Tipologia A - Analisi del testo: «L'isola» di Ungaretti Ungaretti arrivò, dopo un lungo travaglio di riscritture, alla stesura definitiva di questa poesia bella ma tremendamente ermetica che conserva tuttavia la data originaria del 1925. Il paesaggio in cui si ambientano i versi, scrive in una sua nota «è quello di Tivoli». Perché allora l’isola? «Perché è il punto dove mi isolo», spiega, «è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio stato d’animo posso separarmene». L’isola è entrata nella raccolta Il Sentimento del tempo che accoglie versi scritti dal 1919 al 1935. E’ il libro più complesso di Ungaretti dove serpeggia un’ispirazione barocca: e per «barocco» il poeta intende una situazione spirituale in cui incombe un senso di «catastrofe immanente». Siamo nel pieno della crisi ungarettiana, quando il poeta con angoscia affronta la percezione di un «vuoto» esistenziale, tanto più inquietante, perché è confrontato con lo spettacolo ora gaio di cieli azzurri, di boschi, di acque e di meriggi luminosi, ora misterioso (come accade appunto in questo componimento) di chiaroscuri suggestivi nella loro ambiguità. Ungaretti è il poeta più difficile da interpretare attraverso l’analisi di un isolato componimento tolto dal suo più ampio contesto: spesso in una singola poesia (come accade specialmente per questa) può diventare indecifrabile. Non bastano le poche note messe in calce dal Ministero al testo. Dei sette suggerimenti di analisi proposti solo il quarto e il sesto possono avere una possibilità di sviluppo: gli altri sono in sostanza «quiz» irrisolvibili, se non con risposte banali e approssimative. E allora al candidato non sarà restato altro che segnare le proprie sensazioni o emozioni: perché gli è stata esclusa (e persino ostacolata) la comprensione del significato della poesia. Mi auguro che i giovani abbiano evitato di scegliere questa proposta troppo difficile, per non finire a parlare genericamente di Ungaretti. Tipologia B - Saggio breve. Ambito Socio-Economico: Città e periferie Sembra che la scelta del tema risenta della suggestione dei fatti francesi: la rivolta delle banlieue. Soltanto che è difficile rapportare questa discussione all'Italia dove le problematiche profonde legate alle periferie sono conosciute molto sommariamente, anche se meriterebbero un livello di attenzione maggiore. I fenomeni di disagio di chi vive a ridosso dei centri urbani si sono estesi infatti al di là della categoria dei «poveri», degli «emarginati», degli «esclusi». La rivoltà delle banlieue invece ha un soggetto preciso: gli immigrati di seconda generazione e la loro aspirazione a una cittadinanza piena. In Italia, pur con tutte le problematiche legate all'immigrazione, la situazione non è ancora esplosa, è tenuta sotto controllo. Stando così le cose è evidente che si tratta di un tema difficile da sviluppare: presuppone infatti la capacità di andare al di là della cronaca e di attingere a conoscenze di carattere sociologico. Entrando poi nel merito del titolo, non risulta neanche immediatamente chiaro il nesso tra l'identità personale e l'impoverimento economico che da noi sta portando alla fuga dal centro alle periferie. Da noi l'identità è un sistema di valori che non viene scardinato se si guadagnano 200 euro in meno e ci si sposta fuori città. In Italia forse soltanto in alcune zone del Sud la periferia può correlarsi all'identità mafiosa. Ci voleva un titolo più aperto e meno pretenzioso. Peccato, si è persa un'occasione per far riflettere gli studenti sulla società italiana e i suoi cambiamenti. Tipologia B - Saggio breve. Ambito Tecnico-Scientifico Finalità e limiti della conoscenza scientifica E’ una traccia che offe un’occasione straordinaria. Secondo un luogo comune diffuso, infatti, la scienza fornirebbe solo risposte «quantitative» alle domande dell’esperienza umana. Quanto poi alle cosiddette «questioni ultime», ne sarebbe totalmente