ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LUCCA – CORSO DI DIRITTO TRIBUTARIO GIURISDIZIONE TRIBUTARIA E ATTI IMPUGNABILI (Castelnuovo di Garfagnana – Teatro Comunale - 24 ottobre 2011) Avv. Giuseppe Conoscenti Sommario: 1. Premessa (p. 1) – 2. L’oggetto della giurisdizione tributaria (p. 4). – 3. La nozione di controversia tributaria. Casistica. (p.6.) – 4. La (residuale) giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo nella materia tributaria (p. 15). 5. Gli atti impugnabili e i motivi del ricorso (p. 20) – Bibliografia (p. 22). 1. Premessa L’attuale assetto della giurisdizione tributaria costituisce il punto di arrivo di una evoluzione normativa segnata dai più recenti interventi legislativi, dalle pronunce della Corte Costituzionale e dagli apporti interpretativi della giurisprudenza di legittimità. Il legislatore ha modificato e integrato più volte la disciplina del processo tributario e, specialmente con la modifica dell’art. 2 del d.lgs. 546/1992 attuata con le novelle del 2001 e del 2005 (L. 28.12.2001 n. 448 e D.L. 30.9.2005, n. 203) ha portato la giurisdizione delle CC.TT. alla massima estensione possibile, compatibile con il vincolo costituzionale dell’art. 102 Cost.. Occorre subito rilevare che le CC.TT. sono giudici speciali preesistenti alla Costituzione. La loro origine va infatti individuata nella L. 14.7.1864, n. 1830, con la quale furono create apposite commissioni con il compito di eseguire “tutte le operazioni occorrenti per appurare e determinare in prima istanza le somme dei redditi e dell’imposta” (Marongiu). Le Commissioni nacquero quindi come organi deputati all’accertamento dell’imposta, e questa loro originaria peculiarità si perpetua tutt’oggi nella caratteristica del processo tributario che tende, laddove possibile, ad una pronuncia sostitutiva dell’atto impugnato piuttosto che ad un mero annullamento dello stesso. Da qui la definizione di processo di impugnazione / merito piuttosto che di impugnazione / annullamento. Il fondamento e limite della sopravvivenza e persistenza delle Commissioni, quali giudici speciali preesistenti alla Costituzione, va individuato nel combinato disposto dell’art. 102 e della VI^ disposizione transitoria della stessa Carta fondamentale. Se la prima delle due norme vieta l’istituzione di nuovi giudici speciali, temperando la rigidità del precetto, la VI^ disposizione transitoria consente il mantenimento dei soli giudici preesistenti, contestualmente imponendo la revisione della loro disciplina allo scopo di adeguarli ai parametri costituzionali. Il termine, fissato in cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione, è stato successivamente ritenuto ordinatorio, e la revisione suscettibile di non esaurirsi in un unico atto. Si è così consentita, di fatto, la sottrazione alla giurisdizione ordinaria di un’area ad essa naturalmente spettante. 1 La ratio di questa scelta costituzionale deve essere ricercata nel riconoscimento dell’esistenza di una materia speciale (quella tributaria), e nella conseguente opportunità di attribuire la giurisdizione della stessa ad un giudice speciale, in ragione del necessario possesso di saperi specialistici. Una risalente pronuncia della Corte Costituzionale giungeva in tal senso ad affermare che “questa continuità di indirizzo legislativo, … volta ad escludere dalla cognizione del giudice ordinario le questioni di valutazione, cioè di determinazione quantitativa dei redditi imponibili, rileva una convinzione profonda del nostro legislatore circa una necessità, ritenuta imprescindibile per un’efficiente organizzazione della pubblica finanza e il conseguimento dei suoi risultati, di limitare il controllo di merito dell’accertamento quantitativo, escludendo dal parteciparvi l’autorità giudiziaria” (C. Cost. 27.12.1974 n. 287). Negli ultimi decenni, la Corte Costituzionale ha invece più volte affermato la tesi del collegamento della giurisdizione delle CC.TT. alla “natura tributaria del rapporto” (C. Cost. 11.2.2010 n. 39) In tal senso, la stessa Corte Cost. ha fornito i criteri per individuare i caratteri che individuano la prestazione tributaria, allo scopo di evitare la violazione dell’art. 102 Cost. e lo “snaturamento” del giudice speciale, con la conseguente surrettizia introduzione di nuovi giudici speciali. L’altro carattere originario e distintivo della giurisdizione delle CC.TT. sottolineato anche di recente dalla Corte di Cassazione deve essere individuato nella struttura impugnatoria del relativo processo (SS.UU. 26.6.2009 n. 15.031). Le Sezioni unite hanno infatti affermato che “Storicamente, il processo tributario nasce come processo di tipo impugnatorio, in relazione al quale l'esistenza e la natura dell'atto impugnabile costituisce un vero e proprio presupposto della giurisdizione. L'eventuale eliminazione di tale limite non sarebbe senza conseguenze sul piano della legittimità costituzionale, perchè trasformerebbe indebitamente il giudice speciale, con giurisdizione limitata alla legittimità degli atti impositivi, in giudice dei tributi a competenza generalizzata per materia (arg. ex Corte Cost. sent. n. 204/2004). Ritiene dunque il collegio che non possa essere superata la struttura impugnatoria del processo tributario, e che, quindi, se manca uno degli atti espressamente elencati nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, o comunque un atto che sia espressione dell'esercizio del potere impositivo esercitato nei confronti di singoli contribuenti, come accade appunto nelle liti tra sostituto e sostituito, riacquista espansione la giurisdizione del giudice ordinario. Si è così giunti all’attuale assetto della giurisdizione tributaria, i cui veri cardini devono essere ricercati negli articoli 2 e 19 del D.Lgs. 546/1992. L’art. 2 individua l’oggetto della giurisdizione tributaria elencando le controversie devolute alle CC.TT.. L’art. 19 presenta invece l’elenco degli atti impugnabili e delimita i motivi ovvero l’oggetto del ricorso (comma 1), precisando che “gli atti diversi da quelli elencati non sono impugnabili autonomamente”, risultando quindi impugnabili solo in via differita, unitamente ad un atto dichiarato espressamente impugnabile. Viene altresì precisato che “Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per vizi propri” e che “La mancata notificazione di atti autonomamente 2 impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato ne consente l’impugnazione insieme a quest’ultimo”. Come si dirà in seguito, alcuni commi dell’art. 2 sono stati dichiarati incostituzionali con diverse pronunce del Giudice delle leggi. Con riferimento all’art. 19, la Corte di Cassazione, ha invece dapprima escluso, in via di interpretazione estensiva, la tipicità degli atti elencati ed è giunta infine a considerare addirittura non tassativo il catalogo dei medesimi. 