono gli estremi
dello stato di necessità; qualora invece il rifiuto sia frutto di una scelta ponderata, e fuori
dalle situazioni di emergenza, le imposizioni coattive di terapia sono penalmente
rilevanti se rivestono gli estremi di un delitto contro l’integrità personale o contro la
libertà individuale188. O, in altre parole, se i beni sono bilanciabili e risulta prevalente
quello tutelabile con l’intervento, c’è spazio per un intervento lecito; altrimenti la
condotta sarà solo scusata, quindi non lecita (ancorché umanamente comprensibile).
Altra possibilità interessante di applicazione dell’art. 54 c.p. potrebbe aversi per
la cessione di sostanze stupefacenti nei confronti di un tossicodipendente in crisi di
astinenza, per una sorta di necessità terapeutica. Tuttavia, all’atto pratico, siffatta
applicazione viene esclusa sia perchè non si riconoscono, nella situazione, gli estremi di
un imminente pericolo di vita, sia perché al superamento della stessa si presentano,
come normali alternative, l’affidamento del tossicomane ad un medico o il suo ricovero
in luogo di cura189. La scriminante è stata altresì invocata con riferimento alle azioni
limitative della libertà di tossicodipendenti dissenzienti nelle comunità chiuse di
recupero, in quanto il fatto penalmente tipico veniva posto in esser per la salvaguardia
del diritto alla salute del soggetto, messo in pericolo dall’eventuale uscita dalla
comunità.
A giudicare dai repertori giurisprudenziali, le ipotesi in cui è più frequente il
richiamo alla norma sono quelli di necessità economica. A ben vedere, da sempre
l’attenzione dei giuristi è stata attratta dai casi di imputati che, in condizioni di grave
indigenza, avevano commesso qualche reato per la sopravvivenza propria o dei propri
familiari.
turbamento motivazionale che lo ha spinto al reato è rilevante, pur non riguardando persone a lui vicine,
per i valori interni che lo sostengono. Una condotta non lecita ma umanamente comprensibile.
187
Cfr. paragrafo 4 del presente capitolo.
188
PALERMO FABRIS, Diritto alla salute,cit., pag. 205 e ss.. Le questioni suscitano perplessità anche
presso la dottrina tedesca: si afferma che quando in ogni caso si tende ad affermare che il dissenso
dell’avente diritto escluda la liceità dell’atto. HIPPEL, Die allgemeinen Lehren vom Verbrechen in den
Entwürfen, in ZStW 42 (1921) pag. 421; HENKEL, Der Notstand, cit. pag. 117. MEZGER, Die subjektiven
Unrechtselemente, cit. pag. 292, citato in VIGANÒ, Stato, cit. pag. 449; ROXIN, Strefrecht, cit. pag. 706.
BINDING, Handbuch, cit. pag. 759 JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365, dice che per giustificare
la violazione sarebbe sufficiente una lieve prevalenza di un dovere sull’altro, perché la cautela richiesta
dall’essenziale prevalenza non serve quando il soggetto è comunque costretto a violare una norma
dell’ordinamento.
189
Co. Cass. 6 dicembre 1984, Pallini, Cass. pen., 1984, pag. 927; Co. Cass. 21 novembre 1996, Danieli,
Cass. pen., 1998, pag. 828; Co. Cass. 11 novembre 1986, Baldassarri, Cass. pen., 1988, pag. 870
37
Sono innumerevoli le sentenze che assolvono ex art. 54 c.p. imputati in
condizioni disperate: il danno grave è rapportato alle condizioni minime per la
sussistenza della persona, nelle quali si concretizza il valore della dignità umana e
sociale ex art. 2 Cost., che lo Stato è chiamato ad assicurare ad ogni cittadino in
ottemperanza al dovere di assistenza ai bisognosi ex art. 38 Cost.. La giurisprudenza di
merito, quindi, giustifica condotte ritenute necessarie per procurare all’imputato stesso o
alla sua famiglia gli indispensabili mezzi di sussistenza190,.
Al riguardo va però segnalato che la giurisprudenza di legittimità si mostra assai
rigorosa nel circoscrivere l’applicabilità della scriminante a quelle sole ipotesi estreme
in cui il bisogno di alimenti, vestiti, medicamenti, si presenti in termini di “assoluta
indilazionabilità e cogenza, tali da non lasciare all’agente alternativa diversa dalla
violazione della legge”: ipotesi estreme che la Cassazione ravvisa sporadicamente191.
I Giudici di merito, invece, concedono con maggior larghezza lo stato di
necessità per condotte a basso contenuto lesivo tenute in condizioni di grave disagio
economico, aderendo a un’interpretazione elastica dei requisiti di attualità e inevitabilità
del pericolo192. La Cassazione, invece, pur nel riconoscimento in linea di principio della
tutela di qualsiasi diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla Costituzione,
richiede puntuale e rigorosa verifica dei requisiti della necessità ed inevitabilità della
condotta, intesi in senso restrittivo193. Si addita, all’orizzonte, il rischio di una lettura
politica della norma194.
190
Ad esempio nel caso di ricettazione commessa da un soggetto clandestinamente fuggito ai territori di
guerra del proprio Paese, versante in ‘condizioni obiettivamente disperate’ privo di abitazione, che si era
costruito una baracca con materiale di provenienza furtiva, riconosce che il bisogno di migliorare la
disumana condizione familiare integra gli estremi richiesti dalla norma. Pret. Lecce, 14 marzo 1994,
Petrovic, Riv. pen., 1994, pag. 1036; cfr. anche pret. Avellino, 9 marzo 1994, in Giur. merito 1995, 296,
con nota di DEMURO Giustificazione e scusa: evoluzione dottrinale ed analisi comparata. Ovvero
scrimina il furto (aggravato) di olive da genitori disoccupati con figli minori gravemente malati: Pret.
Nardò, 18 dicembre 1991, Solofra, Riv. pen., 1992, pag. 293.
191
Ciò sulla base della tradizionale considerazione secondo cui “la moderna organizzazione sociale,
venendo incontro, con i mezzi più disparati, a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, ha modo di
evitare il possibile, irreparabile danno alla persona”, perché “offre ai bisognosi con vari mezzi ed istituti
quanto ad essi occorre, eliminando il pericolo di lasciarli privi di cure o di assistenza medica o
ospedaliera o di sostentamento”.Co. Cass. 20 maggio 1985, Scalvini; Co. Cass. 9 marzo 1981, Bruschini;
Co. Cass. 11 novembre 1986, Caporin, in Riv. pen., 1988, pag. 201.
192
DE FRANCESCO, La proporzione nello stato di necessità, Napoli, 1978.
193
Co. Cass. 7 ottobre 1981, Potenziani; Co. Cass. 24 novembre 1993, Aprea, Cass. pen., 1995, 1534. Co.
Cass. sez. I, 81/149970. Si veda anche Co. Cass. sez. I, 95/203245, per cui lo stato di necessità non può
essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere
all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne
esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo
grave alla persona. Neustadt NJW 51, 852, citata in SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag.
673.
194
Un esempio: un cittadino extracomunitario che, spinto dal bisogno di alimentarsi, vende a prezzo
ridotto cd contenenti opere musicali o multimediali non contrassegnati dalla Siae. In motivazione si legge
che tale azione, formalmente contro legge, è scriminata da uno stato di necessità connesso alla
sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna regolamentazione lavorativa, e
che la loro attività di venditori ‘abusivi’ è assolutamente necessaria per sopravvivere e proporzionata al
pericolo di danno, minimo se non addirittura inesistente, arrecato ai produttori. Il giudice romano,
intreccia argomenti di carattere giuridico e sociologico, ponendo accanto alla considerazione che nel
bilanciamento di interessi la vita ha un peso maggiore del valore del copyright, anche quella che tiene
presente le disperate condizioni di indigenza nelle quali vivono gli immigrati, non certo aiutate
dall’inadeguatezza delle leggi vigenti e dall’insufficienza della moderna organizzazione sociale a
38
Molto frequenti sono poi i casi in cui l’imputato allega una necessità abitativa a
giustificazione dell’occupazione di un immobile altrui (art. 633 c.p.) o di una
contravvenzione in materia edilizia, ma anche in tali casi sono numerose le limitazioni
interpretative proposte dalla giurisprudenza.
L’esigenza di un alloggio rientra tra i bisogni primari della persona195, in
conformità dei principi costituzionali che riguardano la persona umana e i diritti a
questa inerenti; ma, nel momento in cui si ammette il ricorso alla scriminante con
l’estensiva interpretazione del danno grave alla persona, per la tutela di tale diritto,
l’indagine giudiziaria diretta a individuarne l’ambito di applicazione deve essere
analitica, penetrante e attenta alle esigenze di tutela dei terzi, così da circoscriverne
l’applicabilità ai soli casi in cui siano indiscutibili gli altri elementi costitutivi della
stessa. Nell’ultimo decennio la giurisprudenza della Corte ha preso le distanze dal più
risalente orientamento restrittivo, che sembrava muovere dalla inapplicabilità della
scriminante nei casi di necessità abitativa. Non si era fatta applicazione dell’art. 54 c.p.
quando il pericolo di restare senza abitazione era evitabile, e cioè quando esisteva la
possibilità di soddisfare la necessità attraverso i meccanismi del mercato o dello stato
sociale, ovvero quando si era allegata la necessità di sistemare convenientemente la
propria famiglia, già abitante in un seminterrato196, né per aver ampliato un fabbricato
senza concessione edilizia, motivato dalla circostanza che più persone erano costrette a
vivere in un numero insufficiente di vani con pericolo della promiscuità197: la necessità
di ottenere un alloggio non rilevava quindi come giustificazione, quando mancava il
presupposto di danno grave alla persona198 e se vi sono altre possibilità, prive di
disvalore penale, di evitare il danno199.
La Corte aveva peraltro già riconosciuto l’esistenza dello stato di necessità in
capo a chi “ammalato gravemente, privo di casa e di risorse economiche occupi, nella
stagione invernale, un appartamento disabitato per salvare se stesso ed i figli da un
grave danno alla salute”200.
È stata invece applicata la scriminante “al reato di costruzione senza licenza di
un capannone per trasferirvi un piccolo laboratorio di falegnameria con dieci
lavoratori, qualora risulti che il laboratorio stesso era destinato alla chiusura perché
garantire, ancor prima che il diritto al lavoro, il diritto alla salute e all’integrità fisica.Trib. Roma, 15
febbraio 2001, giud. Francione, imp. Dieng Abou Sanga, in Foro it., 2003, II, pag. 176. La sentenza,
considerata ‘abnorme’ sotto il profilo giuridico, anche per la rilevanza data alla consuetudine abrogatrice,
ha indotto il Ministro della giustizia ad esercitare l’azione disciplinare, deferendo il giudice al CSM. In
definitiva, però, va segnalato che la corte di Cassazione esclude l’applicabilità della scriminante allo stato
di bisogno economico, atteso che alle esigenze degli indigenti e dei bisognosi provvede la moderna
organizzazione sociale per mezzo degli istituti di assistenza.
195
Co. Cass., sez. II, 19 marzo 2003, n. 24920; Co. Cass., sez. II, 26 settembre 2007, n. 35580, in Gdir
2007, n. 50, pag. 78, con commento di SANTORO, Una doppia occasione di approfondimento che però
non produce principi “eclatanti”. Non manca chi attende una pronuncia delle Sezioni Unite che
definisca una volta per tutte l’ambito di operatività della scriminante, e che valorizzi l’ultima presa di
posizioni della Cassazione a tutela della posizione di chi si trova in stato di bisogno.
196
Co. Cass., sez. III, 17 maggio 1990, Sinatra, in Riv. pen., 1991, pag. 167.
197
Co. Cass., sez. III, 4 dicembre 1987, Iudicello.
198
Co. Cass. sez. VI, 88/180645.
199
Co. Cass., sez. III, 1 dicembre 2000, n.12249, Martinelli E.
200
Co. Cass., 7 aprile 1972, in Mass. pen.,1974, pag. 336.
39
situato in uno scantinato dichiarato inidoneo e pericoloso” 201, ed anche l’occupazione
di un appartamento disabitato da parte di coniugi con sei figli costretti ad abbandonare
la propria abitazione malsana e fatiscente, non riusciti ad ottenere l’assegnazione di un
alloggio popolare ed impossibilitati a prendere in affitto una casa per l’elevatezza dei
canoni richiesti, in relazione ai loro redditi202.
Da sempre attiene allo studio dello stato di necessità la tematica dai conflitti
aventi ad oggetto la vita umana, ossia quando una vita può essere salvata solo a spese di
un’altra203, ovvero quando il conflitto coinvolge doveri aventi ad oggetto la vita di più
persone204. In tali casi può accadere che la lesione del bene vita avvenga addirittura
nella convinzione della giustizia dell’atto205.
Si ricorda, in proposito, il caso delle gemelle siamesi peruviane, che in grave
pericolo di vita erano state portate in Sicilia. Sarebbero sicuramente morte entrambe
senza un’operazione di separazione, che avrebbe sicuramente comportato la morte di
almeno una delle due. Si tentò quindi l’intervento a favore di quella delle due sembrava
più idonea a sopravvivere. Alla fine morirono entrambe, l’una per le complicazioni
post-operatorie, l’altra per una scelta cosciente e volontaria dei medici, che, comunque,
non vennero indagati per omicidio.
O, ancora, l’ipotesi in cui un medico si trovi di fronte a due pazienti che
necessitano urgentemente di cure rianimatorie, ma disponga di una sola macchina
cuore-polmoni. O l’ipotesi del padre che, dall’incendio, possa salvare solo uno dei suoi
due figli206.
In Germania, nel secondo dopoguerra vennero celebrati processi contro i sanitari
che avevano partecipato al programma di eutanasia dei malati mentali più gravi 207. Le
201
Pret. Castelfranco Veneto, 3 febbraio 1978, in Giur. mer., 1978, pag. 51. Non è invece invocabile la
scriminante per avere agito in qualità di lavoratori dipendenti, cioè perché costretti dalla necessità di non
perdere il posto di lavoro. Fattispecie relativa a reati inerenti al trasporto e alla consegna di prodotti
petroliferi. Co. Cass., 11 aprile 1984, n. 3161, Landi.
202
Pret. Firenze, 12 gennaio 1986, Trentacosti, in Foro it., 1976, II, pag. 311.
203
Tant’è che in nessun manuale manca l’esempio della zattera di Carneade; si segnala che per risolvere
tale conflitto si preferisce per lo più ricorrere alla logica soggettiva di scusa.
204
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 531. A pag. 34, l’Autore ricorda il disastro di Zeebrugge, avvenuto nel 1988:
un traghetto stava per affondare con un gran numero di passeggeri a bordo, intrappolati nella stiva. La
possibile via di fuga, una scala a pioli che conduceva al ponte superiore, era bloccata da un passeggero
che, in preda al panico, pietrificato non si muoveva in alcuna direzione, nonostante i tentativi di
convincerlo a spostarsi. Allora il capitano ordinò che fosse spinto in mare; l’uomo annegò, ma un gran
numero di passeggeri si poté mettere in salvo attraverso la scala
205
In tali casi non sembra di muoversi in una logica soggettiva di comprensione per l’umana fragilità, ma
piuttosto in quella oggettiva della scelta del male minore (la morte di uno per la salvezza di molti).
206
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365.
207
Il programma venne ordinato da Hitler con un’ordinanza segreta del 1939. Gli imputati erano accusati
di concorso in assassinio per avere redatto le liste dei malati da inviare nei campi di sterminio, e si
difesero affermando di avere collaborato al programma di sterminio per salvare almeno una parte dei
malati: se infatti avessero rifiutato la loro collaborazione, l’operazione sarebbe stata compiuta da medici
più allineati col regime, che, verosimilmente, avrebbero mandato a morte tutti i malati. La liceità della
condotta era sostenibile per il fatto che i soggetti sacrificati erano già esposti ad una condizione di
pericolo, e il loro sacrificio era comunque condizione per la salvezza di altre persone anch’esse esposte al
pericolo. Tenere fermo il divieto di omicidio significava, in questi casi, optare per la morte di tutti,
rinunciando alla salvezza di alcuni. OGHSt. 1, 321, pag. 372; OGHSt. 2, 117, pag. 152, con nota di
WELZEL, nota a OGHSt. 1, 321, pag. 375. WELZEL, Zum Notstandproblem, cit., pag. 51 ritiene che
40
sentenze di merito assolsero gli imputati riconoscendo in loro favore uno “stato di
necessità sovralegale”, sul presupposto che il rifiuto di collaborare avrebbe potuto
comportare l’uccisione di un maggior numero di malati.
Rende bene l’idea del tipo di conflitto una ipotesi di scuola: il manovratore di
scambi ferroviari che si accorga che un treno merci sta per scontrarsi con un treno
passeggeri carico di persone, non potendo arrestare la corsa in tempo utile, decide di
deviare il convoglio su di un binari morto su cui, però, stanno lavorando pochi operai
che saranno travolti ed uccisi dal treno. Se omettesse di azionare lo scambio,
abbandonando i passeggeri del treno al loro destino, agirebbe in maniera scorretta non
solo da un punto di vista etico, ma anche da quello giuridico: l’astensione dalla condotta
omicida, in quel caso, sarebbe antigiuridica. Eppure, azionando lo scambio, non può
sottrarsi alla colpa che nasce dal sacrificio di qualche vita umana.
Ognuna delle due alternative appare al tempo stesso doverosa e illecita, e, in
linea di massima, il conflitto può venire risolto secondo le seguenti direttrici: quando si
trovano in conflitto un obbligo di azione ed uno di omissione aventi ad oggetto la vita
umana, prevale l’obbligo di omissione, ma a chi decide comunque di agire non sarà
formulabile un rimprovero in termini di colpevolezza. Se invece a collidere sono due
doveri di azione e non sia possibile stabilire quale prevalga, l’adempimento di uno sarà
sufficiente motivo per la giustificazione dell’inottemperanza all’altro208.
Si segnala, poi, l’applicazione della scriminante putativa in occasione di un
blocco ferroviario volto ad impedire il transito di convogli carichi di materiali bellici
destinati ad operazioni militari in Iraq, a favore dei pacifisti ‘disobbedienti’ pur
mancando del tutto la erronea supposizione da parte dell’agente209
Anche in tema di violazioni delle norme della strada è frequente il richiamo allo
stato di necessità; tuttavia l’art. 54 non si ritiene invocabile da chi guida senza patente
quando non sia stata dimostrata l’assoluta impossibilità di ricorrere a mezzi di trasporto
diversi per provvedere all’opera di soccorso210, né si ritiene che l’insorgenza di un
pericolo improvviso obblighi il conducente di un veicolo a compiere manovra di
emergenza211. La scriminante è invece applicata al medico che abbia violato le norme
sui limiti massimi di velocità per accorrere al letto di un ammalato in seguito ad una
telefonata della massima urgenza212.
Anche nei processi per mafia è spesso invocato lo stato di necessità, ma viene
qualunque consociato avrebbe dovuto agire così, mentre EB. SCHMIDT, nota a OGHSt. 1, 321, pag. 568
preferisce risolvere il problema in termini di inesigibilità
208
Per un esame della dottrina tedesca, si rinvia comunque al cap II.
209
Trib. Trento, 16 gennaio 1992, Sichele, in Cass. pen., 1993, 442, con commento di CARCANO Stato di
necessità: il pericolo di un danno grave può essere rappresentato da una guerra evitabile ma giusta?
Esclude invece, la scriminante putativa sulla base del difetto di attualità del pericolo ed inevitabilità della
condotta una sentenza relativa a pacifisti che si erano sdraiati davanti agli ingressi della base missilistica
di Comiso per impedire l’installazione dei missili ivi destinatiTrib. Ragusa, 14 aprile 1984, in Foro it.,
1985, II, 22
210
Co. Cass., sez. IV, 8 febbraio 1990, n.1702, Giustizia; e Co. Cass. 30 giugno 1988, Fichera, in Cass.
pen., 1989, pag. 2254.
211
Co. Cass. sez. IV, 90/186987.
212
Co. Cass. 8 maggio 1968, Nesi, AP 69, II, 282.
41
negato altrettanta frequenza, in quanto l’eventuale dissenso dalle proposte del vertice
espone il membro dissenziente dell’organizzazione ad un grave pericolo di vita, ma non
rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 54 c.p., poiché tale situazione è stata
volontariamente causata dall’accettazione di un ruolo direttivo e deliberativo nel
sodalizio criminoso213. La giustificazione viene altresì esclusa per quel soggetto che
presti continuativamente la sua opera per la riscossione del ‘pizzo’ perché minacciato214.
Ancora, non si ritiene attuale il pericolo per chi compia falsa testimonianza negando di
aver ricevuto richieste estorsive da gruppi malavitosi per il timore di eventuali, ancorché
prevedibili, reazioni violente in danno proprio o dei propri familiari215.
La norma, infine, è invocabile anche a tutela di beni della collettività, ma con
numerose precisazioni: il gestore di pubblico impianto di depurazione che non può
essere chiuso senza pregiudicare gravemente la vita della collettività, non può invocare
l’art. 54 c.p. in relazione al reato di inquinamento se l’irregolare funzionamento sia
cagionato dalla negligenza dell’imputato che non abbia adeguatamente provveduto per
vari anni ad approntare i mezzi necessari per il buon funzionamento dell’impianto 216. È
stata altresì invocata l’inesigibilità del comportamento perché l’autorizzazione per lo
stoccaggio dei rifiuti era stata richiesta più volte e non rilasciata per inerzia della
P.A.217.
7 Stato di necessità e azione dei pubblici poteri
Lo stato di necessità è stato a volte invocato, sia nell’ordinamento italiano che in
quello tedesco, per giustificare condotte di organi pubblici integranti gli estremi di
qualche reato, assertivamente compiute per salvaguardare beni di terzi o della
collettività in pericolo. Rispetto a queste costellazioni di ipotesi, laddove, come sopra,
non sembra potersi invocare la logica della scusa, merita essere verificato se resta da
vedere se sia possibile la giustificazione di condotte poste in attuazione di un dovere
istituzionale ma in contrasto con singoli divieti della legge penale.
Si prendano le mosse da casi realmente avvenuti.
7.1 Il caso Sossi
Nel 1974 le Brigate Rosse sequestrarono il magistrato genovese Mario Sossi, e
ne minacciarono l’esecuzione se non fossero stati liberati otto imputati affiliati al
gruppo XXII ottobre, già condannati in due gradi di giudizio. Il Ministro di allora rifiutò
qualunque compromesso, e i brigatisti si rivolsero alla magistratura, invitando i giudici
genovesi a non rendersi complici “della volontà criminale del ministro degli interni”218,
concedendo quattro giorni per la liberazione dei detenuti. Allora la famiglia di Sossi
presentò alla Corte d’Appello una richiesta di libertà provvisoria per i detenuti terroristi,
213
Co. Cass., sez. II, 2 marzo 1995, n. 5291, Graviano.
Co. Cass., sez. V, 23 maggio 1997, n. 4903, P.G. in proc. Montalto.
215
Co. Cass., sez. VI, 18 luglio 2001, n.29126, Vitobello ed altri, in Riv. pen., 2001, pag. 930.
216
Co. Cass., sez. III, 26 settembre 1991, Bernabei ed altri, in Giur. pen., 1993, II, pag. 165, m. 158.
217
Pret. Crotone, 14 marzo 1994, in Riv. pen., 1994, pag. 1037.
218
Cfr. la requisitoria del P.g. presso la Co. Cass., 25 maggio 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545.
214
42
quale “mezzo per la liberazione” del proprio congiunto e la Corte accolse l’istanza219,
motivandolo con l’esistenza di un grave ed imminente pericolo per la vita dell’ostaggio,
e per “l’inderogabile ed indilazionabile necessità di impedirne l’omicidio”,
sottolineando che il diniego avrebbe esposto la corte alla “responsabilità morale di
facilitarne, se non addirittura di incoraggiarne l’esecuzione, attraverso il mancato uso
dei poteri attribuitile dalla legge”220. L’ordinanza concesse la libertà provvisoria e il
nullaosta per il rilascio del passaporto ai brigatisti, sotto condizione della garanzia di
incolumità e liberazione dell’ostaggio. Il giudice Sossi venne liberato, ma il P.g. di
Genova impugnò l’ordinanza di scarcerazione davanti alla Corte di Cassazione,
rifiutandosi di darne provvisoria esecuzione a causa dei radicali vizi da cui era affetta e
la Cassazione accolse il ricorso221.
7.2 Il caso Dozier
In un’altra occasione lo stato di necessità venne invocato nel nostro paese, per
legittimare i metodi inquisitori adottati per combattere l’emergenza terroristica.
La vicenda, di notevole impatto presso l’opinione pubblica, vide alla fine del
1981 il rapimento del generale americano Dozier da parte delle Brigate Rosse222.
All’inizio del 1982 alcuni agenti scelti del NOCS (nucleo operativo centrale sicurezza)
fece irruzione nell’appartamento di Padova dove era tenuto prigioniero il generale, e
arrestarono i cinque terroristi che lì si trovavano, conducendoli nell’ispettorato di zona e
tenendoli in isolamento. Nei tre giorni successivi, ad opera di funzionari della polizia,
furono sottoposti ad interrogatori con metodi inquisitori, consistenti in finte fucilazioni,
scosse elettriche ai genitali, somministrazione di farmaci di natura non precisata,
minacce di violenza sessuale, calci, schiaffi, insulti di vario genere223. Quattro dei
cinque arrestati parlarono e le loro informazioni servirono per localizzare un covo
terroristico a Milano. Il quinto, Di Lenardo, invece non ‘collaborava’: siccome gli
agenti lo ritenevano il comandante del gruppo e lo pensavano in grado di fornire
informazioni molto utili alla lotta contro il terrorismo, furono usate maniere ancora più
forti, per indurlo a parlare prima che fosse interrogato dal procuratore della Repubblica.
Venne perciò bendato, ammanettato e trasportato in un luogo sconosciuto. Qui fu
reiteratamente minacciato e nuovamente percosso. Dato il suo persistente rifiuto, fu
ricondotto in caserma, dove gli venne fatta ingerire una mistura di acqua e sale e subì
ancora percosse che gli causarono la lesione ad un timpano.
In corso di causa questo episodio venne provato, sia per il riscontro medico della
lesione del timpano, sia per una serie di ammissioni degli agenti che avevano
partecipato all’operazione. I legali degli agenti sostennero che la condotta degli imputati
219
Sulla base dell’allora vigente art. 277 c.p.p. che permetteva di concedere la libertà provvisoria
all’imputato in custodia preventiva, “anche nei casi di emissione obbligatoria del mandato di cattura”.
220
Co. Ass. App. Genova, 20 maggio 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545.
221
Co. Cass. 17 giugno 1974, in Giur. it., 1974, II, pag. 545. il ricorso venne accolto perché la corte
genovese di fatto aveva emesso un provvedimento di libertà definitiva, e quindi era un atto avente solo il
nome e l’apparenza di un’ordinanza di libertà provvisoria, mentre in sostanza era esercizio di un potere
non riconosciuto dall’ordinamento, quindi inesistente e radicalmente ineseguibile.
222
La storia, successivamente, verrà descritta come “uno sceneggiato all’americana, in cui i nostri per i
prime tre quarti subiscono, e poi risollevano le sorti della vicenda”.
223
Trib. Padova, 15 luglio 1983, in Foro it., 1984, II, pag. 230 e ss., con nota di PULITANÒ, Inquisizione
non soave, tra pretese “necessità” e motivi apprezzabili, e FIANDACA, Sullo sciopero della fame nelle
carceri.
43
era da ritenersi scriminata dallo stato di necessità, poiché “si proponevano di ottenere
dal Di Lenardo informazioni necessarie per salvare il Paese dal pericolo rappresentato
dalle attività criminose poste in essere dalle bande armate; pericolo attuale, perché
l’esistenza di queste bande e le loro opere sono fatti tristemente noti e la semplice
esistenza di esse costituisce un reato permanente; di un danno grave quindi non ad una
persona, ma, nel caso in esame, ad una societas, in un rapporto in cui la
proporzionalità del mezzo (nella fattispecie violenza privata) è certamente inferiore al
pericolo”224. La tesi venne rigettata dal Tribunale, stante il fatto che “i concetti di Stato
di diritto e Stato democratico postulano che anche la lotta contro il terrorismo sia fatta
con le armi della legalità” e che “proprio per l’uso di tali armi lo Stato si pone in
antitesi con il suo nemico: alla barbarie va contrapposta la civiltà”.
Il Tribunale ebbe anche modo di osservare che “le informazioni che si ottengono
mediante il ricorso a violenze morali e fisiche nei confronti degli arrestati, sono utili,
ma non assolutamente necessarie alla lotta contro il terrorismo; vi sono altri modi
legali, più efficaci, per combatterlo, e la storia di questi anni recenti lo ha dimostrato di
certo, perché essi si sono rivelati vincenti”.
Quindi gli agenti vennero condannati per abuso di autorità contro arrestati e
detenuti ex art. 608 c.p. in concorso con violenza privata ex art. 610 c.p. e lesioni
personali ex art. 582 c.p. e, essendo loro riconosciuta l’attenuante dei motivi di
particolare valore morale e sociale, le pene irrogate si attestarono attorno all’anno di
reclusione, con i benefici di legge. La Cassazione confermò la sentenza.
7.3 Caso Moro
Un altro caso problematico fu il sequestro Moro225.
È a tutti noto che l’esponente democristiano venne rapito dalle Brigate Rosse il
16 marzo 1978. La sua scorta venne sterminata e lo statista tenuto in stato di sequestro
per 55 lunghissimi giorni, mentre i sequestratori emanavano inquietanti comunicati di
rivendicazione dell’atto terroristico, chiedendo alle autorità di trattare la liberazione di
alcuni prigionieri226 per la salvezza dell’ostaggio227.
Alcuni esponenti politici sostennero la doverosità morale di una trattativa con i
terroristi228, al fine di salvare la vita all’ostaggio; ma venne rigettato ogni stato di
necessità statale che coprisse deviazioni dalla legalità.
Nondimeno si tentarono trattative con i sequestratori in forme non ufficiali e con
224
Trib. Padova, 15 luglio 1983, in Foro it., 1984, II, pag. 266.
Le vicende legate al sequestro sono ricostruite in I giorni di Moro, in Atlante de la Repubblica, Roma,
2008.
226
Come da comunicato n. 8 delle BR del 24.4.1978; o dall’invito di Moro al Presidente della Repubblica
del 4.5.1978.
227
Si veda, in proposito, la lettera inviata dalle prigioni di Moro a Cossiga, allora Ministro dell’Interno:
“…la dottrina per la quale il rapimento non deve arrecare vantaggi, discutibile già nei casi comuni, dove
il danno del rapito è estremamente probabile, non regge in circostanze politiche, dove si provocano
danni sicuri e incalcolabili non solo alla persona ma allo Stato. Il sacrificio degli innocenti in nome di un
astratto principio di legalità, mentre un indiscutibile stato di necessità dovrebbe indurre a salvarti, è
inammissibile. Tutti gli stati del mondo si sono regolati in modo positivo, tranne Israele e la Germania,
ma non per il caso Lorenz….”.
228
Ad esempio Craxi si espresse per la trattativa, indicando i nomi dei terroristi Besuschio e Buonoconto,
in condizioni di salute critiche, per una eventuale concessione della grazia; favorevoli alle trattative si
dichiararono inizialmente Fanfani e Bartolomei. Tuttavia, alla fine, la maggioranza dei politici si espresse
per la linea della fermezza.
225
44
la consapevolezza, da parte dei protagonisti, della loro illiceità229.
Ciò nonostante, Moro venne barbaramente trucidato e ritrovato cadavere il 9
maggio successivo. Nella sfida mortale la ragion di stato ha prevalso a caro prezzo.
7.4 Caso Abu Omar
Il caso Abu Omar fa riferimento al rapimento e al trasferimento in Egitto
dell’Imam di una moschea milanese, avvenuto il 17 febbraio 2003 a Milano, ad opera di
agenti della CIA, con il supporto dei servizi segreti italiani. Secondo quanto dichiarato
dall’interessato, dopo il rapimento sarebbe stato condotto presso la base di Aviano e poi
trasferito in Egitto, dove sarebbe stato interrogato e avrebbe subito sevizie e torture.
La cattura di Abu Omar rientra nelle c.d. extraordinary rendition, prassi
pubblicistica di significativa importanza negli USA, e nei paesi Alleati, dopo l’11
settembre.
Ciò che rileva, è che l’intelligence italiana avrebbe collaborato al sequestro
dell’Imam, finalizzato ad una forma illegale di rendition, con attività finalizzata a
garantire la sicurezza pubblica.
Le condanne di agenti statunitensi e italiani emanate nel 2009 per
coinvolgimento nel rapimento di Usama Mostafa Hassan Nasr (appunto conosciuto
come Abu Omar) sono state confermate dalla Corte di Appello di Milano230. In
particolare, la Corte ha confermato le condanne di 25 persone, tra cui 22 agenti della
Cia, un ufficiale militare statunitense e due agenti dei servizi segreti italiani,
aumentando lievemente le pene inflitte. Si tratta, nel panorama internazionale, della
prima condanna per violazione dei diritti umani: nei confronti dei cittadini statunitensi e
italiani sono state emanate condanne sino a 9 anni di detenzione per i reati di rapimento
e favoreggiamento. Tuttavia la Corte d'Appello ha anche confermato il non luogo a
procedere verso cinque funzionari dell'agenzia di intelligence militare italiana (allora
chiamata SISMI - Servizio per le informazioni e la sicurezza militare), compreso il suo
direttore dell'epoca Niccolò Pollari, e il suo vice Marco Mancini231.
In tale fattispecie, dunque, dove in ipotesi poteva esserci spazio per una verifica
dell’applicabilità della norma sullo stato di necessità, non è stata risolta in questo senso,
ma con riferimento ad una pregiudiziale di rito e il non luogo a procedere per esistenza
del segreto di stato232.
Il caso qui in esame è quindi l’emblema del ruolo che la necessità ha assunto
nella legislazione speciale.
229
Ad esempio da parte dei collaboratori più stretti di Moro, e dalla famiglia dello stesso.
Sent. Co. App. Milano, 15.12.2010. nella sentenza a carico dei 23 agenti della Cia c'è inoltre il
risarcimento di un milione e mezzo di euro per l'ex Imam Abu Omar e per sua moglie.
231
Il Tribunale di primo grado aveva emesso il giudizio di non luogo a procedere a causa del segreto di
stato che aveva impedito l'utilizzo di prove importanti nel processo. Tale statuizione è oggetto di
autonoma impugnativa in appello.
232
Sullo sfondo del caso abu Omar si segnalano numerosi conflitti di poteri per l’opposizione del segreto
di stato, suggellati nella sentenza della corte Costituzionale n. 106 del 2009. si veda PILI, Il segreto di
stato nel caso Abu Omar ed equilibrismi di sistema, in www.forumcostituzionale.it, 27.1.2010.
In proposito si rinvia, dunque, alle considerazioni che verranno svolte nel capitolo VI del presente lavoro
a proposito del ruolo della necessità nella legislazione speciale.
230
45
7.5 La risposta nell’ordinamento italiano
È di particolare interesse la questione del rapporto tra lo stato di necessità e le
attività già giuridicamente disciplinate nella loro portata e limiti da specifiche norme di
legge o sulla base dei principi generali dell’ordinamento233.
Nei casi prospettati si poteva teorizzare che gli compiuti in speciali circostanze,
anche se non coperto da norme autorizzative di diritto pubblico, fossero resi leciti dallo
stato di necessità, che veniva ad essere la fonte di poteri eccezionali in capo agli organi
pubblici, di fronte a pericoli che richiedevano una risposta immediata e flessibile.
Quando l’organizzazione terroristica minaccia personaggi di spicco del potere politico
od economico di uno Stato, questo è istintivamente condotto a difendersi con ogni
mezzo, e non stupisce che l’opinione pubblica ne sostenga l’operato.
Nel nostro Paese la linea di condotta ufficiale si ispirò, invece, al rifiuto di ogni
trattativa con i terroristi234. In realtà le trattative, che pure non mancarono, si svolsero
sempre in segreto e con la consapevolezza, da parte degli esponenti politici che le
posero in essere, della loro illegittimità.
Allo stato di necessità si richiamò, implicitamente, la Corte d’Appello di Genova
per il caso Sossi ed, espressamente, la difesa degli agenti dei NOCS che avevano
liberato Dozier. Ma le decisioni definitive sconfessarono la pertinenza del richiamo alla
scriminante.
Fuori dalle aule dei Tribunali, lo stato di necessità venne invocato dallo stesso
Moro, dalla prigionia, per invocare lo scambio politico di prigionieri. Ma rimase un
appello inascoltato.
Rispetto all’ipotesi di uno scambio di prigionieri, autorizzato in presenza del
pericolo attuale e non altrimenti evitabile per la vita dell’ostaggio, si sarebbe qualificata
in termini di oggettiva liceità la condotta dei magistrati genovesi che avevano concesso
la libertà provvisoria235; rispetto al secondo caso, invece, si sarebbe qualificata come
lecita un tipo di inquisizione “non soave”.
Prima di procedere nell’analisi, quindi, è utile sottolineare una ulteriore
differenziazione tra le due categorie di ipotesi: da un lato, lo stato di necessità
potrebbe venire invocato come norma fondante poteri in capo all’amministrazione
pubblica per rispondere a situazioni eccezionali, con compressione dei diritti
fondamentali dell’individuo; dall’altro può venire invocato con lo scopo opposto di
potenziamento straordinario dei diritti del singolo (come per il caso della
concessione di qualche beneficio altrimenti non conferibile).
In prima battuta, quindi, può affermarsi che non vi sia spazio alcuno,
nell’ordinamento, per uno stato di necessità scriminante nelle ipotesi di inquisizione non
soave; mentre residua la possibilità di scriminare la condotta dei pubblici poteri se
dettata da ragioni umanitarie in caso di concessioni a richieste di terroristi236. Tant’è che
si vocifera, come detto, che, superata l’idea di fermezza dello stato di fronte alle pretese
di terroristi, oggi la linea di condotta non ufficiale sia quella della trattativa, anche se
233
Ne accenna anche BELLAGAMBA, ai confini dello stato di necessità, , in Cass. pen., 2000, 6, 1832.
Come nel caso Moro
235
Similmente a quanto avvenne in Germania per il riconoscimento della liceità dei provvedimenti che
avevano condotto a buon esito la vicenda Lorenz; vicenda peraltro ricordata dallo stesso Moro nelle
lettere del sequestro.
236
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 45 e FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 272.
234
46
nelle vicende recenti i comunicati ufficiali escludono sempre qualsiasi concessione alle
richieste dei terroristi237.
Di recente, e con riferimento al periodo delle stragi di mafia, è assurta agli onori
della cronaca la c.d. trattativa stato-mafia, in esito alla quale, nel periodo stragista, lo
Stato avrebbe consentito alcune mitigazioni del carcere duro per i soggetti imputati di
reati di matrice mafiosa, in cambio di una tregua sul fronte degli attacchi alle istituzioni.
Tali vicende sono oggetto, oggi, di verifica giudiziaria.
Tuttavia, se prima dell’undici settembre era facile dichiararsi a favore del
rispetto assoluto del principio di legalità e delle garanzie individuali dell’imputato, di
fronte ad un pericolo gravissimo per l’intera società, rappresentato dall’emergenza
terroristica, oggi una risposta così diventa, se non obsoleta, quanto meno sofferta. E il
dilemma, se restare ancorati alle garanzie della legalità formale o perseguire l’obiettivo
di una lotta efficace costi quel che costi, si ripropone in tutta la sua drammaticità.
237
Di trattative non ufficiali, come già detto, si è parlato anche di recente con riferimento ai rapimenti di
cooperanti italiani o turisti nelle zone del medio oriente, a seguito della liberazione, di volta in volta, degli
ostaggi, con modalità non chiare. Sembra infatti che, a fronte di una linea ufficiale di fermezza, in realtà il
Governo italiano più di una volta abbia pagato un riscatto per il rilascio degli ostaggi. Come potrebbe
essere avvenuto, ad esempio, nel caso di Daniele Mastrogiacomo, il giornalista di Repubblica che venne
rapito a Kandahar, in Afghanistan, il 5 marzo del 2007, per essere poi liberato quattordici giorni dopo, il
19 marzo, al termine di una complessa trattativa; o come sembra essere avvenuto per la liberazione della
giornalista Giuliana Sgrena in Iraq. Tuttavia tali vicende, per gli aspetti rilevanti nel presente lavoro, non
sono approdate nelle aule giudiziarie e, pertanto, si dubita che verrà l’occasione di fare chiarezza.
47
48
CAPITOLO SECONDO
Profili comparatistici in tema di stato di necessità
1
Le norme del codice penale tedesco ................................................................... 49
1.1
Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali
giustificante e scusante ........................................................................................... 49
1.2
Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand ............... 53
1.3
Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende Notstand .............. 59
1.4
Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni pratiche ..... 65
1.5
Stato di necessità e azione dei pubblici poteri ............................................ 70
1.6
Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904 BGB ..... 73
2 Lo stato di necessità in altri ordinamenti ............................................................ 76
2.1
In Austria e Svizzera................................................................................... 76
2.2
In Norvegia ................................................................................................. 76
2.3
In Spagna .................................................................................................... 77
2.4
In Portogallo ............................................................................................... 78
2.5
In Francia .................................................................................................... 78
2.6
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti ........................................................... 79
2.7
Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale ....................... 80
1 Le norme del codice penale tedesco
Sotto il profilo comparatistico, questo capitolo verrà dedicata maggiore
attenzione all’ordinamento tedesco: comune è il retroterra di cultura giuridica, affini
sono i percorsi battuti dalla dottrina, anche se differenti ne sono gli esiti. Inoltre lì
fervono riflessioni sulla teoria tripartita del reato e, per la parte che qui più interessa,
sulla natura delle cause di non punibilità.
1.1
Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali
giustificante e scusante
Come già accennato, l’idea di una trattazione differenziata delle ipotesi di
necessità risale a Berner un filosofo di scuola posthegeliana: al momento
dell’emanazione del primo codice nazionale tedesco, infatti, la dottrina tedesca aveva
già chiaramente differenziato le ipotesi di necessità giustificante da quelle di necessità
scusante. Ciò nonostante, il Reich238 rimase allineato agli insegnamenti giusnaturalistici
238
BARATTA, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza (Contributo alla filosofia e alla critica del
diritto penale), Milano, 1962, pag. 36, delinea il quadro della società tedesca di fine Ottocento: “il Reich
di Bismark del 1871 era fondato su un equilibrio elastico tra la nobiltà feudale prussiana e la grossa
borghesia liberale; … ma questo equilibrio non aveva una consistenza reale ed era basato piuttosto sulla
Realpolitik del Cancelliere; … accanto al conservatorismo degli Junker, v’era l’altro conservatorismo
separatista e cattolico; … al di sotto delle classi dominanti, il proletariato veniva assumendo sempre più
coscienza e forza politica…Dalla caduta del Bismark la politica del governo fu costretta a basarsi su
questo più vasto equilibrio di forze sociali, …ma la crisi mondiale del ‘14-’18 e i moti del 1918
mostrarono che il proletariato tedesco non era in grado di prendere il potere. Mentre il codice civile
tedesco del 1901 non potè non tener conto dell’equilibrio politico post-bismarkiano e delle esigenze
tecniche di un paese entrato in pieno nell’epoca sociale, ben più grande era la distanza che separava il
codice penale tedesco dallo spirito dell’epoca sociale…questo codice chiudeva un’epoca ma non ne
49
dell’esclusione dell’imputazione soggettiva239: anche in questa norma, come in quelle
dei codici preunitari italiani, la coazione assoluta derivante da una forza irresistibile e
quella relativa identificabile nello stato di necessità rientravano in una previsione
unitaria che ne stemperava le differenze, (differenza basata solo sulla diversa fonte del
pericolo, azione umana nel caso di specie e evento naturale nella norma generale).
La dottrina contemporanea non risparmiò critiche ai compilatori,240 ritenendo la
norma inidonea a comprendere i casi, già noti, di autentici diritti di necessità241.
Nella dottrina di fine Ottocento l’idea della trattazione differenziata tornò in
ombra: si preferì una soluzione unitaria per spiegare il fondamento dell’esimente,
scorgendo nell’azione necessitata un’azione semplicemente non vietata
dall’ordinamento. Ma tale ricostruzione non suscitò particolari consensi e ben presto si
recuperò la trattazione differenziata242 e con l’inizio del nuovo secolo l’anima oggettiva
dello stato di necessità venne consacrata nel codice civile, ai paragrafi 228 e 904, che
ancora oggi vanno letti per completare la disciplina dello stato di necessità, mentre nel
apriva una nuova”. Per una recensione del fondamentale testo di Baratta, si veda CALVI, Recensione a
END, Existentielle Handlungen im Strafrecht: die Pflichtkollisionen im Lichte der Philosophie von Karl
Jasper, München, 1959, e in Riv. it. dir. e proc. pen, 1963, pag. 539.
239
Il testo del § 54 evitava riferimenti all’esistenza di un diritto in capo all’agente e ad un bilanciamento
tra beni, e si limitava a statuire che “non sussiste un’azione punibile se l’azione, fuori del caso di
legittima difesa, è stata commessa in uno stato di necessità incolpevole e non altrimenti evitabile per
salvare da un pericolo attuale il corpo o la vita dell’agente o di un suo congiunto”. La continuità con
l’ottica tradizionale dell’influsso del turbamento motivazionale era d’altro canto corroborata anche dalla
limitazione dei possibili beneficiari del soccorso ai congiunti dell’agente; tale continuità risultava ancora
più chiaramente nella formulazione del § 52, considerato un caso particolare di stato di necessità: “non
sussiste un’azione punibile, qualora l’agente sia stato costretto ad agire a causa di una forza irresistibile
o a causa di una minaccia connessa con un pericolo attuale, non altrimenti evitabile, per il corpo o la
vita propria o di un congiunto”. Al comma 2 si dà la definizione della parentela rilevante per il diritto
penale: “si considerano congiunti, agli effetti di questa legge penale, i parenti e gli affini in linea
ascendente e discendente, i genitori adottivi e gli sposi che curano l’allevamento di un minore, i figli
adottivi e i minori assistiti, i coniugi e i loro fratelli e sorelle, i fratelli, le sorelle e i loro coniugi, e i
fidanzati”.
240
BERNER, Lehrbuch, 14. Auflage, pag. 101, appunta le sue critiche da un lato censurando la trattazione
separata della coazione morale, che come mera sottospecie non meritava previsione separata, dall’altro
criticando la ristrettezza dello stesso § 54, che escludeva dal soccorso soggetti diversi dai congiunti
dell'agente. Venne criticata anche la limitazione alla salvaguardia di vita e integrità fisica, perché la
formula veniva così ad escludere azioni dirette a tutela di altri beni importantissimi, quali onore e
proprietà.
241
BINDING, Handbuch des Strafrechts, vol. I, Leipzig, 1885, pag. 771.
242
MERKEL, Die Kollision rechtmaessiger Interessen und die Schadenersatzpflicht bei rechtmaessigen
Handlungen, 1859. L’opera dell’autore, un civilista, prendeva le mosse dalla definizione dello stato di
necessità come conflitto tra due interessi, riconosciuti e tutelati dall’ordinamento, uno dei quali può essere
salvaguardato solo a spese dell’altro. Affermava che la sede per dare composizione di tali conflitti era,
però, non il diritto penale, ma quello civile: in questo ramo dell’ordinamento il principio regolatore è
quello dell’interesse prevalente, valutato dal punto di vista dell’intera società. L’azione volta a tutela di
tale interesse sarà lecita, e lo sarà alla stregua dell’intero ordinamento: il che porta ad escludere una
sanzione anche se la condotta integra una fattispecie penale e non può rientrare negli angusti limiti dei §§
52 e 54. La sanzione non è irrogabile perché la legge penale presuppone, non fonda l’antigiuridicità della
condotta. L’applicazione delle due norme penali rimane invece integra per i casi in cui i due interessi
siano equivalenti: subentrano argomenti di diverso tipo a fondare l’opportunità di non punire in queste
ipotesi. Infatti non si ha a che fare col principio oggettivo dell’interesse prevalente, ma con considerazioni
squisitamente soggettive, che attribuiscono rilevanza scusante all’anormale motivazione dell’agente.
50
codice penale rimaneva l’ipotesi scusante243.
Ben presto ci si rese conto che il principio dell’interesse prevalente poteva essere
applicato anche oltre le ipotesi codificate nel BGB, riconoscendo che quelle scriminanti
nient’altro erano se non il precipitato normativo del principio generale dell’interesse
prevalente: lo schema del conflitto di interessi calzava a pennello per molte delle ipotesi
problematiche all’attenzione della dottrina, e venne pertanto utilizzato non solo per
classificare le cause di giustificazione esistenti, ma anche per colmare le lacune del
diritto rispetto alle ipotesi di esclusione dell’antigiuridicità di una condotta tipica, con la
creazione di una categoria di giustificanti non codificate e operative quale diritto
vivente.
Fu con una storica sentenza del Reichsgericht244 che nel 1927 venne
riconosciuto uno stato di necessità giustificante sovralegale245. Il richiamo era ad una
necessità diversa da quella consegnata dalla tradizione giusnaturalistica, concretantesi in
una situazione di conflitto tra due beni giuridici, risolvibile secondo criteri razionali
anche da un soggetto estraneo alla situazione di pericolo ed al turbamento
motivazionale che ne scaturisce. L’antigiuridicità della condotta venne perciò esclusa
col richiamo al diritto non scritto, ricorrendo ai principi generali immanenti
all’ordinamento giuridico e, in particolare, al principio del bilanciamento dei beni e
degli interessi, così formulato: “nelle situazioni in cui un’azione conforme ad una
fattispecie di reato costituisce il solo mezzo per tutelare un bene giuridico o per
adempiere un dovere posto o riconosciuto dall'ordinamento, la questione se l’azione sia
lecita, non vietata o illecita deve essere risolta sulla base del rapporto di valore, da
ricavarsi dal diritto vigente, tra i beni giuridici o i valori in conflitto” (nella fattispecie
243
FRANK, Das Strafgesetzbuch fuer das Deutsche Reich, Tuebingen, 1931 e GOLDSCHMIDT, Normativer
Schuldbegriff, Berlin, in Festgabe fuer Frank, Tuebingen, 1930, pag. 428 e ss.; GOLDSCHMIDT, Der
Notstand, ein Schuldproblem,1913. Tali Autori danno un notevole conributo alla costruzione di una
categoria di cause di esclusione della colpevolezza. VIGANÒ, Stato, cit., pag. 73 nota che la riflessione
sullo stato di necessità ebbe un enorme rilievo storico nella costruzione dogmatica delle categorie di
antigiuridicità e colpevolezza: infatti entrambi i principi furono elaborati a partire dai modelli
rappresentati dalle due anime dello stato di necessità, l’una espressione del criterio dell’interesse
prevalente, l’altra dell’elemento normativo della colpevolezza.
244
RG 61 (1927), 242. Viene a questa sempre accostata anche la sent. RG 62 (1927), 137. La fattispecie
concreta da cui scaturì la pronuncia coinvolgeva un medico che aveva effettuato un aborto terapeutico su
una gestante che aveva manifestato propositi suicidi nel caso di proseguimento della gravidanza. Il valore
‘epocale’ di questa sentenza non stava nel riconoscimento dell’interruzione di gravidanza per prescrizioni
mediche, già assolutamente usuale nella prassi, ma nel fatto che per un caso dubbio di aborto terapeutico
si faceva discendere la non punibilità da un principio generale giustificante condotte tipiche. Nel caso di
specie, come specificato dalla Corte, non era invocabile il § 54 StGB, perché presupponeva un pericolo
per l’integrità fisica o la vita dell’agente o di un suo congiunto, e non era pertanto applicabile al medico
che salvasse una paziente a lui estranea; né si poteva far ricorso alle norme del BGB, in cui erano
considerati solo lesioni di beni patrimoniali. In sintesi, la sentenza stabilisce i seguenti punti: 1)
configurabilità di uno stato di necessità sovralegale desumibile dai principi generali dell’ordinamento
giuridico, accanto alla figura legale dei §§ 52 e 54 StGB; 2) Possibilità di una doppia soluzione dei
conflitti: in primo luogo con esclusione dell’antigiuridicità della condotta e, se ciò non è possibile, solo in
seconda battuta col ricorso all’esclusione della colpevolezza; 3) Fondamento dell’esclusione
dell’antigiuridicità è il principio del bilanciamento di interessi; quello dell’esclusione della colpevolezza è
autonomo rispetto al primo e radicato nella situazione di conflitto motivazionale in cui versa l’agente.
245
Cfr. WACHIINGER, Der uebergesetzliche Notstand nach der neuesten Rechtsprechung des
Reichsgerichtes, Leipzig, in Festgabe fuer R.Frank, I, pag. 469.
51
era evidente la prevalenza della vita della madre su quella del nascituro, e ciò era
sufficiente a scriminare il medico che aveva praticato un aborto per tutelare la vita della
donna).
La maggior parte della dottrina tedesca salutò la sentenza con entusiasmo246,
anche per la forza espansiva e la duttilità che dimostrava quanto in essa enunciato: la
nuova scriminante non esauriva il suo significato nella giustificazione dell’aborto
terapeutico e venne applicata a tutto campo247, così che la citata sentenza ebbe notevole
influenza sul legislatore del 1975.
Venne ad esempio richiamata in casi politici, per giustificare, durante
l’occupazione francese della Ruhr, il contrabbando di merci per il mantenimento
dell’economia della regione248 e l’uccisione di supposti traditori di organizzazioni
partigiane di resistenza contro l’occupazione straniera249. Trovò frequente applicazione
anche in ambito economico: nei casi di sottrazione di benzina all’esercito per bisogni
civili250; per non punire la violazione di prescrizioni valutarie finalizzate al
mantenimento della liquidità in una banca251 ed altre irregolarità commesse per
preservare dei posti di lavoro252. Ancora venne invocata per scriminare una vasta
gamma di illeciti da circolazione stradale: ad esempio l’abbandono del luogo
dell’incidente da parte del guidatore per evitare di essere bastonato dalla folla
inferocita253; o per consentire al medico di superare i limiti massimi di velocità mentre,
in lotta contro il tempo, corre a prestare soccorso ad un paziente254. Trovò applicazione
anche per la rivelazione di segreti professionali, come nel caso del medico che divulgò
notizie sullo stato di salute di un suo assistito per evitare il contagio di altri suoi
pazienti255. Infine innumerevoli sentenze la richiamarono nell’ambito della vita
familiare, ad esempio per spiegare la necessità di privare della libertà personale un
malato di mente nei momenti di eccessi furiosi256.
Sul versante della logica di scusa, invece, la ricerca di principio generale oltre i
casi previsti dal codice penale, non ebbe la stessa fortuna, pur nel riconoscimento che i
casi contemplati nei §§ 52 e 54 non esaurivano la gamma delle condotte non
246
Per riferimenti alle discussioni scaturite dalla sentenza si veda BARATTA, Antinomie, cit., pag. 18.
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 360.
248
RG, 62, 35, (46 f.): è in questa sentenza che per la prima volta venne utilizzata la denominazione di
stato ‘stato di necessità (giustificante) sovralegale’ (übergesetzlicher Notstand); la fattispecie
contemplava un caso di importazione abusiva di acquavite in un ristorante della Ruhr occupata dai
francesi, dove le disposizioni della forza occupante rendevano insopportabile l’attenersi alla legge sul
monopolio, la cui osservanza si sarebbe tradotta nella chiusura dell’esercizio.
249
RG, 63, 215, (224), e 61, 101, (104), c.d. “Fememord-Urteile”. Tali sentenze, pur cassando la sentenza
assolutoria nel caso specifico, non escludono la possibilità di uno ‘stato di necessità nazionale’ nel caso in
cui l’uccisione del traditore si presentasse richiesta dalla necessità di non compromettere l’interesse della
difesa del territorio nazionale. venne invece negata per la giustificazione del diritto di autodeterminazione
dei sudtirolesi BGH NJW 1966, 310 (312).
250
RG 77, 113 (115f.).
251
BGH GA 1956, 382.
252
OLG Hamm NJW 1952, 838 e BayObLG NJW 1953, 1603.
253
BGH VRS 36, 24.
254
OLG Düsserldorf NJW 1970, 674.
255
RG 38, 62 (64).
256
BGH 13, 197, (201).
247
52
rimproverabili257.
Una costruzione convincente individuò le circostanze incidenti sulla normalità
della motivazione258, come requisito ulteriore rispetto a dolo, colpa e imputabilità, ma
l’operatività di tale principio generale di scusa venne limitata alla responsabilità
colposa. Il superamento della limitazione avvenne ben presto, con la scoperta del
criterio dell’inesigibilità di una condotta conforme al diritto: un correttivo alla rigidità
della responsabilità penale per i casi in cui fosse possibile affermare che quell’agente, in
quelle circostanze, umanamente non avrebbe potuto agire diversamente da come aveva
agito, per cui non era moralmente possibile pretendere un comportamento diverso259.
Presto il parametro venne ad essere l’uomo medio260: in quest’ottica appariva
assolutamente ingiusto punire una persona per un’azione che, probabilmente, sarebbe
stata compiuta da qualsiasi cittadino normale, e, non ultimo, anche dal giudice del caso.
Nonostante le travagliate vicende politiche del Secondo conflitto mondiale, negli
anni ’60 poteva dirsi definitivamente assodato il dato giuridico della coesistenza di due
anime nello stato di necessità e definitivamente superato il dogma del trattamento
unitario261. Si riconoscevano, cioè, uno stato di necessità giustificante, solo in parte
positivizzato nei §§ 228 e 904 BGB, e integrato per i restanti casi in via
giurisprudenziale; uno scusante, regolato dai §§ 52 e 54 StGB, non suscettibile di
interpretazioni al di là dei casi legislativamente regolati.
1.2
Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand
I compilatori del codice del 1975 ridisegnarono la materia ex novo, scrivendo
due norme separate, per la salvaguardia di beni differenti, con limiti e requisiti diversi,
ed esplicitandone l’inquadramento dogmatico dell’una nell’ambito delle giustificanti,
dell’altra nelle scusanti262. Questa impostazione rappresentò il definitivo trionfo della
257
Ricorrevano il caso del cocchiere che, per il timore di licenziamento, su ordine del padrone aveva fatto
trainare la carrozza da un cavallo ombroso, che si era imbizzarrito ferendo un passante; del marito che,
informato dei gravi rischi per la vita della moglie in caso di gravidanza, non si era astenuto dai rapporti
sessuali con la donna, cagionando la gestazione che ne provocò la morte; del padre che aveva omesso di
portare la figlia in ospedale, non impedendone, così, la morte, per rispettare una promessa fatta alla
moglie morente di non ricoverare mai la figlia. Tali fattispecie si collocavano al di fuori dagli angusti
confini delle suddette norme, ma nondimeno ai giudici parve iniquo sanzionare tali comportamenti, anche
se non riuscirono a motivare in modo convincente l’assoluzione degli imputati.
258
FRANK, Ueber den Aufbau des Schuldbegriff, 1907, citato in VIGANÒ, Stato, cit., pag. 80.
259
FREUDENTHAL, Schuld und Vorwurf im geltenden Strafrecht, 1922, citato in VIGANÒ, Stato, cit., pag.
83; FREUDENTHAL, Strafrechtliche Abhandlungen, 1896, vol. I..
260
LISZT-SCHMIDT, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, XXIII Auflage, Berlin und Leipzig, 1932, pag.
199 e 285
261
AA.VV., Digesto penale, 1997, pag. 674.
