Relazione-24.10.11 - Ordine degli Avvocati di Lucca

ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LUCCA – CORSO DI DIRITTO TRIBUTARIO
GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E ATTI IMPUGNABILI
(Castelnuovo di Garfagnana – Teatro Comunale - 24 ottobre 2011)
Avv. Giuseppe Conoscenti
Sommario: 1. Premessa (p. 1) – 2. L’oggetto della giurisdizione tributaria (p. 4). – 3. La
nozione di controversia tributaria. Casistica. (p.6.) – 4. La (residuale) giurisdizione del
giudice ordinario e del giudice amministrativo nella materia tributaria (p. 15). 5. Gli atti
impugnabili e i motivi del ricorso (p. 20) – Bibliografia (p. 22).
1. Premessa
L’attuale assetto della giurisdizione tributaria costituisce il punto di arrivo di una
evoluzione normativa segnata dai più recenti interventi legislativi, dalle pronunce della
Corte Costituzionale e dagli apporti interpretativi della giurisprudenza di legittimità.
Il legislatore ha modificato e integrato più volte la disciplina del processo tributario e,
specialmente con la modifica dell’art. 2 del d.lgs. 546/1992 attuata con le novelle del 2001 e
del 2005 (L. 28.12.2001 n. 448 e D.L. 30.9.2005, n. 203) ha portato la giurisdizione delle
CC.TT. alla massima estensione possibile, compatibile con il vincolo costituzionale dell’art.
102 Cost..
Occorre subito rilevare che le CC.TT. sono giudici speciali preesistenti alla Costituzione. La
loro origine va infatti individuata nella L. 14.7.1864, n. 1830, con la quale furono create
apposite commissioni con il compito di eseguire “tutte le operazioni occorrenti per
appurare e determinare in prima istanza le somme dei redditi e dell’imposta” (Marongiu).
Le Commissioni nacquero quindi come organi deputati all’accertamento dell’imposta, e
questa loro originaria peculiarità si perpetua tutt’oggi nella caratteristica del processo
tributario che tende, laddove possibile, ad una pronuncia sostitutiva dell’atto impugnato
piuttosto che ad un mero annullamento dello stesso. Da qui la definizione di processo di
impugnazione / merito piuttosto che di impugnazione / annullamento.
Il fondamento e limite della sopravvivenza e persistenza delle Commissioni, quali giudici
speciali preesistenti alla Costituzione, va individuato nel combinato disposto dell’art. 102 e
della VI^ disposizione transitoria della stessa Carta fondamentale.
Se la prima delle due norme vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali, temperando la
rigidità del precetto, la VI^ disposizione transitoria consente il mantenimento dei soli
giudici preesistenti, contestualmente imponendo la revisione della loro disciplina allo scopo
di adeguarli ai parametri costituzionali. Il termine, fissato in cinque anni dall’entrata in
vigore della Costituzione, è stato successivamente ritenuto ordinatorio, e la revisione
suscettibile di non esaurirsi in un unico atto.
Si è così consentita, di fatto, la sottrazione alla giurisdizione ordinaria di un’area ad essa
naturalmente spettante.
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La ratio di questa scelta costituzionale deve essere ricercata nel riconoscimento
dell’esistenza di una materia speciale (quella tributaria), e nella conseguente opportunità di
attribuire la giurisdizione della stessa ad un giudice speciale, in ragione del necessario
possesso di saperi specialistici.
Una risalente pronuncia della Corte Costituzionale
giungeva in tal senso ad affermare che “questa continuità di indirizzo legislativo, … volta
ad escludere dalla cognizione del giudice ordinario le questioni di valutazione, cioè di
determinazione quantitativa dei redditi imponibili, rileva una convinzione profonda del
nostro legislatore circa una necessità, ritenuta imprescindibile per un’efficiente
organizzazione della pubblica finanza e il conseguimento dei suoi risultati, di limitare il
controllo di merito dell’accertamento quantitativo, escludendo dal parteciparvi l’autorità
giudiziaria” (C. Cost. 27.12.1974 n. 287).
Negli ultimi decenni, la Corte Costituzionale ha invece più volte affermato la tesi del
collegamento della giurisdizione delle CC.TT. alla “natura tributaria del rapporto” (C.
Cost. 11.2.2010 n. 39)
In tal senso, la stessa Corte Cost. ha fornito i criteri per individuare i caratteri che
individuano la prestazione tributaria, allo scopo di evitare la violazione dell’art. 102 Cost. e
lo “snaturamento” del giudice speciale, con la conseguente surrettizia introduzione di nuovi
giudici speciali.
L’altro carattere originario e distintivo della giurisdizione delle CC.TT. sottolineato anche
di recente dalla Corte di Cassazione deve essere individuato nella struttura impugnatoria del
relativo processo (SS.UU. 26.6.2009 n. 15.031). Le Sezioni unite hanno infatti affermato
che “Storicamente, il processo tributario nasce come processo di tipo impugnatorio, in
relazione al quale l'esistenza e la natura dell'atto impugnabile costituisce un vero e proprio
presupposto della giurisdizione. L'eventuale eliminazione di tale limite non sarebbe senza
conseguenze sul piano della legittimità costituzionale, perchè trasformerebbe indebitamente
il giudice speciale, con giurisdizione limitata alla legittimità degli atti impositivi, in giudice
dei tributi a competenza generalizzata per materia (arg. ex Corte Cost. sent. n. 204/2004).
Ritiene dunque il collegio che non possa essere superata la struttura impugnatoria del
processo tributario, e che, quindi, se manca uno degli atti espressamente elencati nel D.Lgs.
n. 546 del 1992, art. 19, o comunque un atto che sia espressione dell'esercizio del potere
impositivo esercitato nei confronti di singoli contribuenti, come accade appunto nelle liti
tra sostituto e sostituito, riacquista espansione la giurisdizione del giudice ordinario.
Si è così giunti all’attuale assetto della giurisdizione tributaria, i cui veri cardini devono
essere ricercati negli articoli 2 e 19 del D.Lgs. 546/1992.
L’art. 2 individua l’oggetto della giurisdizione tributaria elencando le controversie devolute
alle CC.TT..
L’art. 19 presenta invece l’elenco degli atti impugnabili e delimita i motivi ovvero l’oggetto
del ricorso (comma 1), precisando che “gli atti diversi da quelli elencati non sono
impugnabili autonomamente”, risultando quindi impugnabili solo in via differita,
unitamente ad un atto dichiarato espressamente impugnabile.
Viene altresì precisato che “Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere
impugnato solo per vizi propri” e che “La mancata notificazione di atti autonomamente
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impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato ne consente l’impugnazione
insieme a quest’ultimo”.
Come si dirà in seguito, alcuni commi dell’art. 2 sono stati dichiarati incostituzionali con
diverse pronunce del Giudice delle leggi.
Con riferimento all’art. 19, la Corte di Cassazione, ha invece dapprima escluso, in via di
interpretazione estensiva, la tipicità degli atti elencati ed è giunta infine a considerare
addirittura non tassativo il catalogo dei medesimi.
