2010-02 II-A Giurisprudenza CNF

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Parte Seconda
Giurisprudenza
A) Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
I. TENUTA DEGLI ALBI
106. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Violazione diritti quesiti – Esclusione.
In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato
dipendente pubblico “part-time”, il divieto ripristinato dalla legge n.
339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato
all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza
o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”,
non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre
nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo
che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che
la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel
senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro
che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché
non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che
opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di
“moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09).
23 dicembre 2009, n. 207 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN –
P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv M.F.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucera, 11 luglio 2007)
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
107. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione
diritti quesiti – Esclusione.
Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango
costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione.
Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce
come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna
alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in
presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere”
dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto
trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza
direttamente prevista dalla legge.
La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o
dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49
CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti,
da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni
possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa
(art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo
di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio
inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa
ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla
stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi
cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare.
La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti.
23 dicembre 2009, n. 208 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. M.G.F.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Arezzo, 2 marzo 2007)
108. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione
diritti quesiti – Esclusione.
Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango
costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione.
Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce
come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna
alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in
presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere”
dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto
trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza
direttamente prevista dalla legge.
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o
dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49
CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti,
da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni
possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa
(art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo
di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio
inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa
ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla
stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi
cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista
eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare.
La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti.
23 dicembre 2009, n. 209 Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. F.F.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Rieti, 2 febbraio 2007)
109. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione
diritti quesiti – Esclusione.
Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango
costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione.
Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rap314
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Parte Seconda – Giurisprudenza
porto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce
come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna
alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in
presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere”
dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto
trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza
direttamente prevista dalla legge.
La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o
dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49
CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti,
da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni
possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa
(art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo
di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio
inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa
ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla
stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi
cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista
eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare.
La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti.
23 dicembre 2009, n. 210 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI
(conf.) – avv. A.R.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bari, 21 novembre 2007)
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
110. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Impugnazione – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza – Violazione diritti quesiti
– Esclusione – Questione pregiudiziale ex art. 234 CE – Richiesta sospensione giudizio innanzi al C.N.F. – Rigetto.
In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato
dipendente pubblico part-time, il divieto ripristinato dalla legge n.
339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato
all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza
o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”,
non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre
nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo
che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che
la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel
senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro
che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché
non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che
opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di
“moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09).
Va pertanto ritenuta manifestamente infondata, in riferimento agli
artt. 3, 35, co. 1, e 41 Cost., la q.l.c. degli artt. 1 e 2 della Legge n.
330/05, prospettata sotto il profilo della asserita violazione dei diritti
c.d. quesiti e dei correlati principi, di carattere interno e comunitario,
di tutela dell’affidamento, di eguaglianza, sicurezza giuridica, ragionevolezza e proporzionalità.
Va rigettata la richiesta di sospensione del giudizio innanzi al
C.N.F. per essere state prospettate alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 C.E., talune questioni relative alla
compatibilità della legge del 2003 con i principi che regolano il diritto
comunitario, atteso che tali questioni, sollevate con riguardo ai parametri della concorrenza e della libera prestazione dei servizi da parte
degli avvocati, possono eventualmente assumere rilevanza solo in riferimento agli avvocati esercenti la professione pleno jure e non già
anche a quelli esercenti in regime di part time.
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Parte Seconda – Giurisprudenza
23 dicembre 2009, n. 217 – Pres. ALPA – Rel. FLORIO – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. S.B.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cremona, 5 giugno 2007)
111. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Impugnazione – Cessazione del rapporto di lavoro
alle dipendenze della P.A. – Cessata materia del contendere.
Va dichiarata cessata la materia del contendere qualora il ricorrente, a seguito dell’impugnazione della decisione con cui il C.d.O. abbia
disposto la sua cancellazione dall’albo per incompatibilità ai sensi della legge n. 339/03, dichiari di rinunciare al ricorso per essere venuta
meno la causa d’incompatibilità per effetto delle dimissioni e della
conseguente cessazione del rapporto presso l’Ente pubblico.
23 dicembre 2009, n. 218 Pres. ALPA – Rel. FLORIO – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. P.S.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 30 marzo 2007)
112. Avvocato – Tenuta albi – albo degli Avvocati – Esercizio
funzioni di Giudice di Pace – Erronea iscrizione di diritto –
Cancellazione a seguito di revisione annuale dell’albo –
Doverosità – Equiparabilità funzioni giudice di pace e funzioni di magistrato ordinario – Esclusione.
Il difetto ab initio dei titoli e dei requisiti in base ai quali sia stata
erroneamente disposta l’iscrizione di diritto all’albo degli avvocati può
e deve essere rilevato in sede di revisione degli albi ai sensi degli artt.
16 e 37 dell’ordinamento professionale, con l’unica eccezione che
l’iscrizione non sia stata disposta o conservata per effetto di una decisione giurisdizionale concernente i titoli o i requisiti predetti, sicché la
cancellazione ben può essere disposta per fatti sopravvenuti, anteriori
o coevi alla stessa iscrizione. (Nella specie, il ricorrente, dapprima iscritto di diritto ex art. 30 r.d.l. n. 1578/1933 quale ex Giudice di Pace, era stato poi cancellato a seguito della pubblicazione della sent. n.
8737/08 delle SS.UU. civili della Cassazione, che ha negato l’equiparabilità delle funzioni di Giudice di pace a quelle di magistrato inquadrato nell’Ordine giudiziario).
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
Attesa la tassatività delle eccezioni previste dalla legge professionale
in tema di iscrizione di diritto agli albi, deve ritenersi che lo svolgimento di funzioni giurisdizionali minori non è di per sé sufficiente ad eliminare l’incontestabile differenza che corre tra la posizione del magistrato
ordinario, che ha superato un concorso molto selettivo, e quello del
giudice onorario che non è chiamato a sostenere alcun esame. Né il
dovere di osservanza dei medesimi doveri imposti ai magistrati ordinari
e l’esercizio temporaneo della giurisdizione possono essere equiparati
all’esame di idoneità all’esercizio della professione forense, previsto
come obbligatorio dalla norma costituzionale (art. 33).
28 dicembre 2009, n. 219 – Pres. ALPA – Rel. STEFENELLI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. C.F.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bergamo, 19 febbraio 2009)
113. Avvocato – Tenuta albi – Praticante avvocato – Istanza di
ammissione al patrocinio legale – Iscrizione – Atto dovuto
– Pendenza impugnazione presso Corte di Cassazione avverso delibera iscrizione con riserva nel Registro dei praticanti – Rigetto o sospensione dell’istanza – Esclusione.
La pendenza di un’impugnazione presso la Corte di Cassazione avverso la delibera di iscrizione nel registro praticanti con riserva di valutazione della specchiata condotta non può avere un effetto sospensivo sulla pratica, non potendosi impedire che la stessa sia portata a
termine nei modi e nei termini che la legge consente, sicché l’abilitazione al patrocinio davanti alle preture, pur in presenza di una tale
pendenza, costituisce sostanzialmente un atto dovuto, rientrante nel
dovere in capo ai Consigli di far sì che il praticante non compia una
pratica solo teorica, ma che a questa se ne aggiunga anche una di carattere pratico sotto il controllo e la responsabilità del dominus. (Nella
specie, il P.G. aveva motivato il ricorso avverso la delibera di ammissione del praticante al patrocinio legale con la pendenza presso la
Corte di Cassazione del ricorso avverso la delibera d’iscrizione al Registro dei praticanti, ritenendo pertanto che la istanza di ammissione
al patrocinio fosse da rigettare, ovvero da sospendere, fino all’esito
della decisione delle Sezioni Unite).
28 dicembre 2009, n. 220 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MORLINO – P.M.
IANNELLI (conf.) – P.G.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009)
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
114. Avvocato – Tenuta degli albi – Istanza di iscrizione al Registro dei praticanti avvocati – Silenzio – Impugnazione –
Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto
di jus postulandi – Inammissibilità.
È inammissibile per difetto di jus postulandi il ricorso al C.N.F. sottoscritto dal solo interessato, praticante avvocato e non avvocato.
28 dicembre 2009, n. 222 – Pres. ALPA – Rel. BASSU – P.M. MARTONE
(conf.) – dott.ssa L.M.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso silenzio C.d.O. di Milano serbato su
istanza di iscrizione nel Registro dei praticanti)
115. Avvocato – Tenuta albi – Praticante avvocato – Delibera
di ammissione al patrocinio legale – Impugnazione della
delibera di iscrizione nel Registro dei praticanti pendente
in Cassazione – Rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio – Esclusione.
Va rigettato il ricorso avverso la delibera del C.O.A. di iscrizione
nel Registro dei praticanti ammessi al patrocinio legale proposto dal
p.g. in ragione della pendenza in Cassazione della impugnazione a
suo tempo proposta avverso la sentenza del C.N.F. che abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione contro la delibera di iscrizione del
medesimo praticante al registro dei praticanti avvocati, trattandosi di
sentenza esecutiva ex lege, né essendo stata proposta alla Suprema
Corte istanza di sospensione della esecutività, come pure avrebbe potuto farsi ai sensi dell’art. 56, co. 4, R.d.l. n. 1578/33.
128 dicembre 2009, n. 224 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN –
P.M. IANNELLI (conf.) – P.G.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009)
116. Avvocato – Tenuta albi – Iscrizione – Requisiti – Condotta
specchiatissima ed illibata – Diniego iscrizione – Misura
afflittiva – Applicabilità principio ne bis in idem in sede di
reiscrizione – Esclusione – Accertamento sussistenza requisito del C.N.F. – Autonomia – Distanza nel tempo della
condotta oggetto di valutazione – Rilevanza – Gravità illecito – Verifica nel caso concreto.
Il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto del requisito soggettivo della condotta specchiatissima ed illibata non costituisce
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
una misura afflittiva tale da rendere operante la regola del divieto del
“ne bis in idem”, per essere stata una stessa condotta già in precedenza disciplinarmente e penalmente sanzionata, e conseguentemente precludere una nuova ed ulteriore valutazione di quel contegno ai
fini del rigetto della domanda di (re)iscrizione ex art. 17 n. 3, r.d.l. n.
1578/33.