esclusa, lasciando campo libero alla filosofia, alle scienze umane e alla creatività artistica. Ora, se un simile pregiudizio può essere in parte giustificato per le scienze fisico-matematiche (in parte, perché la cosmologia, per esempio, non indaga certo oggetti puramente quantitativi), è totalmente infondato per le scienze biologiche. Da Darwin in poi, la biologia ha cominciato a inquadrare la vita sulla terra e la comparsa dell’uomo attraverso nuclei concettuali nuovi e controintuitivi, come la selezione naturale e l’idea di «adattamento»: nuclei che hanno trovato conferme sperimentali molto solide negli ultimi decenni con la genetica, la biologia molecolare e le neuroscienze. Certo, le risposte della biologia a tante domande fondamentali possono essere scioccanti, specie in un Paese di identità cattolica e di tradizione veteroumanistica come il nostro. Non è facile metabolizzare l’idea che la vita nasca per caso da un «brusìo» biochimico di miliardi di anni, che quella umana sia solo una delle tante specie derivanti da un unico progenitore unicellulare, che le nostre qualità più preziose - la coscienza e il linguaggio - siano prodotti evolutivi probabilmente «secondari» all’interno di spinte adattative legate al cibo, alla predazione e alla riproduzione. Una volta abbracciata questa prospettiva, però, è possibile coglierne la forza esplicativa e, nello stesso tempo, l’intrinseca limitatezza; una limitatezza, peraltro, derivante dalla nostra stessa fisiologia. In fondo, la lezione più rigorosa della scienza consiste proprio nell’attuazione dell’antico motto socratico, secondo cui l’uomo è «la misura di tutte le cose». Tipologia B - Saggio breve. Ambito artistico-letterario : Il distacco Forse, a dei ragazzi che si presentano alla prova con una certa carica d’ansia, un piccolo aiuto almeno nella formulazione non sarebbe stato fuori luogo. Sarebbe bastato poco: solo rinunciare al conciso stile nominale cadenzato sull’astrazione («nell’espressione ricorrente dell’esistenza umana») per almeno scioglierli psicologicamente. Anche perché il tema proposto all’analisi, con la sua visione che suona oggettiva nella prospettiva dei ragazzi, mal si addice a coloro per i quali, per molti aspetti, il distacco è soprattutto un concetto, un desiderio e un’utopia. È da sempre il sogno dell’indipendenza (ne accenna furtivamente la Schelotto), che sembra caricarsi di significato proprio nei giorni della cosiddetta prova di maturità, ma che, proprio per tale aspetto, è esperienza a essi sostanzialmente estranea. O, almeno, lo è in due dei significati proposti: il «senso della perdita» (esemplificato come morte, come abbandono forzato della propria terra, come distacco dalle cose care) e il «fruttuoso percorso di crescita personale». Se proprio si vuole, può valere il secondo aspetto, l’«estraniamento»: che è sì forse l’esperienza più propria, ma in quanto distacco vissuto non fisicamente, ma psicologicamente e culturalmente: nel senso di estraneità ai valori correnti della scuola, della famiglia e della società. Né è da escludere che un eventuale svolgimento punti proprio su questo, ampliandolo al doppio significato: di «autoestraniamento» (e qui cadrebbero tutti i temi e luoghi anche comuni del disagio giovanile); e di «estraniamento» indotto dalle più varie circostanze (ed ecco allora temi quali razzismo, emigrazione e così via). Sta un po’ qui la difficoltà di questa traccia: anche perché l’altra possibilità di sviluppo, ossia ancorarla a conoscenze letterarie, comporta non pochi problemi proprio di «conoscenza». La dimostrazione mi par risiedere proprio nella esemplificazione prodotta, rapportabile soprattutto al primo dei tre significati, se si esclude l’aspetto «migrante” del secondo, carente invece di tutta quella cultura anche letteraria giovanile che ormai la esprime. Certo, uno svolgimento in senso culturale porterebbe non poche sottigliezze, considerando che il «senso