3 2 – L’oggetto della giurisdizione tributaria Per quanto attiene all’oggetto della giurisdizione tributaria (quindi al già citato art. 2 d.lgs. 546 / 1992) si osserva che fino alla riforma del 2001, seguendo un criterio tradizionale già contenuto nel d.P.R. n. 636/1972, il riparto si attuava mediante l’enumerazione dei tributi devoluti alle Commissioni tributarie. Tale ripartizione aveva dato luogo alla creazione della figura dottrinale dei “limiti esterni” alla giurisdizione (P. Russo). In concreto, l’impugnazione dell’atto era possibile solo se il relativo tributo fosse stato già espressamente devoluto alle CC.TT. dal legislatore. In mancanza, la giurisdizione restava attribuita al G.O., in via generale e residuale. Con la novella introdotta dalla L. 28.12.2001 n. 448 (art. 12), l’art. 2 è stato completamente ridisegnato, configurando la giurisdizione delle Commissioni tributarie come “generale” oltre che “piena ed esclusiva” in luogo di quella precedente, “limitata” alle materie espressamente indicate. Questa devoluzione generale è stata rafforzata dalla successiva precisazione operata dall’art. 3 bis del D.L. 30.9.2005, n. 203, che con riferimento ai “tributi di ogni genere e specie” ha aggiunto l’inciso “comunque denominati” estendendo la giurisdizione a qualsiasi tipo di prelievo tributario, anche se non espressamente qualificato come tale dal legislatore, ovvero anche se qualificato come prelievo privatistico o para-privatistico. Come si dirà più avanti, il riconoscimento dell’irrilevanza del nomen juris può anche portare all’esclusione dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie di quei prelievi che non presentano la struttura obbligatoria propria del tributo, pur se denominati “imposta” o “tassa”. L’art. 2 dispone ora che: 1. Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. (comma 1) Coerentemente con la natura impugnatoria del processo e con la necessità che la giurisdizione speciale sia limitata ai soli atti tipici lesivi, posti in essere da un ente impositore nella sequenza procedimentale prevista dallo schema di attuazione del tributo, il comma 1 (ultimo periodo) dell’art. 2, esclude altresì (implicitamente) dalla giurisdizione tributaria gli atti generali o regolamentari “a monte” del procedimento e, esplicitamente, gli atti successivi alla notifica del titolo esecutivo, disponendo che: “Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica.” (comma 2) 4 Infine, allo scopo di assicurare speditezza al processo tributario, il comma 3° dell’art. 2 completa la cognizione del Giudice tributario prevedendo che:“ 3. Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio. Sintetizzando e in via di prima approssimazione, una volta venuti meno i c.d. limiti esterni, ogniqualvolta si sia in presenza di un prelievo strutturalmente tributario, sia esso appartenente o meno al novero dei tributi statali, va riconosciuta la giurisdizione delle Commissioni tributarie, senza che sia più necessario verificare l’inclusione del tributo in un determinato catalogo normativo. 5 3. La nozione di controversia tributaria. Casistica. a) Come già rilevato, la nozione di controversia tributaria è stata precisata dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale con riferimento alla “natura tributaria del rapporto”. (C. Cost. 11.2.2010, n. 39). Per qualificare le entrate erariali come tributarie, la Corte prescinde quindi dal nomen iuris utilizzato dal legislatore, privilegiando quello della struttura della specifica obbligazione. E dunque la prestazione deve essere connotata: a) dalla doverosità della prestazione, in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti (la prestazione non discende dalla volontà del contribuente di obbligarsi, ma da una fonte legislativa, che determina l’obbligazione, svuotandola di contenuto volontario) b) dal collegamento di questa alla pubblica spesa (occorre che la prestazione pecuniaria sia diretta a finanziare la soddisfazione di un bisogno pubblico) c) dal riferimento ad un presupposto economicamente rilevante come momento genetico dell’obbligo (indicativo della capacità contributiva del soggetto) Ne consegue che diviene essenziale distinguere tra: 1) - prelievi tributari (aventi funzione redistributiva) e 2) - prelievi riconducibili ad un sinallagma genetico e funzionale (in questo caso, se l’entrata è informata al principio di corrispettività, di regola non sussiste la giurisdizione delle Commissioni tributarie). Gli elementi indiziari della natura tributaria o meno della prestazione possono quindi essere individuati, prevalentemente: - nell’esistenza del c.d. sinallagma genetico, posto a fondamento del prelievo; - nel carattere coercitivo della fase di attuazione e di adempimento dell’obbligazione; - nel quantum della prestazione in relazione al costo del servizio - nell’assoggettamento o meno ad Iva della prestazione controversa La Corte Costituzionale ha affermato che sono invece irrilevanti: - il nomen juris adottato dal legislatore: la disciplina sostanziale prevale sull’etichetta formale (C. Cost.. 8.5.2009, n. 141) - l’alternatività del prelievo rispetto ad un’entrata tributaria. - il monopolio nella gestione del servizio prestato. Quanto al sinallagma genetico, dopo averne ritenuto la rilevanza al fine di affermare la natura privatistica della tariffa del servizio idrico integrato, la Corte costituzionale si è pronunciata nel senso dell’incostituzionalità per irrazionalità della norma che imponeva il pagamento anche in assenza del servizio (art. 14, comma 1, l. 5 gennaio 1994 n. 36). 6 Secondo la Corte, l'irragionevolezza traeva fondamento nel fatto che «la norma denunciata, eliminando ogni diretta relazione tra il pagamento di tale quota e l'effettivo svolgimento del servizio che tale pagamento dovrebbe retribuire, aveva irragionevolmente disciplinato il pagamento della quota in modo non coerente con la sua natura di corrispettivo contrattuale». In altro caso, concernente la tariffa rifiuti introdotta dal c.d. decreto Ronchi, la Corte cost.le ha notato che il fatto generatore della tariffa di igiene ambientale (TIA), non era ricollegato alla effettiva produzione di rifiuti e quindi alla fruizione del servizio finanziato. Ne ha pertanto fatto derivare la natura tributaria del prelievo. 1 Per quanto concerne la fase di attuazione e di adempimento, si è osservato che gli elementi che possono far dubitare della natura tributaria di una prestazione sono: a) il diritto al rimborso di quanto versato nel caso in cui l’azione pubblica non sia realizzata entro un termine prefissato o comunque la presenza di rimedi che si possano avvicinare alle azioni di inadempimento (risoluzione, eccezione di inadempimento, tutela risarcitoria ecc.); b) una determinazione della prestazione strettamente correlata all’utilità ritratta dal contribuente. Al contrario, qualora la disciplina dell’accertamento e delle sanzioni ricalchino forme utilizzate in ambito tributario nei confronti dei contribuenti, potremmo essere di fronte ad una entrata tributaria. Indizio della natura tributaria, sebbene non decisivo, è la circostanza che sia prevista la riscossione mediante ruolo (C. Cost. 10.10.2008 n. 335; contra: C. Cost. 24.7.2009, n. 238). Circa il quantum della prestazione in relazione al costo del servizio, si è ritenuto che, ove il prelievo copra il costo di un servizio