Il requisito soggettivo della condotta specchiatissima ed illibata
può essere autonomamente accertato e valutato dal C.N.F. anche in
base ad elementi diversi da quelli posti dal C.d.O. a fondamento della
decisione impugnata, con utilizzazione altresì di fonti di prova sorte
dopo quest’ultima, atteso che il C.N.F. è giudice anche del merito,
non soltanto di legittimità.
Benché la distanza nel tempo dei comportamenti da assumere a
base della valutazione di sussistenza del requisito della condotta
specchiatissima ed illibata depone in linea di massima in senso negativo, devono cionondimeno ritenersi rilevanti condotte anche non
prossime alla data in cui la valutazione deve essere eseguita, quando,
per la gravità dell’illecito commesso, esse possano dare luogo ad una
valutazione negativa dell’attitudine del professionista a svolgere la
delicata funzione di cooperazione alla funzione giudiziaria propria dell’attività del difensore. Va pertanto escluso il requisito in questione
quando, come nella specie, le condotte siano connotate dal carattere
non episodico bensì reiterato, a riprova di un modus operandi antinomico rispetto a norme giuridiche e regole deontologiche, il loro autore aveva al tempo delle stesse un’età tale da consentirgli di apprezzarne compiutamente il disvalore e le conseguenze ed i comportamenti censurati siano di rilevante gravità, tali da incidere negativamente sull’affidabilità del professionista (nella specie, quest’ultimo in
più occasioni aveva falsamente attestato di ricevere procura alle liti
da parte di soggetti, uno dei quali addirittura deceduto in precedenza,
che mai gli avevano conferito mandato).
28 dicembre 2009, n. 227 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M.
IANNELLI – (conf.) P.G.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009).
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
117. Avvocato – Tenuta degli albi – Istanza di iscrizione
all’albo degli Avvocati – Silenzio – Impugnazione – Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto di
jus postulandi – Presentazione del ricorso direttamente al
C.N.F. – Inammissibilità.
È inammissibile sotto un duplice profilo il ricorso al C.N.F. sottoscritto personalmente dal solo praticante avvocato, privo come tale di
jus postulandi, ed altresì presentato direttamente al C.N.F., e non invece depositato ai sensi dell’art. 59 R.D. n. 37/34 presso la segreteria
del C.O.A che ha emesso, o come nel caso di specie, omesso la pronunzia.
28 dicembre 2009, n. 228 – Pres. ALPA – Rel. MORLINO – P.M. MARTONE
(conf.) – dott.ssa P.I.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso silenzio C.d.O. di Milano serbato su
istanza di iscrizione nell’albo)
118. Avvocato – Tenuta albi – albo Avvocati – Cancellazione –
Ricorso – Sopravvenuta richiesta di cancellazione da parte della ricorrente – Cessata materia del contendere.
Va dichiarata cessata la materia del contendere per sopravvenuta
mancanza d’interesse alla decisione del ricorso concernente la validità
ed efficacia della deliberazione di cancellazione assunta d’ufficio dal
C.d.O. qualora, dopo l’impugnazione di tale decisione, lo stesso ricorrente proponga domanda di cancellazione dall’albo degli Avvocati.
30 dicembre 2009, n. 237 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M.
IANNELLI (conf.) – avv. E.P.
(Dichiara cessata la materia del contendere per sopravvenuta mancanza d’interesse al ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 18 dicembre 2008)
119. Avvocato – Tenuta albi – Registro speciale dei Praticanti
Avvocati – Istanza di iscrizione – Rigetto – Impugnazione
– Ricorso al C.N.F. sottoscritto da difensore non iscritto
nell’albo speciale degli Avvocati abilitati all’esercizio innanzi alle Magistrature superiori – Inammissibilità.
Costituisce incontroverso principio di diritto che le funzioni di rappresentanza e difesa davanti a qualsiasi giurisdizione speciale – qual
è quella esercitata dal C.N.F. nella materia de qua – debbano essere
assunte da un avvocato iscritto nell’albo speciale (artt. 7 e 33 del
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
r.d.l. n. 1578/1933), salvo che norme di legge particolari non dispongano diversamente (come, ad esempio, accade, in materia di procedimento disciplinare, laddove eccezionalmente si consente al professionista non iscritto nell’albo speciale l’esercizio personale dello ius
postulandi, a condizione che egli risulti comunque iscritto nell’albo ordinario). Va pertanto dichiarato inammissibile, restando così precluso
l’esame dei motivi proposti, il ricorso sottoscritto soltanto dal difensore che, al momento della redazione e notifica dell’atto, non risulti iscritto nell’albo speciale degli avvocati abilitati alla difesa innanzi alle
giurisdizioni superiori.
30 dicembre 2009, n. 240 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BAFFA – P.M. IAN(conf.) – dott. C.C.
NELLI
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 10 novembre 2008)
120. Avvocato – Tenuta albi – Domanda di iscrizione albo avvocati – Decisione di rigetto – Mancata audizione richiedente – Nullità assoluta.
Ai sensi dell’art. 31, co. 3, r.d.l., n. 1578/33, che sancisce espressamente l’obbligatorietà della partecipazione della istante al procedimento di valutazione della domanda di iscrizione all’albo forense, va
annullata la delibera con la quale il C.O.A. respinga la domanda di iscrizione della ricorrente nell’albo degli Avvocati senza procedere preventivamente alla convocazione, e quindi alla audizione della stessa,
ed alla concessione del termine, ove richiesto, per il deposito di deduzioni scritte.
30 dicembre 2009, n. 243 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. CARDONE – P.M.
CIAMPOLI (conf.) – dott.ssa R.V.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cuneo, 21 aprile 2009)
121. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Violazione diritti quesiti – Esclusione
– Contrarietà ai principi comunitari della libera concorrenza tra imprese e della libera circolazione degli avvocati nell’U.E. – Esclusione.
In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato
dipendente pubblico part-time, il divieto ripristinato dalla legge n.
339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculia322
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
re della professione forense) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non
contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite
del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella
categoria delle mere aspettative che non dei diritti, non può ritenersi
che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata
nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano legittimamente iscritti nell’albo, anche perché
non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che
opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di
“moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09).
La disciplina posta dalla legge n. 339/03, che si occupa di un problema di regolamentazione del pubblico impiego, si riferisce propriamente alla Pubblica Amministrazione ed alle modalità di esercizio di
funzioni pubbliche e non tratta affatto dell’ordinamento e dell’organizzazione della professione di avvocato, che rimane intatto nei suoi
principi. Va pertanto esclusa la possibilità di disapplicare la suddetta
normativa per asserita contrarietà della stessa con il Trattato istitutivo della Comunità Europea sotto il duplice profilo della disciplina della
concorrenza tra imprese e del diritto di libera circolazione degli avvocati nell’Unione europea.
30 dicembre 2009, n. 246 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. LANZARA – P.M.
FEDELI (conf.) – avv. R.P.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Foggia, 14 marzo 2009)
Rassegna Forense – 2/2010
323
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
122. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Violazione
artt. 3, 4, 35 E 41 Cost. – Illegittimità costituzionale –
Manifesta infondatezza. Avvocato – Procedimento disciplinare – Funzioni giurisdizionali del C.N.F. – Principi indipendenza, terzietà ed imparzialità – Violazione artt. 24
e 111 Cost. – Illegittimità costituzionale – Manifesta infondatezza.
È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, per asserito contrasto con
gli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost.
È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata con riferimento alle funzioni giurisdizionali del Consiglio
Nazionale, per asserito contrasto con l’art. 24 e con l’art. 111 Cost.
sotto i profili dell’indipendenza, terzietà ed imparzialità del giudice.
31 dicembre 2009, n. 258 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M.
MARTONE (conf.) – avv. R.C.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 22 gennaio 2007)
123. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 -Illegittimità costituzionale e comunitaria – Eccezione – Manifesta
infondatezza – Questione pregiudiziale ex art. 234 CE –
Richiesta sospensione giudizio innanzi al C.N.F. – Rigetto.
È infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale e comunitaria
della legge 25 novembre 2003, n. 339 (e, conseguentemente, dell’impugnato provvedimento di cancellazione dall’albo degli Avvocati), per
contrasto con i principi, di carattere sia interno sia comunitario, di tutela dell’affidamento, di eguaglianza, sicurezza giuridica, ragionevolezza e proporzionalità, sotto il profilo della asserita violazione dei diritti c.d. quesiti.
Va rigettata la richiesta di sospensione del giudizio innanzi al
C.N.F. per essere state prospettate alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 C.E., talune questioni relative alla
compatibilità della legge del 2003 con i principi che regolano il diritto
comunitario, atteso che tali questioni, sollevate con riguardo ai parametri della concorrenza e della libera prestazione dei servizi da parte
degli avvocati, possono eventualmente assumere rilevanza solo in ri-
324
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
ferimento agli avvocati esercenti la professione pleno jure e non già
anche a quelli esercenti in regime di part time.
31 dicembre 2009, n. 259 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. MAURO – P.M. FE(conf.) – avv. M.C.
DELI
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 19 marzo 2009)
124. Avvocato – Tenuta albi – Incompatibilità – Cancellazione
– Mancata preventiva audizione dell’interessato – Annullamento.
Atteso che, coerentemente con la necessaria interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 37 e dell’art. 45 l.p., la cancellazione
amministrativa non può essere disposta se non dopo aver sentito l’interessato nelle sue giustificazioni, il professionista deve essere previamente messo in condizione di conoscere le specifiche ragioni e finalità del procedimento che lo riguarda e gli deve essere assegnato
un termine per approntare e presentare le proprie difese, che deve
poter svolgere anche oralmente, nel rispetto dei minimi principi nell’ambito dei procedimenti tipicamente disciplinari. Va pertanto annullato il provvedimento di cancellazione dall’albo degli Avvocati, restando tuttavia impregiudicato l’esercizio dei poteri connessi alla tenuta
degli albi affidati dalla legge professionale al Consiglio dell’ordine locale, qualora il ricorrente, pur avendone fatto richiesta e-splicita, non
abbia avuto notizia della seduta destinata all’esame della sua posizione senza che gli fosse asse-gnato un termine per l’esposizione di osservazioni e difese in ordine alla propria situazione soggettiva.
31 dicembre 2009, n. 263 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BIANCHI – P.M.
MARTONE (conf.) – avv. M.P.P.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Paola, 12 aprile 2008)
125. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego
part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta
infondatezza – Violazione diritti quesiti – Esclusione –
Principi comunitari in materia di concorrenza – Rilevanza
– Esclusione. Cancellazione d’ufficio – Incompatibilità sopravvenuta – Applicabilità.
