Parte Seconda Giurisprudenza A) Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense I. TENUTA DEGLI ALBI 106. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Violazione diritti quesiti – Esclusione. In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico “part-time”, il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). 23 dicembre 2009, n. 207 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv M.F. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucera, 11 luglio 2007) Rassegna Forense – 2/2010 311 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi 107. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione diritti quesiti – Esclusione. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione. Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere” dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza direttamente prevista dalla legge. La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49 CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti, da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista 312 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare. La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti. 23 dicembre 2009, n. 208 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. M.G.F. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Arezzo, 2 marzo 2007) 108. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione diritti quesiti – Esclusione. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione. Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere” dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza direttamente prevista dalla legge. Rassegna Forense – 2/2010 313 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49 CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti, da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare. La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti. 23 dicembre 2009, n. 209 Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. F.F. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Rieti, 2 febbraio 2007) 109. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Provvedimento meramente esecutivo – Discrezionalità del C.O.A. – Esclusione – Violazione diritti quesiti – Esclusione. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Legge n. 339/2003 – Tutela interessi rango costituzionale – Imparzialità e buon andamento p.a. – Indipendenza professione forense – Criteri di ragionevolezza e proporzionalità – Violazione – Esclusione – Applicabilità principi comunitari legittimo affidamento e diritti quesiti – Esclusione. Il C.d.O., in sede di cancellazione dall’albo degli avvocati con rap314 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza porto di lavoro a tempo parziale ai sensi della l. n. 339/03, agisce come mero organo esecutivo, provvedendo senza discrezione alcuna alla cancellazione nei casi previsti dalla normativa statale, che, in presenza della situazione di incompatibilità, impone d’ufficio l’adozione del provvedimento. La legge, prevedendo direttamente l’incompatibilità tra pubblico impiego e professione forense, nonché le sue conseguenze sul piano giuridico, non impone erga omnes o rafforza alcuna decisione da parte del Consiglio dell’ordine competente. Il provvedimento di cancellazione dall’albo adottato da questo non può, dunque, essere considerato come una concertazione al fine di “espellere” dal mercato gli avvocati in situazione di incompatibilità, in quanto trattasi di provvedimento meramente esecutivo, consistente nell’accertamento dei requisiti di fatto per l’applicazione di una conseguenza direttamente prevista dalla legge. La legge n. 339/03, quand’anche possa ammettersi che ostacoli o dissuada dall’esercizio della libertà fondamentale garantita dall’art. 49 CE, tende a proteggere interessi di rango costituzionale, consistenti, da un lato, nell’imparzialità e nel buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che richiedono la limitazione di ogni possibile ipotesi di conflitto tra l’interesse privato del pubblico dipendente e l’interesse della p.a., e, dall’altro, nell’indipendenza della professione forense, al fine di garantire l’effettività del diritto di difesa (art. 24 Cost.). L’art. 98 Cost., peraltro, nel prevedere il c.d. obbligo di fedeltà del pubblico dipendente alla nazione, enuncia un principio inconciliabile con la professione forense, naturalmente tesa alla difesa ed il perseguimento esclusivo degli interessi dell’assistito, mentre alla stessa stregua, ma con riguardo alla professione forense, i principi cardine dell’indipendenza del difensore, della fedeltà al mandato conferito dal cliente e del diritto di difesa impongono che il professionista eserciti la propria funzione indipendentemente da qualsivoglia contrastante interesse pubblico o privato, valori che il conflitto tra le due responsabilità (quelle inerenti la professione e quelle legate all’amministrazione pubblica) è senz’altro suscettibile di pregiudicare. La disciplina posta dalla legge n. 339/03 risponde a ragioni imperative di interesse pubblico e rispetta pienamente i criteri di ragionevolezza e proporzionalità. Ad essa non si applicano i principi comunitari del legittimo affidamento e dei diritti quesiti. 23 dicembre 2009, n. 210 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. A.R. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bari, 21 novembre 2007) Rassegna Forense – 2/2010 315 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi 110. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Impugnazione – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza – Violazione diritti quesiti – Esclusione – Questione pregiudiziale ex art. 234 CE – Richiesta sospensione giudizio innanzi al C.N.F. – Rigetto. In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). Va pertanto ritenuta manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 35, co. 1, e 41 Cost., la q.l.c. degli artt. 1 e 2 della Legge n. 330/05, prospettata sotto il profilo della asserita violazione dei diritti c.d. quesiti e dei correlati principi, di carattere interno e comunitario, di tutela dell’affidamento, di eguaglianza, sicurezza giuridica, ragionevolezza e proporzionalità. Va rigettata la richiesta di sospensione del giudizio innanzi al C.N.F. per essere state prospettate alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 C.E., talune questioni relative alla compatibilità della legge del 2003 con i principi che regolano il diritto comunitario, atteso che tali questioni, sollevate con riguardo ai parametri della concorrenza e della libera prestazione dei servizi da parte degli avvocati, possono eventualmente assumere rilevanza solo in riferimento agli avvocati esercenti la professione pleno jure e non già anche a quelli esercenti in regime di part time. 316 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 23 dicembre 2009, n. 217 – Pres. ALPA – Rel. FLORIO – P.M. FEDELI (conf.) – avv. S.B. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cremona, 5 giugno 2007) 111. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Impugnazione – Cessazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. – Cessata materia del contendere. Va dichiarata cessata la materia del contendere qualora il ricorrente, a seguito dell’impugnazione della decisione con cui il C.d.O. abbia disposto la sua cancellazione dall’albo per incompatibilità ai sensi della legge n. 339/03, dichiari di rinunciare al ricorso per essere venuta meno la causa d’incompatibilità per effetto delle dimissioni e della conseguente cessazione del rapporto presso l’Ente pubblico. 23 dicembre 2009, n. 218 Pres. ALPA – Rel. FLORIO – P.M. FEDELI (conf.) – avv. P.S. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 30 marzo 2007) 112. Avvocato – Tenuta albi – albo degli Avvocati – Esercizio funzioni di Giudice di Pace – Erronea iscrizione di diritto – Cancellazione a seguito di revisione annuale dell’albo – Doverosità – Equiparabilità funzioni giudice di pace e funzioni di magistrato ordinario – Esclusione. Il difetto ab initio dei titoli e dei requisiti in base ai quali sia stata erroneamente disposta l’iscrizione di diritto all’albo degli avvocati può e deve essere rilevato in sede di revisione degli albi ai sensi degli artt. 16 e 37 dell’ordinamento professionale, con l’unica eccezione che l’iscrizione non sia stata disposta o conservata per effetto di una decisione giurisdizionale concernente i titoli o i requisiti predetti, sicché la cancellazione ben può essere disposta per fatti sopravvenuti, anteriori o coevi alla stessa iscrizione. (Nella specie, il ricorrente, dapprima iscritto di diritto ex art. 30 r.d.l. n. 1578/1933 quale ex Giudice di Pace, era stato poi cancellato a seguito della pubblicazione della sent. n. 8737/08 delle SS.UU. civili della Cassazione, che ha negato l’equiparabilità delle funzioni di Giudice di pace a quelle di magistrato inquadrato nell’Ordine giudiziario). Rassegna Forense – 2/2010 317 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi Attesa la tassatività delle eccezioni previste dalla legge professionale in tema di iscrizione di diritto agli albi, deve ritenersi che lo svolgimento di funzioni giurisdizionali minori non è di per sé sufficiente ad eliminare l’incontestabile differenza che corre tra la posizione del magistrato ordinario, che ha superato un concorso molto selettivo, e quello del giudice onorario che non è chiamato a sostenere alcun esame. Né il dovere di osservanza dei medesimi doveri imposti ai magistrati ordinari e l’esercizio temporaneo della giurisdizione possono essere equiparati all’esame di idoneità all’esercizio della professione forense, previsto come obbligatorio dalla norma costituzionale (art. 33). 28 dicembre 2009, n. 219 – Pres. ALPA – Rel. STEFENELLI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. C.F. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bergamo, 19 febbraio 2009) 113. Avvocato – Tenuta albi – Praticante avvocato – Istanza di ammissione al patrocinio legale – Iscrizione – Atto dovuto – Pendenza impugnazione presso Corte di Cassazione avverso delibera iscrizione con riserva nel Registro dei praticanti – Rigetto o sospensione dell’istanza – Esclusione. La pendenza di un’impugnazione presso la Corte di Cassazione avverso la delibera di iscrizione nel registro praticanti con riserva di valutazione della specchiata condotta non può avere un effetto sospensivo sulla pratica, non potendosi impedire che la stessa sia portata a termine nei modi e nei termini che la legge consente, sicché l’abilitazione al patrocinio davanti alle preture, pur in presenza di una tale pendenza, costituisce sostanzialmente un atto dovuto, rientrante nel dovere in capo ai Consigli di far sì che il praticante non compia una pratica solo teorica, ma che a questa se ne aggiunga anche una di carattere pratico sotto il controllo e la responsabilità del dominus. (Nella specie, il P.G. aveva motivato il ricorso avverso la delibera di ammissione del praticante al patrocinio legale con la pendenza presso la Corte di Cassazione del ricorso avverso la delibera d’iscrizione al Registro dei praticanti, ritenendo pertanto che la istanza di ammissione al patrocinio fosse da rigettare, ovvero da sospendere, fino all’esito della decisione delle Sezioni Unite). 28 dicembre 2009, n. 220 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MORLINO – P.M. IANNELLI (conf.) – P.G. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009) 318 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 114. Avvocato – Tenuta degli albi – Istanza di iscrizione al Registro dei praticanti avvocati – Silenzio – Impugnazione – Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto di jus postulandi – Inammissibilità. È inammissibile per difetto di jus postulandi il ricorso al C.N.F. sottoscritto dal solo interessato, praticante avvocato e non avvocato. 28 dicembre 2009, n. 222 – Pres. ALPA – Rel. BASSU – P.M. MARTONE (conf.) – dott.ssa L.M. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso silenzio C.d.O. di Milano serbato su istanza di iscrizione nel Registro dei praticanti) 115. Avvocato – Tenuta albi – Praticante avvocato – Delibera di ammissione al patrocinio legale – Impugnazione della delibera di iscrizione nel Registro dei praticanti pendente in Cassazione – Rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio – Esclusione. Va rigettato il ricorso avverso la delibera del C.O.A. di iscrizione nel Registro dei praticanti ammessi al patrocinio legale proposto dal p.g. in ragione della pendenza in Cassazione della impugnazione a suo tempo proposta avverso la sentenza del C.N.F. che abbia dichiarato inammissibile l’impugnazione contro la delibera di iscrizione del medesimo praticante al registro dei praticanti avvocati, trattandosi di sentenza esecutiva ex lege, né essendo stata proposta alla Suprema Corte istanza di sospensione della esecutività, come pure avrebbe potuto farsi ai sensi dell’art. 56, co. 4, R.d.l. n. 1578/33. 128 dicembre 2009, n. 224 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN – P.M. IANNELLI (conf.) – P.G. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009) 116. Avvocato – Tenuta albi – Iscrizione – Requisiti – Condotta specchiatissima ed illibata – Diniego iscrizione – Misura afflittiva – Applicabilità principio ne bis in idem in sede di reiscrizione – Esclusione – Accertamento sussistenza requisito del C.N.F. – Autonomia – Distanza nel tempo della condotta oggetto di valutazione – Rilevanza – Gravità illecito – Verifica nel caso concreto. Il diniego di iscrizione all’albo degli avvocati per difetto del requisito soggettivo della condotta specchiatissima ed illibata non costituisce Rassegna Forense – 2/2010 319 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi una misura afflittiva tale da rendere operante la regola del divieto del “ne bis in idem”, per essere stata una stessa condotta già in precedenza disciplinarmente e penalmente sanzionata, e conseguentemente precludere una nuova ed ulteriore valutazione di quel contegno ai fini del rigetto della domanda di (re)iscrizione ex art. 17 n. 3, r.d.l. n. 1578/33. Il requisito soggettivo della condotta specchiatissima ed illibata può essere autonomamente accertato e valutato dal C.N.F. anche in base ad elementi diversi da quelli posti dal C.d.O. a fondamento della decisione impugnata, con utilizzazione altresì di fonti di prova sorte dopo quest’ultima, atteso che il C.N.F. è giudice anche del merito, non soltanto di legittimità. Benché la distanza nel tempo dei comportamenti da assumere a base della valutazione di sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata depone in linea di massima in senso negativo, devono cionondimeno ritenersi rilevanti condotte anche non prossime alla data in cui la valutazione deve essere eseguita, quando, per la gravità dell’illecito commesso, esse possano dare luogo ad una valutazione negativa dell’attitudine del professionista a svolgere la delicata funzione di cooperazione alla funzione giudiziaria propria dell’attività del difensore. Va pertanto escluso il requisito in questione quando, come nella specie, le condotte siano connotate dal carattere non episodico bensì reiterato, a riprova di un modus operandi antinomico rispetto a norme giuridiche e regole deontologiche, il loro autore aveva al tempo delle stesse un’età tale da consentirgli di apprezzarne compiutamente il disvalore e le conseguenze ed i comportamenti censurati siano di rilevante gravità, tali da incidere negativamente sull’affidabilità del professionista (nella specie, quest’ultimo in più occasioni aveva falsamente attestato di ricevere procura alle liti da parte di soggetti, uno dei quali addirittura deceduto in precedenza, che mai gli avevano conferito mandato). 28 dicembre 2009, n. 227 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M. IANNELLI – (conf.) P.G. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Agrigento, 12 febbraio 2009). 320 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 117. Avvocato – Tenuta degli albi – Istanza di iscrizione all’albo degli Avvocati – Silenzio – Impugnazione – Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto di jus postulandi – Presentazione del ricorso direttamente al C.N.F. – Inammissibilità. È inammissibile sotto un duplice profilo il ricorso al C.N.F. sottoscritto personalmente dal solo praticante avvocato, privo come tale di jus postulandi, ed altresì presentato direttamente al C.N.F., e non invece depositato ai sensi dell’art. 59 R.D. n. 37/34 presso la segreteria del C.O.A che ha emesso, o come nel caso di specie, omesso la pronunzia. 28 dicembre 2009, n. 228 – Pres. ALPA – Rel. MORLINO – P.M. MARTONE (conf.) – dott.ssa P.I. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso silenzio C.d.O. di Milano serbato su istanza di iscrizione nell’albo) 118. Avvocato – Tenuta albi – albo Avvocati – Cancellazione – Ricorso – Sopravvenuta richiesta di cancellazione da parte della ricorrente – Cessata materia del contendere. Va dichiarata cessata la materia del contendere per sopravvenuta mancanza d’interesse alla decisione del ricorso concernente la validità ed efficacia della deliberazione di cancellazione assunta d’ufficio dal C.d.O. qualora, dopo l’impugnazione di tale decisione, lo stesso ricorrente proponga domanda di cancellazione dall’albo degli Avvocati. 30 dicembre 2009, n. 237 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. E.P. (Dichiara cessata la materia del contendere per sopravvenuta mancanza d’interesse al ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 18 dicembre 2008) 119. Avvocato – Tenuta albi – Registro speciale dei Praticanti Avvocati – Istanza di iscrizione – Rigetto – Impugnazione – Ricorso al C.N.F. sottoscritto da difensore non iscritto nell’albo speciale degli Avvocati abilitati all’esercizio innanzi alle Magistrature superiori – Inammissibilità. Costituisce incontroverso principio di diritto che le funzioni di rappresentanza e difesa davanti a qualsiasi giurisdizione speciale – qual è quella esercitata dal C.N.F. nella materia de qua – debbano essere assunte da un avvocato iscritto nell’albo speciale (artt. 7 e 33 del Rassegna Forense – 2/2010 321 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi r.d.l. n. 1578/1933), salvo che norme di legge particolari non dispongano diversamente (come, ad esempio, accade, in materia di procedimento disciplinare, laddove eccezionalmente si consente al professionista non iscritto nell’albo speciale l’esercizio personale dello ius postulandi, a condizione che egli risulti comunque iscritto nell’albo ordinario). Va pertanto dichiarato inammissibile, restando così precluso l’esame dei motivi proposti, il ricorso sottoscritto soltanto dal difensore che, al momento della redazione e notifica dell’atto, non risulti iscritto nell’albo speciale degli avvocati abilitati alla difesa innanzi alle giurisdizioni superiori. 30 dicembre 2009, n. 240 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BAFFA – P.M. IAN(conf.) – dott. C.C. NELLI (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 10 novembre 2008) 120. Avvocato – Tenuta albi – Domanda di iscrizione albo avvocati – Decisione di rigetto – Mancata audizione richiedente – Nullità assoluta. Ai sensi dell’art. 31, co. 3, r.d.l., n. 1578/33, che sancisce espressamente l’obbligatorietà della partecipazione della istante al procedimento di valutazione della domanda di iscrizione all’albo forense, va annullata la delibera con la quale il C.O.A. respinga la domanda di iscrizione della ricorrente nell’albo degli Avvocati senza procedere preventivamente alla convocazione, e quindi alla audizione della stessa, ed alla concessione del termine, ove richiesto, per il deposito di deduzioni scritte. 30 dicembre 2009, n. 243 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. CARDONE – P.M. CIAMPOLI (conf.) – dott.ssa R.V. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cuneo, 21 aprile 2009) 121. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Sussistenza – Cancellazione – Violazione diritti quesiti – Esclusione – Contrarietà ai principi comunitari della libera concorrenza tra imprese e della libera circolazione degli avvocati nell’U.E. – Esclusione. In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere ritenuto coerente con la caratteristica (peculia322 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza re della professione forense) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non dei diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano legittimamente iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). La disciplina posta dalla legge n. 339/03, che si occupa di un problema di regolamentazione del pubblico impiego, si riferisce propriamente alla Pubblica Amministrazione ed alle modalità di esercizio di funzioni pubbliche e non tratta affatto dell’ordinamento e dell’organizzazione della professione di avvocato, che rimane intatto nei suoi principi. Va pertanto esclusa la possibilità di disapplicare la suddetta normativa per asserita contrarietà della stessa con il Trattato istitutivo della Comunità Europea sotto il duplice profilo della disciplina della concorrenza tra imprese e del diritto di libera circolazione degli avvocati nell’Unione europea. 30 dicembre 2009, n. 246 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. LANZARA – P.M. FEDELI (conf.) – avv. R.P. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Foggia, 14 marzo 2009) Rassegna Forense – 2/2010 323 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi 122. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Violazione artt. 3, 4, 35 E 41 Cost. – Illegittimità costituzionale – Manifesta infondatezza. Avvocato – Procedimento disciplinare – Funzioni giurisdizionali del C.N.F. – Principi indipendenza, terzietà ed imparzialità – Violazione artt. 24 e 111 Cost. – Illegittimità costituzionale – Manifesta infondatezza. È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n. 339/2003, per asserito contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 41 Cost. È manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata con riferimento alle funzioni giurisdizionali del Consiglio Nazionale, per asserito contrasto con l’art. 24 e con l’art. 111 Cost. sotto i profili dell’indipendenza, terzietà ed imparzialità del giudice. 31 dicembre 2009, n. 258 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. R.C. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 22 gennaio 2007) 123. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 -Illegittimità costituzionale e comunitaria – Eccezione – Manifesta infondatezza – Questione pregiudiziale ex art. 234 CE – Richiesta sospensione giudizio innanzi al C.N.F. – Rigetto. È infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale e comunitaria della legge 25 novembre 2003, n. 339 (e, conseguentemente, dell’impugnato provvedimento di cancellazione dall’albo degli Avvocati), per contrasto con i principi, di carattere sia interno sia comunitario, di tutela dell’affidamento, di eguaglianza, sicurezza giuridica, ragionevolezza e proporzionalità, sotto il profilo della asserita violazione dei diritti c.d. quesiti. Va rigettata la richiesta di sospensione del giudizio innanzi al C.N.F. per essere state prospettate alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, ai sensi dell’art. 234 C.E., talune questioni relative alla compatibilità della legge del 2003 con i principi che regolano il diritto comunitario, atteso che tali questioni, sollevate con riguardo ai parametri della concorrenza e della libera prestazione dei servizi da parte degli avvocati, possono eventualmente assumere rilevanza solo in ri- 324 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza ferimento agli avvocati esercenti la professione pleno jure e non già anche a quelli esercenti in regime di part time. 31 dicembre 2009, n. 259 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. MAURO – P.M. FE(conf.) – avv. M.C. DELI (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 19 marzo 2009) 124. Avvocato – Tenuta albi – Incompatibilità – Cancellazione – Mancata preventiva audizione dell’interessato – Annullamento. Atteso che, coerentemente con la necessaria interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 37 e dell’art. 45 l.p., la cancellazione amministrativa non può essere disposta se non dopo aver sentito l’interessato nelle sue giustificazioni, il professionista deve essere previamente messo in condizione di conoscere le specifiche ragioni e finalità del procedimento che lo riguarda e gli deve essere assegnato un termine per approntare e presentare le proprie difese, che deve poter svolgere anche oralmente, nel rispetto dei minimi principi nell’ambito dei procedimenti tipicamente disciplinari. Va pertanto annullato il provvedimento di cancellazione dall’albo degli Avvocati, restando tuttavia impregiudicato l’esercizio dei poteri connessi alla tenuta degli albi affidati dalla legge professionale al Consiglio dell’ordine locale, qualora il ricorrente, pur avendone fatto richiesta e-splicita, non abbia avuto notizia della seduta destinata all’esame della sua posizione senza che gli fosse asse-gnato un termine per l’esposizione di osservazioni e difese in ordine alla propria situazione soggettiva. 31 dicembre 2009, n. 263 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BIANCHI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. M.P.P. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Paola, 12 aprile 2008) 125. Avvocato – Tenuta albi – Dipendente pubblico – Impiego part time – Incompatibilità ex l. n. 339/2003 – Cancellazione – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza – Violazione diritti quesiti – Esclusione – Principi comunitari in materia di concorrenza – Rilevanza – Esclusione. Cancellazione d’ufficio – Incompatibilità sopravvenuta – Applicabilità. L’art. 16 del r.d.l. n. 1578/1933, che disciplina da parte del C.d.O. istituito presso ogni tribunale civile e penale la tenuta dell’albo degli Rassegna Forense – 2/2010 325 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Tenuta degli Albi avvocati, non si riferisce ai fini della cancellazione d’ufficio esclusivamente a coloro che abbiano ottenuto l’iscrizione in base a titoli e requisiti inesistenti al momento dell’iscrizione, non escludendo affatto che il locale Consiglio possa provvedere alla cancellazione anche degli iscritti per i quali sia intervenuta, successivamente all’iscrizione, una causa d’incompatibilità. L’art. 16 del r.d.l. n. 1578/33 è una norma con forza di legge, che in quanto tale ben può essere integrata da norme successive di pari rango nella gerarchia delle fonti, quale la legge n. 339 del 2003. In tema di cancellazione dall’albo per incompatibilità dell’avvocato dipendente pubblico part-time, devono ritenersi manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della legge n. 393/03 sollevate in riferimento alla asserita mancata previsione di una disciplina transitoria, e, per altro verso, per la prospettiva di travolgere situazioni giuridiche soggettive ormai consolidatesi. Il divieto ripristinato dalla legge n. 339/2003 deve essere invero ritenuto coerente con la caratteristica (peculiare della professione forense tra quelle il cui esercizio è condizionato all’iscrizione in un albo) dell’incompatibilità con qualsiasi “impiego retribuito, anche se consistente nella prestazione di opera di assistenza o consulenza legale, che non abbia carattere scientifico o letterario”, non incontrando la discrezionalità del legislatore, libero di introdurre nuove discipline anche opposte a quella in vigore purché non contrastanti con le norme costituzionali e non irragionevoli, il limite del rispetto dei c.d. “diritti quesiti”. Peraltro, pur prescindendo dal rilievo che una tale posizione debba inquadrarsi più correttamene nella categoria delle mere aspettative che non tra i diritti, non può ritenersi che la suddetta disciplina dovesse necessariamente essere indirizzata nel senso di escludere l’applicazione del nuovo regime restrittivo a coloro che già risultavano (legittimamente) iscritti nell’albo, anche perché non può dirsi che una disciplina transitoria manchi, essendo al contrario essa individuabile proprio nel primo comma dell’art. 2, l. cit., che opportunamente e ragionevolmente prevede un adeguato periodo di “moratoria” per esercitare l’opzione tra l’impiego e la libera professione (come altresì puntualizzato dalla Corte cost. con l’ord. n. 91/09). La legge n. 393/03 non si pone in contrasto con gli artt. 10 e 81 del Trattato CE, i quali vietano agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore provvedimenti idonei ad eliminare l’effetto utile della libera concorrenza, atteso che la libera concorrenza va tutelata a parità di condizioni fra i soggetti interessati, e dunque tra gli avvocati che esercitano la professione pleno jure, mentre non può trovare applicazione laddove sussistano elementi distortivi della concorrenza stessa 326 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza quale la possibilità, esistente nel nostro ordinamento nazionale fra il 1996 ed il 2006, di esercitare la libera professione di avvocato godendo nel contempo della copertura retributiva assicurata dal pubblico impiego, sia pure part time. 31 dicembre 2009, n. 268 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BULGARELLI – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. L.P. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Fermo, 5 febbraio 2007) 126. Avvocato – Tenuta degli albi – Revoca dell’autorizzazione all’esercizio del patrocinio – Impugnazione – Ricorso sottoscritto dal solo praticante avvocato – Difetto di jus postulandi – Inammissibilità. Dalla difesa personale innanzi al C.N.F. è escluso il praticante, per essere il Consiglio nazionale forense un Giudice collegiale, mentre l’abilitazione provvisoria del praticante, una volta limitata alle Preture ed ai Giudici Conciliatori, è, con le ulteriori specificazioni rese necessarie dalla introduzione del Giudice Unico di primo grado, in ogni caso limitata alla composizione monocratica del giudice, in virtù dell’art. 7, co. 1, della legge n. 479/99. Va pertanto ritenuto inammissibile il ricorso sottoscritto da soggetto privo di jus postulandi innanzi al Consiglio nazionale forense. (Nella specie, il ricorso avverso i provvedimento di revoca dell’autorizzazione all’esercizio del patrocinio era stato sottoscritto personalmente dal ricorrente praticante procuratore, con riserva della nomina di un difensore poi eseguita e revocata con atto pervenuto a mezzo posta). 31 dicembre 2009, n. 278 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. LANZARA – P.M. MARTONE (conf.) – dott. C.V. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 8 maggio 2008). Rassegna Forense – 2/2010 327 II. PROCEDIMENTO DISCIPLINARE 127. Avvocato – Procedimento davanti al C.d.O. – Principio di imparzialità – Art. 38 l.p. – Questione di legittimità costituzionale – Manifesta infondatezza. Avvocato – Procedimento davanti al C.d.O. – Capo di incolpazione – Formulazione. Avvocato – Procedimento disciplinare – Prescrizione – Violazione deontologica di carattere permanente o continuato – Decorrenza – Compimento dell’ultimo atto. Deve ritenersi manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2 e 24, comma 2, 101 comma 2, 108 comma 2 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 38 del r.d. n. 1578/1933. La formulazione del capo di incolpazione determina la nullità del procedimento disciplinare e del decreto di citazione a giudizio solo quando implichi assoluta incertezza in ordine ai fatti contestati, tali da non consentire al professionista il pieno svolgimento delle proprie difese. I singoli comportamenti del professionista tra loro funzionalmente coordinati al perseguimento del censurabile obiettivo di precostituire una situazione contenziosa al solo fine di generare la lievitazione indebita dell’onorario professionale, poi richiesto alla parte assistita, in quanto momenti attuativi di un medesimo disegno disciplinarmente censurabile, integrano un illecito a carattere continuativo e con effetto permanente i cui riflessi pregiudizievoli sono destinati a permanere nel tempo fino al compimento dell’ultimo atto della vicenda (nella specie, la conclusione, con esito negativo, del giudizio). È pertanto da tale momento che comincia a decorrere il termine prescrizionale dell’azione disciplinare. 31 dicembre 2009, n. 261 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BERRUTI – P.M. IANNELLI (non conf.) – avv. G.P.P. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 9 luglio 2007) 328 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 128. Avvocato – Procedimento disciplinare – Rapporti con il giudicato penale – Sentenza irrevocabile di condanna – Efficacia di giudicato – Rilevanza. Sono da ritenere disciplinarmente rilevanti perché violativi degli obblighi di condotta specchiatissima ed illibata i comportamenti di atti sessuali, sia pure consumatisi nella sfera privata ai danni della figlia minore, per i quali l’incolpato medesimo abbia subito procedimento penale conclusosi con sentenza penale irrevocabile di condanna che, ai sensi dell’art. 653 c.p.p., spiega efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare quanto all’accertamento del fatto, della sua illiceità penale e della sua commissione da parte del condannato. 16 marzo 2010, n. – 2 Pres. ALPA – Rel. LANZARA – P.M. FEDELI (conf.) – avv. D.C. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bologna, 24 gennaio 2008) 129. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricusazione – Ricusazione intero C.d.O. – Inammissibilità. Avvocato – Procedimento disciplinare – Istanza di ricusazione – Manifesta infondatezza – Decisione del C.O.A. – Procedura camerale – Legittimità. È inammissibile l’istanza di ricusazione dichiaratamente diretta ad investire l’intero organo disciplinare e non i suoi singoli componenti. Dinanzi alla ritenuta manifesta inammissibilità dell’istanza di ricusazione, deve ritenersi corretta la determinazione del C.O.A., cui certo spetta siffatto scrutinio, di istruire il procedimento disciplinare e di deciderlo nel merito, dovendo ritenersi legittima la decisione sull’istanza mediante procedura camerale “de plano”, senza la partecipazione delle parti, allorquando la stessa si presenti manifestamente inammissibile. 