con componente indivisibile, si evidenzia una funzione redistributiva e quindi tributaria (C. Cost. 24.7.2009, n. 238). Se invece il prelievo corrisponde perfettamente al costo del servizio “divisibile” prestato, è probabile che ci si trovi fuori della materia tributaria. Infine per quanto riguarda l’assoggettamento ad iva della prestazione controversa (indizio della natura non tributaria) la giurisprudenza della Cassazione ha ridimensionato il rilievo di tale indizio (C. S.U., 17.10.2006, n. 22245). (v. C. Cost. 24.7.2009, n. 238 – Massima: Non è fondata la q.l.c. dell'art. 1 comma 2, secondo periodo, d.lg. 31 dicembre 1992 n. 546, come modificato dall'art. 3 bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 settembre 2005 n. 203 (conv., con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005 n. 248), per preteso contrasto con l'art. 102, comma 2, cost., atteso che le caratteristiche strutturali e funzionali della t.i.a., disciplinata dall'art. 49 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22, rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo e che pertanto non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della ta.r.s.u. disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima e la sua attribuzione alla cognizione delle commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata, rispetta l'evocato parametro costituzionale). 1 7 Come si è già rilevato, la giurisprudenza ha già avuto modo di pronunciarsi su alcune delle fattispecie devolute alle Commissioni tributarie, elencate dall’art. 2, commi 1 e 2 d.lgs. 546/92. a) Per quanto concerne le controversie catastali, si è ritenuto che la linea di demarcazione tra la giurisdizione delle Commissioni e quella dei giudici amministrativi sia data dalla tipologia dell’atto impugnato: - gli atti di determinazione e approvazione delle tariffe d’estimo e gli atti di revisione delle tariffe, in quanto atti generali, sono devoluti ai Tar. Gli atti individuali elencati nell’art. 2 e richiamati dall’art. 19 lett. f) d.lgs. 546/1992 sono invece conosciuti dalle Commissioni. Sono quindi le “controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale”. Si tratta, ovviamente, di quelle controversie che abbiano ad oggetto operazioni “di intestazione” o di “variazione” operate dall’Amministrazione finanziaria al solo fine della imposizione di tributi (C., S.U., 26.7.2007 n. 16.429) con esclusione delle liti aventi diversa natura, devolute alla cognizione del giudice ordinario (contestazioni sulla titolarità del diritto dominicale, di rivendica, di delimitazione di confini). b) - In materia di occupazione di spazi ed aree pubbliche, la giurisprudenza ha riconosciuto la natura tributaria della TOSAP (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, disciplinata dall’art. 38 ss. d.lgs. 15.11.1993, n. 507 2), pertanto attribuita alle Commissioni (C., S.U., 21.1.2005 n. 1.239). 2 Oggetto della tassa. 1. Sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province. 2. Sono, parimenti, soggette alla tassa le occupazioni di spazi soprastanti il suolo pubblico, di cui al comma 1, con esclusione dei balconi, verande, bow-windows e simili infissi di carattere stabile, nonché le occupazioni sottostanti il suolo medesimo, comprese quelle poste in essere con condutture ed impianti di servizi pubblici gestiti in regime di concessione amministrativa. 3. La tassa si applica, altresì, alle occupazioni realizzate su tratti di aree private sulle quali risulta costituita, nei modi e nei termini di legge, la servitù di pubblico passaggio. 4. Le occupazioni realizzate su tratti di strade statali o provinciali che attraversano il centro abitato di comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti sono soggette all'imposizione da parte dei comuni medesimi (1). 5. Sono escluse dalla tassa le occupazioni di aree appartenenti al patrimonio disponibile dei predetti enti o al demanio statale. Sono soggette alla tassa le occupazioni di spazi acquei adibiti ad ormeggio di natanti e imbarcazioni compresi nei canali e rivi di traffico esclusivamente urbano in consegna ai comuni di Venezia e di Chioggia ai sensi del R.D. 20 ottobre 1904, n. 721, e dell'art. 517 del regolamento per l'esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima), approvato con D.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328. Le 8 c) Il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (c.d. COSAP), previsto dall’art. 63 d.lgs. 15.12.1997, n. 446, 3 è invece un’entrata patrimoniale non tributaria. La relative tariffe sono determinate dai comuni stessi, nella misura del 50 per cento di quelle previste dall'articolo 44 del presente decreto. Limitatamente a tali spazi acquei sono fatte salve le tasse già riscosse o da riscuotere per gli anni precedenti (2) (3). (1) Comma così modificato dall'art. 1, d.lg. 28 dicembre 1993, n. 566. (2) Gli ultimi tre periodi sono stati aggiunti dall'art. 3, d.l. 29 marzo 1995, n. 96, conv. in l. 31 maggio 1995, n. 206. (3) L'articolo 51, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 ha soppresso a decorrere dal 1 gennaio 1999 la tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche. Successivamente l'articolo 31 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 ha abrogato la disposizione dell'articolo 51 che sopprimeva la tassa, che conseguentemente è di nuovo vigente. 3 ) Canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche. 1. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, escludere l'applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell'articolo 52, prevedere che l'occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggettata, in sostituzione della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. Il pagamento del canone può essere anche previsto per l'occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge. Agli effetti del presente comma si comprendono nelle aree comunali i tratti di strada situati all'interno di centri abitati con popolazione superiore a diecimila abitanti, individuabili a norma dell'articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (1). 2. Il regolamento è informato ai seguenti criteri: (omissis) 3. Il canone è determinato sulla base della tariffa di cui al comma 2, con riferimento alla durata dell'occupazione e può essere maggiorato di eventuali effettivi e comprovati oneri di manutenzione in concreto derivanti dall'occupazione del suolo e del sottosuolo, che non siano, a qualsiasi titolo, già posti a carico delle aziende che eseguono i lavori. Per la determinazione della tassa prevista al comma 1 relativa alle occupazioni di cui alla lettera f) del comma 2, si applicano gli stessi criteri ivi previsti per la determinazione forfetaria del canone. Dalla misura complessiva del canone ovvero della tassa prevista al comma 1 va detratto l'importo di altri canoni previsti da disposizioni di legge, riscossi dal comune e dalla provincia per la medesima occupazione, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi (5). (1) Comma sostituito dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448. (2) Lettera sostituita dall'art. 18, l. 23 dicembre 1999, n. 488. (3) Lettera sostituita dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448. (4) Lettera aggiunta dall'art. 31, l. 23 dicembre 1998, n. 448. 