262
A titolo informativo, si riportano anche le norme del codice penale della DDR. Nella Repubblica
Democratica Tedesca, la disciplina dello stato di necessità era regolata dai §§ 18 e 19. Questo il testo
tradotto: § 18: “(1) Chi pregiudica diritti o interessi di terzi allo scopo di sviare da sé o da altri o
dall’ordinamento dello Stato un pericolo attuale non altrimenti evitabile, non commette reato se la sua
azione è in adeguato rapporto con il tipo e il grado del pericolo. (2) La responsabilità penale è ridotta se
chi agisce si trova incolpevolmente in uno stato di violenta agitazione o di grande disperazione a causa
di un pericolo attuale per la vita o l’incolumità propria o altrui, non altrimenti evitabile, e cerca di sviare
tale pericolo con un attacco alla vita o all’incolumità di altre persone. La pena può essere ridotta
secondo i principi sulla diminuzione eccezionale della pena conformemente all’entità della situazione di
pericolo, allo stato psichico di costrizione dell’agente e alla gravità del fatto commesso. In casi di
53
Differenzierungstheorie nell’ordinamento tedesco263: l’attuale parte generale264 del
codice penale contempla due ipotesi denominate stato di necessità giustificante (§ 34) e
scusante (§35)265, integrate, come si vedrà, dalle norme civili266.
Il § 34 StGB regola così lo stato di necessità giustificante: “Chi commette un
fatto per allontanare da sé o altri un pericolo attuale e non altrimenti evitabile per la
vita, l’integrità fisica, la libertà, l’onore, la proprietà o un altro bene giuridico non
agisce antigiuridicamente se nel bilanciamento tra gli interessi in conflitto, ovvero tra i
beni giuridici offesi ed il grado del pericolo che li minaccia, l’interesse protetto prevale
in modo essenziale su quello leso. Ciò peraltro vale solo in quanto il fatto rappresenti
un mezzo adeguato ad evitare il pericolo”267.
Come già detto, tale formulazione non ha antecedente nel precedente codice del
1871, essendo il punto di approdo dell’evoluzione giurisprudenziale.
eccezionale gravità di tale situazione di pericolo si può prescindere dalle misure della responsabilità
penale”. Si trova nel comma 1 un’ipotesi di esenzione totale dalla pena, fondata sulla proporzione tra gli
interessi confliggenti; al co. 2, invece la sola diminuzione della pena, commisurata all’entità del
turbamento motivazionale dell’agente; tale diminuzione può anche portare all’esenzione dalla pena in casi
di eccezionale gravità. È qui rappresentato uno stato di necessità che non può definirsi scusante, perché
non esclude un rimprovero all’agente, ma semplicemente diminuente la responsabilità penale per la
condotta. Così, poi al § 19: “(1) Chi è costretto da altri a commettere il fatto con violenza irresistibile o
con minaccia di un pericolo attuale, non altrimenti evitabile, per la vita o l’incolumità propria o altrui
non commette reato. Il danno che ne deriva per altre persone o per la società deve essere in relazione
con il pericolo incombente. La vita di altre persone non deve essere messa in pericolo. (2) Chi oltrepassa
i limiti dello stato di costrizione è responsabile penalmente. La pena può essere ridotta conformemente ai
principi sulla diminuzione eccezionale della pena se l’agente è stato posto con violenza in un grave stato
psichico di coazione.” Anche qui, un po’ confusamente, l’ipotesi sembra essere giustificante, salva la sola
diminuzione della responsabilità nel caso di eccesso colposo, sempre configurabile quando si mette in
pericolo il bene sommo dell’altrui vita. Infine il § 20 detta un’apposita disciplina per i conflitti di doveri,
delineando un soccorso di necessità chiaramente giustificante se in adempimento di un dovere, tranne che
per il caso di volontaria causazione del pericolo: “(1) Chi nell’esercizio del proprio dovere, dopo un
esame coscientemente responsabile della situazione, si decide a commettere una violazione del dovere
stesso al fine di impedire, attraverso l’adempimento di altri doveri, che si verifichi un danno maggiore
per altre persone o per la società, non altrimenti evitabile, agisce in modo giustificato e non commette
reato. (2) Se l’agente stesso ha provocato colpevolmente i pericoli contro cui agisce, questa disposizione
non trova applicazione”.
263
LENCKNER, Der rechtfertigende Notstand, Tuebingen, 1965, pag. 7, afferma che differenti sono le
ragioni della non punibilità dell’alpinista che forza la porta di una baita per ripararsi dall’improvvisa
bufera di neve, da quelle del naufrago che tramortisce il compagno perché la tavola di legno cui sono
aggrappati può sopportare il peso di un solo uomo, perché “mentre nel primo caso non può essere
pronunciato alcun giudizio negativo sul fatto, nel secondo non sussiste alcun ‘diritto’ di compiere il fatto;
il fatto è, anzi, giuridicamente disapprovato e l’agente può soltanto essere scusato dall’ordinamento, che
rinunzia ad elevare il rimprovero di colpevolezza in considerazione dell’humana fragilitas”.
264
Precisamente: parte generale, sezione II (il fatto), titolo IV (difesa legittima e stato di necessità) dello
StGB.
265
Cfr., AA.VV., Digesto penale, 1997, alla voce “Stato di necessità”, pag. 670 ss.
266
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 359.
267
Codice penale tedesco, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1994. Questo il testo tedesco del § 34 StGB
“Rechtfertigender Notstand. Wer in einer gegenwaertigen, nichts anders abwendbaren Gefahr fuer
Leben, Leib, Freiheit, Ehre, Eigentum oder ein anderes Rechtsgut eine Tat begeht, um die Gefahr von
sich oder einem anderen abzuwenden, handelt nicht rechtswidrig, wenn bei Abwaegung der
wiederstreitenden Interessen, namentlich der betroffenen Rechtsgueter und der Grades der ihnen
drohenden Gefahren, das geschuetze Interesse das beeintraechtigte wesentlich ueberwiegt. Dies gilt
jedoch nur, soweit die Tat ein angemessenes Mittel ist, die Gefahr abzuwenden”.
54
Peraltro sono, già di primo acchito, evidenti le somiglianze con la norma
italiana: entrambi gli istituti richiamano l’attualità del pericolo, la sua inevitabilità
altrimenti e contengono una clausola di proporzionalità tra fatto e pericolo. Altrettanto
palesi sono, però, le differenze: la norma tedesca considera conflitti di beni giuridici di
qualsiasi natura e non limita, quindi, il danno “alla persona”; fa esplicito riferimento al
bilanciamento degli interessi in conflitto, richiedendo l’”essenziale prevalenza”
dell’interesse salvaguardato su quello sacrificato268; infine esplicitamente esclude
l’antigiuridicità del fatto, qualificando espressamente la causa di non punibilità come
una giustificante.
Si è già detto dell’evoluzione storica e dell’inquadramento normativo
dell’istituto e, quindi, non resta che completare l’analisi dei requisiti richiesti dal
legislatore.
Il primo presupposto per l’applicazione della scriminante è rappresentato dal
pericolo attuale per un bene giuridico dell’autore. Un pericolo incombe, quando una
lesione minaccia il bene, cosicché il verificarsi del danno sembra di prossima
verificazione. Non è necessario che l’evento sia assolutamente certo, ma è sufficiente
che sia solo probabile269: la situazione di pericolo va valutata ex ante, dal punto di vista
di un attento osservatore esterno, e si hanno gli estremi per la giustificazione quando, da
quel punto di vista, il pericolo appare certo o altamente probabile270.
Il danno è probabile, quando c’è la preoccupazione che si realizzi, e lo sviluppo
naturale degli eventi fa presagire un’intensificazione del danno271, anche se non
immediata.
Il pericolo è da considerare attuale sia quando è presente al momento della
condotta, sia quando è imminente, tanto da far considerare ragionevolmente necessaria
l’utilizzazione di strumenti difensivi272. Tuttavia non è chiara la ‘quantità’ di pericolo
necessaria perché si possa invocare il § 34273.
Per qualcuno è attuale anche il pericolo perdurante, come per il caso ‘Spanner’.
Si afferma che l’attualità del pericolo, così spiegata, ha un significato diverso rispetto a
quello assunto nella legittima difesa274.
La fonte del pericolo è indifferente275: può derivare da un evento naturale ma
anche dall’azione dell’uomo, come ad es. da un delitto276 o da minaccia altrui. Secondo
alcuni lo stato di necessità giustifica anche un’azione di difesa ‘preventiva’277.
Il pericolo poi non dev’essere altrimenti evitabile: secondo l’opinione più
accreditata, non significa che il mezzo adoperato debba necessariamente essere l’unico
possibile per allontanare il pericolo, ma che sia, nel caso di più possibilità, il mezzo
meno dannoso tra quelli a disposizione dell’agente. Se il pericolo può essere evitato
268
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 93.
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169.
270
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 415.
271
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169.
272
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361.
273
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 643.
274
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 417.
275
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 643.
276
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 416.
277
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 644.
269
55
chiamando in soccorso la forza pubblica, l’uso di ogni altro mezzo esclude gli estremi
per l’applicazione della norma. Si tratta, quindi, di adottare una condotta che sia quella
meno dannosa relativamente alle circostanze278, perché l’aggressione coinvolge la sfera
giuridica di un terzo estraneo al pericolo, e quindi va contenuta quanto più possibile279.
La condotta dev’essere comunque idonea280: se ad esempio nei paraggi di un
grosso incendio si trova solo un estintore manuale, la possibilità dell’uso di questo
strumento palesemente inidoneo a contrastare il fuoco, non influenza la giustificazione
della condotta di chi abbia sottratto il cellulare al passante per chiamare i pompieri.
Sono tutelabili con la condotta necessitata tutti gli interessi riconosciuti
dall’ordinamento281. Infatti l’elencazione dei beni al § 34, a differenza di quella del §
35, non è da considerarsi tassativa282. Quindi sono da includersi anche i beni di
pertinenza statale o della collettività283, oltre che, naturalmente, tutti i beni
patrimoniali284.
Il discorso deve valere, secondo la comune ammissione, per ogni bene giuridico,
visto che l’elencazione contenuta nella norma ha un valore puramente esemplificativo,
mentre è decisiva, ai fini interpretativi, l’esplicita clausola di apertura che esclude in
radice l’antigiuridicità del fatto. Sembra escluso da ogni possibile bilanciamento il
bene-vita, secondo alcuni anche quando il saldo finale è ‘quantitativamente’ positivo: la
salvezza di molti non vale a giustificare il sacrificio anche di uno solo 285. Anche il
soccorso di necessità è ammesso senza limitazioni286
Il § 34 impone al giudice una valutazione sugli interessi in conflitto,
riconoscendo la concessione della scriminante solo qualora l’interesse protetto
dall’autore risulti prevalente in maniera rilevante287.
È da ricordare che il bilanciamento non avviene tra i beni astrattamente in gioco,
ma, come è evidente dalla lettera della norma, tra interessi288: (die Abwägung der
wiederstreitenden Interessen): quindi vengono all’attenzione anche le circostanze in cui
si gioca il conflitto oggetto del giudizio.
Per la valutazione complessiva del fatto ci si deve chiedere se l’interesse alla
tutela del bene minacciato prevalga sull’interesse all’omissione di tale condotta289.
Quanto all’essenzialità della prevalenza, per lo più la dottrina si limita ad
affermare che la prevalenza dev’essere chiara, non dubitabile, senza ulteriori
278
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 170, contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361,
secondo il quale il bene può essere salvato solo col sacrificio dell’altro.
279
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 646.
280
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 417.
281
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 169.
282
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 414.
283
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 639.
284
Risulta qui evidente la fondamentale differenza con l’art. 54 c.p. italiano, che, limitando il pericolo
attuale ad un ‘danno grave alla persona’, impone una limitazione rigorosa dei beni tutelabili in stato di
necessità; e in questo la nostra norma somiglia di più allo stato di necessità scusante tedesco
285
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361.
286
Purchè sia attuato con ‘volontà di salvezza’, JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363.
287
Anche sotto questo aspetto la disciplina diverge da quella del nostro codice, dove si fa solo menzione
della necessaria proporzione tra fatto e pericolo; ma la norma italiana è applicabile solo alle aggressioni di
beni di particolare rilievo esistenziale, e, poiché sono a priori escluse le offese bagatellari, non si è
ritenuto necessario richiedere anche l’essenziale prevalenza di un bene sull’altro.
288
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 651.
289
HIRSCH, LK, cit., § 34, n.62.
56
qualificazioni290. Il saldo attivo può comunque non essere sufficiente, se non viene
integrato anche il requisito dell’adeguatezza291.
Dal ‘bene’, comunque, non si può prescindere e in ogni caso la sua
considerazione contribuisce a fissare alcuni punti fermi292: ad esempio la lesione di un
bene strumentale per la tutela di un bene primario, è senz’altro giustificabile293. Così si
applica il §34 allo straniero che s’introduca clandestinamente nel territorio tedesco per
salvare la propria vita da un imminente attentato294; un interesse meramente
patrimoniale non può, d’altro canto, trovare tutela a mezzo del sacrificio della vita o di
beni personali di altri soggetti295.
Alle ipotesi di omicidio, come già detto, non si applica la giustificante, ma al
massimo la scusante296.
Per raggiungere una soluzione adeguata bisogna ancora inserire nel
bilanciamento dei criteri integrativi: si devono tenere in considerazione le concrete
modalità di lesione e l’effettiva entità del danno. Può infatti accadere che un bene di
valore astrattamente inferiore venga ritenuto prevalente se l’aggressione al bene di
maggior valore non minacci che una lievissima lesione, mentre sul primo incomba un
danno molto consistente297.
Ovvero nel caso di conflitto tra beni patrimoniali dello stesso rango, risulterà
decisiva la quantità della lesione minacciata ad entrambi, o l’infungibilità dell’uno
rispetto all’altro298.
La lettera della legge, poi, impone di guardare al grado del pericolo: in base a
tale valutazione un interesse prevale sull’altro se la prospettiva di lesione nei suoi
confronti è più probabile, e la condotta sarà tanto più scriminabile quanto minore appare
la sua portata lesiva299. In relazione ai reati di pericolo, la commissione di un delitto di
pericolo astratto, ad esempio, è giustificata se controbilanciata dall’aver impedito la
verificazione di un pericolo concreto: ad esempio può essere consentito un cambio di
carreggiata in autostrada dopo aver appreso la notizia che un automobilista sta
avanzando contromano a folle velocità300.
Altri fattori da tenere presente sono le possibilità di salvataggio e il rischio di
danni successivi al bene stesso: un interesse sarà prevalente quanto minore è la sua
possibilità d’essere altrimenti salvato; d’altro canto, sarà prevalente quanto maggiore è
il rischio che possa subire altri danni301.
Viene qui in rilievo, anche se non espressamente menzionato, un altro fattore di
290
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 362. Più rigoroso invece HIRSCH, LK, cit., § 34, n.76; anche
per JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 426 il saldo finale dev’essere evidentemente positivo.
291
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363.
292
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171.
293
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 422.
294
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 647.
295
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 647.
296
Questo è un altro punto di divergenza con l’attuale norma italiana. In Italia il riferimento alla sola
proporzione tra fatto e pericolo non ostacola l’applicazione della disposizione anche ai casi in cui venga
sacrificata la vita del terzo, come nelle classiche ipotesi del naufrago o dell’alpinista
297
HIRSCH, LK, cit., § 34, n.63 e JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB
Kommentar, cit., pag. 649.
298
HIRSCH, LK, cit., § 34, n.63.
299
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 649 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 425.
300
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 424.
301
HIRSCH, LK, cit., § 34, n.66 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 650.
57
bilanciamento, rappresentato dal particolare obbligo di esporsi al pericolo302, da
valutarsi come elemento a carico dell’agente. L’esistenza di questo particolare fattore
integrante il bilanciamento è dedotta in chiave interpretativa, mentre rappresenta un
requisito espresso nella norma italiana e nello stato di necessità scusante del § 35303.
Non costituisce invece requisito per l’applicazione della norma il fatto che il
pericolo non sia colpevolmente causato dall’agente: manca infatti, a differenza che nella
disposizione italiana, una richiesta normativa in tal senso304. E si dice che tale
circostanza non incide neppure sulla ponderazione degli interessi305, tranne per il caso
che la situazione di necessità sia stata artatamente costruita dall’autore per poter
offendere l’altrui bene giuridico.
Come già detto nel precedente capitolo, la norma sullo stato di necessità
giustificante comprende anche i conflitti di doveri giustificanti306.
La norma prevede poi una clausola di adeguatezza
(die
Angemessenheitsklausel), ossia che il fatto sia un mezzo adeguato per impedire il
pericolo. Sull’interpretazione di tale clausola la dottrina tedesca si è divisa. Per alcuni è
una formula vuota e superflua, priva di rilevanza pratica, poiché una valutazione in
termini di adeguatezza della condotta sarebbe già presente al momento della valutazione
degli interessi confliggenti307.
Secondo altri, invece, le si può attribuire un proprio autonomo significato,
ricollegato al fatto che in alcuni casi è possibile che la tutela di un interesse anche
chiaramente prevalente sia disapprovata dall’ordinamento giuridico a causa di un
superiore principio di interesse comune308. Questa linea è confortata anche da qualche
pronuncia giurisprudenziale. Si fa solitamente l’esempio di un soggetto che,
ingiustamente accusato in un processo, istiga un testimone a deporre il falso o evade per
sfuggire al pericolo incombente sulla sua libertà309: tali comportamenti non vengono
considerati legittimi. Ancora, è per questa clausola che non è consentito un prelievo
coatto di sangue, mentre sarebbe da considerare lecito se si guardasse al mero
bilanciamento di interessi, perché il ricevente ne ha un vantaggio sicuramente maggiore
del danno cagionato al ‘donatore’310.
La funzione della clausola viene invocata anche per la tutela della dignità
umana311 e per fondare il diritto all’autodeterminazione dell’offeso: in alcuni casi la
clausola eleverebbe la dignità umana a limite invalicabile posto a garanzia
302
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 651.
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 650 e HIRSCH, LK, cit., § 34, n.66; JAKOBS,
Strafrecht, cit., pag. 424.
304
Contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 363, secondo il quale la colpevole causazione della
situazione di necessità gioca un ruolo nella ponderazione degli interessi. Ad esempio chi colposamente
causa un incendio, se per sfuggirvi uscendo dall’edificio urta contro qualcuno ferendolo, deve lasciarsi
obiettare che è stato lui a provocare la situazione di necessità.
305
Contro, JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171, secondo cui la causazione del pericolo è da tenere
in considerazione nel rapporto di proporzione.
306
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 365 e ss.
307
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 658.
308
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361.
309
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 361.
310
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 171.
311
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 427.
303
58
dell’ordinamento giuridico, divenendo un criterio vincolante di interpretazione, come
nell’ipotesi appena citata delle trasfusioni di sangue.
Infine è considerata l’appiglio normativo per non applicare lo stato di necessità
giustificante a coloro che hanno un particolare dovere giuridico di esporsi ad un
determinato pericolo312 ed introdurre, quindi, la limitazione in via interpretativa.
Ancora aperta è la questione se siano richiesti o meno la ‘volontà di salvezza’ e
altri elementi soggettivi per la giustificazione (subjektives Rechtfertigungselement). Chi
la pretende313, la invoca o come unico scopo o come uno solo dei cofattori motivanti.
Probabilmente, però, non serve accertare la presenza di tale volontà per applicare la
norma314.
L’opinione dominante richiede la presenza di un doveroso esame che però non è
da considerare un elemento soggettivo315: qualora manchi un accurato esame della
situazione, pur in presenza di tutti gli altri requisiti richiesti dal § 34, il fatto diventa
punibile. La questione è strettamente connessa al tema dell’errore, la cui valutazione è a
favore dell’agente solo per il caso in cui sia ritenuto inevitabile.
1.3
Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende Notstand
Il quadro va poi completato con la lettura del § 35, Abs. I: “Stato di necessità
scusante. Agisce senza colpevolezza chi commette un fatto antigiuridico per allontanare
da sé, da un congiunto o da un’altra persona a lui vicina un pericolo attuale e non
altrimenti evitabile per la vita, l’integrità fisica o la libertà. Ciò non vale se dall’autore,
date le circostanze, perché cioè egli stesso ha causato il pericolo o si trovava in una
particolare situazione giuridica, si poteva esigere di affrontare il pericolo; tuttavia la
pena può essere diminuita ai sensi del § 49 co. 1, se l’autore aveva l’obbligo di
affrontare il pericolo ma non in forza di una sua particolare situazione giuridica”316.
La causa scusante ricomprende anche la coazione morale derivante dall’altrui
minaccia, che nel vecchio codice trovava regolazione separata, assimilata alla coazione
derivante da forza irresistibile. Il legislatore della riforma ha scelto di ricondurre
l’ipotesi nell’alveo della norma generale, e di non porre differenze di trattamento basate
sulla fonte del pericolo. La fattispecie del pericolo derivante da altrui minaccia,
mancando un riferimento espresso, va inserita per via interpretativa; questa
‘dimenticanza’ consente tuttavia ad una parte minoritaria della dottrina di non la
avvalorarla semplicemente come ipotesi di scusa, ma di darne una valutazione in
312
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364.
Richiedono una ‘Rettungswille’ JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364 e HIRSCH, LK, cit., § 34,
n.45.
314
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 172.
315
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 659.
316
C.p. tedesco, a cura di VINCIGUERRA, cit. Si riporta di seguito l’integrale testo tedesco del § 35 I:
“Entschuldigender Notstand. Wer in einer gegenwaertigen, nichts anders abwendbaren Gefahr fuer
Leben, Leib oder Freiheit eine rechtswidrigeTat begeht, um die Gefahr von sich, einem Angehoerigen
oder einer anderen ihm nahestehenden Person abzuwenden, handelt ohne Schuld. Dies gilt nicht, soweit
dem Taeter nach dem Umstaenden, namentlich weil er die Gefahr selbst verursacht hat oder weil er in
einem besonderen Rechtsverhaeltnis stand, zugemutet werden konnte, die Gefahr hinzunehmen; jedoch
kann die Strafe nach § 49 Abs. 1 gemildert werden, wenn der Taeter nicht mit Ruecksicht auf ein
besonderes Rechtsverhaeltnis die Gefahr hinzunehmen hatte”.
313
59
termini di giustificazione o di scusa in dipendenza dagli interessi coinvolti317.
Manca nella norma tedesca il requisito di proporzionalità tra danno cagionato e
danno evitato318, dal momento che il principio del bilanciamento resta estraneo alla
logica della norma. Espressa è, ancora una volta, l’individuazione di una clausola di
esigibilità (Zumutbarkeit) del comportamento, che radica il fondamento319 della norma
nel principio di inesigibilità320, palesandone l’inquadramento tra le scusanti321.
Si è detto che manca il riferimento al rapporto tra i beni in gioco: ad azione
compiuta, non si può riscontrare un saldo oggettivamente positivo, ma permane il
disvalore della condotta. È per questo motivo che il legislatore limita il riconoscimento
della scusante alla sola tutela di beni altamente personali, quali vita, integrità fisica o
libertà, e tralascia del tutto i beni patrimoniali. L’elenco, a differenza di quello del § 34,
è da considerarsi tassativo, e non è plausibile la scusa di una condotta volta alla tutela di
beni diversi322. Pure la dottrina che ragiona in termini di doppia attenuazione dei
disvalori d’illecito, riconosce la necessità di limitare l’intervento nella sfera giuridica di
terzi: anche se l’illecito viene diminuito sotto entrambi gli aspetti, oggettivo e
soggettivo, non viene mai completamente annullato. Quindi non si può agire a tutela di
beni meramente patrimoniali, e l’affermazione trova conferma nel fatto che l’elenco dei
beni protetti è tassativo323.
Per quanto riguarda la ‘vita’, è discusso se la dizione ricomprenda anche la vita
del nascituro. Chi sostiene una risposta negativa, lo fa argomentando dalla lettera della
legge: siccome il soccorso di necessità è scusato solo se in favore di congiunti e persone
affettivamente legate all’autore, e siccome si dice che il feto non è riconducibile a dette
categorie324, si esclude la scusa quando il bene tutelato sia il nascituro. Chi invece lo
vuole ricomprendere nell’interpretazione sostanziale del bene vita, denuncia il troppo
317
Per un quadro delle differenti posizioni della dottrina, si veda JOECKS, Studienkommentar, Berlin,
1999, pag. 174. Anche in questo caso è poi possibile un veloce raffronto con la norma italiana, che ne
evidenzi affinità e differenze. Affine è, ancora una volta, il riferimento all’attualità del pericolo, alla sua
inevitabilità altrimenti e alla non volontaria causazione; ma la somiglianza più significativa si riscontra
nella delimitazione, in entrambe le norme, a pericoli per beni di immediato rilievo esistenziale.
Differente è, invece, la restrizione presente solo nel testo tedesco, dei possibili destinatari del soccorso a
congiunti e persone affettivamente vicine all’agente; è una riserva strettamente connessa all’influenza che
il pericolo ha sulla motivazione dell’agente: questi subisce un turbamento rilevante solo qualora il
pericolo lo investa direttamente o riguardi una persona a lui tanto ‘cara’ da farglielo percepire come
proprio.
318
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 93.
319
Per cenni al dibattito riguardo l’unitarietà del fondamento della scusante, vedi JOECKS,
Studienkommentar, cit., pag. 176. Sul punto cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 480: l’autore
rinviene il fondamento della norma in una doppia diminuzione e della colpevolezza e del disvalore di
illecito.
320
Sul principio di inesigibilità e sulle sue possibilità di applicazione anche nell’ordinamento italiano si
veda FORNASARI, Principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova, 1990.
321
Nel panorama scientifico tedesco si suole inoltre distinguere tra scusanti(Entschuldigungsgrunde) e
cause di esclusione della colpevolezza (Schuldausschliessunggrunde). In questa sede non serve comunque
indugiare sul punto.
322
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 572, dice che al massimo ci potrà essere una diminuzione di pena.
323
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176.
324
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.12.
60
rigido formalismo di tale impostazione325.
Riguardo all’integrità fisica, la tutela non si ferma alle ipotesi di protezione della
salute, ma comprende altri pericoli di offesa non irrilevante, come ad esempio la difesa
da un abuso sessuale326. Deve trattarsi comunque di offese non bagatellari, altrimenti
stonerebbe la parificazione della salvaguardia dell’integrità fisica con quella della
vita327. Ad esempio solo un danno alla salute per gli abitanti di una fattoria minacciata
da un’inondazione può servire a scusare l’apertura di una diga e i danni a cose così
provocati in un altro luogo328.
In riferimento alla libertà, è da intendersi coinvolta la libertà di movimento, non
di decisione o di comportamento329, purchè sempre di una certa rilevanza330. Il bene si
reputa tutelabile anche contro le privazioni minacciate da provvedimenti dell’autorità331.
In questo modo viene veicolata l’esenzione da pena per gli autori di quei fatti che in
Italia ricadono nella previsione dell’art. 384 c.p..
Per la mancanza di un saldo sociale attivo, il legislatore ha opportunamente
limitato il soccorso di necessità ai soli ‘congiunti’ e a persone particolarmente vicine
all’agente: solo quando il pericolo minaccia tali persone, viene percepito dall’autore
come ‘proprio’, e risulta quindi idoneo a turbare il processo motivazionale dell’agente,
cosicché l’ordinamento non muove alcun rimprovero.
Per la rilevanza della parentela non conta quale sia il rapporto reale tra i soggetti
perché la ‘commensalità’ si presume332; contrariamente per la seconda specie di
beneficiari del soccorso, in riferimento ai quali è il rapporto sostanziale che va
verificato, caso per caso333. Il legislatore non dà una definizione delle ‘persone vicine
all’agente’, e pertanto ne risulta controversa l’identificazione. Di regola è accolta
l’accezione per la quale si intendono richiamati i rapporti personali connotati da una
certa durata e caratterizzati da un sentimento di solidarietà simile a quello tra
congiunti334. Segnatamente vengono in considerazione i casi di parentela non
riconducibili al § 11 co. 1, n.1 StGB, come i rapporti zio-nipote, di convivenza fuori del
matrimonio, di stretta amicizia, di lunga comunità di abitazione, di rapporto padrinofiglioccio, di fidanzamento, mentre vengono esclusi i rapporti di lavoro o di semplice
militanza politica.
Nella norma italiana non c’è alcuna limitazione dei beneficiari del soccorso di
necessità, ma alcuna dottrina ritiene di introdurre la restrizione in via interpretativa.
C’è un’altra limitazione espressa: non possono invocare la scusante coloro sui
325
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 663.
Contro HIRSCH, LK, cit., § 35, n.13 che preferisce parlare di particolare tutela della libertà.
327
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 663; JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 572.
328
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 481.
329
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176.
330
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 664.
331
Contro JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 487, perché si tratta di interventi legittimi
dell’autorità: si deve quindi ‘sopportare’ il pericolo di lesione.
332
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 571.
333
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 177.
334
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 666, JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482 e
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.33.
326
61
quali grava un particolare dovere giuridico o coloro che hanno dato causa alla situazione
di pericolo. Questo non perché costoro sono ritenuti ‘immuni’ dal turbamento
motivazionale, ma perché da loro si esige una tenuta superiore alla media. La
limitazione in ogni modo non inficia il principio di inesigibilità: dal momento che si
tratta di un concetto normativo, non esclusivamente naturalistico, il legislatore può
forgiarlo come meglio crede e stabilire in quali casi si possa presumere l’esigibilità della
condotta.
Anche il § 35 richiede che incomba sul bene un pericolo attuale, e del requisito
si dà un’interpretazione corrispondente a quella del § 34: quindi in base ad un giudizio
ex ante, la probabilità del verificarsi della lesione deve essere così forte da far ritenere
indispensabile, al momento della condotta, l’intervento a salvaguardia del bene335.
Attuale è anche il pericolo protratto nel tempo e sempre attualizzabile: si veda in
proposito il celeberrimo caso ‘Spanner’, o l’esempio di chi commette reato di falso
giuramento perché da tempo minacciato di morte nel caso in cui presti giuramento
secondo verità, o il caso dell’uccisione nel sonno del padre iracondo che durante il
giorno minaccia ripetutamente madre e sorella336.
Il pericolo deve essere anche non altrimenti evitabile: ciò, come già visto,
significa che l’azione deve rappresentare il mezzo meno dannoso tra quelli efficaci a
disposizione dell’agente; ovvero che non ci sono altre alternative. Se esiste un mezzo
fornito dal diritto per superare il conflitto, questo deve senza dubbio essere adoperato,
lasciando da parte tutti gli altri. A proposito in giurisprudenza si è ritenuto che un
soldato non potesse disertare perché un comando dell’autorità sanitaria del suo reparto
lo obbligava ad indossare l’uniforme il cui tessuto gli provocava una reazione allergica,
quando poteva ‘comodamente’ opporre un reclamo all’autorità militare competente337.
Quanto alla fonte del pericolo, può indifferentemente essere un evento naturale o
una condotta umana: un esempio del secondo caso è dato dall’assoluzione del figlio
parricida, perché spinto dal desiderio che cessasse la condotta vessatoria del padre
ubriacone e molesto nei confronti della madre e della sorella. Rientrano nella logica
della scusa anche i reati perpetrati per bisogno alimentare, pur se solo in casi di estrema
gravità338. La fonte del pericolo può anche essere l’altrui minaccia: in questo caso non si
può richiedere la giustificazione ex § 34, perché la commissione del reato non è da
considerarsi il mezzo adeguato per l’allontanamento del pericolo, ma sicuramente
residua spazio per la scusa339.
L’azione necessitata può aggredire qualunque bene giuridico altrui: il paragrafo
trova applicazione anche nell’ambito dei conflitti di vita contro vita. Ma è necessario
che sia accompagnata dall’elemento soggettivo dell’intenzione di allontanare il pericolo.
Ne discende che la situazione di pericolo deve essere conosciuta dall’autore
perché questi ne senta la spinta motivazionale eccezionale che lo spinge al reato per
evitare la lesione. È qui la ragione della riduzione della colpevolezza che porta
335
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.29 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 571.
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482.
337
FORNASARI, Principi del diritto penale tedesco, Padova, 1993, pag. 363 e ss..
338
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 673.
339
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483 e pag. 42 di questo testo.
336
62
all’applicazione della scusante340. Deve comunque esistere la volontà di allontanare il
pericolo accanto alla forte pressione motivazionale: l’influsso del motivo di salvezza è
fondamentale nella formazione della volontà341.
Si deve precisare che non si richiede che la finalità di salvezza sia l’unica che
muove l’autore, ma possono coesistere più scopi342.
Secondo una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza, lo scopo di
salvataggio di un bene da solo non è sufficiente a scusare la condotta, perché è
indispensabile che l’autore svolga uno scrupoloso esame della situazione di necessità;
tale impostazione, però, non trova consensi, anche perché non è supportata da alcun
dato letterale. Si ammette al massimo che l’esame abbia rilevanza nella valutazione
dell’evitabilità dell’errore343: si finisce allora a richiedere comunque un esame dei
doveri in gioco con attenzione alla gravità del reato e alla vicinanza del pericolo, perché
se questo manca può sempre venire rimproverato e addebitato l’errore344.
Si è già accennato alla clausola di inesigibilità (die Unzumutbarkeit). Va ora
precisato che la scusante non si applica se dall’autore, date le circostanze, si poteva
esigere di affrontare il pericolo. Si ritiene che debba sopportare il pericolo qualora egli
stesso lo abbia causato o qualora si trovi in una particolare posizione giuridica che gli
impone di esporsi: in questi casi non si avrebbe la diminuzione della colpevolezza
presupposta per l’applicazione della scusante345.
I motivi delle due esclusioni sono però differenti: nel caso del dovere giuridico
la ragione è da rinvenirsi nella fiducia che la collettività ripone in certe persone, per la
loro qualifica professionale (vigili del fuoco, forze dell’ordine, medici, soldati) o perché
queste hanno assunto per contratto una posizione di garanzia nei loro confronti (guide
alpine, bagnini). Costoro, in sostanza, avranno il dovere di agire per far venir meno la
situazione di necessità, ma ciò non significa che il soggetto qualificati resta ‘immune’ al
turbamento motivazionale; significa solo che, essendo l’esigibilità un concetto
normativo, sta al legislatore delimitarne la portata. L’affidamento della comunità
permette di presupporre la ‘sopportazione’ solo in relazione al pericolo tipico e mai fino
al sacrificio della vita di costoro346.
Chi lega il concetto di colpevolezza alle funzioni preventive della pena, fa
risiedere la spiegazione nel fatto che lo Stato, avendo il compito di proteggere i beni
giuridici, non può permettere che un soggetto, cui spettano funzioni di protezione di
specifici interessi, possa sottrarsi ai propri doveri e al contempo apparire di fronte alla
comunità come meritevole di andare impunito347.
La circostanza che sia l’agente stesso la fonte del pericolo, non ha, di per sé,
l’effetto di escludere l’applicabilità della scusante: tale effetto si produce allorché in
340
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 667; HIRSCH, LK, cit., § 35, n.38; JESCHECKWEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483.
341
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 483.
342
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.38.
343
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.40.
344
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 482.
345
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; chi invece lega la colpevolezza a ragioni di
prevenzione, ritiene che la clausola sia legata al fatto che l’ordinamento non può ammettere che soggetti
qualificati dalla loro posizione giuridica vengano meno ai loro obblighi pur se in presenza di una
situazione di pericolo, perché altrimenti verrebbe indebolita la fiducia dei consociati nel funzionamento
delle norme.
346
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 670; HIRSCH, LK, cit., § 35, n. 56; JESCHECKWEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 178.
347
VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 138.
63
conseguenza della causazione del pericolo, si può esigere dall’agente di affrontarlo. Ciò
accade quando la causazione è colpevole, perché l’esigibilità opera solo nei confronti di
chi, fin dall’inizio, merita un rimprovero348. Infatti non si ritiene sufficiente la mera
causalità tra condotta e pericolo: ad esempio se Tizio invita Caio a fare una gita in
barca, non è questo motivo sufficiente per escludere la scusa nel caso in cui una
tempesta sorprenda i due amici e Tizio sia costretto a salvarsi a spese di Caio. C’è da
segnalare che autorevole dottrina ritiene sufficiente che la condotta causante sia
oggettivamente antidoverosa349.
Anche in questa ipotesi chi lega la ratio della scusante a ragioni preventive, lega
la ratio dell’esclusione all’obiettivo di assicurare una pacifica convivenza: è
indispensabile evitare che atteggiamenti irresponsabili producano situazioni di pericolo,
e per obbligare il cittadino alla prudenza, il legislatore ha stabilito di punire il soggetto
che ha provocato la situazione pericolosa350.
In questa tematica ha poi un rilievo particolare la configurazione del soccorso di
necessità. Si fa l’esempio del padre che mette colposamente in pericolo la vita del figlio,
portandolo in una segheria e del figlio che colposamente mette a repentaglio la propria
vita entrando in una segheria senza alcuna precauzione: in entrambi i casi il padre che
interviene con una condotta antigiuridica può invocare il § 35351.
Si ritiene peraltro che l’esemplificazione dei casi di esigibilità sia puramente
indicativa, non di chiusura352 e che, quindi, esistano altre ipotesi in cui l’autore è tenuto
ad affrontare il pericolo senza poter invocare la scusante: ad esempio quando l’autore è
in una speciale posizione di garanzia nei confronti della potenziale vittima della
condotta necessitata353. Non viene completamente scusato pertanto il padre che salvi la
propria vita a costo di quella del figlio o il marito che si salvi a scapito della moglie354.
Ovvero qualora la situazione sia creata da un soggetto che agisce in legittima difesa 355;
o per una situazione di bisogno alimentare da non considerarsi eccezionale. In una
pronuncia giurisprudenziale si è stabilito che non può appellarsi al § 35 il soggetto
ingiustamente condannato ad una pena detentiva che evadendo uccide un secondino, se
il processo di condanna si è svolto in base ai principi dello Stato di diritto356.
Tuttavia nelle ipotesi in cui il soggetto, pur dovendo affrontare il pericolo, tiene
invece la condotta antigiuridica, ci può essere una diminuzione facoltativa della pena:
illecito e colpevolezza diminuiscono per le circostanze straordinarie357. Tranne per i casi
in cui l’obbligo nasce da una particolare posizione giuridica.
Tale limitazione viene da molti ritenuta inopportuna, perché la pressione
motivazionale opera anche sui soggetti particolarmente qualificati, e non pare giusto
348
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 485; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 668.
HIRSCH, LK, cit., § 35, n.49.
350
VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 139.
351
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486; la necessità è invece ammessa solo nella seconda
ipotesi in SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 669.
352
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 484
353
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 487.
354
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 574, ma comunque ci sarà una diminuzione obbligatoria di pena.
355
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 672.
356
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 486.
357
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488.
349
64
parificare del tutto la qualificazione della loro condotta a quella di chi si trova
completamente libero da influssi esterni358.
Si ritiene che la diminuzione ai sensi del co. 2 debba trovare applicazione anche
quando l’autore abbia agito in una situazione di necessità ma senza adoperare il mezzo
meno dannoso per la vittima359.
Si ritiene che la diminuzione di pena venga in considerazione anche quando non
può esserci una giustificazione totale ex § 34 per mancanza di proporzionalità o
adeguatezza della condotta360.
Come già detto, al co. 2 § 35 viene regolata l’ipotesi in cui l’autore, al momento
del fatto, supponga erroneamente esistenti i requisiti della situazione necessitata: il
soggetto non viene punito se ha compiuto un errore inevitabile, mentre la pena è solo
obbligatoriamente diminuita se l’errore era evitabile. Riguardo all’evitabilità dell’errore
viene in rilievo l’effettuazione o meno del ‘coscienzioso esame’ dell’esistenza dei
presupposti della scusante: la mitigazione è attuabile solo se l’autore ha fatto un
accurato esame delle condizioni361.
La ragione di tale irrilevanza trova il suo fondamento nel fatto che solo
l’ordinamento e non il singolo tramite la sua falsa rappresentazione, può decidere
quando sollevare un giudizio di rimprovero362.
Secondo molti si tratta di un’autonoma categoria di errore, perché non incide né
sul fatto né sull’antigiuridicità, anche se vengono applicate le regole sull’errore sul
divieto del § 17 StGB363. Per l’esclusione della pena, l’errore deve cadere su uno dei
presupposti di fatto della scusante, e diverse sono le conseguenze se l’errore cade su uno
degli elementi normativi della stessa. L’autore è quindi scusato se ha erroneamente
ritenuto attuale il pericolo o se non si è reso conto dell’esistenza di un mezzo meno
dannoso per la vittima; non beneficia invece della norma se, pur sapendo di trovarsi in
una particolare situazione giuridica, ritiene che da lui non sia esigibile la sopportazione
del pericolo, o se l’agente ritiene che la scusante opera anche per la tutela di un bene
patrimoniale364, ed erra quindi sui confini della scusante. Non c’è scusa neppure per chi
erroneamente pensa che ci sia una scusante non codificata.
Nell’ipotesi di errore evitabile, il giudice può in ogni caso concedere una
diminuzione facoltativa della pena, e quindi tenere presente che, pur essendo
rimproverabile per la ‘leggerezza’ nell’agire, il soggetto subisce comunque una
pressione motivazionale che gli impedisce di conformarsi alla legge.
1.4
Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni pratiche
L’aver preso coscienza della differenza ontologica dei tipi di necessità e averla
tradotta in termini normativi, con l’adozione di un modello differenziato, non
358
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488 e JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 575.
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 673.
360
JOECKS, Studienkommentar, cit., pag. 176; secondo JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489,
invece, non c’è né scusa né mitigazione della pena se l’errore cade sull’esistenza del pericolo o
sull’esigibilità della scelta del mezzo meno dannoso.
361
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 488.
362
VENAFRO, Scusanti, cit., pag. 23.
363
SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 674 e JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489.
364
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 489; SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, cit., pag. 674
e 675; HIRSCH, LK, cit., § 35, n. 74.
359
65
rappresenta un’inutile moltiplicazione delle fattispecie legali, ma piuttosto un chiara
precisazione delle stesse.
Non si nasconde il timore che un’applicazione troppo disinvolta delle norme che
escludono la punibilità, siano giustificanti o scusanti, comporta il rischio
dell’indebolimento dell’efficacia preventiva delle norme penali. Tuttavia i correttivi
all’applicazione ‘pura’ dei principi limitano i punti di collisione col sistema, e, anche se
sono inidonei a garantire una rigorosa certezza del diritto, sono comunque in grado di
indirizzare l’interprete ad un giudizio obiettivizzabile ed in grado di raccogliere
consensi circa la prevalenza dell’uno o dell’altro interesse365: il deficit di precisione è
quindi da ritenere tollerabile per l’autorizzazione di condotte a contenuto lesivo che
realizzino comunque un saldo sociale attivo, mentre per le altre, laddove ci siano
posizioni giuridiche individuali inviolabili, residua la sola possibilità di scusa.
In altre parole, lo stato di necessità giustificante si rivela uno strumento
estremamente duttile quando gli interessi siano oggettivamente ponderabili nella scala
di valori riconosciuta dall’ordinamento. È tuttavia insoddisfacente in riferimento ai
conflitti tra beni incommensurabili o a quelle situazioni necessitate che si fondano su un
sostrato di valori etici, come nel caso delle ‘comunità in pericolo’. Ma, a colmare la
lacuna, soccorre la norma sullo stato di necessità scusante, con un ruolo sussidiario
rispetto al § 34: quando non si è in grado di stabilire l’oggettiva prevalenza del bene
salvaguardato su quello tutelato, prima di dichiarare la punibilità della condotta, si deve
verificare che la condotta conforme al sistema fosse esigibile dal soggetto, in direzione
di una maggiore giustizia per il caso singolo.
Vale poi la pena di accennare alle conseguenze sistematiche derivanti dalla
formulazione differenziata.
Anche i penalisti tedeschi sono soliti spiegare che la legittima difesa è data
contro azioni scusate ma non contro quelle giustificate. Tuttavia le cose sono complicate
dal fatto che una parte rilevante della dottrina richiede, per il riconoscimento della
legittima difesa, che la condotta sia colpevole e talvolta addirittura qualificata in termini
di dolo o piena coscienza dell’illiceità, poiché non ci sarebbe bisogno di riaffermare il
diritto quando l’aggressore agisce senza colpevolezza. Ma si può non dar seguito a
questa opinione se si pensa che il diritto di difendersi non serve alla punizione
dell’aggressore, ma solo a rendere visibile chi è dalla parte del lecito e chi da quella
dell’illecito: la qual cosa è possibile anche quando l’aggressore agisce senza
colpevolezza. Al massimo si può convenire sul fatto che, contro un aggressore non
rimproverabile si pongano limitazioni etico-sociali al diritto di difesa. E, in ogni caso, è
da notare che la differenza tra giustificanti e scusanti permane, anche se si accede a
questa teoria, non essendo consentita la reazione nel primo caso, mentre nel secondo
l’aggredito non si lascia sprovvisto di tutela, ma gli viene riconosciuta almeno la
scriminante dello stato di necessità366.
Sull’estensione della causa di non punibilità ai concorrenti, le risposte della
dottrina sono simili a quelle riscontrate per il nostro ordinamento367: la condotta
giustificata dev’essere sempre esente da pena; se il fatto è conforme al diritto, ogni
365 VIGANÒ, Stato, cit., pag. 401, che comunque ritiene immotivata tale fiducia nella capacità del
procedimento topico di raccogliere consensi.
366
ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 98.
367
ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 95.
66
contributo ad esso va sottoposto alla stessa valutazione. Al contrario, la partecipazione
ad un’azione solo incolpevole, possibile attraverso il principio dell’accessorietà limitata
(§§ 26, 27 e 29 StGB368) non va necessariamente esente da pena: lo sarà quando le
cause di esenzione per l’autore sono presenti anche rispetto al concorrente o se
intervengano ulteriori fattori a escludere la punibilità.
Qualcuno369 ha proposto di lasciare in linea di principio impunito il concorso in
un fatto scusato per stato di necessità, omologando per questo caso le conseguenze di
giustificazione e scusa. Ma l’opinione non viene seguita perché il legislatore tiene
comunque fermo il comando della legge, disapprovando il fatto verificatosi: quindi non
c’è ragione per non punire, quando manchino le considerazioni che producono la scusa
per l’autore, l’estraneo che non si trova affatto costretto dalla situazione di pericolo. In
rapporto a costui, infatti, la forza motivante della norma penale non è scalfita; è
ipotizzabile comunque una diminuzione di pena, perché egli coopera ad un fatto il cui
disvalore complessivo è diminuito: il pregiudizio per il bene sacrificato, infatti, si
accompagna alla tutela di un altro bene giuridico.
In Germania l’errore sui presupposti concreti di una causa di giustificazione non
è espressamente regolato dalla legge, ma la dottrina e la giurisprudenza in caso di errore
tendono almeno ad escludere la responsabilità per dolo.
La supposizione erronea dei presupposti di una scusante, invece, è disciplinata
proprio relativamente all’ipotesi più significativa dal punto di vista pratico, cioè con
riguardo allo stato di necessità scusante. Il § 35 co. 2 esclude la colpevolezza in caso di
errore inevitabile, mentre negli altri casi viene comminata una pena a titolo di dolo,
seppure diminuita370. Prima dell’entrata in vigore della nuova parte generale del codice,
la Corte Suprema aveva sostenuto l’opinione che l’erronea supposizione di stato di
necessità scusante escludesse il dolo, non differenziandola affatto dal trattamento
dell’errore su una norma giustificante. Ma la diversa normativa prevista con la riforma è
stata ben accolta: chi suppone la presenza di una situazione giustificabile vuole fare
qualcosa che è conforme al diritto, quindi merita al massimo una pena a titolo di colpa.
Chi al contrario suppone una situazione scusante, sa di agire antigiuridicamente e lo fa
volontariamente. Siccome potrebbe astenersi dalla condotta, il fatto che colpevolmente
o erroneamente abbia supposto l’esistenza della scriminante non è una ragione
sufficiente per esentarlo senz’altro da una pena a titolo di dolo371.
Vale la pena, poi, precisare alcune applicazioni pratiche della norma,
similmente a come si è fatto per l’ordinamento italiano.
368
Così i paragrafi in traduzione: § 26: “Istigazione. Allo stesso modo dell’autore è punito, come
istigatore, chi ha determinato dolosamente altri alla commissione dolosa di un fatto antigiuridico.” § 27:
“Complicità. (1) E’ punito come complice chi dolosamente aiuta altri a commettere un fatto antigiuridico
doloso.(2) La pena per il complice è determinata in base alla pena prevista per l’autore. Essa deve essere
diminuita ai sensi del § 49 co. 1”. § 29:“ Autonoma punibilità del concorrente. Ogni concorrente viene
punito in base alla sua colpevolezza, senza riguardo a quella degli altri”.
369
RUDOLPHI, Ist die Teilnahme an einer Notstandsstat i.S. der §§ 52 e 53 Abs 3 und 54 StGB strafbar?,
1966, pag. 67, citato in ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 95 e RUDOLPHI-HORN, Systematischen
Kommentar zum Strafgesetzbuch, Frankfurt am Main, 1982, § 35.
370
ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 98 e JOECKS, Studienkommentar, 1999, pag. 178.
371
ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 99, e cfr. CAVALIERE, L’errore sulle scriminanti nella teoria
dell’illecito penale: contributo ad una sistematica teleologica, Napoli, 2000, pag. 505 sull’errore sulla
scriminante come ipotesi di esclusione di un ‘dolo d’illecito’.
67
Anche in Germania lo stato di necessità giustificante è richiamato spesso in tema
di contravvenzioni da circolazione stradale: ricorrono sentenze che giustificano il
medico che ha percorso contromano una strada a senso unico per soccorrere un paziente
gravemente malato372, o abbia superato i limiti di velocità consentita, purché l’abbia
fatto con le precauzioni del caso373.
O il caso di chi contravviene all’obbligo di non abbandonare il luogo
dell’incidente per non essere bastonato dalla folla374; è invece solo scusato chi
abbandona il luogo del sinistro per correre in ospedale a trovare la moglie gravemente
malata375.
Quanto al conflitto tra il divieto di uccidere una persona e l’obbligo di impedire
la morte di un’altra è risolto dalla dottrina tedesca con un argomento di tipo formalistico
ed uno di tipo sostanzialistico. Il primo richiama il § 34: la giustificazione dell’omicidio
non è possibile, non sussistendo ‘l’essenziale prevalenza’ del bene salvaguardato;
viceversa, viene giustificata la violazione dell’obbligo. Ma tale argomento non
convince376. Più solido sembra quello sostanziale: si afferma che a parità di bene
giuridico il divieto di ledere il bene ha un peso specifico maggiore rispetto al
corrispondente obbligo di attivarsi per la tutela del medesimo, ancora una volta viene
affermato che prevale il diritto del soggetto a che il terzo si astenga dall’intromettersi
nella sua sfera giuridica, sul diritto di quello a che il terzo si attivi in suo favore in una
situazione di pericolo.
Il che, nel campo medico del trapianto di organi, serve anche ad escludere che il
medico debba tutelare ad ogni costo la vita dei cittadini, ad esempio mediante il prelievo
di un organo da un donatore forzato. L’adempimento dell’obbligo di tutela della vita,
quindi, va rapportato alle risorse disponibili, da acquisire col rispetto delle garanzie dei
diritti fondamentali dei donatori.
Stabilito dunque che il divieto di omicidio prevale, la dottrina tedesca ritiene
comunque di poter riconoscere una scusante sovralegale a che ha compiuto la scelta
giuridicamente errata: la scusa opera sul piano del giudizio di colpevolezza
dell’agente377. Non si può invocare un coinvolgimento emotivo quando la scelta, nei
casi di eutanasia o nel caso dell’intervento sulle gemelle siamesi, è frutto di
ponderazione; ma un giudizio di colpevolezza deve comunque essere escluso se,
chiunque al posto degli imputati, avrebbe agito allo stesso modo: anche in questi
frangenti la condanna suonerebbe ipocrita. Un’altra via da percorrere per la non
punibilità è quella dell’errore incolpevole sul divieto in capo agli imputati378.
Invece per i casi di conflitti di due doveri d’azione, la dottrina minoritaria379 per
i casi di doveri che possono essere posti in gerarchia, ritiene il soggetto giustificato solo
se la norma violata sia quella soccombente nel giudizio di bilanciamento; nel caso di
doveri equivalenti, non sarebbe possibile approvare la violazione di nessuno dei due, e
la soluzione del conflitto è da rinvenirsi sul piano della colpevolezza. La dottrina
372
OLG Hamm VRS 14, 431; e OLG Düsseldorf VRS 30, 444.
OLG Frankfurt DAR 1963, 244.
374
BGH VRS 36, 24.
375
OLG Köln VRS 66, 128.
376
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 543.
377
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 368.
378
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 547.
379
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 366.
373
68
dominante sostiene, di contro, che l’adempimento di almeno uno dei due doveri
equivalenti sia sufficiente per giustificare la condotta380. Quindi il soggetto potrà
liberamente scegliere a quale dei due doveri prestare ossequio, perché ad impossibilia
nemo tenetur. Se non fosse giustificata, infatti, la condotta verrebbe ingiustamente
assimilata a quella di chi resta inattivo, violando entrambi i doveri: non è pensabile
assimilare la condotta del medico che presta soccorso ad almeno uno dei due pazienti
bisognosi di cure a quella del sanitario che, non sapendo chi dei due soccorrere, li lascia
morire entrambi.
Questo quindi il quadro riassuntivo: quando si trovano in conflitto un obbligo di
azione ed uno di omissione aventi ad oggetto la vita umana, prevale l’obbligo di
omissione. Chi non agisce lo fa legittimamente. Tuttavia chi decide comunque di agire,
andrà esente da pena perché non è formulabile nei suoi confronti un rimprovero in
termini di colpevolezza.
Quando a collidere siano due doveri di azione e non sia possibile stabilire quale
prevalga, l’adempimento di uno sarà sufficiente motivo per la giustificazione
dell’inottemperanza all’altro.
Questi criteri sono utilizzabili per le ipotesi che la dottrina tedesca chiama di
‘pericolo comune’: sono ipotesi caratterizzate dal fatto che, in caso di inerzia di chi
potrebbe intervenire ci sarebbe una grossa perdita di vite umane, e nel caso di un suo
intervento, la perdita sarebbe minore. Si è detto che la vita non è un bene bilanciabile;
tuttavia non incentivare un intervento in questi casi, significherebbe rinunciare a priori a
salvare anche un solo uomo in più.
È vero, d’altro canto, che in questi casi il terzo che decide si sostituisce
indebitamente al destino, ma è anche vero che, con la sua azione, qualche vita in più
viene salvata.
La dottrina tedesca ha creato numerosi casi di Gefahrgemeinschaft, tra i quali si
possono ricordare381: il Fährmannsfall, nel quale un barcaiolo porta un gruppo di
bambini su un fiume impetuoso, ma accortosi in mezzo alla corrente che non può
raggiungere la riva con la barca piena e non potendo salvarsi a nuoto, getta in acqua
alcuni di essi per salvarne altri; il Ballonfall in cui, in seguito alla caduta di un aerostato
in mare, uno dei due componenti l’equipaggio getta in mare l’altro poiché la navicella
non può sostenere entrambi.
Tuttavia, mentre nel secondo caso citato si è evidentemente di fronte ad un
pericolo incombente sull’agente che ne influenza il processo motivazionale e ne
determina la scusabilità, nel primo, come nei casi precedentemente riferiti, si è di fronte
ad una selezione delle vittime fredda e semplicemente diversa dal decorso naturale delle
cose382.
La giurisprudenza tedesca risolve il conflitto sicuramente in termini di
giustificazione, quando i beni siano bilanciabili come ad esempio per il caso di rottura
380
JAKOBS, Strafrecht, cit., pag. 445; ROXIN, Strafrecht, cit., pag. 659.
MEZZETTI Necessitas, cit., pag. 35 in nota.
382
Mezzetti trova la soluzione dei casi nel prospettare una distinzione tra pericoli ‘sicuramente ad esito
infausto’ e pericoli solo ‘probabilmente ad esito infausto’: nel primo caso si devono obbligatoriamente
salvare alcuni soggetti a discapito degli altri, e il comportamento è non punibile sulla base della coazione
di una forza maggiore (art. 45 c.p.). Nel secondo caso, invece, per l’azione di salvataggio esclude la
giustificazione in senso tecnico, ma non riduce la valutazione a una mera scusa, preferendo la via di una
‘scriminante’ collocata tra cause di elisione dell’antigiuridicità e cause di esclusione della colpevolezza
381
69
di una diga quando l’acqua rischia di tracimare, causando danni immediati meno gravi
di quelli che si verificherebbero in caso di straripamento. Per beni non bilanciabili le
soluzioni sono quelle prospettate in precedenza.
1.5
Stato di necessità e azione dei pubblici poteri
La comparazione con l’ordinamento d’oltralpe è particolarmente interessante
con riferimento ai casi nei quali la norma è stata invocata per scriminare azioni illecite
di autorità pubbliche asseritamente poste in essere a salvaguardia di diritti
fondamentali383.
Nel 1975 in Germania un gruppo di terroristi di estrema sinistra sequestrò il
politico berlinese Lorenz384, chiedendo, quale prezzo per la liberazione, il rilascio di
cinque terroristi già condannati alla reclusione e il loro espatrio verso lo Yemen.
Lo speciale comitato di crisi appositamente costituito acconsentì alle richieste e
dispose, per il mese di marzo, il rilascio e l’espatrio dei cinque carcerati. Il Lorenz
venne allora rilasciato. Il Ministero della giustizia diffuse un comunicato in cui spiegava
che il comitato aveva agito nella piena consapevolezza della rilevanza penale della
condotta integrante i delitti di procurata evasione e favoreggiamento, ma che tale
condotta doveva ritenersi giustificata sulla base dello stato di necessità ex § 34 StGB.
La liberazione dei prigionieri rappresentava l’unico mezzo per la liberazione
dell’ostaggio e nel bilanciamento il valore dell’esecuzione delle pene criminali risultava
minore rispetto alla vita di un uomo, anche perché l’uccisione dell’ostaggio sarebbe
stata irrimediabile, mentre il danno derivante dalla scarcerazione dei prigionieri era
comunque riparabile. Il comunicato precisava, però, che il governo era solo facoltizzato
e non obbligato ad acconsentire alle richieste dei terroristi, per evitare che l’accaduto
fosse visto come un precedente vincolante.
Nel 1977 venne invece rapito il presidente della Confindustria tedesca,
Schleyer, ma il governo federale alla richiesta di rilascio condizionata alla liberazione
di undici appartenenti al gruppo ‘Baader Meinhof’ oppose un netto rifiuto. I familiari di
Schleyer investirono della questione la Corte Costituzionale, adducendo la violazione
del diritto alla vita dell’ostaggio, per chiedere di adottare un’ordinanza provvisoria ed
urgente che annullasse il rifiuto governativo. Infatti secondo i legali della famiglia il
governo era “tenuto ad accogliere le pretese dei rapitori circa la liberazione e la
garanzia di libero espatrio dalla Germania federale dei detenuti indicati dai rapitori,
come presupposto indispensabile per evitare il minacciato pericolo per la vita del
ricorrente”. Una tale decisione doveva considerarsi sostenuta dal principio di
eguaglianza, dal momento che uno scambio di prigionieri si era già verificato in
occasione del sequestro Lorenz. La Corte rispose385 che lo Stato deve “ergersi a tutore e
promotore della vita” e quindi “difenderla anche dagli attentati illegittimi da parte di
terzi”. “A questo imperativo devono allinearsi tutti gli organi dello Stato, a seconda dei
383
Particolarmente critico sull’utilizzo della scriminante da parte dello stato è JAHN, Das Strafrecht des
Staatnotstandes. Die strafrechtlichen Rectfertigungsgrunde und ihr Verhultins zu Engriff und Intervention
in Verfassungs- und Volkerrrecht der gegenwart, Frankfurt a. M., 2004, pag. 273 e ss.