16 marzo 2010, n. 3 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008) Rassegna Forense – 2/2010 329 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare 130. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente al C.N.F. – Deposito oltre il termine ex art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/33 – Inammissibilità. È inammissibile il ricorso proposto oltre il termine di venti giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, in violazione dell’art. 50 co. 2, r.d.l. n. 1578/1933, nonché depositato direttamente presso la segreteria del C.N.F, anziché presso quella del C.O.A., come previsto dall’art. 59 del r.d. n. 37/34. 16 marzo 2010, n. 4 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FE(conf.) – avv. G.G DELI (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008) 131. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricusazione – Ricusazione intero C.d.O. – Inammissibilità. Avvocato – Procedimento disciplinare – Istanza di ricusazione – Manifesta infondatezza – Decisione del C.O.A. – Procedura camerale – Legittimità. Spetta al medesimo giudice dinanzi al quale l’istanza di ricusazione venga proposta il potere di sindacarne l’ammissibilità e, quindi, di procedere oltre nel giudizio, senza sospenderlo in caso di ritenuta manifesta inammissibilità. Deve pertanto ritenersi corretta la determinazione del C.O.A., una volta ritenuta l’inammissibilità dell’istanza di ricusazione, di istruire il procedimento disciplinare e deciderlo nel merito, essendo legittima la decisione sull’istanza mediante procedura camerale de plano, senza la partecipazione delle parti, qualora la stessa sia manifestamente inammissibile. 16 marzo 2010, n. 5 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008) 132. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente al C.N.F. – Deposito oltre il termine ex art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/33 – Inammissibilità. È inammissibile il ricorso tardivamente proposto oltre il termine di venti giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, in violazione 330 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza dell’art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/1933, nonché depositato direttamente presso la segreteria del C.N.F, anziché presso quella del C.O.A., come previsto dall’art. 59 del r.d. n. 37/34. 16 marzo 2010, n. 6 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. STEFENELLI – P.M. FE(conf.) – avv. G.G. DELI (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 24 luglio 2008) 133. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Impugnazione – Termine ex art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/33 – Dies a quo – Notificazione nei confronti dell’incolpato – Decorrenza – Notificazione nei confronti del difensore – Irrilevanza. La notificazione della decisione del C.d.O., conformemente alla pacifica interpretazione giurisprudenziale dell’art. 50, co. 1, del r.d.l. n. 1578/33, deve ritenersi necessaria nei soli confronti dell’incolpato e non anche nei confronti del suo difensore, sicché, al fine di verificare se vi sia stata osservanza del termine di venti giorni per il tempestivo ricorso al C.N.F., deve aversi riguardo esclusivamente alla data dell’avvenuta notificazione nei confronti del primo, momento dal quale decorre il termine per l’impugnazione. 16 marzo 2010, n. 7 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. CARDONE – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 17 luglio 2008) 134. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Impugnazione – Ricorso presentato direttamente al C.N.F. – Inammissibilità. Avvocato – Procedimento disciplinare – Rinuncia agli atti del procedimento – Sopravvenuta carenza di interesse al ricorso – Inammissibilità. È inammissibile il ricorso presentato direttamente al C.N.F., e non presso la Segreteria del C.d.O. territoriale che ha emesso la pronuncia impugnata come dispone l’art. 59 del r.d. n. 37/34. La formale rinuncia agli atti del procedimento si traduce in una carenza sopravvenuta di interesse al ricorso, idonea come tale a rendere quest’ultimo inammissibile. Rassegna Forense – 2/2010 331 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare 16 marzo 2010, n. 8 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. CARDONE – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.G. ( (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Potenza, 17 luglio 2008) 135. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Omessa indicazione delle norme deontologiche violate – Invalidità – Esclusione. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Prova testimoniale – Mancata indicazione delle circostanze – Nullità – Esclusione. Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di probità, dignità e decoro – Offerta prestazione professionale non richiesta – Violazione. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Accordi sulla definizione del compenso – Limiti. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Diritto al pagamento del compenso professionale – Esercizio – Modalità. L’omessa indicazione della norma deontologica violata non determina l’invalidità del procedimento disciplinare, atteso che, per pacifica e consolidata giurisprudenza, la contestazione, laddove adeguatamente specificata quanto all’indicazione dei comportamenti addebitati e tale da garantire all’incolpato la predisposizione di una difesa compiuta ed efficace, non richiede né la precisazione delle fonti di prova da utilizzare, né la individuazione delle precise norme deontologiche che si assumono violate. La predeterminazione e la certezza dell’incolpazione può essere invero ricollegata a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività, considerato, altresì, che il codice deontologico forense contiene comunque la norma di chiusura di cui all’art. 60, ove si precisa come le disposizioni del codice costituiscano semplice “esemplificazione dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi”. La mancata indicazione delle circostanze sulle quali escutere i testimoni non costituisce motivo di invalidità del procedimento disciplinare né della prova assunta dinanzi al C.d.O., conformemente all’uniforme orientamento della giurisprudenza volto a privilegiare la sostanza dell’esercizio del diritto di difesa, consentita dalla piena conoscenza da parte dell’incolpato dei fatti addebitati e delle persone in essi coinvolte, considerato peraltro che nel procedimento disciplinare 332 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza la facoltà di assumere testimoni è caratterizzata da semplicità delle forme ed è disciplinata dall’art. 48 del r.d.l. n. 1578/33. Costituisce violazione disciplinare l’inosservanza dell’espresso divieto per l’avvocato di offrire, senza esserne richiesto, una prestazione rivolta a persona determinata per uno specifico affare, con la precisazione che l’offerta specifica di una prestazione professionale è cosa del tutto differente dal generico contegno meramente informativo relativo ai rimedi ed alle possibilità offerte dall’ordinamento a tutela dei diritti dei cittadini. Il nuovo testo dell’art. 45 c.d., sotto la rubrica “accordi sulla definizione del compenso”, nel consentire all’avvocato ed al patrocinatore di determinare il compenso parametrandolo ai risultati perseguiti, lascia intatto il divieto di cui all’art. 1261 c.c., fermo restando che, nell’interesse del cliente, tali compensi debbono essere comunque sempre proporzionati all’attività svolta. Siffatta proporzione rimane l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del suo compenso. Ancorché l’avvocato abbia il legittimo diritto di ottenere il pagamento delle proprie spettanze professionali, al professionista non spetta alcun diritto di ritenzione su somme o cose di spettanza, anche parziale, del cliente. Il diritto al pagamento del corrispettivo, peraltro, non può essere esercitato con modalità tali da cagionare un ingiusto danno al cliente, recare disdoro alla categoria professionale ed indurre il convincimento nell’opinione pubblica che l’avvocato abbia un personale interesse nella controversia che prevarichi quello contrapposto dell’assistito. 16 marzo 2010, n. 11 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. G.R. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Vicenza, 4 marzo 2009) Rassegna Forense – 2/2010 333 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare 136. Avvocato – Procedimento disciplinare – Rapporti tra procedimento disciplinare e penale – Contestuale pendenza procedimento penale – Sospensione procedimento disciplinare – Presupposti – Identità dei fatti – Necessità. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Divieto di conflitto di interessi – Art. 37 c.d.f. – Violazione – Conflitto potenziale – Sufficienza – Consapevolezza del conflitto da parte dell’assistito – Irrilevanza. La sospensione del procedimento disciplinare aperto in relazione agli identici fatti per i quali sia stata formulata una imputazione penale postula la identicità dei fatti da accertarsi nelle diverse sedi, sicché solo in presenza di un preciso capo di imputazione sovrapponibile al capo di incolpazione può ritenersi applicabile il principio di pregiudizialità. Ai fini della configurabilità della violazione dell’art. 37 c.d. e della conseguente responsabilità disciplinare non rileva né che l’assistito abbia avuto o non consapevolezza del conflitto, né che alcun concreto conflitto di interessi si sia effettivamente verificato, atteso che la suddetta norma deontologica tutela situazioni di conflitto anche potenziali. Va pertanto ritenuto responsabile il professionista che abbia contemporaneamente assunto la difesa di due soggetti la cui posizione processuale sia in palese contrasto. 12 maggio 2010, n. 17 – Pres. ALPA – Rel. DE GIORGI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. G.B. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 14 novembre 2008) 137. Avvocato – Procedimento disciplinare – Ricorso al C.N.F. – Rinuncia – Improcedibilità del giudizio – Sopravvenuta inammissibilità del ricorso – Definitività decisione impugnata. La rinuncia al ricorso determina l’improcedibilità del giudizio di appello, con l’effetto della sopravvenuta inammissibilità del ricorso e conseguente definitività della decisione sanzionatoria impugnata. 12 maggio 2010, n. 18 – Pres. ALPA – Rel. MASCHERIN – P.M. MARTONE (conf.) – avv. E.M. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 22 gennaio 2009) 334 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 138. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Decisione che dispone l’apertura del procedimento – Impugnazione – Sindacato del C.N.F. – Oggetto – Controllo estrinseco di legalità formale – Limiti. Avvocato – Procedimento disciplinare – Potere di iniziativa disciplinare – Attribuzione e competenza – Consigli dell’Ordine – Autonomia. Le delibere di apertura del procedimento disciplinare devono ritenersi impugnabili dinanzi al C.N.F., atteso che, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 50 r.d.l. 1578/1933, la genericità del termine “decisioni” ivi impiegato e riferito alle pronunce dei consigli territoriali che possono essere impugnate innanzi al C.N.F. permette di includervi anche quelle di apertura del procedimento disciplinare, e tanto al fine di poter garantire alla sfera giuridica dell’incolpato, per il quale l’apertura e la pendenza in sé di un procedimento disciplinare costituisce fonte di immediato pregiudizio, una protezione altrettanto immediata e non differita. Purtuttavia, per il tramite di siffatta impugnazione non possono essere dedotti motivi attinenti al merito della vicenda disciplinare, in quanto il potere del C.N.F. è limitato ad un controllo estrinseco di mera legalità formale della decisione, stretto entro i confini del mero riscontro di esistenza dei presupposti di legge per l’adozione del provvedimento. Nell’attuale assetto ordinamentale, i Consigli territoriali, che non sono entità gerarchicamente e funzionalmente sottordinate al C.N.F. e che si caratterizzano per la più ampia discrezionalità in ordine al se ed al quomodo delle azioni necessarie e sufficienti a realizzare la tutela degli interessi dei quali sono enti esponenziali, sono i soggetti depositari del potere di iniziativa disciplinare (art. 14, co. 1, lett. a), r.d.l. 1578/1933) ed assegnatari della relativa competenza (art. 38, r.d.l. cit.), mentre al C.N.F. non spetta nemmeno la competenza (e men che mai l’iniziativa disciplinare) nei confronti dei membri dei Consigli territoriali che ne risultassero interessati, né alcun potere surrogatorio nei confronti di un Consiglio territoriale che ometta di esercitare l’azione disciplinare. Mediante l’impugnazione della decisione con la quale il C.d.O. disponga l’apertura del procedimento disciplinare, per il tramite della quale non possono essere dedotti a pena di inammissibilità motivi attinenti al merito della vicenda disciplinare e, quindi, inerenti alla fondatezza dell’incolpazione, possono essere proposte censure con cui si contesti l’esistenza dei presupposti di legge per l’adozione della delibera (e tra questi, in via esemplificativa, l’esistenza ed il rispetto dei Rassegna Forense – 2/2010 335 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare quorum costitutivi e deliberativi necessari; l’avvenuta previa rituale convocazione dei consiglieri; l’esecuzione di tutti gli adempimenti formali propedeutici alla delibera eventualmente imposti dal regolamento disciplinare che fosse stato adottato dal Consiglio e che, in tal caso, integrerebbe la disciplina legale; l’avvenuta regolare notifica ed il rispetto dello spatium tra questa e l’udienza dibattimentale, etc.), la cui riscontrata insussistenza, se per un verso conduce al ripudio della delibera, non ne impedisce per altro la reiterazione (e quindi l’esercizio dell’attribuzione) nel rispetto dei presupposti di legge. Deve ritenersi inammissibile l’impugnazione della delibera di apertura del procedimento disciplinare allorquando le censure contenute nel ricorso abbiano tutte riguardo a pure questioni di merito, con le quali si stigmatizzi l’iniziativa in sé del C.d.O. giudicata infondata per difetto del comportamento oggetto di contestazione. 12 maggio 2010, n. 22 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. TIRALE – P.M. FEDELI (conf.) – avv. V.L. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 19 gennaio 2009) 139. Avvocato – Procedimento disciplinare – Delibera di apertura del procedimento disciplinare – Impugnabilità – Termine ex art. 50, co. 2, r.d.l. n. 1578/33 – Applicabilità. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decreto di citazione a giudizio – Impugnazione – Inammissibilità. Conformemente ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 50 del r.d.l. n. 1578/1933, deve ritenersi ammissibile il ricorso al C.N.F. avverso la decisione con la quale il locale C.d.O. stabilisca di iniziare il procedimento disciplinare, al fine di consentire al giudice di controllare la legittimità dell’avvio del procedimento ed arrestarne subito la prosecuzione in caso di mancanza dei necessari presupposti. Le impugnazioni delle decisioni che dispongono l’apertura del procedimento disciplinare soggiacciono al termine previsto dall’art. 50, co. 2, del r.d.l. 27 n. 1578/33, per cui l’impugnazione va proposta a pena di decadenza entro venti giorni dalla notifica del provvedimento. È inammissibile il ricorso proposto avverso il decreto di citazione a giudizio, ovvero dell’atto con cui il Presidente del C.O.A. territoriale, richiamando la deliberazione di apertura del procedimento nonché i capi di incolpazione formulati, provveda a fissare l’udienza di tratta336 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza zione del procedimento disciplinare citando l’incolpato a comparire. Tale atto di natura procedimentale, invero, privo di contenuto decisorio o anticipatorio, è meramente esecutivo della delibera di apertura del procedimento disciplinare e, pertanto, non può essere incluso nel novero degli atti impugnabili, pur alla luce della lettura estensiva e costituzionalmente orientata dell’art. 50 del r.d.l. n. 1578/1933, 12 maggio 2010, n. 25 – Pres. ALPA – Rel. VERMIGLIO – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. R.C. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Catanzaro, 13 maggio 2009) 140. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.N.F. – Deposito di memorie – Termine – Decorrenza e scadenza – Artt. 60 e 61 r.d. n. 37/34. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Divieto di conflitto di interessi – Artt. 37 e 51, c. I, c.d.f. – Conflitto potenziale – Violazione – Natura interessi – Irrilevanza – Fattispecie. Avvocato – Norme deontologiche – Illecito deontologico – Sanzione – Misura – Notorietà dell’incolpata – Rilevanza. Ai sensi degli artt. 60 e 61 del r.d. n. 37/34, il termine ultimo per presentare memorie scade il giorno decimo successivo a quello in cui il P.M. deve effettuare la restituzione degli atti. Il principio enunciato dall’art. 37, canone II, c.d.f., adesso contenuto nell’art. 51, canone I, è dotato di autonomo rilievo rispetto alla previsione generale ed ha carattere assoluto, tendendo a prevenire anche il solo pericolo di situazioni di possibile conflitto. L’elemento costitutivo dell’illecito disciplinare, rappresentato dalla successiva prestazione di assistenza “in favore” di uno solo dei coniugi, risulta pertanto pienamente integrato dalla mera accettazione del mandato ad assistere uno dei coniugi contro l’altro, senza che rilevi la natura degli interessi in contesa fra gli stessi. Benché l’art. 51, canone I, c.d.f. faccia espresso riferimento alla fattispecie in cui un avvocato, dopo avere assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari, assuma successivamente il mandato in favore di uno di essi contro l’altro, analoga esigenza di tutela è ravvisabile nell’ipotesi in cui l’avvocato abbia prestato consulenza in vista di una separazione ad uno dei coniugi e, in seguito, abbia accettato il mandato dall’altro coniuge per assisterlo nella medesima separazione, con conseguente operatività, anche in tale ultima fattispecie, del meRassegna Forense – 2/2010 337 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare desimo obbligo di astensione dell’avvocato, a prescindere dalla sussistenza di un conflitto di interessi effettivo o meramente potenziale. Ancorché tutti gli iscritti all’albo siano tenuti al rigoroso rispetto delle norme deontologiche, gli avvocati che godono di maggior fama devono essere tuttavia particolarmente ligi all’osservanza delle norme deontologiche, in quanto, per un verso, i colleghi, soprattutto più giovani, tendono ad assumerli ad esempio, e, per altro verso, gli illeciti da loro compiuti hanno una maggiore risonanza presso l’opinione pubblica e, quindi, una potenzialità lesiva dell’immagine e del decoro della categoria professionale particolarmente rilevante. 12 maggio 2010, n. 27 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. D’INNELLA – P.M. MARTONE (conf.) – avv. M.S. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 23 marzo 2009) 141. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Ricorso al C.N.F. – Proposizione oltre il termine di venti giorni ex art. 50 r.d.l. n. 1578/33 – Inammissibilità. Va dichiarato inammissibile il ricorso avverso la decisione del C.d.O. proposto al C.N.F. in violazione sia dell’art. 50 del r.d.l. n. 1578/33, che impone alle parti interessate l’onere di proporre l’impugnazione entro il termine di venti giorni decorrenti dalla notifica del provvedimento di cui si domanda la riforma, sia dell’art. 59 del r.d. n. 37/1934, ai sensi del quale il ricorso va presentato negli uffici del Consiglio che ha emanato la pronuncia. 12 maggio 2010, n. 26 – Pres. ALPA – Rel. ALPA – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. A.B.D.P. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 27 aprile 2007) 142. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento davanti al C.d.O. – Prova testimoniale – Dichiarazioni dell’esponente – Insufficienza – Prova documentale – Conformità – Completezza dell’istruttoria – Sussistenza. Per costante orientamento giurisprudenziale, l’attività istruttoria espletata dal Consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell’esponente, ovvero, come nel caso di specie, di quelle di altro soggetto portatore di un 338 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza interesse personale nella vicenda, ma altresì dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti del procedimento, che rappresentano certamente criterio logico-giuridico inequivocabile a favore della completezza e definitività dell’istruttoria. (Nella specie, il C.N.F. ha ritenuto non compiutamente raggiunta la prova, poiché l’elemento di accusa in ordine alla violazione dell’art. 30 del c.d.f., costituito dalla parola interessata della cliente e di suo marito, è risultato privo di un chiaro conforto in altri elementi tramite cui risalire, con certezza, allo svolgimento dei fatti). 12 maggio 2010, n. 28 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. D’INNELLA – P.M. FEDELI (non conf.) – avv. P.B. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Udine, 16 gennaio 2009) 143. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Decisione che dispone l’apertura del procedimento – Impugnazione – Sindacato del C.N.F. – Limiti – Controllo estrinseco di legalità formale – Ammissibilità – Carenza di motivazione – Esclusione – Potere di iniziativa disciplinare del C.d.O. – Autonomia. Mediante l’impugnazione della delibera che dispone l’apertura del procedimento disciplinare non possono essere dedotti motivi attinenti al merito della vicenda disciplinare, il potere del Consiglio nazionale forense essendo limitato ad un controllo estrinseco di mera legittimità formale della decisione, qualificato dal semplice riscontro di esistenza dei presupposti di legge per l’adozione del provvedimento. Nell’attuale assetto ordinamentale, i Consigli territoriali, che non sono entità gerarchicamente e funzionalmente sottordinate al C.N.F. e che si caratterizzano per la più ampia discrezionalità in ordine al se ed al quomodo delle azioni necessarie e sufficienti a realizzare la tutela degli interessi dei quali sono enti esponenziali, sono i soggetti depositari del potere di iniziativa disciplinare (art. 14, co. 1, lett. a), r.d.l. 1578/1933) ed assegnatari della relativa competenza (art. 38, r.d.l. cit.), mentre al C.N.F. non spetta nemmeno la competenza (e men che mai l’iniziativa disciplinare) nei confronti dei membri dei Consigli territoriali che ne risultassero interessati, né alcun potere surrogatorio nei confronti di un Consiglio territoriale che ometta di esercitare l’azione disciplinare. Risulta pertanto incompatibile con siffatta attribuzione dei C.d.O. un controllo del C.N.F. che abbia ad og- Rassegna Forense – 2/2010 339 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare getto il merito dell’iniziativa disciplinare, traducendosi di fatto nell’avocazione del ridetto potere. In sede di impugnazione dinanzi al C.N.F. dei provvedimenti di apertura del procedimento disciplinare, mentre non possono essere dedotti motivi concernenti la fondatezza dell’incolpazione e tutti quelli che, direttamente o indirettamente, si colleghino a questo tema, possono invece essere proposte censure con cui si contesti l’esistenza dei presupposti di legge per l’adozione della delibera, e tra questi, esemplificativamente, l’esistenza e il rispetto dei quorum costitutivi e deliberativi necessari, l’avvenuta previa rituale convocazione dei consiglieri, l’esecuzione di tutti gli adempimenti formali propedeutici alla delibera eventualmente imposti dal regolamento disciplinare che fosse stato adottato dal consiglio e che, in tal caso, integrerebbe la disciplina legale, l’avvenuta regolare notifica ed il rispetto dello spatium tra questa e l’udienza dibattimentale, presupposti tutti la cui riscontrata insussistenza, se conduce al ripudio della delibera, non ne impedisce la reiterazione nel rispetto, questa volta, dei presupposti di legge. Tra questi ultimi non figura certamente la carenza di motivazione del provvedimento di avvio del procedimento disciplinare, che costituisce classico aspetto di merito, con conseguente inammissibilità del relativo capo di impugnazione. 12 maggio 2010, n. 30 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BONZO – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. M.N.G. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Monza, 16 febbraio 2009) 144. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Data di assunzione della decisione e data apposta in calce – Difformità – Mero errore materiale – Efficacia invalidante – Esclusione. La difformità tra la data di assunzione della deliberazione e la data apposta in calce alla decisione stessa non è di per sé sola sufficiente a far ritenere che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del Collegio, configurandosi tale diversità come mero errore materiale, non invalidante la decisione assunta, anche in mancanza di attivazione del procedimento di correzione. 12 maggio 2010, n. 32 – Pres. ALPA – Rel. MORLINO – P.M. CICCOLO (conf.) – avv. F.C. 340 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Ferrara, 13 maggio 2008) 145. Avvocato – Procedimento disciplinare – Natura – Amministrativa – Composizione del Collegio disciplinare – Variazione – Irrilevanza. Avvocato – Procedimento disciplinare – Competenza del C.d.O. – Omessa astensione dei componenti – Mancata censura – Ricusazione – Rinuncia. Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Dovere di evitare incompatibilità – Rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale – Illecito disciplinare – Sanzione – Misura – Criteri di valutazione. Il procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio territoriale ha natura tipicamente amministrativa, con conseguente irrilevanza della variazione di composizione del Collegio disciplinare, che rimane sottratto alla regola dell’unità e continuità di formazione. La mancata formulazione della censura avente ad oggetto l’omessa astensione di taluni Consiglieri nella fase dibattimentale del procedimento disciplinare da parte dell’incolpato, ad esso presente ed altresì partecipe, configura sostanziale rinuncia ad avvalersi del rimedio della ricusazione, costituente nel sistema processuale lo strumento per resistere alla eventuale violazione dell’obbligo di astensione. È configurabile la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, versando in una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione forense per il fatto di intrattenere un rapporto di lavoro subordinato retribuito a tempo parziale con una società cooperativa, domandi l’iscrizione all’albo e successivamente eserciti l’attività professionale, così permanendo nella suddetta condizione per lungo tempo e fino all’intervento autoritativo della Cassa forense, che solo abbia costituito la fonte del ravvedimento operoso del ricorrente. Tuttavia, ai fini del trattamento sanzionatorio della condotta contestata, il Consiglio territoriale è tenuto ad operare un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati ed i concorrenti criteri di valutazione, pure rilevanti, connessi alla giovane età ed inesperienza dell’incolpato, all’assenza di precedenti disciplinari ed alla circostanza dell’essere stata la condizione di incompatibilità rimossa, seppur tardivamente, prima dell’avvio formale del procedimento disciplinare. (Nella specie, il Consiglio Nazionale ha sostituito alla comminata sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di mesi due quella più tenue della censura). Rassegna Forense – 2/2010 341 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Procedimento disciplinare 12 maggio 2010, n. 33 – Pres. ALPA – Rel. BERRUTI – P.M. CICCOLO (non conf.) – avv. A.C.S. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Cuneo, 14 ottobre 2008) 146. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Impugnazione – Presentazione del ricorso a mezzo posta – Spedizione entro il termine di venti giorni dalla notifica della decisione – Deposito tardivo – Inammissibilità – Termine ex art. 59, co. 1, r.d. n. 37/34 – Natura – Decadenziale – Equivalenza tra spedizione e ricezione – Esclusione. In difetto di una espressa previsione di legge che sancisca la tempestività della presentazione del ricorso per il solo fatto del compimento entro il termine decadenziale delle operazioni di trasmissione (quando questa non si traduca nella consegna manuale presso gli uffici del Consiglio territoriale che ha emesso la decisione) ed a prescindere dalla effettiva ricezione dell’atto entro quel termine, gli altri modi alternativi di inoltro del ricorso, per quanto legittimi, si accompagnano al rischio, gravante sull’interessato, di una ricezione oltre il termine decadenziale. E trattandosi di decadenza, quest’ultima non opera solo se entro il termine previsto ex art. 59, comma 1, r.d. n. 37/34 sia compiuta l’attività tipizzata dalla legge, la quale consiste proprio nel deposito dell’atto, mentre la sua spedizione a mezzo posta costituisce attività meramente strumentale ad ottenere tale risultato. Va pertanto dichiarato inammissibile il ricorso spedito a mezzo posta il ventesimo giorno dalla notifica della decisione impugnata e nella specie pervenuto al C.d.O. otto giorni dopo, restando preclusa all’interprete, in mancanza di un’espressa previsione normativa, la possibilità di variare il corso della decadenza stabilendo un’equivalenza funzionale tra spedizione e ricezione. 12 maggio 2010, n. 34 – Pres. ALPA – Rel. BORSACCHI – P.M. MARTONE (conf.) – avv. P.P. (Dichiara inammissibile il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 23 novembre 2008) 342 Rassegna Forense – 2/2010 III. NORME DEONTOLOGICHE 147. Avvocato – Norme deontologiche Tariffe forensi – Richiesta onorario – Onorario per attività non realmente prestate o non dovuti – Mero errore di calcolo – Esclusione – Illecito disciplinare – Sussistenza – Sanzione -Misura. L’avere un professionista di lunga esperienza esposto in parcella onorari per attività non realmente prestate ovvero non dovuti (come nel caso della redazione delle “repliche” e delle udienze di mero rinvio, ovvero previsti per la “materia stragiudiziale” pur risultando le attività prestate intrinsecamente “connesse all’attività giudiziale”) costituiscono non semplici errori di calcolo, ma condotte lesive sia degli interessi del cliente, poiché amplificano ingiustificatamente l’importo complessivo del compenso, sia dell’immagine della categoria, minandone la serietà e la fiducia verso i terzi. (Il C.N.F. nella specie, pur condividendo il giudizio di disvalore complessivo della condotta posta in essere dal ricorrente compiuto dal C.O.A., ha tuttavia ritenuto di applicare la sanzione meno afflittiva dell’avvertimento in luogo di quella della censura, a motivo della problematicità delle questioni relative alla determinazione del valore e della complessità della controversia relativa ad un giudizio di divisione). 30 dicembre 2009, n. 249 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M. IANNELLI (non conf.) – avv. N.P. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bolzano, 29 maggio 2008) 148. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Rinunzia al mandato – Dovere di presenziare all’udienza successiva – Insussistenza – Illecito deontologico – Esclusione. Non viola alcun precetto deontologico, né tanto meno la norma posta dall’art. 47 c.d.f., il professionista che, avendo rinunziato al mandato il giorno prima dell’udienza, non sia presente nel corso di quest’ultima per assistere l’imputato cui venga nominato in quella sede un difensore d’ufficio, non derivando in conseguenza del censurato contegno alcun pregiudizio né al processo né all’imputato. 30 dicembre 2009, n. 250 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. CARDONE – P.M. IANNELLI (non conf.) – avv. A.C. Rassegna Forense – 2/2010 343 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 12 settembre 2007) 149. Avvocato – N orme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Revoca del mandato. Va esclusa la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, ottenuta la conferma della revoca del mandato da parte del proprio cliente ed assicuratosi della presenza del nuovo difensore di fiducia all’udienza successiva, ometta di comparire né comunichi al Tribunale l’avvenuta revoca. 30 dicembre 2009, n. 256 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MASCHERIN – P.M. MARTONE (conf.) – avv. D.D.P. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 10 luglio 2008) 150. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Divieto di conflitto di interessi – Art. 35 c.d.f. – Rapporto di natura economica – Illecito deontologico. Nei doveri primari dell’avvocato rientra quello di non porsi in conflitto di interessi, nemmeno potenziale, con il proprio assistito, evitando di intrattenere con quest’ultimo rapporti di carattere economico. Tale divieto è diretto a preservare il rapporto fiduciario tra avvocato e cliente, posto che solo l’estraneità dell’avvocato rispetto agli interessi della parte patrocinata garantisce la difesa tecnica, evita il coinvolgimento in responsabilità ed assicura la massima professionalità. Il divieto posto dall’art. 35, co. 2, c.d.f. mira a preservare due valori assoluti e portanti del ministero professionale, l’intuitus personae ed il dovere di evitare situazioni di conflitto di interessi, le quali, oltre a pregiudicare in re ipsa il rapporto professionale, si traducono in una più ampia e generale lesione della credibilità ed affidabilità etica della classe forense. Pone in essere, pertanto, un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che instauri con il cliente un articolato rapporto di dare e di avere regolando il relativo rapporto economico su basi compensative. 