L’art. 16 del r.d.l. n. 1578/1933, che disciplina da parte del C.d.O.
istituito presso ogni tribunale civile e penale la tenuta dell’albo degli
Rassegna Forense – 2/2010
325
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Tenuta degli Albi
avvocati, non si riferisce ai fini della cancellazione d’ufficio esclusivamente a coloro che abbiano ottenuto l’iscrizione in base a titoli e requisiti inesistenti al momento dell’iscrizione, non escludendo affatto
che il locale Consiglio possa provvedere alla cancellazione anche degli
iscritti per i quali sia intervenuta, successivamente all’iscrizione, una
causa d’incompatibilità. L’art. 16 del r.d.l. n. 1578/33 è una norma
con forza di legge, che in quanto tale ben può essere integrata da
norme successive di pari rango nella gerarchia delle fonti, quale la
legge n. 339 del 2003.
In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato
dipendente pubblico part-time, devono ritenersi manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della legge n. 393/03
sollevate in riferimento alla asserita mancata previsione di una disciplina transitoria, e, per altro verso, per la prospettiva di travolgere situazioni giuridiche soggettive ormai consolidatesi. Il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere invero ritenuto coerente con
la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui
esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità
con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella
in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur
prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più
correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del
nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente)
iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente
prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione
tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla
Corte cost. con l’ord. n. 91/09).
La legge n. 393/03 non si pone in contrasto con gli artt. 10 e 81
del Trattato CE, i quali vietano agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore provvedimenti idonei ad eliminare l’effetto utile della libera concorrenza, atteso che la libera concorrenza va tutelata a parità di condizioni fra i soggetti interessati, e dunque tra gli avvocati che
esercitano la professione pleno jure, mentre non può trovare applicazione laddove sussistano elementi distortivi della concorrenza stessa
326
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
quale la possibilità, esistente nel nostro ordinamento nazionale fra il
1996 ed il 2006, di esercitare la libera professione di avvocato godendo nel contempo della copertura retributiva assicurata dal pubblico impiego, sia pure part time.
31 dicembre 2009, n. 268 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BULGARELLI –
P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. L.P.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Fermo, 5 febbraio 2007)
126. Avvocato – Tenuta degli albi – Revoca dell’autorizzazione
all’esercizio del patrocinio – Impugnazione – Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto di jus postulandi – Inammissibilità.
Dalla difesa personale innanzi al C.N.F. è escluso il praticante, per
essere il Consiglio nazionale forense un Giudice collegiale, mentre
l’abilitazione provvisoria del praticante, una volta limitata alle Preture
ed ai Giudici Conciliatori, è, con le ulteriori specificazioni rese necessarie dalla introduzione del Giudice Unico di primo grado, in ogni caso
limitata alla composizione monocratica del giudice, in virtù dell’art. 7,
co. 1, della legge n. 479/99. Va pertanto ritenuto inammissibile il ricorso sottoscritto da soggetto privo di jus postulandi innanzi al Consiglio nazionale forense. (Nella specie, il ricorso avverso i provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio del patrocinio era stato
sottoscritto personalmente dal ricorrente praticante procuratore, con
riserva della nomina di un difensore poi eseguita e revocata con atto
pervenuto a mezzo posta).
31 dicembre 2009, n. 278 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. LANZARA – P.M.
MARTONE (conf.) – dott. C.V.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 8 maggio
2008).
Rassegna Forense – 2/2010
327
II. PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
127. Avvocato – Procedimento davanti al C.d.O. – Principio di
imparzialità – Art. 38 l.p. – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza. Avvocato – Procedimento davanti al C.d.O. – Capo di incolpazione – Formulazione. Avvocato – Procedimento disciplinare – Prescrizione – Violazione deontologica di carattere permanente o
continuato – Decorrenza – Compimento dell’ultimo atto.
Deve ritenersi manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2
e 24, comma 2, 101 comma 2, 108 comma 2 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del r.d. n. 1578/1933.
La formulazione del capo di incolpazione determina la nullità del
procedimento disciplinare e del decreto di citazione a giudizio solo
quando implichi assoluta incertezza in ordine ai fatti contestati, tali
da non consentire al professionista il pieno svolgimento delle proprie
difese.
I singoli comportamenti del professionista tra loro funzionalmente
coordinati al perseguimento del censurabile obiettivo di precostituire
una situazione contenziosa al solo fine di generare la lievitazione indebita dell’onorario professionale, poi richiesto alla parte assistita, in
quanto momenti attuativi di un medesimo disegno disciplinarmente
censurabile, integrano un illecito a carattere continuativo e con effetto permanente i cui riflessi pregiudizievoli sono destinati a permanere
nel tempo fino al compimento dell’ultimo atto della vicenda (nella
specie, la conclusione, con esito negativo, del giudizio). È pertanto da
tale momento che comincia a decorrere il termine prescrizionale dell’azione disciplinare.
31 dicembre 2009, n. 261 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BERRUTI – P.M.
IANNELLI (non conf.) – avv. G.P.P.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 9 luglio
2007)
328
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
128. Avvocato – Procedimento disciplinare – Rapporti con il
giudicato penale – Sentenza irrevocabile di condanna –
Efficacia di giudicato – Rilevanza.
Sono da ritenere disciplinarmente rilevanti perché violativi degli
obblighi di condotta specchiatissima ed illibata i comportamenti di atti
sessuali, sia pure consumatisi nella sfera privata ai danni della figlia
minore, per i quali l’incolpato medesimo abbia subito procedimento
penale conclusosi con sentenza penale irrevocabile di condanna che,
ai sensi dell’art. 653 c.p.p., spiega efficacia di giudicato nel giudizio di
responsabilità disciplinare quanto all’accertamento del fatto, della sua
illiceità penale e della sua commissione da parte del condannato.
16 marzo 2010, n. – 2 Pres. ALPA – Rel. LANZARA – P.M. FEDELI (conf.)
– avv. D.C.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bologna, 24 gennaio 2008)
129. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricusazione – Ricusazione intero C.d.O. – Inammissibilità.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Istanza di ricusazione – Manifesta infondatezza – Decisione del C.O.A. –
Procedura camerale – Legittimità.
È inammissibile l’istanza di ricusazione dichiaratamente diretta ad
investire l’intero organo disciplinare e non i suoi singoli componenti.
Dinanzi alla ritenuta manifesta inammissibilità dell’istanza di ricusazione, deve ritenersi corretta la determinazione del C.O.A., cui certo spetta siffatto scrutinio, di istruire il procedimento disciplinare e di
deciderlo nel merito, dovendo ritenersi legittima la decisione sull’istanza mediante procedura camerale “de plano”, senza la partecipazione delle parti, allorquando la stessa si presenti manifestamente inammissibile.
16 marzo 2010, n. 3 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008)
Rassegna Forense – 2/2010
329
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
130. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente
al C.N.F. – Deposito oltre il termine ex art. 50, co. 2, r.d.l.
n. 1578/33 – Inammissibilità.
È inammissibile il ricorso proposto oltre il termine di venti giorni
dalla notifica del provvedimento impugnato, in violazione dell’art. 50
co. 2, r.d.l. n. 1578/1933, nonché depositato direttamente presso la
segreteria del C.N.F, anziché presso quella del C.O.A., come previsto
dall’art. 59 del r.d. n. 37/34.
16 marzo 2010, n. 4 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FE(conf.) – avv. G.G
DELI
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008)
131. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricusazione – Ricusazione intero C.d.O. – Inammissibilità.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Istanza di ricusazione – Manifesta infondatezza – Decisione del C.O.A. –
Procedura camerale – Legittimità.
Spetta al medesimo giudice dinanzi al quale l’istanza di ricusazione
venga proposta il potere di sindacarne l’ammissibilità e, quindi, di
procedere oltre nel giudizio, senza sospenderlo in caso di ritenuta
manifesta inammissibilità. Deve pertanto ritenersi corretta la determinazione del C.O.A., una volta ritenuta l’inammissibilità dell’istanza
di ricusazione, di istruire il procedimento disciplinare e deciderlo nel
merito, essendo legittima la decisione sull’istanza mediante procedura
camerale de plano, senza la partecipazione delle parti, qualora la
stessa sia manifestamente inammissibile.
16 marzo 2010, n. 5 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008)
132. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente
al C.N.F. – Deposito oltre il termine ex art. 50, co. 2, r.d.l.
n. 1578/33 – Inammissibilità.
È inammissibile il ricorso tardivamente proposto oltre il termine di
venti giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, in violazione
330
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
dell’art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/1933, nonché depositato direttamente presso la segreteria del C.N.F, anziché presso quella del C.O.A.,
come previsto dall’art. 59 del r.d. n. 37/34.
16 marzo 2010, n. 6 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FE(conf.) – avv. G.G.
DELI
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008)
133. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Impugnazione – Termine ex art. 50, co. 2, r.d.l.
n. 1578/33 – Dies a quo – Notificazione nei confronti dell’incolpato – Decorrenza – Notificazione nei confronti del
difensore – Irrilevanza.
La notificazione della decisione del C.d.O., conformemente alla pacifica interpretazione giurisprudenziale dell’art. 50, co. 1, del r.d.l. n.
1578/33, deve ritenersi necessaria nei soli confronti dell’incolpato e
non anche nei confronti del suo difensore, sicché, al fine di verificare
se vi sia stata osservanza del termine di venti giorni per il tempestivo
ricorso al C.N.F., deve aversi riguardo esclusivamente alla data dell’avvenuta notificazione nei confronti del primo, momento dal quale
decorre il termine per l’impugnazione.
16 marzo 2010, n. 7 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. CARDONE – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. G.G.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 17 luglio 2008)
134. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente
al C.N.F. – Inammissibilità.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Rinuncia agli atti
del procedimento – Sopravvenuta carenza di interesse al
ricorso – Inammissibilità.
È inammissibile il ricorso presentato direttamente al C.N.F., e non
presso la Segreteria del C.d.O. territoriale che ha emesso la pronuncia impugnata come dispone l’art. 59 del r.d. n. 37/34.
La formale rinuncia agli atti del procedimento si traduce in una carenza sopravvenuta di interesse al ricorso, idonea come tale a rendere quest’ultimo inammissibile.