384
La narrazione della vicenda è tratta da VIGANÒ, Stato, cit. pag. 17.
385
BverfG 46 (1977), 160. La sentenza si trova interamente tradotta in Foro it., IV, 1978, pag. 222, con
nota di Arato.
70
propri specifici compiti”, ma tuttavia spettava agli organi stessi decidere come
adempiere al loro compito. “La loro libertà nella scelta dei mezzi per la tutela della vita
si può restringere, in casi particolari, anche alla scelta di un determinato mezzo, se in
altra maniera non si può raggiungere una effettiva tutela della vita”; ma ciò non
avviene nel caso di ‘ricatti’ terroristici: in queste ipotesi “le misure prescritte si devono
adattare alla molteplicità delle situazioni singolari. Esse non possono né in generale
essere preventivamente contemplate da una norma, né essere dedotte come norma da
un diritto fondamentale della persona”. Un’efficace osservanza del dovere di tutela
della generalità dei consociati, presuppone che “gli organo dello Stato siano in grado di
reagire adeguatamente alle circostanze del caso singolo di volta in volta ricorrenti; già
questa considerazione esclude che possa essere fissato uno specifico mezzo di tutela”.
Oppure “la reazione dello Stato diverrebbe prevedibile a priori per i terroristi, col
risultato di rendere per lo Stato impossibile l’effettiva tutela dei cittadini”.
Proprio per la flessibilità della risposta la Corte escluse la violazione del
principio di eguaglianza: “un’identica decisione non può essere imposta in tutti i casi di
sequestro”.
Lo stato di necessità doveva, quindi, considerarsi come una norma attributiva di
un potere eccezionale di risposta ‘flessibile’ a situazioni di emergenza, senza che la
rottura della legalità dovesse considerarsi l’oggetto di uno specifico dovere a carico
degli organi statali.
In conseguenza della posizione assunta dal governo, Schleyer venne
barbaramente giustiziato dai terroristi.
Era il 2002 quando Magnus Gäfgen, studente di giurisprudenza di Francoforte,
rapì e trucidò l’undicenne figlio dei vicini di casa, Jakob von Metzler, occultandone il
cadavere in un lago a poca distanza dal centro finanziario tedesco. Catturato dalla
polizia, quando ancora non si sapeva che fine avesse fatto il bimbo, Gäfgen fu
minacciato di sofferenze “che non avrebbe mai dimenticato” dal numero due della
polizia locale Wolfgang Daschner e da un commissario esperto di interrogatori.
Le maniere forti vennero, per il vero, solamente minacciate, ma il vice capo
della polizia, per questo suo inaccettabile abuso (che lui la definì una mera “pressione”),
fu condannato ad un anno di libertà vigilata e 10.800 euro di multa. Tali pene sono in
realtà molto basse rispetto ai reati contestati, e ciò in quanto il Tribunale ritenne la
sussistenza di “massicce circostanze attenuanti”386.
La confessione estorta a Gäfgen durante l’interrogatorio non servì a salvare
Jakob, né poté poi essere assunta in sede processuale, in quanto ottenuta
illegittimamente. Il caso divise la Germania, e, oggi, l’assassino, al quale fu poi irrogata
la pena dell’ergastolo, ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo perché
anche la Repubblica federale risponda dell'accaduto.
La risposta dell’ordinamento tedesco appare ben diversa da quella
dell’ordinamento italiano: là le autorità invocarono direttamente lo stato di necessità del
§ 34 StGB per assicurare piena libertà di azione al potere esecutivo nella lotta
all’eversione, che si concretizzò in una risposta ‘flessibile’ che contemplava la
possibilità di una trattativa e concessioni ai terroristi, o nella legittimazione della
386
Il caso è stato deciso con sentenza del 27. Großen Strafkammer des Frankfurter Landgerichts del
20.12.2004 (AZ: 5/27 KLs 7570 Js 203814/03 (4/04)). Difesa e Accusa hanno riununciato all’appello
contro il verdetto.
71
compressione dei diritti fondamentali di indagati e imputati.
Ma, nell’ordinamento d’oltralpe si possono rinvenire altri casi in cui la norma
scriminante si pose a fondamento di poteri extra ordinem, per fronteggiare situazioni
di emergenza.
Nel 1970, quindi prima della riforma del codice penale, alcuni poliziotti di
monaco di Baviera irruppero in una casa privata dove, e lo sapevano con certezza, si
svolgeva un commercio illecito di hashish e LSD, pur essendo privi di un mandato
giudiziale. Qui sequestrarono ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. Il conduttore
dell’abitazione li denunciò per violazione di domicilio, ma furono assolti dall’accusa
perché venne ravvisato in loro favore lo stato di necessità giustificante sovralegale387.
Nel 1975 i rappresentanti di un istituto pubblico di previdenza sociale avevano
fatto eseguire un prelievo di sangue illegittimo dalla vittima di un incidente stradale, per
dimostrare che era ubriaco al momento dello schianto e cautelarsi contro eventuali
pretese pensionistiche dei suoi familiari. Per la raccolta di tale anomalo mezzo di prova
furono accusati di uso illegittimo di cadavere, ma assolti dall’accusa per la
giustificazione offerta dal § 34: l’interesse collettivo ad evitare oneri finanziari non
dovuti era considerato prevalente sul confliggente interesse di rispetto dei defunti388.
Ancora a proposito dell’emergenza terroristica, tra il 1975 e il 1976 la polizia di
alcune regioni fu incaricata di registrare segretamente le conversazioni tra imputati
detenuti e difensori, per evitare scambi di informazioni con i compagni latitanti; nel
1977 dei microfoni spia vennero installati in abitazioni private senza autorizzazione
giudiziaria. Autorevoli esponenti del governo all’opinione pubblica spiegarono tali
condotte come giustificate dalla necessità di lotta al terrorismo389. Simili restrizioni
delle libertà degli imputati si verificarono anche in occasione del sequestro Schleyer e il
Bundesgerichtshof confermò la legittimità ex § 34 StGB degli atti volti ad impedire la
comunicazione tra i terroristi detenuti e i loro difensori390.
Sotto il profilo dogmatico, una corrente dottrinale ammette l’invocazione dello
stato di necessità da parte di organi pubblici ogni volta che occorre tutelare un interesse
‘essenzialmente prevalente’ rispetto a quello tutelato dalle norme procedurali o
amministrative violate391. La dottrina dominante critica questa impostazione perché
l’applicazione del principio dell’interesse prevalente all’azione dei pubblici poteri
comporterebbe la dissoluzione del sistema di norme che descrivono e limitano i poteri
delle P.A., lasciando alla loro discrezionalità la determinazione dell’interesse
prevalente. Si afferma poi che le norme attributive di poteri già compiono un
bilanciamento tra interessi pubblici e interessi privati in speciali situazioni di conflitto, e
non possono essere scavalcate da una norma generale come quella del § 34 che non
disciplina alcun particolare conflitto di interessi. Il § 34 potrà quindi, per questa
387
OLG München, in NJW 1972, pag. 2275.
OLG Frankfurt, in NJW 1975, pag. 271.
389
Dei due casi riferisce VIGANÒ, Stato, cit. pag. 435, e non risulta che abbiano dato luogo a procedimenti
penali.
390
BGHSt 27, 260; e la successiva pronuncia della Corte Costituzionale che riconobbe la legittimità
costituzionale di una norma ad hoc approvata dal Parlamento tedesco, BverfG 4 ottobre 1977, in NJW
1977, pag. 2157.
391
JAKOBS, AT, cit., 13/42.
388
72
corrente392, venire invocato per quei casi in cui il legislatore non abbia esaustivamente
previsto e regolato determinati conflitti di interesse393: cioè ogniqualvolta gli interessi
confliggenti nel caso concreto siano diversi da quelli che ispirarono il legislatore o si
versi in situazioni del tutto anomale. Ad esempio non è invocabile lo stato di necessità
per la violazione delle norme che regolano l’ingresso dei pubblici ufficiali nelle dimore
private, a meno che non ci sia un pericolo atipico non tenuto in considerazione dal
legislatore quando pose intenzionalmente dei limiti all’attività investigativa della polizia
a tutela della riservatezza del privato. O ancora nel disciplinare i colloqui tra imputato e
difensore il legislatore avrebbe messo in conto la possibilità che vengano pianificati
reati connessi al processo, ma non che filtrino notizie connesse alla commissione di altri
delitti: perciò lo stato di necessità si può richiamare per legittimare la registrazione
segreta di colloqui ‘sospetti’, come avvenne in occasione del sequestro Schleyer.
Altri, infine, prospettano una soluzione differenziata: la norma è applicabile solo
quando siano interessati beni statali o della collettività, ed è invece preclusa quando
l’ingerenza avviene in beni individuali394.
In definitiva, sotto tale profilo, la norma è venuta ad assumere il ruolo di una
norma di diritto pubblico395.
1.6
Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904 BGB
Da ultimo vale precisare che i paragrafi analizzati non esauriscono la disciplina
generale delle situazioni necessitate; per alcuni casi bisogna far riferimento ai §§ 228 e
904 BGB, previgenti rispetto a quelle dell’attuale StGB e sopravvissute all’ingresso
della trattazione differenziata in sede penale.
Il § 228 BGB disciplina l’intraducibile “Sachwehr”: permette di danneggiare o
distruggere una cosa altrui (e analogamente una cosa senza proprietario), per allontanare
un pericolo incombente, derivante dalla cosa stessa, quando il danneggiamento o la
distruzione siano indispensabili per allontanare il pericolo e il danno non sia
sproporzionato396 al pericolo che si deve evitare, escludendo ogni obbligo risarcitorio
nei confronti del proprietario della cosa397. Il § 228 trova soprattutto applicazione contro
le aggressioni di animali: l’esempio classico proposto è quello dell’uccisione del cane
rabbioso.
La situazione ipotizzata è affine a quelle in cui si darebbe legittima difesa, ed
infatti si parla di ‘stato di necessità difensivo civile’: c’è la naturale idea di difesa
dell’interesse minacciato rivolta contro la fonte dell'aggressione; ma l’aggressione in
questi casi non è qualificabile come giuridicamente “ingiusta”, anche perché
‘l’aggressore’ non ha soggettività giuridica autonoma, essendo una cosa o “niente più
che un fenomeno naturale, che non compie alcuna ingiusta intromissione nella sfera
392
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 364..
LENCKNER § 34, cit., n. 7.
394
JOECKS, Studienkommentar,cit., pag. 173 richiama l’opinione di Hirsch.
395
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 440.
396
Non si richiede, quindi, che il bene salvaguardato sia prevalente rispetto a quello sacrificato.
397
Questa definizione della Sachwehr è tratta da JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch des Strafrechts,
Allgemeiner Teil, 5. Auflage, Berlin, 1997, pag. 355.
393
73
giuridica dell’interessato”398. L’azione è quindi diretta contro la ‘cosa minacciante’, ma
lede il diritto vantato sulla cosa stessa da un terzo, che resta estraneo al pericolo. Si
costituisce un rapporto trilatero, pericolo-pericolante necessitato-terzo su cui il pericolo
viene scaricato, e non un rapporto bilaterale come nella legittima difesa, dove il
minacciato affronta direttamente, ledendolo nei suoi diritti, il minacciante-fonte del
pericolo. In un rapporto a tre, la lesione è procurata al diritto del terzo innocente, ed è
per questo che la Sachwehr è trattata dalla manualistica penale tedesca nel capitolo
concernente lo stato di necessità399. Altro classico esempio proposto è quello
dell’incendio boschivo: la norma permette di combatterlo col disboscamento o
appiccando un incendio contrario, che altrimenti rappresenterebbero condotte vietate.
La condotta difensiva deve risultare necessaria: se, ad esempio, è possibile
allontanare il cane rabbioso con strepiti ed urla, bisognerà tentare per questa via prima
di sparargli; se si dice che non deve sussistere grossa sproporzione tra danno cagionato
e pericolo evitato, ugualmente la condotta può comunque provocare considerevoli danni
(giustificati). La dottrina ammette anche nel caso di ‘difesa da cose’ il soccorso
difensivo.
Il paragrafo viene inoltre invocato, in un ragionamento analogico400 che sfocia
nella creazione di uno stato di necessità difensivo ultralegale, per giustificare quelle
azioni di difesa contro un pericolo che proviene dall’uomo401, quando non sia invocabile
la legittima difesa: può infatti accadere che una condotta, oltre a non presentarsi come
dolosa, non presenti neppure il disvalore di azione di un delitto colposo. Ad esempio
l’automobilista che viene tamponato e proiettato sulla corsia opposta, diventa un
pericolo per le automobili che sopravvengono, anche se non ha neppure agito.
Innumerevoli esempi di non-azioni sono offerti dalla circolazione stradale, ma non solo:
ad es. un automobilista finisce, senza poterlo evitare, sul marciapiede a causa di una
lastra di ghiaccio; o se c’è pericolo derivante dalla crisi convulsiva di un epilettico; o dal
manufatto del vicino. Caso analogo è quello in cui l’azione pericolosa è comunque
conforme a regole di diligenza: ad esempio un veicolo per un difetto non riconoscibile
va in panne diventando una minaccia per gli altri automobilisti. In tutti questi casi il
necessitato si rivolge contro la fonte del pericolo, ma non agisce in legittima difesa
perché l’aggressione subita non è giuridicamente ingiusta.
Non si può pretendere che chi è minacciato si esponga inerte al pericolo, ma
neppure si può riconoscere in capo agli altri automobilisti un diritto di legittima difesa:
pertanto si accorda loro un diritto di difesa secondo le regole di uno stato di necessità
difensivo. C’è poi qualcuno che lo vorrebbe esteso alle aggressioni di soggetti che
agiscono senza colpevolezza o con colpevolezza notevolmente diminuita402.
In altri casi, infine, si rinvia all’applicazione del § 228, ma il rinvio è improprio:
si deve piuttosto parlare di applicazione analogica dello stesso per i casi di pericoli
derivanti da radiazioni. Tuttavia la materia non ha un assetto chiaro e definitivo e si può
398
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 356.
Cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 356.
400
Contro la possibilità di estensione analogica delle norme civili è, invece, JESCHECK-WEIGEND,
Lehrbuch, cit., pag. 356.
401
ROXIN, Der durch Menschen ausgeloeste Defensivnotstand, Muenchen, in Festschrift fuer HansHeinrich Jescheck zum 70. Geburstag, Berlin, 1985, vol. I, pag. 457; e ROXIN, Antigiuridicità e cause di
giustificazione, a cura di Sergio Moccia, Napoli, 1996, pag. 298.
402
ROXIN, Antigiuridicità, cit., pag. 300 cita tra questi JAKOBS, Strafrecht AT, Die Grundlagen und die
Zurechnungslehre, 2. Auflage, 1993.
399
74
dire ancora suscettibile di sviluppi e specificazioni.
Altro paragrafo del codice civile preso in considerazione dai manuali di diritto
penale è il § 904 BGB. Si tratta dello “Zivilrechtische Angriffnotstand” (stato di
necessità aggressivo civile). Anche tale norma consente un intervento del pericolante
contro beni patrimoniali altrui per la necessità di allontanare un pericolo attuale; ma in
questo caso la fonte del pericolo non è riconducibile alla sfera giuridica del titolare
dell’interesse sacrificato403 e si fa salvo l’obbligo di risarcire il danno cagionato. La
ratio di tale norma poggia sul bilanciamento di interessi, e in coerenza con ciò il
soccorso di necessità non subisce alcuna limitazione soggettiva; l’aggressione del bene
altrui dev’essere necessaria alla salvaguardia del bene minacciato; tra il danno cagionato
e quello evitato non deve esserci sproporzione404, o meglio il danno che l’agente mira ad
evitare deve essere notevolmente maggiore di quello arrecato: la clausola di
proporzionalità non si ritrova nel testo del § 904, ma si deduce dalle norme penalistiche.
Il classico esempio riportato è quello dell’escursionista che, sorpreso in montagna da
una tempesta, forza la porta di una baita e lì si rifugia per trovare riparo dalla tormenta.
Si sostiene, infine, che il richiamo alla norma sia precluso per necessità di tutela
della collettività, quindi per casi che vanno oltre la tutela di beni patrimoniali
individuali.
Da ultimo, si segnala che anche il codice penale tedesco conosce norme
specifiche scriminanti specifici reati nella parte speciale; ad es. il § 218a II StGB
concerne una particolare ipotesi di non punibilità dell’interruzione della gravidanza,
quando l’interruzione sia necessaria per evitare un pericolo per la vita o la salute della
gestante405: “l’interruzione della gravidanza effettuata da parte di un medico con il
consenso della gestante non è illecita quando, tenendo in considerazione le attuali e
future condizioni di vita della gestante, sulla base di un accertamento medico,
l’interruzione è necessaria per evitare un pericolo per la vita della gestante od il
pericolo di un grave pregiudizio per il suo stato di salute fisica o psichica, e il pericolo
non può essere evitato in altro modo esigibile nei suoi confronti”. Si ha quindi a che
fare con un’ipotesi speciale di necessità chiaramente giustificante406.
403
Per questo si parla di stato di necessità aggressivo, contrapposto allo stato di necessità difensivo che si
ha quando l’azione necessitata si rivolge contro la fonte stessa del pericolo. Sul punto cfr. FIORE, Diritto
penale. Parte generale, Torino, 1993, pag. 335; cfr. inoltre StGB Leipziger Kommentar,
Grosskommentar, 11. Auflage, Berlin, 1994, §§34-35 (Bearbeiter: Hans Joachim Hirsch), n. 1.
404
Per la spiegazione dei requisiti della norma e per i casi in cui, invece, alla norma non ci si può
appellare, cfr. JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 358.
405
Ecco il testo del §218a II StGB: “Der mit Einwillung der Schwangeren von einem Artz vorgenommene
Schwangerschaftsabbruch ist nicht rechtswidrig, wenn der Abbruch der Schwangerschaft unter
Beruecksichtigung der gegenwaertigen und zukuenftigen Lebensverhaeltnisse der Schwangeren nach
aertzlicher Erkenntnis angezeigt ist, um eine Gefahr fuer das Leben der Schwangeren oder die Gefahr
einer schwerwiegenden Beeintraechtigung ihres koerperlichen oder seelischen Gesundheitszustandes
abzuwenden, und die Gefahr nicht auf andere fuer sie zumutbare Weise abgewendet werden kann”.
406
JESCHECK-WEIGEND, Lehrbuch, cit., pag. 360 e SCHÖNKE-SCHRÖDER, StGB Kommentar, Muenchen,
2000, pag. 1752 e ss..
75
2 Lo stato di necessità in altri ordinamenti
Affermata la natura pregiuridica ed universale delle situazioni necessitate, e si è
detto che le norme poste dai diversi ordinamenti potrebbero essere lette trasversalmente.
Pertanto si vuole offrire una panoramica delle scelte operate da altri Stati in subiecta
materia.
2.1 In Austria e Svizzera
Pur in assenza di previsioni differenziate dello stato di necessità, la dottrina
austriaca e quella svizzera giungono a soluzioni simili a quelle raggiunte dalla dottrina
tedesca. In Austria, con la vigenza del codice del 1852, come accadeva negli altri
ordinamenti ottocenteschi esaminati, la necessità ‘scusante’ era indistinta dalla ‘forza
irresistibile’, perché indistinte erano le ipotesi in cui un soggetto non agit, sed agitur e
quelle in cui la condotta era determinata da un turbamento motivazionale causato dalla
percezione di un pericolo. Poi, verso la metà del Novecento, la dottrina enucleò uno
stato di necessità sovralegale giustificante, ancorandolo al principio dell’interesse
prevalente. Tale formulazione non venne recepita dal codice del 1975, che al § 10
continua a disciplinare una situazione ricostruita in base al solo principio di inesigibilità
di un comportamento diverso, ma resta comunque indiscussa l'esistenza di una norma
giustificante che legittima la commissione di fattispecie costituenti reato se perpetrate al
fine di tutelare un interesse inequivocabilmente prevalente su quello sacrificato407.
Nell’ordinamento elvetico è presente una sola norma, l’art. 34 c.p. vigente (del
1942). Pur in presenza di un unico modello legale, la dottrina dà un’interpretazione
differenziata della disposizione: si ritiene infatti operante quale causa di elisione
dell’antigiuridicità qualora l’interesse protetto risulti inequivocabilmente prevalente su
quello leso; mentre opera quale mera scusante, occorrendo quindi un riscontro del
turbamento emotivo dell’agente, nel caso di equivalenza dei beni in conflitto. Questa
differenziazione interpretativa è possibile perché la formula dell’inesigibilità, perno
della norma, si presta ad avere fondamento diverso, riconducibile talvolta ad un
bilanciamento di interessi, talaltra alla non rimproverabilità dell’azione, a seconda
dell’atteggiarsi del rapporto di valore tra i beni in conflitto.
2.2 In Norvegia
Un’unica disposizione si rinviene anche nel codice norvegese, al § 47 del codice
penale, laddove vengono espressi i requisiti per la punibilità, accanto alle norme
sull’infermità di mente, la minore età e l’ubriachezza volontaria. Il testo dice che
“nessuno può essere punito per un’azione commessa per salvare una persona o un bene
da un pericolo altrimenti inevitabile se le circostanze del fatto lo autorizzavano a
ritenerlo particolarmente importante rispetto al danno che sarebbe potuto derivare
dall’azione commessa” 408. La norma sembra richiamare i requisiti tradizionalmente
richiesti in impostazioni oggettive, quali l’estensione a qualsiasi tipo di bene e il
bilanciamento, ma la sua particolare collocazione sembra deporre per una ancora non
chiara distinzione rispetto ai requisiti necessari per l’imputabilità.
407
408
76
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 94.
Codice penale norvegese, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1998.
2.3 In Spagna
Nell’ordinamento spagnolo l’esimente comparve per la prima volta nel codice
del 1848, dopo che il primo codice nazionale del 1822 l’aveva ignorata, limitandosi a
prevedere l’ipotesi del furto per fame come mera circostanza attenuante. La
disposizione che sancì la non punibilità di chi avesse recato un danno alla proprietà
altrui per evitare un danno maggiore di quello cagionato, però, non si fondava
sull’elaborazione del principio generale dell’interesse prevalente, ma trovava il suo
antecedente nella legge medievale che consentiva al proprietario di una casa in fiamme
di abbattere la casa del vicino per evitare il propagarsi dell’incendio. La prima
formulazione scriminante in termini generali dello stato di necessità risale al codice
penale del 1928 e si fondava sul principio dell’interesse prevalente, consentendo la
lesione di qualsiasi diritto altrui se indispensabile per evitare un danno a salute, vita,
libertà o qualsiasi altro interesse proprio o altrui, sempreché il danno evitato fosse
maggiore di quello cagionato con la condotta necessitata.
La riforma del 1944 ampliò l’ambito di applicazione dell’esimente, ponendo
come unica condizione alla liceità della condotta che il danno arrecato non fosse
maggiore di quello evitato. Questa formulazione permise alla dottrina più recente di
scorgere una scusante basata sull’inesigibilità nei casi in cui gli interessi in conflitto
fossero equivalenti. La dottrina dominante, inoltre, poneva l’inesigibilità del
comportamento a fondamento di altra autonoma scriminante prevista dal codice: tale
norma operava in presenza di un ‘timore insuperabile’, sempre se il male temuto fosse
uguale o maggiore di quello provocato per sfuggirvi. Ma risultava oscuro a quali
ipotesi, ulteriori rispetto allo stato di necessità, la norma facesse riferimento409.
Il nuovo codice penale del 1995 prevede ancora le due ipotesi, ma ne differenzia
i requisiti. All’art. 20.5° dichiara esente da responsabilità penale “chi, in stato di
necessità, per evitare un’offesa propria o altrui, lede un bene giuridico di altri o viola
un dovere, sempre che ricorrano i seguenti requisiti: primo, l’offesa provocata non
dev’essere maggiore di quella che si vuole evitare. Secondo, la situazione necessitata
non dev’essere intenzionalmente provocata dal soggetto. Terzo, colui il quale si trova
nello stato di necessità non ha, in ragione del suo ufficio o dei suoi incarichi, l’obbligo
di sacrificarsi.” Sempre all’art. 20.6°, è così formulata la norma sul timore insuperabile:
“è esente da responsabilità penale chi agisce spinto da una paura insuperabile”410.
L’assenza della clausola di proporzione, invece presente al n.5, permette di invocare il
n.6 per le ipotesi in cui il soggetto abbia agito in presenza del pericolo di un grave
danno cagionando, però, un male superiore a quello evitato. Resta tuttavia
problematico, in riferimento al n.5, rinvenire il fondamento dell’esenzione per i casi di
equivalenza dei beni, mentre è pacifico che nei casi di prevalenza dell’interesse
salvaguardato si abbia un fondamento oggettivo della norma411.
Nonostante queste difficoltà, si può affermare che la valutazione differenziata
dello stato di necessità sia un punto fermo anche nell’ambito dell’ordinamento spagnolo
409
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 96.
Codice penale spagnolo, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1998.
411
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 97.
410
77
e che questa derivi da una forte influenza della dottrina tedesca412.
2.4 In Portogallo
Ancora uno sguardo alle norme del codice portoghese: all’art. 34 attribuisce un
vero diritto di necessità413, di chiara impronta oggettiva: “Non è antigiuridico il fatto
commesso in quanto mezzo idoneo per allontanare un pericolo attuale che minaccia
interessi giuridicamente protetti dell’agente o di un terzo, quando si verifichino i
seguenti requisiti: a) Che non sia stata volontariamente causata dall’agente la
situazione di pericolo, salvo il caso in cui si protegge l’interesse di un terzo; b) Che
l’interesse da salvaguardare prevalga notevolmente rispetto a quello sacrificato; e c)
Che, tenuto conto della natura o del valore dell’interesse minacciato, sia ragionevole
imporre all’offeso il sacrificio del suo interesse”. Segue poi all’art. 35 l’enunciazione
dello stato di necessità scusante: “1. Agisce senza colpevolezza chi commette un fatto
antigiuridico idoneo ad allontanare un pericolo attuale e non altrimenti rimovibile che
minaccia la vita, l’integrità fisica, l’onore o la libertà dell’agente o di un terzo, quando
non è ragionevole esigere da lui, date le circostanze, un comportamento diverso. 2. Se il
pericolo minaccia interessi giuridici diversi da quelli indicati nel numero precedente e
sussistono gli altri presupposti ivi menzionati, la pena può essere specialmente
attenuata o, in casi eccezionali, l’agente può essere dispensato da pena”.
Espressamente fondata sul principio di inesigibilità, la figura qui proposta di stato di
necessità scusante per la tutela di determinati beni, è anche integrata dall’ulteriore
previsione di diminuzione o esclusione della pena nei casi in cui non si voglia muovere
un rimprovero all’agente pur essendo la sua azione volta alla tutela di beni di non
immediato rilievo esistenziale. In questi casi, tuttavia, sembrano permanere sia
l’antigiuridicità che la colpevolezza del fatto illecito, e il fondamento dell’esenzione è
forse da rinvenirsi in mere ragioni di opportunità lasciate dal legislatore alla prudente
valutazione del giudice.
Il codice portoghese fornisce anche una dettagliata disciplina per la soluzione dei
conflitti di doveri, che in altri ordinamenti sono considerati quali sottospecie dello stato
di necessità, differenziando anche per questi casi le ipotesi giustificanti414 rispetto a
quelle scusanti415.
2.5 In Francia
Impermeabile, invece, all’influenza della penalistica tedesca è l’ordinamento
412
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 98, in nota, rileva che anche autori che sostengono la sola efficacia
giustificante dello stato di necessità, non possono non riconoscere il duplice fondamento sotteso alla
giustificazione. Questa tesi fu espressa da GIMBERNAT ORDEIG, Der Notstand: ein
Rechtswidrigkeitsproblem, in Festschrift fuer Welzel, 1974, pag. 485, che rappresenta un importante
contributo reso, non a caso, in lingua tedesca.
413
Codice penale portoghese, a cura di VINCIGUERRA, Padova, 1997.
414
Art. 36: (Conflitto di doveri) 1. Non è antigiuridico il fatto di chi, in caso di conflitto nel compimento
di doveri o di ordini legittimi dell’autorità, adempie un dovere od esegue un ordine di valore uguale o
superiore rispetto a quello del dovere o ordine che sacrifica. 2. Il dovere dell’obbedienza gerarchica cessa
quando conduce alla commissione di un delitto.
415
Art. 37: (Obbedienza scusante non dovuta). Agisce senza colpevolezza il pubblico ufficiale che esegue
un ordine senza sapere che esso porta alla commissione di un delitto, se ciò non è evidente nel quadro
delle circostanze che si è rappresentato.
78
francese.
Il codice penale napoleonico del 1810, rimasto in vigore fino al 1994, non
disciplinava le fattispecie di necessità, ricondotte dalla dottrina alla previsione dell’art.
64, che dichiarava non punibile l’imputato il quale, al momento del fatto, “fosse stato
costretto all’azione da una forza alla quale non aveva potuto resistere”. Restavano
escluse dal tenore letterale le ipotesi di soccorso di necessità verso terzi estranei, ma
furono coperte dall’estensione dell’esimente operata in via giurisprudenziale, per i casi
di furto per fame o per infrazioni del codice della strada, senza che mai tuttavia si
giungesse ad enunciare l’esistenza di uno stato di necessità sovralegale. Una timida
enucleazione di una causa di giustificazione sovralegale a fondamento oggettivo arrivò
solo dopo la metà del ‘900: si diceva, infatti, lecita ed approvata dall’ordinamento una
condotta che, violando la lettera della legge, tuttavia costituisse il solo mezzo per la
salvaguardia di un interesse superiore o equivalente416.
L’ipotesi ha trovato collocazione autonoma nel codice del 1994, all’art. 122-7:
“Non è penalmente responsabile colui che, di fronte ad un pericolo attuale o imminente
che incombe su se stesso, su di un terzo o su di un bene, compie un atto necessario alla
salvaguardia della persona o del bene, salvo che vi sia sproporzione tra i mezzi
impiegati e la gravità del pericolo”. Il fondamento, per l’illimitata estensione del
soccorso di necessità e per la possibilità di tutela di beni patrimoniali, può dirsi
oggettivo. Sopravvive poi, all’art. 122-2, una trattazione autonoma e pacificamente a
fondamento soggettivo, dello stato di necessità determinato dall’altrui minaccia, ancora
confusamente associato al costringimento fisico: non è infatti punibile chi “ha agito
sotto l’impero di una forza o di una coazione alla quale non ha potuto resistere”.
Tuttavia non si può dire che si tratta di un’ipotesi generale di stato di necessità scusante,
applicabile alle situazioni in cui il pericolo deriva da una fonte diversa dalla minaccia
umana417; non si può dire, quindi, che la Francia conosca una generale trattazione
differenziata dello stato di necessità.
2.6 In Gran Bretagna e negli Stati Uniti
Più complesso è il quadro negli ordinamenti di common law.
Nell’area più direttamente influenzata dal diritto inglese, già nelle fonti più
antiche viene individuata una defence di duress, coincidente con la coazione morale
determinata dall’altrui minaccia di morte o di grave danno all’integrità fisica. La
minaccia deve essere reale o ragionevolmente ritenuta tale dall’agente e rivolta contro lo
stesso o una persona a lui affettivamente legata, e di tale intensità da indurre a reagire
una persona di ragionevole forza d’animo come fece l’imputato. Deve inoltre sussistere
un nesso causale tra la minaccia e la commissione del fatto. Pur non essendo richiesta
la prevalenza del danno evitato su quello cagionato, è tradizionalmente esclusa
l’invocabilità della scriminante in riferimento ai reati di tradimento e di assassinio418.
Questi requisiti sono frutto dell’elaborazione giurisprudenziale, e la commissione
incaricata di redigere un progetto di codice penale sembra averli accolti, tranne che per
la limitazione suddetta, costruendo l’operatività della defence attorno al principio guida
di comprensione per l’umana fragilità.
416
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 100.
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 102.
418
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 103 riferisce di un acceso dibattito, non ancora sopito, riguardante la
limitazione.
417
79
L’opera creatrice della giurisprudenza tutt’oggi non cessa di produrre nuove
figure in tema di stato di necessità: recentemente ha elaborato un defence di duress of
circumstances, che presuppone un pericolo per la vita o l’integrità fisica dell’agente
scaturente non da minaccia umana, ma da qualsiasi altra causa, salva sempre la
presenza dei requisiti dell’esistenza di un nesso di causalità e del fatto che l’uomo di
ragionevole forza d’animo non avrebbe agito diversamente. In questo contesto, quindi,
la duress comprensiva di entrambe le figure, si atteggia come causa scusante,
indipendente dai rapporti di valore tra i beni in gioco e fondata sull’anormale
motivazione dell’agente.
Non è invece ancora chiaro, per la scarsità e la contraddittorietà dei precedenti
sul punto, se accanto a questa figura ne esista un’altra fondata sul principio del male
minore. Il precedente dei naufraghi della Mignonette, condannati a morte per
l’assassinio del mozzo e poi graziati dalla regina, sembrerebbe negare l’esistenza di una
defence di necessity. Tuttavia il caso contemplava un’ipotesi affatto particolare, che non
osta all’individuazione di uno stato di necessità orientato al criterio del male minore,
applicato per giustificare azioni meno impressionanti, come il getto in mare delle merci
per evitare l’affondamento, l’abbandono dell’aula delle udienze dei giurati per timore di
un crollo, l’aborto operato su di una minorenne vittima di una violenza sessuale.
Esplicito richiamo alla necessity si trova in una recente sentenza in cui si giustifica la
limitazione della libertà personale di una persona affetta da turbe psichiche. Alcune
norme di legge, poi, incriminando la condotta in quanto compiuta ‘senza giusta causa’,
sembrano considerarla lecita se necessaria alla protezione di beni propri o altrui.
C’è molta cautela, comunque, nel riconoscere una causa di giustificazione
generale, pur registrandosi qualche apertura almeno in tema di ‘necessità medica’419.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, una scusante di duress è pressoché dovunque
espressamente contemplata nelle varie legislazioni, con requisiti affini a quelli previsti
nel diritto inglese. Molti degli ordinamenti statunitensi inseriscono poi nei codici penali
una defence di necessity420, orientata oggettivamente sul requisito che il danno evitato
sia maggiore di quello cagionato, che cioè dalla condotta risulti un saldo sociale attivo.
Sono poi riconducibili al paradigma del male minore quelle norme che consentono al
personale medico di commettere fattispecie di reato per evitare un maggior danno al
paziente.
2.7 Cenno ai principi generali del diritto penale internazionale
In chiusura del presente capitolo, meritano un cenno i principi generali del
diritto penale internazionale.
Con riguardo alle scriminanti (differenti dalle cause di esclusione della
giurisdizione della Corte penale internazionale), infatti, è discusso se almeno le
principali siano già recepite dal diritto internazionale penale, in quanto ricavabili dai
principi generali del diritto, ovvero in quanto limiti taciti dell’illecito penale. Per porre
fine ad ogni dubbio, lo statuto della Corte ha provveduto all’espressa previsione delle
tre scriminanti principali, quali legittima difesa, stato di necessità e ordine del superiore.
419
VIGANÒ, Stato, cit. pag. 110.
420
Denominata lesser evils o choice of evils.
80
Esse si basano tanto sul canone generalissimo del bilanciamento degli interessi
che comporta un giudizio di non punibilità di fatti che offendono interessi equivalenti o
inferiori a quelli salvaguardati, quanto sul principio, esso pure generalissimo, del
condizionamento della volontà, ossia dell’anormalità della motivazione della persona
che si è trovata ad agire in situazioni eccezionali tali che la punibilità deve essere
esclusa o comunque diminuita421.
Quanto allo stato di necessità, l’art. 31/1d dello Statuto di Roma prevede che
una persona non sia penalmente responsabile se al momento del suo comportamento “il
comportamento qualificato come sottoposto alla giurisdizione della Corte è stato
adottato sotto una coercizione risultante da una minaccia di morte imminente o da un
grave pericolo continuo o imminente per l’integrità di tale persona o di un’altra
persona e la persona ha agito spinta dal bisogno ed in modo ragionevole per
allontanare tale minaccia, a patto che non abbia inteso causare un danno maggiore di
quello che cercava di evitare. Tale minaccia può essere stata: i) sia esercitata da altre
persone, o ii)costituita da altre circostanze indipendenti dalla volontà”.
L’articolo in parola configura un’ipotesi articolata di necessità causata dalla
coercizione risultante da una minaccia per la vita che rievoca la necessity by
circumstances se scaturisce da eventi naturali e la duress per le ipotesi di minaccia
portata da altro soggetto. A ciò si aggiungono i requisiti della ragionevolezza
dell’azione e della inevitabilità altrimenti del pericolo.
Quanto al requisito della proporzione, esso viene criticato, in quanto, anziché
risultare da un giudizio prognostico oggettivo, viene rimesso alla valutazione soggettiva
dell’autore necessitato, con ciò prestandosi a scelte arbitrarie e ad una ampia
discrezionalità del giudice in tema di prova dello stesso422.
Tuttavia si rileva che le suddette scriminanti sono di possibilità applicative
pressoché nulle con riguardo ai crimini di genocidio e contro l’umanità sui quali è
chiamata a giudicare la Corte, o, comunque, al più marginali rispetto ai fatti costituenti
altrimenti crimini di guerra, se posti in essere come reazione difensiva necessitata
dall’altrui ingiusta aggressione423.
Nella terminologia internazionalistica duress, qualifica la situazione di colui che
si trovi ad agire sotto la minaccia, proveniente da una terza persona, di un grave ed
irreparabile danno per la vita o per l’intergità fisica, e, in capo al soggetto che ha agito
sotto l’effetto di una simile minaccia, non possa essere riconosciuta alcuna
responsabilità penale.
La necessity, anche se spesso utilizzata come sinonimo di duress, invece
rappresenta una categoria più ampia, e si riferisce tanto ai pericoli per la vita o
l’integrità fisica determinati dalla minaccia che promana da una terza persona (duress),
quanto ai pericoli che scaturiscono da circostanze naturali incontrollabili per l’uomomedio (necessity by circumstances).
421
MEZZETTI, Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale
penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 237.
422
MEZZETTI, Le cause di esclusione della responsabilità penale nello statuto della corte internazionale
penale, in Riv.it.dir.proc..pen., 2000, 1, 252
423
MANTOVANI, Sui principi generali del diritto internazionale penale, in RIDPP, 2003, 1-2, 40.
81
Per quanto concerne le condizioni necessarie all’applicabilità della defence di
duress, possono essere individuate quattro stringenti condizioni di applicabilità, delle
quali è richiesta la contemporanea presenza per l’operatività come defence.
In particolare:
a) l’azione incriminata deve essere posta in essere sotto l’effetto di una minaccia
imminente di un grave ed irreparabile danno alla vita o all’integrità fisica;
b) non esistevano mezzi alternativi per evitare tale danno;
c) il crimine commesso non risulta essere sproporzionato rispetto al danno
minacciato. In altre parole, il crimine commesso sotto duress deve consistere nel minore
dei due mali;
d) la situazione che conduce alla duress non deve essere stata volontariamente
prodotta dalla persona coartata.
All’evidenza, i requisiti sopra menzionati riecheggiano quelli comunemente
richiesti nei diversi ordinamenti penali nazionali, anche di civil law.
È qui sufficiente rilevare che è il requisito della proporzionalità a presentare da
sempre i maggiori aspetti problematici: se la proporzionalità è intesa in senso ampio
allora tale condizione è soddisfatta quando il bene salvato e quello sacrificato si
equivalgono o quando quello salvato ha un valore superiore424. Se, invece, la
proporzionalità è intesa in senso stretto allora si richiede un saldo positivo tra i beni
giuridici in gioco425.
Invero, anche nei sistemi di common law è richiesto il requisito la
proporzionalità, che viene desunta dal c.d. test oggettivo: in sostanza, si richiede che la
minaccia abbia un’intensità tale da indurre ad agire, nel modo in cui ha agito l’autore
del fatto, una persona di ragionevole forza d’animo. Per l’operatività della defence di
duress, è necessario che tale test abbia un esito positivo. Si segnala che, però, in caso di
condotte omicidiarie il risultato è invece sempre considerato negativo.
Questa diversità rende evidente che nei paesi di common law la defence di
duress non viene ascritta alla logica della giustificazione, ma a quella della scusa,
restando la condotta antigiuridica, ma venendo scusato il soggetto perché si ritiene che
non potesse esigersi da lui, in quella particolare situazione, una condotta diversa. Fermo
restando che, laddove ci si trovi di fronte a situazioni nelle quali si deve scegliere tra la
propria vita e quella di un innocente, gli ordinamenti di common law impongono
l’eroismo del self sacrifice.
Infine è opportuno soffermarsi sul requisito della causazione volontaria della
situazione necessitante, in ragione della sua particolare rilevanza nelle situazioni di tipo
bellico.
424
Secondo un tale approccio un soggetto minacciato di morte sarebbe giustificato nel caso in cui
uccidesse una o più persone per salvare la propria vita, dato che i beni giuridici in gioco si equivalgono
sotto il profilo qualitativo.
425
Allora se ad esempio una persona è stata minacciata di morte nel caso in cui non proceda all’uccisione
di altre persone, e decide di agire, la defence di duress opera nei suoi confronti come scriminante solo
previa dimostrazione che anche senza l’esecuzione dell’ordine da parte dell’agente le persone minacciate
sarebbero comunque state uccise e che, di conseguenza, al sacrificio delle loro vite si sarebbe aggiunto il
sacrificio di vita dell’agente stesso. In questo modo si dimostrerebbe l’esistenza di un saldo positivo.
82
L’elemento di maggiore complessità è connesso alla diversità di approccio alla
defence di duress tra i sistemi di common law e quelli di civil law: nei secondi, infatti,
verificati i requisiti, la defence opera con riguardo a qualsiasi condotta criminosa, a
prescindere dalla gravità del reato in cui essa si concreta. Negli ordinamenti giuridici di
common law, invece, consta l’importante eccezione all’operatività della defence nel
caso di commissione di delitti omicidiari.
Questa notevole differenza tra gli ordinamenti giuridici di common law e di civil
law si riverbera nel diritto penale internazionale, dal momento che le fattispecie di
diritto penale internazionale, qualificate come crimini di guerra e crimini contro
l’umanità, si concretano molto spesso in omicidi di persone innocenti.
E, di fronte ad atti di genocidio o a crimini di guerra che si sostanzino in
uccisioni, sembra dubitabile che possa invocarsi la defence di duress.
83
84
CAPITOLO TERZO
Stato di necessità e tutela della collettività
1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il
riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee .................................... 85
1.1
Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività ..................................... 87
1.2
Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo
attuale? ................................................................................................................... 89
1.3
La gravità del male minacciato .................................................................. 91
2 Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”? ................ 92
2.1
La necessità legittima la tortura? ................................................................ 92
2.2
Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della
Corte Europea ......................................................................................................... 96
2.3
Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento ............................... 103
2.4
Lo scenario italiano .................................................................................. 106
2.5
Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo.
Prime conclusioni in tema di tortura .................................................................... 108
3 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition ............................................ 110
4 Segue: la tutela della legalità in quanto tale ..................................................... 112
5 Conclusioni ....................................................................................................... 113
1 Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il
riemergere del nemico nelle politiche penali contemporanee
È a tutti noto che dopo l’attacco kamikaze alle Torri Gemelle dell’11 settembre
2001 è alta l’allerta mondiale nei confronti del terrorismo di matrice islamica. Dalle
pagine dei quotidiani o dai servizi televisivi si apprendono notizie di nuovi attacchi
kamikaze, non solo nelle zone calde del vicino oriente, ma nei luoghi più diversificati. Il
problema riguarda tutti, ed anche la società e l’ordinamento italiani, perché gli
estremisti islamici hanno fondi e strutture in tutta Europa, comprese cellule nel nostro
Paese. Il terrorismo ha assunto dimensioni globali e, sia tra la gente comune che tra i
responsabili della sicurezza quali mezzi, anche eccezionali, siano giustificati
dall’importanza del fine della lotta contro il terrorismo, e dalle condizioni d’emergenza
in cui è giocoforza perseguirlo426.
In altre parole, capita di chiedersi sempre più spesso se nella lotta al terrorismo
sia consentito alle pubbliche autorità, nell’esercizio delle proprie funzioni
giuridicamente disciplinate, violare il limite della legalità, assumendo condotte
integranti fattispecie di reato, al fine di tutelare la collettività, evidentemente in danno di
terroristi o presunti tali, giovandosi poi della scriminante dello stato di necessità.
È cosa nota che il legislatore italiano ha affrontato l’emergenza adottando una
disciplina specifica e predisponendo una serie di riforme in tema di reati terroristici,
segreto di stato e servizi segreti. Ma, nondimeno, vale la pena indagare se condotte
asseritamente tenute in nome della tutela della collettività (dal pericolo terroristico)
possano venire giustificate e/o scusate sulla base di principi generali dell’ordinamento.
426
È la domanda che si pone PULITANÒ, Inquisizione, cit., pag. 231.
85
Al centro dell’analisi vi è il conflitto tra legalità e sicurezza, che si gioca tra le
opinioni di chi ritiene che il rispetto dell’una vada a scapito dell’altra e chi, invece,
sostiene che l’una venga rafforzata dal rispetto dell’altra.
Vale segnalare che già dall’anno 2006 ha preso avvio un interessante dibattito
anche al di fuori del mondo accademico, sul ruolo del diritto penale nel contrasto al
terrorismo di matrice islamica427, con la contrapposizione delle tesi di chi ritiene che
l’emergenza terroristica imponga un compromesso tra sicurezza nazionale e stato di
diritto, identificando una zona grigia tra legalità e illegalità, (in cui gli operatori di
sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi, ovvero uno “stato di
eccezione”); e di chi ritiene che lo stato di diritto debba avere la precedenza su tutto428.
In Italia la questione è stata sollevata da un intervento di Angelo Panebianco429,
il quale ha sostenuto che, in situazioni di emergenza, sia giusto accettare quello che
viene definito come il giusto compromesso. “Lo stato di diritto deve convivere, se si
vuole sopravvivere, con le esigenze della sicurezza nazionale. Il che significa che si
deve accettare per forza un compromesso, riconoscere che, quando è in gioco la
sopravvivenza della comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve essere
ammessa l'esistenza di una «zona grigia», a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli
operatori della sicurezza possano agire per sventare le minacce più gravi”.
In tale prospettiva, si sostiene che lo Stato di diritto è solo uno strumento che
serve per la convivenza della società in situazioni di normalità. Quando invece si
creano situazioni di emergenza è necessario riconoscere che per la sopravvivenza stessa
della democrazia si deve far ricorso a mezzi straordinari, perché non si posso usare gli
stessi “strumenti con cui ci si difende dai ladri di polli o dai rapinatori di banche” per
combattere il terrorismo.
Il dibattito appena accennato trova eco anche nella dottrina penalistica
internazionale, dove si rinviene anche una corrente di pensiero che, descrivendo le
nuove emergenze come una guerra, teorizza un sistema di contrasto eterogeneo dal
diritto penale ordinario, un diritto penale del nemico, difficilmente compatibile con
l’anima garantista del sistema penale ordinario.
Nello stato di eccezione, si dice, si creano regole giuridiche eccezionali ispirate
ad una logica di guerra. La specificità di tale logica è quella della sospensione di alcuni
diritto fondamentali: al delinquente normale vanno riservati i diritti e le garanzie
derivanti dallo status di cittadino; al delinquente che minaccia l’ordine sociale,
diventando un avversario dell’ordinamento giuridico, spetta invece lo status di nemico,
e nei suoi confronti si ammette una sospensione delle garanzie connesse al principio di
colpevolezza430.
La democrazia puramente maggioritaria, in questi casi, rischia la deriva e
427
PANEBIANCO, in corriere della Sera del 13 agosto, 15 agosto e 3 settembre 2006.
CORDERO, il diritto nell’era del terrorismo, in Repubblica, 28.08.2006.
429
Corriere della sera, 13 agosto 2006, Il compromesso necessario, di Angelo Panebianco. La posizione
assunta dall’autore sorge in relazione alle polemiche suscitate dall’arresto di Abu Omar, e altri mezzi
adottati dalle forze dell’ordine statunitensi nella lotta contro il terrorismo islamico. Aprendo
un’interessante querelle a cui hanno preso parte Zagrebelsky (Corriere della sera, 18 settembre 2006) e
Sofri( Corriere della sera, 25 settembre 2006) tra gli altri.
430
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, in Cass. pen., 2006, 750, BEVERE, Il diritto
penale del nemico nelle aule di giustizia, in Crit. Dir., 2008, 3-4, p.227; CATTANEO, Riflessioni sul diritto
penale del “nemico”, in crit. Dir., 2008, 1-2, p.141; PAGLIARO, “Diritto penale dl nemico” : una
costruzione illogica e pericolosa, in CP, 2010, 6, 2460.
428
86
soprattutto la strumentalizzazione dell’opinione pubblica, attesa la politicità del
problema. E, posto che sul richiamo ai diritti fondamentali concordano tutti, si deve
finalmente riconoscere che per rendere tali diritti effettivamente vincolanti anche
all’atto pratico, il giurista deve porvi la giusta attenzione, tesa ad uno sforzo
definitorio e di concretizzazione dei valori in gioco.
Occorre quindi indagare proprio sui valori in gioco e sulle possibilità di
bilanciamento, ed occorre altresì verificare se, nella fattispecie, ricorrano i presupposti
di attualità del pericolo, di gravità della minaccia, di inevitabilità altrimenti e se sia
rispettato il requisito della proporzione ai fini dell’invocabilità della scriminante oggetto
di studio.
Dalla disamina di tali elementi dovrà quindi evincersi se il conflitto tra legalità e
sicurezza possa, ed eventualmente con che limiti, trovare una risoluzione nella logica
della necessità.
1.1
Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività
In primo luogo merita di venire tratteggiato il bene protetto per la cui tutela si
agisce, ossia la sicurezza della collettività431, e a tale analisi verrà dedicato questo primo
paragrafo.
Si fa notare che il concetto di sicurezza è connaturale alla convivenza sociale432:
allorché gli individui si organizzano in un gruppo, sorge l’esigenza di tutela non solo dei
singoli, ma del gruppo stessi da pericoli, sia esterni che interni. Anzi, secondo alcune
teorie, la sicurezza degli individui è una delle giustificazioni del patto sociale e del
riconoscimento di un superiore potere sovrano.
Si arriva, per questa via, ad enucleare due dimensioni della sicurezza: sicurezza
da potenziali intrusioni nell’ambito di sfere individuali di libertà, e sicurezza di poter
esprimere appieno la propria personalità.
Sotto il primo profilo, nel nostro ordinamento sono previste diverse legittime
ipotesi di limitazione della sfera della sicurezza personale dei singoli individui da parte
delle pubbliche autorità. Tali previsioni sono peraltro corredate di garanzie
particolarmente significative, soprattutto in ambito penale (dalla riserva di legge alle
garanzie più strettamente procedurali). La sicurezza personale viene così garantita anche
da una serie di limitazione all’azione dei pubblici poteri.
Nel contempo, si garantisce la sicurezza collettiva, affidata agli interventi
dell’Amministrazione, che dovranno svolgersi nel rispetto delle norme e dei principi
costituzionali433.
La sicurezza “giuridica”, come detto, nasce dalla soggezione generalizzata alla
legge, ovvero nel conoscere, a priori, il limite delle proprie azioni nello svolgimento dei
rapporti sociali434.
Dall’idea hobbesiana della sicurezza come fondamento del potere, e per certi
431
INSOLERA, Sicurezza e ordine pubblico, in IP, 2010, 1, p. 27; HASSEMER, sicurezza mediante il diritto
penale (traduzione di Cavaliere), in crit. Dir., 2008, 15. Si segnala che CAVALIERE, Può la sicurezza
costituire un bene giuridico o una funzione del diritto penale?, in Crit. Dir., 2009, p.43, ritiene che la
sicurezza non possa costituire un bene giuridico a sé.
432
Di sicurezza parla anche l’art. 29 TUE, elevandola a finalità delle istituzioni europee.
433
Si rammenta, peraltro, che l’ordine pubblico e la sicurezza rientrano nell’ambito della legislazione
esclusiva dello Stato.
434
FROSINI, Il diritto costituzionale alla sicurezza, in www.forumcostituzionale.it
87
versi anche della legalità, si approda poi alla concezione della sicurezza come diritto: è
nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 che troviamo, all'art. 2,
il “diritto alla sicurezza” tra i diritti naturali e inalienabili dell'uomo, accanto alla libertà,
alla proprietà, alla resistenza e all’oppressione. Pertanto, la sicurezza può qualificarsi
come bene inscindibilmente legato alla vita, alla incolumità fisica, al benessere
dell'uomo e alla qualità della sua esistenza, nonché alla dignità della persona.
Da ciò discende che la sua titolarità è in capo allo Stato, nella forma di interesse
a garantire una situazione di pace sociale, ma è altresì riferibile a ciascun individuo
come diritto a un’esistenza protetta, indispensabile al godimento degli altri diritti di cui
è titolare in condizioni di sicurezza.
La sicurezza, quindi, diviene un valore ambivalente: da un lato assurge al rango
di diritto della persona, dall’altro integra una situazione ambientale che caratterizza lo
stato dell’intera comunità in cui la persona si esprime.
Tale passaggio rappresenta la chiave di volta del passaggio da concetto
“statico” ad un concetto “dinamico”, dallo stato di diritto allo stato di prevenzione.
Più precisamente, il legislatore si dedica ad assicurare i cittadini sui beni giuridici
minacciati e messi in pericolo; ed allora accade che, nei momenti di tensione, lo stato di
diritto, che garantisce la certezza del diritto, viene a essere ampliato dallo stato di
prevenzione, e la tutela viene rivolta direttamente ai beni giuridici.
Sicurezza, allora, significa non solo la coscienza della libertà garantita
all'individuo ma l’affermazione di un’attività statale per tutelare il cittadino da rischi e
pericoli sociali causati dal crimine.
La garanzia della sicurezza contro un nemico costante è divenuta l’imperativo
categorico dello stato attuale. Vale in proposito rilevare come lo sviluppo tecnologico e
la conseguente moltiplicazione delle fonti di rischio innescano una spirale in cui il
pericolo è socialmente percepito come una costante, non circoscritto a contesti specifici
e marginali, ma suscettibile di incidere su chiunque435. Ecco allora che il concetto di
sicurezza collettiva, garantita dallo stato con azione di prevenzione, viene a
sovrastare il concetto di sicurezza individuale, e, così, a trovarsi in antitesi con il
concetto di legalità: ciò accade in particolare quando si ammette la tutela della prima a
scapito della seconda, ossia quando lo Stato, in nome della prevenzione, ritiene
superabili i limiti che lo stesso ordinamento ha posto all’esercizio del potere (es.
fattispecie di reato).
Vale quindi osservare, a proposito del concetto di sicurezza, che la sue essenza
ultima deve essere ricondotta alla sfera dell’esercizio del potere politico.
In definitiva, la sicurezza della collettività non può ricondursi (e ridursi) alla
tutela dell’incolumità fisica di più persone, ma, di fronte all’emergenza terroristica, essa
viene in evidenza come tutela dell’ordinamento stesso: invero, atteso che l’atto
terroristico è qualificabile, in via di estrema sintesi, come un’aggressione all’ordine
costituito,436 la tutela della collettività minacciata si risolve in tutela dell’ordinamento in
quanto tale.
Emerge quindi una prima criticità dell’indagine: il concetto più o meno esteso di
435
RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 182
Per il vero, anche la nozione di terrorismo è assai diversa da Paese a Paese. Si può infatti osservare che
un atto violento che un determinato ordinamento giuridico, fondato su un determinato sistema ideologico,
qualifica come terroristico, per altro ordinamento potrebbe invece costituire l’atto fondativo di un nuovo
patto costituzionale.
436
88
“sicurezza nazionale”, che rappresenta il bene giuridico di cui si persegue la tutela,
amplia o riduce i confini dell’azione necessitata. In altre parole, alla variazione di tale
concetto in relazione ai singoli Stati, al mutare dei contesti storici e delle priorità può
mutare anche l’estensione della scriminante della necessità.
Così individuato il bene, appare evidente che lo scopo di tutela dello stesso non
può avere alcuna funzione selettiva della condotta necessitata437, ed occorre quindi
proseguire nello sforzo definitorio per concretizzare gli parametri di giudizio438.
1.2
Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo
attuale?
Quanto alla concretizzazione del concetto di pericolo, incerta è la nozione
giuridica di emergenza e sembra in parte differenziarsi da Paese a Paese.
A ben vedere, nei diversi ordinamenti giuridici spesso non se ne dà una
definizione giuridica o comunque il termine è accostato ad altri che consentono di
qualificarne meglio il contenuto nella concreta situazione.
Si può così tentare di definire “emergenza” ogni situazione nella quale le
norme giuridiche vigenti si rivelano inadeguate a rimediare alle lesioni o ai pericoli
di lesione grave ai principi fondamentali dell’ordinamento, che provengono da
accadimenti naturali o da comportamenti umani imprevisti o imprevedibili: tra tali
eventi vi sono le guerre, le guerre civili, le crisi economiche, le catastrofi naturali e i
disastri ambientali, le varie forme di criminalità organizzata, tra le quali spicca quella
terroristica.
Con particolare riguardo a quest’ultima, il terrore appare il nucleo essenziale del
fenomeno, atteso che la finalità principale di gruppi terroristici pare quella di compiere
azioni violente che hanno finalità latu sensu politiche, miranti da una lato a generare
una condizione collettiva di grande timore e, dall’altro, a diffondere tra la popolazione
una notevole sfiducia nelle capacità degli organi istituzionali di garantire la sicurezza
della collettività.
La dottrina penalistica individua un elemento oggettivo ed uno soggettivo del
terrorismo. Sotto il primo profilo (oggettivo), si ritiene che l’atto terroristico sia caratterizzato
da peculiarità riconducibili alla qualità della persona offesa, rappresentante in qualche modo le
istituzioni; alla potenzialità dell’offesa capace di rivolgersi a persone indeterminate e, quindi, di
ingenerare timore nella collettività; all'estraneità delle vittime ai rapporti interpersonali del
terrorista, in quanto le vittime rilevano non per i loro rapporti con l’agente, ma per i loro
rapporti con le istituzioni ovvero per il solo fatto di essere parte della collettività.
Infatti il terrorismo trascende la mera violenza, che presuppone un aggressore ed una
vittima, e coinvolge anche una terza parte, ossia l’insieme dei cittadini e/o i pubblici poteri,
vittime ultime dell’intimidazione perpetrata per mezzo della vittima.
Sotto il secondo profilo (soggettivo), l’atto terroristico si caratterizza per la finalità
ideologica che lo sorregge e per la finalità politica in vista del quale è compiuto, secondo
combinazioni variabili.
437
In altre parole, una condotta non sarà scriminabile solo per il fatto di essere finalizzata alla tutela della
sicurezza collettiva.
438
HASSEMER, sicurezza mediante il diritto penale (traduzione di Cavaliere), cit., 38, esorta al rispetto
delle tradizioni fondamentali del diritto penale perché solo garantendo la centralità della persona, una
risposta adeguata all’illecito e alla colpevolezza, gli scopi di tutela e l’umanità del diritto, si può dare
sicurezza mediante il diritto penale.