9 norma istitutiva del canone presenta una disciplina assai scarna allo scopo di ampliare l’autonomia regolamentare dell’ente locale, offrendo così pochi elementi per la ricostruzione della struttura dell’obbligazione. La Corte costituzionale, tuttavia, con sentenza n. 64 del 14.3.2008 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 d.lgs. 546/92 nella parte in cui attribuisce le controversie al giudice tributario, affermando la natura non tributaria del canone. Le relative liti sono pertanto ora devolute al giudice ordinario. La pronuncia è stata prontamente seguita dalla Cassazione (C., S.U., 26.11.2008, n. 28.161) ma la dottrina è divisa sulla natura tributaria o commutativa del prelievo. d) - Ha natura controversa, essendo ambigui gli elementi compositivi del prelievo, la tariffa del servizio idrico integrato e la tariffa del servizio di fognatura e depurazione (oggi disciplinata dagli artt. 154 ss. d.lgs. 3.4.2006 n. 152, in precedenza dalla L. 10.5.1976 n. 319 e dalla L. 5.1.1994 n. 36) La tariffa è infatti strutturata per coprire i costi del servizio ed è informata al criterio comunitario del “chi inquina paga”. Il regime del ciclo delle acque ed il connesso regime dei controlli e delle repressioni ha chiara impronta pubblicistica. I benefici del servizio non sono agevolmente divisibili. La tariffa copre anche i costi degli impianti necessari alla gestione. Secondo parte della dottrina, la tariffa sembra avere carattere più tributario che commutativo. La Corte costituzionale, con sentenza 10.10.2008 n. 335, ha invece affermato che il prelievo afferente la depurazione delle acque reflue di cui all’art. 155, d.lgs. n. 152/2006, ha natura di corrispettivo contrattuale e quindi le relative controversie devono essere devolute al giudice ordinario. Quattro le ragioni del convincimento: 1) la copertura del costo del servizio per mezzo della tariffa; 2) il precedente conforme orientamento della Cassazione; 3) l’imponibilità I.V.A. della tariffa 4) l’inapplicabilità al prelievo della riscossione mediante ruolo Con successiva sentenza 11.2.2010 n. 39, la Corte Cost. ha esteso tale regime a “tutte le componenti del canone di depurazione e scarico”, quindi “anche le quote di tariffa riferite ai servizi di pubblica fognatura e di depurazione disciplinate dai citati artt. 154 e 155 del T.U. ambiente”. Identica devoluzione al giudice ordinario è stata riconosciuta alle liti relative alle somme dovute a titolo di indennizzo per l’allacciamento alla pubblica fognatura, quale prestazione una tantum, tesa al recupero delle spese di impianto da parte del gestore (C., S.U., 13.6.2008, n. 15.914). e) Smaltimento dei rifiuti urbani Come noto, successivamente alla istituzione della TARSU disciplinata dagli artt. 58 ss. d.lgs. 15.11.1993 n. 507, il legislatore ha previsto diverse altre forme di finanziamento del servizio in questione: (5) Comma sostituito dall'art. 18, l. 23 dicembre 1999, n. 488 e successivamente modificato dall'art. 10, l. 1° agosto 2002, n. 166. 10 - la Tariffa di Igiene Ambientale (c.d. TIA – 1), disciplinata dall’art. 49, dlgs n. 22/1997; - la Tariffa integrata ambientale (c.d. TIA – 2) disciplinata dall’art. 238 d.lgs. 152/2006. Sulla natura tributaria della TARSU (tassa rifiuti solidi urbani) non vi erano dubbi, poiché la stessa è dovuta anche nel caso in cui il contribuente provveda direttamente allo smaltimento. I modi dell’accertamento e della riscossione sono inoltre tipicamente tributari. Con la sentenza n. 238 del 24.7.2009 (confermata dalla sentenza 24.2.2010 n. 64) la Corte costituzionale ha affermato che, nonostante la asserita natura privatistica, anche la Tariffa di Igiene Ambientale (c.d. T.I.A. – 1) istituita con il Decreto Ronchi in sostituzione della TARSU, ha natura tributaria e quindi è legittimamente attribuita alla giurisdizione delle Commissioni tributarie. Le ragioni principali di tale convincimento sono da ascrivere a: - la mancanza di connessione tra presupposto e servizio reso (la tariffa è dovuta anche se l’immobile è inutilizzato). - l’indivisibilità almeno parziale del servizio il cui costo deve essere coperto dalla tariffa (in relazione alle componenti fisse del costo dello stesso). Anche la Tariffa integrata ambientale istituita con il codice dell’ambiente (D.lgs. 152/2006 - c.d. TIA 2) sembra presentare la stessa natura tributaria della TIA 1, nonostante che il legislatore sia intervenuto con successiva norma di interpretazione autentica per affermarne il carattere privatistico. f) Pacifica natura tributaria ha l’imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni disciplinata dal D.lgs. n. 507/1993. I comuni possono peraltro escluderne l’applicazione istituendo il canone ex art. 62, dlgs n. 446/1997 la cui natura, incerta in dottrina, è stata ritenuta tributaria dalla Corte Costituzionale, con sentenza 8.5.2009, n. 141. g) Mentre i contributi previdenziali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario – e specialmente del giudice del lavoro – anche se riscossi mediante cartella, in ragione della natura non tributaria del rapporto (C., S.U. 18.3.2010, n. 6539) il contributo sanitario ha invece pacificamente natura tributaria, in ragione della natura autoritativa della prestazione e della mancanza di un sinallagma tra le prestazioni, poiché è dovuto anche quando il contribuente non usufruisce del servizio (SS.UU. 18.3.2010, n. 6539; SS.UU. 9.1.2007, n. 123). h) Sono altresì pacificamente devolute alle CC.TT. perché di natura tributaria: - le controversie in materia doganale e di accise, (SS.UU. 4.3.2009 n. 5166); - il canone di abbonamento radiotelevisivo (C., S.U. 20.11.2007, n. 24010) di cui la Corte Costituzionale ha espressamente affermato la natura di imposta (C. Cost. 26.6.2002, n. 284); - le tasse di concessione governativa per l’impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile terrestre (art. 21 d.P.R. 641/1972) perché hanno natura di tasse (C. SU. 8.2.2008 n. 3000); 11 - le c.d. tasse automobilistiche, dopo l’ampliamento della giurisdizione. In precedenza erano invece devolute al Giudice ordinario (C. Sez. trib. 25.1.2008, n. 1626); - l’imposta sulle scommesse (C.SU 23.4.2009 n. 9672) tranne i proventi ricavati dai giochi simili al Lotto, gestiti in regime di monopolio, che restano regolati dal diritto privato speciale e non assumono natura tributaria (Cassazione civile, sez. un., 06/04/2006, n. 7996).4 - Il prelievo per la valutazione di impatto ambientale (art. 27, L. 30.4.1999 n. 136) perchè è una tassa (C.S.U. 16.4.2007 n. 8956) - I contributi per i consorzi di bonifica (ex multis C.S.U. 31.1.2008 n. 2775) con esclusione delle richieste di pagamento di altre prestazioni effettuate dai consorzi (es.: servizio di acqua potabile (S.U. 14.5.2010, n. 11720) - Le controversie relative ai requisiti per l’iscrizione nell’Anagrafe unica delle ONLUS (C., S.U. 27.1.2010, n. 1625). Dopo molte