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2 – L’oggetto della giurisdizione tributaria
Per quanto attiene all’oggetto della giurisdizione tributaria (quindi al già citato art. 2 d.lgs.
546 / 1992) si osserva che fino alla riforma del 2001, seguendo un criterio tradizionale già
contenuto nel d.P.R. n. 636/1972, il riparto si attuava mediante l’enumerazione dei tributi
devoluti alle Commissioni tributarie. Tale ripartizione aveva dato luogo alla creazione della
figura dottrinale dei “limiti esterni” alla giurisdizione (P. Russo).
In concreto, l’impugnazione dell’atto era possibile solo se il relativo tributo fosse stato già
espressamente devoluto alle CC.TT. dal legislatore. In mancanza, la giurisdizione restava
attribuita al G.O., in via generale e residuale.
Con la novella introdotta dalla L. 28.12.2001 n. 448 (art. 12), l’art. 2 è stato
completamente ridisegnato, configurando la giurisdizione delle Commissioni tributarie
come “generale” oltre che “piena ed esclusiva” in luogo di quella precedente, “limitata” alle
materie espressamente indicate. Questa devoluzione generale è stata rafforzata dalla
successiva precisazione operata dall’art. 3 bis del D.L. 30.9.2005, n. 203, che con
riferimento ai “tributi di ogni genere e specie” ha aggiunto l’inciso “comunque denominati”
estendendo la giurisdizione a qualsiasi tipo di prelievo tributario, anche se non
espressamente qualificato come tale dal legislatore, ovvero anche se qualificato come
prelievo privatistico o para-privatistico.
Come si dirà più avanti, il riconoscimento dell’irrilevanza del nomen juris può anche
portare all’esclusione dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie di quei prelievi che
non presentano la struttura obbligatoria propria del tributo, pur se denominati “imposta” o
“tassa”.
L’art. 2 dispone ora che:
1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i
tributi di ogni genere e specie, comunque denominati compresi quelli regionali, provinciali
e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le
addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi
e ogni altro accessorio. (comma 1)
Coerentemente con la natura impugnatoria del processo e con la necessità che la
giurisdizione speciale sia limitata ai soli atti tipici lesivi, posti in essere da un ente
impositore nella sequenza procedimentale prevista dallo schema di attuazione del tributo, il
comma 1 (ultimo periodo) dell’art. 2, esclude altresì (implicitamente) dalla giurisdizione
tributaria gli atti generali o regolamentari “a monte” del procedimento e, esplicitamente, gli
atti successivi alla notifica del titolo esecutivo, disponendo che:
“Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti
della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e,
ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica
29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del
medesimo decreto del Presidente della Repubblica.” (comma 2)
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Infine, allo scopo di assicurare speditezza al processo tributario, il comma 3° dell’art. 2
completa la cognizione del Giudice tributario prevedendo che:“ 3. Il giudice tributario
risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie
rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela
di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio.
Sintetizzando e in via di prima approssimazione, una volta venuti meno i c.d. limiti esterni,
ogniqualvolta si sia in presenza di un prelievo strutturalmente tributario, sia esso
appartenente o meno al novero dei tributi statali, va riconosciuta la giurisdizione delle
Commissioni tributarie, senza che sia più necessario verificare l’inclusione del tributo in un
determinato catalogo normativo.
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3. La nozione di controversia tributaria. Casistica.
a) Come già rilevato, la nozione di controversia tributaria è stata precisata dalla
giurisprudenza della Corte Costituzionale con riferimento alla “natura tributaria del
rapporto”. (C. Cost. 11.2.2010, n. 39).
Per qualificare le entrate erariali come tributarie, la Corte prescinde quindi dal nomen iuris
utilizzato dal legislatore, privilegiando quello della struttura della specifica obbligazione.
E dunque la prestazione deve essere connotata:
a) dalla doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti
(la prestazione non discende dalla volontà del contribuente di obbligarsi, ma da una fonte
legislativa, che determina l’obbligazione, svuotandola di contenuto volontario)
b) dal collegamento di questa alla pubblica spesa (occorre che la prestazione pecuniaria sia
diretta a finanziare la soddisfazione di un bisogno pubblico)
c) dal riferimento ad un presupposto economicamente rilevante come momento genetico
dell’obbligo (indicativo della capacità contributiva del soggetto)
Ne consegue che diviene essenziale distinguere tra:
1) - prelievi tributari (aventi funzione redistributiva) e
2) - prelievi riconducibili ad un sinallagma genetico e funzionale (in questo caso, se
l’entrata è informata al principio di corrispettività, di regola non sussiste la giurisdizione
delle Commissioni tributarie).
Gli elementi indiziari della natura tributaria o meno della prestazione possono quindi essere
individuati, prevalentemente:
- nell’esistenza del c.d. sinallagma genetico, posto a fondamento del prelievo;
- nel carattere coercitivo della fase di attuazione e di adempimento dell’obbligazione;
- nel quantum della prestazione in relazione al costo del servizio
- nell’assoggettamento o meno ad Iva della prestazione controversa
La Corte Costituzionale ha affermato che sono invece irrilevanti:
- il nomen juris adottato dal legislatore: la disciplina sostanziale prevale sull’etichetta
formale (C. Cost.. 8.5.2009, n. 141)
- l’alternatività del prelievo rispetto ad un’entrata tributaria.
- il monopolio nella gestione del servizio prestato.
Quanto al sinallagma genetico, dopo averne ritenuto la rilevanza al fine di affermare la
natura privatistica della tariffa del servizio idrico integrato, la Corte costituzionale si è
pronunciata nel senso dell’incostituzionalità per irrazionalità della norma che imponeva il
pagamento anche in assenza del servizio (art. 14, comma 1, l. 5 gennaio 1994 n. 36).
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Secondo la Corte, l'irragionevolezza traeva fondamento nel fatto che «la norma denunciata,
eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e l'effettivo svolgimento del
servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, aveva irragionevolmente disciplinato il
pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo
contrattuale».
In altro caso, concernente la tariffa rifiuti introdotta dal c.d. decreto Ronchi, la Corte cost.le
ha notato che il fatto generatore della tariffa di igiene ambientale (TIA), non era ricollegato
alla effettiva produzione di rifiuti e quindi alla fruizione del servizio finanziato. Ne ha
pertanto fatto derivare la natura tributaria del prelievo. 1
Per quanto concerne la fase di attuazione e di adempimento, si è osservato che gli elementi
che possono far dubitare della natura tributaria di una prestazione sono:
a) il diritto al rimborso di quanto versato nel caso in cui l’azione pubblica non sia realizzata
entro un termine prefissato o comunque la presenza di rimedi che si possano avvicinare alle
azioni di inadempimento (risoluzione, eccezione di inadempimento, tutela risarcitoria ecc.);
b) una determinazione della prestazione strettamente correlata all’utilità ritratta dal
contribuente.
Al contrario, qualora la disciplina dell’accertamento e delle sanzioni ricalchino forme
utilizzate in ambito tributario nei confronti dei contribuenti, potremmo essere di fronte ad
una entrata tributaria.