89
Vale sin da ora osservare alcuni generici caratteri comuni delle legislazioni
predisposte da stati democratici per fronteggiare il fenomeno terrorista: un primo
gruppo di disposizioni prevede le diverse fattispecie di reati di terrorismo; un secondo
gruppo di disposizioni prevede il rafforzamento dei poteri di controllo e di indagine a
disposizione delle autorità di pubblica sicurezza e dell’autorità giudiziaria (con una
tendenziale crescita dei poteri delle forze di polizia rispetto alle competenze degli organi
giudiziari); un terzo gruppo prevede, per tutti i cittadini ovvero talvolta soltanto per gli
stranieri, specifiche misure restrittive della libertà personale, della libertà di domicilio,
della libertà e segretezza delle comunicazioni, della libertà di circolazione e di
soggiorno; un quarto gruppo, infine, istituisce o rafforza le competenze di speciali
organi governativi (e nei sistemi federali o regionali degli organi centrali o federali a
scapito degli organi dei singoli stati o delle singole regioni) finalizzate alla prevenzione
e al contrasto di ogni forma di atto terroristico.
In simili circostanze i pubblici poteri, una volta accertata l’esistenza di una
situazione di emergenza sono posti nelle condizioni di adottare nuove norme e
provvedimenti tendenzialmente urgenti e temporanei che innovano a livello legislativo
l’ordinamento giuridico oppure hanno la possibilità di applicare quelle norme
preventivamente predisposte per simili evenienze eccezionali439: si possono avere così
deroghe temporanee alle stesse norme costituzionali o addirittura una sospensione
dell’efficacia delle stesse con l’instaurazione di un particolare tipo di “stato
d’eccezione” preventivamente disciplinato finalizzato alla tutela dei principi
fondamentali dell’ordinamento e al ripristino della normalità costituzionale440.
Il ricorso allo stato di necessità, peraltro, non viene escluso dalla predisposizione
di siffatti armamentari legislativi, poiché, come già detto, residua uno spazio per
l’applicabilità soprattutto laddove vengano rafforzati i poteri di controllo e di indagine
dell’autorità di pubblica sicurezza ed è comunque interessante indagare sulla possibilità
di giustificazione sulla scorta dei principi generali, quando l’azione comunque si spinga
oltre i limiti legislativamente disciplinati.
In ogni caso, quindi, l’emergenza terroristica sembra poter integrare una fonte di
pericolo prevista dall’art. 54 c.p..
Vale comunque svolgere qualche breve considerazione sul requisito
dell’attualità del pericolo, che sembra dotato di efficacia selettiva delle condotte.
Infatti, quando il pericolo è imminente, ossia individuato e circoscritto, può
ritenersi integrato il requisito, e, ferma la verifica degli altri elementi richiesti dalla
norma, può ritenersi operante la scriminante in esame441. Ciò avviene, ad esempio, in
caso di ostaggi.
Per il vero, anche se ci fosse un unico ostaggio, si può comunque ipotizzare la
giustificazione di eventuali interventi praeter legem: infatti non si accede ad una
valutazione del bene tutelato in termini meramente quantitativi442 e deve pertanto
439
Si vedano, infatti, le scelte di diversi ordinamenti di fronte all’emergenza terroristica compendiate nel
cap V del presente lavoro
440
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160
441
Similmente a quanto sostenuto nell’analisi dei singoli requisiti condotta nel capitolo I del presente
lavoro.
442
Anche la dottrina tedesca sembra rifiutare il ricorso ad un criterio meramente quantitativo, come si
vedrà nel paragrafo dedicato.
90
escludersi che l’azione volta alla tutela di una sola potenziale vittima abbia minore
significato di quella volta alla tutela di più individui443. Senza dire che, poi, la
strumentalizzazione politica del rischio di vittimizzazione induce l’identificazione
empatica del corpo sociale nella vittima minacciata dal criminal-nemico444 e, così, in
tale prospettiva il ricorso alla scriminante per la neutralizzazione del criminale-nemico
si impone in nome della tutela della società (e della governabilità).
Similmente deve concludersi per i casi in cui il danno minacciato può verificarsi
in un futuro prossimo, purchè abbia una certa consistenza almeno nell’an e non si tratti
di semplice timore dello stesso o di danni meramente eventuali e a carico di soggetti
indeterminati. Come già esposto nella trattazione generale, può anche trattarsi di un
pericolo perdurante, la cui verificazione è così probabile che si ritengono da subito
necessarie misure per la protezione del bene.
Ciò accade, ad esempio, in caso di attacchi annunciati, laddove può ritenersi
accettabile il ricorso alla scriminante (sempre ferma restando la sussistenza degli altri
requisiti).
Occorre invece essere più cauti quando il pericolo sia meramente eventuale,
ossia quando l’azione dei pubblici poteri si presenti come eminentemente preventiva. In
tal caso, infatti, viene senz’altro meno il requisito dell’attualità, dal momento che il
pericolo è meramente potenziale e ancora non si sa se avrà l’attitudine a concretizzarsi.
In simili ipotesi, quindi, sembra da escludersi la pertinenza del richiamo alla
scriminante e devono rimanere ferme le garanzie dello stato di diritto.
Possono rientrare in siffatta fattispecie i casi in cui il pericolo imminente sia
cessato, ma occorra proseguire l’azione di contrasto al terrorismo per evitare il
ripresentarsi della situazione di pericolo, ovvero al fine di sgominare la cellula
operativa445.
È appena il caso di precisare, in proposito, che tale impostazione non lascia certo
priva di protezione la collettività, dal momento che l’ordinamento prevede appositi
strumenti di indagine e espressi poteri già disciplinati.
Ed è per tale ragione che non merita giustificazione il superamento dei limiti
dettati dal diritto positivo, tanto più in considerazione del fatto che la legislazione
emergenziale (per lo più applicabile alla fattispecie) ha già predisposto gli idonei
strumenti per perseguire una tutela preventiva del bene.
Tali considerazioni, in conclusione, evidenziano la funzione selettiva del
requisito dell’attualità del pericolo.
1.3
La gravità del male minacciato
Come già detto, il danno grave alla persona è stato interpretato in senso lato, e
sembra quindi offrire un valido appiglio per l’applicabilità della scriminante in tutte le
situazioni considerate: sia nel caso di ostaggi, sia nel caso di attacchi annunciati.
Tanto più che, di fronte all’emergenza terroristica, come sopra ricordato, il
danno alla persona si risolve in un danno alla collettività e/o ai pubblici poteri,
443
Non sembra fuori luogo, in proposito, il richiamo al caso Moro, laddove lo statista è stato scelto non
come individuo ma come simbolo del sistema che le BR volevano contrastare.
444
RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 185.
445
Come ad esempio accadde nel caso Dozier, dopo la liberazione dell’ostaggio.
91
coinvolgendoli come bersaglio ultimo dell’intimidazione: in tali casi la gravità del
danno non può che ritrovarsi in re ipsa, poiché riguarda, in ultima analisi, la
sopravvivenza stessa dell’ordinamento.
In definitiva, quindi, può affermarsi che la gravità del danno non abbia alcuna
efficacia selettiva nelle fattispecie in esame.
2. Le altre variabili del bilanciamento: esistono diritti “comprimibili”?
Quanto ai requisiti della proporzione e dell’inevitabilità altrimenti, questi sono
strettamente connessi al bene “sacrificato”, in quanto, come detto, vanno accertati sulla
base di un confronto tra i mezzi difensivi che il soggetto aveva a propria disposizione ed
i mezzi in concreto usati. Pertanto, per la verifica della loro sussistenza va fatta una
preliminare disamina dei diritti che possono venire compromessi o lesi dall’azione dei
pubblici poteri asseritamente compiuta in nome della tutela della collettività.
All’evidenza, il più significativo valore tutelato dall’ordinamento e messo in
discussione è quello dell’incolumità fisica del nemico-criminale e in tale prospettiva
viene in evidenza il dibattito sociale in tema di tortura.
Vi sono tuttavia altri beni comprimibili, come la libertà di movimento, e in tal
caso il riferimento inevitabile è alle c.d. rendition.
Inoltre, si possono poi prospettare lesioni di altri diritti, pure costituzionalmente
garantiti, come la segretezza della corrispondenza, il diritto alla privacy, l’inviolabilità
del domicilio e simili.
Da ultimo viene in evidenza anche il valore della legalità in quanto tale, qualora
lo Stato sia invitato a scendere a patti con i terroristi, e i pubblici funzionari si trovino
costretti a scegliere se “allargare le maglie” dello stato di diritto, “potenziando” i diritti
del singolo (terrorista) a scapito della collettività.
2.1 La necessità legittima la tortura?
Una particolare attenzione merita la questione della tortura.
Come noto, la tortura si è espressa storicamente - giustificata, teorizzata e
legalmente ammessa- a due fini: nel processi penale come strumento inquisitorio, per
strappare la verità all’imputato in processi penali, ovvero come strumento di ricerca
prova; oppure come sanzione penale.
La tortura è fenomeno antico che affonda le proprie radici nella storia dell’uomo
e la campagna abolizionista vittoriosamente condotta dai riformatori illuministi446 ha
446
In argomento, non può non accennarsi agli autori italiani hanno contribuito alla condanna della tortura
con le loro opere. Tra questi Beccarla (Dei Delitti e delle Pene -1764), Verri (Osservazioni sulla Tortura 1804), e Manzoni (Storia della Colonna Infame -1840).
Il primo Autore analizza la tortura del reo perpetrata per costringerlo a confessare un delitto, per
verificare le contraddizioni nelle quali il reo incorre, o per facilitare la scoperta dei complici. Sul
presupposto che in assenza di una condanna definitiva un uomo non può essere chiamato “reo” ne può
essere privato di pubblica protezione, e su quello che il delitto può essere certo o incerto, l’Autore afferma
che nel primo caso sarà punito con la pena prevista per il reato commesso, mentre nel secondo non vi è
alcun diritto di tormentare un innocente.
Quanto alla tortura inflitta nella ricerca della verità, l’Autore chiarisce che se tale verità difficilmente si
scopre in un soggetto tranquillo e non sottoposto a tortura, molto meno la si può ricavare da un uomo in
cui il dolore altera ogni sensazione e comportamento, e che può essere indotto a dichiarare qualsiasi cosa
solo per eliminare o almeno sospendere la sofferenza.
92
relegato le pratiche di tortura nel mondo dell’illecito, ma non ha potuto estirparla dalla
realtà fattuale.
In altre parole, si è avuto (solo) un mutamento della nozione di tortura, che ha
assunto una dimensione oscura e illecita, divenendo l’oscuro e denegato strumento cui
ricorrono servizi di sicurezza, forze di polizia e apparati militari per estorcere
informazioni, punire colpevoli o reprimere nemici ideologici. Chi subisce atti di tortura
viene degradato dallo status di cittadino a oggetto senza diritti e senza tutele.
In epoca relativamente recente, inoltre, la tortura è riapparsa, con scopi
differenti, non solo in stati illiberali, dove mancano le garanzie istituzionali e
processuali, rappresentando una ricaduta nella barbarie in paesi essenzialmente
democratici447, e si esprime con modalità più sofisticate, mediante l’inflizione di dolori
fisici con strumenti sempre più raffinati, che non lasciano tracce448.
Quanto alle teorizzazioni sulla legittimità della tortura stessa, merita attenzione
la tesi di Dershowitz449, che non deve essere liquidata in chiave semplicistica. Il noto
professore americano parte dalla constatazione, ineccepibile, che le forze dell’ordine,
Anche il Verri è stato deciso fautore dell’abolizione della tortura, quale “pretesa ricerca della verità con i
tormenti”: in caso di rei robusti decisi a morire di spasmi per i tormenti stessi piuttosto che autoaccusarsi
la tortura appare infatti inutile, negli altri casi potrebbe provocare una confessione menzognera, dettata
dalla sola regione di sottrarsi al dolore fisico. Tale constatazione del Verri ha invitato alla riflessione
molti studiosi e criminologi che hanno più tardi affrontato il medesimo problema.
Nella Storia della Colonna Infame anche il Manzoni stigmatizza la tortura, affinché non divenga modo di
affrontare situazioni eccezionali dando ascolto alle voci della paura e dei più profondi istinti anziché alla
voce della ragione e della civiltà. Cfr. BIANCHI, Commento alla storia della colonna infame, Milano,
1980.
447
Ad esempio, i paesi balcanici hanno conosciuto la tortura sistematica su base etnica, inflitta alla
popolazione civile durante i conflitti di Bosnia (1991-1995) e Kosovo (1997-1999). Le torture a sfondo
sessuale sono state predominanti e ne sono state vittime soprattutto le donne
Inoltre, i decessi durante il periodo di custodia, causati dai maltrattamenti e dalle torture, non sono,
purtroppo, una prerogativa dei paesi in cui vigono norme di emergenza. Questo accade in Belgio, Austria,
Irlanda del Nord, Grecia, Svizzera, Spagna e soprattutto nell’Est europeo (Romania, Bulgaria, Slovacchia,
Repubblica Ceca ed Ungheria) dove si ha notizia di torture e maltrattamenti da parte della polizia.
Amnesty InternationalI ha rilevato che nella Federazione Russa esistono dei “campi di selezione” nei
quali cittadini ceceni vengono detenuti senza accusa né processo V. Concerns in Europe, op. cit., pp. 5-8.
Fonte primaria delle preoccupazioni di Amnesty International è anche la situazione delle carceri: dal
Portogallo arrivano continue denunce di maltrattamenti da parte della polizia penitenziaria. Grande
scalpore ha inoltre suscitato di recente, in Francia, la pubblicazione di un libro scritto dall’ex responsabile
medico del carcere La Santé di Parigi, in cui denunciava le condizioni di detenzione inumane e
degradanti. Anche in Italia, in diverse carceri e in alcuni centri di detenzione temporanea per stranieri, le
condizioni di vita dei detenuti sono al limite di trattamenti degradante, perpetrati in un generale clima di
impunità.
448
Ad esempio, anche nell’Irlanda del Nord, i detenuti erano sottoposti a forme di tortura consistite in
lunghe privazioni di cibo e acqua, di sonno, a veglie in piedi per ore, incappucciamenti, o disorientamento
con rumori e suoni frastornati prima degli interrogatori.
449
Docente di etica del diritto presso la prestigiosa law school di Harvard, l’l’Autore è uno dei più
autorevoli avvocati degli Stati Uniti. L’A. analizza le tecniche per combattere il terrorismo:
disincentivazione, inabilitazione, persuasione e prevenzione attiva. La deterrenza contro il terrorismo è
ardua dal momento che il terrorista suicida non è intimorito dalla minaccia di morte nei suoi confronti. Vi
è solo un deterrente ipotizzabile contro le rivendicazioni, - per quanto legittime -, attuate col ricorso al
terrorismo: non vi sarà alcuna considerazione delle istanze mosse. Di contro, il trattare con i terroristi
costituisce un’agevolazione, anche perché il terrorismo viene peraltro alimentato dall’attenzione
dell’opinione pubblica. La macrostrategia di contrasto al terrorismo sta, quindi, nel trasformarlo in una
proposta perdente.
93
specie in momenti di tensione, a poco a poco tendono ad abusare della propria autorità
sui detenuti, fino a torturarli senza nessuna certezza che i sospetti siano a conoscenza di
ulteriori obiettivi terroristici. A maggior ragione se essi sono sicuri che il sospettato sia
depositario di importanti informazioni.
La questione posta dall’avvocato americano, quindi, non è se la tortura debba o
meno essere utilizzata, perché è evidente che essa lo è, ma se debba essere usata dentro
o fuori dalla legge, ossia con o senza le garanzie di un sistema legale.
L’Autore ritiene che le democrazie richiedano una sorta di “mandato di
tortura” emanato da un giudice in grado di stabilirne l’uso ed evitarne l’abuso. In tal
modo, il peso morale della decisione sarebbe in capo al giudice (e non al funzionario di
polizia), che sarebbe chiamato a decidere dopo l’esperimento di una precisa procedura
apparentemente garantista, nei casi nei quali si ritenga che una persona nasconda
illegalmente informazioni decisive per scongiurare un imminente atto di terrorismo che
farebbe morire un grande numero di persone.
In tale ricostruzione le informazioni assunte non possono trovare ingresso nel
processo contro il sospettato, ma servono a prevenire un attentato o una strage già
programmata. In tal modo, la tortura verrebbe tratta dall’ombra nella quale è praticata,
similmente a quanto è stato fatto in Israele. Tuttavia, per quanto le premesse di fatto
siano condivisibili, (anzi, innegabili), non si può accedere alla tesi prospettata in quanto,
fatto venir meno un tabù, la discesa e il decadimento del sistema democratico
diventerebbe inevitabile.
Nondimeno, siffatta teoria è stata propugnata in modo assai articolato e
giuridicamente motivato, effettuando un particolarissimo bilanciamento tra tre valori
che sono in gioco in presenza del terrorismo: il primo è la sicurezza e l’incolumità dei
cittadini di una nazione, il secondo è il mantenimento delle libertà civili e dei diritti
umani, il terzo la responsabilità pubblica e la trasparenza che sono proprie di una
democrazia.
Poiché dunque l’Autore ritiene che l’integrità fisica sia un bene meno importante
della vita, ne consegue che infliggere un dolore non letale ad un terrorista colpevole sia
un male minore e rimediabile rispetto alla morte di molte persone innocenti450.
A tali teorizzazioni si obietta che non sarebbe mai possibile avere la ragionevole
certezza che il soggetto da sottoporre a tortura disponga davvero delle informazioni
indispensabili, che la tortura nulla potrebbe contro persone che siano disponibili anche
ad attentati suicidi, che comunque - come già ricordava secoli fa già Verri nelle sue
Osservazioni sulla tortura - le dichiarazioni rese dal malcapitato potrebbero essere non
attendibili. O ancora che, come ricordava Beccaria, cederebbero a simili trattamenti
soprattutto le persone fisicamente e psicologicamente meno forti, ma anche in esito
all’estorsione di siffatte informazioni, non è affatto sicuro che l’intervento delle autorità
possa giungere a buon fine evitando il compimento degli atti terroristici.
Inoltre, legittimando un uso circoscritto della tortura, non è comunque
prevedibile ex ante fino a quale punto potrebbe giungere la degenerazione dell’abuso,
cosicché anche soggetti estranei potrebbero trovarsi travolti da una strumentali chiamate
in correità. In fin dei conti, qualora si legalizzasse la tortura, il cittadino sarebbe
sottoposto a due nemici: il nemico terrorista “esterno” all’ordinamento, ed un nuovo e
assai più forte nemico “interno” costituito dai pubblici poteri le cui funzioni non
450
94
DERSHOWITZ, Terrorismo (2003), tr. it., Roma, 2003.
sarebbero più conformate alla tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, ma al solo
mantenimento dell’ordine costituito.
Finora il divieto della tortura è stato proclamato in vari atti internazionali di
carattere generale: Dichiarazione Universale dei diritti umani del 1948; il Patto
dell’ONU sui diritti civili e politici del 1966 e la Convenzione ONU contro la tortura e
le altre pene e trattamenti crudeli inumani o degradanti.
Tuttavia risulta assai arduo definire il termine tortura in maniera compiuta,
rischiando ogni definizione o accezioni troppo late o letture troppo anguste.
Sotto il profilo della “vittima”, va peraltro segnalato che non esiste una rigida
linea di demarcazione tra la punizione inflitta legittimamente dallo Stato e l’atto della
tortura: può accadere che l’una implichi l’altra, e la sottile distinzione dipende
largamente dalla reazione individuale della vittima alla sofferenza fisica e mentale. Nel
contempo, l’uso del termine di punizione, anche in caso di tortura, non ha consentito
una piena e adeguata comprensione dell’ampiezza della sua effettiva applicazione, sia
passata che presente451.
Vi è poi una ulteriore forma di tortura di natura psicologica, che può affiancare
quella di natura fisica, ma può anche essere inflitta indipendentemente da essa,
stimolando i meccanismi dell’ansia della paura, della solitudine, della disperazione.
Da ultimo, si ricorda anche un tipo di tortura farmacologica, tesa a debilitare
l’equilibrio psico-fisico ed la personalità della vittima mediante la somministrazione di
farmaci.
La proibizione, disposta dal diritto, di ogni forma di tortura e persecuzione, sia
nella fase investigativa che in quella detentiva, non dà invero alcuna garanzia che lo
Stato stesso non utilizzi di fatto tali metodi452, laddove si può addurre a giustificazione
la necessità di tutelare valori o raggiungere scopi accettati e condivisi.
Come detto, infatti, residuano nella prassi numerose sacche di tortura: non
soltanto a causa dell’estrema vaghezza dei principi fondamentali, ma anche per un
malcelato richiamo alla ragion politica, che tende sempre a far valere la forza sulla
ragione ed il raggiungimento del fine sulla scelta dei mezzi, supportato dall’assetto della
gerarchia di valori proposti dalla cultura prevalente, che tra l’offesa a una persona e
l’offesa alla collettività, tra la salute del singolo e quella di molti, tra la vita di uno e la
vita di molti, tende a scegliere di tutelare il bene quantitativamente maggiore453.
451
Vero è comunque che la maggior parte delle pene inflitte oggi nei paesi civilizzati non può essere
inserita in genere entro la categoria delle violenze fisiche, e, paradossalmente, anche laddove via la pena
di morte, questa non è considerata forma di tortura: si ritiene, infatti, che la tortura esista laddove la morte
sia preceduta e causata da azioni implicanti sofferenza o dolore ingiustificati.
452
Per esempio in Gran Bretagna sebbene sia formalmente vietata la tortura, tanto allo Stato quanto ai
singoli individui è ancora prescritta dal codice penale la fustigazione. La punizione corporale è così
legittimata di fatto come misura correttiva; non è ritenuta dunque una forma di supplizio. Anche negli
Stati Uniti d’America, d’altra parte, dove la tortura è proibita da molti decenni, dal codice penale e
nell’ambito della vita privata, accade che la fustigazione continui nondimeno a essere inflitta, in vari stati
e in diverse occasioni, dal 1868; la polizia americana ha reintrodotto il “terzo grado”, che raggruppa varie
forme di supplizio, allo scopo di estorcere confessioni.
453
RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della ‘tortura democratica’, in IP, 2007. 2, pag. 827.
95
Tant’è che Amnesty International ha individuato alcune precondizioni sociali
che possono favorire l’uso sporadico o sistematico della tortura: in primis, situazioni di
emergenza presentate come tali all’opinione pubblica, con conseguenti legislazioni
speciali o eccezionali454.
Gli scopi sottintesi o dichiarati della pratica della tortura possono essere
individuati nell’intimidazione individuale o generalizzata non più ai fini inquisitori o
punitivi, ma di prevenzione e dissuasione rispetto a qualsiasi attività di contrasto
all’ordine costituito.
Attese siffatte considerazioni di ordine generale, vale comunque la pena di
ricordare la definizione legale di tortura e gli strumenti internazionali volti alla
repressione del fenomeno.
2.2 Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della Corte
Europea
Come accennato non mancano, nel panorama internazionale, le convenzioni contro la
tortura, alle quali si ritiene di accennare poiché l’interpretazione dell’art. 54 c.p., nei
casi di specie, deve avere un approccio di tipo sistematico: occorre quindi tener contro
dei principi fondamentali ed inderogabili di diritto internazionale, oltre che di quelli
dell’ordinamento italiano.
Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i due Protocolli Addizionali del 1977,
proibiscono l’uso della tortura contro civili e prigionieri di guerra nei conflitti armati
internazionali e la intendono come una “grave violazione” delle leggi di guerra. La tortura è
proibita non solo ai governi, ma anche ai gruppi di opposizione armata loro contrapposti ed è
ritenuto al pari di un crimine di guerra. In tale ottica, gli Stati sono costituiti responsabili della
protezione di ogni individuo, non solo contro torture inflitte da funzionari pubblici, ma anche da
quella commessa da privati, quando tolleri o appoggi tali abusi.
Nel 1966, l’Assemblea Generale ha poi approvato il Patto internazionale relativo ai
diritti civili e politici (ICCPR), nel quale si ribadisce il divieto assoluto dell’uso della tortura.
Purtroppo il Patto presenta i tipici difetti di moti trattati delle Nazioni Unite, non prevedendo
sanzioni in caso di violazioni.
Negli anni ’70 l’Assemblea Generale approva la Convenzione contro la tortura ed altre
pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, sancendo tre principi fondamentali:
l’impossibilità di giustificare l’uso della tortura; il divieto di espellere o estradare una persona
verso uno Stato in cui rischia di essere sottoposto alla tortura; la qualificazione della tortura tra i
crimini contro l’umanità.
Sotto il profilo normativo, la lotta dell’Europa alla tortura si può far risalire
Convenzione del 1950 che riprende quasi testualmente la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo, con l’art. 3 che dispone: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o
trattamenti inumani o degradanti”. È noto il contributo della Commissione e della Corte
europea dei diritti dell’uomo per dare un contenuto concreto e pregnante all’art. 3.
Merita ancora di essere ricordata la Convenzione contro la Tortura e le altre Pene e
Trattamenti Crudeli Inumani o Degradanti siglata a New York il 10 dicembre 1984.
454
Inoltre: regimi autoritari o “forti”, tendenti ad annullare o a limitare drasticamente i diritti civili e i
margini del dissenso ovvero regimi “deboli”, tesi a mantenere ad ogni costo il proprio potere. L’uso della
tortura sembra in realtà essere diffuso e riguardare molteplici sistemi nazionali, a prescindere dal loro
sistema di organizzazione sociale e di strutturazione politica.
96
Alla sottoscrizione di tale atto è sotteso il riconoscimento di diritti uguali ed inalienabili
di tutti gli individui quale fondamento della libertà e della giustizia stessa.
Tale considerazione si colloca sulla scia dell’art. 55 Carta delle Nazioni Unite, laddove
si riconosce che gli Stati membri sono tenuti a promuovere il rispetto universale dei diritti
dell’uomo: la convenzione si pone dunque in continuità anche alla Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo e al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, che non possono che
venire rafforzati dall’introduzione nel diritto internazionale cogente di un documento che
sancisce l’illiceità della tortura
La convenzione stessa si impegna nello sforzo definitorio della tortura all’art 1: “Ai fini
della presente convenzione, il termine “tortura” designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti
a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da
questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una
terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare
pressioni su di lei o di intimidire o esercitare pressioni su di una terza persona o per qualunque
altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali
sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a
titolo ufficiale o sotto sua istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale
termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad
esse inerenti o da esse provocate”.
La tortura, sempre per la Convenzione del 1984, costituisce una forma aggravata e
deliberata di pene o di trattamenti crudeli, inumani o degradanti455.
Tale definizione, inoltre, ha il pregio di aver messo al bando per la prima volta anche
forme di sofferenza “mentale 456.
La convenzione peraltro stabilisce all’art. 2: “Nessuna circostanza eccezionale,
qualunque sia si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o
di qualsiasi altro stato eccezionale può essere invocata a giustificazione della tortura.”
All’art. 10 poi si sottolinea il fatto che oltre a punire il reato di tortura in tutte le sue
forme, gli Stati devono provvedere affinché insegnamento e informazione sul divieto siano parte
della formazione delle persone addette alla custodia e all’interrogatorio dei soggetti e fermati o
reclusi.
Merita poi un cenno la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e dei
trattamenti e pene inumani o degradanti, aperta alla firma il 26 novembre 1987457 e adottata
dal Consiglio d’Europa nel 1987, laddove si ritiene di intervenire a protezione dei diritti umani
preventivamente, con l’istituzione di un organo di controllo, il Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e dei trattamenti o punizioni inumani o degradanti458. In esito alla
455
La Costituzione della Repubblica Italiana ribadisce ripetutamente tale concetto e lo amplia. Nell’ art.
13, infatti, si afferma che è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a
restrizioni di libertà. L’art. 27 stabilisce che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Purtroppo anche la Repubblica
Italiana, nonostante l’esistenza di un solido sistema di garanzie democratiche, appare citata negli elenchi
di paesi in cui annualmente si verificano episodi di tortura.
456
Le Nazioni Unite, in un commento del 1979 all’art 5 del codice di condotta per pubblici ufficiali,
affermano che “il termine trattamento crudele, inumano o degradante non è stato definito dall’Assemblea
generale, ma deve essere esteso alla più ampia protezione possibile contro gli abusi sia fisici che
mentali”.
457
La Convenzione europea è entrata in vigore il 1 febbraio 1989.
458
Il CTP non si pronuncia su denunce individuali di tortura. È invece il Consiglio d’Europa ad avere
predisposto il sistema più avanzato per quanto riguarda i ricorsi individuali, anche in materia di tortura: la
Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali prevede la giurisdizione
della Corte europea per i diritti umani, automaticamente riconosciuta dagli Stati firmatari.
97
Convenzione Europea sono poi stati stipulati i Protocolli n. 1 e 2 per la prevenzione della
tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, con lo scopo di creare uno strumento
convenzionale a livello europeo utile a verificare l’effettiva validità e praticabilità del sistema
delle visite nei luoghi di detenzione e offrire un modello sperimentato su cui calibrare analoghi
accordi internazionali a carattere regionale. In essa individuano le direttive relative al
trattamento dei detenuti.
Detta Convenzione ricorda la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed
altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984459, e la Convenzione
interamericana per prevenire e punire la tortura460 del 1985.
Il 9 aprile 2001, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato le Linee guida per la
prevenzione e lo sradicamento della tortura, che si aggiungono a quelle sulla pena di morte
adottate nel 1998 e che invita i paesi dell’UE a far rientrare il problema della tortura nei propri
programmi politici.
Con specifico riguardo allo scenario europeo, e alla Convenzione del 1987, è
particolarmente interessate è l’istituzione di un Comitato di ispettori internazionali il cui
compito è un accertamento preventivo sulle eventuali pratiche di tortura461.
Tale comitato ha iniziato a operare negli anni ’90 e ha effettuato da allora
numerosissime ispezioni462.
459
La Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura è entrata in vigore il 26 giugno 1987, è stata
sinora firmata da 50 Stati, 21 dei quali l’hanno ratificata.
460
La Convenzione inter-americana, firmata a Cartagena da quattro Stati, è stata successivamente firmata
da altri sette Stati. La Convenzione non è ancora entrata in vigore.
461
Il CTP, imparziale e indipendente, ha poteri che non possono essere limitati dagli Stati membri; ha
accesso a qualunque luogo in cui si trovino persone private di libertà ma, pur indagando su denunce
specifiche, non ha nessun potere giurisdizionale. I rapporti stesi dal Comitato in seguito a queste visite
contengono, oltre i risultati dei sopralluoghi, raccomandazioni inerenti la legislazione, i regolamenti
amministrativi, le condizioni di detenzione, la formazione delle forze dell’ordine o del personale
carcerario. Gli Stati membri (salvo la Turchia) pubblicano questi rapporti unitamente ad eventuali
repliche; sono tenuti ad adeguarsi alle raccomandazioni ivi contenute
462
Le ispezioni sono periodiche e ad hoc. Le prime sono più impegnative e coinvolgono numerosi luoghi
di detenzione, le seconde invece brevi e mirate a determinate sedi come centri per immigrati o
commissariati di polizia.
Lo strumento principale attraverso cui il Comitato adempie alla propria funzione di prevenzione (art. 1),
sono le visite nei luoghi di detenzione.
Il Comitato può effettuare anche delle visite periodiche: in tal modo viene consentito al Comitato un
monitoraggio continuo delle condizioni di detenzione nei singoli Paesi ma anche la possibilità di
interventi fuori programma.
L’art. 2 della Convenzione obbliga gli Stati contraenti ad autorizzare le visite del Comitato in “ogni luogo
dipendente dalla loro giurisdizione nel quale si trovino persone private della libertà da un’autorità
pubblica”.
Quando il Comitato decide di effettuare un sopralluogo deve provvedere a darne comunicazione per
conoscenza allo Stato nel cui territorio intende recarsi (art. 8). Una volta eseguita la notificazione, la visita
può avere luogo in qualsiasi momento e può interessare anche destinazioni diverse da quelle indicate
nell’avviso.
Una volta ricevuto l’avviso, lo Stato non può impedire il sopralluogo ma solo formulare delle obiezioni
per motivi di difesa nazionale o di sicurezza pubblica (art. 9). Nel frattempo il Comitato deve essere
informato sulle condizioni di ogni persona interessata fino a che la visita non ha luogo (art. 9, par. 2,
ultima parte) ed in caso di mancata collaborazione da parte delle autorità nazionali può sanzionare il
comportamento mediante pubblica dichiarazione (art. 10, par. 2).
Al termine di ogni sopralluogo, il Comitato redige un rapporto conclusivo in cui espone gli accertamenti
effettuati e formula delle raccomandazioni per migliorare, ove necessario, le misure di protezione dei
98
I rapporti redatti dagli ispettori al termine di ogni visita dovrebbero rimanere
confidenziali, e qualora venissero riscontrate violazioni della convenzione il comitato può
attivare una collaborazione con lo stato interessato al fine di un miglioramento delle condizioni
di detenzione.
Se lo stato in questione si rifiutasse di collaborare, il comitato potrebbe minacciare di
rendere di pubblico dominio i rapporti. Per evitare questa evenienza gli stati europei hanno
adottato una prassi consolidata, che è quella di pubblicare direttamente al termine di ogni visita i
rapporti degli ispettori463.
Il comitato è caratterizzato da imparzialità e alta professionalità, in quanto formato da
membri di più Stati Parte, esperti in campo giuridico, medico, psichiatrico e di campi di
detenzione. Dunque si può affermare che l’opera degli ispettori negli ultimi anni ha costituito un
modello europeo del tutto nuovo nei confronti del resto del mondo.
Il Consiglio d’Europa ha quindi adottato il Protocollo n. 1, che introduce gli opportuni
adeguamenti normativi per consentire l’adesione alla CEPT da parte di Stati non membri del
Consiglio d’Europa, su invito del Comitato dei Ministri.
Si deve quindi constatare che, diversamente dal modello di tutela contenziosa attuato
dalla giurisdizione di Strasburgo e da altri meccanismi sopranazionali di controllo in funzione
repressiva, la CEPT introduce una procedura intesa a rafforzare, attraverso misure non
giudiziarie di natura preventiva, il grado di attuazione degli obblighi imposti dall’art. 3 della
CEDU.
Come si è detto, però, i principi enunciati stentano a trovare applicazione in contesti di
inadeguatezza legislativa e di distorsione applicativa in cui la pena e le altre misure di difesa
sociale, in nome del perseguimento di finalità generalpreventive e/o specialpreventive non
tengono conto del rispetto della dignità dell’uomo.
La giurisprudenza della Corte Europea ha avuto il compito di individuare
astrattamente le tipologie lesive dell’art. 3 e di orientare in concreto la discrezionalità tecnica
dell’intervento del Comitato464.
La giurisprudenza della Corte Europea è peraltro estremamente attenta a non restringere
con considerazioni di tipo formalistico i concetti di “tortura” e di “pene o trattamenti inumani o
degradanti”. Si definiscono infatti come tortura il trattamento o la pena caratterizzati da grave
detenuti dalla tortura e dagli altri trattamenti vietati. Il rapporto è soggetto ad un rigoroso regime di
riservatezza (art. 11 e art. 13);
il Comitato può solo dare conto delle attività espletate nel rapporto annuale che viene trasmesso al
Comitato dei Ministri e successivamente all’Assemblea Parlamentare per la pubblicazione (art. 12)
463
La regola della confidenzialità può essere derogata quando lo Stato interessato richieda espressamente
la pubblicazione del rapporto (art. 11, par. 2), oppure quando il Comitato decida a maggioranza dei due
terzi di sanzionare la mancanza di collaborazione o il rifiuto delle autorità nazionali di migliorare le
condizioni di detenzione conformemente alle sue raccomandazioni, rendendo una dichiarazione pubblica
a proposito (art. 10, par. 2). In ogni caso la riservatezza viene pensata anche i funzione di tutela delle
persone detenute: nell’esercizio dei suoi poteri investigativi il Comitato si deve attenere alle norme
applicabili di diritto interno e di etica professionale ed anche quando il rapporto conclusivo viene reso
pubblico nessun dato personale può essere divulgato senza il consenso della persona interessata (art. 11,
par. 3).
464
Questa appare, d’altronde, anche la preoccupazione evidenziata nel rapporto esplicativo allorché, con
una formulazione la cui cautela è evidente sintomo della volontà di non inserire limiti troppo rigidi
all’attività del Comitato, si afferma che “la giurisprudenza della Corte e della Commissione Europea dei
diritti dell’uomo relativa all’art. 3, fornisce una guida al Comitato. Tuttavia le attività di quest’ultimo
sono orientate verso la prevenzione e non verso l’applicazione di esigenze giuridiche a situazioni
concrete. Il Comitato non dovrà cercare di intervenire nell’interpretazione e nell’applicazione di questo
art. 3” (Rapporto Esplicativo, punto 27).
99
inumanità, mentre viene riservata l’espressione “pena” al solo ambito dell’esecuzione penale.
Lo sforzo interpretativo va quindi nel senso di salvaguardare la possibilità di spaziare senza
limiti in ogni forma di intervento che possa violare i diritti dell’uomo nel contesto dell’art. 3
della Convenzione di Roma465.
Un primo punto fermo attiene alla gravità oggettiva e soggettiva che devono possedere
gli interventi nei confronti della persona per integrare ipotesi previste dall’art 3. Viene infatti
posto in risalto come, per aversi le ipotesi previste dall’art. 3, non siano sufficienti trattamenti o
pene semplicemente duri o caratterizzati da scarsa sensibilità verso la sofferenza che producono
in chi li subisce, ma occorra anche una loro intrinseca gravità466.
Quanto alla distinzione tra le fattispecie di enunciate dalla norma di tortura, trattamento
inumano e trattamento degradante, la Corte Europea utilizza un criterio quantitativo. La
distinzione procede essenzialmente con riguardo alla differenza di intensità delle sofferenze
inflitte467, intrinsecamente non consentite468.
Emerge poi che la pena sarà inumana o degradante in relazione a gravi abusi ed eccessi
in ambito sanzionatorio469, ancorché non sia necessario uno stato di privazione della libertà
personale.
In sostanza, un comportamento o una pena per rientrare nel divieto dell’art. 3 CEDU
devono raggiungere la c.d. soglia minima di gravità, la cui valutazione è relativa, perchè
dipende dalle circostanze della causa, come la durata del trattamento, i suoi effetti fisici e
psicologici e, in alcuni casi, il sesso, l’età e lo stato di salute della vittima
La gravità della violazione e, quindi, della sofferenza è ciò che consente anche di
distinguere tra la tortura e il trattamento disumano o degradante, andando dal più grave (la
tortura), al meno grave (il trattamento degradante). La Convenzione, distinguendo tra tali
465
I principi della Convenzione sono dunque diritto vivente, la cui interpretazione evolve in rapporto alle
condizioni di vita e al progredire della tutela dei diritti dell’uomo. Secondo la Corte Europea, «l’art. 3
non prevede delimitazioni ed in questo differisce dalla maggior parte delle clausole normative della
Convenzione. Esso non soffre alcuna deroga, nemmeno in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita
della Nazione». Cour. Eur. D.H. série A, n. 26, Affaire Tyrer, Strasburgo, 1978, p. 15, n. 31 .
466
“Per rientrare nell’ambito dell’art. 3, un trattamento lesivo deve raggiungere un minimo di gravità.
L’apprezzamento di tale minimo è essenzialmente relativo e dipende dall’insieme dei dati e in particolare
dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o mentali oltre che, talvolta, dal sesso, dall’età e dallo
stato di salute della vittima. Cour. Eur. D.H. série A, n. 26, Affaire Tyrer, Strasburgo, 1978, p. 65, n. 162.
467
Esistono da un lato violenze che, ancorché condannabili in base alla morale e molto spesso anche in
base al diritto interno degli Stati contraenti, non rilevano tuttavia in base all’art. 3 della Convenzione. È
evidente invece che quest’ultima, distinguendo la “tortura” dai “trattamenti inumani o degradanti”, ha
voluto col primo di questi termini marchiare con una speciale infamia taluni trattamenti inumani
deliberati che provocano gravissime e crudeli sofferenze La Corte Europea approfondisce ancora l’analisi
della fattispecie in esame evidenziando che caratteristica peculiare della tortura è, oltre alla particolare
gravità, il suo essere deliberata, e nell’introdurre quali caratteri distintivi di pena o di trattamento
inumano e pena o trattamento degradante, accanto al criterio quantitativo della sofferenza provocata, il
criterio qualitativo della umiliazione che caratterizza il trattamento degradante distinguendolo da quello
inumano. Se consideriamo la distinzione fra “inumano” e “degradante”, avremo come caratteristica del
primo termine che la “sofferenza provocata deve situarsi ad un livello particolare”. Cour. Eur. D.H., série
A, n. 26, Affaire Tyrer, cit., p. 14, n. 28
468
Cour. Eur. D.H., série A, n. 25, Affaire Irlande contre Royaume-uni, p. 66, n. 167
469
Cour. Eur. D.H., série B, n. 25, Affaire X contre Royaume-uni, Rapport de la Commission, p. 15. Se
la Corte Europea avesse adottato una nozione più ampia di pena come sinonimo di intervento nella
materia penale, ne sarebbe derivato un automatico ed ingiustificato innalzamento del livello tollerabile di
afflizione in quei comportamenti, inumani o degradanti, che non attengono direttamente all’esecuzione
della sanzione. Mentre, se la nozione di pena venisse delimitata, quella di trattamento sarebbe relativa a
qualsiasi situazione in cui un individuo subisca l’intervento di una pubblica autorità.
100
fattispecie, ha voluto attribuire uno speciale stigma nei confronti della tortura, che consiste in
deliberati trattamenti disumani che provocano sofferenze molto gravi e crudeli.
La pena o il trattamento sono disumani o degradanti, anche tenendo conto della loro
durata e premeditazione, a seconda che essi provochino una sofferenza fisica o mentale ovvero
siano tali da accrescere nelle vittime sentimenti di paura, angoscia e inferiorità capaci di
umiliarla.
L’intenzione dell’autore, sebbene rilevante, non è però determinante ai fini della
illegittimità della condotta, perché per far sì che una pena o un trattamento sia inumano o
degradante la sofferenza o l’umiliazione deve necessariamente andare oltre la sofferenza o
l’umiliazione inevitabilmente connessa con qualsiasi tipo di legittima pena o trattamento.
La Corte ha poi dichiarato che costituiscono trattamenti inumani e degradanti le 5
tecniche di disorientamento o di privazione sensoriale adottate come pratica costante dalle
forze di polizia britanniche come aiuto negli interrogatori approfonditi svolti nei confronti dei
terroristi nordirlandesi (incappucciamento per tutti il periodo della detenzione, stazionamento
contro il muro in piedi per molte ore, privazione del sonno prima degli interrogatori;
somministrazione di dosi ridotte di cibo, sottoposizione ad un intenso sibilo).
Talvolta, come emerge dai precedenti giurisprudenziali, gli Stati evidenziano le ragioni
per le quali le presunte violazioni ai divieti in esame sono state ritenute utili per il
raggiungimento di fini apprezzabili per la collettività.
All’evidenza, quindi, violazioni dell’art. 3 nascono laddove l’Autorità vuole far valere
ad ogni costo ragioni di utilità sociale. In tal contesto la nuova Convenzione vuole porsi come
rafforzamento del principio “morale”470 di umanità, che non può in sé giustificare violazioni in
base al ricorso alla sola ragion pratica.
Da ultimo, si evidenzia che il pericolo di attenuazione del divieto di tortura può derivare
dall’atteggiamento dell’opinione pubblica di consenso sociale in relazione a certi trattamenti,
ma anche in tale frangente l’opera della Corte appare di fondamentale importanza per “educare”
a prassi virtuose.
Inoltre la Corte ha gradualmente allargato la portata dei divieti sanciti nell’art 3471,
richiedendo il rispetto di standard sempre più elevati e valutando con maggior fermezza le
violazioni dei valori fondamentali delle società democratiche: anche in circostanze difficili quali
la lotta al terrorismo, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura o qualsiasi
trattamento disumano o degradante.
Nell’ambito dell’Unione europea la stessa decisione-quadro del Consiglio del 13
giugno 2002 in materia di lotta contro il terrorismo, che definisce le regole per omogeneizzare
la prevenzione e repressione dei reati terroristici, si preoccupa del rispetto dei diritti
fondamentali garantiti dalla CEDU e dalla Carta di Nizza.
470
Cour. Eur. D.H., série A, n. 25, Affaire Irlande contre Royaume-uni, cit., p. 66, n. 167. Cour Eur. D.H.,
série B, n. 24, Affaire Tyrer, Rapport de la Commission, cit., p. 24, n. 35.
471
Anzitutto essa ha messo in rilievo che i valori proclamati in quella norma sono così importanti da
valere anche al di fuori della cerchia degli stati parte della Convenzione; non nel senso di poter
esigere dagli stati non parte della Convenzione l’osservanza dell’art 3 ma la Corte ha chiesto che gli stati
contraenti non si rendano complici di trattamenti disumani o atti di tortura perpetrati da parte di stati terzi,
ad esempio espellendo o estradando uno straniero verso uno stato in cui potrebbe essere torturato.
101
Gli Stati europei che membri della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
umani e delle libertà fondamentali sono vincolati dall’art. 15 CEDU che consente a particolari
condizioni che lo stato membro deroghi a taluni obblighi della convenzione472,.
In particolare l’art. 15 CEDU prevede che in caso di guerra o di altro pericolo pubblico
che minacci la vita della nazione, ogni Stato può prendere delle misure in deroga agli obblighi
previsti nella Convenzione nella stretta misura in cui la situazione lo esiga e a condizione che
tali misure non siano in contraddizione con le altre obbligazioni derivanti dal diritto
internazionale.
Tuttavia non è consentita alcuna deroga all’art. 2 (diritto alla vita), nonché agli articoli 3
(proibizione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti), 4, par. 1 (proibizione della
schiavitù) e 7 (principi di legalità e di irretroattività in materia penale).
Della facoltà di deroga in circostanze eccezionali prevista dall’art. 15 CEDU, nel
recente passato di è avvalso solo il regno Unito, (il 18 dicembre 2001) denunciando la deroga ai
sensi dell’art. 15 CEDU con riferimento alla estensione dei termini e condizioni di arresto e di
detenzione degli stranieri sospettati di atti di terrorismo in applicazione dell’Anti-terrorism,
Crime and Security Act 2001, ma il 16 marzo 2005 la dichiarazione di deroga è stata ritirata.
La giurisprudenza, della Corte di Strasburgo sulla base di ricorsi individuali pervenuti
da soggetti che subirono lesioni ai loro diritti fondamentali in applicazione delle norme
nazionali derogatorie, ha avuto modo di fissare diversi principi riferiti alla sospensione dei
diritti causati dalla esigenza di combattere efficacemente il terrorismo: inevitabilità delle
sospensioni qualora rimedi ordinari si siano rivelati inefficaci, assicurazione del diritto di difesa
e di idonei controlli giurisdizionali sulle misure adottate e soprattutto per quelle limitative della
libertà personale, informativa agli organi della convenzione, possibile controllo della Corte
europea473.
Quanto all’esistenza del “pericolo pubblico che minacci la vita della nazione” se ne
deve dare una interpretazione restrittiva, trattandosi di un’eccezione al sistema CEDU. Inoltre,
attesa anche la previsione degli articoli da 8 a 11 della CEDU – che consentono già restrizioni a
taluni diritti fondamentali in caso di pericolo - si ritiene che l’art. 15 CEDU alluda a situazioni
di una gravità eccezionale incombenti sull’intera popolazione, escludendo peraltro finalità di
mera prevenzione dell’aggravamento di una situazione in atto.
Circa la fonte del pericolo, finora le dichiarazioni di deroga ex art. 15 CEDU hanno
riguardato le minacce alla sicurezza nazionale derivanti dal terrorismo.
La valutazione circa la sussistenza di un pericolo pubblico e sulle misure necessarie per
farvi fronte è lasciata al prudente apprezzamento degli Stati, i quali, in sostanza, hanno solo
l’obbligo di comunicazione relativa al contenuto delle misure prese e ai motivi che le hanno
imposte474.
L’art. 15 poi impone il rispetto degli altri obblighi dello stesso Stato derivanti dal diritto
internazionale: il sistema CEDU viene quindi a configurarsi come uno standard minimo,
rendendo inderogabili per tutti gli Stati membri della CEDU non soltanto le norme indicate
nell’art. 15 CEDU, cioè il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù e i principi
di tassatività ed irretroattività della legge penale, ma anche l’abolizione della pena di morte (art.
3 Prot. n. 6 alla CEDU), il diritto di non essere punito o giudicato due volte (art. 4 Prot. n. 7 alla
CEDU), il diritto alla personalità giuridica (art. 16 Patto internazionale sui diritti civili e
politici), la libertà di pensiero, coscienza e religione (che è prevista dall’art. 9 CEDU, ma che
l’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici considera inderogabile), il divieto di
privare un individuo della libertà a causa di un inadempimento contrattuale (che è previsto
472
Analogamente a quanto stabilito dall’art. 4 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966
che dovrebbe vincolare la generalità degli stati membri dell’ONU.
473
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 140.
474
Si veda, in proposito, la c.d. dottrina del margine di apprezzamento statale.
102
dall’art. 1 del Prot. n. 4 alla CEDU, ma che l’art. 2 del Patto considera inderogabile) e il
principio di non discriminazione (che è previsto dall’art. 14 CEDU, ma è previsto come
fondamentale ed inderogabile dall’art. 4 del Patto).
Vi sono poi altri diritti fondamentali che diventano inderogabili in ogni Stato alla luce
di altre convenzioni internazionali in vigore per ciascuno.
Dal punto di vista pratico hanno infine particolare significato, tra i principi elaborati
dalla giurisprudenza CEDU, quello relativo alla stretta necessità delle misure derogatorie
adottate rispetto alla situazione di emergenza e al nesso di proporzionalità tra le modalità
concrete di esercizio dei poteri eccezionali e le esigenze concrete poste dalla singola situazione
di emergenza.
Da ultimo, si chiarisce che la deroga deve avere una durata limitata e deve rimanere
sottoposta al controllo parlamentare e alle garanzie giurisdizionali, al fine di evitare un arbitrario
comportamento dell’Esecutivo e la conseguente implementazione sproporzionata delle misure.
2.3 Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento
Come visto, per contrastare le pratiche di una introduzioni di prassi di tortura,
per quanto chirurgiche e mirate contro i soli “nemici”, vi sono moltissime norme cui
attingere.
È quindi compito del giurista individuare un catalogo di principi fondamentali
inderogabili anche durante le emergenze e in presenza del terrorismo.
Siffatto catalogo può dividersi in tre gruppi:
a)
del diritto alla vita, con i corollari del divieto della pena di
morte, e i connessi divieti di estradizione e di espulsione;
b)
del diritto all’integrità e del conseguente divieto di torture e
trattamenti inumani e degradanti;
c)
del principio di non discriminazione, sullo sfondo, anch’esso
imprescindibile, dei principi del giusto processo.
Quanto al diritto alla vita, esso costituisce il presupposto necessario di ogni
altro diritto costituzionale, e il suo rispetto viene imposto al legislatore prima ancora
che ad ogni cittadino.
Esso è inderogabile sia a mente dell’art. 2 CEDU, sia dell’art. 6 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici. Il diritto alla vita da un lato, quindi, si pone
fondamento delle misure preventive e repressive poste a tutela della vita delle persone
coinvolte da situazioni emergenziali o lese o minacciate da atti terroristici, dall’altro
configura un limite alle misure adottabili in situazioni di emergenza e nella repressione
del terrorismo475.
Si è fatto notare, peraltro, che il fenomeno terroristico ha posto gli Stati di fronte
a due delicati aspetti connessi alla tutela effettiva del diritto alla vita, cioè l’uso
legittimo della forza letale e il divieto della pena di morte e il connesso divieto di
estradizione476.
475
Cfr. VIARENGO, Deroghe e restrizioni alla tutela dei diritti umani nei sistemi internazionali di
garanzia, in Riv. Dir. Internazionale, 2005, 4, 955; cfr. CADOPPI, Crimine organizzato, collaborazione
internazionale, tutela dei diritti umani - Diritto penale sostanziale, in DPP, 1999, 12, p. 1545.
476
BONETTI, Terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160.
103
In proposito, non si può dimenticare che l’art. 2 CEDU consente l’uso della
forza da parte dei pubblici poteri, anche quando abbia esiti letali, in determinati casi. In
tali circostante, però, si chiarisce che l’evento morte deve essere un evento involontario,
non intenzionalmente connesso all’uso della forza, che deve sempre risultare necessario
e proporzionato ex ante.
Peraltro per molti Paesi membri dell’ONU il diritto alla vita viene implementato
dall’abolizione della pena di morte in tempo di pace.
A questo è connesso il divieto di estradizione del soggetto accusato di atti
terroristici verso un Paese in cui rischia di essere sottoposto alla pena di morte.
Quanto al diritto all’integrità fisica e al conseguente divieto di tortura e di pene
e trattamenti inumani e degradanti, si ribadisce l’assolutezza del divieto, ancorché non
manchino prassi e teorie possibiliste verso un uso moderato della coercizione fisica
durante l’emergenza terroristica.
Nei sistemi costituzionali democratici si tende a riconoscere un “nucleo duro” e
mai limitabile della libertà personale; tuttavia, le Costituzioni degli Stati democratici
sono molto spesso lacunose: ad esempio l’VIII emendamento della Cost. degli USA si
limita a vietare ogni punizione crudele o inusuale ma un simile divieto non comporta un
divieto assoluto della pena di morte, e non riguarda l’eventuale tortura che preceda o
accompagni l’irrogazione della pena; la Costituzione italiana sembra più completa
vietando ogni violenza fisica o morale sulle persone sottoposte a misure limitative della
libertà personale (art. 13, comma 4) e vietando I trattamenti contrari al senso di umanità
(art. 27, comma 3).
Quanto al divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti,
previsto dall’art. 3 CEDU e nell’art. 7 del Patto internazionale sui diritti civili e
politici, viene oggi applicato ad una tipologia di pratiche sempre più ampie,
comportando per gli Stati obblighi assai più vasti rispetto al mero obbligo di astenersi
da pene corporali, mutilazioni e vessazioni fisiche o psicologiche al fine di ottenerne
una qualche rivelazione utile.
Peraltro, la convenzione internazionale contro la tortura, al fine di
implementare l’assolutezza del divieto, impone agli Stati di prevedere come reato il
comportamento da essa descritto. Sotto tale profilo, per il vero, il nostro ordinamento è
inadempiente477 rispetto all’obbligo di dare un’’attuazione completa di quegli obblighi
costituzionali ed internazionali, ancorché detta previsione non sembri ammettere
eccezioni.
Ancora poco prima degli attentati del settembre 2001 la Corte europea ripeteva
che anche nel caso in cui si trovi in presenza di terroristi riconosciuti ogni stato ha
comunque l’obbligo di applicare le procedure repressive in modo da minimizzare ogni
minaccia alla vita478, fermo restando che “nessuna circostanza eccezionale, quale che
essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, di instabilità politica
interna o di qualsiasi altro stato di emergenza pubblica, può essere invocata per
giustificare la tortura”.
477
FIORAVANTI, Divieto di tortura e ordinamento italiano: sempre in contrasto con obblighi
internazionali?, in Quad. cost., 2004, p. 555.
478
Cfr. CEDU, sent. 11 maggio 2001, Jordan e Kelly c. Regno Unito.
104
Si ricorda, poi, che anche la Corte ha stabilito che le necessità di un’inchiesta e
le innegabili difficoltà della lotta contro la criminalità, anche in materia di terrorismo,
non possono limitare la protezione dovuta all’integrità fisica della persona479.
L’inderogabile divieto di tortura e di pene e trattamenti inumani e degradanti ha
senz’altro alla base la protezione dell’insopprimibile dignità della persona e della sua
corporeità: il suo rispetto è condizione e presupposto dello stesso principio personalista
che sta a fondamento di ogni Stato democratico-sociale.
Ciò nonostante, le autorità governative di alcuni Stati europei, come la Francia
ed il Regno Unito, l’hanno ugualmente violato in situazioni eccezionali di repressione
del terrorismo480.
Inoltre, lo scatenarsi del terrorismo internazionale contro gli USA ha favorito il
risorgere negli Stati Uniti di alcune teorie possibiliste in materia di tortura481, secondo le
quali la tortura o trattamenti inumani o degradanti potrebbero essere utilizzati per
costringere una persona che si trovi sotto il controllo della polizia, a rilevare
informazioni che siano assolutamente indispensabili per salvare vite umane da morte
certa, quando tali informazioni non siano altrimenti ottenibili e la loro mancata
acquisizione comporta con ragionevole certezza conseguenze letali per le persone
sottoposte a pericolo.
In argomento si ricorda, peraltro, che il dilemma del bilanciamento tra beni
costituzionalmente garantiti (vita da proteggere rispetto a possibili attentati terroristici e
integrità personale dei sospettati di terrorismo) è stato esaminato in una sentenza
pronunciata dalla Corte suprema di Israele, la quale si pronunciò sull’uso da parte dei
membri del General Security Service (GSS), di sistemi di coercizione fisica durante
479
Cfr. CEDU, sent. 27 agosto 1992, Tomasi c. Francia, par. 115.
Nel caso francese in realtà non si trattò di violazioni di obblighi internazionali perché l’uso di metodi
di tortura e di pratiche vessatorie da parte delle forze di polizia e delle forze armate in Algeria fu praticato
prima che la Francia ratificasse la CEDU, ma le denunce della stampa sui trattamenti subiti costrinsero
l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Mendès-France a far redigere un rapporto dall’ispettore
generale dell’amministrazione Roger Willaume, nel quale l’uso delle pratiche di tortura fu confermato e
addirittura si propose di autorizzare legalmente la polizia giudiziaria ad usare alcune delle tecniche meno
gravi. Quelle proposte non furono accolte, ma dall’anno successivo fino al 1962 l’approvazione della
legge sulla disciplina generale dell’état d’urgence, che lo instaurò di diritto e fin da subito in Algeria,
comportò che quelle pratiche divennero ancor più usuali, ancorché formalmente clandestine, in quella
particolare situazione eccezionale nella quale si dispose il soggiorno obbligato di ogni persona la cui
attività risultasse pericolosa per la sicurezza pubblica e l’affidamento della tutela dell’ordine pubblico alle
forze armate. In quell’occasione l’uso clandestino della tortura non fu formalmente punito e cessò
soltanto perché la Francia concesse l’indipendenza all’Algeria. Diverso fu il caso britannico, poiché il
Regno Unito fu uno dei primi Paesi che ratificarono la CEDU, ma ciò non gli impedì nell’agosto 1971 di
reintrodurre nell’Irlanda del Nord l’internamento senza processo che era previsto dallo Special Power Act
del 1921, durante il quale le forze di polizia praticarono quei trattamenti vessatori per finalità
investigative, che poi portarono alle citate pronunce della Corte europea, la quale più volte dovette
intervenire per condannare quelle pratiche. In quell’occasione esse furono attenuate e poi furono
soppresse soprattutto sulla base dell’autorevolezza e della pubblicità del giudizio instaurato dalla Corte
europea sia su richiesta degli interessati, sia su richiesta dell’Irlanda, cioè di un altro Stato membro del
Consiglio d’Europa. Per un approfondimento sul tema cfr., da ultimo, PAPA, La democrazia violenta.
Breve storia della tortura in Occidente, in Tortura di Stato. Le ferite della democrazia, a cura di A.
Granelli e M.P. Paternò, Roma, 2004, pp. 101-103.
481
Occorre ricordare che gli USA hanno ratificato la Convenzione internazionale contro la tortura con la
riserva di applicarla soltanto nella misura in cui essa sia coerente con l’VIII emendamento della
Costituzione che proibisce soltanto le punizioni crudeli ed inusuali, ma non proibisce di per sé l’uso della
forza fisica al di fuori e prima dell’esecuzione di una pena.