oscillazioni della giurisprudenza, soprattutto amministrativa, le sezioni unite hanno affermato la giurisdizione delle Commissioni, perché le liti sulla cancellazione e rifiuto di iscrizione avrebbero ad “oggetto un atto di revoca (o diniego) di agevolazioni”di natura prevalentemente fiscale. i) Sono invece escluse dalla giurisdizione tributaria: - le liti sui canoni di concessione demaniale, perché la fonte dell’obbligo è contrattuale e la prestazione tipicamente negoziale, quindi non tributaria (C. S.U. 18.9.2006, n. 20068); - i contributi per l’iscrizione agli albi professionali, perché è loro riconosciuta natura sinallagmatica (C. S.U. 15.10.2008 n. 25175) - i contributi per oneri di urbanizzazione. Le relative controversie sono demandate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Cons. St., sez. IV, 10/03/2011, n. 1565) l) Un cenno a parte meritano le controversie concernenti sanzioni “comunque irrogate da uffici finanziari”. La questione non si pone, ovviamente, per le sanzioni penali, la cui applicazione è riservata al G.O., mentre si è concretamente posta per le sanzioni irrogate per l’uso di lavoro irregolare (v. art. 3 D.L. n. 12/2002, conv. in L. 23.4.2002 n. 73) e le sanzioni per l’utilizzazione di dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza (ai sensi dell’art. 53 D.lgs 30.3.2001 n. 165). In un primo tempo, applicando letteralmente l’art. 2 d.lgs. 546/1992, la Corte di Cassazione ha ritenuto la giurisdizione delle Commissioni tributarie, anche in assenza della natura tributaria delle norme violate. La Corte Costituzionale ha invece dichiarato incostituzionale la norma con sentenza 14.5.2008, n. 130 affermando che “L'art. 2, comma 1, d. lgs. n. 546 del 1992 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria.” 4 Il gioco del lotto è un'attività imprenditoriale che ha natura privatistica. Conseguentemente ha natura privatistica anche il profitto che lo Stato trae dall’attività medesima. Infatti il monopolio fiscale del Lotto si caratterizzerebbe solo per il fatto che la controparte del privato è lo Stato, mentre tra le parti intercorre un rapporto privatistico di scommessa. Per queste ragioni, il giocatore ha azione in giudizio ai sensi dell'art. 1935 c.c. avanti al g.o. e non al giudice tributario. 12 m) Con riferimento all’ulteriore previsione dell’art. 2 che attribuisce alla G.T. le liti aventi ad oggetto gli interessi e “ogni altro accessorio”, la giurisprudenza ha limitato le fattispecie devolute alle Commissioni a quelle relative a: - gli interessi moratori; - la domanda per il riconoscimento degli interessi anatocistici (C.S.U. 23.12.2008 n. 30053) - il risarcimento da svalutazione monetaria, sia in relazione alle somme riscosse dall’Amministrazione a titolo provvisorio, in pendenza del giudizio, sia in relazione a quelle di cui sia stato negato il rimborso; - gli aggi dovuti all’Agente della riscossione (se sia contestato l’an) - le spese di notifica (solo se relative ad atti tributari) n) Controversa è invece l’attribuzione delle controversie in materia di risarcimento del danno, anche in relazione alle somme pagate per la prestazione di garanzie non dovute. In senso affermativo si è espressa però C., S.U. 16.6.2010 n. 14499. La domanda per la responsabilità processuale aggravata ex art. 96, 1° c. c.p.c. è attribuita alle C.T. in quanto accessoria alla controversia principale. o) Infine, l’art. 2 demanda alla giurisdizione tributaria la cognizione incidentale delle questioni “da cui dipende la decisione delle controversie”, attribuendo alle stesse commissioni un potere di cognizione amplissimo esteso ad ogni questione, anche extratributaria, che costituisca antecedente logico della decisione. Uno dei più frequenti ambiti di cognizione incidentale riguarda gli atti amministrativi generali e i regolamenti presupposti dell’atto impugnato che, a norma dell’art. 7 d.lgs. 546/1992, possono essere disapplicati previo accertamento della loro eventuale illegittimità. L’art. 2 (c. 3) prevede soltanto due fattispecie di deroga alla cognizione incidentale: 1) la querela di falso 2) le questioni di stato e di capacità delle persone tranne quelle relative alla capacità di stare in giudizio. 5 In presenza di queste deroghe, il processo tributario deve essere sospeso (art. 39) e la questione decisa dal giudice ordinario con efficacia di giudicato, essendo sottratta ad una cognizione anche soltanto incidentale delle CC.TT.. Tra le altre questioni che possono comportare la sospensione del processo vi sono quelle che hanno ad oggetto: 1) la legittimità costituzionale della norme rilevanti ai fini della decisione, 2) il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia con la quale si solleva una questione interpretativa su una norma comunitaria. 5 (Rientrano tra le prime la capacità giuridica e di agire, assenza e morte; parentela e affinità; sussistenza del vincolo matrimoniale; filiazione; affiliazione e affidamento, l’apolidia e lo status di rifugiato politico. Non rientrano le questioni relativa alla natura di erede) 13 A completamento di quanto si è detto sull’ambito della giurisdizione delle CC.TT. si deve puntualizzare che: a) Irrilevante risulta la posizione giuridica soggettiva del contribuente (diritto soggettivo o interesse legittimo) o il modo di esercizio del potere (discrezionale o vincolato) da parte dell’Ente impositore (C., S.U., 5.3.2009, n. 5286). Queste circostanze assumono invece rilievo per la individuazione del giudice dotato di giurisdizione nelle materie “non” attribuite al giudice tributario, ossia per distinguere tra ciò che è lasciato al giudice ordinario e ciò che spetta al giudice amministrativo quando, per i limiti interni alla giurisdizione, non possa darsi tutela dinanzi al giudice tributario (Tesauro). b) rilevante è invece la natura dei soggetti coinvolti: le liti tra privati, anche se in materia tributaria, sono devolute all’AGO. Sussiste in tal senso un limite interno soggettivo. Tali sono le controversie in materia di sostituzione (fra sostituto di imposta che effettua una trattenuta) e sostituito (soggetto passivo che la subisce) e alcune liti in materia di Iva addebitata e versata. In particolare, sono estranee alla G.T. le liti promosse dal consumatore finale per il rimborso della maggiore Iva pagata al soggetto passivo del tributo, mentre è stata devoluta alle CC.TT. la lite promossa dal soggetto passivo Iva (cessionario) a seguito di un diniego di rimborso. c) Non è infine rilevante che a proporre la domanda non sia il contribuente ma il cessionario del credito tributario, perché le questioni intorno alla legittimazione attiva e alla proponibilità della domanda non incidono sulla giurisdizione. 6 (v. C., S.U., 19.11.207, n. 23835, massima: La giurisdizione tributaria esclusiva sussiste in tutte le controversie riguardanti il rimborso di tributi, salvo che il relativo diritto non sia stato riconosciuto formalmente dall'ente impositore. La giurisdizione è stabilita con riferimento all'oggetto della domanda e sussiste non solo quando la controversia è proposta dal creditore originario, ma anche quando il giudizio è radicato dal terzo cessionario del credito. 