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Dante Alighieri (1265-1321) è vissuto nel periodo più vivace della rinascita medioevale italiana, tra
l’epoca dei Comuni e il sorgere delle Signorie. Erede di tutta la tradizione culturale europea dei
secoli passati, egli ha segnato con autorevolezza il cammino per le nuove generazioni di intellettuali
che hanno posto le basi per l’Umanesimo e il Rinascimento.
Il rapporto di Dante con la Musica è stato oggetto di molti studi. Da un lato sono stati evidenziati
tutti i canti, le nozioni musicali e i musicisti citati nelle sue opere e dall’altro la sua produzione
letteraria è stata collocata nei contesti strettamente collegati alla musica confrontandola con le opere
musicali dell’epoca. Meno frequentemente è stata affrontata la delicata questione della “musicalità”
del verso, o della “sonorità” che si sprigiona dal versificare dantesco. Il terreno, pur sondato dalla
critica stilistica, è effettivamente minato e spesso può portare ad esiti fuorvianti come peraltro è
accaduto proprio con autori considerati molto “musicali”, ma non legati a “musicisti”, come ad
esempio D’Annunzio, Pascoli, Leopardi, Metastasio, Petrarca. Anche per quest’ultimo, pur amico
di musicisti di fama (basti pensare a Guillaume de Machaut) e ampiamente “saccheggiato” da tutti i
madrigalisti dei secoli a lui successivi, la destinazione “poetica” della sua opera non può essere
legata ipso facto all’attività musicale.
Ciò che rende la Musica “vicina” alla Poesia, nella considerazione dei medioevali, è la prosodia e la
metrica, l’articolazione delle sillabe e delle parole accostate secondo procedimenti che accentuano
vuoi l’aspetto ritmico vuoi quello timbrico. Ma il gioco rimane sempre in mano al poeta.
L’unione della Musica con la Poesia, inoltre, assume nelle numerose sperimentazioni medioevali
forme più ibride con una chiara destinazione funzionale ad essere posta in musica (la cosiddetta
“poesia per musica”) oppure, al contrario, viene esercitata l’abilità di inserire parole su una melodia
già nota in modo da rispettarne o individuarne la metrica. Quest’ultimo esercizio, valido aiuto
mnemonico per i cantori, è stato un’importante concausa nell’invenzione dei Tropi e delle Sequenze
e nella composizione dei Motetus dell’Ars Antiqua.
Proprio tra il finire dell’Ars Antiqua (ca. 1150-1260 e 1260-1320) e il nuovo corso dell’Ars Nova
(ca. sec XIV) si colloca cronologicamente Dante. Le forme antiche si riempiono del nuovo spirito
trecentesco e la tavolozza coloristica sia della composizione poetico-letteraria, sia della
composizione musicale si manifesta in molteplici felici esiti. Le esperienze della poesia cortese e
delle laudi francescane, le severe melodie religiose e gli strumenti che risuonano nelle feste
paesane, il canto gregoriano e le sacre rappresentazioni: tutti questi momenti confluiscono
nell’opera di Dante e in essa si specchiano tramandandoci echi della vita quotidiana e delle usanze
di corte, squarci sulla vita monastica dei nuovi ordini religiosi e sulla trasformazione dei comuni
nelle prime forme delle nuove signorie.
Dante, dunque, si pone come la congiunzione del nuovo con il passato e proprio per questa sua
incredibile lucida capacità può essere preso a emblema del mutamento stilistico, sociale e, dunque,
musicale che avviene proprio tra il Duecento e il Trecento.