della perdita» avrebbe con sé il tema quanto mai letterario e in genere artistico della «nostalgia», con tutto quanto interviene a livello di sensi di colpa e di combattimento psicologico interno per il ritorno, là ove il distacco sia nato da una delle due altre forme (e potrebbe anche sfumare nella riduttiva sovrapposizione di «distacco» con «viaggio», col corollario di frasi fatte come «partire è un po’ morire» e così via). Specie se il distacco è legato all’ultimo significato, nel quale trovo un aggettivo, «fruttuoso», forse di troppo. Anche perché il «distacco» inteso come ricerca e «percorso di crescita personale» non è necessariamente fruttuoso. È senza dubbio un segno di maturità, ma pure una scommessa, specie se «crescita» (ciò che comunque dovrebbe esserci anche in caso di scacco) significa pure «realizzazione» di sé e dei propri sogni. La cui mancanza innesca spesso l’altro problema del distacco: la vergogna del ritorno. Aspetti piuttosto complessi, come si vede: specie perché sottoposti a ragazzi diciottenni su cui da un lato non pende ancora la spada di Damocle del «distacco» (le situazioni economiche odierne dicono appunto ben altro…), e dall’altro è già purtroppo calata la spada di Damocle del supporto culturale. Tipologia B - Saggio breve. Ambito storico-politico: Mazzini Notevole per la densità dei temi che consente di affrontare, l’argomento proposto deve essere però apparso agli studenti assai difficile. Con qualche ragione. Il punto non è tanto che la scelta su Mazzini giunga inaspettata ormai un anno dopo il bicentenario mazziniano (chi ha mai detto che la scuola debba seguire la politica degli anniversari?). Assai più importante, nel determinare la difficoltà di cui si diceva, è che Mazzini non sia compreso nel programma di storia dell’ultimo anno delle superiori, interamente dedicato al Novecento. In queste condizioni, temo risultasse arduo affrontare in modo adeguato l’argomento, anche solo analizzando alcuni dei concetti proposti nel titolo. La nazione e l’unità nazionale, anzitutto, giacché Mazzini agitò l’idea di un’Italia «una» (contro ogni ipotesi di federazione tra gli Stati della penisola) fin dai primi anni Trenta, in tempi nei quali essa appariva del tutto irrealistica. Oppure il binomio democrazia-libertà, assai più problematico di quanto solitamente si pensi: Mazzini, infatti, concepiva la libertà dell’individuo unicamente come libertà di scelta tra i mezzi attraverso i quali raggiungere un fine collettivo, e non come libertà per ciascuno di scegliere la propria strada. E’ probabile che, possedendo solo una vaga conoscenza dell’argomento, la maggioranza degli studenti si sia dunque trovata dinanzi a un’unica possibilità, quella di parafrasare i documenti offerti, per ricavarne alcune ovvietà: sono importanti i diritti ma anche i doveri, la democrazia necessita di un fondamento etico, ecc. Magari aggiungendo ogni volta: «come diceva Mazzini». Tipologia C - Tema storico: Onu, Patto atlantico, Ue A questo tema applicherei subito il titolo della famosa canzone di Gianna Nannini «Bello e impossibile»…Perché è certamente un’idea “bella”, anzi direi ottima, affrontare tre nodi importanti per la storia contemporanea, come l’ONU, il Patto Atlantico e l’Unione Europea. Ma mi chiedo seriamente: è davvero possibile che oggigiorno dei maturandi sappiano - come esplicitamente richiesto – «inquadrare il profilo storico di queste tre Organizzazioni» (chissà mai perché con la O maiuscola…)? Per farlo senza i soliti, generici bla-bla-bla, occorre conoscere quant’è successo dalla fine della seconda guerra mondiale sino alla nascita dell’Unione Europea, compreso il tema dell’allargamento da 15 a 25 paesi, a seguito del “crollo del muro” (1989) e della scomparsa dei cosiddetti “socialismi reali”. Ma non basta: le difficoltà crescono se si considera che a ogni candidato era chiesto anche di illustrare «gli indirizzi di politica estera» in base ai