Rassegna Forense – 2/2010
331
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
16 marzo 2010, n. 8 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. CARDONE – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. G.G. (
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 17 luglio 2008)
135. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Omessa indicazione delle norme deontologiche violate – Invalidità – Esclusione.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Prova testimoniale – Mancata indicazione delle circostanze – Nullità – Esclusione.
Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di probità, dignità e decoro – Offerta prestazione professionale non richiesta – Violazione.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Accordi sulla definizione del compenso – Limiti.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Diritto al pagamento del compenso professionale – Esercizio – Modalità.
L’omessa indicazione della norma deontologica violata non determina l’invalidità del procedimento disciplinare, atteso che, per pacifica
e consolidata giurisprudenza, la contestazione, laddove adeguatamente specificata quanto all’indicazione dei comportamenti addebitati
e tale da garantire all’incolpato la predisposizione di una difesa compiuta ed efficace, non richiede né la precisazione delle fonti di prova
da utilizzare, né la individuazione delle precise norme deontologiche
che si assumono violate. La predeterminazione e la certezza dell’incolpazione può essere invero ricollegata a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività, considerato, altresì, che il codice
deontologico forense contiene comunque la norma di chiusura di cui
all’art. 60, ove si precisa come le disposizioni del codice costituiscano
semplice “esemplificazione dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi”.
La mancata indicazione delle circostanze sulle quali escutere i testimoni non costituisce motivo di invalidità del procedimento disciplinare né della prova assunta dinanzi al C.d.O., conformemente all’uniforme orientamento della giurisprudenza volto a privilegiare la sostanza dell’esercizio del diritto di difesa, consentita dalla piena conoscenza da parte dell’incolpato dei fatti addebitati e delle persone in
essi coinvolte, considerato peraltro che nel procedimento disciplinare
332
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
la facoltà di assumere testimoni è caratterizzata da semplicità delle
forme ed è disciplinata dall’art. 48 del r.d.l. n. 1578/33.
Costituisce violazione disciplinare l’inosservanza dell’espresso divieto per l’avvocato di offrire, senza esserne richiesto, una prestazione rivolta a persona determinata per uno specifico affare, con la precisazione che l’offerta specifica di una prestazione professionale è cosa del tutto differente dal generico contegno meramente informativo
relativo ai rimedi ed alle possibilità offerte dall’ordinamento a tutela
dei diritti dei cittadini.
Il nuovo testo dell’art. 45 c.d., sotto la rubrica “accordi sulla definizione del compenso”, nel consentire all’avvocato ed al patrocinatore
di determinare il compenso parametrandolo ai risultati perseguiti, lascia intatto il divieto di cui all’art. 1261 c.c., fermo restando che, nell’interesse del cliente, tali compensi debbono essere comunque sempre proporzionati all’attività svolta. Siffatta proporzione rimane l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente
dalle modalità di determinazione del suo compenso.
Ancorché l’avvocato abbia il legittimo diritto di ottenere il pagamento delle proprie spettanze professionali, al professionista non
spetta alcun diritto di ritenzione su somme o cose di spettanza, anche
parziale, del cliente. Il diritto al pagamento del corrispettivo, peraltro,
non può essere esercitato con modalità tali da cagionare un ingiusto
danno al cliente, recare disdoro alla categoria professionale ed indurre il convincimento nell’opinione pubblica che l’avvocato abbia un personale interesse nella controversia che prevarichi quello contrapposto
dell’assistito.
16 marzo 2010, n. 11 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M.
MARTONE (conf.) – avv. G.R.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Vicenza, 4 marzo 2009)
Rassegna Forense – 2/2010
333
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
136. Avvocato – Procedimento disciplinare – Rapporti tra procedimento disciplinare e penale – Contestuale pendenza
procedimento penale – Sospensione procedimento disciplinare – Presupposti – Identità dei fatti – Necessità.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Divieto di conflitto di interessi – Art. 37 c.d.f. –
Violazione – Conflitto potenziale – Sufficienza – Consapevolezza del conflitto da parte dell’assistito – Irrilevanza.
La sospensione del procedimento disciplinare aperto in relazione
agli identici fatti per i quali sia stata formulata una imputazione penale postula la identicità dei fatti da accertarsi nelle diverse sedi, sicché
solo in presenza di un preciso capo di imputazione sovrapponibile al
capo di incolpazione può ritenersi applicabile il principio di pregiudizialità.
Ai fini della configurabilità della violazione dell’art. 37 c.d. e della
conseguente responsabilità disciplinare non rileva né che l’assistito
abbia avuto o non consapevolezza del conflitto, né che alcun concreto
conflitto di interessi si sia effettivamente verificato, atteso che la suddetta norma deontologica tutela situazioni di conflitto anche potenziali. Va pertanto ritenuto responsabile il professionista che abbia contemporaneamente assunto la difesa di due soggetti la cui posizione
processuale sia in palese contrasto.
12 maggio 2010, n. 17 – Pres. ALPA – Rel. DE GIORGI – P.M. FEDELI
(conf.) – avv. G.B.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 14 novembre 2008)
137. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricorso al C.N.F.
– Rinuncia – Improcedibilità del giudizio – Sopravvenuta
inammissibilità del ricorso – Definitività decisione impugnata.
La rinuncia al ricorso determina l’improcedibilità del giudizio di appello, con l’effetto della sopravvenuta inammissibilità del ricorso e
conseguente definitività della decisione sanzionatoria impugnata.
12 maggio 2010, n. 18 – Pres. ALPA – Rel. MASCHERIN – P.M. MARTONE
(conf.) – avv. E.M.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 22 gennaio 2009)
334
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
138. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Decisione che dispone l’apertura del procedimento – Impugnazione – Sindacato del C.N.F. – Oggetto –
Controllo estrinseco di legalità formale – Limiti.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Potere di iniziativa disciplinare – Attribuzione e competenza – Consigli
dell’Ordine – Autonomia.
Le delibere di apertura del procedimento disciplinare devono ritenersi impugnabili dinanzi al C.N.F., atteso che, alla luce di una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 50 r.d.l. 1578/1933, la genericità del termine “decisioni” ivi impiegato e riferito alle pronunce dei
consigli territoriali che possono essere impugnate innanzi al C.N.F.
permette di includervi anche quelle di apertura del procedimento disciplinare, e tanto al fine di poter garantire alla sfera giuridica dell’incolpato, per il quale l’apertura e la pendenza in sé di un procedimento
disciplinare costituisce fonte di immediato pregiudizio, una protezione
altrettanto immediata e non differita. Purtuttavia, per il tramite di siffatta impugnazione non possono essere dedotti motivi attinenti al
merito della vicenda disciplinare, in quanto il potere del C.N.F. è limitato ad un controllo estrinseco di mera legalità formale della decisione, stretto entro i confini del mero riscontro di esistenza dei presupposti di legge per l’adozione del provvedimento.
Nell’attuale assetto ordinamentale, i Consigli territoriali, che non
sono entità gerarchicamente e funzionalmente sottordinate al C.N.F.
e che si caratterizzano per la più ampia discrezionalità in ordine al se
ed al quomodo delle azioni necessarie e sufficienti a realizzare la tutela degli interessi dei quali sono enti esponenziali, sono i soggetti depositari del potere di iniziativa disciplinare (art. 14, co. 1, lett. a),
r.d.l. 1578/1933) ed assegnatari della relativa competenza (art. 38,
r.d.l. cit.), mentre al C.N.F. non spetta nemmeno la competenza (e
men che mai l’iniziativa disciplinare) nei confronti dei membri dei
Consigli territoriali che ne risultassero interessati, né alcun potere
surrogatorio nei confronti di un Consiglio territoriale che ometta di
esercitare l’azione disciplinare.
Mediante l’impugnazione della decisione con la quale il C.d.O. disponga l’apertura del procedimento disciplinare, per il tramite della
quale non possono essere dedotti a pena di inammissibilità motivi attinenti al merito della vicenda disciplinare e, quindi, inerenti alla fondatezza dell’incolpazione, possono essere proposte censure con cui si
contesti l’esistenza dei presupposti di legge per l’adozione della delibera (e tra questi, in via esemplificativa, l’esistenza ed il rispetto dei
Rassegna Forense – 2/2010
335
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
quorum costitutivi e deliberativi necessari; l’avvenuta previa rituale
convocazione dei consiglieri; l’esecuzione di tutti gli adempimenti
formali propedeutici alla delibera eventualmente imposti dal regolamento disciplinare che fosse stato adottato dal Consiglio e che, in tal
caso, integrerebbe la disciplina legale; l’avvenuta regolare notifica ed
il rispetto dello spatium tra questa e l’udienza dibattimentale, etc.), la
cui riscontrata insussistenza, se per un verso conduce al ripudio della
delibera, non ne impedisce per altro la reiterazione (e quindi l’esercizio dell’attribuzione) nel rispetto dei presupposti di legge.
Deve ritenersi inammissibile l’impugnazione della delibera di apertura del procedimento disciplinare allorquando le censure contenute
nel ricorso abbiano tutte riguardo a pure questioni di merito, con le
quali si stigmatizzi l’iniziativa in sé del C.d.O. giudicata infondata per
difetto del comportamento oggetto di contestazione.
12 maggio 2010, n. 22 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. TIRALE – P.M. FEDELI (conf.) – avv. V.L.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 19 gennaio 2009)
139. Avvocato – Procedimento disciplinare – Delibera di apertura del procedimento disciplinare – Impugnabilità –
Termine ex art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/33 – Applicabilità.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Decreto di citazione a giudizio – Impugnazione – Inammissibilità.
Conformemente ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 50 del r.d.l. n. 1578/1933, deve ritenersi ammissibile il ricorso al C.N.F. avverso la decisione con la quale il locale C.d.O. stabilisca di iniziare il procedimento disciplinare, al fine di consentire al
giudice di controllare la legittimità dell’avvio del procedimento ed arrestarne subito la prosecuzione in caso di mancanza dei necessari
presupposti.
Le impugnazioni delle decisioni che dispongono l’apertura del procedimento disciplinare soggiacciono al termine previsto dall’art. 50,
co. 2, del r.d.l. 27 n. 1578/33, per cui l’impugnazione va proposta a
pena di decadenza entro venti giorni dalla notifica del provvedimento.
È inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto di citazione a
giudizio, ovvero dell’atto con cui il Presidente del C.O.A. territoriale,
richiamando la deliberazione di apertura del procedimento nonché i
capi di incolpazione formulati, provveda a fissare l’udienza di tratta336
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
zione del procedimento disciplinare citando l’incolpato a comparire.
Tale atto di natura procedimentale, invero, privo di contenuto decisorio o anticipatorio, è meramente esecutivo della delibera di apertura
del procedimento disciplinare e, pertanto, non può essere incluso nel
novero degli atti impugnabili, pur alla luce della lettura estensiva e
costituzionalmente orientata dell’art. 50 del r.d.l. n. 1578/1933,
12 maggio 2010, n. 25 – Pres. ALPA – Rel. VERMIGLIO – P.M. CIAMPOLI
(conf.) – avv. R.C.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Catanzaro, 13
maggio 2009)
140. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.N.F. – Deposito di memorie – Termine – Decorrenza e scadenza – Artt. 60 e 61 r.d. n. 37/34.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Divieto di conflitto di interessi – Artt. 37 e 51,
c. I, c.d.f. – Conflitto potenziale – Violazione – Natura interessi – Irrilevanza – Fattispecie.
Avvocato – Norme deontologiche – Illecito deontologico –
Sanzione – Misura – Notorietà dell’incolpata – Rilevanza.
Ai sensi degli artt. 60 e 61 del r.d. n. 37/34, il termine ultimo per
presentare memorie scade il giorno decimo successivo a quello in cui
il P.M. deve effettuare la restituzione degli atti.
Il principio enunciato dall’art. 37, canone II, c.d.f., adesso contenuto nell’art. 51, canone I, è dotato di autonomo rilievo rispetto alla
previsione generale ed ha carattere assoluto, tendendo a prevenire
anche il solo pericolo di situazioni di possibile conflitto. L’elemento costitutivo dell’illecito disciplinare, rappresentato dalla successiva prestazione di assistenza “in favore” di uno solo dei coniugi, risulta pertanto pienamente integrato dalla mera accettazione del mandato ad
assistere uno dei coniugi contro l’altro, senza che rilevi la natura degli
interessi in contesa fra gli stessi.
Benché l’art. 51, canone I, c.d.f. faccia espresso riferimento alla fattispecie in cui un avvocato, dopo avere assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari, assuma successivamente il mandato in
favore di uno di essi contro l’altro, analoga esigenza di tutela è ravvisabile nell’ipotesi in cui l’avvocato abbia prestato consulenza in vista di
una separazione ad uno dei coniugi e, in seguito, abbia accettato il
mandato dall’altro coniuge per assisterlo nella medesima separazione,
con conseguente operatività, anche in tale ultima fattispecie, del meRassegna Forense – 2/2010
337
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
desimo obbligo di astensione dell’avvocato, a prescindere dalla sussistenza di un conflitto di interessi effettivo o meramente potenziale.
Ancorché tutti gli iscritti all’albo siano tenuti al rigoroso rispetto
delle norme deontologiche, gli avvocati che godono di maggior fama
devono essere tuttavia particolarmente ligi all’osservanza delle norme
deontologiche, in quanto, per un verso, i colleghi, soprattutto più giovani, tendono ad assumerli ad esempio, e, per altro verso, gli illeciti
da loro compiuti hanno una maggiore risonanza presso l’opinione
pubblica e, quindi, una potenzialità lesiva dell’immagine e del decoro
della categoria professionale particolarmente rilevante.
12 maggio 2010, n. 27 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. D’INNELLA – P.M.
MARTONE (conf.) – avv. M.S.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 23 marzo 2009)
141. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Ricorso al C.N.F. – Proposizione oltre il termine di
venti giorni ex art. 50 r.d.l. n. 1578/33 – Inammissibilità.
Va dichiarato inammissibile il ricorso avverso la decisione del
C.d.O. proposto al C.N.F. in violazione sia dell’art. 50 del r.d.l. n.
1578/33, che impone alle parti interessate l’onere di proporre l’impugnazione entro il termine di venti giorni decorrenti dalla notifica del
provvedimento di cui si domanda la riforma, sia dell’art. 59 del r.d. n.
37/1934, ai sensi del quale il ricorso va presentato negli uffici del
Consiglio che ha emanato la pronuncia.
12 maggio 2010, n. 26 – Pres. ALPA – Rel. ALPA – P.M. IANNELLI (conf.)
– avv. A.B.D.P.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 27 aprile 2007)
142. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento davanti al C.d.O. – Prova testimoniale – Dichiarazioni dell’esponente – Insufficienza – Prova documentale – Conformità – Completezza dell’istruttoria – Sussistenza.
Per costante orientamento giurisprudenziale, l’attività istruttoria
espletata dal Consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo
ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell’esponente, ovvero, come nel caso di specie, di quelle di altro soggetto portatore di un
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
interesse personale nella vicenda, ma altresì dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, che rappresentano certamente criterio logico-giuridico inequivocabile a favore della
completezza e definitività dell’istruttoria. (Nella specie, il C.N.F. ha ritenuto non compiutamente raggiunta la prova, poiché l’elemento di
accusa in ordine alla violazione dell’art. 30 del c.d.f., costituito dalla
parola interessata della cliente e di suo marito, è risultato privo di un
chiaro conforto in altri elementi tramite cui risalire, con certezza, allo
svolgimento dei fatti).
12 maggio 2010, n. 28 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. D’INNELLA – P.M.
FEDELI (non conf.) – avv. P.B.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Udine, 16 gennaio 2009)
143. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Decisione che dispone l’apertura del procedimento – Impugnazione – Sindacato del C.N.F. – Limiti – Controllo estrinseco di legalità formale – Ammissibilità – Carenza di motivazione – Esclusione – Potere di iniziativa
disciplinare del C.d.O. – Autonomia.
Mediante l’impugnazione della delibera che dispone l’apertura del
procedimento disciplinare non possono essere dedotti motivi attinenti
al merito della vicenda disciplinare, il potere del Consiglio nazionale
forense essendo limitato ad un controllo estrinseco di mera legittimità
formale della decisione, qualificato dal semplice riscontro di esistenza
dei presupposti di legge per l’adozione del provvedimento.
Nell’attuale assetto ordinamentale, i Consigli territoriali, che non
sono entità gerarchicamente e funzionalmente sottordinate al C.N.F.
e che si caratterizzano per la più ampia discrezionalità in ordine al se
ed al quomodo delle azioni necessarie e sufficienti a realizzare la tutela degli interessi dei quali sono enti esponenziali, sono i soggetti depositari del potere di iniziativa disciplinare (art. 14, co. 1, lett. a),
r.d.l. 1578/1933) ed assegnatari della relativa competenza (art. 38,
r.d.l. cit.), mentre al C.N.F. non spetta nemmeno la competenza (e
men che mai l’iniziativa disciplinare) nei confronti dei membri dei
Consigli territoriali che ne risultassero interessati, né alcun potere
surrogatorio nei confronti di un Consiglio territoriale che ometta di
esercitare l’azione disciplinare. Risulta pertanto incompatibile con siffatta attribuzione dei C.d.O. un controllo del C.N.F. che abbia ad og-
Rassegna Forense – 2/2010
339
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
getto il merito dell’iniziativa disciplinare, traducendosi di fatto nell’avocazione del ridetto potere.
In sede di impugnazione dinanzi al C.N.F. dei provvedimenti di apertura del procedimento disciplinare, mentre non possono essere
dedotti motivi concernenti la fondatezza dell’incolpazione e tutti quelli
che, direttamente o indirettamente, si colleghino a questo tema, possono invece essere proposte censure con cui si contesti l’esistenza dei
presupposti di legge per l’adozione della delibera, e tra questi, esemplificativamente, l’esistenza e il rispetto dei quorum costitutivi e deliberativi necessari, l’avvenuta previa rituale convocazione dei consiglieri, l’esecuzione di tutti gli adempimenti formali propedeutici alla
delibera eventualmente imposti dal regolamento disciplinare che fosse stato adottato dal consiglio e che, in tal caso, integrerebbe la disciplina legale, l’avvenuta regolare notifica ed il rispetto dello spatium
tra questa e l’udienza dibattimentale, presupposti tutti la cui riscontrata insussistenza, se conduce al ripudio della delibera, non ne impedisce la reiterazione nel rispetto, questa volta, dei presupposti di
legge. Tra questi ultimi non figura certamente la carenza di motivazione del provvedimento di avvio del procedimento disciplinare, che
costituisce classico aspetto di merito, con conseguente inammissibilità
del relativo capo di impugnazione.
12 maggio 2010, n. 30 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BONZO – P.M.
CIAMPOLI (conf.) – avv. M.N.G.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Monza, 16 febbraio 2009)
144. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Data di assunzione della decisione e data apposta
in calce – Difformità – Mero errore materiale – Efficacia
invalidante – Esclusione.
La difformità tra la data di assunzione della deliberazione e la data
apposta in calce alla decisione stessa non è di per sé sola sufficiente a
far ritenere che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza,
cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della
causa da parte del Collegio, configurandosi tale diversità come mero
errore materiale, non invalidante la decisione assunta, anche in mancanza di attivazione del procedimento di correzione.
12 maggio 2010, n. 32 – Pres. ALPA – Rel. MORLINO – P.M. CICCOLO
(conf.) – avv. F.C.
340
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Ferrara, 13 maggio 2008)
145. Avvocato – Procedimento disciplinare – Natura – Amministrativa – Composizione del Collegio disciplinare – Variazione – Irrilevanza.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Competenza del
C.d.O. – Omessa astensione dei componenti – Mancata
censura – Ricusazione – Rinuncia.
Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Dovere di evitare incompatibilità – Rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale – Illecito disciplinare – Sanzione – Misura – Criteri di valutazione.
Il procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio territoriale ha natura tipicamente amministrativa, con conseguente irrilevanza della
variazione di composizione del Collegio disciplinare, che rimane sottratto alla regola dell’unità e continuità di formazione.
La mancata formulazione della censura avente ad oggetto l’omessa
astensione di taluni Consiglieri nella fase dibattimentale del procedimento disciplinare da parte dell’incolpato, ad esso presente ed altresì
partecipe, configura sostanziale rinuncia ad avvalersi del rimedio della
ricusazione, costituente nel sistema processuale lo strumento per resistere alla eventuale violazione dell’obbligo di astensione.