Indizio della natura tributaria, sebbene non decisivo, è la circostanza che sia prevista la
riscossione mediante ruolo (C. Cost. 10.10.2008 n. 335; contra: C. Cost. 24.7.2009, n. 238).
Circa il quantum della prestazione in relazione al costo del servizio, si è ritenuto che, ove il
prelievo copra il costo di un servizio con componente indivisibile, si evidenzia una funzione
redistributiva e quindi tributaria (C. Cost. 24.7.2009, n. 238).
Se invece il prelievo corrisponde perfettamente al costo del servizio “divisibile” prestato, è
probabile che ci si trovi fuori della materia tributaria.
Infine per quanto riguarda l’assoggettamento ad iva della prestazione controversa (indizio
della natura non tributaria) la giurisprudenza della Cassazione ha ridimensionato il rilievo di
tale indizio (C. S.U., 17.10.2006, n. 22245).
(v. C. Cost. 24.7.2009, n. 238 – Massima: Non è fondata la q.l.c. dell'art. 1 comma 2,
secondo periodo, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, come modificato dall'art. 3 bis, comma 1,
lett. b), d.l. 30 settembre 2005 n. 203 (conv., con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005 n.
248), per preteso contrasto con l'art. 102, comma 2, cost., atteso che le caratteristiche
strutturali e funzionali della t.i.a., disciplinata dall'art. 49 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22,
rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo e che pertanto
non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della
ta.r.s.u. disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la
qualifica di tributo propria di quest'ultima e la sua attribuzione alla cognizione delle
commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata, rispetta l'evocato
parametro costituzionale).
1
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Come si è già rilevato, la giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi su alcune delle
fattispecie devolute alle Commissioni tributarie, elencate dall’art. 2, commi 1 e 2 d.lgs.
546/92.
a)
Per quanto concerne le controversie catastali, si è ritenuto che la linea di
demarcazione tra la giurisdizione delle Commissioni e quella dei giudici amministrativi sia
data dalla tipologia dell’atto impugnato: - gli atti di determinazione e approvazione delle
tariffe d’estimo e gli atti di revisione delle tariffe, in quanto atti generali, sono devoluti ai
Tar.
Gli atti individuali elencati nell’art. 2 e richiamati dall’art. 19 lett. f) d.lgs. 546/1992 sono
invece conosciuti dalle Commissioni. Sono quindi le “controversie promosse dai singoli
possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento
dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una
stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle
singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale”.
Si tratta, ovviamente, di quelle controversie che abbiano ad oggetto operazioni “di
intestazione” o di “variazione” operate dall’Amministrazione finanziaria al solo fine della
imposizione di tributi (C., S.U., 26.7.2007 n. 16.429) con esclusione delle liti aventi diversa
natura, devolute alla cognizione del giudice ordinario (contestazioni sulla titolarità del
diritto dominicale, di rivendica, di delimitazione di confini).
b)
- In materia di occupazione di spazi ed aree pubbliche, la giurisprudenza ha
riconosciuto la natura tributaria della TOSAP (tassa per l’occupazione di spazi ed aree
pubbliche, disciplinata dall’art. 38 ss. d.lgs. 15.11.1993, n. 507 2), pertanto attribuita alle
Commissioni (C., S.U., 21.1.2005 n. 1.239).
2
Oggetto della tassa.
1. Sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo,
nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al
patrimonio indisponibile dei comuni e delle province.
2. Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico,
di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di
carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle
poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di
concessione amministrativa.
3. La tassa si applica, altresì, alle occupazioni realizzate su tratti di aree private sulle quali
risulta costituita, nei modi e nei termini di legge, la servitù di pubblico passaggio.
4. Le occupazioni realizzate su tratti di strade statali o provinciali che attraversano il
centro abitato di comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti sono soggette
all'imposizione da parte dei comuni medesimi (1).
5. Sono escluse dalla tassa le occupazioni di aree appartenenti al patrimonio disponibile
dei predetti enti o al demanio statale. Sono soggette alla tassa le occupazioni di spazi
acquei adibiti ad ormeggio di natanti e imbarcazioni compresi nei canali e rivi di traffico
esclusivamente urbano in consegna ai comuni di Venezia e di Chioggia ai sensi del R.D. 20
ottobre 1904, n. 721, e dell'art. 517 del regolamento per l'esecuzione del codice della
navigazione (navigazione marittima), approvato con D.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328. Le
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c)
Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (c.d. COSAP), previsto
dall’art. 63 d.lgs. 15.12.1997, n. 446, 3 è invece un’entrata patrimoniale non tributaria. La
relative tariffe sono determinate dai comuni stessi, nella misura del 50 per cento di quelle
previste dall'articolo 44 del presente decreto. Limitatamente a tali spazi acquei sono fatte
salve le tasse già riscosse o da riscuotere per gli anni precedenti (2) (3).
(1) Comma così modificato dall'art. 1, d.lg. 28 dicembre 1993, n. 566.
(2) Gli ultimi tre periodi sono stati aggiunti dall'art. 3, d.l. 29 marzo 1995, n. 96, conv. in l.
31 maggio 1995, n. 206.
(3) L'articolo 51, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ha soppresso a
decorrere dal 1 gennaio 1999 la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche.
Successivamente l'articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha abrogato la
disposizione dell'articolo 51 che sopprimeva la tassa, che conseguentemente è di nuovo
vigente.
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) Canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche.
1. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52,
escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree
pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le
province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, prevedere che
l'occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e
sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree
destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per
l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare
della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. Il
pagamento del canone può essere anche previsto per l'occupazione di aree private soggette
a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge. Agli effetti del presente comma
si comprendono nelle aree comunali i tratti di strada situati all'interno di centri abitati con
popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell'articolo 2, comma 7,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (1).
2. Il regolamento è informato ai seguenti criteri: (omissis)
3. Il canone è determinato sulla base della tariffa di cui al comma 2, con riferimento alla
durata dell'occupazione e può essere maggiorato di eventuali effettivi e comprovati oneri di
manutenzione in concreto derivanti dall'occupazione del suolo e del sottosuolo, che non
siano, a qualsiasi titolo, già posti a carico delle aziende che eseguono i lavori. Per la
determinazione della tassa prevista al comma 1 relativa alle occupazioni di cui alla lettera
f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del
canone. Dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va
detratto l'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e
dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di
servizi (5).
(1) Comma sostituito dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448.
(2) Lettera sostituita dall'art. 18, l. 23 dicembre 1999, n. 488.
(3) Lettera sostituita dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448.
(4) Lettera aggiunta dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448.
9
norma istitutiva del canone presenta una disciplina assai scarna allo scopo di ampliare
l’autonomia regolamentare dell’ente locale, offrendo così pochi elementi per la
ricostruzione della struttura dell’obbligazione. La Corte costituzionale, tuttavia, con
sentenza n. 64 del 14.3.2008 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 d.lgs.
546/92 nella parte in cui attribuisce le controversie al giudice tributario, affermando la
natura non tributaria del canone. Le relative liti sono pertanto ora devolute al giudice
ordinario.