6 14 4. La (residuale) giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo nella materia tributaria. Come già rilevato, quando sia carente la giurisdizione tributaria, la giurisdizione di altro giudice si determina sulla base dei criteri ordinari ovvero della situazione soggettiva tutelata (Marello). In materia di diritti soggettivi la giurisdizione è devoluta di regola al Giudice ordinario e quindi al Tribunale, ex art. 9, c. 2 c.p.c., ma tale norma ha ormai un ambito applicativo assai modesto, in ragione dell’ampliamento della giurisdizione delle CCTT operato dall’art. 2 d.lgs. 546. Restano infatti attribuite alla giurisdizione ordinaria solo le liti tra privati in materia tributaria, le questioni di stato e di capacità, la querela di falso. L’art. 2 segna il limite fino al quale possono spingersi le CC.TT. nella sequenza procedimentale degli atti e cioè fino alla notifica della cartella di pagamento e dell’avviso di cui all’art. 50, 2° c. D.PR. 602/1973, ultimi atti impugnabili antecedenti la formazione del titolo esecutivo. A questo proposito, si deve notare che secondo la giurisprudenza i tipici atti della riscossione e cioè la cartella di pagamento (o anche l’ingiunzione fiscale e l’avviso di mora) non sono atti dell’esecuzione bensì atti prodromici ad essa e le relative liti sono devolute al giudice tributario. Vi è dunque una duplice condizione per affermare la giurisdizione del G.O.: - Che si tratti di atti successivi alla cartella di pagamento; - Che si tratti di atti dell’esecuzione forzata tributaria (potendosi ipotizzare anche atti successivi alla cartella di pagamento con funzione non esecutiva in senso stretto ma, ad esempio, di natura cautelare). Per i limiti posti dagli articoli 57 7 e 58 del D.P.R. 602/1973, spettano quindi al G.O. le opposizioni agli atti esecutivi e le opposizioni di terzo che non si risolvano nelle stesse contestazioni che avrebbero potuto rivolgersi agli atti dai quali la pretesa trae fondamento e, quindi, agli atti indicati nell’art. 19. 8 7 D.PR, 602/73 - Articolo 57 - Opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi. 1. Non sono ammesse: a) le opposizioni regolate dall'articolo 615 del codice di procedura civile, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni; b) le opposizioni regolate dall'articolo 617 del codice di procedura civile relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo. 2. Se è proposta opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, il giudice fissa l'udienza di comparizione delle parti avanti a sé con decreto steso in calce al ricorso, ordinando al concessionario di depositare in cancelleria, cinque giorni prima dell'udienza, l'estratto del ruolo e copia di tutti gli atti di esecuzione. 8 Anche per la giurisprudenza (Cassazione civile, sez. un., 23/05/2008, n. 13357 - Massima): “Nel processo tributario tutte le contestazioni relative alla legittimità formale e sostanziale degli atti di imposizione attengono alla materia della cognizione, e non dell'esecuzione, e sono come tali 15 In sostanza, l’unica opposizione all’esecuzione proponibile dinanzi al G.O. sembrerebbe quella concernente la pignorabilità dei beni. Le liti sull’iscrizione di ipoteca e sul fermo amministrativo di beni mobili appartengono alla giurisdizione del G.O. solo ove il credito per il quale si procede abbia natura extra tributaria. Altrimenti, sono atti autonomamente impugnabili dinanzi alle CC.TT. ex art. 19, dopo la modifica normativa che ha inserito nell’art. 2 d.lgs. 546/1992 le lettere e-bis) e-ter) (v. art. 35 D.L. 4.7.2006 n. 223). Su quest’ultimo inserimento la dottrina nutre un sospetto di incostituzionalità perché si tratta di atti posti a valle della formazione del titolo esecutivo, la cui cognizione non richiede un sapere specialistico del giudice tributario e che quindi esorbitano dalle finalità della relativa giurisdizione, “snaturando” il giudice speciale e violando l’art. 102 Cost.. Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie spetta infine al G.O la giurisdizione sulla responsabilità per atto illecito dell’Amministrazione e sulla conseguente domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c.. perché non potrebbe ravvisarsi un carattere accessorio della relativa lite rispetto alla controversia tributaria. 9 funzionalmente devolute al giudice tributario. Ne consegue che là dove il contribuente contesti la legittimità dell'avviso di mora (nella specie, perché immotivato e comunque non preceduto da notifica della cartella esattoriale) la relativa controversia spetta al giudice tributario, a nulla rilevando che l'avviso fosse stato emesso per la riscossione di imposte pretese dall'amministrazione finanziaria di altro Stato, in esecuzione di una convenzione bilaterale per l'assistenza giudiziaria in materia tributaria, atteso che la giurisdizione tributaria è attribuita senza distinzione di nazionalità del legislatore (art. 2 d.lg. n. 546 del 1992).” (v. in particolare, C., S.U., 29 aprile 2008 n. 10826 (Massima) “Va dunque escluso che rientri nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie, spettandone invece la cognizione al giudice ordinario, una controversia con la quale il privato, adempiuto il debito d'imposta relativo all'ICI non tempestivamente o integralmente versata, domandi il risarcimento dei danni subiti in sede di riscossione coattiva per aver dovuto corrispondere anche le somme pretese dal comune per l'assistenza legale allo stesso prestata da avvocati di cui l'ente pubblico si sia avvalso. 9 16 Secondo una risalente e pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione spettano al G.O. anche le controversie in cui “l’amministrazione abbia formalmente riconosciuto il diritto al rimborso e la quantificazione della somma dovuta,” così che non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria, del quantum del rimborso o le procedure con le quali lo stesso deve essere effettuato (ex multis: C. S.U., 27.7.2002, n. 10725). Sono invece devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, con effetti demolitori nel caso di accoglimento del ricorso, le liti aventi ad oggetto 1) gli atti generali (es. delibere tariffarie) e regolamentari (es. regolamento ICI) 2) tutti gli atti, anche singolari, non diretti alla concreta attuazione di uno specifico rapporto obbligatorio tributario, pur trattandosi di materia tributaria (Russo, Marongiu). Spettano altresì, pacificamente: * l’impugnativa del diniego di accesso agli atti del procedimento (una volta che sia concluso il procedimento ed emanato l’atto impositivo - Cons, St., sez. IV, 21.10.2008, n. 5144) * l’impugnativa dei provvedimenti di fissazione del domicilio fiscale ex art. 59, d.P.R. 600/1973 10 Vi è tuttavia chi, in dottrina, argomentando dall’attribuzione al Giudice amministrativo della giurisdizione in materia di risarcimento del danno (v. Sentenza C. Cost. 6.7.2004 n. 204), per ragioni di concentrazione e di effettività della tutela non inibite dalla giurisdizione speciale, afferma che “il superamento della regola del doppio giudizio conseguirebbe all’attuazione del precetto di cui all’art. 24 Cost.”