IL concerto inizia con una Ductia, danza medioevale puramente strumentale, menzionata, insieme
alla estampida e alla rota, nel trattato Ars Musicae di Johannes de Grocheo (1255-1320 ca.), teorico
e scrittore francese contemporaneo di Dante. De Grocheo, prese le mosse dalla nota divisione
risalente a Boezio riguardante la Musica Mundana, Humana e Instrumentalis, dedicandosi tuttavia
prevalentemente a quest’ultima, attribuendole, di fatto, un’affermata importanza. La musica
strumentale, normalmente connessa con l’azione diabolica, in quanto induce nell’uomo sentimenti e
comportamenti incontrollabili, era sempre stata trattata sommariamente. Ora, invece, De Grocheo se
ne occupa diffusamente, registrando in tal modo il favore che la musica strumentale stava
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assumendo agli inizi del Trecento soprattutto a causa del mutato assetto sociale che vedeva
l’emergere della classe mercantile.
La nuova mentalità si esprime tuttavia anche in ambito religioso come attestato dal motetus Sol sub
nube latuit. Si tratta di un brano a due voci nel quale la musica, anche se di orientamento popolare,
può ormai presentarsi polifonicamente. Il testo poetico è attribuito a Gualtiero di Chatillon, scrittore
e teologo francese del sec. XII, mentre la versione a due voci è di anonimo. La composizione
musicale mostra stilemi tipici dell’Ars Antiqua nell’andamento ternario e nel medesimo registro
delle due voci.
Il secondo brano di stampo religioso è la lauda Alta Trinità beata, testimonianza della produzione
poetica e musicale in volgare sviluppatasi nel corso del XIII secolo, di grande diffusione popolare
soprattutto per i vari movimenti religiosi che sostenevano la necessità di un ritorno al cristianesimo
delle origini. Questi movimenti, a volte in odore di eresia, ma spesso connessi con i nuovi ordini
religiosi, avevano tutti in comune la scelta di identificarsi in una propria produzione poeticomusicale su testi volgari per risultare più comprensibile rispetto al dotto latino e per servire che
servisse anche da riconoscimento distintivo.
Lo stesso San Francesco amava definirsi “giullare di Dio”. Proprio a San Francesco è dedicata una
lauda tratta dal Laudario di Cortona (sec. XIII), la n°37 Sia laudato San Francesco, che riprende nel
titolo gli incipit delle strofe della celeberrima composizione del santo, il Cantico delle creature, che
da molti studiosi è ritenuta il vero inizio della letteratura italiana. La serena e gioiosa melodia si
presta, come molte altre del genere, ad essere accompagnata da strumenti e sostenuta ad libitum da
un bordone o da un pur facile sostegno vocale.
Con Sic mea fata si ritorna alle composizioni su testo latino: essa è tratta dai celebri Carmina
Burana, e canta dell’amore non corrisposto e dei desideri del poeta non appagati. Viene toccato con
questo testo e con questa melodia la tematica dell’amore importantissima per Dante e per tutta la
letteratura dell’amor cortese, alla quale Dante, dopo averne percorso per intero le riflessioni ne La
Vita Nova e nelle poesie stilnovistiche, fornisce gli esempi più alti con La Divina Commedia. Se la
grande stagione della poesia trobadorica visse in felice rapporto con la musica, con Dante tale
rapporto si ruppe e gli esiti successivi di Petrarca e di Boccaccio si indirizzano definitivamente
verso l’ambito letterario, relegando l’aspetto musicale in secondo piano.
L’amore si rivolge anche al sacro, come testimoniano le Cantigas de Santa Maria di cui viene
offerto l’esempio di Des oge mais in cui il menestrello rivolge la propria arte a celebrare la
Madonna.