480
105
l’interrogatorio degli indiziati di reato. Questo, infatti, furono indotti a confessare
mediante tecniche usuali, quali lo “scuotimento”, (peraltro possibile causa di seri danni
cerebro-spinali, di perdita di conoscenza e di perdita di controllo del proprio corpo), la
posizione “shabach”, (causa di possibili seri danni muscolari), la messa in posizione
“rannicchiata”, l’eccessivo stringimento delle manette (con i conseguenti danni alle
mani ed alla circolazione sanguigna), ed infine la privazione del sonno.
La Corte tentò la distinzione tra metodi inaccettabili in quanto lesivi della
dignità umana senza apprezzabili motivi e metodi che, invece, possono causare
sofferenza e deprivazioni fisiche, ma che rientrano in procedure di interrogatorio
giustificabili in circostanze di emergenza.
Nel bilanciamento tra due esigenze fondamentali, la repressione delle azione
terroristiche e la salvaguardia dei diritti umani, la Corte concluse che i GSS non
avevano il potere di svolgere abitualmente interrogatori mediante il ricorso a mezzi di
“pressione fisica moderata”, dal momento che, al pari delle altre forze dell’ordine, l’uso
di una pressione fisica moderata negli interrogatori, per far fronte ad un pericolo
imminente di attentato da scongiurare, avrebbe dovuto essere considerato soltanto una
circostanza attenuante, e non già una specie di riserva di impunità482.
Il principio di non discriminazione, pur non espressamente previsto come
inderogabile dall’art. 15 CEDU, lo diviene in virtù del richiamo al rispetto degli altri
obblighi internazionali, tra i quali vi è il Patto internazionale sui diritti civili e politici,
nel quale il principio è invece considerato come inderogabile.
Gli effetti pratici del riconoscimento di siffatto principio, si riscontrano nella
necessità di mantenere le garanzie dell’habeas corpus e quelle del giusto processo anche
per i c.d. nemici-criminali.
Infatti, il divieto di discriminazione per ragioni di razza, religione, nazionalità ed
opinioni politiche impedisce ai pubblici poteri di violare il diritto alla difesa e alla
riserva di giurisdizione per qualsiasi provvedimento limitativo della libertà personale,
qualsiasi sia il suo fondamento e la sua finalità. L’effettivo godimento di efficaci diritti
processuali ed un effettivo controllo giurisdizionale di qualsiasi atto dei pubblici poteri
che incida sulla libertà personale restano principi inderogabili di fronte a qualsiasi
esigenza di tutela della sicurezza collettiva che sorga in una situazione eccezionale. E
garante ne viene costituito il giudice costituzionale483.
2.4 Lo scenario italiano
Nel codice penale italiano non è invece previsto alcun reato di tortura, anche se non
mancano voci a sostegno di una sua introduzione in forza della legge che ha dato esecuzione
alla Convenzione del 1984 contenuto nella legge di esecuzione. Tuttavia, dal 1988, anno di
entrata in vigore della Convenzione per l’Italia, non vi è mai stata alcuna incriminazione per
482
La sentenza della Corte suprema di Israele nella sua funzione di Alta corte di giustizia, Issa Ali Batat
et al. v. The General Security Service et al. del 6 settembre 1999 è disponibile sul sito internet
www.court.gov.il ed è commentata da OTTOLENGHI, Una sentenza della Corte Suprema israeliana sulla
facoltà dei servizi di sicurezza di fare uso della forza nel corso di interrogatori, in Dir. pubbl. comp. ed
eur., 1999, IV, pp.1489-1491.
483
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 160
106
reato di “tortura”, anche se non sono mancati episodi484, conclusi con l’incriminazione per reati
comuni quali percosse, violenza privata o lesioni personali485.
Nondimeno, non sono mancati i tentativi di introdurre la fattispecie nel nostro
ordinamento: risale al 1989 il primo disegno di legge per l'introduzione del crimine di tortura
nel nostro codice penale, seguito da quello del 1991 e del 1997. Vi è anche una proposta
governativa nell’anno 2000 e successivamente anche altri disegni di legge (n.582 del 2001, n.
4990 del 2004486), Anche nel 2006 sono stati presentati altri progetti di legge: col n. 1216 si è
proposta l’introduzione degli articoli 613 bis e 613 ter del codice penale in materia di tortura,
approvato dalla Camera dei deputati487; si è presentato il n. 324 per l’introduzione dell' articolo
593 bis del codice penale concernente il reato di tortura; i nn. 789, 895 e 954 sono andati nella
stessa direzione.
Tutti i ddl propongono una descrizione della condotta che integra il reato di tortura
sostanzialmente mutata da quella di cui alla Convenzione delle Nazioni Unite del 1984. Sembra
peraltro preferibile la collocazione del reato tra i delitti contro la libertà morale, quindi dopo
l’articolo 613 c.p. (ddl 1216), rispetto ad una collocazione come delitto contro la vita e
l’incolumità individuale.
Ancora, mentre in un progetto il reato è considerato comune (n. 1216), negli altri è reato
proprio del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio488.
Tutti i disegni di legge, significativamente, escludono l'immunità diplomatica per i
cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in un altro
paese o da un tribunale internazionale.
Quanto alla disciplina delle sanzioni, invece, essa appare inadeguata in pressoché tutti i
progetti. Il tema della adeguatezza o meno delle sanzioni per abusi compiuti dalle nostre forze di
polizia, compresa la questione della mancata introduzione di un reato di tortura
nell’ordinamento italiano, è stato a più riprese toccato anche dal Comitato contro la tortura. Sino
ad oggi, però, di fronte alle ripetute raccomandazioni del Comitato dei diritti umani e del
Comitato contro la tortura di introdurre un reato specifico di tortura nel nostro ordinamento, i
rappresentanti italiani, da un lato hanno escluso una siffatta eventualità, dall’altro, però, hanno
continuato a sostenere che non sia indispensabile procedere alla formulazione di una norma
criminalizzante ad hoc. A favore di questa posizione si afferma che modifiche all’ordinamento
interno finalizzate alla introduzione di un reato di tortura si sarebbero verificate per effetto
dell’ordine di esecuzione degli accordi che imporrebbero un obbligo in tal senso; per altro verso
che l’ordinamento sarebbe conforme all’obbligo di prevedere la tortura come reato in virtù della
484
Casi tortura sono riportati nei principali documenti di Amnesty International. Negli anni 90 la maggior
parte di questi casi ha riguardato percosse e pestaggi, all’interno di stazioni di polizia, caserme dei
carabinieri e centri per stranieri. Nell’aprile 2000 c’è stata la prima condanna di un appartenente alle
Forze Armate per le torture e le uccisioni verificatesi in Somalia nel corso dell’operazione di pace delle
Nazioni Unite del 1993-94: un ex soldato è stato condannato a 18 mesi (con sospensione della pena) per
“abuso di autorità” e a un risarcimento di 30 milioni di lire in favore della vittima, un cittadino somalo al
cui corpo erano stati applicati elettrodi.
485
Nel 2000 alcuni dirigenti e agenti di polizia penitenziaria sono stati incriminati per “violenza privata,
lesioni e abuso di ufficio a seguito di un pestaggio avvenuto in un carcere della Sardegna.
486
Quest’ultimo, frutto di uno sforzo bipartisan, alla fine non è diventato legge per l’introduzione,
all’ultimo momento, di un emendamento volto a richiedere la reiterazione del reato. Secondo
l’opposizione, l’emendamento era finalizzato a proteggere le forze dell’ordine che utilizzano
episodicamente metodi non proprio ortodossi
487
PADOVANI, Quel progetto di legge sulla tortura dalle prospettive deludenti, in GDir., 2007, 4, p. 6
488
PADOVANI, Quel progetto di legge sulla tortura dalle prospettive deludenti, cit., p. 7, ritiene che
l’illecito debba venire configurato necessariamente un reato proprio, anche se in forma non esclusiva, e
che l’autorità debba comunque esserci, anche se non come autore materiale della condotta.
107
preesistenza di una serie di figure criminose non specifiche.
Quanto alla tesi secondo cui la norma della Convenzione contro la tortura che impone di
prevedere questa come reato sarebbe self-executing, però, si deve constatare che in virtù del
principio di legalità, la norma in questione non sarebbe direttamente applicabile489. Quanto alla
sufficienza delle previsioni di reati ordinari, rimane il dubbio non sia adeguatamente considerata
la tortura di tipo psicologico e, in ogni caso, che la Convenzione prevede l’introduzione di un
reato specifico 490.
La legge n. 498 del 1988 di esecuzione della Convenzione del 1984, opportunamente
dedica all’attuazione dell’art. 5 una norma ad hoc491 In definitiva la soddisfacente attuazione, sia
dell’obbligo di stabilire pene severe per i colpevoli di atti di tortura, sia dell’obbligo di
esercitare la giurisdizione penale sugli atti di tortura nei termini ampi previsti dalla
Convenzione, postulano l’esistenza di un reato di tortura specifico. Pertanto nell’esecuzione
della convenzione l’Italia appare gravemente inadempiente, non potendo certo prevedere pene
appropriate, se difetta del tutto la fattispecie di tortura nel codice penale.
E del resto l’inadeguatezza della risposta delle istituzioni italiane al fenomeno appare
evidente, in quanto, a fronte dei non pochi casi denunciati, si ha un numero esiguo di
procedimenti giudiziari, nei quali sono state formulate imputazioni non particolarmente gravi.
2.5 Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del pericolo. Prime
conclusioni in tema di tortura
A fronte di un pieno accordo, in termini astratti, sul divieto di tortura, si è visto
che si tende ad ammettere un’eccezione al principio, non più sul piano processuale ma
su quello sostanziale, al fine di sottrarre l’agente alla responsabilità penale.
Nel campo dei diritti umani si richiede di osservare standard sempre più elevati
e, conseguentemente, occorre una maggior fermezza nel valutare le violazioni dei valori
fondamentali delle società democratiche. E tale principio deve valere anche in
circostanze difficili quali la lotta al terrorismo492.
Deve infatti riconoscersi che vi sono norme di diritto internazionale e
comunitario che impediscono che l’azione degli Stati violi un determinato nucleo
minimo di principi e diritti fondamentali e deve quindi ritenersi tale “nucleo” non possa
venire infranto neppure dall’azione necessitata giustificata dallo stato di necessità.
489
Nel rapporto iniziale dell’Italia al Comitato contro la tortura si afferma, in verità che «treaty norms
already in existence in this field are directli applicable» e si menzionano il Patto internazionale sui diritti
civili e politici e le European Conventions on Human Rights and on Torture.
490
Cfr. MARCHESI, L’attuazione in Italia degli obblighi internazionali di repressione della tortura, Crit.
Pen., 1998, p.470-71.
491
In base a questa: «È punito, secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro di grazia e giustizia: a)
il cittadino che commette all’estero un fatto costituente reato che sia qualificato atto di tortura dall’art. 1
della Convenzione; b) lo straniero che commette all’estero uno dei fatti indicati alla lett. a) in danno di
un cittadini italiano; c) lo straniero che commette all’estero uno dei reati indicati alla lett. a), quando si
trovi sul territorio dello Stato e non ne sia disposta l’estradizione». Legge 3 novembre 1988 n. 198
(Ratifica ed esecuzione della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984).
492
Cfr RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della ‘tortura democratica’, cit., 850.
108
In altre parole, la tortura non può mai essere giustificata né scusata, nemmeno
invocando lo stato di necessità: le fattispecie che integrano condotte di tortura, quindi,
devono considerarsi in ogni caso prive del requisito della proporzionalità493.
Infatti, la tortura non viene mai a costituire né un’azione ragionevole né,
tantomeno, un’azione necessaria. Non è mai ragionevole, perché il rischio che la
tortura sia del tutto inutile è molto elevato: ex ante non si può sapere se il presunto
terrorista sia davvero depositario delle informazioni ricercate; inoltre non è dato sapere
se, possedendole, ne renderà partecipe l’interrogante; e infine non c’è garanzia alcuna
che riporti l’informazione vera e corretta. Non è poi un’azione necessaria, perché
possono esserci altri modi di acquisire le informazioni, senza ricorrere alla violenza.
Inoltre non v’è proporzionalità del fatto qualora il male inflitto sia superiore a quello
che si è evitato e, in caso di interrogatori non soavi, in realtà neppure si conosce il male
evitato e se viene a mancare uno dei termini di comparazione non può farsi giudizio di
proporzionalità.
Ancora, si osserva che il generalizzato timore del pericolo terroristico rende
un’evenienza quasi quotidiana la ricerca di informazioni da affiliati alle organizzazioni
terroristiche. Dunque, trattandosi di una esigenza quasi consueta e ordinaria, essa deve
venire affrontata con il ricorso ad altri mezzi di difesa, ordinari. Conseguentemente,
viene meno anche il requisito dell’inevitabilità altrimenti del pericolo: difetta tale
requisito poiché sussiste la possibilità di evitare il pericolo con un’offesa meno grave di
quella arrecata, ed inoltre, come visto, le torture sembrano inutili, sul criminale bruto, il
quale è disposto a morire, mentre il debole prima o poi si risolverà a collaborare.
Peraltro, si è evidenziato che il prigioniero disporrebbe di un potere di far
cessare il pericolo, e che, quindi, la scelta ultima sarebbe rimessa allo stesso. Ma, in
proposito, va osservato che tra l’attentatore nelle mani della Polizia ed il pericolo da lui
generato rischia di esservi è ormai una distanza eccessiva.
Anche di fronte ad una procedura legale di tortura, assoggettata a controllo
giudiziale, e limitata nel quantum allo stretto necessario, si deve pur sempre obiettare
che, sul piano pratico, per sua intima essenza, la tortura non è graduabile a priori nel
quantum, pena la perdita della pressione psicologica che essa deve esercitare e che la
tortura «buona», quella legalizzata, ne postula una «cattiva», vietata, ma i confini tra le
due tipologie sono inevitabilmente vaghi ed indeterminati. E, da ultimo, che la tortura è
in realtà anti-utilitarista, in quanto solo occasionalmente fornisce informazioni vere, e
quindi utili: d’altronde, se vi sono terroristi disposti a morire, a fortiori vi saranno
terroristi disposti a mentire.
L’esclusione della legittimità della tortura, inoltre, appare conforme alla dottrina
c.d. del margine di apprezzamento statale, la quale individua questioni che appaiono di
rilevanza così fondamentale da necessitare di una soluzione omogenea nel sistema
internazionale della CEDU494.
493
Cfr. GALETTA, Il proncipio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fra
principio di necessari età e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su
contenuti e rilevanza effettiva del principio, in RIDPC, 1999, 3-4, 743.
494
GALETTA, Il proncipio di proporzionalità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fra
principio di necessari età e dottrina del margine di apprezzamento statale: riflessioni generali su
contenuti e rilevanza effettiva del principio, cit., 743.
109
In definitiva, deve concludersi che non è ipotizzabile uno stato di necessità che
consenta una compressione della dignità umana e in particolare del diritto all’integrità
fisica e mentale, neppure nei confronti di soggetti sospettati di crimini di terrorismo.
Anche tali soggetti, infatti, devono godere del diritto fondamentale sopra enunciato, sia
con riguardo al momento dell’arresto, nel quale deve venire utilizzato il grado di forza
strettamente necessario a effettuarlo e proporzionato alla pericolosità del soggetto, sia
nel periodo di detenzione, nel quale non possono subire tortura al fine di estorcere loro
informazioni.
2.6 Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition
Vi sono altre condotte di contrasto al terrorismo, adottate più o meno
apertamente dagli stati, passibili di verifica quanto alla loro compatibilità con il rispetto
dei diritti umani e delle libertà fondamentali che il diritto internazionale assicura a tutti
gli individui.
Una problematica piuttosto rilevante concerne proprio le estradizioni e i
trasferimenti di terroristi, o sospetti tali, in Paesi o luoghi nei quali vi sia un serio rischio
che essi vengano sottoposti a misure violanti i diritti umani e specialmente torture e
trattamenti inumani o degradanti.
In materia gli Stati adottano lo strumento delle “assicurazioni diplomatiche”, ma
l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha avuto modo di precisare
che il divieto di tortura, in nome della lotta al terrorismo, viene aggirato dagli stati e
celato sotto tale pratica.
Ad esempio, la Gran Bretagna nel 2005 ha stabilito che, al fine di garantire la
sicurezza nazionale, persone sospette terroriste dovessero necessariamente essere
trasferite nei loro Paesi d’origine ma a condizione che essi garantissero di non violare i
diritti umani e non sottoporle a tortura; questa procedura venne valutata come
sufficiente per garantire il rispetto dell’art. 3 della Convenzione contro la tortura del
1984, relativo al divieto estradizione verso Paesi nei quali ci siano seri rischi che il
soggetto possa essere sottoposto a tortura e anche dell’art. 4 della CEDU del 1950495,
che sancisce il divieto di tortura.
In fin dei conti, questo strumento di garanzia non si è rivelato nel corso degli
anni adeguato496.
495
Art. 4 Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti” Nessuno può essere
sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
496
Un caso eclatante si è avuto in Svezia, che nel 2001 si servì delle di questo strumento per espellere due
sospetti terroristi egiziani; si trattava di Ahmed Agiza, di 42 anni, e Muhammed Zery, 35 anni, sospettati
di avere stretti legami con Al Qaida. Prima di espellere i due sospetti terroristi la Svezia cercò di ottenere
dall’Egitto queste “assicurazioni diplomatiche” e in particolar modo che i due uomini non venissero
sottoposti a tortura o altri trattamenti degradanti, oltre a poter godere di un giusto processo. Anche
l’ambasciata svedese al Cairo garantì che avrebbe monitorato sul corretto rispetto di questa assicurazione.
Tuttavia nel 2003 Agiza inviò una comunicazione al Comitato contro la Tortura affermando di essere
stato torturato durante il trasporto verso l’Egitto e durante la detenzione in una prigione egiziana,
trasferimento avvenuto con il coninvolgimento Polizia Segreta Svedese e dei servizi segreti americani.
Il 20 maggio 2005 il Comitato, sulla base di una comunicazione presentata dallo stesso Agiza, ha stabilito
che la Svezia aveva violato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e che il procedimento
delle “assicurazioni diplomatiche”, che comunque necessitava di venire rafforzato, non risultava idoneo al
rispetto del divieto di tortura. Caso Agiza vs. Sweden - Com 223/2003
110
Quanto alle c.d. extraordinary rendition, come noto tale locuzione designa
un’azione sostanzialmente illegale di cattura, deportazione e detenzione
clandestinamente eseguita nei confronti di un soggetto sospettato di essere un terrorista.
Detta prassi è stata ripetutamente attuata da servizi segreti statunitensi, e i terroristi
deportati verso le prigioni di Guantanamo o verso stati noti per il basso livello di difesa
dei diritti umani per essere sottoposti a interrogatori che, nella maggior parte dei casi,
comportano torture e detenzione in incommunicando.
Lo scopo operativo perseguito con tali operazioni è quello della lotta al
terrorismo, e, di fatto, tali consegne rappresentano veri e propri rapimenti di cittadini
stranieri, del tutto privi di qualsivoglia utilità sul piano pratico del contrasto al crimine
né su quello processuale di condanna dello stesso.
Il caso più noto in Italia è quello del rapimento di Abu Omar, ma non mancano
esempi simili negli altri ordinamenti.
In Germania, ad esempio, nel 2007, ad alcuni agenti della CIA è stata mossa
l’imputazione di rapimento e lesioni personali in relazione al sequestro del tedescolibanese Khaled el Masri.
In Gran Bretagna, nel 2008, vi è stata l’ammissione ufficiale da parte del
Ministro degli esteri della partecipazione a operazioni di extraordinary renditions, e, nel
2010, il Governo Britannico ha anche riconosciuto un risarcimento del danno ai presunti
terroristi al fine di evitare un pubblico processo.
Il Parlamento Europeo, nel 2007, ha condannato tali i trasferimenti straordinari,
stilando un rapporto con le prove delle operazioni illegali, condannando con fermezza il
rapimento e la detenzione di sospetti terroristi sul suolo dell’UE, e stigmatizzando la
connivenza degli stati dell’Unione Europea e dello stesso Consiglio UE497. Per gli
eurodeputati, infatti, il terrorismo va combattuto nel rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali.
Sotto il profilo dell’applicabilità ai casi in esame della norma sullo stato di
necessità, deve rilevarsi come, anche in tale caso, difetta il requisito dell’inevitabilità
altrimenti, dal momento che i presunti terroristi ben potrebbero venire interrogati nel
Paese in cui si trovano e con le garanzie proprie di un ordinamento democratico.
Quanto al requisito della proporzionalità, si osserva che se si ritengono posti in
violazione del divieto di tortura i trasferimenti e le estradizioni concordate tra Stati (nei
termini suddetti) a maggior ragione dovranno escludersi dall’operatività della
scriminante le c.d. extraordinary rendition, che, come noto, avvengono seguendo canali
non ufficiali al fine di interrogare i sospettati con metodi “non soavi”.
In definitiva, quale corollario del principio precedentemente enunciato, s’impone
la conclusione della non operatività della scriminante in tali fattispecie.
497
La relazione della Commissione d’inchiesta è stata presentata dall’on. Europarlamentare Claudio Fava
ed è reperibile sul sito dell’UE. La relazione contiene una condanna dell’Italia con riferimento al
rapimento di Abu Omar. La relazione invita inoltre la Commissione europea ad effettuare una valutazione
di tutta la legislazione antiterrorismo degli stati membri nella prospettiva dei diritti dell’uomo, e a
riesaminare la nozione di segreto di stato limitandone e definendone ll’applicabilità in modo restrittivo.
Cfr. la decisione quadro del Consiglio 2008/909/GAI relativa al trasferimento dei condannati approvata
da Bruxelles.
111
4. Segue: altre fattispecie
Quanto alle altre possibili fattispecie, invece, la risposta può essere differente.
Ancorché, come si è detto, la legittimazione dei mezzi di indagine debba risultare da
un’espressa statuizione legislativa che costituisce espressione di un bilanciamento di
interessi, operato dal legislatore ordinario, tra l’esigenza dell' accertamento della verità e
quella, contraria, dell’inviolabilità della persona umana, altri mezzi di indagine non
ortodossi possono venire giustificati, o meglio scusati, al fine di evitare che essi si
presentino come paradigma reiterabile di condotta498.
Ciò potrà valere, ad esempio, per violazioni della privacy o della
corrispondenza. In tali casi, infatti, ferma la verifica dei requisiti di attualità del pericolo
e di gravità del male minacciato, nel bilanciamento tra la sicurezza collettiva e siffatti
diritti dell’individuo, sembra potersi affermare la prevalenza della prima
Del resto, anche la convenzione CEDU ammette che il rispetto della vita privata
e familiare può essere soggetto ad interferenze da parte della pubblica autorità, qualora
ciò si riveli “necessario ad una società democratica”, nell’interesse della sicurezza
nazionale.
Deve rimanere ben chiaro, sullo sfondo, che non si tratta di un’estensione dei
poteri extra ordinem, ma che, piuttosto, sul piano della valutazione ex post può trovare
spazio la logica della scusa.
In tale ricostruzione, mentre l’aver riconosciuto dei principi inderogabili (con
riferimento alla dignità umana) segna la differenza tra gli uomini di stato e i criminalinemici, quando ora affermato con riguardo a tali diritti consente allo stato di difendersi
da attacchi odiosi così da non sembrare eroe morente.
5 Segue: la tutela della legalità in quanto tale
Un altro bene giuridico viene in risalto in situazioni di emergenza, ed è il
concetto stesso di legalità. Ciò accade quando lo Stato è chiamato a scendere a patti
con i terroristi, e a fare od omettere qualcosa che, per l’effetto, comporta un
ampliamento della sfera dei diritti del criminale.
Si tratta, in sostanza, di verificare il rilievo dello stato di necessità in tema di
“trattative” con i terroristi: ad esempio per il caso di scambio di prigionieri politici
potrebbe configurarsi il reato di procurata evasione (386 c.p.), o quello di procurata
inosservanza di pena (390 c.p.) o, ancora, il reato di favoreggiamento (378 e 379 c.p.)
nel caso di pagamento di riscatto ai sequestratori.
In tali casi, quindi, si infrange la legge laddove il bene tutelato è di “ordine
pubblico”, ossia l’amministrazione della giustizia.
Il rischio, come detto, è che giustificare una condotta in tal senso allarghi le
maglie dello stato di diritto sino a rendere lo Stato ricattabile.
Per il vero, si osserva che tali condotte sono tenute clandestinamente, ma, a
differenza di quelle sopra denunciate, raramente emergono e mai approdano nelle aule
giudiziarie.
498
Sembra, quindi, imporsi la scelta di differenziare l’efficacia dello stato di necessità sulla base delle
situazioni considerate. Per il vero, poi, accedendo alla teoria di Mezzetti (v. supra, cap. I) che vuole lo
stato di necessità come norma scriminante ad efficacia complessiva, tale precisazione risulta superflua.
112
È il caso delle trattative per la liberazione degli ostaggi rapiti in territori di
guerriglia, dei cooperanti sequestrati nel vicino oriente, dei giornalisti Mastrogiacomo e
Sgrena: si dice che il Governo italiano si sia interessato della loro liberazione, ma dette
vicende, sotto tale profilo, non hanno avuto alcuno strascico giudiziario. L’analisi
sull’applicabilità della scriminante può quindi apparire superflua, atteso il salvacondotto
sostanziale di tali azioni.
Vale però la pena chiarire che appare comunque eccessivo estendere a tale
casistica la logica della giustificazione. Come si è avuto modo di osservare, infatti, se le
indicate condotte dell’autorità vengono giustificate, esse assurgono a paradigma
reiterabile ogni volta che se ne presenta l’occasione; con ciò l’apparato statale è
“costretto” alla trattativa, e la legalità stessa irrimediabilmente compromessa.
In altre parole, lo stato di necessità non può diventare un criterio generale di
allargamento dei poteri dell’autorità. In proposito, si rileva che nel nostro ordinamento
la presenza delle scriminanti offre regole di valutazioni ex post per la soluzione di
conflitti interindividuali, è deputata a stabilire parametri generali di comportamento per
un’organizzazione complessa e pianificata come quella statuale. Invocando lo stato di
necessità, quindi, si confonderebbero i fini e i mezzi dell’esercizio del potere. È quindi
da escludersi fermamente che la norma penalistica dello stato di necessità possa
rappresentare una norma pubblicistica fonte del potere dell’Autorità, altrimenti per tale
via si indebolirebbe l’ordinamento rendendolo ricattabile.
Tuttavia, deve riconoscersi uno spazio per la scusabilità del comportamento: se
un pubblico funzionario sceglie di intavolare trattative con il “nemico” lo fa sotto la
propria responsabilità, e deve avere contezza del fatto che porre in essere una condotta
oggettivamente illecita nel momento in cui accondiscende alle richieste avanzate (ad es:
rilascio prigionieri “politici”, pagamento di riscatto). Tuttavia, sotto il profilo
soggettivo, è evidente che sarà difficile muovergli un rimprovero.
6 Conclusioni
Come si è visto, la legge processuale penale esclude dai mezzi processuali la
violenza inquisitoria e, viceversa, disciplina i requisiti necessari alla concessione di
eventuali benefici. Pertanto vi è chi esclude in radice la possibilità di praticare
un’inquisizione non soave ovvero non aderisce alla linea della trattativa (o linea
umanitaria) e propugna la linea della fermezza, come intransigente adesione al principio
di legalità, escludendo l’applicabilità dello stato di necessità ai casi individuati499.
Si è visto anche che tale linea di “fermezza” su entrambi i fronti è sganciata dal
dato reale, poiché spesso gli inquisiti sono fatti oggetto di una qualche pressione e
poiché le trattative con il “nemico” spesso vengono condotte in via ufficiosa.
Sotto il primo profilo, invero, non si può che aderire alla linea di fermezza, ed
evitare la retorica dei casi estremi: deve riconoscersi che l’efficacia selettiva dei
requisiti della norma vale a disinnescarne gli artifici retorici delle tesi pro tortura, in
particolare superando l’espediente retorico impiegato per relativizzare la dignità umana,
ossia quello del c.d. ticking time bomb scenario. Si è infatti visto che, ogni qual volta si
tratti di tortura, viene meno soprattutto il requisito di proporzionalità, necessario al fine
dell’applicazione della scriminante. Ciò deriva dal fatto che i diritti umani fondamentali
499
BELLAGAMBA, Ai confini dello stato di necessità, , in Cass. pen., 2000, 6, 1832.
113
non sono un’optional della democrazia. Democrazia e diritti umani stanno e dadono
insieme500 e, individuatone un “catalogo” essenziale, esso non è mai declinabile501.
Colui il quale viola i diritti fondamentali individuati e internazionalmente
riconosciuti non può in alcun modo trovare giustificazione (né scusa) alla propria
condotta.
Tanto più che gli strumenti della ricerca della verità sono definiti dalla legge
processuale in vista del fine perseguito, ma anche a garanzia di interessi e diritti
fondamentali, che si ritiene che non possano essere in alcun modo sacrificati. Il fine,
quindi, non giustifica i mezzi502.
Si ritiene quindi che lo stato di necessità non possa trovare applicazione nella
prassi di organi statali, i quanto i poteri dei pubblici funzionari sono attribuiti dalla
legge, e il legislatore dispone di tutti gli strumenti legali legittimi per predisporne di
nuovi, se necessario. Invero, immaginando un pericolo vago e generale quale quello del
terrorismo, la situazione tipica dello stato di necessità viene pervertita ad una situazione
di emergenza preventiva e forse quasi permanente503, ma, come si vedrà, nelle decisioni
pubbliche emergenziali (laddove l’emergenza è divenuta in un certo qual modo
“permanente”), lo Stato beneficia già di molti poteri autoritativi e procedurali preclusi ai
singoli. Pertanto non si può invocare anche uno stato di necessità statale, o si
rinuncerebbe al vincolo della legalità e della riserva di legge504.
Esclusa l’invocabilità della scriminante comune, sullo sfondo resta la possibilità
di autorizzazione con leggi speciali, di una scriminante speciale proceduralizzata (come
quelle previste, ad esempio, in tema di aborto o, in alcuni ordinamenti, in tema di
eutanasia). Ma tale scelta non può che essere demandata al legislatore.
È anche stato proposto di pensare di definire la logica dell’emergenza a livello
costituzionale, in materia penale e processuale penale, in modo da creare una cornice
costituzionale della quale imporre il rispetto anche per il diritto penale
dell’emergenza505, e in modo da stabilire il carattere necessariamente temporaneo delle
leggi penali che causano un arretramento della tutela.
Quindi, può affermarsi che non vi sia spazio alcuno, nell’ordinamento, per uno
stato di necessità scriminante nelle ipotesi di inquisizione non soave; mentre residua la
possibilità di scriminare (in senso scusante) la condotta dei pubblici poteri posta in
violazione di diritti “complementari” (riservatezza, privacy), ovvero se dettata da
ragioni umanitarie in caso di concessioni a richieste di terroristi506. Fermo restando che
occorre far attenzione a non allargare troppo le maglie del sistema e lasciare che lo Stato
divenga facilmente ricattabile, pena l’innesco di una spirale inarrestabile verso la
dissoluzione dello Stato di diritto507.
500
LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico, nemici del diritto penale, in IP, I,
2007, 54.
501
Non ultimo l’art. 13 della nostra Costituzione.
502
Si ricorda, in proposito, l’opinione di Pulitanò
503
Si veda capitolo successivo.
504
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, in Cass. pen., 2006, 770
505
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit..
506
MEZZETTI, Necessitas, cit., pag. 45 e FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, cit., pag. 272.
507
VIGANÒ, Stato, cit., pag. 444.
114
NECESSITÀ ED EMERGENZA TERRORISTICA: DALLA NORMA
GENERALE ALLA LEGISLAZIONE SPECIALE
CAPITOLO QUARTO
Profili di diritto comparato
1
2
3
4
5
6
Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale .............................. 115
Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione ............................... 117
2.1
Considerazioni .......................................................................................... 123
Il modello britannico di gestione delle emergenze ........................................... 123
Cenni ai modelli di altri ordinamenti ................................................................ 126
4.1
Modello francese ...................................................................................... 127
4.2
Il modello irlandese .................................................................................. 128
4.3
Il modello spagnolo .................................................................................. 128
4.4
Cenni ad altri ordinamenti. ....................................................................... 129
Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze .... 130
5.1
Il doppio binario ....................................................................................... 133
5.2
I patriot Act e la legislazione d’emergenza .............................................. 135
5.3
Gli strumenti investigativi ........................................................................ 135
5.4
Le deroghe all’habeas corpus ................................................................... 137
5.5
La normalizzazione dell’emergenza ......................................................... 138
5.6
Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema ....................................... 139
5.7
Considerazioni .......................................................................................... 142
La risposta dell’Unione europea all’11 settembre ............................................ 144
1 Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale
Si è detto che il diritto penale, usualmente, si pone a tutela di beni giuridici e come
statuto di garanzie, ma che può anche porsi, anziché a tutela di cittadini di fronte al
potere dello Stato, come tutela dei cittadini nei confronti dei nemici: vale a dire che,
prima di assestarsi in forme e contenuti di giustizia, emerge l’urgenza di vincere una
lotta, a difesa delle istituzioni e dei singoli. Ciò vale a dire che la politica criminale è
concetto più ampio di quella penale.
In tale prospettiva si è tentato, da parte di alcuni, di reintrodurre nel dibattito
penale contemporaneo la categoria del nemico508: conseguenza è la creazione di un
sistema “dell’emergenza” rigorosamente separato da quello comune, un insieme di leggi
508
È stato Jakobs a riprendere tale tematica in tempi recenti. Si veda JAKOBS, derecho penal del
ciudadano y derecho penal del enemigo, in JAKOBS-CANCIO MELIA, Derecho penale del emenigo,
Civitas, Madrid, 2003, p. 23 e ss; JAKOBS, Bürgerstrafrecht und Feindstrafrecht, in HRRS, 2004, p. 88 e
ss.; JAKOBS, Terroristen als Personen im Recht!, in ZStW, 2005, 839; JAKOBS, Kriminalisierung im
vorveld einer Rettungsverletzung, in ZStW, 97, 1985, p. 753.; CANCIO MELIA, Feind”strafrecht”?, in
ZStW, 2005, 117, p.267.; SCHNEIDER, bellum Justum gegen den Feind in Inneren?, in ZStW, 2001, 113, p.
499;
115
speciali dettate dallo stato di eccezione, che tuttavia tendono a diventare una normativa
permanente, e, quindi, perennemente all’interno della normalità del sistema509.
Si è detto che chi demonizza tale aspetto del diritto penale, ne vuole fare una
scienza morale ed estetica, ma poco verace, una scienza del dover essere, più che riferita
all’essere normativo vigente510. Non occuparsi di tale aspetto del diritto penale, in altre
parole, significa consegnarlo alla discrezionalità (e all’arbitrio) dell’uso della forza da
parte del potere politico511.
Uno dei settori dove è più marcata funzione del diritto penale in nome di una lotta
contro il nemico è proprio quello della criminalità di matrice terroristica, oltre che in
quello della criminalità organizzata e di stampo mafioso. In tali settori, le fattispecie
penale tendono ad anticipare la punibilità e ad allargare il novero dei soggetti punibili,
con riflessi anche processuali della tipologia emergenziale.
Anche perché l’immagine del nemico molto bene si attaglia al tipo soggettivo di
terrorista straniero, che opera all’interno della società occidentale nel quadro di una
guerra globale, assolutamente impermeabile a qualsivoglia finalità risocializzatrice della
pena, e, nel contempo, immune anche all’effetto deterrente della minaccia della
stessa512.
Sotto tale accezione è possibile compendiare una parte delle politiche criminali e
penali contemporanee, emerse dopo l’11 settembre e da allora assestate su posizioni di
lotta e di guerra al terrorismo.
Si avverte, comunque, che nel presente lavoro tale teorizzazione si atteggia come
categoria critica, e non si vuole eleggerla a categoria dogmatica513: in sostanza, il
diritto penale dell’emergenza serve a descrivere un fenomeno, senza che però sia
opportuno trarne ulteriori conseguenze sul piano critico-valutativo514, fermo restando
che la descrizione deve rimanere estranea al carico emozionale associato all’espressione
nemico
Un’altra ragione per cui meritano attenzione le leggi speciali introdotte nella lotta
contro il terrorismo emerge sulla considerazione del fatto che, spesso, esse contengono
norme procedurali ad hoc. E, così, emerge da esse una concezione dello stesso processo
penale come causa di giustificazione: le procedure penali ledono o mettono in
pericolo, per loro natura, beni quali libertà di circolazione, diritto alla segretezza e alla
privacy, libertà personale, salute fisica e psichica, con norme sui fermi, custodie
cautelari, sequestri, intercettazioni, ispezioni ecc…, ma se sono codificate, per ciò stesso
sono legittime (se conformi anche al superiore dettato costituzionale).
509
Cfr anche RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 181; e
LOSAPPIO, Diritto penale del nemico, diritto penale dell’amico, nemici del diritto penale, in IP, I, 2007,
52; BEVERE, Il diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, in Crit. Dir., 2008, 3-4, p.227;
CATTANEO, Riflessioni sul diritto penale del “nemico”, in crit. Dir., 2008, 1-2, p.141; PAGLIARO,
“Diritto penale dl nemico”: una costruzione illogica e pericolosa, in CP, 2010, 6, 2460.
510
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit., 735.
511
Hic sunt leones: qui finisce il diritto e cominciano guerra, violenza e arbitrio, afferma VIGANÒ,
Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 670.
512
Cfr. VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 670.
513
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit., 760.
514
VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 672, rifiuta l’ottica
del diritto penale del nemico sia sotto il profilo valutativo che sotto quello descrittivo. Si chiede, invero,
che il paradigma sicurezza.neutralizzazione sia un processo che investe da tempo l’intero processo penale,
secondo la tesi formulate da HASSEMER, Sicherheit durch strafrecht, in HRRS, 2006, p. 130, con
traduzione di Cavaliere in cri.Dir., , 2008, p. 15.
116
Sulla base di siffatte premesse, l”arma” rappresentata dal processo penale
diviene uno strumento privilegiato nella lotta contro il nemico, e merita pertanto di
essere indagato in che modo vengono scriminate (dalla legge stessa) le lesioni ai beni
suddetti.
In sostanza, il presente lavoro non poteva prescindere dalla descrizione dei
connotati salienti dei sistemi di contrasto al terrorismo attualmente operanti nei
principali paesi europei, che si sono dati regole ad hoc, derogatorie rispetto alle regole
ordinarie destinate al contrasto alla criminalità comune. Per procedere in tale analisi, è
opportuno un breve cenno anche ai modelli costituzionali dei paesi oggetto
dell’indagine comparatistica .
Per il vero, poi, va evidenziato che ogni Paese ha la tendenza a trattare la minaccia
terroristica come un problema interno, e a combatterlo con gli strumenti elaborati
all’interno della propria cultura. Del resto, il problema del terrorismo non è nuovo in
Europa: il nostro continente, infatti, ha conosciuto ogni forma di attacco alle istituzioni,
dalla lotta armata per ragioni etniche, a quella per ragioni politiche, al terrorismo
mediorientale
La reazione contro il terrorismo si caratterizza in due direzioni: da un lato, infatti,
la necessità di tutela dei diritti fondamentali richiede interventi legislativi mirati;
dall’altra, invece, si connota per le azioni intraprese in violazione proprio dei diritti
fondamentali dei presunti terroristi, in “aperto” contrasto con il divieto di tortura, il
divieto di detenzione arbitraria e pretermettendo i canoni di un equo processo.
2 Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione
Il modello tedesco contempla stati d’eccezione costituzionalmente disciplinati, che
restano tuttavia inutilizzati. In caso di emergenza il Parlamento rimane sovrano, non
potendo il Governo federale adottare autonomamente atti di rango legislativo in casi di
straordinaria necessità ed urgenza, e il legislatore parlamentare non è neppure
autorizzato a conferire deleghe legislative all’Esecutivo per questioni che coinvolgono
diritti fondamentali515.
Il legislatore tedesco è quindi intervenuto in via ordinaria per la gestione delle
emergenze e per la previsione e repressione del terrorismo516.
Tuttavia nella dottrina tedesca vi è chi afferma che in circostanze eccezionali,
come quelle di un attacco terroristico simile a quello subito dagli USA nel settembre
2001 (o anche in quello subito dalla Spagna nel 2004), si deve ipotizzare l’applicazione
dei regimi eccezionali oggi previsti a livello costituzionale.
La legge fondamentale tedesca ammette la sospensione di alcuni diritti costituzionalmente
garantiti in connessione alla deliberazione dello “stato di tensione” (Spannungsfall) e dello
“stato di difesa” (Verteidigungsfall) (artt. 80a, comma 1, e 115a), ferma restando anche in tali
periodi l’impossibilità di modificare l’assetto organizzativo dello stato.
Anzitutto vi è il preliminare “Stato di tensione” (Spannungsfall), previsto dall’art. 80aGG,
presupposto per l’applicazione delle cosiddette “Schubladengesetze”, decreti legislativi con i
515
516
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 100.
WEISSER, Der Kampf gegen den Terroriten – praevention durch Strafrecht?, in JZ, 2008. 8, p. 388.
117
quali può essere ad es. limitata la libertà di professione (riconosciuta dall’art. 12a GG),
costringendo la popolazione al servizio in infrastrutture ospedaliere, civili o militari, o può
essere modificato il diritto agli indennizzi per le espropriazioni in deroga all’art. 14 III GG,
nonché la disciplina per la privazione della libertà personale.
Altre restrizioni di alcuni diritti fondamentali possono però derivare dalle cosiddette
“semplici leggi di emergenza” (einfache Notstandsgesetze), per es. la legge per la tutela della
popolazione civile in caso di guerra, il cosiddetto Zivilschutzgesetz del 25 marzo 1997, prevede
la possibilità di stabilire che nessun cittadino possa lasciare il proprio luogo di residenza senza
permesso speciale, o al contrario che tutta la popolazione di una regione minacciata debba
essere evacuata. Tale legge, come richiesto dall’art. 19 GG, enumera tutti i diritti fondamentali
suscettibili di restrizioni, cioè l’integrità fisica, la libertà della persona, la libertà di circolazione,
l’inviolabilità del domicilio.
Lo stato di difesa è invece deliberato “quando il territorio federale è oggetto di
aggressione armata o quando una tale aggressione è imminente” (art. 115°, comma I GG) con
maggioranze qualificate sia del Bundestag (deve trattarsi dei 2/3 dei voti espressi pari ad almeno
la metà dei deputati), sia al Bundesrat. Vale la pena sottolineare che nello stato di difesa vi è un
inevitabile accentramento federale della potestà legislativa.
Non è invece prevista a livello costituzionale una definizione di che cosa sia lo stato di
eccezione interno: non avviene una proclamazione formale né dell’inizio né della fine dello
stato eccezionale, manca ogni disposizione concernente la limitazione temporale dello stesso e
tutti i provvedimenti possibili devono essere presi in conformità alle leggi normali che regolano
anche le possibili restrizioni delle libertà fondamentali.
Si segnala la possibilità di limitare, con legge, la libertà di circolazione prevista dall’art.
11 GG, quando la limitazione è necessaria per scongiurare un pericolo che minaccia
“l’esistenza o l’ordine fondamentale liberaldemocratico della federazione o di un Land”sulla
base dei presupposti indicati dall’art. 35, commi II e III GG.
Come anticipato, in Germania non constano norme costituzionali in materia di
terrorismo, ma previste limitazioni generali dei diritti che potrebbero essere attivate in
tal caso.
Ad esempio il diritto di associazione è limitabile se gli scopi di un’associazione
contrastano con le leggi penali o siano diretti contro l’ordinamento costituzionale o
contro il principio della comprensione dei popoli (art. 9 GG); la segretezza della
corrispondenza è limitabile per legge se serve per la difesa dell’ordinamento liberale e
democratico o della sicurezza federale o statale (art. 10); la libertà di circolazione e
residenza è limitabile per legge, tra gli altri, nei casi in cui ciò sia necessario per
allontanare un incombente pericolo per l’esistenza o per l’ordinamento fondamentale
liberale e democratico o per fronteggiare i pericoli derivanti da epidemie, calamità,
catastrofi (art. 11); la libertà di domicilio è limitabile per legge, tra l’altro, per prevenire
pericoli imminenti per la sicurezza o per l’ordine pubblico, per rimediare alla mancanza
di abitazioni e per combattere il pericolo di epidemie (art. 13)517.
Inoltre può essere dichiarata dal giudice costituzionale la decadenza da alcuni
diritti costituzionali nei confronti di chi, al fine di combattere l’ordinamento
democratico e liberale, abusa del diritto di espressione, di insegnamento, di riunione, di
associazione, del segreto della corrispondenza, del diritto di proprietà e del diritto di
asilo (art. 18).
517
Per un approfondito esame del rapporto tra Bund e Lander in materia di sicurezza e terrorismo nel
sistema costituzionale tedesco e nell’applicazione della recente legislazione antiterrorismo cfr. BALDINI,
“Diritto alla sicurezza” e collaborazione tra Bund e Lander nella lotta al terrorismo, in Le politiche
legislative di contrasto alla criminalità organizzata, a cura di S. Staiano, Napoli, 2003, p. 410 e ss..
118
La tendenza alla “legalizzazione normalizzante” in Germania ha comportato che
l’esercizio di alcuni diritti costituzionalmente garantiti è stato limitato per motivi di
sicurezza con leggi conformi alle riserve di legge appositamente introdotte nella
Costituzione518.
Nella dottrina tedesca, inoltre, si riconosce che le situazioni di emergenza
giustificano delle limitazioni dei diritti fondamentali più severe rispetto a quelle dei
periodi normali, anche se anche in tal caso le limitazioni devono essere essenziali,
nonché adeguate e proporzionate allo scopo.
Si deve infine osservare che, a parte i casi di applicazione delle altre norme
costituzionali che consentono in via ordinaria alcune limitate restrizioni a diritti
costituzionalmente garantiti, nella recente prassi costituzionale tedesca si sono
approvate leggi al fine di prevenire e regolare una situazione simile a quella che accadde
con l’attacco terroristico agli USA del settembre 2001. Così nella legge del 2004 sulla
sicurezza della navigazione aerea (Luftsicherheitsgesetz) è stata introdotta l’ipotesi di un
attacco per mezzo di un aereo civile dirottato, qualificata come “calamità
particolarmente grave” ai sensi dell’art. 35 II e III GG, così da ricondurla nell’alveo
della competenza federale (e giustificare l’impiego delle forze armate).
Di particolare interesse appaiono, quindi, le vicende della legge emanata dal
Bundestag il 18/6/2004519. In particolare, ai sensi del § 14520 co. 3 LuftSiG spetta al
Ministro della difesa, in caso di dirottamento aereo, attivare una particolare procedura
per “L’azione immediata, con l’impiego delle armi, è ammessa solo quando è da
attendersi, secondo le circostanze, che l’aereo verrà impiegato contro la vita di esseri
umani, e quando essa sia l’unico mezzo per opporsi a questo pericolo attuale”.
Strutturalmente la situazione presupposta dalla norma riproduce una ipotesi di c.d.
di «comunità in pericolo». Nella fattispecie, il pericolo incombe su beni giuridici
appartenenti a persone diverse e la salvezza di alcune è inscindibilmente connessa al
sacrificio di altre. In tali casi, il legislatore tedesco aveva pensato di avocare a sé la
scelta di sacrificare dei cittadini per salvarne altri.
518
Come è accaduto nel 1998 con la segretezza della posta e delle telecomunicazioni. Nel 1998 la stessa
disciplina costituzionale dell’inviolabilità del domicilio prevista dall’art. 13 GG è stata modificata per
prevedere la facoltà dei giudici di autorizzare l’uso di microfoni segreti quando gli altri mezzi
investigativi si rivelino inadeguati, nei casi di sospetto di reati particolarmente gravi o per prevenire un
grave pericolo pubblico, o nei casi in cui è in pericolo la vita umana.
519
NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea
(Luftsicherheitsgesetz), in Cass. pen., 2007, 2, p. 780.
520
Questo il testo integrale: misure di intervento militare, autorizzazione all’ordine. I. per impedire il
verificarsi di una sciagura particolarmente grave, le forze armate possono, nello spazio arereo,
respingere aerei, costringerli ad atterrare, minacciare l’impiego della forza o sparare in aria. II. Tra i
diversi mezzi possibili, è da scegliere quello che, prevedibilmente, arrechi minor pregiudizio al singolo
come alla collettività. Il provvedimento può essere attuato solo per il tempo e nella misura necessari a
conseguire il suo scopo. Esso non può portare ad una perdita che sia, in modo riconoscibile,
sproporzionata al risultato auspicato. III. L’azione immediata, con l’impiego delle armi, è ammessa solo
quando è da attendersi, secondo le circostanze, che l’aereo verrà impiegato contro la vita di esseri
umani, e quando essa sia l’unico mezzo per opporsi a questo pericolo attuale. IV. La misura può essere
ordinata dal Ministro della difesa o, in caso di rappresentanza, dal membro del governo incaricato di
rappresentarlo (…)”.
119
Come già accennato in precedenza, in tali casi si era ipotizzata una zona
giuridicamente franca dal diritto (Rechtsfreier Raum): qualunque soluzione
l’ordinamento adottasse per risolvere il conflitto essa apparirebbe comunque
giuridicamente insostenibile, perché troppo distante dal quotidiano, non risolvibile sulla
base del bilanciamento d’interessi, e, nel contempo, alieno dalla logica delle scusanti. In
realtà, in quest’ottica, non si riusciva ad individuare un chiaro confine applicativo tra
«Rechtsfreier Raum» e «Notstand» e, par far fronte all’inafferrabilità della fattispecie
probabilmente il legislatore si è risolto a regolarla.
Infatti, alle ipotesi contemplate non sarebbe stata applicabile la norma sullo stato
di necessità scriminante: a ciò osta il necessario requisito del bilanciamento tra gli
interessi in pericolo e la prevalenza “essenziale” degli interessi protetti rispetto a quelli
lesi dalla reazione necessitata. Come già detto, infatti, tale requisito non può essere
soddisfatto laddove il conflitto coinvolga il bene vita.
Per il vero, si segnalano alcune correnti minoritarie che leggono la clausola di prevalenza
essenziale in senso quantitativo anziché in senso qualitativo: si pensi alla teoria della mera
quantificazione del numero delle vittime, scarsamente seguita ed, anzi, avversata in quanto
basata su un’impostazione di tipo collettivistico-utilitarista; ovvero la teoria dell’asimmetria del
rischio, che propone di commisurare il bilanciamento «vita contro vita» confrontando le
chances di salvezza di un bene giuridico rispetto ad un altro, nei casi in cui appaia evidente che
almeno qualcuna delle vittime è comunque destinata a soccombere. In quest’ottica, l’uccisione
di cento persone potrebbe essere scriminata a fronte di una sola vita da salvare, allorchè si
pensasse che, a breve, la vita dei più fosse comunque ineluttabilmente segnata. Tuttavia ciò
significherebbe attribuire funzione discriminante all’aspettativa di vita, con evidente lesione dei
più basilari principi di pari dignità di ciascuna persona umana.
O, ancora, si deve ricordare che per la teoria c.d. della reificazione, sostenuta peraltro dal
Governo tedesco adducendo che nelle circostanze previste dal § 14 co. 3 LuftSiG, sussisterebbe
un’assimilazione dei passeggeri innocenti a «componenti l’arma» (l’aereo impiegato come arma
dai terroristi). Per questa via, si perverrebbe ad una (inaccettabile) reificazione delle persone
innocenti presenti a bordo del velivolo. Tuttavia, tali motivazioni appaiono deboli e, comunque,
insufficienti all’applicazione dello «stato di necessità difensivo» di cui al § 228 BGB, atteso che
in casi drammatici come quelli di dirottamento aereo non è possibile imputare ai passeggeri né
la fonte del pericolo, né un innalzamento di grado del medesimo. Di contro, deve riconoscersi
che tali ultimi requisiti appaiono essenziali per giustificare l’aggressione ai passeggeri ex § 228
BGB)521.
Da ultimo, a tali fattispecie non è applicabile neppure la logica della scusa: la previsione
normativa del § 35 StGB non si attaglia alle situazioni di cui al § 14 co. 3 LuftSiG in quanto
l’efficacia scusante dello stato di necessità opera soltanto laddove si verifichino legami “stretti”
tra il soggetto agente e la persona pericolante. Peraltro, nonostante il dato normativo, la dottrina
ha sostenuto uno stato di necessità scusante extralegale, che però all’atto pratico risulta
difficilmente percorribile: l’azione scusata resterebbe antigiuridica, autorizzerebbe i passeggeri
aggrediti al ricorso alla legittima difesa, ma soprattutto implicherebbe la cosciente commissione
di un fatto penalmente illecito da parte di organi statali522.
521
NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea
(Luftsicherheitsgesetz), cit., 2007, 2, p. 784-787.
522
NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea
(Luftsicherheitsgesetz), cit., p. 788.
120
La pronunzia del BVerfG sulla norma in esame è stata preceduta da un ampio
dibattito523: la previsione è stata criticata, ma nondimeno applaudita in quanto “rottura
di un tabù” dell’inviolabilità del diritto alla vita, dando forma ad una teorica delle
situazioni eccezionali. Secondo una prima ricostruzione, nel caso in cui siano
minacciate le fondamenta del rapporto Stato-individuo il vincolo dello Stato al rispetto
dei principi interni verrebbe meno, con conseguente vera e propria revoca dello status di
cittadino; secondo diversa ricostruzione sussisterebbe in capo a ciascun componente una
comunità statuale un obbligo giuridico di sacrificare la propria vita, obbligo
subordinato, però, alla sussistenza di un pericolo per l’esistenza stessa dello Stato.
Sulla base di siffatte premesse, la critica al paragrafo 14 si è appuntata sulla
mancanza, tra i presupposti applicativi della norma, di una enunciazione chiara dei
criteri in base ai quali possa ritenersi subentrata una situazione eccezionale: soprattutto,
si lamentava il fatto che i presupposti presenti nella norma non richiamassero la messa
in pericolo dell’esistenza stessa dell’ordinamento giuridico.
Il tema coincide, più in generale, con la delimitazione dei presupposti per
l’ingresso in uno “stato di necessità di Stato” (Staatsnotstand), il cui ambito viene dalle
impostazioni più recenti limitato ad un pericolo “esistenziale” per lo Stato,
restrittivamente inteso come (almeno) una delle sue tre componenti tradizionali524.
La Corte Costituzionale tedesca è stata quindi investita da una serie di ricorsi525
contro la norma miranti a far dichiarare incostituzionale la LuftSiG emanata l’11/1/2005
e il BVerfG di Karlsruhe ha infine deliberato con voto unanime l’illegittimità
costituzionale del § 14 co. 3 LuftSiG.
Più specificamente, tale norma è stata dichiarata incostituzionale, rispetto alla
Carta Costituzionale del 1949, per due diversi ordini di ragioni, le une di carattere
tecnico-formale (mancherebbe infatti al Bund la competenza legislativa necessaria per
emanare la norma in esame); le altre di ordine sostanziale (l’impiego delle armi contro
l’aereo dirottato violerebbe il principio costituzionale d’intangibilità della dignità della
persona umana, nella misura in cui esso coinvolgesse anche le sorti di eventuali
passeggeri innocenti presenti a bordo del velivolo).
Per quanto riguarda le motivazioni d’incostituzionalità tecnico-formali, secondo
la Corte l’uso delle armi da parte dell’Aviazione militare a mente del § 14 co. 3 LuftSiG
autorizza contrasterebbe con tre diverse norme della GG526:
A) art. 35 co. 2 II periodo GG: che attribuisce al Bund la competenza legislativa in
materia di spegamento delle forze armate in occasione di “incidenti gravi” e di
coordinamento rispetto ai Länder conivolti. A tale proposito, il problema non sta nel
fatto che l’incidente grave non si sia ancora verificato (dovendosi con ciò intendere il
523
ARCHANGELSKIJ, Das Problem des Lebensnotstandes am Beispiel des Abschusses eines von
Terroristen entfuehrten Flugzeuges, Berlin, 2005, anticipa molti degli argomenti che verranno poi
utilizzati dalla Corte Costituzionale.
524
In effetti, è sufficiente pensare all’attacco alle Twin Towers di NY dell’11 settembre 2001 per cogliere
le difficoltà definitorie in concreto: il tragico successo di quegli attentati non ha rappresentato, in sé e per
sé, un pericolo essenziale per gli USA a meno di non passare dalla nozione di pericolo «attuale» a quella
di pericolo «preventivo e permanente».
525
Presentati, tra gli altri, dall’ex-Vicepresidente del Bundestag Hirsch (FDP), dall’ex-Ministro degli
interni Baum (anch’egli FDP), da tre avvocati e da un pilota.
526
DONINI, Il diritto penale di fronte al «nemico», cit., 770.
121
dirottamento e non l’abbattimento del velivolo), quanto piuttosto nel fatto che la norma
citata non consente l’impiego di armamenti di carattere militare nelle azioni
d’intervento conseguenti a “calamità naturali” e ad “altri incidenti gravi”; in altre
parole, le modalità di assistenza assicurate dall’Aviazione militare non possono
rispondere a criteri qualitativamente differenti dalle forme d’intervento abitualmente
messe in campo da parte delle forze dell’ordine dei Länder nell’esercizio delle loro
funzioni, e, conseguentemente, si deve escludere l’uso delle armi come strumento di
aggressione militare;
B) art. 35 co. 3 I periodo GG: che prevede espressamente che, in caso di
emergenza di portata extra-regionale, solo e soltanto il Governo federale possa decidere
di impiegare le forze armate; non è quindi ammissibile che il § 14 co. 3 LuftSiG
attribuisca al Ministro della difesa la deliberazione in proposito (a meno che non si
ipotizzi di ottenere un provvedimento tempestivo dell’esecutivo, ipotesi in concreto
difficilmente praticabile);
C) art. 87a co. 2 GG: che stabilisce che le forze armate possano essere impiegate,
al di fuori dei tradizionali compiti di difesa, nei soli casi espressamente previsti dalla
GG, tra i quali non rientra il caso di cui al § 14 co. 3 LuftSiG.
Per quanto concerne le motivazioni d’incostituzionalità sostanziali, invece, la
Corte ritiene che il § 14 co. 3 LuftSiG contrasti con l’art. 2 co. 2 I periodo GG in
combinato disposto con l’art. 1 co. 1 I periodo GG, ossia con il diritto alla vita e con la
tutela della dignità umana: in tale prospettiva, infatti, i passeggeri innocenti presenti a
bordo dell’aeromobile dirottato verrebbero reificati.
E qui risiede proprio il punctum dolens ossia nel rapporto tra diritto alla vita e
diritto alla dignità umana, e nel contenuto assegnato a tale ultimo termine: in sostanza,
qualunque limitazione che lo Stato intenda imporre al diritto alla vita trova un limite
invalicabile nel rispetto della dignità umana. In definitiva, l’obbligo di tutelare le
potenziali vittime di un attacco aereo (obbligo che pure grava sullo Stato ex art. 1 co. 1
II periodo GG) si considera recessivo dinnanzi al rispetto della dignità delle vite
presenti a bordo. La Corte chiarisce ancora in che cosa consista il rispetto della dignità
umana statuendo che è assolutamente proibito reificare una persona “lasciando che si
avverta la mancanza del rispetto del valore che spetta ad ogni persona in virtù di sé
stessa”.
Fissati così i necessari confini della fattispecie, la Corte approfondisce ulteriori
aspetti della norma censurata, evidenziando anzitutto come sia scaricata sui passeggeri
innocenti l’incertezza della situazione: la Corte, pur senza entrare nello delle
conseguenze penalistiche di un eventuale ordine di abbattimento e della sua esecuzione,
si limita ad affermare l’illegittimità costituzionale di una norma con efficacia
scriminante (quindi di portata molto lata) che ponga una presunzione nel giudizio di
ponderazione degli interessi in pericolo. In tale ricostruzione si ritiene che al pensiero
della Corte sia sottesa la convinzione che invece possa ritenersi intervenire nulla una
causa scusante extralegale in fattispecie come quella in esame.