La pronuncia è stata prontamente seguita dalla Cassazione (C., S.U., 26.11.2008, n. 28.161)
ma la dottrina è divisa sulla natura tributaria o commutativa del prelievo.
d)
- Ha natura controversa, essendo ambigui gli elementi compositivi del prelievo, la
tariffa del servizio idrico integrato e la tariffa del servizio di fognatura e depurazione
(oggi disciplinata dagli artt. 154 ss. d.lgs. 3.4.2006 n. 152, in precedenza dalla L. 10.5.1976
n. 319 e dalla L. 5.1.1994 n. 36)
La tariffa è infatti strutturata per coprire i costi del servizio ed è informata al criterio
comunitario del “chi inquina paga”. Il regime del ciclo delle acque ed il connesso regime
dei controlli e delle repressioni ha chiara impronta pubblicistica. I benefici del servizio non
sono agevolmente divisibili. La tariffa copre anche i costi degli impianti necessari alla
gestione. Secondo parte della dottrina, la tariffa sembra avere carattere più tributario che
commutativo.
La Corte costituzionale, con sentenza 10.10.2008 n. 335, ha invece affermato che il prelievo
afferente la depurazione delle acque reflue di cui all’art. 155, d.lgs. n. 152/2006, ha natura di
corrispettivo contrattuale e quindi le relative controversie devono essere devolute al giudice
ordinario.
Quattro le ragioni del convincimento:
1) la copertura del costo del servizio per mezzo della tariffa;
2) il precedente conforme orientamento della Cassazione;
3) l’imponibilità I.V.A. della tariffa
4) l’inapplicabilità al prelievo della riscossione mediante ruolo
Con successiva sentenza 11.2.2010 n. 39, la Corte Cost. ha esteso tale regime a “tutte le
componenti del canone di depurazione e scarico”, quindi “anche le quote di tariffa riferite
ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione disciplinate dai citati artt. 154 e 155 del
T.U. ambiente”. Identica devoluzione al giudice ordinario è stata riconosciuta alle liti
relative alle somme dovute a titolo di indennizzo per l’allacciamento alla pubblica
fognatura, quale prestazione una tantum, tesa al recupero delle spese di impianto da parte
del gestore (C., S.U., 13.6.2008, n. 15.914).
e) Smaltimento dei rifiuti urbani
Come noto, successivamente alla istituzione della TARSU disciplinata dagli artt. 58 ss.
d.lgs. 15.11.1993 n. 507, il legislatore ha previsto diverse altre forme di finanziamento del
servizio in questione:
(5) Comma sostituito dall'art. 18, l. 23 dicembre 1999, n. 488 e successivamente modificato
dall'art. 10, l. 1° agosto 2002, n. 166.
10
- la Tariffa di Igiene Ambientale (c.d. TIA – 1), disciplinata dall’art. 49, dlgs n. 22/1997;
- la Tariffa integrata ambientale (c.d. TIA – 2) disciplinata dall’art. 238 d.lgs. 152/2006.
Sulla natura tributaria della TARSU (tassa rifiuti solidi urbani) non vi erano dubbi, poiché la
stessa è dovuta anche nel caso in cui il contribuente provveda direttamente allo smaltimento.
I modi dell’accertamento e della riscossione sono inoltre tipicamente tributari.
Con la sentenza n. 238 del 24.7.2009 (confermata dalla sentenza 24.2.2010 n. 64) la Corte
costituzionale ha affermato che, nonostante la asserita natura privatistica, anche la Tariffa di
Igiene Ambientale (c.d. T.I.A. – 1) istituita con il Decreto Ronchi in sostituzione della
TARSU, ha natura tributaria e quindi è legittimamente attribuita alla giurisdizione delle
Commissioni tributarie.
Le ragioni principali di tale convincimento sono da ascrivere a:
- la mancanza di connessione tra presupposto e servizio reso (la tariffa è dovuta anche se
l’immobile è inutilizzato).
- l’indivisibilità almeno parziale del servizio il cui costo deve essere coperto dalla tariffa (in
relazione alle componenti fisse del costo dello stesso).
Anche la Tariffa integrata ambientale istituita con il codice dell’ambiente (D.lgs. 152/2006
- c.d. TIA 2) sembra presentare la stessa natura tributaria della TIA 1, nonostante che il
legislatore sia intervenuto con successiva norma di interpretazione autentica per affermarne
il carattere privatistico.
f) Pacifica natura tributaria ha l’imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni
disciplinata dal D.lgs. n. 507/1993. I comuni possono peraltro escluderne l’applicazione
istituendo il canone ex art. 62, dlgs n. 446/1997 la cui natura, incerta in dottrina, è stata
ritenuta tributaria dalla Corte Costituzionale, con sentenza 8.5.2009, n. 141.
g) Mentre i contributi previdenziali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario – e
specialmente del giudice del lavoro – anche se riscossi mediante cartella, in ragione della
natura non tributaria del rapporto (C., S.U. 18.3.2010, n. 6539) il contributo sanitario ha
invece pacificamente natura tributaria, in ragione della natura autoritativa della prestazione
e della mancanza di un sinallagma tra le prestazioni, poiché è dovuto anche quando il
contribuente non usufruisce del servizio (SS.UU. 18.3.2010, n. 6539; SS.UU. 9.1.2007, n.
123).
h) Sono altresì pacificamente devolute alle CC.TT. perché di natura tributaria:
- le controversie in materia doganale e di accise, (SS.UU. 4.3.2009 n. 5166);
- il canone di abbonamento radiotelevisivo (C., S.U. 20.11.2007, n. 24010) di cui la Corte
Costituzionale ha espressamente affermato la natura di imposta (C. Cost. 26.6.2002, n. 284);
- le tasse di concessione governativa per l’impiego di apparecchiature terminali per il
servizio radiomobile terrestre (art. 21 d.P.R. 641/1972) perché hanno natura di tasse (C. SU.
8.2.2008 n. 3000);
11
- le c.d. tasse automobilistiche, dopo l’ampliamento della giurisdizione. In precedenza
erano invece devolute al Giudice ordinario (C. Sez. trib. 25.1.2008, n. 1626);
- l’imposta sulle scommesse (C.SU 23.4.2009 n. 9672) tranne i proventi ricavati dai giochi
simili al Lotto, gestiti in regime di monopolio, che restano regolati dal diritto privato
speciale e non assumono natura tributaria (Cassazione civile, sez. un., 06/04/2006, n.