. Tale impostazione più rispondente al canone dell’interpretazione adeguatrice sembra trovare accoglimento nella sentenza C. S.U. 16.6.2010, n. 14499 che ha affermato che “Rientra nella giurisdizione tributaria la domanda diretta al risarcimento dei danni subiti per effetto dei ritardati rimborsi di imposte indebitamente versate. Il contribuente danneggiato dal ritardo dell'Amministrazione finanziaria può chiedere il risarcimento e deve farlo con istanza alla Commissione tributaria provinciale competente a valutare e liquidare ogni tipo di richiesta accessoria presentata dal contribuente. Vale, anche in questo caso, il limite oggettivo interno della giurisdizione tributaria, che non consente comunque la proposizione della domanda in via autonoma, ma solo in via accessoria, in presenza di un atto autonomamente impugnabile compreso nell’elenco di cui all’art. 19. 10 Articolo 59 - Domicilio fiscale stabilito dall'amministrazione. L'amministrazione finanziaria può stabilire il domicilio fiscale del soggetto, in deroga alle disposizioni dell'articolo precedente, nel comune dove il soggetto stesso svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel comune in cui è stabilita la sede amministrativa. Quando concorrono particolari circostanze la amministrazione finanziaria può consentire al contribuente, che ne faccia motivata istanza, che il suo domicilio fiscale sia stabilito in un comune diverso da quello previsto dall'articolo precedente. 17 In tutti questi casi si ha esercizio di un potere autoritativo e un provvedimento non impugnabile ex art. 19. Controversa è invece l’attribuzione delle liti sul diniego di rateazione a seguito di istanza proposta all’Agente della riscossione ex art. 19 D.P.R. 602/1973 anche se di recente, le SS.UU. sono approdate all’affermazione della giurisdizione delle CC.TT. “ratione materiae”, in quanto la controversia avrebbe ad oggetto un “debito tributario” (SS.UU. 30.3.2010 n. 7612) 11 In precedenza, alcune decisioni della giurisprudenza amministrativa avevano affermato la propria giurisdizione, rilevando che il potere che viene contestato non attiene alla determinazione dell’obbligazione tributaria ma ad una fase successiva e, quindi al di fuori del perimetro delineato dall’art. 2. Il giudice amministrativo, secondo questa prospettazione, sarebbe pertanto il giudice naturale della lite, anche perché la rateazione sembra esercizio di un potere di autotutela esecutiva e conservativa del credito, esercitato da un soggetto privato esercente una pubblica funzione. Si noti che la stessa Cassazione (C., Sez. trib. 9.11.2005 n. 21765) si era espressa in un primo momento (e con riferimento al d.P.R. n. 636/72), nel senso della non impugnabilità Competente all'esercizio delle facoltà indicate nei precedenti commi è l'intendente di finanza o il Ministro per le finanze a seconda che il provvedimento importi lo spostamento del domicilio fiscale nell'ambito della stessa provincia o in altra provincia. Il provvedimento è in ogni caso definitivo, deve essere motivato e notificato all'interessato ed ha effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in cui è stato notificato. 11 SS.UU. (30.3.2010 n. 7612) - (Massima): L'art. 2 d.lg. n. 546/92 attribuisce alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati; pertanto, la controversia attinente alla rateizzazione del debito tributario spetta a detta giurisdizione, avendo ad oggetto per l'appunto un debito tributario, a nulla rilevando che la decisione spettante all'Agenzia delle Entrate debba essere assunta in base a considerazioni estranee alla materia tributaria, essendo la giurisdizione attribuita in ragione esclusiva dell'oggetto della controversia. Conforme ma con motivazione parzialmente diversa: SS.UU. (1.7.2010 n. 15647) - (Massima): a seguito della riforma di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 12, la giurisdizione tributaria si estende ormai a qualunque controversia in materia d'imposte e tasse e, dunque, anche a quelle in tema di agevolazioni o riscossione che non attengano al momento della esecuzione in senso stretto o alla restituzione di somme per le quali non residui più alcuna questione sull'an, il quantum o le modalità di esecuzione del rimborso (C. Cass. 2002/10725, 2005/(14331 e 2008/19505); che implicando pur essa una questione sulla spettanza o meno di un'agevolazione attinente alla fase della riscossione precedente a quella della esecuzione vera e propria, anche l'impugnazione del diniego di rateazione di un debito per imposte o tasse introduce, perciò, una controversia di carattere tributario devoluta, come le altre in materia, alla giurisdizione delle Commissioni; 18 dinanzi alle CC.TT., motivando la decisione in ordine ai limiti interni oggettivi in quanto l’atto non sarebbe compreso nell’elenco degli atti impugnabili. Analoga, sotto il profilo concettuale, si presenta la questione del diniego della sospensione amministrativa della riscossione. In questo caso, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria devolve la decisione al Giudice amministrativo (Cons. st., Sez. IV, 9.11.2005 n. 6269; conforme: TAR Molise, Campobasso, 8.11.2006, n. 957). Consiglio Stato, sez. IV, 09/11/2005, n. 6269 – Massima: Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto dal contribuente avverso il provvedimento con il quale la Direzione regionale delle entrate ha respinto la sua istanza di sospensione della riscossione delle somme iscritte a ruolo con la cartella esattoriale, trattandosi di atto che è espressione non già del potere cautelare in senso proprio e che accede alla tutela giurisdizionale riservata al giudice tributario, bensì del potere amministrativo di autotutela proprio della pubblica amministrazione e che mira ad evitare, nel rispetto dei principi codificati dagli art. 24 e 113 cost., una riscossione che sia sostanzialmente ingiusta o inopportuna, per l'esistenza di fatti e circostanze che sono oggetto di esclusiva valutazione, tipicamente discrezionale, dell'amministrazione, a nulla rilevando che, eventualmente, tali fatti e circostanze possano in qualche modo coincidere con gli stessi motivi di doglianza sul corretto esercizio del potere di imposizione tributaria. 