quali l’Italia, vale a dire ogni governo dal 1945 ad oggi (da Parri a Prodi!), ha fondato «la scelta di farne parte». Mi chiedo se è davvero possibile che uno studente di 18-19 anni riesca a spiegare i vari «perché» dell’adesione all’ONU (1955), al Patto Atlantico (1949) e infine a quella «politica europeista», che con De Gasperi ha portato alla «piccola Europa» e solo fra battute d’arresto e zig-zag ha potuto giungere all’Unione Europea odierna, comprese le incognite legate, per esempio, al prossimo allargamento alla Turchia. E ancora: quanti maturandi sanno a che punto il Patto Atlantico finisce o almeno dà luogo all’esperienza della NATO? E parlare genericamente della “Italia”, come si legge nel tema proposto dal ministero, non può generare equivoci se non si distingue quali erano i governi che si sono succeduti con maggioranze diverse e quindi con “scelte” non sempre identiche, dai lontani anni del centrismo al centrosinistra, alla solidarietà nazionale e alla fine, vera o presunta, della Prima Repubblica, con quel che segue? Ha davvero ragione la Nannini: «Bello e impossibile». Tipologia D - Tema generale: botteghe artigiane e antichi mestieri Un tema sul significato e sul valore degli antichi maestri artigiani è un omaggio all’arte italiana. I maturandi che lo hanno scelto avrebbero potuto ricordare che il nostro Paese è anche la patria naturale di queste attività, pur con i problemi che gli artigiani devono affrontare. Sono quelli che caratterizzano tutte le società occidentali immerse a contatto ocn nell’economia globale: affitti in continuo aumento, tasse sempre più soffocanti, carenze di giovani desiderosi di «imparare un mestiere», concorrenza delle multinazionali capaci di offrire prodotti usa-e-getta a basso prezzo. Eppure, guardando nella nostra storia, ci si accorge che figure come Leonardo, Bernini, Giotto, Canova senza contare molti artisti del secolo scorso, sono passate dalle botteghe e dalle officine artigiane. E anche i marchi più noti della moda d’oggi sono nati in tal modo. Da noi, per dirla con una battuta, i Grandi prima di accedere ai libri di storia hanno chiesto il permesso alla nostra tradizione artigianale. Certo, come suggerisce la traccia del tema, la botteghe continuano ad essere luoghi di sapere, anche se in media fanno poco per ricordarlo e la politica non sempre ha presente questa realtà. Così, per fare un’esempio, i liutai di Cremona, che proseguono nell’arte del sommo Stradivari, sono più noti all’estero che in Italia; e il medesimo discorso può essere fatto per i soffiatori di vetro di Murano e per chi - come lo stampatore Tallone di Alpignano presso Torino - sanno realizzare ancora opere composte a mano. Per quel che riguarda l’innovazione tecnologica che ha investito questo mondo, si potrà notare che è necessaria una serie di distinzioni: per taluni artigiani è essenziale per altri è marginale, perché l'utilizzo di certi materiali e di particolari tecniche riuscendo a salvare una tradizione, è scelta che non può essere generalizzata. I legni di un liutaio non possono essere trattati con vernici dell’ultima generazione, così come le carte di un tipografo che lavora col torchio non possono essere quelle cariche di acidi dell’attuale produzione, tuttavia liutaio e torcoliere potranno avvalersi dei servizi che un computer sa rendere in maniera insostituibile. Le prospettive? Per rispondere a questa domanda occorre essere più indovini che storici. Dipende dalla nostra politica e da quello che desideriamo essere nel mondo. Certo, se ci ricordassimo che l’Italia è il Paese con più opere d’arte, forse punteremmo su una produzione di qualità e stile, quindi artigianale, e non su certi investimenti industriali che sovente si sono rivelati catastrofici. Un’ultima osservazione la dedichiamo agli estensori del titolo: imparate ad essere brevi. Non si può pretendere di scrivere un trattato per suggerire un’idea. Bastano due righe.