È configurabile la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, versando in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense per il fatto di intrattenere un rapporto di lavoro subordinato retribuito a tempo parziale con una società cooperativa, domandi l’iscrizione all’albo e successivamente eserciti l’attività professionale, così permanendo nella suddetta condizione per lungo tempo
e fino all’intervento autoritativo della Cassa forense, che solo abbia
costituito la fonte del ravvedimento operoso del ricorrente. Tuttavia,
ai fini del trattamento sanzionatorio della condotta contestata, il Consiglio territoriale è tenuto ad operare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i concorrenti criteri di valutazione, pure rilevanti, connessi alla giovane età ed inesperienza dell’incolpato, all’assenza di precedenti disciplinari ed alla circostanza
dell’essere stata la condizione di incompatibilità rimossa, seppur tardivamente, prima dell’avvio formale del procedimento disciplinare.
(Nella specie, il Consiglio Nazionale ha sostituito alla comminata sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata
di mesi due quella più tenue della censura).
Rassegna Forense – 2/2010
341
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Procedimento disciplinare
12 maggio 2010, n. 33 – Pres. ALPA – Rel. BERRUTI – P.M. CICCOLO
(non conf.) – avv. A.C.S.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cuneo, 14 ottobre 2008)
146. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Impugnazione – Presentazione del ricorso a mezzo posta – Spedizione entro il termine di venti giorni dalla
notifica della decisione – Deposito tardivo – Inammissibilità – Termine ex art. 59, co. 1, r.d. n. 37/34 – Natura –
Decadenziale – Equivalenza tra spedizione e ricezione –
Esclusione.
In difetto di una espressa previsione di legge che sancisca la tempestività della presentazione del ricorso per il solo fatto del compimento entro il termine decadenziale delle operazioni di trasmissione
(quando questa non si traduca nella consegna manuale presso gli uffici del Consiglio territoriale che ha emesso la decisione) ed a prescindere dalla effettiva ricezione dell’atto entro quel termine, gli altri modi
alternativi di inoltro del ricorso, per quanto legittimi, si accompagnano al rischio, gravante sull’interessato, di una ricezione oltre il termine decadenziale. E trattandosi di decadenza, quest’ultima non opera
solo se entro il termine previsto ex art. 59, comma 1, r.d. n. 37/34
sia compiuta l’attività tipizzata dalla legge, la quale consiste proprio
nel deposito dell’atto, mentre la sua spedizione a mezzo posta costituisce attività meramente strumentale ad ottenere tale risultato. Va
pertanto dichiarato inammissibile il ricorso spedito a mezzo posta il
ventesimo giorno dalla notifica della decisione impugnata e nella specie pervenuto al C.d.O. otto giorni dopo, restando preclusa all’interprete, in mancanza di un’espressa previsione normativa, la possibilità
di variare il corso della decadenza stabilendo un’equivalenza funzionale tra spedizione e ricezione.
12 maggio 2010, n. 34 – Pres. ALPA – Rel. BORSACCHI – P.M. MARTONE
(conf.) – avv. P.P.
(Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 23 novembre 2008)
342
Rassegna Forense – 2/2010
III. NORME DEONTOLOGICHE
147. Avvocato – Norme deontologiche Tariffe forensi – Richiesta onorario – Onorario per attività non realmente prestate o non dovuti – Mero errore di calcolo – Esclusione – Illecito disciplinare – Sussistenza – Sanzione -Misura.
L’avere un professionista di lunga esperienza esposto in parcella
onorari per attività non realmente prestate ovvero non dovuti (come
nel caso della redazione delle “repliche” e delle udienze di mero rinvio, ovvero previsti per la “materia stragiudiziale” pur risultando le attività prestate intrinsecamente “connesse all’attività giudiziale”) costituiscono non semplici errori di calcolo, ma condotte lesive sia degli interessi del cliente, poiché amplificano ingiustificatamente l’importo
complessivo del compenso, sia dell’immagine della categoria, minandone la serietà e la fiducia verso i terzi. (Il C.N.F. nella specie, pur
condividendo il giudizio di disvalore complessivo della condotta posta
in essere dal ricorrente compiuto dal C.O.A., ha tuttavia ritenuto di
applicare la sanzione meno afflittiva dell’avvertimento in luogo di
quella della censura, a motivo della problematicità delle questioni relative alla determinazione del valore e della complessità della controversia relativa ad un giudizio di divisione).
30 dicembre 2009, n. 249 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M.
IANNELLI (non conf.) – avv. N.P.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 29 maggio 2008)
148. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Rinunzia al mandato – Dovere di presenziare
all’udienza successiva – Insussistenza – Illecito deontologico – Esclusione.
Non viola alcun precetto deontologico, né tanto meno la norma posta dall’art. 47 c.d.f., il professionista che, avendo rinunziato al mandato il giorno prima dell’udienza, non sia presente nel corso di
quest’ultima per assistere l’imputato cui venga nominato in quella sede un difensore d’ufficio, non derivando in conseguenza del censurato
contegno alcun pregiudizio né al processo né all’imputato.
30 dicembre 2009, n. 250 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. CARDONE – P.M.
IANNELLI (non conf.) – avv. A.C.
Rassegna Forense – 2/2010
343
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 12 settembre 2007)
149. Avvocato – N orme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Revoca del mandato.
Va esclusa la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, ottenuta
la conferma della revoca del mandato da parte del proprio cliente ed
assicuratosi della presenza del nuovo difensore di fiducia all’udienza
successiva, ometta di comparire né comunichi al Tribunale l’avvenuta
revoca.
30 dicembre 2009, n. 256 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN –
P.M. MARTONE (conf.) – avv. D.D.P.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 10 luglio 2008)
150. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Divieto di conflitto di interessi – Art. 35 c.d.f. –
Rapporto di natura economica – Illecito deontologico.
Nei doveri primari dell’avvocato rientra quello di non porsi in conflitto di interessi, nemmeno potenziale, con il proprio assistito, evitando di
intrattenere con quest’ultimo rapporti di carattere economico. Tale divieto è diretto a preservare il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente,
posto che solo l’estraneità dell’avvocato rispetto agli interessi della parte patrocinata garantisce la difesa tecnica, evita il coinvolgimento in responsabilità ed assicura la massima professionalità.
Il divieto posto dall’art. 35, co. 2, c.d.f. mira a preservare due valori assoluti e portanti del ministero professionale, l’intuitus personae
ed il dovere di evitare situazioni di conflitto di interessi, le quali, oltre
a pregiudicare in re ipsa il rapporto professionale, si traducono in una
più ampia e generale lesione della credibilità ed affidabilità etica della
classe forense. Pone in essere, pertanto, un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che instauri con il cliente un articolato rapporto di dare e di avere regolando il relativo rapporto economico su basi compensative.
31 dicembre 2009, n. 257 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BERRUTI – P.M.
IANNELLI (conf.) – avv. M.C.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 11 luglio 2007)
344
Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
151. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Violazione doveri dignità, probità e decoro –
Omesso compimento di attività relative al mandato – Illecito deontologico – Sanzione – Misura – Adeguatezza.
La sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività
professionale per la durata di mesi dodici va ritenuta giustificata e proporzionata alla gravità dell’illecito comportamento deontologico posto
in essere dal professionista che, ottenuto un prestito da un’amica e
cliente soggetta a grave infermità, non restituisca la somma ad onta
delle ripetute richieste della creditrice, poi deceduta, mancando altresì
di assolvere in modo reiterato agli obblighi professionali assunti.
31 dicembre 2009, n. 260 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M.
IANNELLI (non conf.) – avv. A.S.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Parma, 22 luglio 2008)
152. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi
– Rapporto di colleganza – Art. 22 c.d.f. – Contenuto –
Fattispecie – Collega associato nella difesa – Iniziativa
autonoma ai fini della riscossione della parcella – Illecito
deontologico.
Allorquando, in sede di scrutinio del rapporto di colleganza professionale, si tratti di applicare una norma dal contenuto necessariamente ampio quale l’art. 22 c.d.f., il fatto deve essere valutato in tutti i
suoi aspetti e sfaccettature, senza limitarsi al mero dato formalistico
documentale, posto che un comportamento pur teoricamente ineccepibile dal mero esame documentale può prestarsi a censura quando
denoti nella sostanza (per le modalità con cui è avvenuto, le circostanze che lo hanno accompagnato, gli atteggiamenti concretamente
tenuti dalle parti) profili non conformi alla correttezza e alla lealtà, i
quali, peraltro, non possono per loro stessa natura esser valutati in
via meramente astratta e formale.
L’art. 22 c.d.f. pone una regola di carattere generale, indicando poi
specifiche norme comportamentali destinate a regolare, in modo non
tassativo ed esaustivo, casi singoli e assolutamente comuni. Il fatto
che il comportamento tenuto dall’incolpato non rientri in uno dei tre
canoni esemplificativi contenuti nella seconda parte dell’art. 22 non
preclude pertanto la valutazione di disvalore del comportamento medesimo per violazione della generale norma che gli impone di ispirarsi
a correttezza e lealtà nei rapporti con i colleghi.
Rassegna Forense – 2/2010
345
Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
Viola l’art. 22. c.d.f. l’avvocato che, associato ad altro collega nello
svolgimento dell’incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla
propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività
possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all’attività di riscossione delle competenze
del collega di studio, né può costituire di per sé causa di esclusione di
responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al
proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale.
31 dicembre 2009, n. 265 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M.
IANNELLI (conf.) – avv. P.G.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Sassari, 26 giugno 2008)
153. Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Accaparramento di clientela – Nozione – Comunicazione indirizzata a colleghi professionisti – Illecito deontologico –
Esclusione.
Il disvalore deontologico dell’attività di acquisizione della clientela,
di per sé lecita e tanto più nell’attuale contesto in cui l’ordinamento
comunitario e l’interpretazione di svariate sue norme pongono in evidenza l’aspetto organizzativo, economico e concorrenziale dell’attività
professionale, risiede negli strumenti usati ai fini dell’accaparramento,
i quali non devono essere alcuno di quelli tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19, non concretizzarsi nell’intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori), né essere, più genericamente, “mezzi illeciti” o meglio (nella versione vigente, approvata
il 14 dicembre 2006) che possono esplicarsi in “modi non conformi alla correttezza e decoro”.