Nella sentenza, peraltro, la Corte prende posizione, respingendole, su una serie di
tesi dottrinali: rifiuta la presunzione di consenso tacito, dei passeggeri presenti a bordo,
a sacrificare la loro; rifiuta la teoria della asimmetria del rischio di morte e del computo
delle chances di sopravvivenza; rifiuta la reificazione dei passeggeri innocenti in quanto
122
componenti di un’arma (teoria sostenuta proprio dall’Avvocatura del Bund nella
discussione della causa dinanzi al BVerfG); rifiuta l’individuazione di un obbligo, a
carico dei passeggeri imbarcati sull’aeromobile, di sacrificare la loro vita anchorchè
questo sia l’unico mezzo per elidere un pericolo esiziale per l’ordinamento giuridico
statale; rifiuta, da ultimo, di individuare un obbligo di intervento dello stato a tutela di
quei cittadini la cui vita sia minacciata dall’aeromobile in mano ai terroristi, ovvero
individua in tali casi un obbligo di intervento con l’impiego dei soli mezzi
legittimamente predisposti nella GG.
Al tirar delle somme, la Corte di Karlsruhe evidenzia come residui un unico spazio
applicativo del § 14 co. 3 LuftSiG, ossia per l’ipotesi di un attacco a mezzo di un aereo
in cui non siano imbarcate persone, a bordo, estranee all’attentato: in tali casi, infatti, si
potrà ricorrere alla legittima difesa come scriminante.
2.1 Considerazioni
Non è semplice, per la dottrina costituzionalistica tedesca, decifrare il principio
d’intangibilità della dignità della persona umana di cui all’art. 1 co. 1 GG527.
La c.d. “Objektformel” è uno strumento che si risolve in una definizione «in
negativo», mutuando (come ha fatto il BVerfG) la formula di Dürig a mente della quale
la dignità umana è lesa in caso di «reificazione» della persona, e, nel contempo, con
l’utilizzo di tale formula in un contesto in cui l’oggettificazione dell’essere umano è
indiscutibilmente evidente, secondo i principi propri dell’ordinamento tedesco, proprio
perché i cittadini vengono privati proprio delle loro caratteristiche essenziali di
«soggetti» e ridotta a componente di un’arma528.
Un’interpretazione «in negativo» attesta l’impossibilità di definire compiutamente
il concetto di dignità, e ne predilige invece una concretizzazione caso per caso. Ciò
comporta senz’altro un’apprezzabile flessibilità, ma, nel contempo, conduce ad esiti
condivisibili solo laddove si presenti un certo grado di evidenza.
Come già anticipato, con tale decisione in definitiva si lascia aperta la possibilità
di un’ipotesi scusante in capo a chi abbia agito secondo la fattispecie dichiarata
illegittima, applicando una ipotesi di inesigibilità ultralegale529.
In tal modo, si evita la creazione di stati di necessità indeterminati e
indeterminabili ex ante, lasciando che sia qualcun altro a “sporcarsi le mani”, al
momento di decidere se fare o omettere qualche cosa nel momento topico, con la
possibilità che però tale soggetto trovi, ex post, una possibilità di scusa.
3 Il modello britannico di gestione delle emergenze
Il modello britannico di gestione delle emergenze prevede la martial Law, Bill of
Indemmnity, poteri governativi in attuazione della legislazione emergenziale, un debole
controllo giurisdizionale, un primato del Parlamento, in assenza di norme costituzionali
inderogabili.
527
Sul bilanciamento sicurezza vs dignità umana, cfr. RESTA, Choices among evils. L’ossimoro della
‘tortura democratica’, cit., pag. 858 e BIN, Democrazia e terrorismo, cit..
528
NISCO, Necessità, emergenza e dignità umana: note sul caso della legge tedesca sulla sicurezza aerea
(Luftsicherheitsgesetz),cit., p. 795
529
DONINI, Il diritto penale di fronte al <<nemico>>, cit.., 770.
123
Tale modello è forse quello più antico: alla Corona e ai suoi funzionari compete la
Martial law, spetta il diritto di opporre forza alla forza in caso di una qualsiasi forma di
resistenza violenta nei confronti dell’ordinamento costituito. Si tratta peraltro di un
diritto-dovere che spetta anche ad ogni suddito e non può comunque essere esercitato in
senso difforme dalla legge. L’uso della forza, autorizzato al perseguimento dello scopo,
non deve essere eccessivo.
I presupposti per l’applicazione della legge marziale sono implicitamente
l’insufficienza dei mezzi legali ordinari per respingere il pericolo e la necessità e
l’urgenza, senza che serva una esplicita proclamazione. Lo stato di necessità sembra
peraltro essere l’unico fondamento per l’applicazione della legge marziale, ma esso è
inteso nel diritto britannico in modo del tutto peculiare.
Una volta ristabilita la pace i giudici ordinari hanno comunque giurisdizione su
qualsiasi atto compiuto dalle autorità militari o da altri soggetti in base alla martial law.
Chiunque, militare o civile, durante il periodo della guerra o della ribellione abbia
compiuto senza un’evidente giustificazione legale un atto lesivo della vita, della libertà
o della proprietà di un inglese è soggetto alle medesime sanzioni di chiunque abbia
violato le leggi, a meno che non intervenga uno specifico Act o Bill of indemnity del
Parlamento, alla fine del periodo di guerra o di disordini, al fine di legittimare ex post
gli eventuali atti illegittimi commessi nell’interesse collettivo.
Ciò vale a dire che il Governo in caso di emergenza dovrebbe adottare tutti gli atti
necessari senza violare alcuna legge approvata, ma, qualora in caso di urgente necessità
abbia adottato misure in violazione di una legge in adempimento al dovere di difendere
lo Stato, ne rimane politicamente responsabile a meno che il Parlamento non approvi un
Act of Indemnity dei provvedimenti adottati dal Governo in deroga alle leggi, al fine di
sanare ex post l’azione governativa.
La deroga al Bill of Rights mediante semplice legge è possibile nel sistema
britannico in quanto non vi è una costituzione rigida530.
Il Regno Unito conosce provvedimenti antiterrorismo già dal 1922, con il Civil Authority
(Special Powers) Act, il quale prevedeva numerose forme di arresto e detenzione stragiudiziale,
senza limiti temporali definiti531: accanto all’arresto senza mandato a scopo di interrogatorio, e
il fermo qualora si ritenesse che il sospettato agisse in modo tale da pregiudicare il
mantenimento della pace o dell'ordine, che avevano durata relativamente breve, vi era la
detenzione su ordine delle Autorità di polizia o di internamento su disposizione del Ministro
degli Interni su raccomandazione delle Autorità di P.S., entrambe senza previsione di durata
massima.
Ancora, nel 1973. l’Emergency Provision Act (EPA, 1973) sostituì il precedente Act del
1922. Nel 1974 fu introdotto il Prevention of Terrorism Act –(PTA) e nel 2000 il Terrorism Act
2000, volto a censurare condotte anche solo latamente criminose, (incitamento al terrorismo,
l’addestramento all’uso delle armi da fuoco e l’insegnamento o l’apprendimento di tecniche
terroristiche, all’estero o in patria), ampliando parimenti i poteri di fermo di polizia:
inizialmente rivolto all’antiterrorismo nell’Irlanda del Nord, detto atto fu destinato a predisporre
misure per combattere ogni manifestazione di terrorismo.
530
MARAZZITA, L’emergenza costituzionale. Definizione e modelli, Milano, 2003, pp. 90-95
Cfr. anche DE SANTIS, Il divieto di tortura e trattamento disumano e degradante nell’ordinamento
europeo: il caso della Gran Bretagna, in Diritto&Diritti, novembre 2004, in www.diritto.it.
531
124
All’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il
parlamento britannico ha quindi approvato il controverso Anti-Terrorism, Crime and
Security Act 2001 (ATCSA)532. Esso, in origine, autorizzava la detenzione a tempo
indeterminato di cittadini stranieri sospettati di attività terroristiche, senza alcun
controllo di legittimità da parte dell’Autorità giudiziaria ordinaria: era sufficiente che il
Ministro dell’Interno identificasse i soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza
nazionale sulla base di rapporti di intelligence, non sottoposti ad alcun controllo di
attendibilità. I provvedimenti amministrativi relativi a tale detenzione extra giudiziaria
erano quindi sottoposti a revisione da parte di una commissione speciale Special
Immigration Appeals Commission (SIAC), e l’unica garanzia risiedeva nella previsione
di un eventuale giudizio impugnatorio della decisione innanzi la Court of Appeal su
iniziativa di entrambe le parti (condannato e Ministro dell’Interno).
L’ATCSA aveva carattere di legislazione straordinaria, prevedendo la durata
provvisoria delle procedure descritte, che sarebbero comunque cessate entro il 10
novembre 2006.
Detto atto, ancorché usato con parsimonia dalle autorità britanniche, è stato
censurato, innanzi la House of Lords533: per violazione degli artt. 5 e 14 CEDU534e degli
artt. 9 e 26 del Patto sui diritti civili e politici del 1966535 , attesa l’esclusione del
controllo di legittimità sulle misure detentive da parte dell’Autorità giudiziaria
ordinaria, e per violazione del principio di non discriminazione, visto che dette misure
trovavano applicazione nei confronti di soli cittadini stranieri. Del resto lo Human
Rights Act 1998 (Designated Derogation) Order 2001, dichiarava ufficialmente le
deroghe dell’ATCSA alla CEDU, solo con riguardo all’art. 5 (diritto alla libertà ed alla
sicurezza) e non l’art. 14 (divieto di discriminazione), con la conseguenza che tale
seconda norma rimaneva cogente per il legislatore britannico536.
Quanto alla SIAC, che può annullare i certificati degli immigrati, essa opera senza
sostanziali garanzie: l’accusa viene mantenuta segreta, la decisione viene presa in
532
www.opsi.gov.uk
Ricorso deciso Corte con sentenza 16 dicembre 2004, con effetto di dichiarare illegittima la
carcerazione in quanto protrattasi per anni e contro soggetti colpevoli solo di essere stranieri. Ha tuttavia
ammesso la legittimità delle confessioni estorte con la tortura. Cfr. BIN, Democrazia e terrorismo, cit.; cfr
inoltre DI PAOLO, una recente decisione della House of Lords inglese sul divieto di utilizzo di prove
ottenute tramite la tortura, in CP, 2006, 7-8.2640.
534
Il testo della Convenzione è disponibile su www.giustizia.it. Le disposizioni della CEDU sono state
attuate nell’ordinamento interno britannico con lo Human Rights Act del 1998.
535
Il testo dei Patti sui diritti civili e politici è disponibile su www.infoleges.it.
536
La delegazione del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura, nel febbraio 2002 effettuò in
Inghilterra, in virtù dell’art. 7 della Convenzione per la Prevenzione della Tortura del 1987, una visita ad
hoc allo scopo di valutare il trattamento di persone sospettate di terrorismo internazionale detenute in
forza dell’Anti-Terrorism, Crime and Security Act 2001. La delegazione del Comitato nell’esaminare le
garanzie contro i maltrattamenti aveva constatato che, mentre la situazione relativa alla notifica della
custodia e l’accesso ad un dottore era in definitiva soddisfacente, rispetto al diritto di accesso a un
avvocato la situazione non poteva considerarsi accettabile dal momento che molti detenuti avevano
dichiarato di aver atteso più di una settimana, prima di avere un primo contatto con l’avvocato. La
delegazione europea aveva altresì rilevato che, a fronte di buone condizioni generali dei luoghi di
detenziona, a nessuna delle persone detenute in forza dell’Atto anti-terrorismo venivano di fatto garantiti
lavoro, attività educative o culturali e solo alcune di esse avevano avuto il permesso di fare attività fisica.
533
125
assenza del soggetto interessato e di un difensore, e l’esito è comunicato solamente in
forma riassuntiva.
Il legislatore britannico quindi ha emanato il Prevention of Terrorism Act 2005537,
prevedendo una nuova categoria di provvedimenti amministrativi, i control orders,
ossia differenziate misure di sicurezza emessi dal Ministro dell’Interno o dall’autorità
giudiziaria a seconda che comportino o meno misure detentive, ferma la competenza
dell’High Court (A.G. ordinaria)in ordine al controllo di legittimità degli stessi.
Tuttavia, sotto il profilo del rispetto dei diritti umani, anche tale provvedimento appare
censurabile in quanto attribuisce al Segretario di Stato il potere di imporre c.d. “control
orders”, a carico dell’interessato disponendo il divieto di possedere certi oggetti,
restrizioni alla libertà di movimento, di comunicazione e di associazione, sino agli
arresti domiciliari,
- senza previa audizione dell'interessato,
- senza previo controllo giurisdizionale sulla misura, tranne che per le ipotesi più
rilevanti (che danno luogo ai c.d. “derogating control orders”, laddove la deroga è da
intendersi come riferita ai diritti ed alle libertà previste dalla Convenzione europea dei
diritti dell'uomo), ed pur sempre con valutazione limitata alla verifica di "gravi indizi di
reato",
- con significative limitazioni alla ricorribilità giurisdizionale, limitata al controllo
di legittimità del provvedimento, in un'udienza nell'ambito della quale le prove contro
l'interessato sono tenute segrete
- senza la previsione del diritto di nominare un proprio difensore di fiducia,
essendo invece prevista l’assistenza di uno special advocate incaricato dal Governo;
- senza alcuna limitazione quanto a durata della misura, con illimitata possibilità
di reiterazione della stessa
- con la possibilità, per il governo, di reiterare il provvedimento anche qualora
fosse annullato da una decisione giurisdizionale.
In conclusione, appare evidente che nel Regno Unito è forte la prassi di emanare,
in materia di terrorismo, legislazioni restrittive e suscettibili di critiche per il mancato
rispetto dei diritti umani.
4. Cenni ai modelli di altri ordinamenti
Il terzo modello costituzionale di gestione dell’emergenza è quello nel quale si
prevede di disciplinare con legge ogni tipo di evento e nel quale le norme costituzionali
in casi eccezionali, più o meno circostanziati, nei quali non sia possibile rimediare agli
eventi con mezzi legislativi ordinari, consentono la deroga di specifiche norme
costituzionali o addirittura la sospensione totale o parziale della costituzione o
l’introduzione più o meno limitata nel tempo di “stati di eccezione” rispetto alle norme
costituzionali ordinarie538.
Oggi i regimi derogatori previsti dalle Costituzioni degli Stati democratici
sembrano rispondere ad una forma “normalizzata” di emergenza, le cui conseguenze
537
538
Testo disponibile su www.statewatch.org/news/2005/mar/uk-pta-2005.pdf.
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 70
126
negative sono attenuabili proprio in virtù della previsione costituzionale: tipizzano i
presupposti e le condizioni per l’attivazione degli stati di eccezione, limitano le
conseguenze negative sulla Costituzione perché prevedono modifiche temporanee al
regime delle competenze degli organi coinvolti e modifiche al regime di alcuni diritti di
libertà.
Vale osservare che con simili istituti l’emergenza può avere l’effetto di svincolare
l’azione straordinaria dei pubblici poteri da ogni vincolo ancorché, generando “uno
spazio vuoto di diritto”, paradossalmente si accampi la pretesa di stare ancora
applicando il diritto. Lo stato di eccezione si presenta quindi come “la forma legale di
ciò che non può avere forma legale”, in cui l’eccezione sovrana agisce come dispositivo
con cui il diritto “include in sé il vivente attraverso la sua propria sospensione”539.
Il modello così delineato di gestione delle emergenze appare quantitativamente
prevalente negli Stati costituzionali democratici.
4.1 Modello francese
Il modello della Francia della V Repubblica prevede illimitati poteri presidenziali
eccezionali (art. 16), e lo stato d’assedio(art. 36), nonché la previsione legislativa di un
ulteriore “état d’urgence”, con conseguente mortificazione dei controlli parlamentari e
lo svilimento del controllo di legittimità costituzionale. Si segnala, peraltro, che la
Francia è uno dei pochi Stati democratici europei in cui si sono avuti casi di effettiva
applicazione delle norme costituzionali che consentono l’uso di poteri eccezionali in
caso di emergenza
Il sistema costituzionale francese appare tanto complesso quanto vago.
In primo luogo, ex art. 16 Cost., spetta al Presidente della Repubblica,
l’attivazione di poteri diretti a proteggere le istituzioni, in caso di minaccia grave ed
immediata per le istituzioni della Repubblica o l’indipendenza della nazione o l’integrità
del territorio o l’esecuzione degli obblighi internazionali, se vi sia l’impossibilità del
funzionamento regolare dei poteri pubblici costituzionali. Le decisioni presidenziali di
natura legislativa beneficino di una sorta di immunità dal controllo giurisdizionale,
senza alcun limite neppure per quanto concerne i diritti costituzionalmente garantiti.
L’unico limite sembra essere il divieto di scioglimento delle camere e di revisione
costituzionale.
Secondo l’art. 36 spetta invece al Consiglio dei Ministri di dichiarare
l’instaurazione dello stato d’assedio, e tale fattispecie è rigorosamente disciplinata nel
titolo II dell’ordinanza n. 2004-1374 del 20 dicembre 2004 (artt. 2121-1/8), che limita
siffatta proclamazione ai casi di pericolo imminente di un’invasione straniera o di
un’insurrezione armata, prevedendo altresì il conferimento all’autorità militare soltanto
dei poteri per il mantenimento dell’ordine pubblico.
In tali casi rimangono fermi i diritti costituzionalmente garantiti, ma l’autorità
militare può fare perquisizioni di giorno e di notte, allontanare le persone condannate
definitivamente per delitti e le persone non domiciliate nella zona sottoposta allo stato
d’assedio, ordinare la consegna di armi e munizioni e procedere alla loro ricerca e
confisca e vietare le pubblicazioni e le riunioni che essa ritenga di natura tale da
minacciare l’ordine pubblico.
539
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 60
127
Durante lo stato d’assedio i giudici ordinari mantengono la loro competenza, ma i
giudici militari possono avocare a sé le azioni penali promosse nei confronti di taluni
delitti commessi dai non militari.
Il codice della difesa del 2004 prevede altresì che in alternativa allo stato d’assedio
si possa proclamare lo stato d’urgenza disciplinato dalla legge n. 55-385 del 3 aprile
1955, come modificato dall’art. 119 della legge 6 settembre 1984, e in tal caso spetta al
legislatore la conciliazione tra il rispetto delle libertà e la salvaguardia dell’ordine
pubblico.
In sostanza, la Costituzione demanda la decisione sul bilanciamento degli interessi
contrapposti (libertà e ordine pubblico) alla mera discrezionalità del legislatore, e alle
autorità governative lascia il potere di imporre notevoli limiti all’esercizio delle
libertà costituzionali.
4.2 Il modello irlandese
Il modello irlandese prevede illimitati poteri parlamentari in caso d’emergenza
qualora siano minacciati gli interessi vitali dello Stato, (art. 28, 1.3), ponendo al riparo
da ogni eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale ogni legge approvata dal
Parlamento (a maggioranza semplice) allo scopo esplicito di garantire la sicurezza
pubblica e la difesa dello Stato in tempo di guerra o di ribellione armata, impedendo
l’annullamento di qualsiasi atto compiuto per l’esecuzione di tale legge. In tale sistema
viene impedito alla radice ogni controllo di costituzionalità e di legittimità, costituendo
la maggioranza parlamentare unico arbitro dei diritti fondamentali della persona.
Addirittura il bilanciamento tra libertà e sicurezza è positivamente risolto a
favore di quest’ultima, dal momento che l’art. 40. vieta di invocare la tutela
costituzionale della libertà personale al fine di ostacolare l’azione delle Forze armate in
stato di guerra540.
In definitiva, lo stato di emergenza si configura come una questione politica, di
per sé sottratta da ogni valutazione di legittimità costituzionale.
4.3 Il modello spagnolo
Il modello spagnolo prevede la sospensione generalizzata di talune norme
costituzionali in determinati stati d’eccezione, la sospensione individualizzata dei diritti
per fini investigativi in materia di terrorismo, un significativo ruolo parlamentare, e
restano fermi i controlli giurisdizionali541.
Nella Costituzione spagnola del 1978, invero, sembrano essere presenti tutti gli
strumenti ordinari e straordinari utili per fronteggiare situazioni emergenziali e
fenomeni terroristici.
L’art. 86 prevede che il Governo possa adottare decreti-legge in casi straordinari
di necessità e di urgenza, con limiti di efficacia temporale e senza la possibilità di
modifica del sistema costituzionale né dei diritti, dei doveri e delle libertà dei cittadini
previste dalla Costituzione.
Ma vi sono altre ipotesi nelle quali la Costituzione consente sospensioni
generalizzate di talune norme costituzionali in vigenza di determinati stati di eccezione,
e consente alla legge di prevedere sospensioni individualizzate di taluni diritti
540
541
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 80
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 90
128
costituzionalmente garantiti per finalità investigative in caso di terrorismo, sotto
controllo giudiziario e supervisione parlamentare.
Gli istituti previsti per la “protezione straordinaria dello Stato”, che derogano alla
disciplina costituzionale dell’assetto dei poteri pubblici e della tutela delle libertà
costituzionali, sono deliberati dal Parlamento a maggioranza qualificata, e, ex art. 116
Cost. (integrata dalla ley organica 1.6.1981, n. 4), rappresentano tre forme crescenti di
stato di eccezione, con differenti presupposti e differenti competenze di ciascuna542.
Inoltre, si segnala la previsione dell’art. 55 co. 2 Cost. che demanda alla legge
organica sospensioni individuali di taluni diritti costituzionalmente garantiti dagli artt.
17, comma 2 e 18, comma 2 e 3 (inviolabilità del domicilio e della corrispondenza) in
relazione alle investigazioni nei confronti di bande armate o di elementi terroristi,
assicurando il controllo del giudice e del Parlamento.
La giurisprudenza costituzionale spagnola ha contribuito a dare una definizione
stretta e rigorosa della nozione di terrorismo, ha vigilato affinché fossa garantita
l’effettività del controllo parlamentare ed ha chiarito il termine sospensione, precisando
che deve trattarsi soltanto di una restrizione e non già una perdita della titolarità dei
diritti e deve essere una sospensione davvero individualizzata nei confronti di
determinati indagati e soltanto nella misura in cui ciò è davvero necessario per lo
svolgimento delle indagini, contribuendo altresì a definire i limiti della sospensione dei
singoli diritti.
In particolare, si segnala che la sospensione dell’inviolabilità del domicilio può
essere autorizzata dalla legge a posteriori, così come le sospensioni del diritto al segreto
delle comunicazioni.
4.4 Cenni ad altri ordinamenti.
La Costituzione del Portogallo del 1976 disciplina lo stato di polizia e lo stato di
emergenza (art. 19), proclamabili dal Presidente della Repubblica col consenso
dell’Assemblea nazionale (art. 138) in tutta o una parte del territorio nazionale soltanto
nei casi di aggressione effettiva o imminente di forze straniere, di grave minaccia o
turbamento dell’ordine costituzionale democratico o di calamità pubblica.
Si prevedono come inderogabili alcuni diritti costituzionalmente garantiti (i diritti
alla vita, all’integrità personale, all’identità personale, alla capacità civile e alla
cittadinanza, all’irretroattività della legge penale, il diritto di difesa degli imputati e la
libertà di coscienza e di religione). La dichiarazione di uno dei due stati risponde al
principio di proporzionalità e deve limitarsi a ciò che è strettamente necessario al pronto
542
Il grado più basso è l’Estado de Alarma, in caso di calamità naturali, emergenze sanitarie, carenza di
prodotti di prima necessità, paralisi dei servizi pubblici essenziali e non abilita a deroghe delle norme
costituzionali. Il secondo grado è l’Estado de Excepción, quando il libero esercizio dei diritti e delle
libertà dei cittadini, il normale funzionamento delle istituzioni democratiche e dei servizi pubblici
essenziali per la comunità o qualsiasi altro aspetto dell’ordine pubblico risultino così grandemente
compromessi che l’esercizio dei poteri ordinari si riveli insufficiente per il ristabilimento dell’ordine
pubblico; in tale caso può esservi la sospensione, espressa, di alcuni diritti costituzionali tra quelli indicati
nell’art. 55 - libertà personale, di domicilio, segretezza delle comunicazioni private, libertà di
circolazione e soggiorno, di manifestazione del pensiero e di informazione, di riunione, diritto di sciopero
e di conflitto sindacale. Il grado più severo è lo Estado de Sitio, deliberato a maggioranza assoluta del
Parlamento, con sospensione ancor più significativa dei diritti sopra elencati, quando si verifichi o
un’insurrezione o un atto di forza contro la sovranità o l’indipendenza nazionale, l’integrità territoriale o
il suo ordinamento costituzionale.
129
ristabilimento della normalità costituzionale. Vi è poi uno strumento ordinario di
gestione delle emergenze, ossia una facoltà per il Governo di adottare decreti-legge in
casi eccezionali di necessità e urgenza e nelle materie per le quali non sia prevista una
riserva di legge formale del Parlamento, da sottoporre subito alla conversione in legge
del Parlamento entro termini molto brevi (cfr. art. 198 Cost. portoghese)543.
L’art. 103 della Costituzione del 1983 dei Paesi Bassi prevede che sia la legge a
determinare i casi nei quali lo stato di eccezione può essere proclamato con decreto
reale al fine di mantenere la sicurezza interna o esterna e a regolarne le conseguenze. In
tali casi è consentita la deroga a taluni diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.
Un ultimo modello non prevede invece alcuna sospensione né deroga alle norme
costituzionali fuori dello stato di guerra, disciplinando invece il ruolo ordinario della
decretazione d’urgenza: solo durante lo stato di guerra si ammettono espressamente
determinate deroghe alle norme costituzionali. Ciò avviene in Italia, Austria, Belgio,
Lussemburgo, Danimarca, Svezia: in taluni paesi è espressamente previsto il divieto di
sospensione di norme costituzionali - Belgio (art. 108 e 187 cost.) e Lussemburgo (art.
34 e 113 cost.) -; in altri la Costituzione espressamente prevede la possibilità per il
Governo di adottare appositi provvedimenti provvisori aventi valore di legge in casi di
necessità e di urgenza, provvedimenti da convertirsi in legge dal Parlamento in tempi
brevissimi – art. 77 cost. italiana, art. 23 Cost. Danimarca, art. 18 cost. Austria, cap.
VIII art. 7 cost. Svezia.
5 Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze
Il modello statunitense di gestione delle emergenze prevede deroghe costituzionali
limitate e nominate, ampi poteri presidenziali e del Congresso, rimanendo oscillante
ruolo di controllo della Corte Suprema544
La Costituzione degli USA consente la sospensione dell’habeas corpus quando
ciò è richiesto dalla sicurezza pubblica in caso di rivolta o di invasione (art. 1, sez. 9) 545,
prevede limitazioni al diritto di proprietà previa disciplina legislativa (III^
emendamento) e consente deroghe al diritto di difesa dei militari in tempo di guerra o di
pericolo pubblico (V^ emendamento) se lo esige la pubblica sicurezza.
I vari Presidenti ne fecero usi più o meno disinvolti, spesso arginati dalla
giurisprudenza della Corte suprema che ha concorso a meglio precisare il sistema546.
Di contro, per le situazioni di emergenza che coinvolgono soltanto uno Stato la
decisione di ricorrere alla martial law e di sospendere l’habeas corpus è di competenza
di ogni Stato federato e la Corte esige che la proclamazione della martial law debba
essere giustificata ragionevolmente in base alle circostanze del caso concreto.
In ogni caso nell’ordinamento costituzionale statunitense, a parte i poteri di guerra
di cui dispone il Presidente anche in qualità di comandante supremo delle Forze armate,
se, quando e fino a quando il Congresso glielo consente (ai sensi del War power Act del
543
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 110.
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 60.
545
Art. 1 sez. IX: 1. … 2. Il privilegio dell'habeas corpus non sarà sospeso se non quando, in caso di
ribellione o di invasione, lo esiga la sicurezza pubblica. 3…”.
546
Cfr. BIN, Democrazia e terrorismo, cit..
544
130
1973), nei casi di altre emergenze si applicano eventuali leggi abilitanti l’uso di
strumenti derogatori alle leggi vigenti547.
La Costituzione statunitense tuttavia, pur evocando la possibilità di uno stato
d’eccezione, non individua il dominus di tale emergenza. Al contrario, sulla questione
della titolarità dei poteri di guerra, il testo costituzionale sembra costituire un perenne
«invito al contrasto»548 tra Congresso e Presidente, individuando per entrambi
competenze in materia.
Il primo è infatti coinvolto nell’applicazione di alcune delle citate norme
sull’emergenza549, è titolare di varie competenze specifiche quali il potere di dichiarare
guerra e di stabilire norme per regolare le forme e le procedure di intervento delle forze
di terra e di mare, è titolare infine di una competenza omnibus quale quella derivante dai
poteri impliciti550. Il secondo, d’altro canto, è Comandante in capo dell’esercito551,
titolare monocratico del potere esecutivo552, nonché titolare della competenza generale
sugli affari esteri, considerata tradizionalmente inclusa nello stesso potere esecutivo553.
547
BONETTI, Terrorismo, emergenza e costituzioni democratiche, cit., p. 76.
CHEMERINSKY, Constitutional Law, Aspen Law and Business , New York, 2001, p. 288.
549
Il III emendamento fa esplicitamente riferimento alla legge, mentre la suspension clause relativa alla
sospendibilità del diritto di habeas corpus è contenuta nel art. I della costituzione dedicata ai poteri del
Congresso, facendo così propendere la dottrina per la necessità del consenso del Congresso stesso per
l’applicazione della disposizione: sul punto, ACKERMAN B., The emergency constitution, Yale L.J., vol.
113, p. 1053.
550
Art. I, sez. VIII: 1. Il Congresso avrà le seguenti attribuzioni: (….)
11. dichiarare guerra, concedere permessi di preda e rappresaglia e stabilire norme relative alle prede
fatte sulla terraferma e lungo le vie d'acqua;
12. reclutare e mantenere esercìti; ma a questo scopo non si potrà stanziare somma alcuna per un
periodo superiore ai due anni;
13. creare e mantenere una Marina Militare;
14. stabilire norme per regolare le forme e le procedure di intervento delle forze di terra e di mare;
15. predisporre l'intervento della milizia per far applicare le leggi dell'Unione, reprimere le insurrezioni
e respingere le invasioni;
16. procedere ad organizzare, armare, e disciplinare la milizia e regolare le forme di intervento per
quella parte di essa che possa essere impiegata al servizio degli Stati Uniti, lasciando ai singoli Stati il
potere di nomina degli ufficiali e il compito di addestrare la milizia secondo le norme disciplinari
prescritte dal Congresso;
17. esercitare esclusivo potere di legiferare in merito a qualsiasi materia, in quel Distretto (non
eccedente le dieci miglia quadrate) che per cessione di singoli Stati e dietro approvazione del Congresso,
divenga sede del Governo degli Stati Uniti; ed esercitare analoga autorità su tutti i terreni acquistati col consenso dell'organo legislativo dello Stato in cui si trovano - per la costruzione di fortezze, di
depositi, di arsenali, di cantieri e di altri edifici indispensabili;
18. porre in essere tutte le necessarie e opportune per l'esercizio dei poteri di cui sopra, e di tutti gli altri
poteri che la presente Costituzione conferisce al Governo degli Stati Uniti, o a qualsiasi Dicastero o suo
ufficio interno.
551
Art. II, sez. II: 1. Il Presidente sarà Comandante in Capo dell'Esercito, della Marina degli Stati Uniti
e della milizia dei diversi Stati, quando questa sarà chiamata al servizio effettivo degli Stati Uniti; egli
potrà richiedere il parere scritto dei titolari di ciascuno dei Dicasteri dell'esecutivo su ogni argomento
inerente i compiti dei loro rispettivi uffici, e avrà anche facoltà di concedere commutazioni di pena e la
grazia per tutte le infrazioni di legge commesse contro gli Stati Uniti, salvo nel caso dei procedimenti di
cui all'Art. II, Sez. IV. (…) .
552
Art. II, sez. I: 1. Il potere esecutivo sarà conferito a un Presidente degli Stati Uniti d'America. Egli
rimarrà in carica per un periodo di quattro anni e la sua elezione - insieme a quella del Vicepresidente
prescelto per lo stesso periodo - avrà luogo secondo le modalità seguenti:…
553
Indicazioni in questo senso provengono anche dalla Corte suprema: v. United States v. Curtiss-wright
Export. Corp., 299 U.S. 320 (1936). Sul tema dei ruoli di Presidente e Congresso sugli affari esteri si veda
548
131
L’ampio potere che la prassi ha riconosciuto al Presidente sembra attenuarsi,
tuttavia, con due interventi legislativi che mirano a procedimentalizzare la gestione delle
emergenze e aumentare i controlli congressuali sull’esecutivo554, ma nella prassi, per il
vero, tali provvedimenti hanno incidenza molto ridotta. Le dichiarazioni presidenziali
d’emergenza vengono infatti adottate con grande frequenza (ben quaranta in
trent’anni)555, anche dinanzi a situazioni la cui gravità appare discutibile; la relazione
del governo alle Camere è di fatto una mera formalità e il Congresso non utilizza mai la
possibilità di votare la cessazione dello stato d’eccezione556.
Il modello di gestione delle emergenze si sostanzia, in definitiva, nella delega al
Presidente che, nel corso degli anni, ha utilizzato tale modus procedendi per
fronteggiare l’immigrazione, per controllare impianti energetici, per eseguire arresti
tramite militari e, ovviamente, per contrastare il terrorismo.
Ed infatti, all’indomani del crollo delle Twin Towers, il 14 settembre 2001, il
Presidente Bush ha emesso una dichiarazione d’emergenza, seguendo il procedimento
previsto nel National Emergency Act. Di qualche giorno successivo è il provvedimento
del Congresso, l’Authorization for Use of Military Force, che autorizza il Presidente a
“usare tutta la forza necessaria e opportuna contro quelle nazioni, organizzazioni, o
persone che egli ritenga abbiano pianificato, autorizzato, commesso o aiutato gli
attacchi terroristici”557.
In nome dell’esigenza di tutela della democrazia e della libertà dalla minaccia del
terrorismo, la c.d. teoria Bush giustifica non solo le scelte di politica estera, come
l’attacco all’Afghanistan, ma anche scelte di politica interna che comportano un
rafforzamento dei poteri degli organi pubblici, come verrà argomentato
successivamente, rivolgendosi a tutti i paesi liberi: “This is not, however, just America's
fight. And what is at stake is not just America's freedom. This is the world's fight.
This is civilization's fight. This is the fight of all who believe in progress and pluralism,
tolerance and freedom” 558. “The terrorists believe that free societies are essentially
corrupt and decadent, and with a few hard blows they can force us to retreat. They are
anche RIESENFELD, The Power of Congress and the President in International Relations: Three Recent
Supreme Court Decisions, 87 Cal. L. Rev. 786, 1999.
554
Nel 1976 e nel 1977 vengono adottati rispettivamente il National Emergency Act e l’International
Emergency Economic Powers Act. I due provvedimenti fissano, fra l’altro, una procedura che mira a
creare maggiore trasparenza e quindi maggior controllo: per instaurare uno stato d’emergenza occorre una
dichiarazione del Presidente degli Stati Uniti; quest’ultimo deve poi sottoporre una relazione al Congresso
con le motivazioni di tale dichiarazione, ed entro sei mesi ogni Camera deve riunirsi per valutare
l’opportunità di far cessare l’emergenza stessa. Se dopo un anno tale emergenza non viene ufficialmente
rinnovata dal Presidente, essa cessa automaticamente e inoltre, in ogni momento, il Congresso può
adottare una joint resolution (proposta di legge approvata dai due rami del Congresso) per interromperla.
Per la disciplina delle emergenze si ricordi anche il War Powers Act del 1973 con cui il Congresso nel
1973 aumentò i suoi controlli sull’attività del Presidente in occasione dell’invio di forze armate all’estero:
sui tre provvedimenti si veda fra gli altri: BENAZZO, L’emergenza nel conflitto fra libertà e sicurezza,
Torino, 2004, p. 121ss.; TONIATTI, L’ordinamento costituzionale della difesa e degli stati di crisi negli
Stati Uniti d’America, in DEVERGOTTINI (a cura di), Costituzione della difesa e stati di crisi, Rivista
militare, Roma, 2002,p. 339ss.; CHEMERINSKY E., Constitutional Law, p. 288ss.
555
Dopo l’adozione del National Emergency Act, tra 1976 e 2006, vengono adottate 40 dichiarazioni di
stato di emergenza. Sul punto si veda il dossier dell’ Ufficio Studi del Congresso: RELYEA, National
Emergency Powers, 30 agosto 2007, reperibile in www.fas.org
556
LOBEL, Emergency Power and the Decline of Liberalism, Yale L.J., vol. 98, pp. 1386ss.
557
Authorization for Use of Military Force, Public Law 107-40, sez. 2
558
BUSH, estratto dal discorso tenuto il 20 settembre 2001, www.whitehouse.gov
132
mistaken. After September the 11th, I made a commitment to the American people: This
nation will not wait to be attacked again. We will defend our freedom. We will take the
fight to the enemy”.559
Dopo poco più di un mese dall’attacco al cuore degli USA, il Congresso ha
approvato il Patriot Act, con numerose misure limitative di diritti costituzionali. Fra
queste, si ricorda il fermo fino a 7 giorni per stranieri sospettati di legami con cellule
terroristiche, senza l’obbligo per le autorità governative di formulare accuse o ottenere
provvedimenti di convalida da parte dell’autorità giudiziaria; la detenzione illimitata
dello straniero in attesa di espulsione se sospettato di attentare alla sicurezza nazionale;
il forte incremento delle c.d. «lettere di sicurezza nazionale» con cui, senza alcuna
autorizzazione giudiziaria, gli ufficiali della polizia federale possono ottenere da terzi,
come compagnie telefoniche, internet provider e banche, informazioni su sospettati560.
Successivamente, il13 novembre 2001, il Presidente ha adottato un military order
relativo a “Detenzione, trattamento e processo di alcuni non cittadini nella guerra al
terrorismo”561, che costituisce il fondamento normativo sia per la detenzione dei sospetti
terroristi nel campo di Guantanamo, sia per il loro processo davanti a tribunali speciali.
5.1 Il doppio binario
Già all’indomani dell’11 settembre la parola d’ordine dell’amministrazione
statunitense è stata quella della guerra al terrorismo: coerentemente, sono ispirate ad una
logica bellica le azioni dell’amministrazione Bush, sia sul piano degli interventi armati
in Afghanistan e in Iraq, sia con la predisposizione di procedure ad hoc per gli enemy
comatants, volte a sottrarre i sospetti terroristi alle ordinarie garanzie del diritto penale.
Si delinea, così, un doppio sistema562: il diritto penale ordinario è stato pressoché
emarginato dall’ambito della lotta al terrorismo, mentre si sono create fattispecie ad hoc
a sanzionare la partecipazione e qualsiasi forma di sostegno alle organizzazioni, e la
punibilità è stata anticipata a numerose condotte meramente preparatorie563.
559
BUSH, estratto dal discorso tenuto il 28 giugno 2005, www.whitehouse.gov
Il Patriot Act ha aumentato enormemente la possibilità di emettere national security letters; prima di
tale provvedimento esse potevano essere utilizzate solo in riferimento a una potenza straniera o a un suo
agente, mentre ora possono essere emesse per cittadini statunitensi, residenti e società americane.
Il Patriot Act ha inoltre aumentato il numero di persone che possono adottare questi provvedimenti poichè
prima dovevano provenire dagli uffici principali dell’FBI, mentre ora in ogni ufficio di tale corpo
investigaivo vi è un agente preposto a tale funzione. Per ulteriori dettagli si veda DORF, The FBI's
Misuse of National Security Letters Reveals the Often-False Dichotomy Between Security and Privacy, 14
marzo 2007, in www.findlaw.com.
561
66 Fed. Reg. 57833 testo consultabile su www.whitehouse.gov.
562
Per il vero, il sistema di contrasto al terrorismo degli Stati Uniti ha origini anteriori all’11 settembre.
Già fal 1978 le indagini in argomento sono accentrate a livello federale, e il governo centrale può disporre
intercettazione e acquisizione di tabulati senza autorizzazione giudiziale. Dal 1966 l’esecutivo ha anche
assunto la competenza in ordine all’irrogazione di sanzioni, e il dipartimento di stato forma e aggiorna
liste nere di organizzazioni ritenute pericolose per la sicurezza dei cittadini e della nazione senza alcun
controllo giudiziale. All’inserimento in tali liste può conseguire il congelamento dei beni e, per gli
stranieri, l’impossibilità di ottenere il visto d’ingresso, ovvero l’espulsione, nonché la detenzione
amministrativa nelle more del procedimento di espulsione. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo
negli statiuniti: inter armas silent leges? , in RIDPP , 2005, 751
563
Come ad esempio il semplice possesso di prodotti tossici o biologici, ovvero l’addestramento preso
organizzazioni straniere. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent
leges?, cit., 758.
560
133
L’essenza del doppio binario può sintetizzarsi così: il delinquente “ordinario”
rientra nella competenza del dipartimento della Giustizia, viene giudicato da tribunale
penale ordinario; il combattente nemico rientra nella competenza del dipartimento della
Difesa e viene giudicato da corti militari, sulla base di diritto sostanziale e processuale
creato ad hoc (executive order 13/11/01 e military order 30/11/03).
L’inquadramento dell’attentato come atto di guerra, e l’inserimento dei terroristi
tra i nemici combattenti ha infatti comportato la concessione al Presidente di poteri di
guerra, in forza dei quali si sono istituite speciali corti militari, con l’effetto di sottrarre i
presunti terroristi alla giurisdizione delle corti ordinarie564. Detti prigionieri possono
rimanere in stato di detenzione amministrativa, nel limbo giuridico delle prigioni di
Guantanamo, a tempo indeterminato565, senza alcun obbligo, per il governo, di
formulare le imputazioni in tempi ragionevoli. Anche le regole processuali predisposte
non danno alcune delle fondamentali garanzie del processo ordinario: la difesa degli
imputati è affidata a difensori d’ufficio nominati dal Governo; udienze e prove
rimangono segrete; possono essere ammesse in giudizio prove comunque raccolte,
anche a esito di tortura; la pena di morte può venire irrogata a sola maggioranza e
l’ultima parola in ordine all’esecuzione spetta al Presidente.
Quanto agli strumenti investigativi tradizionali, sul presupposto del IV
emendamento è previsto il divieto di perquisizioni e sequestri ingiustificati, gli atti
rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria566; le perquisizioni, in particolare,
rispondono al principio “knock and announce”. Quanto agli strumenti investigativi
straordinari, per le intercettazioni è esteso il potere discrezionale di disporre delle
intercettazioni ambientali, mentre le perquisizioni domestiche rispondono al principio
sneak and peek.
Vi sono regole probatorie straordinarie, volte a mantenere la segretezza delle
prove raccolte.
I combattenti nemici vengono sottratti anche alle procedure per i combattenti
legittimati e, quindi, tra le altre, alle garanzie della Convenzione di Ginevra. I
combattenti nemici, ritenuti tali per il mero collegamento con organizzazioni
terroristiche567, possono essere detenuti senza specifiche imputazioni, sono sottoposti a
severi interrogatori, non hanno accesso agli atti del processo né diritto ad un difensore
di fiducia, né possono invocare l’habeas corpus.
La Corte suprema, per il vero, sta tentando di ripristinare un livello minimo di
garanzie568.
564
Con la sola eccezione del processo celebrato contro Massaoui, sospettato di essere il ventesimo
dirottatore e condannato all’ergastolo da una corte ordinaria. VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo
negli statiuniti: inter armas silent leges? , cit., 771.
565
VERVAELE, La legislazione anti-terrorismo negli statiuniti: inter armas silent leges?, cit.,778.
566
Le intercettazioni ordinarie, richieste dall’FBI, sono di competenza del giudice federale; quelle per la
sicurezza nazionale, richieste dala CIA, sono vagliate dalla FISC.
567
Solo dal 2004 sono stati istituiti tribunali per il riesame dello status di combattente nemico, composti
da un collegio di 3 ufficiali militari, avanti il quale il detenuto compare con un rappresentante personale,
ufficiale anch’esso. Il collegio giudica sulla base della prevalenza delle prove, e non ci sono vincoli
all’istruzione probatoria (vale anche la prova per dicerie). In ogni caso, il Tribunale non ha il potere di
rilasciare il detenuto.
568
MIRAGLIA, Una nuova normalità: metamorfosi della giustizia penale statale dopo l’11 settembre, in
Cass. pen., 2005, 2825.
134
5.2 I patriot Act e la legislazione d’emergenza
Il 25 ottobre del 2001 il Senato americano ha approvato lo “Uniting and Strenghtening
America by Providing Appropiate Tools Required to Intercept and Obstruct Terrorism Act of
2001” più noto come USA Patriot Act569. In nome della sicurezza nazionale, tale legge aumenta
la possibilità, per gli organi di polizia, di intercettare le comunicazioni via telefono o computer,
di eseguire perquisizioni all’interno di abitazioni o uffici all’insaputa del proprietario, di
prelevare da biblioteche, istituti di credito, ospedali, scuole documenti riguardanti aspetti
strettamente personali di qualsiasi individuo, dalle sue condizioni di salute, alla sua situazione
economica, ai libri che legge, e consente al governo di detenere, in presenza di particolari
condizioni, senza limiti di tempo, lo straniero che abbia violato le leggi sull’immigrazione o sia
ritenuto una minaccia per la sicurezza nazionale570.
Inoltre, come visto il Patriot Act autorizza la carcerazione a tempo indeterminato, senza
processo o capi d’accusa, di stranieri sospetti di terrorismo, installando un generale sistema di
sorveglianza della popolazione. Alcune di queste misure di controllo sono permanenti, altre
sono state inizialmente votate per un periodo di quattro anni.
Quanto alle modifiche del PA sulla procedura vigente, se ne analizzano solamente i tratti
fondamentali.
5.3 Gli strumenti investigativi
La disciplina dell’intercettazione delle comunicazioni telefoniche, orali o elettroniche
anteriore all’11 rispondeva all’esigenza, individuata dalla Corte Suprema, che la tutela dei
cittadini nelle proprie case, fosse estesa anche alle intercettazioni ambientali, per le quali, in
linea di massima, era necessaria l’autorizzazione di un giudice che ne valutasse l’effettiva
necessità e ne disciplinasse le forme minime; le procedura, nel caso di sospetto di terrorismo
internazionale, erano meno rigide, se dettate dallo “scopo unico” di ottenere foreign intelligence
information571.
La sezione 218 del Patriot Act, invece, sostituisce il concetto di “unico scopo” con quello
di “scopo significativo”572, cosicché la FISA Court573, può autorizzare addirittura la sorveglianza
di cittadini americani purchè tale sorveglianza sia finalizzata ad ottenere informazioni
spionistiche.
569
Le 342 pagine dello USA Patriot Act sono disponibili in numerosi siti internet, tra i quali
www.aclu.org. Il PA è costituito da dieci sections. Le prime due forniscono maggiore capacità di
incisione agli organi inquirenti nel recupero di prove del reato nei settori della comunicazione via cavo e
via etere; la terza emenda le leggi relative al riciclaggio monetario, con particolare riguardo alle attività
internazionali ed emenda anche il bank secrecy act; la quarta modifica la legislazione relativa
all’immigrazione al fine di prevenire la penetrazione di terroristi stranieri negli USA; la quinta e la
settima mirano a facilitare la lotta al terrorismo; la sesta interviene in favore delle vittime del terrorismo e
delle loro famiglie; l’ottava crea nuove fattispecie di reato o aumenta le pene relative agli atti di
terrorismo; la nona rafforza l’attività di intelligence; nella decima si trovano interventi vari.
570
Sulla procedura di approvazione del Patriot Act, si veda American Library Association, Cronology of
the USA Patriot Act, 2001 in www.ala.org.
571
THAMAN, L’impatto dell’11 settembre sulla procedura penale americana, in CP, 2006, 1, p. 251
572
USA Patriot Act, sec. 218 : FOREIGN INTELLIGENCE INFORMATION, “Sections 104(a)(7)(B)
and section 303(a)(7)(B) (50 U.S.C. 1804(a)(7)(B) and 1823(a)(7)(B)) of the Foreign Intelligence
Surveillance Act of 1978 are each amended by striking `the purpose' and inserting `a significant purpose'.
In www.epic.org.
573
Corte federale speciale composta da giudici federali provenienti da vari distretti. Nella sua
configurazione originaria la FISA Court era composta da sette giudici federali, provenienti dai sette
distretti giudiziari, in seguito al Patriot At del 2001 il numero dei componenti della corte speciale è stato
aumentato a undici. Si veda il 50 U.S.C. § 1803 in www4.law.cornell.edu.
135
Quanto ai “pen registers and trap and trace devices”574, ossia la sorveglianza limitata ai
tabulati telefonici che non si estende al contenuto delle conversazioni, a seguito della modifica
introdotta dalle sezioni 214 e 216 del Patriot Act, è stata disposta la tracciabilità di tutti i mezzi
elettronici cui può essere applicato un apparecchio di controllo: in sostanza l’FBI può verificare i
siti visitati da ogni cittadino americano e i destinatari delle sue e-mail, sulla base di una richiesta
al Giudice senza troppe formalità, e diviene così possibile raccogliere, attraverso la verifica dei
documenti scaricati da qualsiasi cittadino notizie in merito alla sua personalità o ai suoi gusti.575.
In merito al contenuto delle comunicazioni interpersonali, la sezione 103 del Patriot Act II
estende la “wartime exemption”576 estendendo l’esenzione da responsabilità ad ogni ufficiale che
agisca in ottemperanza ad un ordine del giudice577, anche a colui che agisca, sempre in veste
ufficiale, in nome del Presidente o dell’Attorney General 578.
La sez 104 del Patriot Act II consente, poi, all’Attorney General, in assenza di una previa
autorizzazione giudiziale, la possibilità di ascoltare qualsiasi conversazione, all’interno degli
Stati Uniti, tramite telefoni, computer, o altri apparecchi elettronici di proprietà di Governi
stranieri o organizzazioni internazionali579.
Quanto alle informazioni sulla personalità di un individuo, viene incrementata la
possibilità, per la polizia federale, di prendere visione, nel corso di indagini sul terrorismo, di
registri di scuole, università, biblioteche, centri medici, istituzioni finanziarie, e riguardanti
elementi di particolare rilevanza nella determinazione della personalità di un individuo, dalla sua
situazione economica, alle sue situazioni di salute, ai suoi gusti in materia di libri: anche in tal
caso la sezione 215 del Patriot Act, ha eliminato i limiti esistenti580 all’esercizio del potere,
escludendo solamente le produzioni documentali inerenti le attività dei cittadini americani
tutelate dal I emendamento581 della Costituzione americana. In altre parole, si consente all’FBI di
procedere al sequestro di beni materiali semplicemente certificandone la rilevanza ai fini delle
indagini, senza obbligo di dimostrare che la persona in merito alla quale si cercano le
informazioni ha commesso un qualche reato né che essa sia di nazionalità straniera, e impone,
altresì la segretezza delle indagini anche nei casi nei quali non vi siano reali esigenze582.
La sezione 128 del Patriot Act consente all’Attorney General, di procedere
autonomamente alla citazione di testimoni, indicando a questi ultimi i documenti e, più in
574
Titolo 18, parte II, capitolo 206 in www4.law.cornell.edu.
Sull’applicazione ad internet delle “pen registers searches” e più in generale sul conferimento al
Governo di nuovi poteri di sorveglianza, si veda American Civil Liberties Union, Surveillance under the
USA Patriot Act , in www.aclu.org.
576
prevista dalla FISA in caso di dichiarazione di guerra approvata dal Congresso consente all’Attorney
General di autorizzare la sorveglianza elettronica senza previa autorizzazione giudiziale per un termine
massimo di quindici giorni
577
“It is a defence to a prosecution under subsection (a) of this section that the defendant was a law
enforcement or investigative officer engaged in the course of his official duties and the electronic
surveillance was authorized by and conducted pursuant to a search warrant or court order of a court of
competent jurisdiction.” Titolo 50, capitolo 36, § 1809 in www4.law.cornell.edu.
578
Per le critiche rivolte a questa legge si veda www.aclu.org.
579
USA Patriot Act, sec. 104 in www.epic.org.
580
“sezione 501 del Foreign Intelligence Surveillance Act The Director of the Federal Bureau of
Investigation or a designee of the Director (whose rank shall be no lower than Assistant Special Agent in
Charge) may make an application for an order requiring the production of any tangible things (including
books, records, papers, documents, and other items) for an investigation to obtain foreign intelligence
information not concerning a United States person or to protect against international terrorism” Titolo
50, capitolo 36, § 1862 in www4.law.cornell.edu.
581
I emendamento “Il Congresso non può fare leggi rispetto ad un principio religioso, e non può proibire
la libera professione dello stesso: o limitare la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di
riunirsi pacificamente in assemblea, e di fare petizioni al governo per riparazione di torti.”
582
USA Patriot Act sec. 215, lett d): “No person shall disclose to any other person (other than those
persons necessary to produce the tangible things under this section) that the Federal Bureau of
Investigation has sought or obtained tangible things under this section.”
575
136
generale, i mezzi di prova che hanno l’onere di produrre, nonché imponendo la segretezza,
mentre l’intervento del giudice è solo residuale, ossia condizionato alla contumacia del testimone
o al suo rifiuto di comparire.
La sezione 213 amplia i poteri degli organi investigativi che possono svolgere le c.d.
“sneak and peek searches”, ossia possono ottenere mandati che consentano di entrare
segretamente all’interno di immobili o uffici, di effettuare perquisizioni, fotografare documenti,
copiare file, eventualmente sequestrare beni, senza notificare all’interessato la loro presenza se
non in un momento successivo, fissato dal giudice al momento dell’emissione del mandato, ma
prolungabile tutte le volte in cui si ritenga opportuna una proroga.
Mentre prima del 2001 la disciplina in tema di perquisizioni, in linea di massima,
imponeva all’agente incaricato di rilasciare una copia del mandato al soggetto attenzionato (cui
era stato sottratto il bene e nell’abitazione del quale era avvenuto il sequestro)583, oggi i giudici
hanno molta più libertà nel’emettere mandati per entrare segretamente nelle abitazioni dei
cittadini americani ed prelevarvi tutto ciò che gli organi inquirenti ritengono, tanto che ormai
sono da considerarsi eccezione le perquisizioni compiute previa notifica, in ossequio alla regola
41 delle Federal Rules of Civil Procedure584.
5.4 Le deroghe all’habeas corpus
Le norme esaminate in materia di riservatezza riguardano sostanzialmente tutti i residenti
negli Stati Uniti, indipendentemente che abbiano o meno la cittadinanza americana. Invece, la
disciplina che amplia i poteri del Governo in tema di arresto e detenzione dei sospetti terroristi
riguarda quasi esclusivamente cittadini stranieri sospetti terroristi.
Prima del PA, si riteneva, in ossequio all’ habeas corpus585, che al detenuto spettasse
impugnare la decisione di detenzione davanti ad un giudice federale, indipendentemente dal
fatto che il suo ingresso negli Stati Uniti fosse legale o meno, in quanto la clausola del Due
Process of Law, sancita dal V emendamento586, facendo riferimento espresso alla persona, e
non al cittadino, tutela chiunque si trovi, legalmente o illegalmente, in territorio americano587.
Nella legge del 2001, la sezione 412 consente all’Attorney General di porre in stato di
detenzione qualsiasi straniero che egli ritenga coinvolto in attività terroristiche, o, comunque,
tali da mettere in pericolo la sicurezza nazionale, senza contestargli alcun reato per un termine
massimo di sette giorni; trascorso questo lasso di tempo, al detenuto deve essere contestato il
reato che si ritiene abbia commesso, iniziando, così, il procedimento per definire l’ espulsione
dal territorio americano. La normativa, però, non prevede tutela per lo straniero che, definito il
procedimento, riesca invece a mantenere il diritto di rimanere negli Stati Uniti. In questo caso,
583
Rule 41 delle Federal Rules of Criminal Procedure in www.law.cornell.edu.
Si veda in questo senso University of Georgia, Sneek and Peek Search Warrants and the USA Patriot
Act, in www. Law.uga.edu.
585
Nel sistema anglosassone di common law, si indica, con la locuzione habeas corpus (trad. lat.
ordiniamo che tu abbia il corpo) l'ordine emesso da un giudice di portare un prigioniero al proprio
cospetto. Con tale espressione si fa riferimento, più in generale, al diritto in base al quale una persona può
difendersi dall'arresto illegittimo di se stessa o di un'altra persona.
586
V emendamento “Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato, che comporti la pena capitale, o che sia
comunque grave, se non per denuncia o accusa fatta da una grande giuria, a meno che il caso riguardi
membri delle forze di terra o di mare, o della milizia, in servizio effettivo, in tempo di guerra o di
pericolo pubblico; e nessuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo reato, a un
procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in
qualsiasi causa penale, a deporre contro se medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o
dei beni, senza un giusto processo; e nessuna proprietà privata potrà essere destinata a uso pubblico,
senza equo indennizzo”.
587
“The Fifth Amendment's Due Process Clause forbids the Government to "depriv[e]" any "person ... of
... liberty . . . without due process of law." Freedom from imprisonment--from government custody,
detention, or other forms of physical restraint--lies at the heart of the liberty that Clause protects”.
584
137
infatti, l’Attorney General ha il potere di trattenere quest’ultimo in stato di custodia per un
periodo indefinito di tempo, qualora ritenga, discrezionalmente, che costituisca ancora una
minaccia per la sicurezza nazionale o l’incolumità fisica di una persona o di una comunità. Al
detenuto viene però espressamente consentito di impugnare siffatta decisione attraverso il
procedimento dell’habeas corpus davanti alla Corte Suprema o alla Corte distrettuale
competente, ma il riferimento ad un concetto talmente vago quale le minaccia alla sicurezza
nazionale, in assenza di indizi gravi, precisi e concordanti relativi alla commissione attività
terroristiche, sembra estendere la discrezionalità del giudice di autorizzare il provvedimento
dell’Attorney General.
A questo proposito, va segnalato il Military Order588 del 13.11.2001 (cui si aggiunge
quello del 21.03.2002 e le nove militar instruction tra il 30 aprile e il 26 dicembre 2003)589,
diretto ad istituire un tribunale militare i cui membri devono essere nominati dal Segretario
della Difesa, in conformità ai principi contenuti nell’Order e che, in merito al potere detentivo
del Governo, consente al Segretario della Difesa di procedere, per un periodo indefinito di
tempo, alla detenzione di cittadini stranieri ritenuti terroristi dal Presidente, senza contestare
loro alcun reato.
Detto Military Order crea poi una procedura speciale per gli stranieri sospettati di aver
esercitato attività terroristiche, sul presupposto della gravità della minaccia alla sicurezza
nazionale e del rischio del loro ripetersi, nonché sul presupposto che, per proteggere i cittadini
da così gravi pericoli, sia indispensabile l’utilizzo di forze armate non solo ai fini
dell’identificazione, ma anche nella fase di giudizio dei terroristi. L’esecutivo ha il potere di
nominare non solo i giudici, ma anche i pubblici ministeri ed inoltre rimane, nella persona del
Segretario della Difesa o dello stesso Presidente, l’unico organo che può rivedere, in sede
d’appello, la sentenza emessa dalla Commissione militare giudicante, dato l’espresso divieto
imposto al detenuto di rivolgersi ad un qualsiasi giudice ordinario, statunitense o straniero, o ad
un qualsiasi tribunale internazionale.