7996).4
- Il prelievo per la valutazione di impatto ambientale (art. 27, L. 30.4.1999 n. 136) perchè è
una tassa (C.S.U. 16.4.2007 n. 8956)
- I contributi per i consorzi di bonifica (ex multis C.S.U. 31.1.2008 n. 2775) con esclusione
delle richieste di pagamento di altre prestazioni effettuate dai consorzi (es.: servizio di acqua
potabile (S.U. 14.5.2010, n. 11720)
- Le controversie relative ai requisiti per l’iscrizione nell’Anagrafe unica delle ONLUS (C.,
S.U. 27.1.2010, n. 1625). Dopo molte oscillazioni della giurisprudenza, soprattutto
amministrativa, le sezioni unite hanno affermato la giurisdizione delle Commissioni, perché
le liti sulla cancellazione e rifiuto di iscrizione avrebbero ad “oggetto un atto di revoca (o
diniego) di agevolazioni”di natura prevalentemente fiscale.
i) Sono invece escluse dalla giurisdizione tributaria:
- le liti sui canoni di concessione demaniale, perché la fonte dell’obbligo è contrattuale e la
prestazione tipicamente negoziale, quindi non tributaria (C. S.U. 18.9.2006, n. 20068);
- i contributi per l’iscrizione agli albi professionali, perché è loro riconosciuta natura
sinallagmatica (C. S.U. 15.10.2008 n. 25175)
- i contributi per oneri di urbanizzazione. Le relative controversie sono demandate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cons. St., sez. IV, 10/03/2011, n. 1565)
l) Un cenno a parte meritano le controversie concernenti sanzioni “comunque irrogate da
uffici finanziari”.
La questione non si pone, ovviamente, per le sanzioni penali, la cui applicazione è riservata
al G.O., mentre si è concretamente posta per le sanzioni irrogate per l’uso di lavoro
irregolare (v. art. 3 D.L. n. 12/2002, conv. in L. 23.4.2002 n. 73) e le sanzioni per
l’utilizzazione di dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di
appartenenza (ai sensi dell’art. 53 D.lgs 30.3.2001 n. 165).
In un primo tempo, applicando letteralmente l’art. 2 d.lgs. 546/1992, la Corte di Cassazione
ha ritenuto la giurisdizione delle Commissioni tributarie, anche in assenza della natura
tributaria delle norme violate.
La Corte Costituzionale ha invece dichiarato incostituzionale la norma con sentenza
14.5.2008, n. 130 affermando che “L'art. 2, comma 1, d. lgs. n. 546 del 1992 è
costituzionalmente illegittimo nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le
controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove
esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.”
4
Il gioco del lotto è un'attività imprenditoriale che ha natura privatistica.
Conseguentemente ha natura privatistica anche il profitto che lo Stato trae dall’attività
medesima. Infatti il monopolio fiscale del Lotto si caratterizzerebbe solo per il fatto che la
controparte del privato è lo Stato, mentre tra le parti intercorre un rapporto privatistico di
scommessa. Per queste ragioni, il giocatore ha azione in giudizio ai sensi dell'art. 1935 c.c.
avanti al g.o. e non al giudice tributario.
12
m) Con riferimento all’ulteriore previsione dell’art. 2 che attribuisce alla G.T. le liti aventi
ad oggetto gli interessi e “ogni altro accessorio”, la giurisprudenza ha limitato le fattispecie
devolute alle Commissioni a quelle relative a:
- gli interessi moratori;
- la domanda per il riconoscimento degli interessi anatocistici (C.S.U. 23.12.2008 n. 30053)
- il risarcimento da svalutazione monetaria, sia in relazione alle somme riscosse
dall’Amministrazione a titolo provvisorio, in pendenza del giudizio, sia in relazione a quelle
di cui sia stato negato il rimborso;
- gli aggi dovuti all’Agente della riscossione (se sia contestato l’an)
- le spese di notifica (solo se relative ad atti tributari)
n) Controversa è invece l’attribuzione delle controversie in materia di risarcimento del
danno, anche in relazione alle somme pagate per la prestazione di garanzie non dovute.
In senso affermativo si è espressa però C., S.U. 16.6.2010 n. 14499.
La domanda per la responsabilità processuale aggravata ex art. 96, 1° c. c.p.c. è attribuita
alle C.T. in quanto accessoria alla controversia principale.
o) Infine, l’art. 2 demanda alla giurisdizione tributaria la cognizione incidentale delle
questioni “da cui dipende la decisione delle controversie”, attribuendo alle stesse
commissioni un potere di cognizione amplissimo esteso ad ogni questione, anche
extratributaria, che costituisca antecedente logico della decisione.
Uno dei più frequenti ambiti di cognizione incidentale riguarda gli atti amministrativi
generali e i regolamenti presupposti dell’atto impugnato che, a norma dell’art. 7 d.lgs.
546/1992, possono essere disapplicati previo accertamento della loro eventuale illegittimità.
L’art. 2 (c. 3) prevede soltanto due fattispecie di deroga alla cognizione incidentale:
1) la querela di falso
2) le questioni di stato e di capacità delle persone tranne quelle relative alla capacità di stare
in giudizio. 5
In presenza di queste deroghe, il processo tributario deve essere sospeso (art. 39) e la
questione decisa dal giudice ordinario con efficacia di giudicato, essendo sottratta ad una
cognizione anche soltanto incidentale delle CC.TT..
Tra le altre questioni che possono comportare la sospensione del processo vi sono quelle che
hanno ad oggetto:
1) la legittimità costituzionale della norme rilevanti ai fini della decisione,
2) il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con la quale si solleva una questione
interpretativa su una norma comunitaria.
5
(Rientrano tra le prime la capacità giuridica e di agire, assenza e morte; parentela e
affinità; sussistenza del vincolo matrimoniale; filiazione; affiliazione e affidamento,
l’apolidia e lo status di rifugiato politico. Non rientrano le questioni relativa alla natura di
erede)
13
A completamento di quanto si è detto sull’ambito della giurisdizione delle CC.TT. si deve
puntualizzare che:
a)
Irrilevante risulta la posizione giuridica soggettiva del contribuente (diritto soggettivo
o interesse legittimo) o il modo di esercizio del potere (discrezionale o vincolato) da parte
dell’Ente impositore (C., S.U., 5.3.2009, n. 5286).
Queste circostanze assumono invece rilievo per la individuazione del giudice dotato di
giurisdizione nelle materie “non” attribuite al giudice tributario, ossia per distinguere tra ciò
che è lasciato al giudice ordinario e ciò che spetta al giudice amministrativo quando, per i
limiti interni alla giurisdizione, non possa darsi tutela dinanzi al giudice tributario (Tesauro).
b) rilevante è invece la natura dei soggetti coinvolti: le liti tra privati, anche se in materia
tributaria, sono devolute all’AGO. Sussiste in tal senso un limite interno soggettivo.
Tali sono le controversie in materia di sostituzione (fra sostituto di imposta che effettua una
trattenuta) e sostituito (soggetto passivo che la subisce) e alcune liti in materia di Iva
addebitata e versata. In particolare, sono estranee alla G.T. le liti promosse dal consumatore
finale per il rimborso della maggiore Iva pagata al soggetto passivo del tributo, mentre è
stata devoluta alle CC.TT. la lite promossa dal soggetto passivo Iva (cessionario) a seguito
di un diniego di rimborso.
c) Non è infine rilevante che a proporre la domanda non sia il contribuente ma il
cessionario del credito tributario, perché le questioni intorno alla legittimazione attiva e alla
proponibilità della domanda non incidono sulla giurisdizione. 6
(v. C., S.U., 19.11.207, n. 23835, massima: La giurisdizione tributaria esclusiva sussiste
in tutte le controversie riguardanti il rimborso di tributi, salvo che il relativo diritto non sia
stato riconosciuto formalmente dall'ente impositore. La giurisdizione è stabilita con
riferimento all'oggetto della domanda e sussiste non solo quando la controversia è proposta
dal creditore originario, ma anche quando il giudizio è radicato dal terzo cessionario del
credito.