Deve ritenersi inidonea ad integrare la illecita condotta dell’accaparramento di clientela la comunicazione che abbia carattere sostanzialmente informativo e sia indirizzata verso un ben determinato
gruppo di soggetti qualificati (professionisti) in grado di svolgere sulla
stessa un completo e pertinente esame critico e che, sia pur indirettamente sollecitatoria di possibili rapporti clientelari, delinei un ambito di professionale disponibilità senza l’utilizzo di mezzi illeciti ma al
contrario aperti e trasparenti, non contrastanti con i parametri di correttezza e decoro che sempre devono connotare l’attività dell’avvocato. (Nella specie, la comunicazione era rivolta non a terzi potenziali
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Parte Seconda – Giurisprudenza
clienti ma a colleghi professionisti potenziali concorrenti, ai quali si
proponeva soltanto un servizio per superare la difficoltà di trovare
nell’ambito del distretto avvocati iscritti all’albo del Foro ecclesiastico
regionale, ragion per cui il C.N.F. ha escluso che la stessa fosse idonea ad alterare il fisiologico rapporto concorrenziale nel quale si sostanzia il concetto di accaparramento).
31 dicembre 2009, n. 266 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M.
CIAMPOLI (conf.) – avv. C.D.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Brescia, 1 febbraio 2008).
154. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Difesa di parti in conflitto di interessi – Dovere
di astensione – Art. 51 c.d.f. – Controversie familiari –
Nozione.
Tra le controversie familiari che ai sensi dell’art. 51 ultimo comma
c.d.f. costituiscono il presupposto della doverosa astensione dell’avvocato dalla successiva assistenza in favore di uno solo dei coniugi
già congiuntamente difesi devono ritenersi ricomprese anche le controversie per separazione personale dei coniugi, di cui quelle consensuali incontestabilmente costituiscono una forma di risoluzione. Fermo restando il divieto di cui all’art. 51 c.d.f., il comportamento dell’avvocato che assume la difesa contro un ex cliente o uno dei coniugi
di cui si è curata la separazione consensuale risulta oggettivamente
lesivo dei doveri di decoro e di dignità stabiliti dagli artt. 38, 12 e 14
r.d. n. 1578/1933, i quali costituiscono l’origine e l’oggetto del potere
disciplinare dei Consigli dell’Ordine.
16 marzo 2010, n. 9 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MAURO – P.M. MARTO(conf.) – avv. F.C.
NE
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Belluno, 25 febbraio 2008)
155. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la controparte – Doveri di dignità – probità e decoro – Dovere di
segretezza e riservatezza.
Viola i doveri imposti dall’art. 5 comma II e 9 c.d.f., l’avvocato
che, nell’ambito di una corrispondenza epistolare avente altro oggetto, renda noto alla società con la quale il proprio cliente intrattenga
rapporti professionali lo svolgimento di un’attività giudiziale in favore
di costui, nonché la circostanza del mancato pagamento del compen-
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
so maturato per tale attività difensiva, con ciò rivelando notizie assolutamente irrilevanti ed inconferenti ed altresì potenzialmente lesive
dell’onore e del decoro del predetto assistito.
16 marzo 2010, n. 10 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MAURO – P.M. MARTONE (conf.) – avv. M.M.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca, 18 luglio 2008)
156. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Gestione di somme – Indebito trattenimento –
Mala gestio – Responsabilità disciplinare – Sussistenza.
Deve ritenersi idonea ad integrare illecito disciplinare la condotta
dell’avvocato che, in assenza di espressa autorizzazione del cliente,
trattenga le somme da quegli consegnategli ad altro fine in pretesa
compensazione di crediti professionali mai fatturati e neppure mai
specificati in una parcella. La responsabilità del professionista trova
causa nella semplice mala gestio del denaro affidatogli, risiedendo il
disvalore della condotta nella semplice distrazione delle somme rispetto allo scopo originario per cui queste erano state consegnate.
16 marzo 2010, n. 14 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. VERMIGLIO – P.M.
CIAMPOLI (conf.) – avv. P.M.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di La Spezia, 20 ottobre 2008)
157. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi
– Successione nella difesa – Doppia richiesta di distrazione – Violazione doveri lealtà e correttezza – Esclusione.
A prescindere dalla legittimità di una doppia richiesta di distrazione
delle spese processuali e della relativa applicabilità all’ipotesi di successione nella difesa allorquando ciascuna dichiarazione-richiesta
venga effettuata in costanza di mandato, va esclusa la responsabilità
disciplinare dell’avvocato che, esercitando legittimamente la sua facoltà di richiedere la distrazione, non incassi le spese dell’intero giudizio, ma solo quelle riflettenti la propria attività, senza pertanto trattenere alcuna somma di pertinenza del collega che l’abbia preceduto
nella difesa.
12 maggio 2010, n. 15 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI
(conf.) – avv. M.G.C.C.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 1 ottobre 2008)
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
158. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Gestione di somme – Indebito trattenimento –
Mala gestio – Responsabilità disciplinare – Sussistenza.
Deve ritenersi idonea ad integrare illecito disciplinare la condotta
dell’avvocato che, in assenza di espressa autorizzazione del cliente,
trattenga le somme da quegli consegnategli ad altro fine in pretesa
compensazione di crediti professionali mai fatturati e neppure mai
specificati in una parcella. La responsabilità del professionista trova
causa nella semplice mala gestio del denaro affidatogli, risiedendo il
disvalore della condotta nella semplice distrazione delle somme rispetto allo scopo originario per cui queste erano state consegnate.
16 marzo 2010, n. 14 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. VERMIGLIO – P.M.
CIAMPOLI (conf.) – avv. P.M.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di La Spezia, 20 ottobre 2008)
159. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi
– Successione nella difesa – Doppia richiesta di distrazione – Violazione doveri lealtà e correttezza – Esclusione.
A prescindere dalla legittimità di una doppia richiesta di distrazione
delle spese processuali e della relativa applicabilità all’ipotesi di successione nella difesa allorquando ciascuna dichiarazione-richiesta
venga effettuata in costanza di mandato, va esclusa la responsabilità
disciplinare dell’avvocato che, esercitando legittimamente la sua facoltà di richiedere la distrazione, non incassi le spese dell’intero giudizio, ma solo quelle riflettenti la propria attività, senza pertanto trattenere alcuna somma di pertinenza del collega che l’abbia preceduto
nella difesa.
12 maggio 2010, n. 15 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI
(conf.) – avv. M.G.C.C.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 1 ottobre 2008)
160. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con parte assistita – Inadempimento – Responsabilità professionale –
Rilevanza deontologica ex se – Esclusione – Responsabilità disciplinare – Presupposti.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento davanti al C.d.O. – Prova – Onere – Dichiarazioni dell’esponente – Valutazione.
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
Non ogni inadempienza addebitabile al professionista, quantunque
rilevante sul piano della responsabilità civile, è di per sé idonea ad integrare anche responsabilità disciplinare, a tal fine richiedendosi che
le circostanze concrete denotino un comportamento non solo “non
scusabile” ma altresì di “rilevante trascuratezza” (art. 38 c.d.f.).
La responsabilità disciplinare deve essere fondata sulla raggiunta
prova del fatto addebitato, fermo restando che l’onere della prova è
posto a carico del C.O.A. procedente – non essendo a carico dell’incolpato di dare alcuna prova contraria – e che la versione dei fatti fornita dal denunciante può assumere valore di prova quando la stessa
trovi riscontro in altri elementi obiettivi e documentali e sia esente da
lacune e vizi logici.
12 maggio 2010, n. 16 – Pres. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M. CIAMPOLI
(non conf.) – avv. G.F.
(Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 9 ottobre 2006)
161. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di lealtà – Pluralità di azioni – Illecito deontologico.
Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Divieto di accaparramento di clientela.
Pone in essere una condotta deontologicamente rilevante l’avvocato che, in difetto di elementi di particolari esigenze giuridiche e strutturali idonee a giustificare la autonoma trattazione per ciascuna delle
parti, presenti separatamente un elevato ed ingiustificato numero di
ricorsi (nella specie ben 233) con identici causa petendi e petitum e
differenti per la sola quantificazione di ciascun credito, così aggravando sia la posizione dei propri assistiti, obbligati ad un esborso eccessivo ed ingiustificato per competenze legali, sia quella delle controparti, costrette ad attivare tante difese quanti erano i ricorsi, con conseguenti oneri economici per la notevole attività processuale.
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante
l’avvocato che fissi un proprio recapito o la sede della sua attività
professionale presso uffici di società, agenzie infortunistiche, agenzie
di assicurazioni e servizi, società commerciali, associazioni di mutilati
ed invalidi civili e comunque Enti o Associazioni che rappresentino categorie di lavoratori e/o professionisti, dei quali utilizzi i locali ricevendo anche clienti, usufruisca delle utenze telefoniche e ne indichi il
recapito sulla propria carta intestata.
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
L’incrocio, sia pure saltuario, dell’attività professionale con le attività sindacali, che si concretizzi nella presenza fisica e nell’utilizzo,
per fini professionali, dell’intera struttura in cui opera ed agisce l’associazione, è sintomatico di un procacciamento di clientela scorretto
perché incanalato attraverso mezzi non consentiti e che, quindi, vanno ritenuti deplorevoli, in violazione dei principi di lealtà, dignità e decoro della professione forense.
12 maggio 2010, n. 21 – Pres. f.f. GRIMALDI – Rel. DE GIORGI – P.M.
FEDELI (conf.) – avv. S.L.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Brescia, 11 giugno 2007)
162. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di colleganza e
collaborazione – Rapporti con il C.d.O. – Omessi chiarimenti – Silenzio – Diritto di difesa – Rilevanza – Art. 24, I
e II canone, c.d.f. – Differenza.
Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di diligenza,
lealtà e correttezza – Ammissione al gratuito patrocinio
per l’esercizio di azione giudiziaria – Esercizio di diversa
azione – Illecito deontologico – Sussistenza – Procura alle
liti rilasciata a margine dell’atto di citazione – Irrilevanza.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Revoca del mandato – Dovere di formalizzare
la revoca all’udienza successiva – Sussistenza – Mancata
comparizione – Illecito deontologico – Sussistenza.
Avvocato – Norme deontologiche – Incompatibilità ex art.
3, co., 1 r.d.l. n. 1578/33– Amministratore di s.r.l. – Poteri di gestione e rappresentanza – Rilevanza – Illecito deontologico – Sussistenza – Inattività della società – Irrilevanza.