Anche il Patriot Act II stabilisce significativi livelli di segretezza relativamente alle
indagini sul terrorismo e ai soggetti coninvolti.
Si ricorda ancora la sezione 302 PA II che consente all’Attorney General di sottoporre i
detenuti che egli stesso ha qualificato come terroristi al prelievo di tessuti ematici per ottenere il
loro DNA da inserire in un apposito database, anche prima di una sentenza di condanna590.
5.5 La normalizzazione dell’emergenza
Il Patriot Act è stato votato molto rapidamente, mentre non altrettanto è avvenuto
per il suo rinnovo, al quale i senatori contrari si sono opposti anche con il ricorso a
pratiche ostruzionistiche, dilatandone notevolmente la discussione parlamentare sul
contenuto. Tuttavia le poche modifiche inserite nel corso delle procedure per il rinnovo
della legge non servono a ristabilire l’equilibrio in favore del potere giudiziario, non
essendo riusciti gli oppositori ad inserire misure di controllo che garantissero le libertà
individuali. Alla fine, infatti, ben 14 delle misure temporanee adottate nel 2001 sono
divenute disposizioni permanenti591.
Ad esempio sono state stabilizzate le tecniche d’inchiesta previste dall’articolo
213, tecniche molto invasive, denominate sneak and peek, di perquisizioni domiciliari
in assenza di previa autorizzazione del tribunale e di tempestiva notifica all’interessato.
588
Il President Military Order è reperibile nel sito internet della Casa Bianca, www.whitehouse.gov.
CERQUA, Profili processuali della legislazione antiterrorismo u.s.a.: brevi cenni, in CP, 2006, 5, p.
1954.
590
Norma simile, come si vedrà, era stata prevista anche nell’ordinamento Italiano.
591
COYLE, Patriot Act heads for renewal, in The National Law Journal, 1 Agosto 2005589
138
Detta notifica, che inizialmente poteva venire rinviata sine die, su autorizzazione di un
giudice, con il rinnovo del Patriot Act, deve avvenire in 30 giorni592.
Altra procedura permanente prorogata è quella prevista dalla clausola 505 che
ampia la prassi delle “lettere di sicurezza nazionale”, una forma di citazione
amministrativa che dà accesso a dati personali, medici, finanziari, ai dati delle agenzie
di viaggio, di noleggio autovetture, dei casinò, delle biblioteche.
5.6 Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema
Le prime pronunce della Corte Suprema in tema sono del giugno 2004. Si tratta
dei casi Hamdi v. Rumsfeld593 e Rasul v. Bush594. La prima decisione concerne la
possibilità di contestare davanti a un tribunale la qualifica di enemy combatant595
assegnata dall’esecutivo.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha sostenuto la non impugnabilità, davanti
a un tribunale, della dichiarazione presidenziale che attribuisce lo status di combattente
nemico. La Corte Suprema ha statuito invece che tale diniego rappresenta una
violazione del V emendamento, relativo al due process of law596, precisando altresì che
va operato un bilanciamento tra le garanzie individuali e la sicurezza collettiva
seguendo il c.d. Mathews test597, nella consapevolezza che ciò si traduce in un
592
Sen. John E. Senunu, Patriot Act deal balances liberty, security, Washington Memo, 12 febbraio
2006.
593
542 U.S. 507 (2004) in www.law.cornell.edu.
594
542 U.S. 466 (2004) in www.law.cornell.edu . La terza decisione del giugno 2004, Rumsfeld v. Padilla
(542 U.S. 507), non ha rappresentato invece una decisione di censura nei confronti del Governo. Al
contrario la Corte Suprema ha avallato la teoria sostenuta dal governo secondo cui la il giudice
competente a giudicare sulle istanze di habeas corpus dei combattenti nemici di nazionalità americana
muta con il mutare del luogo in cui il detenuto viene trasferito, permettendo così un «forum shopping» da
parte del Governo: cfr. DWORKIN, Corte suprema e garanzie nel trattamento dei terroristi, in Quad.
cost. 2005, p. 912. Sulle tre decisioni del 2004 v. anche LANCHESTER, La Corte suprema e
l’emergenza, in www.associazionedeicostituzionalisti.it.
595
Gli enemy combatants sono i combattenti nemici illegali, figura giuridica con cui il governo
statunitense indica tutti coloro che, cittadini o meno, abbiano presunti legami con Al Qaeda. I
«combattenti nemici» non appartengono alla categoria dei civili perchè svolgono attività belliche, ma
contemporaneamente non sono militari perchè non fanno parte di alcun esercito statale. Ai combattenti
nemici, conseguentemente, non si applicano le garanzie né degli uni nè degli altri: tutte le Convenzioni di
Ginevra, in particolare, risultano inapplicabili. La definizione di enemy combatant comparirà in un
documento ufficiale solo nel 2004, all’interno di un’ordinanza del Dipartimento della Difesa del 7 luglio
che ha istituito i Combatant Status Review Tribunals. Una nuova definizione più ampia, degli unlawful
enemy combatants comparirà nel Military Commission Act del 2006. Sull’uso di tale termine cfr. BASSU,
La legislazione antiterrorismo e la limitazione della libertà personale in Canada e negli Stati Uniti, in
GROPPI (a cura di), Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre 2001,
Napoli, 2006, p. 425 e ss.
596
Il V emendamento prevede che il governo federale non possa privare “alcuna persona della vita, della
libertà o delle sue proprietà, senza due process of law”. Il due process appresta a sua volta due tipi di
protezioni. Una è il “procedural due process”, che fa riferimento alle procedure che i poteri pubblici
devono seguire per privare qualcuno della vita, della proprietà, della libertà. La seconda garanzia è il
“substantive due process”, in base al quale il governo deve avere adeguate ragioni per privare qualcuno
della vita, della proprietà, della libertà. Il primo aspetto riguarda le procedure che devono essere seguite
per limitare i diritti dei cittadini, mentre il secondo richiede sufficienti giustificazioni per limitarli. Cfr.
CHEMERINSKY, cit., p. 451.
597
Così definito perchè elaborato nel caso Mathews v. Eldridge, 424 U.S. 319 (1976) in
www.law.cornell.edu.
139
bilanciamento tra il rischio di limitare la libertà di un incolpevole e la mera probabilità
di accrescere la sicurezza collettiva598.
La Corte garantisce la possibilità di contestare, davanti a un giudice neutrale, le
assunzioni del governo599 e rivendica così il ruolo del potere giudiziario negli stati
d’emergenza, rigettando «l’asserzione del governo secondo cui il principio della
separazione dei poteri impone in queste circostanze un ruolo notevolmente circoscritto
per le corti», e sottolineando, invece, che «lo stato di guerra non è un assegno in
bianco per il Presidente»600.
Affermato il diritto di ricorrere a un giudice per chi sia dichiarato combattente
nemico, la Corte lascia tuttavia residuare ampi margini di autonomia all’esecutivo: la
competenza a giudicare su tale status non deve infatti essere necessariamente affidata a
un tribunale ordinario, ma può essere affidata a una corte «appositamente autorizzata e
opportunamente costituita»601. A ciò si aggiunga l’avvallo di una sostanziale inversione
dell’onere della prova, in maniera da sollevare da tale incombente il governo nei
periodi di conflitti bellici602. Si ritiene infatti che «la Costituzione non sarebbe violata
da una presunzione a favore delle prove del governo, fintanto che questa presunzione
potesse essere superata e fossero fornite adeguate opportunità per farlo»603.
Nel caso Hamdi tuttavia non viene chiarito se il diritto a contestare la qualifica di
combattente nemico appartenga anche agli stranieri detenuti a Guantanamo, oggetto
invece della decisione Rasul v. Bush: la ragione del diniego di habeas corpus, in tal
caso, secondo le corti di merito sarebbe riconducibile, al fatto che i prigionieri si
trovano fuori dal territorio statunitense e sono quindi sottratti alla giurisdizione dei
giudici americani. La Corte Suprema rigetta siffatta ricostruzione e sottolinea che è la
stessa legge federale che disciplina l’habeas corpus ad affermare che le corti federali
distrettuali possono accogliere i ricorsi «che rientrino nelle loro rispettive
giurisdizioni»604. L’elemento dirimente, pertanto, non viene individuato nella presenza
del detenuto sul suolo statunitense, ma nell’ambito di estensione della giurisdizione
degli Stati Uniti d’America; e poichè alla luce dei «termini espliciti del suo accordo
con Cuba, gli Stati Uniti esercitano “giurisdizione e controllo completi” sulla base
navale della Baia di Guantanamo»605, anche su questa deve estendersi la giurisdizione
dei giudici americani606. Non si tratta quindi di una decisione di incostituzionalità, ma
di una mera applicazione di legge ordinaria interpretata estensivamente.
598
V. Hamdi v. Rumsfeld, 542 U.S. 529. L’interesse generale, nel caso di specie, è che coloro che siano
sospettati di coinvolgimento con cellule terroristiche non possano tornare a compiere atti di violenza
contro gli Stati Uniti. Per un approfondimento sul bilanciamento operato in questa decisione dalla Corte
suprema v. ROSENFELD, Judicial balancing in times of stress: la risposta di Stati Uniti, Canada e Israele,
in GROPPI (a cura di), Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre
2001, cit., pp. 121ss.
599
542 U.S. 533 in www.law.cornell.edu.
600
542 U.S. 535-536.
601
542 U.S. 538.
602
542 U.S. 533.
603
542 U.S. 534.
604
28 U.S.C. §§2241 (a), (c) (3) in www4.law.cornell.edu.
605
542 U.S. 480 in cases.justia.com.
606
Nelle sue argomentazioni la Corte Suprema compie un’ulteriore specificazione chiarendo che ciò che
rileva sempre in materia di habeas corpus non è il luogo di detenzione del soggetto, ma piuttosto il fatto
che il custode del detenuto stesso possa essere raggiunto o meno dalla giurisdizione delle corti americane:
v. 542 U.S. 478.
140
Il contenuto della decisione non è tuttavia perspicuo607: la Corte non specifica nè
se la sua giurisdizione si estenda a tutti coloro che sono detenuti dagli Stati Uniti nelle
varie parti del mondo608, nè quali diritti sostanziali abbiano i detenuti di Guantanamo. È
chiaro, tuttavia, che non riconosce un diritto costituzionale ad un giudice, ma solo un
diritto che ha fondamento legislativo nella disciplina dell’habeas corpus..
La deferenza alla interpretazione della legge, anziché una pronuncia di
incostituzionalità, rappresenta la chiave di lettura della terza decisione assunta dalla
Corte suprema nel 2006, Hamdan v. Rumsfeld609. In questo caso la Corte afferma
l’illegittimità delle Commissioni militari, in tanto in quanto istituite in violazione delle
indicazioni legislative esistenti in materia. In sostanza, il Presidente ha la facoltà di
istituire tali commissioni secondo legge (ossia delle norme che il Congresso ha dettato
in materia nello Uniform Code of Military Justice), mentre non ha alcun potere
autonomo di istituzione. In definitiva, le commissioni sono da dichiararsi illegittime per
contrasto con le disposizioni del Codice di giustizia militare, laddove prevedono poteri
coercitivi di ricerca della prova e negano al detenuto la possibilità di partecipare al
processo.
In sostanza, la Corte Suprema agisce con massima cautela, cassando l’operato
dell’amministrazione solo con precisi riferimenti normativi al V emendamento (due
process), ovvero a leggi ordinarie.
Va ancora segnalato che alle due decisioni del giugno 2004, relative agli enemy
combatants, è seguita l’ordinanza del 7 luglio 2004, che ha creato i Combatant Status
Review Tribunals, preposti a giudicare sulla fondatezza dell’attribuzione dello status di
combattente nemico (così da evitare che i detenuti di Guantanamo adissero i tribunali
ordinari)610.
Tale Tribunale non garantisce la neutralità del giudicante, essendo costituito da
ufficiali militari quando militari sono nel contempo anche i difensori, ed, inoltre,
essendo prevista l’utilizzabilità di tutte le prove «che possa ritenere rilevanti e utili per
la risoluzione della questione»611. Nonostante tali caratteristiche, detto organo sembra
in linea con le indicazioni della Corte stessa che, come visto, ha legittimato i tribunali
speciali e le deroghe alle norme ordinarie sull’assunzione delle prove.
607
R. H. Fallon – D.J. Meltzer, Habeas corpus jurisdiction, substantive rights, and the war on terror, 120
Harv. Law. Rev. 2048 (2007)
608
In un punto della decisione la Corte tuttavia distinguendo il caso Rasul dal precedente caso Eisentrager
sembra escludere che il principio si applichi ai cittadini di paesi in guerra con gli Usa, a coloro che hanno
realizato atti di aggressione contro gli Usa e a quelli che abbiano altre forme di accesso ad un giudice: 542
U.S. 476.
609
126 S.Ct. 2749 (2006) in www4.law.cornell.edu.
610
Nell’ordinanza viene peraltro definito il combattente nemico come colui che «è stato parte o ha
supportato forze talebane o di Al Qaeda, o forze associate che siano coinvolte in ostilità contro gli Stati
Uniti o suoi partner della coalizione. Questo include ogni persona che abbia commesso un atto
belligerante o che abbia direttamente sostenuto ostilità in aiuto alle forze armate nemiche» Il testo
completo dell’ordinanza (Memorandum for the Secretary of the Navy) è disponibile sul sito del
Dipartimento della Difesa all’indirizzo: http://www.defenselink.mil
611
V. Memorandum for the Secretary of the Navy, paragrafo g (9)
141
Alla luce delle decisioni brevemente richiamate, si evince che i maggiori freni
all’Esecutivo non derivano dalla Costituzione, ma dalle leggi vigenti sia in materia
di habeas corpus, sia in materia di limiti all’utilizzo delle Commissioni militari.
In ultima analisi, ciò significa riconoscere al Congresso un ruolo rilevante durante
gli stati d’emergenza, e questo può, quindi, autorizzare il Presidente alla gestione
dell’emergenza stessa: la deroga delle norme costituzionali non può essere fondata sulla
sola emergenza, che non è fonte autonoma del diritto, ma deve avere anch’essa
fondamento costituzionale. Dalla doppia competenza di questi organi discende
automaticamente la necessità di una loro volontà congiunta e quindi, per le azioni del
Presidente, la necessità di una previa autorizzazione del Congresso.
Viene quindi smentita la ricostruzione proposta dall’amministrazione Bush,
secondo cui il Presidente è gestore unico degli stati d’emergenza612 e la Corte conferma
che le garanzie costituzionali possono essere sospese, ma solo con un’azione congiunta
di Presidente e Congresso, in linea con un assetto di governo che deve essere appunto
di «separated institutions sharing powers»613.
Si segnala in ogni caso che il Congresso, a maggioranza repubblicana, non ha
fatto mancare il suo appoggio alla presidenza Bush e nel dicembre 2005 ha approvato il
Detainee Treatment Act che, oltre a regolare il trattamento dei detenuti vietando
pratiche degradanti e inumane, priva esplicitamente i tribunali ordinari della possibilità
di giudicare sulle azioni di habeas corpus dei prigionieri nella Baia di Guantanamo:
atteso che il diritto a un giudice ha fondamento nella legge ordinaria, ne discende che
una nuova legge ordinaria può negarlo. Analogamente, nell’ottobre 2006, quattro mesi
dopo la decisione sul caso Hamdan v. Rumsfeld (che aveva censurato le procedure delle
commissioni militari in contrasto con il Codice Uniforme di Giustizia militare), il
Presidente Bush ha ottenuto l’approvazione del Military Commission Act, concernente
la modifica delle disposizioni del Codice di Giustizia militare614 e così la sospensione
delle garanzie costituzionali viene avallata da un esplicito intervento del Congresso.
5.7 Considerazioni
In sostanza, fino ad oggi la lotta al terrorismo è stata portata avanti dall’esecutivo:
il ministero del Tesoro gestisce le misure contro il finanziamento alle organizzazioni
sospette; il ministero della giustizia gestisce i procedimenti di espulsione e il sistema
Guantanamo, con il supporto dell’intelligence la quale agisce con poteri pressoché
illimitati di compressione dei diritti fondamentali dell’individuo al di fuori di ogni
garanzia giurisdizionale.
Trattandosi di diritto sorto in nome dell’emergenza, era da aspettarsi uno scarso
livello di rispetto degli elementari principi di civiltà giuridica, compresa quella penale.
Ed infatti la war on terrorism ha imboccato la strada del confronto privo di regole certe,
dal momento che l’Amministrazione americana si è dimostrata propensa a sacrificare,
612
KATYAL, Hamdan v. Rumsfeld: the legal academy goes to practice, 120 Harv. L. Rev. 65 (2006),
anche in www.law.georgetown.edu.
613
R.E. Neustadt, Presidential Power, New York, 1960, p. 33.
614
Il provvedimento disciplina più in generale l’habeas corpus dei combattenti nemici detenuti anche
fuori dalla Baia di Guantanamo e a parere di certa dottrina legittimerebbe la detenzione anche di cittadini
americani senza obbligo di sottoporli a giudizio. La legge tra l’altro nega esplicitamente l’applicabilità
delle Convenzioni di Ginevra che, ancora una volta in ossequio ad una legge del Congresso, erano state
considerate applicabili davanti alle Commissioni militari nel caso Hamdan.
142
in nome della sicurezza, gli elementari standards garantistici cristallizzati nel diritto
internazionale consuetudinario e le stesse regole del diritto federale interno.
Il mondo giuridico statunitense non si è sottratto alle discussioni in proposito,
affrontando il tema tradizionale della legittimità degli stati d’eccezione e della necessità
di una loro tipizzazione legislativa. Parte della dottrina ha infatti ribadito non solo
l’inopportunità di una disciplina emergenziale che sacrifica i diritti alla sicurezza, ma
ne ha soprattutto contestato l’utilità, ricordando come essa costituisca prevalentemente
uno strumento politico volto ad attenuare il senso di insicurezza dei cittadini e destinato
quindi a svilire la carta costituzionale attraverso un estemporaneo «costituzionalismo
dimostrativo»615.
Altra dottrina616, invece, ribadendo l’inevitabilità degli stati d’eccezione, ne ha
proposto una maggiore tipizzazione, volta a ridurre soprattutto il ruolo dei giudici ai
quali, al momento, spetta il delicato compito di definire i limiti dell’emergenza stessa.
In particolare, la disciplina degli stati d’eccezione dovrebbe prevedere la possibilità di
dichiarare l’emergenza solo dopo un attacco effettivo, al fine di escludere l’abuso di tali
dichiarazioni. A emergenza dichiarata, anche i diritti costituzionali e le garanzie del
processo penale potrebbero essere sospesi e l’emergenza stessa dovrebbe venire
prorogata solo attraverso maggioranze crescenti, fermo il diritto, per le minoranze,
all’accesso alle informazioni617.
Una sicura vittima dell’esercizio dei pieni poteri reclamati dall’Esecutivo è stata
la certezza del diritto, senza contare il fatto che la repressione del terrorismo ha messo a
dura prova il funzionamento dei tradizionali checks and balances che permeano
l’architettura costituzionale statunitense, primo fra tutti il controllo del Congresso
sull’attività del Governo618.
In tale contesto, come si è visto, sono intervenute le sentenze della Corte
Suprema, che ha riassegnato al Congresso un ruolo centrale, quantomeno nella
definizione dei margini di autonomia del Presidente nella gestione delle emergenze.
Sotto il profilo dei mezzi di indagine, si è visto che dopo l’11 settembre, il
dipartimento della difesa ha permesso l’uso delle c.d. tecniche di categoria II, che
consistono in posizioni di stress, nell’uso di documenti o rapporti falsi, isolamento,
interrogatori di venti ore, incappucciamento, spogliazione, taglio dei capelli e
sfruttamento delle fobie per provocare stress; inoltre, con l’autorizzazione del
dipartimento della difesa, si può ricorrere alle tecniche di categoria III, che consistono
nel waterboarding e nell’uso di un asciugamano bagnato, che provocano un senso di
soffocamento, nell’esposizione al freddo e all’acqua619.
Nel 2009 il Presidente Obama ha deciso la pubblicazione di quattro memorandum
dell’amminsitrazione Bush, nei quali si descrivono appunto le tecniche di interrogatorio,
per aiutare l’America “ad affrontare un capitolo buio e doloroso”, nel contempo
pubblicamente giustificando gli agenti della CIA che in buona fede hanno usato le
tecniche di tortura, inserendo le valutazioni in un’ottica di riflessione e non di vendetta.
615
TRIBE - GUDRIDGE, The Anti-Emergency Constitution, The Yale Law Journal, June 2004, p. 1809
ACKERMAN, La costituzione d’emergenza ,Roma, 2005.
617
ACKERMAN, La costituzione d’emergenza, cit., p. 40 e ss.
618
RIONDATO, Profili del diritto penale di guerra statunitense contro il terrorismo (dopo il Nine-Eleven),
2003, in www.riondato.com
619
THAMAN, L’impatto dell’11 settembre sulla procedura penale americana, cit., p. 260
616
143
Ora si attende la chiusura della base militare di Guantanamo, dove sono detenuti
presunti terroristi islamici, per «tornare agli standard della Costituzione, anche in un
momento di guerra». «Intendiamo proseguire la battaglia contro la violenza ed il
terrorismo ma lo faremo nel rispetto della legge, appoggiando la diplomazia» ha poi
detto il Presidente, dopo aver firmato i decreti esecutivi circondato dai membri del suo
governo. Tra i diversi decreti firmati anche quello che ribadisce il divieto di tortura nei
confronti dei detenuti nelle carceri statunitensi, nel rispetto della Convenzione di
Ginevra. Il secondo ordine esecutivo impone alla Cia di chiudere la sua rete di prigioni
segrete e usare le stesse regole in vigore per i militari negli interrogatori dei sospetti di
terrorismo620.
L’ auspicio, pertanto, è che nel prossimo futuro ci sia un approccio più meditato
alla disciplina del terrorismo – soprattutto quello di matrice internazionale – reinserendo
il problema nell’alveo dei diritti sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione
d’indipendenza americana, affinché cessi l’epoca in cui “il diritto revoca il Diritto”.
6. La risposta dell’Unione europea all’11 settembre
Gli attacchi terroristici dell’11 settembre costituiscono un momento storico dopo il
quale la percezione del pericolo terrorismo è radicalmente cambiata in tutti i Paesi
occidentali. La comunità internazionale ha preso coscienza di un problema gravissimo
che, per il suo modo di manifestarsi in modo imprevedibile, richiede un agire congiunto
ed uno sforzo comune costante.
Quanto all’Unione Europea, ancorché manchi una risposta politico-giuridica
condivisa dagli stati membri, può comunque individuarsi una comune filosofia, ispirata
al diritto-dovere, sentito come proprio da tutti gli stati membri, di impedire che i diritti
fondamentali dell’individuo siano utilizzati contro l’ordine costituzionale che quei diritti
stessi garantisce.
Anche se la lotta al terrorismo rientrava nell’ambito sia del Secondo Pilastro621
sia del Terzo Pilastro622 del Tattato di Maastricht, nell’Ue la questione è stata per lo più
affrontata come questione di ordine pubblico e giustizia. Di talchè l’assenza di una
comune politica contro il terrorismo trova la sua prima spiegazione nel fatto che i
Governi sono restii a rinunciare alle proprie prerogative in tali ambiti.
Certo, non sono mancate le dichiarazioni congiunte623 (ad es. 14.09.2001)624, né
cornici definitorie che però, in fin dei conti, lasciano agli Stati la libertà di scegliere gli
strumenti più opportuni per il raggiungimento dello scopo condiviso.
620
Articolo del Sole 24 ore del 22 gennaio 2009.
(politica estera, sicurezza e difesa comune, PESC)
622
(cooperazione nel settore della Giustizia e degli Affari Interni, CGAI). Si segnala che con l’entrata in
vigore, il 1 dicembre 2009, del Trattato di Lisbona, il sistema dei pilastri viene ricondotto ad un unico
quadro istituzionale.
623
In proposito si deve ricordare che una posizione comune PESC è uno strumento con il quale le
politiche degli Stati membri si conformano all’approccio indicato dall’Unione sul tema oggetto dell’atto,
sicchè agli Stati è lasciata la scelta sui mezzi per raggiungere e sui tempi per rendere operativi gli scopi
previsti nell’atto e così la tempestività dell’intervento appare vanificata dalla mancanza di previsione sui
tempi e i modi in cui la posizione deve essere attuata. La scelta della posizione comune è sintomo della
difficoltà di obbligare gli Stati a realizzare la cooperazione in un settore delicato come la lotta al
terrorismo.
621
144
A livello internazionale, quindi, si deve constatare un approccio c.d. settoriale,
ossia l’elaborazione di una serie di convenzioni miranti a contrastare, di volta in volta,
le diverse manifestazioni del terrorismo internazionale.
L’Europa, infatti, si è immediatamente allineata al governo statunitense nell’adozione di
misure amministrative contro il finanziamento al terrorismo internazionale. Prevedendo il
congelamento di beni di soggetti e organizzazioni sospette, sulla base del loro inserimento in
apposite liste, al di fuori di ogni controllo giurisdizionale625.
Vale comunque precisare che, ove sia in gioco la libertà personale degli individui, gli
ordinamenti europei non hanno sottratto la competenza alla giustizia ordinaria, continuando a
scommettere sul diritto penale come valido strumento di difesa sociale. Non mancano tuttavia
voci discordi di chi auspica la creazione di tribunali con regole speciali ad hoc sul modello di
quelli americani, nel timore che la tradizione garantistica possa rappresentare un freno alla lotta
contro il terrorismo: si invoca una risposta flessibile dell’ordinamento all’emergenza, e la
conseguente responsabilità politica, ma non giuridica, degli organi che attuano una difesa
tempestiva, efficace e fuori dei limiti della legalità
In particolare, ferma restando la necessità di conformità agli standard di tutela dei diritti
umani, diversi trattati prevedono comunque la possibilità di derogare a taluni diritti, quando
si versi in una situazione di emergenza o minaccia alla vita stessa della nazione. In tali casi,
però, lo stato di necessità deve essere ufficialmente proclamato626; in particolare, si precisa che
le deroghe ai diritti del presunto terrorista debbono conformarsi ai principi di necessità e
proporzionalità e non possono mai riguardare il divieto di tortura, il diritto alla vita, i principi di
legalità della pena e di retroattività della legge penale. Anche nel caso di restrizioni consentite,
peraltro, gli stati dovrebbero contenerle per il tempo strettamente necessario.
È quindi nel difficilissimo equilibrio tra la necessità di proteggere la propria comunità e
quella di garantire la tutela dei diritti fondamentali che si gioca una delicata partita.
Con riguardo alla cooperazione di polizia, oltre alla cooperazione operativa nella
prevenzione dei crimini, sono previsti un fitto scambio di informazioni e iniziative comuni, con
l’istituzione dell’Europol.
La cooperazione giudiziaria in materia penale è invece perseguita facilitando sia la
cooperazione tra ministeri ed autorità giudiziarie sia le procedure per l’estradizione, sia le
iniziative per uniformare i sistemi normativie gli Stati membri si informano e si consultano
regolarmente in seno al Consiglio, che può emanare atti giuridici (posizioni comuni, decisioni
quadro, decisioni, convenzioni) 627.
624
“I tragici eventi ci obbligano a prendere decisioni urgenti sui modi in cui l’Unione europea
risponderà alle seguenti sfide: essa deve impegnarsi con ogni mezzo a difendere la giustizia e la
democrazia mondiali, a promuovere un modello internazionale di sicurezza e prosperità per tutti i paesi e
a contribuire all’emergere di un’azione globale, ferma e prolungata contro il terrorismo. Continueremo
a sviluppare la politica estera e di sicurezza comune affinché l’Unione possa veramente parlare in modo
chiaro e univoco.(…) L’Unione europea accelererà l’attuazione di una vera e propria area di giustizia
europea, la quale implicherà tra l’altro l’istituzione di un mandato di arresto ed estradizione europeo, in
conformità con le conclusioni del Consiglio di Tampere e il reciproco riconoscimento di decisioni e
verdetti giudiziari.” (cfr. “11 settembre – La risposta dell’Europa”, Dossier Europa, n. speciale dicembre
2001, p. 41).
625
VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 648.
626
ES: dichiarazione di commissione diritti umani e di commissione interamericana dei diritti dell’uomo,
o del consiglio d’Europa dl 24.01.2001 e del 15.07.2002
627
Il 21 settembre 2001, si riunì in sessione straordinaria, a Bruxelles, il Consiglio europeo per
“analizzare la situazione internazionale in seguito agli attacchi terroristici sferrati negli Stati Uniti e
imprimere l'impulso necessario all'azione dell'Unione europea” approvando un Piano d’azione che
prevedeva di rinforzare la cooperazione giudiziaria e di polizia, di attuare e sviluppare gli accordi
internazionali in materia, di far cessare il finanziamento al terrorismo, di rafforzare la sicurezza aerea e di
145
Il 27 dicembre 2001, il Consiglio dell’Unione ha adottato la posizione comune
2001/931/PESC628 in linea con la risoluzione del Consiglio di sicurezza ONU n. 1373, e
disposto il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche di
determinate persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici ed individuati in un elenco
allegato alla posizione stessa che deve essere redatto sulla base di informazioni precise o di
elementi del fascicolo di un’autorità competente che ha preso una decisione nei confronti di tali
persone o entità. L’elenco non è definitivo, ma soggetto ad un aggiornamento almeno
semestrale629. Viene data, inoltre, una definizione puntuale di “persone, gruppi ed entità
coinvolti in atti terroristici” e di “atto terroristico”.
Sempre in osservanza della risoluzione ONU 1373(2001) è stata adottata, la posizione
comune 2001/930/PESC630 e, contestualmente a tali atti, ma nell’ambito del Trattato sulla
Comunità europea, è stato adottato il Regolamento 2580/2001631 relativo al congelamento dei
capitali e delle altre risorse economiche e finanziarie contro determinate persone ed entità
ricompresi nell’elenco di cui al regolamento stesso, e destinate a combattere il terrorismo632.
Un atto fondamentale per consentire un’effettiva attuazione del Piano d’azione deciso al
Consiglio straordinario di Bruxelles è stata l’adozione di una definizione comune di reato
terroristico, con la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI633.
Fino ad allora erano soltanto sei gli Stati membri che avevano una legislazione penale
specifica per siffatte fattispecie di reato (Francia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna e Regno
Unito) mentre negli altri quegli atti erano puniti come reati comuni.
coordinare maggiormente l’azione complessiva dell’UE anche in materia di politica estera. Il piano è stato
poi attuato negli anni successivi con l’adozione di precise norme comunitarie (Conclusioni e Piano di
Azione del Coniglio europeo straordinario del 21 settembre 2001).
628
2001/931/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p.93) relativa all’applicazione di misure specifiche per
la lotta al terrorismo.
629
Le disposizioni contenute nell’atto non contemplano il congelamento dei fondi di Osama Bin Laden e
dei soggetti e delle entità soggette a quest’ultimo, che costituisce l’oggetto della posizione comune
2001/154/PESC.
Si può comunque osservare quanto possa essere costituzionalmente delicata la preparazione e
l’aggiornamento degli elenchi dei nominativi delle persone fisiche o giuridiche, con riguardo alla scarsa
tassatività della procedura di compilazione di quegli elenchi, alle scarse garanzie a disposizione degli
interessati che si sentano ingiustamente inclusi in un elenco che comporta un’automatica paralisi
all’esercizio del loro diritto di proprietà.
630
2001/930/PESC (GUCE L 344 del 28.12.2001, p. 90) , riguardante la criminalizzazione e la
repressione del finanziamento al terrorismo.
631
L’uso del regolamento, in quanto fonte normativa di applicazione diretta all’interno degli Stati
membri, permette di evitare la scarsa efficacia e tempestività proprie di ogni posizione comune, che,
invece, necessita di un’azione positiva da parte degli Stati membri per porre in essere i mezzi necessari al
raggiungimento dello scopo che la posizione comune prevede.
Con il regolamento, si è così realizzato l’obiettivo di congelare i capitali di soggetti coinvolti in atti
terroristici ed di criminalizzare il finanziamento al terrorismo in modo uniforme e simultaneo in tutti gli
Stati membri, adempiendo, così, a quanto prescritto dalla risoluzione ONU 1373 (2001): regolamento
2580/2001 (GUCE L 344 del 28.12.2001, p.70 ).
632
L’elenco di cui al regolamento 2580/2001 è stato attuato con la decisione 2001/927/CE del 27
dicembre 2001 e, sino ad ora, successivamente aggiornato dalle decisioni 2002/334/CE del 2 maggio
2002, 2002/460/CE del 17 giugno 2002, 2002/848/CE del 28 ottobre 2002 e 2002/974/CE del 12
dicembre 2002.
L’elenco della posizione comune 2001/931/PESC è stato aggiornato dalle posizioni comuni
2002/340/PESC, 2002/462/PESC, 2002/847/PESC del 28 ottobre 2002 e 2002/976/PESC del 12 dicembre
2002.
I due elenchi restano distinti, anche gli stessi nominativi possono essere presenti in entrambi, con la
conseguenza che restano ferme le differenti disposizioni previste per essi nei due atti da cui emanano
633
Decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002, 2002/475/GAI (GUCE L 164 del 22.6.2002, p.3).
146
Ora, l’intervento dell’Unione attraverso la decisione quadro, che appare molto più
vincolante per gli Stati membri rispetto ad una convenzione internazionale, rappresenta una
novità a livello internazionale.
Ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché siano considerati atti
terroristici634 una serie di reati comuni definiti dal diritto nazionale ed elencati nella decisione
stessa (tra cui, attentati alla vita e all’integrità di una persona, distruzioni di strutture pubbliche o
governative, sequestri di mezzi di trasporto, omicidi, lesioni personali, cattura di ostaggi, ricatti,
fabbricazione d'armi, attentati fatti eseguire da terzi, minaccia di porre in atto simili azioni ecc.).
Tali atti, che “per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o ad
un’organizzazione internazionale”, devono essere commessi “al fine di: intimidire gravemente
la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione
internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare
gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o
sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale” (art.1).
La decisione definisce altresì l’organizzazione terroristica 635(art.2).
Il mandato d'arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI636,
adottata il 13 giugno 2002, costituisce la prima concretizzazione nel settore del diritto penale del
principio di riconoscimento reciproco che il è stato definito “il fondamento della cooperazione
giudiziaria”. Il nuovo mandato di arresto sostituisce tutti i precedenti strumenti in tema di
estradizione. Tuttavia, il mandato può applicarsi solo riguardo ai reati previsti nella decisione
stessa e, tra questi, il reato terroristico, per la definizione del quale è intervenuta la decisione
2002/475/GAI637.
634
Sul terrorismo quale settore in cui appare tanto più necessario contemperare l’esigenza di
armonizzazione delle legislazioni penali nazionali con il rispetto dei principi generali e dei diritti
fondamentali, cfr. PECCIOLI, Il terrorismo quale settore chiave per l’armonizzazione del diritto penale, in
Dir. Pen. Proc., 2007, 6, pag. 801.
635
deve intendersi l’associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo
concertato allo scopo di commettere atti terroristici Sono contemplate, inoltre, alcune ipotesi di reati da
considerare connessi alle attività terroristiche: furto aggravato, estorsione e formazione di documenti
amministrativi falsi, commessi per realizzare i comportamenti di cui all’art. 1 (art.3). E’ considerata anche
la punibilità dell’istigazione, il concorso e il tentativo alla commissione di uno di questi reati (art.4). In
tutte queste ipotesi di reati, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire sanzioni
penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l’estradizione (art.5). Passibili di
sanzione non sono solo gli individui, ma anche le persone giuridiche ritenute responsabili direttamente di
uno di questi atti o indirettamente per il mancato controllo o la mancata sorveglianza che abbia reso
possibile la commissione di tali atti (art.7). Anche in questo caso, la sanzione dovrà rispondere ai criteri
dell’effettività, proporzionalità e dissuasione (art.8). La decisione detta alcune regole relative alla
competenza di uno Stato membro per l’esercizio dell’azione penale e alla collaborazione fra Stati, quando
i legittimati all’esercizio dell’azione sono più di uno (art.9). E’, inoltre, ricordato l’impegno alla
protezione delle vittime dei reati, attraverso la previsione che la denuncia non debba provenire da queste,
e all’assistenza alle famiglie delle stesse (art.10
636
Il mandato d'arresto europeo, previsto nella decisione quadro 2002/584/GAI (GUCE L 190 del
18.7.2002, p. 1)
637
Come è noto, la nuova disciplina prevede un meccanismo molto più semplice, che coinvolge
esclusivamente le autorità giudiziarie competenti dei vari Stati membri. L’autorità emittente trasmette il
mandato direttamente all’autorità dell’esecuzione, attraverso un formulario che deve contenere tutti gli
elementi necessari all’identificazione del ricercato, del reato per cui esiste a suo carico una sentenza
esecutiva e della pena inflittagli (art. 8). Nell’arresto, nella cattura e nella riconsegna vengono assicurate
all’arrestato una serie di garanzie, prima fra tutte la sua audizione per il proprio consenso alla consegna
all’autorità emittente (artt. 11 e 14). La decisione sulla consegna spetta all’autorità che ha effettuato
l’arresto, sulla base delle informazioni fornitele dall’autorità emittente (art 15). In ogni caso, il mandato
deve essere eseguito con la massima urgenza (art. 17). Si tratta, quindi, di un meccanismo molto più
snello e di natura essenzialmente procedurale, che dovrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti nella
lotta comune contro il terrorismo.
147
Altro strumento è l’Eurojust, istituito con la decisione 2002/187/GAI638 del 28 febbraio
2002. Si tratta di un organo con personalità giuridica (art.1), composto da un membro nazionale,
distaccato da ciascuno Stato membro in conformità del proprio ordinamento giuridico, avente
titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative
(art.2), istituito con lo scopo essenziale di tale organo è il coordinamento tra le autorità
competenti degli Stati membri nelle indagini, nelle azioni penali e nell’esecuzione delle
sentenze in ordine alle forme gravi di criminalità (art.3), che riguardino almeno due Stati
membri. Si tratta degli stessi crimini per cui sussiste la competenza dell’Europol, tra cui il
terrorismo, ed altri specifici reati elencati nella decisione stessa (art.4)639.
Attraverso questo complesso meccanismo, la Comunità ha legiferato in un settore a
confine fra il Secondo e il Terzo Pilastro dell’Unione, per i quali, invece, i Trattati hanno
previsto strumenti di concertazione a livello governativo e politico piuttosto che atti normativi,
come i regolamenti comunitari.
In conclusione, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, l’Unione europea è intervenuta
essenzialmente nel settore della cooperazione giudiziaria e di polizia, attraverso l’adozione di
misure come il mandato di arresto europeo, la definizione comune di terrorismo, l’istituzione
dell’Eurojust e le squadre investigative speciali antiterrorismo dell’Europol. Oltre a questo,
vengono costantemente aggiornati gli elenchi delle organizzazioni terroristiche e dei loro
membri nei confronti dei quali vengono adottate misure restrittive in tema di congelamento dei
capitali e delle risorse finanziarie.
Non sono da dimenticare, inoltre, gli sforzi costanti che vengono attuati a livello politico e
diplomatico e le misure specifiche proposte dalla Commissione europea riguardanti nuove
regole in tema di sicurezza aerea (DOC COM (2001) 575 del 26 febbraio 2002).
Si segnala, infine, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona640, l’Unione Europea
diviene definitivamente competente a svolgere il giudizio di necessità della pena, ma non di
esercitare la potestà punitiva. In altre parole, l’U.E., pur non disponendo di competenza penale,
è comunque in grado, mediante strategie di intervento, di esprimere una vera e propria politica
criminale europea.
L’Unione si è spinta in direzioni diverse ma complementari fra loro. Tuttavia, il
suo ruolo soffre dello scarso potere decisionale in tema di politica estera e cooperazione
giudiziaria e di polizia che, nonostante le importanti innovazioni, restano
essenzialmente di appannaggio governativo.
638
Decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (GUCE L 63 del 6.3.2002, p.1). cfr. DI BITONTO, La
composizione dei conflitti di giurisdizione in seno ad Eurojust, in CP, 2010, 7-8, p. 2896.
639
L’Eurojust può agire sia tramite uno o più membri nazionali interessati, sia collegialmente (art.5), al
fine di avviare indagini o azioni penali per fatti precisi, di coordinarle, di istituire squadre investigative
comuni di scambiare informazioni e coordinare l’esercizio di azioni penali fra le autorità competenti negli
Stati membri (artt. 6 e 7). Si tratta, dunque, di un organo di ausilio per le autorità competenti negli Stati
membri e di coordinamento fra le stesse, che ne facilita l’azione.
640
BELFIORE, Il futuro della cooperazione giudiziaria e di polizia nell’Unione Europea dopo il Trattato
di Lisbona, in CP, 2010, 12, p.4428; SOTIS, Il Trattato di Lisbona e le competenze penali dell’Unione
Europea, in CP, 2010, 3, p. 1146.
148
CAPITOLO QUINTO
Focus sull’ordinamento italiano
1.
2.
3.
4.
5.
Cenni al modello costituzionale italiano .......................................................... 149
La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni) .................................. 152
Riforma dei servizi segreti (cenni) ................................................................... 159
Riforma del segreto di stato (cenni) ................................................................. 162
Considerazioni conclusive sul modello italiano ............................................... 164
1. Cenni al modello costituzionale italiano
Come visto, l’Italia rientra nel modello costituzionale che non prevede alcuna
sospensione né deroga alle norme costituzionali fuori dello stato di guerra,
disciplinando invece il ruolo ordinario della decretazione d’urgenza.
Come noto, la Costituzione consente al Governo l’adozione in casi straordinari di
necessità e di urgenza di decreti-legge che devono essere convertiti in legge dalle
Camere (art. 77), e, nel contempo, consente alle Camere la deliberazione dello stato di
guerra (art. 78), che deve essere proclamato dal Presidente della Repubblica (art. 87), e
il conferimento al Governo dei poteri necessari, prevedendo altresì altre disposizioni
speciali per i casi di pericolo per l’incolumità pubblica e la sicurezza (art. 126 co. 1, art.
120, comma 2).
Quanto, invece, alla possibilità di sospensioni temporanee dell’esercizio dei diritti
di libertà vi sono orientamenti assai divergenti641: per un primo orientamento al di fuori
dello stato di guerra, in presenza di situazioni di emergenza non altrimenti
fronteggiabili, il Governo con decreto-legge potrebbe introdurre sospensioni e deroghe
delle norme costituzionali. Così la necessità diviene una fonte autonoma implicita nel
sistema costituzionale. Tuttavia, tale impostazione si sconta con la natura del sistema a
costituzione rigida, laddove le fonti del diritto consistono in fatti e atti espressamente
qualificati come tali, e non c’è spazio per la necessità come fonte del diritto extra
ordinem.
Altri, invece, ritengono che al di fuori dello stato di guerra le sole deroghe o
sospensioni temporanee delle norme costituzionali possano essere adottate con leggi
costituzionali, le quali, potrebbero anche sospendere talune garanzie per un tempo da
esse stesse definito, ferma l’impossibilità di revisione costituzionale dei diritti
costituzionalmente tutelati e perciò inviolabili ai sensi dell’art. 2.
Altri, ancora, ritengono che la necessità sia da considerare una fonte del diritto
compatibile col sistema costituzionale, implicita nel sacro dovere dei cittadini di
difendere la patria previsto dall’art. 52 Cost.: siffatto dovere, anche al di fuori dello
stato di guerra, imporrebbe la salvaguardia delle istituzioni, in caso di un’aggressione
non altrimenti affrontabile. In tal caso, quindi, la tutela della sicurezza nazionale
potrebbe perseguirsi con qualsiasi mezzo, che, anche se non consentito formalmente,
diverrebbe sostanzialmente legittimo.
Tuttavia sembra preferibile l’opinione che limita la sospensione di alcuni diritti
costituzionalmente garantiti e di alcune norme in materia di organizzazione
costituzionale al solo stato di guerra, così escludendo ogni altro tipo di sospensione
641
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 130
149
durante altre situazioni emergenziali meno rilevanti642. Conseguentemente, soltanto
durante lo stato di guerra la difesa della patria ex art. 52 Cost. potrebbe essere attuato
mediante norme parzialmente derogatorie della Costituzione643.
In definitiva, laddove non si riesca a fronteggiare l’emergenza con il decreto legge
e questa (terroristica o meno) abbia caratteristiche così eccezionali di pericolosità
generalizzata, non resterà che deliberare lo stato di guerra ai sensi degli art. 78 e 87
Cost., la cui formulazione non impedisce il riferimento anche alla “guerra interna”644,
ferma restando l’impossibilità di deroghe o sospensioni alle norme costituzionali
concernenti la composizione e le funzioni dei pubblici poteri645.
Siffatta soluzione ha il pregio di non alterare il sistema costituzionale delle fonti
del diritto e del controllo di costituzionalità e di mantenere la supremazia del
Parlamento, ma lascia agli organi costituzionali l’ampio uso di tutte le fonti espresse per
tentare di consentendo l’uso degli strumenti ordinari (legge, decreto-legge ecc.) per
fronteggiare l’emergenza e il terrorismo prima di ricorrere come extrema ratio all’unico
stato di eccezione previsto646.
Col solo monito di evitare espedienti pericolosi perché “la salvezza della
Repubblica può essere il velo dietro il quale si nascondono velleità autoritarie, deliri di
onnipotenza, dissociazioni del potere dalle regole del suo democratico esercizio”647.
Si segnala peraltro che dopo il 2001 la distinzione tra conflitti internazionali e
conflitti interni diventa sempre più labile e, pertanto, potrebbe ammettersi il ricorso
all’art. 78 Cost. anche per la difesa dell’ordinamento costituzionale democratico nelle
ipotesi in cui sia indispensabile la difesa contro organizzazioni terroristiche che
minacciano l’uso di armi di distruzione di massa, così privilegiando i tempi
dell’emergenza rispetto a quelli della “burocrazia”: per tale evenienza, si suggerisce
l’elaborazione e l’aggiornamento costante di testi di decreti-legge o di conferimento di
poteri utilizzabili durante lo stato di guerra ex art. 78 Cost.648
Sul piano pratico, il Presidente del Consiglio dei ministri ha decretato, il 28 marzo
2003, lo stato di emergenza (G.U., serie generale, n. 74 del 29/3/2003 p.15) in relazione
alla tutela della pubblica incolumità, a causa dell'attuale situazione internazionale. Nella
stessa data è stata inoltre approvata l'ordinanza n.3275, concernente disposizioni urgenti
di protezione civile per fronteggiare l’emergenza derivante dai possibili rischi
terroristici. In tale contesto è passato sotto silenzio, in quanto segregato per ragioni di
sicurezza, il DPCM 2 aprile 2004, con il quale il Governo Berlusconi ha predisposto
delle linee guida per il caso di abbattimento di aerei civili al fine di contrastare attacchi
terroristici simili a quelli dell’undici settembre. I criteri e le procedure da seguire,
anch’essi secretati, sarebbero di competenza dell’esecutivo.
642
Cfr. GIARDINA, Art. 78, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA, Art. 76- 82, BolognaRoma, 1979, p.112.
643
Cfr. BETTINELLI, Art. 52, in Commentario della Costituzione, a cura di BRANCA -PIZZORUSSO, Art. 48
- 52, Bologna-Roma, 1992, p. 52 ss
644
PALADIN, In tema di decreti-legge, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, p. 582 ss.
645
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, Bologna, 2006, 140
646
cfr. LABRIOLA, L’emergenza per la lotta al terrorismo internazionale e i diritti fondamentali della
persona (prime osservazioni), in Studi per Giovanni Motzo, Milano, 2003, p. 295-296
647
PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, p. 232.
648
BONETTI, terrorismo emergenza e costituzioni democratiche, cit., 140
150
Probabilmente era preferibile potenziare l’attività degli enti competenti in via
ordinaria, ovvero fronteggiare la situazione utilizzando lo strumento del decreto legge
(sottoposto a ratifica e controllo parlamentare). L’esecutivo ha invece preferito la strada
del monopolio decisionale sull’emergenza, non indicando, peraltro, né una data né un
momento finale della stessa (con problemi relativi alla essenziale temporaneità delle
ordinanze emergenziali ex art. 5 della L. 225 del 24.2.1992649).
Per l’effetto di tale scelta, ne risulta irrimediabilmente sfumata la linea di
demarcazione fra legislazione ordinaria ed emergenziale, e, così, l’emergenza perde la
sua tipica connotazione di situazione “patologica” ed “estrema”.
Anche se disposta al fine di salvaguardare - in una situazione di crisi - gli interessi
fondamentali della collettività, la decretazione d’urgenza, sembra eccedere le
attribuzioni del governo che dovrebbe avvalersi di questi decreti solo nei limitati casi in
cui sia chiamato a fronteggiare situazioni di stringente emergenza, e che prevedano
deroghe ben definite nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio.
Soltanto tali limitazioni, infatti, sembrano idonee ad attenuare il pericolo di creare
un ordinamento in perenne “emergenza-ordinaria”650.
Il ricorso del Governo ai decreti legge nei momenti di emergenza terroristica, per
il vero, non è fenomeno nuovo: ad esempio l’introduzione dell’art. 270-bis del codice
penale è frutto di una decreto- legge del 15 dicembre 1979, convertito in legge n. 15 del
1980. Il pronunciamento legislativo era dettato dalla necessità di dovere fronteggiare
gravi episodi di terrorismo, di natura interna, finalizzati a minare lo Stato
repubblicano651. E, riconfermando tale linea di azione anche a seguito degli attentati
649
Art. 5 Stato di emergenza e potere di ordinanza “1. Al verificarsi degli eventi di cui all'articolo 2,
comma 1, lettera c), il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri,
ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del Ministro per il coordinamento della
protezione civile, delibera lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in
stretto riferimento alla qualita' ed alla natura degli eventi. Con le medesime modalita' si procede alla
eventuale revoca dello stato di emergenza al venir meno dei relativi presupposti.
2. Per l'attuazione degli interventi di emergenza conseguenti alla dichiarazione di cui al comma 1, si
provvede, nel quadro di quanto previsto dagli articoli 12, 13, 14, 15 e 16, anche a mezzo di ordinanze in
deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico.
3. Il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il
Ministro per il coordinamento della protezione civile, puo' emanare altresi' ordinanze finalizzate ad
evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose. Le predette ordinanze sono
comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, qualora non siano di diretta sua emanazione.
4. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, ovvero, per sua delega ai sensi dell'articolo 1, comma 2, il
Ministro per il coordinamento della protezione civile, per l'attuazione degli interventi di cui ai
commi 2 e 3 del presente articolo, puo' avvalersi di commissari delegati. Il relativo provvedimento di
delega deve indicare il contenuto della delega dell'incarico, i tempi e le modalita' del suo esercizio.
5. Le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono contenere l'indicazione delle principali
norme a cui si intende derogare e devono essere motivate. 5-bis. … 5-ter. …
6. Le ordinanze emanate ai sensi del presente articolo sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana, nonche' trasmesse ai sindaci interessati affinche' vengano pubblicate ai sensi
dell'articolo 47, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142. (5) (9)”
Il D.L. 23 maggio 2008, n. 90, convertito con L. 14 luglio 2008, n. 123, ha disposto che il presente
articolo 5 "si interpreta nel senso che i provvedimenti adottati ai sensi delle predette disposizioni non
sono soggetti al controllo preventivo di legittimita' di cui all'articolo 3 della legge 14 gennaio 1994, n.
20".
650
SCAFFARDI, Emergenza e situazione internazionale: prime note in merito al decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri del 28 marzo 2003, del 18.3.2003, in www.forumcostituzionale.it.
651
PALMA, Terrorismo internazionale: risposta dello Stato italiano, su www.studiperlapace.it.
151
dell’11 settembre, il Governo ha emanato il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, convertito con
l. 15 dicembre 2001, n. 438.
2. La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni)
Con più specifico riguardo al tema qui trattato, si osserva che in Italia, nella lotta
al terrorismo islamico, si sono riproposti e raffinati gli strumenti repressivi già elaborati
per il contrasto a emergenze terroristiche interne, senza la creazione di un modello ad
hoc come quello americano, ma, purtroppo, nondimeno passibile di critiche per le
vistose deviazioni rispetto al diritto e al processo penale ordinari.
I tratti salienti di tale sistema vanno colti sul piano del diritto sostanziale,
processuale, penitenziario e delle misure di prevenzione e del diritto
dell’immigrazione652.
Quanto al diritto sostanziale, sono previste fattispecie associative che permettono
l’attivazione di mezzi di indagine invasivi ed efficaci (intercettazioni telefoniche ed
ambientali), anche in presenza di una bassa soglia indiziaria653, e consentono
l’applicazioni di pene severe al condannato in conseguenza della sola partecipazione
all’organizzazione. In altre parole, si anticipa la soglia della punibilità al fine di
prevenire, anziché reprimere, la commissione di reati, sia con la previsione di fattispecie
associative, sia con la punibilità di atti preparatori654. Inoltre, vengono incriminate anche
condotte di mera manifestazione del pensiero655.
Tali fattispecie si connotano per la vaghezza della formulazione e nel contempo
per l’asprezza delle sanzioni656. Inoltre l’enucleazione di specifici reati fine,
caratterizzati dalla struttura a consumazione anticipata e dalla previsione della finalità
terroristica657, ha conseguenze sia sul piano della recidiva e che in quello delle misure di
sicurezza.
Sul piano del diritto processuale, le peculiarità del sistema riguardano le indagini
preliminari, e, oltre all’affidamento delle stesse a sezioni distrettuali speciali della
Procura della repubblica658, un correlativo ampliamento dei poteri investigativi con una
dilatazione dei tempi per la chiusura delle indagini659, e nei più ampi margini per la
652
VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in riv. It. Dir. E proc. pen., 2006, 2, 648.
Art. 13 DL 152/1991, convertito con mod. L 203/1991, parla di sufficienti indizi.
654
Il riferimento è agli artt. 302 e 304 c.p., che puniscono rispettivamente l’istigazione e l’accordo a
commettere alcuni reati, tra cui quelli di natura terroristica; agli artt. 270 quater e quinquies che
sanzionano l’arruolamento e l’addestramento all’uso di armi e tecniche di combattimento con finalità
terroristiche; all’art. 497 c.p.. che prevede la fabbricazione e il possesso di documenti falsi validi per
l’espatrio.
655
Probabilmente alla repressione delle predicazioni “pericolose” degli imam nelle moschee si deve
l’introduzione dell’ultimo comma del’art. 414 c.p., che prevede un’aggravante se l’istigazione a
delinquere riguarda atti di terrorismo. VALSECCHI, Misure urgenti per il contrasto al terrorismo
internazionale
656
Art. 270-bis c.p. prevede da cinque a dieci anni di reclusione per il mero partecipe; da sette a quindici
per tutti gli altri ruoli.
657
Art. 280 c.p. attentato per finalità di terrorismo o di eversione; 280 bis c.p. atto di terrorismo con
ordigni micidiali o esplosivi; 289 bis c.p. sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione.
658
Art. 51 co. 3 quater c.p.p., con conseguente competenza del gip del capoluogo distrettuale ex art. 328
co. 1 ter c.p.p.
659
Artt. 405, 406 co 5 bis, 407 co.2 lett. a c.p.p.
653
152
disposizione di intercettazioni telefoniche ed ambientali660, di perquisizioni di interi
edifici661 e di operazioni sotto copertura662. Sono poi previsti, in capo a Polizia di Stato
e Carabinieri, poteri di effettuare con i detenuti colloqui a fini investigativi, volti ad
acquisire informazioni utili per la prevenzione o repressione dei delitti con finalità di
terrorismo663.
Con riguardo al diritto penitenziario, si segnala l’applicabilità del regime di
carcere duro ex art. 41 bis c.p., nonché la subordinazione di eventuali benefici alla
collaborazione, con palese deviazione dalla finalità rieducative della pena.
Con riferimento alle misure di prevenzione, che possono essere di natura
patrimoniale o personale, esse hanno scarsissima effettività664, mentre maggiore
applicazione viene data alle le espulsioni amministrative. Si osserva, in proposito, che è
proprio grazie alle misure di prevenzione che il potere esecutivo può svolgere un ruolo
di primo piano nella lotta al terrorismo, per lo più sottraendosi al controllo
giurisdizionale.
Approfondendo le modifiche intervenute nel diritto penale sostanziale, merita
attenzione l’art. 270-bis c.p. introdotto nel nostro codice penale dall'art. 3 del Decreto
legge 15/12/1979, convertito nella legge 06/02/1980 n. 15, con la finalità di introdurre
una fattispecie di reato che consentisse di combattere le varie manifestazioni di
terrorismo diffusesi in Italia negli anni c.d. “di piombo”665. L’articolo 270-bis
sanzionava le sole associazioni che si proponevano di compiere «atti di violenza con fini
di eversione dell’ordine democratico», intendendosi per “ordine democratico” il sistema
dei principi fondamentali sanciti dalla Costituzione.
Prendendo atto della gravità del crimine terroristico e a prescindere dalla
realizzazione di una fattispecie associativa, il legislatore ha ritenuto di introdurre
l’aggravante specifica (quella della finalità di terrorismo ex art. 1 legge 06/02/1980 n.
15), idonea a reprimere tali fatti.
Concretizza quindi la finalità di terrorismo l’ incutere terrore nella collettività con
azioni criminose indiscriminate, ossia dirette non contro singoli individui, ma contro il
simbolo da esse rappresentato; essendo quindi le azioni sono dirette contro la persona,
indipendentemente dal ruolo ricoperto nella società, esse mirano a incutere terrore nella
collettività proprio per indebolire le strutture portanti dell’Ordinamento. La finalità di
eversione si connota, invece, per l’azione maggiormente diretta a sovvertire
l’ordinamento costituzionale e travolgere l’assetto democratico dello Stato,
sgretolandone le strutture, impedendone il funzionamento o deviandolo dai principi
fondamentali che costituiscono l’essenza stessa dell’ordinamento costituzionale.
Intervenendo più volte sul tema, la Corte di Cassazione ha avuto modo di
specificare che l'associazione rilevante ex art. 270 bis c.p. doveva mirare direttamente e
immediatamente all'ordine democratico costituito, e che, qualora la finalità di eversione
o terrorismo non avesse toccato l'ordinamento costituzionale italiano, si era al di fuori
660
Art. 13 DL 152/1991; art. 295 co. 3 bis c.p.p.; art. 266 disp. Att. C.p.p. e 4 DL 144/2005). Cfr. FILIPPI,
Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale, in Dir. Pen. Proc., 2005, p. 1214; GARUTI,
Le intercettazioni preventive nella lotta al terrorismo internazionale, in Dir. Pen. Proc., 2005, 1457.
661
Art. 25 bis DL 306/1992
662
Art. 9 L 146/2006
663
Art. 18 bis co. 1 bis ord. pen.
664
VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in RIDPP., 2006, 2, 648.
665
LAUDI., voce Terrorismo (diritto interno), in Enciclopedia del diritto, vol. XLIV, Milano, 1992, p. 361
153
del bene giuridico protetto dalla norma666. Dunque, secondo la Cassazione, alle
associazioni terroristiche con obiettivi esterni potevano essere ascritti solo reati di diritto
comune quali l’associazione per delinquere e altri eventuali reati strumentali, con
conseguente impossibilità di utilizzare gli strumenti investigativi e processuali
(intercettazioni, termini di custodia, trattamento penitenziario ecc.) più congrui ad
affrontare in modo efficace un preoccupante fenomeno667.
Dopo l’11 settembre 2001, la norma è stata riscritta, con il d.l. 18 ottobre 2001, n.
374, convertito con l. 15 dicembre 2001, n. 438, superando i limiti del terrorismo
interno668: è stato riformulato l'elemento soggettivo del reato, con l’introduzione
espressa della finalità di terrorismo alternativa a quella eversiva, ed è stata prevista
espressamente la punibilità delle condotte ancorchè rivolte contro uno Stato estero.