6
14
4. La (residuale) giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo nella
materia tributaria.
Come già rilevato, quando sia carente la giurisdizione tributaria, la giurisdizione di altro
giudice si determina sulla base dei criteri ordinari ovvero della situazione soggettiva tutelata
(Marello).
In materia di diritti soggettivi la giurisdizione è devoluta di regola al Giudice ordinario e
quindi al Tribunale, ex art. 9, c. 2 c.p.c., ma tale norma ha ormai un ambito applicativo assai
modesto, in ragione dell’ampliamento della giurisdizione delle CCTT operato dall’art. 2
d.lgs. 546. Restano infatti attribuite alla giurisdizione ordinaria solo le liti tra privati in
materia tributaria, le questioni di stato e di capacità, la querela di falso.
L’art. 2 segna il limite fino al quale possono spingersi le CC.TT. nella sequenza
procedimentale degli atti e cioè fino alla notifica della cartella di pagamento e dell’avviso di
cui all’art. 50, 2° c. D.PR. 602/1973, ultimi atti impugnabili antecedenti la formazione del
titolo esecutivo.
A questo proposito, si deve notare che secondo la giurisprudenza i tipici atti della
riscossione e cioè la cartella di pagamento (o anche l’ingiunzione fiscale e l’avviso di mora)
non sono atti dell’esecuzione bensì atti prodromici ad essa e le relative liti sono devolute al
giudice tributario.
Vi è dunque una duplice condizione per affermare la giurisdizione del G.O.:
- Che si tratti di atti successivi alla cartella di pagamento;
- Che si tratti di atti dell’esecuzione forzata tributaria (potendosi ipotizzare anche atti
successivi alla cartella di pagamento con funzione non esecutiva in senso stretto ma,
ad esempio, di natura cautelare).
Per i limiti posti dagli articoli 57 7 e 58 del D.P.R. 602/1973, spettano quindi al G.O. le
opposizioni agli atti esecutivi e le opposizioni di terzo che non si risolvano nelle stesse
contestazioni che avrebbero potuto rivolgersi agli atti dai quali la pretesa trae fondamento e,
quindi, agli atti indicati nell’art. 19. 8
7
D.PR, 602/73 - Articolo 57 - Opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi.
1. Non sono ammesse:
a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per
quelle concernenti la pignorabilità dei beni;
b) le opposizioni regolate dall'articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità
formale ed alla notificazione del titolo esecutivo.
2. Se è proposta opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, il giudice fissa l'udienza di
comparizione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso, ordinando al
concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell'udienza, l'estratto del ruolo e
copia di tutti gli atti di esecuzione.
8
Anche per la giurisprudenza (Cassazione civile, sez. un., 23/05/2008, n. 13357 - Massima):
“Nel processo tributario tutte le contestazioni relative alla legittimità formale e sostanziale degli
atti di imposizione attengono alla materia della cognizione, e non dell'esecuzione, e sono come tali
15
In sostanza, l’unica opposizione all’esecuzione proponibile dinanzi al G.O. sembrerebbe
quella concernente la pignorabilità dei beni.
Le liti sull’iscrizione di ipoteca e sul fermo amministrativo di beni mobili appartengono alla
giurisdizione del G.O. solo ove il credito per il quale si procede abbia natura extra tributaria.
Altrimenti, sono atti autonomamente impugnabili dinanzi alle CC.TT. ex art. 19, dopo la
modifica normativa che ha inserito nell’art. 2 d.lgs. 546/1992 le lettere e-bis) e-ter) (v. art.
35 D.L. 4.7.2006 n. 223).
Su quest’ultimo inserimento la dottrina nutre un sospetto di incostituzionalità perché si tratta
di atti posti a valle della formazione del titolo esecutivo, la cui cognizione non richiede un
sapere specialistico del giudice tributario e che quindi esorbitano dalle finalità della relativa
giurisdizione, “snaturando” il giudice speciale e violando l’art. 102 Cost..
Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie spetta infine al G.O la giurisdizione
sulla responsabilità per atto illecito dell’Amministrazione e sulla conseguente domanda di
risarcimento ex art. 2043 c.c.. perché non potrebbe ravvisarsi un carattere accessorio della
relativa lite rispetto alla controversia tributaria. 9
funzionalmente devolute al giudice tributario. Ne consegue che là dove il contribuente contesti la
legittimità dell'avviso di mora (nella specie, perché immotivato e comunque non preceduto da
notifica della cartella esattoriale) la relativa controversia spetta al giudice tributario, a nulla
rilevando che l'avviso fosse stato emesso per la riscossione di imposte pretese dall'amministrazione
finanziaria di altro Stato, in esecuzione di una convenzione bilaterale per l'assistenza giudiziaria in
materia tributaria, atteso che la giurisdizione tributaria è attribuita senza distinzione di nazionalità
del legislatore (art. 2 d.lg. n. 546 del 1992).”
(v. in particolare, C., S.U., 29 aprile 2008 n. 10826 (Massima) “Va dunque escluso che
rientri nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, spettandone invece la
cognizione al giudice ordinario, una controversia con la quale il privato, adempiuto il
debito d'imposta relativo all'ICI non tempestivamente o integralmente versata, domandi il
risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere
anche le somme pretese dal comune per l'assistenza legale allo stesso prestata da avvocati
di cui l'ente pubblico si sia avvalso.
9
16
Secondo una risalente e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione spettano al G.O.
anche le controversie in cui “l’amministrazione abbia formalmente riconosciuto il diritto al
rimborso e la quantificazione della somma dovuta,” così che non residuino questioni circa
l’esistenza dell’obbligazione tributaria, del quantum del rimborso o le procedure con le
quali lo stesso deve essere effettuato (ex multis: C. S.U., 27.7.2002, n. 10725).
Sono invece devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, con effetti demolitori
nel caso di accoglimento del ricorso, le liti aventi ad oggetto
1) gli atti generali (es. delibere tariffarie) e regolamentari (es. regolamento ICI)
2) tutti gli atti, anche singolari, non diretti alla concreta attuazione di uno specifico rapporto
obbligatorio tributario, pur trattandosi di materia tributaria (Russo, Marongiu).
Spettano altresì, pacificamente:
* l’impugnativa del diniego di accesso agli atti del procedimento (una volta che sia concluso
il procedimento ed emanato l’atto impositivo - Cons, St., sez. IV, 21.10.2008, n. 5144)
* l’impugnativa dei provvedimenti di fissazione del domicilio fiscale ex art. 59, d.P.R.
600/1973 10
Vi è tuttavia chi, in dottrina, argomentando dall’attribuzione al Giudice amministrativo
della giurisdizione in materia di risarcimento del danno (v. Sentenza C. Cost. 6.7.2004 n.
204), per ragioni di concentrazione e di effettività della tutela non inibite dalla giurisdizione
speciale, afferma che “il superamento della regola del doppio giudizio conseguirebbe
all’attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost.”.