19 5. Gli atti impugnabili e i motivi del ricorso (c.d. limiti interni oggettivi - art. 19, D.Lgs 546/1992) 1. La scelta del carattere impugnatorio del giudizio tributario è collegabile a ragioni di economia processuale e insieme di rafforzamento del controllo di legalità sugli atti amministrativi. La concentrazione delle controversie relative ad un unico rapporto d’imposta nell’impugnazione di atti predeterminati dal legislatore, ha anche lo scopo di impedire che l’attività amministrativa diretta all’attuazione del tributo sia anticipata e ostacolata da azioni di accertamento sul presupposto imponibile, che potrebbero interferire con il suo ordinato svolgimento. Viene così assicurata la precedenza dell’istruttoria amministrativa (primaria e necessaria) sull’istruttoria processuale (secondaria ed eventuale). Tutti gli atti individuali innominati perché non elencati nell’art. 19, ma tuttavia immediatamente lesivi di un interesse attuale e concreto del contribuente, sarebbero quindi impugnabili davanti alle CCTT in via differita, mediante il ricorso contro il primo degli atti successivi compreso nell’elenco, rispetto ai quali gli stessi abbiano il valore di atto presupposto o pregiudiziale. Sarebbe invece esclusa l’impugnabilità degli atti interni come circolari, risoluzioni ministeriali, pareri, atti confermativi o esecutivi. Secondo la prevalente dottrina sarebbe invece impugnabile in via differita il diniego di disapplicazione di una norma antielusiva (Tesauro) ma la Cassazione si è di recente espressa nel senso della impugnabilità autonoma, immediata e facoltativa (Cass. civ., Sez. trib., Sent. 15.4.2011 (27.1.2011), n. 8663. Il contribuente può dunque ricorrere al Giudice tributario impugnando i seguenti atti, espressamente elencati nell’art. 19, solo per vizi propri degli stessi: a) l’avviso di accertamento (e atti assimilabili) b) l’avviso di liquidazione c) il provvedimento che irroga le sanzioni d) il ruolo e la cartella di pagamento e) l’avviso di mora e-bis) l’iscrizione di ipoteca e-ter) il fermo amministrativo f) gli atti relativi alle operazioni catastali g) il rifiuto di restituzione di tributi e sanzioni h) il diniego e la revoca di agevolazioni; il rigetto di domande di definizione agevolata i) ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l’autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni tributarie. Tale catalogo sarebbe tassativo secondo la dottrina maggioritaria (Tesauro, Perrone). L’affermata tassatività consentirebbe una lettura estensiva ma escluderebbe integrazioni analogiche. Si osserva tuttavia che detto principio, prima ridimensionato dalla giurisprudenza come principio relativo, è stato in seguito addirittura negato. 20 Il diritto vivente ha infatti ormai progressivamente ridotto la portata del principio di tipicità degli atti impugnabili (e del correlato principio della tutela differita di quelli innominati). In particolare, la giurisprudenza della Sezione Tributaria della Cassazione è pervenuta a questo esito in due tempi. - In un primo momento è stata dilatata la categoria degli atti impugnabili, estendendola anche ad atti paritetici (come la fattura) ovvero endoprocedimentali (come gli avvisi bonari, gli inviti al pagamento e anche semplici bollettini di conto postale [C. Sez. trib., 17.12.2010 n. 25591]), prodromici alla formazione o alla notificazione del ruolo, ai quali non può di certo riconoscersi natura autoritativa e provvedimentale. In concreto, si è ricondotto sotto la nozione di accertamento o di liquidazione qualunque atto con il quale il soggetto pubblico comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, anche quando detta comunicazione si concluda con un semplice invito bonario a versare quanto dovuto e non invece con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in tempi brevi dell’attività esecutiva (C., nn. 16.293/2007 e 16.428/2007). Corollario di tale impostazione sarebbe il consolidamento e la definitività dell’atto non impugnato o non eliminato in via di autotutela. In questo caso, parrebbe quindi preclusa l’impugnazione del successivo atto, nominato e impugnabile, proprio della sequenza procedimentale. A tale conclusione sono in effetti pervenute alcune sentenze della Cassazione (v. C. 23.7.2009, n. 17202). - Solo in una seconda fase si è introdotta una tutela anticipata e facoltativa nei confronti di taluni atti intermedi posti in essere dall’ente impositore o dal concessionario, ancora non idonei a ledere in maniera attuale e diretta un interesse del contribuente, precisando che di fronte ad una ben individuata pretesa tributaria, non è necessario attendere che la stessa, se rimasta insoddisfatta, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili. L’interesse alla tutela giurisdizionale sorgerebbe infatti sin dal momento della ricezione della “notizia” della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori.12 Con l’ulteriore e dirompente precisazione che l’impugnazione dell’atto innominato sarebbe una facoltà e non un onere, in quanto la mancata impugnazione dell’atto non determina in ogni caso il consolidamento della pretesa, dovendo questa essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici (v. Cass. civ., sez. trib. 21045/2007 e 25.2.2009 n. 4513). (ex. Multis: C., S.U., 11.5.2009, n. 10672 secondo la quale: “l’elencazione contenuta nell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992 non rappresenta ulteriormente un numerus clausus in quanto deve ritenersi impugnabile avanti alla giurisdizione tributaria ogni atto, indipendentemente dalla forma o denominazione, che rechi una pretesa nei confronti del destinatario deducendo la sussistenza di un rapporto giuridico d’imposta suscettibile pertanto di far insorgere nel destinatario l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. spiegando le proprie difese davanti al giudice naturale”). 12 21 Autorevole dottrina (Tabet) ha pertanto osservato che questo ultimo orientamento “fuoriesce decisamente dalla strada del processo costitutivo e apre a forme di tutela facoltativa e preventiva a contenuto negativo, nei confronti di atti intermedi del soggetto pubblico che, pur manifestando una determinata pretesa, non sono assimilati dalla stessa Corte agli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 d.lgs. 546/1992 in quanto sprovvisti della forma autoritativa e quindi soltanto preordinati a sollecitare lo spontaneo adempimento.” Al momento non sembra agevole intravvedere quali saranno i punti di arrivo di questa rilevante evoluzione giurisprudenziale, ancora incerta fra tutela preminente del concreto interesse ad agire del contribuente e regola della predeterminazione normativa degli atti impugnabili. Il dibattito sulla questione è dunque aperto, anche in sede dottrinale e nella pratica professionale. Bibliografia: - D’Ayala Valva, Francesco, L’interpretazione creativa delle supreme corti, Riv. dir. trib. 2011, 04, 413. - Di Giacomo, Enzo, Sanzioni tributarie, liti al Giudice ordinario, nota a sentenza SS.UU, 27.1.2011 n. 1864, Diritto e Giustizia, 5.2.2011. - Gobbi, Cristiano, Il processo tributario, Milano, 2011. - Lunelli, Roberto, Diniego di disapplicazione delle norme antielusive: impugnazione facoltativa od obbligatoria ? – GT, n. 8/2011, p. 681 ss. - Marello, Enrico, La giurisdizione delle Commissioni tributarie, in Codice commentato del processo tributario, art. 2, IPSOA 2011. - Marongiu, Gianni, Evoluzione della giurisdizione tributaria, relazione tenuta alla Facoltà di Giurisprudenza di Pisa il 13.12.2006. - Russo, Pasquale, Manuale di diritto tributario - Il processo tributario, Milano, 2005, pp. 18 ss.. - Russo, Pasquale, Il riparto della giurisdizione fra giudice tributario e giudice amministrativo e contabile, Riv. dir. trib. 2009, 01, 3. - Tabet, Giuliano, Diritto vivente e tutela anticipata nei confronti di atti atipici, GT, n.4/2011, p. 281 ss.. 22