In tal modo, il riconoscimento della portata internazionale del terrorismo consente
l’applicabilità del 270 bis c.p. anche ad associazioni volte a realizzare condotte
criminore al di fuori dei confini dello Stato in cui hanno la loro base.
La norma presenta quindi quattro importanti innovazioni. In primo luogo, come
accennato, si è ampliata la portata applicativa dell’art 270-bis chiarendo la portata
internazionale già nella rubrica, fondendo le fattispecie che nel decreto legislativo
inizialmente erano state distinte negli artt. 270-bis e 270-ter (in quanto le ipotesi
criminose dei due articoli erano sovrapponibili). Ad oggi, quindi, la fattispecie punita
dalla norma è associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di
eversione dell’ordine democratico669.
Dunque, è punito chi promuove, organizza o partecipa ad un’associazione che si propone
il compimento di atti di violenza con finalità di eversione dell’ordine democratico670; con
finalità di terrorismo; con finalità di terrorismo rivolta anche contro uno stato estero,
un’istituzione o un organismo internazionale. Ad una semplice lettura si possono qunidi
individuare tre tipi di illecito associativo che può dirsi politicamente orientato, mentre rimane
esclusa una quarta forma di illecito quale l’associazione che persegua come obiettivo la
sovversione, ossia il rovesciamento con mezzi violenti dell’ordinamento costituzionale di uno
Stato estero671.
Per la configurabilità della fattispecie è necessaria la compresenza nel gruppo di due o più
persone che svolgono, in modo coordinato tra loro, una qualsiasi attività, sintomatiche del fatto
666
Cass., sez. VI, 17 aprile 1986, n. 973, Ferdjani Mouland ed altri, in Cass. Pen., 1987, p. 51; Cass., sez.
VI, 30 gennaio 1986, Bendebka, in Giust. Pen. 1987, II, p. 158; Cass., sez. VI, 1 giugno 1999, Abdaoui
Youssef ed altri, in DPP, 2000, 4.
667
SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della
finalità terroristica, in Cassazione penale: rivista mensile di giurisprudenza, n. 10, 2006, p. 3367
668
Sul terrorismo internazionale prima della riforma, cfr. CERQUA, Sulla nozione di terrorismo
internazionale, in CP, 2007, 4, 1580.
669
Cfr. Cass. pen, sez. I, 17.01.2007, n. 1072, in G.dir., 2007, 17, 90, con nota di ROSI., dove si precisa
che la semplice idea eversiva, non accompagnata da propositi concreti ed attuali di violenza, non vale a
realizzare il reato. Detta sentenza chiarisce anche che il semplice inserimento negli elenchi di associazioni
terroristiche stilati dall’UE non può in sé costituire un elemento di prova della natura terroristica
dell’associazione, traducendosi altrimenti i nun’anomala prova legale.
670
SALVINI G., L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova
della finalità terroristica, in Cassazione penale: rivista mensile di giurisprudenza, n. 10, 2006, p. 3368
671
ROSI E., Terrorismo internazionale: le nuove norme interne di prevenzione e repressione. Profili di
diritto penale sostanziale, in Dir. Pen. e proc., 2002, p. 157.
154
che gli associati intendono perseguire, attraverso il compimento di reati fine, la consumazione di
atti di violenza672 con finalità di terrorismo.
Tuttavia si rileva che il terrorismo di matrice fondamentalista non appare sempre
agevolmente riconducibile alla configurazione di una associazione criminosa, nel senso
elaborato da dottrina e giurisprudenza con tradizionale riferimento o ai fenomeni di criminalità
organizzata di tipo mafioso ovvero comune (associazione finalizzata al traffico di stupefacenti:
art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, o associazione per delinquere: art. 416 c.p.).
Il reato associativo dell’art 270-bis c.p. non si discosta molto dai cennati modelli, salvo
che per la sufficienza di sole due persone ai fini della sussistenza del reato673.
In secondo luogo, è stata aggiunta, nel comma 1, accanto alle condotte di
promozione, costituzione, organizzazione e direzione dell’associazione, anche quella di
finanziamento674.
In terzo luogo, si è inasprito il trattamento sanzionatorio, con l’aumento dei limiti
edittali della pena detentiva prevista per la partecipazione all’associazione (minimo e
massimo, stabiliti in cinque e dieci anni di reclusione).
Infine, è stata introdotta, al comma quattro, un’ipotesi di confisca obbligatoria di
tutte le cose del colpevole, che sono servite o sono state destinate a commettere il reato,
nonché di tutte quelle cose che ne sono state il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne
costituiscano l’impiego.
Tra le innovazioni introdotte merita quindi un cenno particolare la disciplina della
confisca (art. 270-bis c.p. comma 4). La l. 438/2001 prevede la confisca «delle cose che
servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il
prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego». La previsione risponde all’esigenza di
privare l’associazione di ogni bene che ne consenta il sostentamento e che ne garantisca la
funzionalità operativa675. Inoltre è prevista la possibilità di avocare allo Stato, sulla falsariga di
quanto stabilito in rapporto alle organizzazioni mafiose, anche le cose che vengano a
configurarsi quale impiego dei proventi del gruppo terroristico.
Ulteriore cenno, tra le conseguenze giuridiche del reato, merita di essere fatto
richiamando la corresponsabilizzazione delle persone giuridiche, a mente di quanto
disposto dalla l. 7/2003, con l’estensione della peculiare responsabilità degli enti alle
fattispecie di illeciti amministrativi dipendenti da reato, anche alle ipotesi di commissione
di delitti aventi finalità di terrorismo o di eversione. In particolare, il legislatore ha
previsto sanzioni pecuniarie ed interdittive, arrivando quindi a stabilire anche
l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, laddove si accerti che l’ente è stato
stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la
commissione dei delitti indicati (art. 25-quater). L’applicazione della nuova disciplina,
672
Gli atti di violenza possono consistere in atti lesivi dell’incolumità o della libertà delle persone, quali
lesioni o uccisioni o sequestri di persone, oppure in atti lesivi dell’integrità delle cose, quali
danneggiamenti, attentati a beni, edifici ecc., in danno di qualunque collettività, anche diversa da quella
rappresentata dallo Stato italiano. Trattandosi di un reato di pericolo presunto, per la sua sussistenza non è
affatto necessario che sia in concreto compiuto nessuno degli atti di violenza programmati; quando,
infatti, uno di tali atti di violenza programmati sia effettivamente portato a compimento, insieme con il
reato associativo di cui all’art. 270-bis c.p., concorrerà anche lo specifico reato in cui si concretizza l’atto
di violenza commesso (ad es. strage, omicidio, sequestro di persona, danneggiamento, ecc.).
673
ROBERTI,Le nuove fattispecie in materia di terrorismo , (a cura di DALIA),, Milano, 2006, p. 464.
674
SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della
finalità terroristica, p. 3369.
675
FIANDACA-TESAURO, Le disposizioni sostanziali: linee, in Il processo penale tra politiche della
sicurezza e nuovi garantismi, a cura di DI CHIARA, Torino, 2003, p. 126.
155
con riferimento all’art 270-bis, si riferisce all’ipotesi di enti economici, in sé leciti, coinvolti in
attività di finanziamento o di riciclaggio a favore di organizzazioni di natura terroristica676.
Sotto il profilo soggettivo è appena il caso di accennare che per una parte della dottrina, il
dolo viene individuato nella conoscenza e volontà di tenere una delle condotte di
partecipazione, descritte dall’art. 270-bis c.p., nella sola consapevolezza del programma di atti
violenti assunto come obiettivo strumentale dell’associazione e del fine politico perseguito.
Per diversa opinione, invece, è necessaria la volontà di realizzare il programma
(strumentale e finale) dell’organizzazione, trattandosi di un reato a dolo specifico677.
Con particolare riguardo alla conoscibilità del programma criminoso, la dottrina ha
rilevato, poi, che nelle associazioni terroristiche internazionali, la programmazione potrebbe
risultare tanto meno conoscibile da parte dei singoli associati, quanto più l’associazione si riveli
estesa nel tempo e nello spazio e quanto maggiore sia l’apporto di militanti stanziati nelle
diverse parti del mondo. Ne conseguirebbe che «il nesso funzionale che lega […] i vari
contributi prestati dai singoli associati deve essere valutato tenendo conto di una simile strategia
complessiva, e il grado di consapevolezza richiesto ai fini della punibilità della condotta
associativa dovrà essere correlato a quanto un militare può sapere delle operazioni di guerra
programmate dal suo Stato Maggiore»678.
La l. n. 438 del 2001, nel solco dell’ampliamento della fattispecie di cui all’art 270-bis, ha
introdotto ulteriori importanti novità di carattere processuale, prevedendo che, nel caso di
investigazioni riguardanti illeciti penali commessi con finalità di terrorismo, si possa procedere
all’effettuazione di intercettazioni preventive e giudiziarie, intercettazioni ambientali per la
ricerca di latitanti, e possano trovare applicazione altre specifiche disposizioni: sia quelle già
riferibili ai procedimenti per reati in materia di traffico di stupefacenti, riciclaggio ed
immigrazione clandestina, che consentono il ritardo degli ordini di cattura, arresto, sequestro,
nonché il compimento delle c.d. operazioni «sotto copertura», sia le norme che permettono
l’esecuzione di perquisizioni di edifici o di blocchi di edifici, ai sensi dell’art. 25-bis del d.l. n.
306 del 1992. Sono inoltre applicabili le speciali norme processuali inerenti lo svolgimento di
udienze dibattimentali o camerali con le modalità della partecipazione a distanza
È stato inoltre inserito nell’art. 51 c.p.p. un nuovo comma 3-quater, modificato l’art. 328
c.p.p. e, per l’effetto, in caso di reati con finalità di terrorismo trovano applicazione le norme
processuali, concernenti le attribuzioni del pubblico ministero e la competenza del GIP o del
GUP, previste per i delitti di criminalità organizzata.
La legislazione italiana ha dato attuazione alle decisioni assunte in sede
internazionale679, oltre che con il nuovo art. 270-bis c.p., anche con il decreto legge 12
ottobre 2001 n. 369, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 dicembre 2001, n.
431, istituendo presso il ministero dell’Economia e finanze, il comitato di sicurezza
finanziario (CSF)680.
676
PELISSERO, Terrorismo internazionale e diritto penale, in Studium juris, Padova, 2005, p.1284
SPAGNOLO, Reati associativi, in EG, XXVI, Roma, 1996.
678
LAUDI, Reato associativo e terrorismo: un ruolo importante per il nuovo art. 270-bis c.p., in Studi in
onore di Marcello Gallo, Torino, 2003, p.534.
679
La più importante delle quali è la n. 1373 del 28 settembre 2001.
680
LO MONTE, Gli interventi in tema di misure di prevenzione: il problema del congelamento di beni,in
Le nuove norme di contrasto al terrorismo, (a cura di DALIA), Milano, 2006, p. 414.
677
156
Subito dopo gli attentati alla metropolitana di Londra, nell’estate del 2005 è stato
approvato in tempi rapidi il c.d. pacchetto antiterrorismo, ( decreto legge del 27 luglio
2005, n. 144 convertito poi nella legge 31 luglio 2005, n. 155).
L’intervento legislativo percepiva il duplice obiettivo di recepimento e adesione
ad concetto di terrorismo affine a quello elaborato in sede internazionale e di lotta alle
condotte di supporto al terrorismo internazionale indipendentemente dalle risultanze
processuali della loro ascrivibilità ad un contesto associativo sul modello descritto
dall’art 270-bis c.p.
Una spinta decisiva alla riforma è venuta dalla Convenzione sulla prevenzione del
terrorismo svoltasi a Varsavia il 16 maggio 2005681, in esito alla quale si è imposta
l’incriminazione anche dei delitti connessi al terrorismo, per la prima volta distinti da
quelli di terrorismo in senso stretto.
I delitti connessi al terrorismo che le parti contraenti hanno deciso di sanzionare
con pene efficaci, proporzionate e dissuasive, applicabili anche nei confronti delle
persone giuridiche, sono la pubblica istigazione a compiere delitti di terrorismo (art. 5),
il reclutamento per terrorismo (art. 6) e l’addestramento al terrorismo (art. 7)682.
La Convenzione evidenzia proprio come gli atti terroristici, per loro stessa natura
hanno la finalità di «intimidire gravemente una popolazione ovvero di costringere
indebitamente un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad
astenersi dal compiere un atto ovvero di destabilizzare gravemente o distruggere le
strutture fondamentali, politiche, costituzionali, economiche o sociali di un paese o di
un’organizzazione internazionale»683.
Tale formulazione è perfettamente sovrapponibile a quella della Decisione quadro
del Consiglio dell’Unione Europea 2002/475/GAI del 13 giugno 2002684 e riecheggia
quella nozione comune di terrorismo recepita dal Parlamento nell’art. 270-sexies c.p., in
sede di conversione del decreto legge.
Infatti, come detto, l’Italia ha inteso dare esecuzione alla convenzione inserendo
nel codice penale due nuove fattispecie di delitto, gli artt. 270-quater e 270-quinquies,
avendo osservato che gli il fenomeno terroristico emerso negli ultimi anni non è opera
di autori improvvisati, ma di gente addestrata alle c.d. tecniche del terrore685.
681
La Convenzione di Varsavia, entrata in vigore l’8 giugno 2008, comporta fra l'altro per le Parti
contraenti l'obbligo di sanzionare con pene efficaci, applicabili non solo nei confronti delle persone
fisiche ma anche delle persone giuridiche, tre reati di pericolo connessi al terrorismo considerati di
elevata pericolosità in quanto attraverso di essi si realizzano le precondizioni per portare a termine azioni
terroristiche vere e proprie: si tratta della pubblica istigazione a compiere delitti di terrorismo, del
reclutamento e dell'addestramento. L'obbligo è stato adempiuto dall'Italia con l'introduzione nel D.L.
144/05 rispettivamente dell'art.414 ultimo comma c.p., dell'art. 270-quater c.p. e dell'art. 270 quinquies
c.p. Si veda PERDUCA, Terrorismo: con la Convenzione di Varsavia obiettivo su giurisdizione e reati
connessi, in Gdir., 2005, 30, p.126 e ss.
682
PERDUCA, Terrorismo: con la Convenzione di Varsavia obiettivo su giurisdizione e reati connessi,
cit. p.130.
683
Preambolo della Convenzione, in www.senato.it.; cfr. MANTOVANI, le condotte con finalità di
terrorismo, in Contrasto al terrorismo interno ed internazionale, (a cura di KOSTORIS-ORLANDI), Torino,
2007, pag. 79.
684
Si veda il capitolo precedente.
685
SALVINI, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova
della finalità terroristica, CP, 2008, p. 3372, cfr. Cass. pen., sez V, 25.7.2008, 31389, in CP, 2009, p.
2370.
157
L’ipotesi contemplata nell’art. 270-quater c.p.686 (Arruolamento con finalità di
terrorismo anche internazionale) è, quindi, volta a contrastare specificamente la
fattispecie di chiunque pone in atto condotte volte all’individuazione, alla persuasione
nonché all’armamento di persone da avviare alla perpetrazione di azioni terroristiche. In
altre parole, la fattispecie risponde all’esigenza politico- criminale di contrastare il
fenomeno del reclutamento. Siffatta previsione, invero, si è resa necessaria allorchè è
stato chiaro che la previgente norma relativa all’associazione per finalità di terrorismo
internazionale soffrisse notevoli difficoltà probatorie per dalla dimensione
sovranazionale delle realtà associative e a causa dell’estrema frammentazione del
fenomeno687.
La ratio dell’art. 270-quinquies c.p.688 (Addestramento ad attività con finalità di
terrorismo anche internazionale), invece, si rinviene nella necessità di perseguire coloro
che sono in grado di formare adeguatamente all’attività terroristica: anche in tal caso,
quindi, si è voluto anticipare la tutela della sicurezza pubblica ad un momento
preliminare rispetto al concreto compimento di atti di terrorismo, per contrastare la
preparazione dell’aspirante terrorista all’uso di mezzi offensivi ad ampio raggio
(esplosivi, armi da fuoco, sostanze chimiche o batteriologiche), normalmente destinata
ad aver luogo con l’inserimento in campi d’addestramento o con la divulgazione di
materiale illustrativo appositamente confezionato689.
Con la medesima legge è stata inoltre introdotta nel codice penale una definizione
di terrorismo, nell’art. 270-sexies c.p.690. La norma, per il vero, non definisce la finalità
di terrorismo, ma piuttosto le condotte commesse a tal fine, riecheggiando la già citata
decisione quadro 2002/ 475/ GAI. Si osserva, al proposito che sarebbe stato preferibile
che il legislatore si limitasse a delineare la finalità di terrorismo, e non, invece, a
prevedere la rilevanza penale di una serie di specifici comportamenti diretti a realizzare
la finalità di terrorismo691.
Altri, invece, parlano in proposito di un sistema a «doppia tipizzazione», in forza
del quale, dopo aver tipizzato il fine di terrorismo, si rinvia ad altre norme per la
686
270 quater c.p. Arruolamento con finalità di terrorismo anche internazionale: - Chiunque, al di fuori
dei casi di cui all'articolo 270-bis, arruola una o più persone per il compimento di atti di violenza ovvero
di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato
estero, un'istituzione o un organismo internazionale, e' punito con la reclusione da sette a quindici anni.
687
LECCESE,, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l'odio rischia grosso, in Digesto
disc. pen, Torino,2005, p. 94.
688
270 quinquies c.p. Addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale: Chiunque,
al di fuori dei casi di cui all'articolo 270-bis, addestra o comunque fornisce istruzioni sulla preparazione
o sull'uso di materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologiche
nocive o pericolose, nonche' di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di
sabotaggio di servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno Stato
estero, un'istituzione o un organismo internazionale, e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La stessa pena si applica nei confronti della persona addestrata.
689
LECCESE, Il codice penale si allinea a Bruxelles. Ora chi predica l'odio rischia grosso, cit., p. 95.
690
270 sexies c.p. Condotte con finalità di terrorismo:. – [1]. Sono considerate con finalità di terrorismo
le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad
un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i
poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto
o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di
un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonche' le altre condotte definite terroristiche o
commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per
l'Italia.
691
PISTORELLI, Punito anche il solo arruolamento,p. 58.
158
tipizzazione del fatto obiettivo692. Da ultimo si segnala che, con il rinvio agli strumenti
internazionali vincolanti per l’Italia, il legislatore si è assicurato un automatico
adeguamento della fattispecie e, quindi, l’automatica armonizzazione della legislazione
ai principi della comunità internazionale.
3. Riforma dei servizi segreti (cenni)
Le vicende connesse al prelevamento in Italia dell’egiziano Abu Omar da parte di
agenti della CIA, hanno coinvolto anche i vertici del nostro servizio segreto militare (ex
SISMI), riaprendo il dibattito sui limiti legali delle attività di intelligence all’interno di
un ordinamento democratico.
Lo scandalo giudiziario ha posto all’attenzione dell’opinione pubblica il problema
relativo ai limiti dell’attività dei Servizi, mentre, per il vero, era ancora in vigore la L.
801 del 24.10.1977.
Vale appena precisare che i Servizi Segreti rappresentano un apparato di
significativa importanza a garanzia e tutela della sicurezza dello Stato; a mente della
legge 801/77 i Servizi Segreti svolgevano attività puramente informativa, c.d. di
intelligence, mentre per effettuare operazioni sul campo dovevano ricorrere all’ausilio
di reparti speciali delle Forze dell’Ordine.
In sostanza, l’attività svolta dal SISMI (oggi AISE servizio informazione e
sicurezza esterna) era volta alla sola raccolta di informazioni e dati, e si concretizzava in
attività preventiva posta in essere cioè al fine di evitare o contrastare tempestivamente
fatti o eventi pregiudizievoli di natura interna o esterna.
Nonostante la legge 801/77 delineasse con evidenza il quadro delle finalità che
presiedevano all’attività di intelligence, nondimeno era carente e insoddisfacente la
disciplina che ne regolava le forme, le modalità e gli aspetti organizzativi, di fatto
imponendo ai servizi di operare nell’ombra ai margini della legalità al fine di eseguire i
propri compiti.
In altre parole, mancava un efficace insieme di garanzie funzionali idoneo a
indicare chiaramente quali attività fossero lecite e quali no, con conseguente difficoltà
nell’individuazione delle responsabilità e delle modalità di autorizzazione delle
operazioni693.
Su tale sfondo è intervenuta la L. 124/2007 al fine di riformare “il sistema di
informazione per la sicurezza della repubblica”694.
Particolare interesse suscitano le competenze in materia di prevenzione attribuite
ai servizi di sicurezza. In realtà, pur essendo ben distinte le funzioni della polizia di
sicurezza (cfr. l. n. 121/1981) e quelle dei servizi di informazione (cfr. l. n. 801/1977;
nonché, ora, l. n. 124/2007), la recente emergenza terroristica ha visto l’estensione di
tradizionali strumenti di prevenzione anche in capo ai servizi di informazione695.
692
PALAZZO F., Contrasto al terrorismo, diritto penale del nemico e principi fondamentali, in
Questione Giustizia, 2006, p. 670.
693
Cfr SALVI, Garanzie funzionali, responsabilità e controllo per dare una svolta ai servizi di
intelligenze, in GDir, 2006, 31, pag. 11.
694
Mentre la legge era ancora in fase di approvazione: CORNELI, Servizi segreti: più spazio a Palazzo
Chigi per coordinale le operazioni sul campo, in GDir, 2007, 9, pag. 10. Per un commento a caldo alla
legge si veda Servizi segreti:un intervento bipartisan che modifica l’organizzazione e i controlli, in G.dir,
2007, 40,12.
695
BRICCHETTI – PISTORELLI, le forze di polizia sono tenute a collaborare, in G.dir, 2007, 40,57.
159
Tradizionalmente, come detto, l’ambito di intervento dei servizi di informazione era
quello concernente la raccolta e la gestione delle informazioni utili alla tutela della
difesa militare e della sicurezza dello Stato, che restava ben distinto da quello di tutela
dell’ordine pubblico e di prevenzione dei reati, tipico della polizia di sicurezza.
Oggi, quando si tratta di prevenire complesse attività criminali di natura eversiva o
terroristica (anche di rilievo internazionale), possono assumere particolare importanza le
informazioni raccolte e le attività svolte dagli apparati dei servizi di sicurezza “interna”
(un tempo il SISDE, oggi l’AISI), ai quali spetta il compito di “ricercare ed elaborare
nei settori di competenza tutte le informazioni utili a difendere, anche in attuazione di
accordi internazionali, la sicurezza interna della Repubblica e le istituzioni
democratiche poste dalla Costituzione a suo fondamento da ogni minaccia, da ogni
attività eversiva e da ogni forma di aggressione criminale o terroristica” (art. 7 della l.
124/2007).
E come in passato, atteso lo scopo di salvaguardia delle istituzioni democratiche,
in relazione alle attività dei servizi di sicurezza si pone il problema della garanzia dei
diritti fondamentali. A maggior ragione, poiché i funzionari oggi attendono anche a
servizi di tradizionali strumenti preventivi, tipici delle operazioni di polizia. Ad esempio
l’art. 4 della l. n. 155/2005 estende il citato regime delle intercettazioni preventive anche
al personale appartenente ai servizi, su richiesta del Presidente del consiglio o dei
direttori dei servizi stessi, al fine della “prevenzione di attività terroristiche o di
eversione dell’ordinamento costituzionale” (di recente, si ricorda, i vertici dei servizi
segreti sono stati coinvolti dalle vicende giudiziarie relative all’illegittimo
“prelevamento” dell’egiziano Abu Omar, imam della moschea milanese)696.
Proprio per agevolare tale attività di prevenzione, la 1.124/2007, artt. 17 e 18, ha
introdotto una speciale causa di giustificazione697. Sotto il profilo sostanziale, l’art. 17
dispone che “fermo quanto disposto dall'art. 51 cp, non è punibile il personale dei
servizi di informazione per la sicurezza che ponga in essere condotte previste dalla
legge come reato, legittimamente autorizzate dei volta in volta in quanto indispensabili
alle finalità istituzionali ditali servizi, nel rispetto rigoroso dei limiti di cui ai commi
2,3,4 e 5 del presente articolo e delle procedure fissate dall'articolo 18”.
Quanto alla clausola di salvezza, “fermo quanto disposto dall'art.5l cp”, si fa
notare che essa sottolinea il carattere speciale sussidiario dell’esimente in esame e, nel
contempo, garantisce la copertura agli agenti per eventuali condotte non previste dalla
nuova causa di giustificazione. In ogni caso, per completare il perimetro delle garanzie
funzionali, si auspica che i protocolli organizzativi delle agenzie prevedano la
contestuale attribuzione agli appartenenti ai servizi della qualifica di ufficiale o agente
di pubblica sicurezza ex art.23 della Legge istitutiva. Infatti, la legge prevede
espressamente che al personale in servizio presso gli apparati di intelligence non sia
possibile attribuire la qualifica di agente o ufficiale di polizia giudiziaria o di pubblica
sicurezza, salvo che “in relazione allo svolgimento di attività strettamente necessarie a
una specifica operazione dei servizi di informazione per la sicurezza o volte alla tutela
696
Si veda capitolo I del presente lavoro; GIUPPONI, Stato di diritto e attività di intelligence: gli
interrogativi del caso Abu Omar, in Quad. cost., 2006, pp. 810ss.; nonché GIUPPONI, Il conflitto tra
Governo e Procura di Milano nel caso Abu Omar, in Quad. cost., 2007, pp. 384 ss.; GIUPPONI., sicurezza
personale, sicurezza collettiva e misure di prevenzione. La tutela dei diritti fondamentali e l’attività di
intelligence, in www.forumcostituzionale.it
BIN, Democrazia e terrorismo, in Forum Quad. cost., all’indirizzo www.forumcostituzionale.it.
697
BRICCHETTI – PISTORELLI, Garanzie funzionali agli 007, in G.dir, 2007, 40, 59
160
delle strutture e del personale […] dei servizi di informazione per la sicurezza, la
qualifica di ufficiale o di agente di pubblica sicurezza, con funzioni di polizia di
prevenzione, può essere attribuita […] per non oltre un anno, dal Presidente del
Consiglio dei ministri” (art. 23 della l. n. 124/2007). Ciò, con tutta evidenza, al fine di
consentire l’attivazione degli ordinari strumenti di prevenzione, di norma estranei alle
attività di intelligence. Ciò, a ben vedere, rappresenta ancora un caso di (seppur
eccezionale) estensione del tradizionale ambito connesso alla prevenzione di pubblica
sicurezza a favore del personale dei servizi di sicurezza, con tutte le perplessità del caso
e le possibili difficoltà di coordinamento che possono ben immaginarsi.
Tornando all’art. l7, c.2 della legge in commento, questo dispone che "la speciale
causa di giustificazione di cui al c.1 non si applica se la condotta prevista dalla legge
come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrità
fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o
l'incolumità di una o più persone".
In tale caso, quindi, il bilanciamento degli interessi in gioco è effettuato a monte
dalla legge, la quale prevede la prevalenza dell’interesse dei diritti umani fondamentali
su quello della sicurezza dello stato.
Si ricorda, ancora, che le condotte alle quali si applica la speciale causa di
giustificazione devono presentare determinati requisiti ai sensi dell’art. 17, c. 6: “a)
deve trattarsi di condotte poste in essere nell’esercizio o a causa di compiti istituzionali
dei servizi di informazione per la sicurezza, in attuazione di un’operazione autorizzata e
documentata … ; b) devono risultare come indispensabili e proporzionate al
conseguimento degli obiettivi dell’operazione, non altrimenti perseguibili; c) devono
essere frutto di una obiettiva e compiuta comparazione degli interessi pubblici e privati
coinvolti; d) sono effettuate in modo tale da comportare il minor danno possibile per gli
interessi lesi”.
Sotto il profilo procedurale, l’art. 18 prevede l’autorizzazione delle condotte
previste dalla legge come reato, in presenza dei presupposti dell'art. 17 e nel rispetto dei
limiti da essi stabiliti. Detta autorizzazione è di competenza del Premier o del Capo del
servizio che però ne deve dare comunicazione al Premier nelle 24 ore successive.
Nel caso le condotte autorizzate vengano in rilievo in un procedimento penale,
(art. 19) il Direttore del servizio interessato oppone all’autorità giudiziaria l’esistenza
della speciale causa di giustificazione. A sua volta, l’autorità giudiziaria propone
interpello al Presidente del Consiglio, a conferma dell’esistenza della specifica
autorizzazione, il quale si pronuncia entro dieci giorni. In caso di conferma, l’autorità
giudiziaria pronuncia il non luogo a procedere o l’assoluzione dei soggetti incriminati,
ferma restando la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale per il caso in cui il
giudice sollevasse un conflitto di attribuzioni.
La speciale causa di giustificazione, se opposta al momento dell’arresto
dell’appartenente ai servizi, sospende il provvedimento e impone una tempestiva
verifica.
Non sembra invece applicabile agli agenti dei servizi la speciale causa di non
punibilità prevista dall’art. 9 della legge 146 del 2006 per gli agenti provocatori, ossia
ufficiali ed agenti di p.g. che operano ad es. in tema di droga, prostituzione e terrorismo,
a mente della quale i soggetti indicati sono autorizzato a compiere una serie di
operazioni sotto copertura in sé costitutive di reato (es. acquistare o ricevere beni che
161
sono oggetto, prodotto,profitto, o mezzo per commettere il reato ) sottraendoli così alla
pena per essi prevista.
Residua, invece, come già accennato, la possibilità di applicare la scriminante
dell’adempimento del dovere ex art. 51 c.p., poiché, ex art. 55 c.p.p, è previsto l’obbligo
a carico della polizia giudiziaria di impedire che i reati vengano portati a conseguenze
ulteriori, di ricercarne gli autori e di compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di
prova. Detta scriminante opera sulla condotta dell’agente di p.g. il quale, infiltrandosi in
organizzazione criminale, ometta o ritardi di intervenire per impedire il compimento
dell' altrui attività illecita al fine di condurre a termine l'investigazione in corso, mentre
è da escludersi laddove l’agente partecipi attivamente alla commissione di un reato; nel
qual caso egli risponderà del reato stesso a titolo di concorso.
Quanto alla riforma, deve conclusivamente osservarsi che desta perplessità il
coinvolgimento della Corte costituzionale in caso di controversie sull’ambito operativo
delle garanzie funzionali; la previsione, in questo senso, delle medesime procedure
previste in materia di conflitti sul segreto di Stato non sembra infatti garantire un
controllo più ampio in relazione ai limiti di operatività delle citate autorizzazioni
speciali (previsti per legge), rappresentando al contempo un’ulteriore esposizione
politica del Giudice delle leggi.
4. Riforma del segreto di stato (cenni)
La 1. 124/2007 ha anche modificato la disciplina del segreto di stato che, come
noto, viene tutelato sia sul piano sostanziale che su quello processuale.
Per il vero, la L.124/2007 è intervenuta solo sul piano della tutela processuale del
segreto di stato, mentre la mancanza di coordinamento con le norme del codice penale
lascia aperti alcuni problemi interpretativi.
Il segreto di stato si sostanzia in “notizie, documenti, atti e attività che, per legge,
devono rimanere segreti” e concerne sia la sfera di sicurezza dello stato (segreto
militare), sia quella relativa all’interesse politico, interno o internazionale dello stato
(segreto politico).
Il Codice Rocco tutela il segreto di stato agli artt. 256-263 c.p., prevedendo
singole ipotesi di reato che possono distinguersi nelle due categorie, di procacciamento
delle notizie segrete (procacciamento di notizie concernenti la sicurezza dello stato,
spionaggio politico e militare, agevolazione colposa) e di divulgazione delle notizie
segrete.
Il nucleo centrale della disciplina è rappresentato dalla fattispecie di cui all’art.
261 c.p., che incrimina le condotte di rivelazione costituenti la maggior fonte di pericolo
e di danno per il bene della sicurezza interna ed esterna dello stato e per gli altri
interessi sostanziali dello stato medesimo (rivelazione di notizie segrete, rivelazione a
scopo di spionaggio, rivelazione colposa di notizie segrete, ottenuta rivelazione del
segreto).
La modifica introdotta dalla L. 124/2007 ha invece inciso sugli articoli artt 202 e
204 c.p.p.. La L.124/2007 ha ridotto le sfere di segretezza in precedenza previste, eliminando quella attinente al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionalied ha nel contempo aumentato le materie che devono essere escluse dall’oggetto del
segreto di stato - oltre ai fatti eversivi dell’ordine costituzionale, vi ha aggiunto,
162
appunto, i fatti di terrorismo, oltre a quelli costituenti i delitti di strage e di associazione
di stampo mafioso-698.
Quanto al primo, è rimasto invariato l’obbligo di astenersi dal deporre su fatti
coperti dal segreto di stato per pubblici ufficiali, pubblici impiegati, incaricati di un
pubblico servizio; è stata invece modificata la procedura da seguire nel caso di
opposizione del segreto di stato.
Oggi, poi, vige l’obbligo di attivare la procedura di interpello in ogni caso, ed
inoltre è interdetta al giudice qualsivoglia iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto
del segreto: la conferma del segreto, infatti, sottrae al giudice non più la prova di cui il
segreto stesso rappresenta l’oggetto, bensì la notizia segreta in quanto tale. Inoltre, il
“non doversi procedere” impone un vaglio positivo di essenzialità, non più sulla prova
incisa dal segreto, bensì sulla conoscenza di quanto coperto dal segreto medesimo.
Pare, quindi, che il legislatore del abbia ritenuto opportuno imporre un divieto
probatorio assoluto, introducendo un limite volto ad incidere non sulla prova, ma
sull’oggetto della stessa.
Tuttavia si segnala la difficile applicazione della normativa laddove il giudice è
chiamato alla ponderazione di una notizia non conosciuta (perchè segreta) né
conoscibile (perché con l’opposizione e la successiva conferma il segreto è destinato a
rimanere tale).
Inoltre le disposizioni dei commi 5 e 6 dell’art. 202 c.p.p. , introdotti ex novo,
sembrano contraddirsi in quanto il comma quinto impone un divieto probatorio
assoluto, mentre, nel contempo, il comma sesto sembra permettere all’autorità
giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi ed indipendenti dagli atti,
documenti e cose coperti dal segreto.
Interpretando il divieto come relativo, quindi, sembra potersi concludere che
all’autorità giudiziaria non è preclusa ogni attività istruttoria o investigativa, ma solo
quelle che siano volte ad aggirare l’ostacolo rappresentato dall'opposizione del segreto
su una determinata prova, individuando così un criterio di bilanciamento tra esigenze di
giustizia (della collettività e delle parti processuali) e ragion di stato.
Quanto all’art. 204 c.p.p., si è già anticipato che sono state aggiunte nuove materie
che non possono costituire oggetto di segreto, quali i fatti concernenti le condotte poste
in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della
disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista dalla 1.124/2007 per
attività del personale dei servizi di informazione per la sicurezza.
Si fa notare che non c’è una perfetta coincidenza tra le fattispecie di segreto di
stato e la speciale causa di giustificazione. Quanto al resto, l’art. 204 mantiene la sua
impostazione iniziale: se viene opposto il segreto, la natura del reato è definita dal
giudice e, qualora il giudice rigetti l’eccezione di segretezza, ritenendo il reato tra quelli
che non possono essere oggetto del segreto di stato, ne da comunicazione al Presidente
del Consiglio il quale, laddove ritenesse il rigetto dell’opposizione frutto dell’arbitrio
del giudice, avrebbe la possibilità di attivarsi per impedire un’ingiustificata e pericolosa
rivelazione del segreto di stato.
Qualora l'autorità giudiziaria dubiti della legittimità della conferma del segreto
espressa dal premier, essa può promuovere un conflitto di attribuzioni tra poteri dello
698
SALVI, interpretazione estensiva delle fattipecie, in G.dir, 2007, 40, 73, fa notare che il legislatore non
ha menzionato il terrorismo internazionale. Nel silenzio dei lavori parlamentari si deve ritenere che rientri
tra i fatti che non consentono l’apposizione del segreto.
163
stato avanti la Corte Costituzionale699, alla quale “in nessun caso, il segreto di stato è
opponibile”
Una procedura più contratta è prevista in caso di arresto in flagranza o di
esecuzione di una misura cautelare nei confronti di un agente dei servizi che eccepisca
personalmente la speciale causa di giustificazione.
Specifiche disposizioni, che non prevedono un’autorizzazione al Presidente del
consiglio, ma solo una comunicazione allo stesso, regolano l’attivazione di identità di
copertura o di iniziative imprenditoriali simulate (artt. 24 e 25 della l. n. 124/2007).
Attesa l’importanza rivestita dagli interessi in gioco, la legge di riforma sembra
potenziare la funzione di controllo del Parlamento: lo stesso Presidente del consiglio
deve informare il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (COPASIR,
ex COPACO) “circa le operazioni condotte dai servizi di informazione per la sicurezza
nelle quali siano state poste in essere condotte previste dalla legge come reato,
autorizzate ai sensi dell’articolo 18 della presente legge e dell’articolo 4 del decretolegge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005,
n. 155” (art. 33 della l. n. 124/2007).
Tuttavia, la circostanza che tale informativa debba essere attuata entro trenta
giorni dalla data di conclusione delle operazioni incide notevolmente sull’effettività del
controllo in questione, relativo ad operazioni ormai già compiute. Del resto, in caso di
riscontro di attività irregolari o illegittime da parte degli appartenenti ai servizi di
sicurezza, le sanzioni saranno di natura essenzialmente politica, potendo il COPASIR
solo informare il Presidente del Consiglio dei ministri e riferire ai Presidenti delle
Camere delle illegittimità riscontrate (art. 34 della l. n. 124/2007).
Nel complesso, sembra che la soluzione adottata dal legislatore rappresenti un
buon punto di equilibrio tra i valori costituzionali in gioco. Ciò nonostante, alcune
decisioni lasciano perplessi, come quella di limitare il controllo parlamentare ad una
fase successiva al compimento delle attività sotto copertura.
5. Considerazioni conclusive sul modello italiano
Come sommariamente tratteggiato, la finalità politica di contrasto al terrorismo in
Italia si è tradotta in interventi legislativi ispirati alla logica del criminale-nemico.
In particolare, la L. 144/2005 ha introdotto numerose modifiche di carattere
sostanziale e processuale alla legislazione antiterroristica, approntando misure a tutto
campo per la prevenzione e la repressione del fenomeno.
Sotto il profilo dell’anticipazione della soglia di punibilità, si ricordano gli artt.
270 quater e quinquies c.p., a mente dei quali viene sanzionato l’arruolamento e
l’addestramento ad attività di violenza o sabotaggio di servizi pubblici essenziali con
finalità di terrorismo (delineate dal successivo art. 270 sexies). In tali formulazione non
basta il dolo specifico ad operare in funzione selettiva, poiché l’indeterminatezza del
bene giuridico tutelato – ossia l’ordine democratico e la sicurezza pubblica mondiale –
rappresenta l’aspetto peculiare della fattispecie.
699
SALVI, conflitti di attribuzione dietro l’angolo, in G.dir, 2007, 40, 70; SALVI, Alla consulta il ruolo di
ultimo garante, in G.dir, 2007, 40, 84.
164
Alla stessa logica risponde l’introduzione, nel corpo dell’art. 414 c.p., dell’ipotesi
aggravata di istigazione o apologia, laddove dette condotte riguardino delitti di
terrorismo o crimini contro l’umanità.
Sul versante processuale, emergono sempre più preponderanti i poteri della polizia
giudiziaria e dei servizi segreti ex art. 226 disp. att. c.p.p., nonché in tema di misure di
prevenzione personali e patrimoniali700. Anche i poteri di fermo ex art. 384 co. 3 c.p.p.
sono stati ampliati per i delitti di cui all’art. 497 bis c.p.p.
Era poi stato autorizzato il prelievo coattivo si saliva o capelli per facilitare
l’identificazione degli indagati ex art. 354 co 3 c.p.p., possibilità poi soppressa dalla L.
30.6.2009, n. 85, probabilmente anche per al palese violazione della riserva di
giurisdizione e di legge.
Si citano anche le disposizioni premiali per gli stranieri che collaborino. Non è
mancato chi ha letto, in tale tentativo, la funzione strumentale di catalizzare il consenso
dell’opinione pubblica, a fini di legittimazione politica e di strategia elettorale.
Complice la strumentalizzazione mediatica del fenomeno terroristico e criminale in
genere, con l’avvertimento che la scarsa tassatività sistemica delle fattispecie introdotte
porta come effetto la ineffettività delle stesse, e il conseguente mancato raggiungimento
dei risultati auspicati701.
In tale ottica, la norma introdotta dall’art. 270 sexies c.p. conferma la vocazione
simbolica e di difesa sociale della legislazione emergenziale702.
Vale solo la pena di accennare, in tale sede, che anche il settore della normativa
sull’immigrazione rappresenta uno tra i più interessanti stilemi di legislazione
emergenziale703.
Ancora, per far fronte all’emergenza terroristica, si sono estesi i tradizionali
sistemi di prevenzione anche in capo ai tradizionali servizi di informazione704.
Non si vuole certo nascondere che le attività connesse alla sicurezza nazionale, ed
in particolare quelle di intelligence, per loro stessa natura sfuggono alla trasparenza e
alla pubblicità che caratterizzano l’attività dei pubblici poteri in un ordinamento
democratico705.
In via generale, potrebbe avvenire anche attraverso azioni formalmente illegali (ad
es. una violazione di domicilio, un’intercettazione telefonica o una falsificazione
documentale sottratte al vaglio dell’autorità giudiziaria), ma finalizzate alla raccolta di
informazioni per la sicurezza nazionale e legittime alla luce del bilanciamento dei valori
costituzionali in gioco (tutela dei diritti-sicurezza nazionale). Il nocciolo del problema,
in ogni caso, è essenzialmente quello delle c.d. garanzie funzionali da riconoscere agli
appartenenti agli organismi di intelligence, per un efficace perseguimento delle loro
700
Si veda inoltre Dlgs 109/2007, che prevede il congelamento dei fondi per contrastare il finanziamento
al terrorismo.
701
RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 204.
702
RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 206.
703
RESTA, Nemici e criminali, Le logiche del controllo, in Ind. Pen., I, 2006, p. 214. cfr. FORLENZA, Per
motivi di prevenzione del terrorismo scatta l’allontanamento dal territorio, in GDir, 2008, 3, pag. 24. Cfr
anche la L. 125/2008, che rappresenta l’ennesimo provvedimento emergenziale di impronta repressiva e
tendenzialmente in violazione di fondamentali garanzie individuali.
704
Pur essendo distinte le funzioni della polizia di sicurezza regolate dalla L. 121/1981 –tutela di o.p. e
prevenzione di reati- e quelle dei servizi di informazione – raccolta e gestione di informazioni utili per
difesa militare e sicurezza dello Stato-, disciplinate dalla L. 801/1977 e ora, da L. 124/2007
705
GIUPPONI., sicurezza personale, sicurezza collettiva e misure di prevenzione. La tutela dei diritti
fondamentali e l’attività di intelligence, in www.forumcostituzionale.it
165
peculiari finalità di raccolta ed analisi di informazioni indispensabili a garantire la
sicurezza nazionale706, ma con la chiara individuazione dei limiti di tali attività, al fine
di evitare sacche di impunità esenti da ogni controllo.
Tuttavia, le modalità seguite per positivizzare le istanze di giustificazione delle
condotte “funzionali” non appaiono del tutto soddisfacenti, dal momento che
sembrerebbe che si sia ovviato alla lacuna sulle garanzie funzionali con l’utilizzo del
segreto di stato.
Soprattutto, con riguardo alle disposizioni volte ad incidere sulla tutela del segreto
di stato nel processo penale, le gravi disfunzioni del sistema previgente non sono state
superate e le norme sono tali da lasciare incertezze in sede applicativa.
In altre parole, il peso delle scelte operative sembra essere stato scaricato, ancora
una volta, sulla magistratura chiamata ad applicare le norme in materia di cause di
giustificazione.
706
Cfr. CORNELI, In monitoraggio puntuale delle minacce per contribuire alla difesa della democrazia, in
GDir, 2007, 20, pag. 10. CORNELI, Una visione integrata dell’intelligence per i nuovi servizi disegnati
dalla riforma, in GDir, 2008, 11, pag. 11.
166
CONCLUSIONI
La necessità e l’emergenza, che caratterizzano le situazioni eccezionali,
capovolgono il comune sentire.
La prima è stata regolata dal legislatore di ogni tempo, e in ogni tempo ha
presentato difficoltà di inquadramento, oscillandone la ratio tra oggettivo e soggettivo:
con tale clausola ogni ordinamento penale pone un limite alla propria portata punitiva,
per tenere conto di insopprimibili esigenze umane.
Anche la seconda rappresenta una costante nella storia degli ordinamenti
costituzionali, ed ispira in ogni tempo la legislazione speciale. Del resto, la rottura della
tutela costituzionale dei diritti e delle libertà in nome della difesa della sicurezza dello
Stato non rappresenta un fenomeno nuovo ma, anzi, ad essa possono ricondursi i moti
del 1848, la Grande Guerra, l’avvento del fascismo ed ogni momento di crisi, di
minaccia al sistema, al quale è poi conseguita la rottura del sistema costituzionale di
diritti al fine di una pretesa tutela dell’ordine pubblico.
È peraltro nota la tentazione dell’ordinamento di inglobare, nella regola, anche
l’eccezione, e di teorizzare la necessità come fonte suprema dell’ordinamento707;
tuttavia questo non è stato l’oggetto principale della presente indagine, che ha
riguardato, invece, un aspetto peculiare del problema della necessità e dell’emergenza,
ossia quello dei rapporti esistenti tra la queste e l’azione dei pubblici poteri sotto il
profilo spiccatamente “penalistico”.
La storia insegna che in tempi di crisi si è sovrastimato il bisogno di sicurezza e
svalutato il valore della libertà e che, nel contempo, molto spesso l’emergenza connessa
a pericoli esterni all’ordinamento giustifica restrizioni dei diritti che poi trovano asilo
nella gestione ordinaria delle vicende interne..
Si osserva, quindi, che gli effetti di giustificazioni troppo estese di condotte illecite
sono destinate ad avere effetto per lungo tempo, determinando un indebolimento
dell’efficacia preventiva delle norme penali anche una volta finita l’emergenza, e che,
similmente, l’introduzione di una previsione legislativa che autorizzi decisioni estreme
finisce per normalizzare l’evento anziché prevenirlo.
In ogni caso, sia la giustificazione operante a livello dei principi generali del
codice penale, sia essa derivante da un sistema di leggi create ad hoc, la conseguenza e
quella della deresponsabilizzazione dell’autore del fatto. E, concedendo a chi agisce di
valicare i limiti della tutela dei diritti e delle garanzie, si determina un graduale
passaggio dallo stato di diritto al diritto dello stato. In tale prospettiva il diritto, anziché
limitare il potere in funzione delle garanzie individuali, ne diviene il braccio armato.
Sotto il profilo penalistico, la chiave di volta è rappresentata dal passaggio dalla
legislazione codicistica alla legge speciale, significativamente ispirata alla lotta contro
la delinquenza, che si caratterizza per l’ampio avanzamento della soglia di punibilità e
l’assenza di una riduzione di pena proporzionale all’anticipazione, e che è
accompagnato alla riduzione delle garanzie processuali. In tale ottica viene in rilievo
anche lo stesso processo penale come causa di giustificazione: le procedure penali
ledono o mettono in pericolo, per loro natura, beni quali libertà di circolazione, diritto
alla segretezza e alla privacy, libertà personale, salute fisica e psichica, con norme sui
fermi, custodie cautelari, sequestri, intercettazioni, ispezioni ecc…, ma se sono
707
Invero, come detto, il problema sembra rientrare nella “competenza” dei costituzionalisti..
167
codificate, per ciò stesso sono legittime (se conformi anche al superiore dettato
costituzionale).
Invero, la ricognizione dei differenti ordinamenti, senza pretesa di esaustività, ha
mostrato che la nuova stagione della legislazione d’emergenza, innescata dopo l’undici
settembre, è di ispirazione repressiva: sospensioni o forti restrizioni dei diritti degli
stranieri si accompagnano alle deroghe dalle usuali regole processuali e
dall’introduzione di misure di prevenzione. Infatti, anche negli stati più “fedeli” al loro
impianto costituzionale, si registrano operazioni di intelligence al di fuori della legalità:
di fatto, cioè, si lascia carta bianca ad attività di polizia al di fuori dalle garanzie imposte
dagli ordinamenti legali. E più la paura del pericolo diventa forte, più si abbassa il
livello effettivo di tutela dei diritti e delle libertà individuali. Si può quindi osservare
che i fenomeni terroristici nascono sul terreno di una profonda caduta di legittimazione
dell’ordinamento, che si rivela inefficace sul piano del controllo sociale, e, per
contrastare detto fenomeno, sotto la spinta di una sollecitazione sicuritaria, il diritto si
converte in ragion di stato, ammettendo deroghe ai principi cardine dello stato di diritto.
Con riguardo all’ordinamento italiano, tra le misure adottate successivamente
all’11 settembre si annoverano da un lato una serie di misure legislative che hanno
accresciuto i poteri degli apparati investigativi e repressivi e che hanno condotto
all’introduzione del reato di terrorismo internazionale, fattispecie ampia e ambigua;
dall’altro sono ritornati i decreti emergenziali.
Il comune denominatore tra diversi ordinamenti si coglie quindi nel fatto che, sia
pur con strumenti diversi, ogni sistema giuridico è alla ricerca di un paradigma per una
tranquillante risoluzione del conflitto tra legalità e sicurezza (tranquillante dal punto di
vista della società molto più che da quello del giurista).
In tale prospettiva occorre rivendicare allo studioso del diritto il ruolo di
prefigurare le finalità di politica criminale al legislatore stesso, non limitandosi ad
approntare gli strumenti concettuali e tecnici per il conseguimento di fini di politica
legislativa individuati da altri, pena l’alienazione del giurista alla sfera decisionale.
L’analisi comparatistica, disincantata e quanto più possibile scevra da emotività
della legislazione degli Stati che sono ricorsi a “regole eccezionali”, è stata condotta
anche con il fine di far fronte alla tentazione (sempre presente quando si tratta di
pericoli che incombono sulla società) di erodere la sfera di operatività del diritto penale,
invocando un rafforzamento speciale delle prerogative di altri poteri dello Stato (come
l’esecutivo e la sua longa manus rappresentata dai servizi segreti).
Con un’avvertenza ulteriore: evitare di mutuare risposte da ordinamenti di
sensibilità giuridica molto diversa dalla nostra. Tali soluzioni, infatti, per quanto
suggestive, finirebbero per stridere con i principi che permeano il nostro “DNA”: ad
esempio, per quanto riguarda il nostro ordinamento, è fondamentale il rispetto della
Costituzione, assai garantista rispetto a misure eccezionali, e incompatibile con
normative tipo il Patriot Act americano.
In ultima analisi, si vuole proporre un ulteriore modello di reazione all’emergenza.
Atteso che le garanzie dei diritti non posso essere “vanificate” e devono rispettare
“criteri di congruità”, lo stato d’emergenza all’interno di un sistema rappresenta uno
shock per l’ordinamento giuridico, come un sasso lanciato in una rete elastica, lo
168
deforma, ma non lo sfonda. La rete tende ad assorbire il colpo e a riprendere la forma
originale. Sono proprio i giudici a far reagire la rete.
Ciò avviene in quanto ai giudici non spetta la valutazione sull’efficacia del mezzo
adoperato, poiché come ha affermato Barak, “la Corte non deve prendere posizione sul
problema di quali siano le misure di sicurezza efficaci nella lotta contro il
terrorismo”708.
Il giudice intervenendo a posteriori, pur facendo una valutazione ex ante, deve
invece garantire che l’emergenza non sia la scusa per introdurre limitazioni eccessive,
ingiustificate o discriminatorie ai diritti costituzionali. La rete delle argomentazioni
giuridiche non deve subire lacerazioni in nome della necessità di provvedere, e deve
riprendere il prima possibile la sua forma originale.
Il c.d. Modello Barak si caratterizza, quindi, per il ruolo fondamentale dei
giudici. A questi, infatti, viene attribuito il compito di protezione dei principi della
democrazia; essi hanno l’obbligo di non far tacere in battaglia le leggi dello Stato
democratico; il legislatore, dal canto suo, deve individuare lo strumento per attivare
l’intervento giudiziario nelle petizioni di chi, cittadino o straniero, lamenti la violazione
di un diritto; l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici nei confronti del governo e
dell’apparato esecutivo; la tempistica dell’intervento giudiziario, considerata decisiva
per impedire che un’azione ingiusta possa essere portata a compimento709. Tali sono le
caratteristiche del modello la cui applicazione potrebbe salvare lo stato di diritto
nell’emergenza.
La fiducia pubblica negli organi dello stato è infatti vitale per la democrazia:
“soltanto una democrazia forte, sicura e stabile può tutelare i diritti umani e soltanto
una democrazia costruita sulle fondamenta dei diritti umani può avere sicurezza. Il
corretto equilibrio tra libertà e sicurezza è dunque il risultato di una chiara posizione
che riconosce sia la necessità della sicurezza, sia quella della protezione dei diritti
umani …è un equilibrio razionale e delicato che è il prezzo della democrazia. È un
prezzo molto alto ma val la pena di perseguirlo perché rafforza lo stato e fornisce un
motivo alla sua lotta”710.
In definitiva, attesa la peculiare conformazione del nostro ordinamento, si deve
convenire sulla “necessità e insostituibilità dell’intervento del sistema penale e dei suoi
attori istituzionali”711, nella particolare contingenza storica di contrasto all’emergenza
terroristica.
708
BARAK, democrazia, terrorismo e corti di giustizia, in giur. Cost., 2002, 5, 3385; cfr. BEVERE, Il
diritto penale del nemico nelle aule di giustizia, cit., p.227, il quale encomia la magistratura che opera i
necessari controlli sull’operato dell’esecutivo soprattutto in tema di immigrazione.
709
STELLA, I diritti fondamentali nei periodi di crisi, di guerra e di terrorismo: il modello Barak, in
RIDPP, 2005, 3, 398
710
BARAK, democrazia, terrorismo e corti di giustizia, in giur. Cost., 2002, 5, 3385.
711
VIGANÒ, Terrorismo, guerra e sistema penale, in RIDPP, 2006, fasc. 2, p. 648.
169
170
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176
LA NECESSITA’
NELLA PARTE GENERALE DEL CODICE PENALE
INTRODUZIONE……………………………………………………………1
CAPITOLO PRIMO
Evoluzione delle teorie dello stato di necessità –panorama italiano
1
2
3
L’evoluzione dello stato di necessità…………………………………………...7
Le formulazioni della norma nei codici preunitari e nel codice Zanardelli…..11
4
5
6
7
La formulazione del codice Rocco: l’art. 54 c.p………………………………21
Le altre ipotesi di ‘necessità’ regolate dal codice. Cenni……………......……28
Casi tipici e ipotesi problematiche…………………………………………..32
Stato di necessità e azione dei pubblici poteri………………………………42
7.1
Il caso Sossi…………………………………………………………….42
7.2
Il caso Dozier………………………………………………………......43
7.3
Caso Moro……………………………………………………….……..44
7.4
Caso Abu Omar………………………………………………………...45
7.5
La risposta nell’ordinamento italiano………………………………….46
Tra logica oggettiva e soggettiva: conseguenze sistematiche dell’una e dell’altra
impostazione…...14
CAPITOLO SECONDO
Profili comparatistici in tema di stato di necessità
1
2
Le norme del codice penale tedesco…………………………………………...49
1.1
Lo stato di necessità nel codice del 1871 e la ricerca dei principi generali
giustificante e scusante………………………………………………………...49
1.2
Le norme dell’attuale StGB: § 34 der rechtfertigende Notstand…......53
1.3
Le norme dell’attuale StGB: § 35 der entschuldigende
Notstand………...59
1.4
Una valutazione dell’esperienza tedesca: alcune applicazioni
pratiche………….…66
1.5
Stato di necessità e azione dei pubblici poteri………………………70
1.6
Le altre ipotesi generali nell’ordinamento tedesco: §§ 228 e 904
BGB…….…73
Lo stato di necessità in altri ordinamenti……………………………………75
2.1
In Austria e Svizzera………………………………………………...75
2.2
In Norvegia………………………………………………………….…76
2.3
In Spagna………………………………………………………………76
2.4
In Portogallo……………………………………………………………77
177
2.5
In Francia………………………………………………………………78
2.6
In Gran Bretagna e negli Stati Uniti………………………………...…79
2.7
Cenno
ai
principi
generali
del
diritto
penale
internazionale……………...…80
CAPITOLO TERZO
Stato di necessità e tutela della collettività
1
Stato di necessità e tutela della collettività: impostazione del problema. Il
riemergere
del
nemico
nelle
politiche
penali
contemporanee………………………………………..85
1.1
Sul bene da tutelare: la sicurezza della collettività………………....87
1.2
Sull’emergenza terroristica quale pericolo per la collettività: è pericolo
attuale?... 89
1.3
La gravità del male minacciato……………………………...91
2
Le
altre
variabili
del
bilanciamento:
esistono
diritti
“comprimibili”?........................92
2.1
La necessità legittima la tortura?.................................................92
2.2
Le Convenzioni internazionali contro la tortura e la giurisprudenza della
Corte Europea……………………………………………………………...96
2.3
Catalogo dei diritti non suscettibili di bilanciamento………...103
2.4
Lo scenario italiano…………………………………………...106
2.5
Il principio di proporzionalità e l’inevitabilità altrimenti del
pericolo. Prime conclusioni in tema di tortura…...108
3
Segue: la libertà di movimento e le c.d. rendition………………110
4
Segue: la tutela della legalità in quanto tale………………………..112
5
Conclusioni………………………………………………………...113
NECESSITÀ ED EMERGENZA TERRORISTICA: DALLA NORMA
GENERALE ALLA LEGISLAZIONE SPECIALE
CAPITOLO QUARTO
Profili di diritto comparato
1
2
3
4
178
Il nemico nel diritto penale e la legislazione emergenziale………………..115
Il modello tedesco e le vicende della legge sull’aviazione…………………...117
2.1
Considerazioni………………………………………………………..123
Il modello britannico di gestione delle emergenze…………………………...123
Cenni ai modelli di altri ordinamenti ………………………………………...126
4.1
Modello francese……………………………………………………...127
4.2
Il modello irlandese…………………………………………………...128
4.3
Il modello spagnolo…………………………………………………...128
5
6
4.4
Cenni ad altri ordinamenti……………………………………………129
Un caso emblematico: il modello statunitense di gestione delle emergenze…130
5.1
Il doppio binario……………………………………………………133
5.2
I Patriot Act e la legislazione d’emergenza………………………...135
5.3
Gli strumenti investigativi………………………………………….135
5.4
Le deroghe all’habeas corpus………………………………………….137
5.5
La normalizzazione dell’emergenza…………………………….138
5.6
Cenni alla giurisprudenza della Corte Suprema……………………....139
5.7
Considerazioni……………………………………………………………..142
La risposta dell’Unione europea all’11 settembre……………………………144
CAPITOLO QUINTO
Focus sull’ordinamento italiano
1.
2.
3.
4.
5.
Cenni al modello costituzionale italiano……………………………………149
La risposta italiana al terrorismo internazionale (cenni)……………………152
Riforma dei servizi segreti (cenni)…………………………………………….159
Riforma del segreto di stato (cenni)…………………………………………...162
Considerazioni conclusive sul modello italiano………………………….164
CONCLUSIONI…………………………………………………………………………167
BIBLIOGRAFIA………………………………………………………………………...171
179