Tale impostazione più rispondente al canone dell’interpretazione adeguatrice sembra
trovare accoglimento nella sentenza C. S.U. 16.6.2010, n. 14499 che ha affermato che
“Rientra nella giurisdizione tributaria la domanda diretta al risarcimento dei danni subiti
per effetto dei ritardati rimborsi di imposte indebitamente versate. Il contribuente
danneggiato dal ritardo dell'Amministrazione finanziaria può chiedere il risarcimento e
deve farlo con istanza alla Commissione tributaria provinciale competente a valutare e
liquidare ogni tipo di richiesta accessoria presentata dal contribuente.
Vale, anche in questo caso, il limite oggettivo interno della giurisdizione tributaria, che non
consente comunque la proposizione della domanda in via autonoma, ma solo in via
accessoria, in presenza di un atto autonomamente impugnabile compreso nell’elenco di cui
all’art. 19.
10
Articolo 59 - Domicilio fiscale stabilito dall'amministrazione.
L'amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale del soggetto, in deroga alle
disposizioni dell'articolo precedente, nel comune dove il soggetto stesso svolge in modo
continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in
cui è stabilita la sede amministrativa.
Quando concorrono particolari circostanze la amministrazione finanziaria può consentire al
contribuente, che ne faccia motivata istanza, che il suo domicilio fiscale sia stabilito in un comune
diverso da quello previsto dall'articolo precedente.
17
In tutti questi casi si ha esercizio di un potere autoritativo e un provvedimento non
impugnabile ex art. 19.
Controversa è invece l’attribuzione delle liti sul diniego di rateazione a seguito di istanza
proposta all’Agente della riscossione ex art. 19 D.P.R. 602/1973 anche se di recente, le
SS.UU. sono approdate all’affermazione della giurisdizione delle CC.TT. “ratione
materiae”, in quanto la controversia avrebbe ad oggetto un “debito tributario” (SS.UU.
30.3.2010 n. 7612) 11
In precedenza, alcune decisioni della giurisprudenza amministrativa avevano affermato la
propria giurisdizione, rilevando che il potere che viene contestato non attiene alla
determinazione dell’obbligazione tributaria ma ad una fase successiva e, quindi al di fuori
del perimetro delineato dall’art. 2.
Il giudice amministrativo, secondo questa
prospettazione, sarebbe pertanto il giudice naturale della lite, anche perché la rateazione
sembra esercizio di un potere di autotutela esecutiva e conservativa del credito, esercitato da
un soggetto privato esercente una pubblica funzione.
Si noti che la stessa Cassazione (C., Sez. trib. 9.11.2005 n. 21765) si era espressa in un
primo momento (e con riferimento al d.P.R. n. 636/72), nel senso della non impugnabilità
Competente all'esercizio delle facoltà indicate nei precedenti commi è l'intendente di finanza o il
Ministro per le finanze a seconda che il provvedimento importi lo spostamento del domicilio fiscale
nell'ambito della stessa provincia o in altra provincia.
Il provvedimento è in ogni caso definitivo, deve essere motivato e notificato all'interessato ed ha
effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stato notificato.
11
SS.UU. (30.3.2010 n. 7612) - (Massima):
L'art. 2 d.lg. n. 546/92 attribuisce alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi
ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati; pertanto, la controversia
attinente alla rateizzazione del debito tributario spetta a detta giurisdizione, avendo ad
oggetto per l'appunto un debito tributario, a nulla rilevando che la decisione spettante
all'Agenzia delle Entrate debba essere assunta in base a considerazioni estranee alla
materia tributaria, essendo la giurisdizione attribuita in ragione esclusiva dell'oggetto della
controversia.
Conforme ma con motivazione parzialmente diversa:
SS.UU. (1.7.2010 n. 15647) - (Massima):
a seguito della riforma di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 12, la giurisdizione tributaria si
estende ormai a qualunque controversia in materia d'imposte e tasse e, dunque, anche a
quelle in tema di agevolazioni o riscossione che non attengano al momento della esecuzione
in senso stretto o alla restituzione di somme per le quali non residui più alcuna questione
sull'an, il quantum o le modalità di esecuzione del rimborso (C. Cass. 2002/10725,
2005/(14331 e 2008/19505); che implicando pur essa una questione sulla spettanza o meno
di un'agevolazione attinente alla fase della riscossione precedente a quella della esecuzione
vera e propria, anche l'impugnazione del diniego di rateazione di un debito per imposte o
tasse introduce, perciò, una controversia di carattere tributario devoluta, come le altre in
materia, alla giurisdizione delle Commissioni;
18
dinanzi alle CC.TT., motivando la decisione in ordine ai limiti interni oggettivi in quanto
l’atto non sarebbe compreso nell’elenco degli atti impugnabili.
Analoga, sotto il profilo concettuale, si presenta la questione del diniego della sospensione
amministrativa della riscossione. In questo caso, la giurisprudenza amministrativa
maggioritaria devolve la decisione al Giudice amministrativo (Cons. st., Sez. IV, 9.11.2005
n. 6269; conforme: TAR Molise, Campobasso, 8.11.2006, n. 957).
Consiglio Stato, sez. IV, 09/11/2005, n. 6269 – Massima:
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto dal contribuente avverso
il provvedimento con il quale la Direzione regionale delle entrate ha respinto la sua istanza di
sospensione della riscossione delle somme iscritte a ruolo con la cartella esattoriale, trattandosi di
atto che è espressione non già del potere cautelare in senso proprio e che accede alla tutela
giurisdizionale riservata al giudice tributario, bensì del potere amministrativo di autotutela
proprio della pubblica amministrazione e che mira ad evitare, nel rispetto dei principi codificati
dagli art. 24 e 113 cost., una riscossione che sia sostanzialmente ingiusta o inopportuna, per
l'esistenza di fatti e circostanze che sono oggetto di esclusiva valutazione, tipicamente
discrezionale, dell'amministrazione, a nulla rilevando che, eventualmente, tali fatti e circostanze
possano in qualche modo coincidere con gli stessi motivi di doglianza sul corretto esercizio del
potere di imposizione tributaria.
19
5. Gli atti impugnabili e i motivi del ricorso (c.d. limiti interni oggettivi - art. 19, D.Lgs
546/1992)
1. La scelta del carattere impugnatorio del giudizio tributario è collegabile a ragioni di
economia processuale e insieme di rafforzamento del controllo di legalità sugli atti
amministrativi.
La concentrazione delle controversie relative ad un unico rapporto d’imposta
nell’impugnazione di atti predeterminati dal legislatore, ha anche lo scopo di impedire che
l’attività amministrativa diretta all’attuazione del tributo sia anticipata e ostacolata da azioni
di accertamento sul presupposto imponibile, che potrebbero interferire con il suo ordinato
svolgimento.
Viene così assicurata la precedenza dell’istruttoria amministrativa (primaria e necessaria)
sull’istruttoria processuale (secondaria ed eventuale).