Fin qui le molteplici influenze che Dante eredita: la severità del canto religioso ecclesiastico e
monacale, il canto religioso popolare in latino e in volgare, la poesia cortese. L’azione culturale di
Dante introduce all’Ars Nova nobilitando i valori umani e raccordandoli con quelli cristiani. L’Ars
Nova si attesta vivacemente in ambito musicale, costituendo un valido e paritetico pendant della
società descritta da Boccaccio nel Decameron. Emblematica è al proposito la composizione Ecco la
primavera di Francesco Landini (1325/1335 – 1397), tra i primi grandi musicisti italiani. Egli,
menomato nella vista, fu compositore, cantore, organaro e organista (venne appellato “il cieco degli
organi”), ma anche poeta e intellettuale seguace di Guglielmo di Occam. Vissuto in pieno Trecento,
fu molto noto e stimato da Francesco Petrarca, Coluccio Salutati e Franco Sacchetti. La
composizione oggi presentata è una Ballata a due voci, una tra le forme poetico/musicali di
carattere profano, inventate e sperimentate durante l’Ars Nova. I temi letterari sono comuni alla
poesia petrarchesca, la melodia infonde serenità nella percezione della natura, rifuggendo da
riferimenti religiosi o moralistici. Con Francesco Landini, contrappuntato dalla canzone
petrarchesca Chiare, fresche e dolci acque, si è toccato il punto cronologicamente più distante dal
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periodo in cui visse Dante, sebbene le tematiche e gli esiti poetici furono indubbiamente introdotti
dall’Alighieri.
Sul tema dell’amore si riprendono due delle Cantigas di Santa Maria, una raccolta di oltre 400 canti
monofonici in lode della Vergine Maria, che si presume iniziata e promossa dal Re Alfonso X “El
Sabio”. Esse raccontano essenzialmente i miracoli avvenuti per l’intercessione della Madonna, ma
assumono tratti poetici e musicali ricavati non solo dagli ambienti aristocratici, ma anche dalle
tradizioni arabo/ebraiche e dalle istanze popolari. Vengono proposte la n°77 (consistente in un
virelai) e la n°119, seguite da La rosa enflorese, celebre canzone d’amore sefardita dove la fioritura
del roseto è accostata al dolore dell’animo del poeta. Tutte le immagini legate alla primavera (la
fioritura, il canto dell’usignolo, il volo della colomba) sono state adottate, insieme con i riferimenti
all’immagine della Vergine Maria dalla raffinata lirica d’amore italiana di cui l’esempio è il
bellissimo sonetto dantesco Tanto gentile e tanto onesta pare tratto dalla Vita Nova.
E’ la volta quindi della lirica francese con il brano del grande Guillaume de Machaut (1300-1377),
canonico di Reims, letterato amico di Petrarca e grande musicista a cui si deve la prima
composizione di una Messa polifonica a quattro voci articolata secondo i canti del “proprium”: la
Missa de Notre Dame. Di Machaut è presentato il virelai (composizione arsnovistica del tutto simile
alla ballata italiana) Douce Dame Jolie. La melodia è nobile e lievemente melanconica. La
divisione del tempo è chiaramente in due a differenza della produzione musicale dell’Ars Antiqua
(sec XIII), come nel successivo brano Hui matin in cui la divisione è evidentemente in tre, com’era
d’obbligo nel simboleggiare la trinità. E parimenti in Italia, il Laudario di Cortona riporta nella
lauda n°7 Altissima luce gli appellativi alla Vergine di “regina”, “pulzella amorosa” e “stella
marina” ormai d’uso anche nella poesia profana. Anche i riferimenti alla donna angelicata che,
come la Vergine, allontana dal dolore e dalle tenebre sono i medesimi, ma il contesto della laude,
con una melodia composta appositamente per il testo, privilegia la destinazione religiosa del canto.
Il contrappunto letterario non poteva che essere la splendida Donna de Paradiso di Jacopone da
Todi.
Il concerto si conclude con la VII Estampie Royal e “Stella splendens”. Il primo è un brano
strumentale sul ritmo di una delle danze descritte nel citato trattato di Johannes de Grocheo:
costituita da alcune sezioni, ciascuna delle quali viene eseguita due volte ma con differente
conclusione. Il secondo è un celebre canto polifonico a due voci tratto dal Livre Vermeil de
Monserrat. Tutti i meriti che vengono attribuiti alla Madonna ben si addicono all’Orazione alla
Vergine del XXXIII Canto del Paradiso.
© Ettore Borri
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