Le ipotesi contemplate dai primi due canoni dell’art. 24 c.d.f., ancorché entrambe palesemente riferite all’avvocato nei cui confronti sia
stata sollevata una questione disciplinare, ne distinguono tuttavia la
posizione in relazione alle diverse fasi procedimentali nelle quali si
svolge l’obbligo dell’iscritto di collaborare con il C.d.O. per l’attuazione
delle finalità istituzionali di tale organismo pubblico osservando il dovere di verità. Allorquando sia stato aperto il procedimento disciplinare, il rapporto con il Consiglio è definito dalla posizione e dai connessi
diritti di incolpato, e non sussistono esigenze di informative o chiarimenti preliminari diretti a stabilire la sussistenza di elementi che eventualmente giustifichino l’apertura di un procedimento, essendo
questa già deliberata, sicché il silenzio, in tal caso, costituisce forma
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
di esercizio del diritto costituzionale di difesa nel processo e non costituisce illecito autonomo, configurandosi il diritto di difesa quale limite al dovere di collaborare. Nel II canone, al contrario, l’avvocato
nei cui confronti è presentato un esposto, da un lato ha l’obbligo (oltre al diritto) di chiarire il suo comportamento nei confronti del reclamante, e dall’altro ha il dovere di fornire al Consiglio, investito con
l’esposto del dovere di valutare la sussistenza delle condizioni per aprire un procedimento, elementi che consentano ad esso il pieno e
corretto esercizio delle sue funzioni istituzionali che tutelano prioritariamente un interesse pubblico. Tale fase preliminare, non prevista
dalla legge, costituisce regola che trova la fonte nel diritto vivente
formatosi nella giurisprudenza disciplinare ed il profilo in esame si ricollega al dovere dell’avvocato sancito dall’art. 7, II canone, del
c.d.f., riferibile alla responsabilità sociale dell’appartenente ad un ordine che, come quello forense, esercita funzioni a garanzia del corretto esercizio della professione legale non solo nell’interesse delle parti
assistite, ma anche nell’interesse dei terzi e della collettività.
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante
l’avvocato che agisca in giudizio per una causa diversa da quella per
la quale il cliente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
A tal fine deve ritenersi irrilevante la sottoscrizione apposta dal cliente stesso sulla procura alle liti rilasciata a margine e non in calce all’atto di citazione, poiché quest’ultima non implica la conoscenza dei
contenuti dell’atto, né la possibilità della parte di valutare adeguatamente le scelte tecnico-processuali dell’avvocato per le note asimmetrie informative che caratterizzano nella generalità dei casi il rapporto
professionale.
Integra illecito disciplinare la condotta dell’avvocato che, a seguito
dell’avvenuta revoca del mandato, ometta di comparire in giudizio alla successiva udienza senza formalizzare a verbale né la stessa revoca né la sua sostituzione con altro difensore, ponendo in essere pertanto un comportamento incompatibile con i doveri di diligenza e correttezza inerenti al mandato. Il difensore revocato, invero, lungi dal
potersi ritenere legittimato a disinteressarsi dal successivo corso del
giudizio, deve dare atto della revoca nel verbale di udienza al fine di
rendere consapevoli il giudice e le controparti di un evento che influisce sulle vicende processuali, ed ha altresì il dovere di accertare che
nel giudizio intervenga il legale che l’ha sostituito e di avvertire la
parte che non compirà ulteriori attività, tanto più quando la nomina
del difensore avvenga nell’ambito del procedimento di ammissione al
patrocinio a spese dello Stato.
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
Conformemente alla consolidata interpretazione giurisprudenziale
dell’art. 3, co. 1, r.d.l. n. 1578/33, il quale statuisce la incompatibilità
dell’esercizio della professione con l’esercizio del commercio in nome
proprio o in nome altrui, l’attività incompatibile non va riferita al concreto compimento di atti di commercio, ma al profilo soggettivo della
carica rivestita (nella specie di amministratore di una s.r.l.) che comporta l’idoneità a compiere tali atti, profilo al quale, pertanto, deve
essere riferito il carattere di effettività dei poteri di gestione o di rappresentanza. Va conseguentemente esclusa ogni rilevanza, nel senso
di escludere l’incompatibilità, alla condizione di inattività nella quale
eventualmente versi la società, trattandosi di condizione effimera,
priva di stabilità poiché soggetta a condizioni di mercato, che non priva la società della sua qualità di impresa, né la sottrae agli adempimenti e ai controlli previsti dalla legge, e che pertanto è da ritenere
meramente contingente.
12 maggio 2010, n. 35 – Pres. ALPA – Rel. MARIANI MARINI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. F.P.
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 26 settembre 2008)
163. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di probità –
Mancata consegna schede testamentarie – Violazione.
Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte
assistita – Divieto di conflitto di interessi – Artt. 37 c.d.f.
– Ratio – Violazione.
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante
l’avvocato che a seguito della morte del testatore, in violazione della
disciplina posta dall’art. 620 c.c., ometta di consegnare ad un notaio
per la pubblicazione le schede testamentarie detenute, giacché tale
norma, nel prevedere un siffatto obbligo, non consente al depositario
di esimersi dalla pubblicazione dei testamenti sul presupposto di una
sua valutazione in ordine alla loro eventuale intervenuta revoca per
disposizioni successive.
La ratio sottesa all’art. 37 c.d.f. mira ad assicurare che il mandato
professionale debba essere svolto in assoluta libertà ed indipendenza
da ogni vincolo e, nel contempo, a garantire che il rapporto fiduciario
tra cliente ed avvocato, con il correlativo vincolo di riservatezza che
concerne le notizie apprese dal cliente, non possa essere in alcun
modo incrinato, o posto in dubbio, dai successivi incarichi professionali assunti dal professionista.
Rassegna Forense – 2/2010
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Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense
Norme deontologiche
18 giugno 2010, n. 37 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. D’INNELLA – P.M. FE(conf.) – avv. G.Z.
DELI
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Reggio Emilia, 9 giugno 2008).
164. Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di correttezza
e lealtà – Violazione – Rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale influenti sul rapporto professionale – Fattispecie.
Viola gli artt. 22, 10, 35 e 36 c.d.f. l’avvocato che intervenga quale
legale di fiducia nella controversia familiare che il proprio assistito
abbia in corso con la moglie, intrattenendo una corrispondenza con il
collega di controparte al fine di far trascorrere il tempo necessario a
consentire al cliente medesimo, per mezzo di alienazione ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello effettivo in favore di una S.p.A.
amministrata dalla figlia del professionista il quale altresì risulti titolare di quote societarie, di disfarsi dell’immobile che costituisca la residenza familiare nella quale abitino con il coniuge le figlie minori, così
da un lato prestandosi a sottrarre a minori l’unica fonte di possibile
soddisfazione del loro diritto di credito alimentare verso il padre naturale, e quindi a vanificare la concreta possibilità di soddisfazione del
credito alimentare e del loro diritto di abitare nella casa familiare, e,
dall’altro, consentendo alla predetta società, nella quale l’incolpato
coltivi evidenti interessi patrimoniali, di acquistare l’immobile descritto ad un corrispettivo vantaggioso, così tenendo un comportamento
contrario ai doveri deontologici che si colloca agli antipodi della correttezza e della lealtà anche nei confronti del collega di controparte.
18 giugno 2010, n. 42 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BORSACCHI – P.M.
MARTONE (non conf.) – avv. L.B.
(Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verbania, 21 luglio 2008)
165. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Provvedimento di archiviazione – Natura
decisoria e definitiva – Esclusione – Revocabilità – Successivo esercizio azione disciplinare – Ammissibilità –
Violazione principio ne bis in idem – Insussistenza.
Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del
C.d.O. – Notifica del provvedimento all’interessato – Termine di 15 giorni ex art. 50 r.d.l. n. 1578/1933 – Natura
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Rassegna Forense – 2/2010
Parte Seconda – Giurisprudenza
ordinatoria – Violazione – Conseguenze – Spostamento
dies a quo impugnazione.
Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Doveri di competenza e diligenza – Attività priva di legittimazione – Violazione.
Il provvedimento di archiviazione dell’esposto, con il quale il C.d.O.
delibera di non esercitare l’azione disciplinare e, dunque, di non celebrare il relativo procedimento, siccome privo del carattere di decisorietà, e quindi della definitività in quanto assunto “allo stato degli atti”, non da luogo a preclusioni di alcun genere, ma è sempre revocabile sulla base di nuovi accertamenti, onde tollera un successivo esercizio dell’azione da parte del Consiglio senza che in alcun modo possa
configurarsi violazione del principio generale del ne bis in idem.
La mancata osservanza del termine di 15 giorni previsto dall’art.
50 del r.d.l. 27.11.1933 n. 1578 ai fini della tempestiva notifica della
decisione all’interessato non determina nullità alcuna, trattandosi di
termine ordinatorio, unica conseguenza del ritardo essendo il semplice spostamento del dies a quo per l’eventuale impugnazione.
Pone in essere una palese e grossolana violazione del dovere di
competenza l’avvocato che, senza essersi preventivamente costituito
in giudizio, svolga in pendenza di questo attività processualmente rilevante, quale quella di revoca e nomina dei consulenti tecnici di parte, in forza di due mandati ad litem idonei ad assumere una qualche
rilevanza nel solo rapporto interno tra cliente e professionista ma certo inidonei a soddisfare i requisiti di cui all’art. 83 c.p.c.
Competenza e diligenza costituiscono presupposti impliciti dell’attività professionale. Mentre la diligenza, espressamente richiamata anche dalle norme sul mandato, assicura la qualità della prestazione
dovuta, la competenza tende ad affermare la legittimazione specifica
dell’attività professionale richiesta dalla parte assistita. E se l’avvocato che svolge il mandato con incuria e mancanza di attenzione viola il
principio fondamentale della deontologia forense, intesa come “scienza del dovere” ovvero come “etica professionale”, il riferimento alla
“adeguata competenza” contenuto nell’art. 12 del c.d.f. consente una
valutazione della capacità sostanziale usata dal professionista nei
confronti del cliente.
18 giugno 2010, n. 43 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BONZO – P.M. IAN(conf.) – avv. A.C
NELLI
(Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca, 19 settembre 2008)
Rassegna Forense – 2/2010
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