Tutti gli atti individuali innominati perché non elencati nell’art. 19, ma tuttavia
immediatamente lesivi di un interesse attuale e concreto del contribuente, sarebbero quindi
impugnabili davanti alle CCTT in via differita, mediante il ricorso contro il primo degli atti
successivi compreso nell’elenco, rispetto ai quali gli stessi abbiano il valore di atto
presupposto o pregiudiziale.
Sarebbe invece esclusa l’impugnabilità degli atti interni come circolari, risoluzioni
ministeriali, pareri, atti confermativi o esecutivi. Secondo la prevalente dottrina sarebbe
invece impugnabile in via differita il diniego di disapplicazione di una norma antielusiva
(Tesauro) ma la Cassazione si è di recente espressa nel senso della impugnabilità autonoma,
immediata e facoltativa (Cass. civ., Sez. trib., Sent. 15.4.2011 (27.1.2011), n. 8663.
Il contribuente può dunque ricorrere al Giudice tributario impugnando i seguenti atti,
espressamente elencati nell’art. 19, solo per vizi propri degli stessi:
a) l’avviso di accertamento (e atti assimilabili)
b) l’avviso di liquidazione
c) il provvedimento che irroga le sanzioni
d) il ruolo e la cartella di pagamento
e) l’avviso di mora
e-bis) l’iscrizione di ipoteca
e-ter) il fermo amministrativo
f) gli atti relativi alle operazioni catastali
g) il rifiuto di restituzione di tributi e sanzioni
h) il diniego e la revoca di agevolazioni; il rigetto di domande di definizione agevolata
i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle
Commissioni tributarie.
Tale catalogo sarebbe tassativo secondo la dottrina maggioritaria (Tesauro, Perrone).
L’affermata tassatività consentirebbe una lettura estensiva ma escluderebbe integrazioni
analogiche.
Si osserva tuttavia che detto principio, prima ridimensionato dalla giurisprudenza come
principio relativo, è stato in seguito addirittura negato.
20
Il diritto vivente ha infatti ormai progressivamente ridotto la portata del principio di tipicità
degli atti impugnabili (e del correlato principio della tutela differita di quelli innominati).
In particolare, la giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione è pervenuta a
questo esito in due tempi.
- In un primo momento è stata dilatata la categoria degli atti impugnabili, estendendola
anche ad atti paritetici (come la fattura) ovvero endoprocedimentali (come gli avvisi bonari,
gli inviti al pagamento e anche semplici bollettini di conto postale [C. Sez. trib., 17.12.2010
n. 25591]), prodromici alla formazione o alla notificazione del ruolo, ai quali non può di
certo riconoscersi natura autoritativa e provvedimentale.
In concreto, si è ricondotto sotto la nozione di accertamento o di liquidazione qualunque
atto con il quale il soggetto pubblico comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai
definita, anche quando detta comunicazione si concluda con un semplice invito bonario a
versare quanto dovuto e non invece con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla
prospettazione in tempi brevi dell’attività esecutiva (C., nn. 16.293/2007 e 16.428/2007).
Corollario di tale impostazione sarebbe il consolidamento e la definitività dell’atto non
impugnato o non eliminato in via di autotutela. In questo caso, parrebbe quindi preclusa
l’impugnazione del successivo atto, nominato e impugnabile, proprio della sequenza
procedimentale. A tale conclusione sono in effetti pervenute alcune sentenze della
Cassazione (v. C. 23.7.2009, n. 17202).
- Solo in una seconda fase si è introdotta una tutela anticipata e facoltativa nei confronti di
taluni atti intermedi posti in essere dall’ente impositore o dal concessionario, ancora non
idonei a ledere in maniera attuale e diretta un interesse del contribuente, precisando che di
fronte ad una ben individuata pretesa tributaria, non è necessario attendere che la stessa, se
rimasta insoddisfatta, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati
espressamente impugnabili. L’interesse alla tutela giurisdizionale sorgerebbe infatti sin dal
momento della ricezione della “notizia” della pretesa impositiva e/o dei connessi
accessori.12
Con l’ulteriore e dirompente precisazione che l’impugnazione dell’atto innominato sarebbe
una facoltà e non un onere, in quanto la mancata impugnazione dell’atto non determina in
ogni caso il consolidamento della pretesa, dovendo questa essere successivamente reiterata
in uno degli atti tipici (v. Cass. civ., sez. trib. 21045/2007 e 25.2.2009 n. 4513).
(ex. Multis: C., S.U., 11.5.2009, n. 10672 secondo la quale: “l’elencazione contenuta
nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 non rappresenta ulteriormente un numerus clausus in quanto
deve ritenersi impugnabile avanti alla giurisdizione tributaria ogni atto,
indipendentemente dalla forma o denominazione, che rechi una pretesa nei confronti del
destinatario deducendo la sussistenza di un rapporto giuridico d’imposta suscettibile
pertanto di far insorgere nel destinatario l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. spiegando le
proprie difese davanti al giudice naturale”).
12
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Autorevole dottrina (Tabet) ha pertanto osservato che questo ultimo orientamento
“fuoriesce decisamente dalla strada del processo costitutivo e apre a forme di tutela
facoltativa e preventiva a contenuto negativo, nei confronti di atti intermedi del soggetto
pubblico che, pur manifestando una determinata pretesa, non sono assimilati dalla stessa
Corte agli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. 546/1992 in quanto
sprovvisti della forma autoritativa e quindi soltanto preordinati a sollecitare lo spontaneo
adempimento.”
Al momento non sembra agevole intravvedere quali saranno i punti di arrivo di questa
rilevante evoluzione giurisprudenziale, ancora incerta fra tutela preminente del concreto
interesse ad agire del contribuente e regola della predeterminazione normativa degli atti
impugnabili.
Il dibattito sulla questione è dunque aperto, anche in sede dottrinale e nella pratica
professionale.
Bibliografia:
- D’Ayala Valva, Francesco, L’interpretazione creativa delle supreme corti, Riv. dir. trib.
2011, 04, 413.
- Di Giacomo, Enzo, Sanzioni tributarie, liti al Giudice ordinario, nota a sentenza SS.UU,
27.1.2011 n. 1864, Diritto e Giustizia, 5.2.2011.
- Gobbi, Cristiano, Il processo tributario, Milano, 2011.
- Lunelli, Roberto, Diniego di disapplicazione delle norme antielusive: impugnazione
facoltativa od obbligatoria ? – GT, n. 8/2011, p. 681 ss.
- Marello, Enrico, La giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Codice commentato del
processo tributario, art. 2, IPSOA 2011.
- Marongiu, Gianni, Evoluzione della giurisdizione tributaria, relazione tenuta alla Facoltà
di Giurisprudenza di Pisa il 13.12.2006.
- Russo, Pasquale, Manuale di diritto tributario - Il processo tributario, Milano, 2005, pp.
18 ss..
- Russo, Pasquale, Il riparto della giurisdizione fra giudice tributario e giudice
amministrativo e contabile, Riv. dir. trib. 2009, 01, 3.
- Tabet, Giuliano, Diritto vivente e tutela anticipata nei confronti di atti atipici, GT,
n.4/2011, p. 281 ss..
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