31 dicembre 2009, n. 257 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BERRUTI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. M.C. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 11 luglio 2007) 344 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 151. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Violazione doveri dignità, probità e decoro – Omesso compimento di attività relative al mandato – Illecito deontologico – Sanzione – Misura – Adeguatezza. La sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi dodici va ritenuta giustificata e proporzionata alla gravità dell’illecito comportamento deontologico posto in essere dal professionista che, ottenuto un prestito da un’amica e cliente soggetta a grave infermità, non restituisca la somma ad onta delle ripetute richieste della creditrice, poi deceduta, mancando altresì di assolvere in modo reiterato agli obblighi professionali assunti. 31 dicembre 2009, n. 260 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M. IANNELLI (non conf.) – avv. A.S. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Parma, 22 luglio 2008) 152. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Rapporto di colleganza – Art. 22 c.d.f. – Contenuto – Fattispecie – Collega associato nella difesa – Iniziativa autonoma ai fini della riscossione della parcella – Illecito deontologico. Allorquando, in sede di scrutinio del rapporto di colleganza professionale, si tratti di applicare una norma dal contenuto necessariamente ampio quale l’art. 22 c.d.f., il fatto deve essere valutato in tutti i suoi aspetti e sfaccettature, senza limitarsi al mero dato formalistico documentale, posto che un comportamento pur teoricamente ineccepibile dal mero esame documentale può prestarsi a censura quando denoti nella sostanza (per le modalità con cui è avvenuto, le circostanze che lo hanno accompagnato, gli atteggiamenti concretamente tenuti dalle parti) profili non conformi alla correttezza e alla lealtà, i quali, peraltro, non possono per loro stessa natura esser valutati in via meramente astratta e formale. L’art. 22 c.d.f. pone una regola di carattere generale, indicando poi specifiche norme comportamentali destinate a regolare, in modo non tassativo ed esaustivo, casi singoli e assolutamente comuni. Il fatto che il comportamento tenuto dall’incolpato non rientri in uno dei tre canoni esemplificativi contenuti nella seconda parte dell’art. 22 non preclude pertanto la valutazione di disvalore del comportamento medesimo per violazione della generale norma che gli impone di ispirarsi a correttezza e lealtà nei rapporti con i colleghi. Rassegna Forense – 2/2010 345 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche Viola l’art. 22. c.d.f. l’avvocato che, associato ad altro collega nello svolgimento dell’incarico professionale, agisca in via del tutto autonoma al fine di riscuotere integralmente le competenze relative alla propria notula, pur nella consapevolezza che talune di tali attività possano interferire o sovrapporsi o duplicarsi con quelle svolte dal codifensore e senza curarsi delle maggiori difficoltà che un tale comportamento possa procurare all’attività di riscossione delle competenze del collega di studio, né può costituire di per sé causa di esclusione di responsabilità la circostanza che un siffatto contegno corrisponde al proprio diritto di veder remunerata la propria attività professionale. 31 dicembre 2009, n. 265 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. BULGARELLI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. P.G. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Sassari, 26 giugno 2008) 153. Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Accaparramento di clientela – Nozione – Comunicazione indirizzata a colleghi professionisti – Illecito deontologico – Esclusione. Il disvalore deontologico dell’attività di acquisizione della clientela, di per sé lecita e tanto più nell’attuale contesto in cui l’ordinamento comunitario e l’interpretazione di svariate sue norme pongono in evidenza l’aspetto organizzativo, economico e concorrenziale dell’attività professionale, risiede negli strumenti usati ai fini dell’accaparramento, i quali non devono essere alcuno di quelli tipizzati in via esemplificativa nei canoni complementari dell’art. 19, non concretizzarsi nell’intermediazione di terzi (agenzie o procacciatori), né essere, più genericamente, “mezzi illeciti” o meglio (nella versione vigente, approvata il 14 dicembre 2006) che possono esplicarsi in “modi non conformi alla correttezza e decoro”. Deve ritenersi inidonea ad integrare la illecita condotta dell’accaparramento di clientela la comunicazione che abbia carattere sostanzialmente informativo e sia indirizzata verso un ben determinato gruppo di soggetti qualificati (professionisti) in grado di svolgere sulla stessa un completo e pertinente esame critico e che, sia pur indirettamente sollecitatoria di possibili rapporti clientelari, delinei un ambito di professionale disponibilità senza l’utilizzo di mezzi illeciti ma al contrario aperti e trasparenti, non contrastanti con i parametri di correttezza e decoro che sempre devono connotare l’attività dell’avvocato. (Nella specie, la comunicazione era rivolta non a terzi potenziali 346 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza clienti ma a colleghi professionisti potenziali concorrenti, ai quali si proponeva soltanto un servizio per superare la difficoltà di trovare nell’ambito del distretto avvocati iscritti all’albo del Foro ecclesiastico regionale, ragion per cui il C.N.F. ha escluso che la stessa fosse idonea ad alterare il fisiologico rapporto concorrenziale nel quale si sostanzia il concetto di accaparramento). 31 dicembre 2009, n. 266 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BIANCHI – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. C.D. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Brescia, 1 febbraio 2008). 154. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Difesa di parti in conflitto di interessi – Dovere di astensione – Art. 51 c.d.f. – Controversie familiari – Nozione. Tra le controversie familiari che ai sensi dell’art. 51 ultimo comma c.d.f. costituiscono il presupposto della doverosa astensione dell’avvocato dalla successiva assistenza in favore di uno solo dei coniugi già congiuntamente difesi devono ritenersi ricomprese anche le controversie per separazione personale dei coniugi, di cui quelle consensuali incontestabilmente costituiscono una forma di risoluzione. Fermo restando il divieto di cui all’art. 51 c.d.f., il comportamento dell’avvocato che assume la difesa contro un ex cliente o uno dei coniugi di cui si è curata la separazione consensuale risulta oggettivamente lesivo dei doveri di decoro e di dignità stabiliti dagli artt. 38, 12 e 14 r.d. n. 1578/1933, i quali costituiscono l’origine e l’oggetto del potere disciplinare dei Consigli dell’Ordine. 16 marzo 2010, n. 9 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MAURO – P.M. MARTO(conf.) – avv. F.C. NE (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Belluno, 25 febbraio 2008) 155. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la controparte – Doveri di dignità – probità e decoro – Dovere di segretezza e riservatezza. Viola i doveri imposti dall’art. 5 comma II e 9 c.d.f., l’avvocato che, nell’ambito di una corrispondenza epistolare avente altro oggetto, renda noto alla società con la quale il proprio cliente intrattenga rapporti professionali lo svolgimento di un’attività giudiziale in favore di costui, nonché la circostanza del mancato pagamento del compen- Rassegna Forense – 2/2010 347 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche so maturato per tale attività difensiva, con ciò rivelando notizie assolutamente irrilevanti ed inconferenti ed altresì potenzialmente lesive dell’onore e del decoro del predetto assistito. 16 marzo 2010, n. 10 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. MAURO – P.M. MARTONE (conf.) – avv. M.M. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca, 18 luglio 2008) 156. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Gestione di somme – Indebito trattenimento – Mala gestio – Responsabilità disciplinare – Sussistenza. Deve ritenersi idonea ad integrare illecito disciplinare la condotta dell’avvocato che, in assenza di espressa autorizzazione del cliente, trattenga le somme da quegli consegnategli ad altro fine in pretesa compensazione di crediti professionali mai fatturati e neppure mai specificati in una parcella. La responsabilità del professionista trova causa nella semplice mala gestio del denaro affidatogli, risiedendo il disvalore della condotta nella semplice distrazione delle somme rispetto allo scopo originario per cui queste erano state consegnate. 16 marzo 2010, n. 14 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. VERMIGLIO – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. P.M. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di La Spezia, 20 ottobre 2008) 157. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Successione nella difesa – Doppia richiesta di distrazione – Violazione doveri lealtà e correttezza – Esclusione. A prescindere dalla legittimità di una doppia richiesta di distrazione delle spese processuali e della relativa applicabilità all’ipotesi di successione nella difesa allorquando ciascuna dichiarazione-richiesta venga effettuata in costanza di mandato, va esclusa la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, esercitando legittimamente la sua facoltà di richiedere la distrazione, non incassi le spese dell’intero giudizio, ma solo quelle riflettenti la propria attività, senza pertanto trattenere alcuna somma di pertinenza del collega che l’abbia preceduto nella difesa. 12 maggio 2010, n. 15 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. M.G.C.C. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 1 ottobre 2008) 348 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza 158. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Gestione di somme – Indebito trattenimento – Mala gestio – Responsabilità disciplinare – Sussistenza. Deve ritenersi idonea ad integrare illecito disciplinare la condotta dell’avvocato che, in assenza di espressa autorizzazione del cliente, trattenga le somme da quegli consegnategli ad altro fine in pretesa compensazione di crediti professionali mai fatturati e neppure mai specificati in una parcella. La responsabilità del professionista trova causa nella semplice mala gestio del denaro affidatogli, risiedendo il disvalore della condotta nella semplice distrazione delle somme rispetto allo scopo originario per cui queste erano state consegnate. 16 marzo 2010, n. 14 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. VERMIGLIO – P.M. CIAMPOLI (conf.) – avv. P.M. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di La Spezia, 20 ottobre 2008) 159. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con i colleghi – Successione nella difesa – Doppia richiesta di distrazione – Violazione doveri lealtà e correttezza – Esclusione. A prescindere dalla legittimità di una doppia richiesta di distrazione delle spese processuali e della relativa applicabilità all’ipotesi di successione nella difesa allorquando ciascuna dichiarazione-richiesta venga effettuata in costanza di mandato, va esclusa la responsabilità disciplinare dell’avvocato che, esercitando legittimamente la sua facoltà di richiedere la distrazione, non incassi le spese dell’intero giudizio, ma solo quelle riflettenti la propria attività, senza pertanto trattenere alcuna somma di pertinenza del collega che l’abbia preceduto nella difesa. 12 maggio 2010, n. 15 – Pres. ALPA – Rel. BIANCHI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. M.G.C.C. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 1 ottobre 2008) 160. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con parte assistita – Inadempimento – Responsabilità professionale – Rilevanza deontologica ex se – Esclusione – Responsabilità disciplinare – Presupposti. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento davanti al C.d.O. – Prova – Onere – Dichiarazioni dell’esponente – Valutazione. Rassegna Forense – 2/2010 349 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche Non ogni inadempienza addebitabile al professionista, quantunque rilevante sul piano della responsabilità civile, è di per sé idonea ad integrare anche responsabilità disciplinare, a tal fine richiedendosi che le circostanze concrete denotino un comportamento non solo “non scusabile” ma altresì di “rilevante trascuratezza” (art. 38 c.d.f.). La responsabilità disciplinare deve essere fondata sulla raggiunta prova del fatto addebitato, fermo restando che l’onere della prova è posto a carico del C.O.A. procedente – non essendo a carico dell’incolpato di dare alcuna prova contraria – e che la versione dei fatti fornita dal denunciante può assumere valore di prova quando la stessa trovi riscontro in altri elementi obiettivi e documentali e sia esente da lacune e vizi logici. 12 maggio 2010, n. 16 – Pres. VERMIGLIO – Rel. BAFFA – P.M. CIAMPOLI (non conf.) – avv. G.F. (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verona, 9 ottobre 2006) 161. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di lealtà – Pluralità di azioni – Illecito deontologico. Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Divieto di accaparramento di clientela. Pone in essere una condotta deontologicamente rilevante l’avvocato che, in difetto di elementi di particolari esigenze giuridiche e strutturali idonee a giustificare la autonoma trattazione per ciascuna delle parti, presenti separatamente un elevato ed ingiustificato numero di ricorsi (nella specie ben 233) con identici causa petendi e petitum e differenti per la sola quantificazione di ciascun credito, così aggravando sia la posizione dei propri assistiti, obbligati ad un esborso eccessivo ed ingiustificato per competenze legali, sia quella delle controparti, costrette ad attivare tante difese quanti erano i ricorsi, con conseguenti oneri economici per la notevole attività processuale. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che fissi un proprio recapito o la sede della sua attività professionale presso uffici di società, agenzie infortunistiche, agenzie di assicurazioni e servizi, società commerciali, associazioni di mutilati ed invalidi civili e comunque Enti o Associazioni che rappresentino categorie di lavoratori e/o professionisti, dei quali utilizzi i locali ricevendo anche clienti, usufruisca delle utenze telefoniche e ne indichi il recapito sulla propria carta intestata. 350 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza L’incrocio, sia pure saltuario, dell’attività professionale con le attività sindacali, che si concretizzi nella presenza fisica e nell’utilizzo, per fini professionali, dell’intera struttura in cui opera ed agisce l’associazione, è sintomatico di un procacciamento di clientela scorretto perché incanalato attraverso mezzi non consentiti e che, quindi, vanno ritenuti deplorevoli, in violazione dei principi di lealtà, dignità e decoro della professione forense. 12 maggio 2010, n. 21 – Pres. f.f. GRIMALDI – Rel. DE GIORGI – P.M. FEDELI (conf.) – avv. S.L. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Brescia, 11 giugno 2007) 162. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di colleganza e collaborazione – Rapporti con il C.d.O. – Omessi chiarimenti – Silenzio – Diritto di difesa – Rilevanza – Art. 24, I e II canone, c.d.f. – Differenza. Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di diligenza, lealtà e correttezza – Ammissione al gratuito patrocinio per l’esercizio di azione giudiziaria – Esercizio di diversa azione – Illecito deontologico – Sussistenza – Procura alle liti rilasciata a margine dell’atto di citazione – Irrilevanza. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Revoca del mandato – Dovere di formalizzare la revoca all’udienza successiva – Sussistenza – Mancata comparizione – Illecito deontologico – Sussistenza. Avvocato – Norme deontologiche – Incompatibilità ex art. 3, co., 1 r.d.l. n. 1578/33– Amministratore di s.r.l. – Poteri di gestione e rappresentanza – Rilevanza – Illecito deontologico – Sussistenza – Inattività della società – Irrilevanza. Le ipotesi contemplate dai primi due canoni dell’art. 24 c.d.f., ancorché entrambe palesemente riferite all’avvocato nei cui confronti sia stata sollevata una questione disciplinare, ne distinguono tuttavia la posizione in relazione alle diverse fasi procedimentali nelle quali si svolge l’obbligo dell’iscritto di collaborare con il C.d.O. per l’attuazione delle finalità istituzionali di tale organismo pubblico osservando il dovere di verità. Allorquando sia stato aperto il procedimento disciplinare, il rapporto con il Consiglio è definito dalla posizione e dai connessi diritti di incolpato, e non sussistono esigenze di informative o chiarimenti preliminari diretti a stabilire la sussistenza di elementi che eventualmente giustifichino l’apertura di un procedimento, essendo questa già deliberata, sicché il silenzio, in tal caso, costituisce forma Rassegna Forense – 2/2010 351 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche di esercizio del diritto costituzionale di difesa nel processo e non costituisce illecito autonomo, configurandosi il diritto di difesa quale limite al dovere di collaborare. Nel II canone, al contrario, l’avvocato nei cui confronti è presentato un esposto, da un lato ha l’obbligo (oltre al diritto) di chiarire il suo comportamento nei confronti del reclamante, e dall’altro ha il dovere di fornire al Consiglio, investito con l’esposto del dovere di valutare la sussistenza delle condizioni per aprire un procedimento, elementi che consentano ad esso il pieno e corretto esercizio delle sue funzioni istituzionali che tutelano prioritariamente un interesse pubblico. Tale fase preliminare, non prevista dalla legge, costituisce regola che trova la fonte nel diritto vivente formatosi nella giurisprudenza disciplinare ed il profilo in esame si ricollega al dovere dell’avvocato sancito dall’art. 7, II canone, del c.d.f., riferibile alla responsabilità sociale dell’appartenente ad un ordine che, come quello forense, esercita funzioni a garanzia del corretto esercizio della professione legale non solo nell’interesse delle parti assistite, ma anche nell’interesse dei terzi e della collettività. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che agisca in giudizio per una causa diversa da quella per la quale il cliente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato. A tal fine deve ritenersi irrilevante la sottoscrizione apposta dal cliente stesso sulla procura alle liti rilasciata a margine e non in calce all’atto di citazione, poiché quest’ultima non implica la conoscenza dei contenuti dell’atto, né la possibilità della parte di valutare adeguatamente le scelte tecnico-processuali dell’avvocato per le note asimmetrie informative che caratterizzano nella generalità dei casi il rapporto professionale. Integra illecito disciplinare la condotta dell’avvocato che, a seguito dell’avvenuta revoca del mandato, ometta di comparire in giudizio alla successiva udienza senza formalizzare a verbale né la stessa revoca né la sua sostituzione con altro difensore, ponendo in essere pertanto un comportamento incompatibile con i doveri di diligenza e correttezza inerenti al mandato. Il difensore revocato, invero, lungi dal potersi ritenere legittimato a disinteressarsi dal successivo corso del giudizio, deve dare atto della revoca nel verbale di udienza al fine di rendere consapevoli il giudice e le controparti di un evento che influisce sulle vicende processuali, ed ha altresì il dovere di accertare che nel giudizio intervenga il legale che l’ha sostituito e di avvertire la parte che non compirà ulteriori attività, tanto più quando la nomina del difensore avvenga nell’ambito del procedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 352 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza Conformemente alla consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 3, co. 1, r.d.l. n. 1578/33, il quale statuisce la incompatibilità dell’esercizio della professione con l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome altrui, l’attività incompatibile non va riferita al concreto compimento di atti di commercio, ma al profilo soggettivo della carica rivestita (nella specie di amministratore di una s.r.l.) che comporta l’idoneità a compiere tali atti, profilo al quale, pertanto, deve essere riferito il carattere di effettività dei poteri di gestione o di rappresentanza. Va conseguentemente esclusa ogni rilevanza, nel senso di escludere l’incompatibilità, alla condizione di inattività nella quale eventualmente versi la società, trattandosi di condizione effimera, priva di stabilità poiché soggetta a condizioni di mercato, che non priva la società della sua qualità di impresa, né la sottrae agli adempimenti e ai controlli previsti dalla legge, e che pertanto è da ritenere meramente contingente. 12 maggio 2010, n. 35 – Pres. ALPA – Rel. MARIANI MARINI – P.M. IANNELLI (conf.) – avv. F.P. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Pistoia, 26 settembre 2008) 163. Avvocato – Norme deontologiche – Dovere di probità – Mancata consegna schede testamentarie – Violazione. Avvocato – Norme deontologiche – Rapporti con la parte assistita – Divieto di conflitto di interessi – Artt. 37 c.d.f. – Ratio – Violazione. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che a seguito della morte del testatore, in violazione della disciplina posta dall’art. 620 c.c., ometta di consegnare ad un notaio per la pubblicazione le schede testamentarie detenute, giacché tale norma, nel prevedere un siffatto obbligo, non consente al depositario di esimersi dalla pubblicazione dei testamenti sul presupposto di una sua valutazione in ordine alla loro eventuale intervenuta revoca per disposizioni successive. La ratio sottesa all’art. 37 c.d.f. mira ad assicurare che il mandato professionale debba essere svolto in assoluta libertà ed indipendenza da ogni vincolo e, nel contempo, a garantire che il rapporto fiduciario tra cliente ed avvocato, con il correlativo vincolo di riservatezza che concerne le notizie apprese dal cliente, non possa essere in alcun modo incrinato, o posto in dubbio, dai successivi incarichi professionali assunti dal professionista. Rassegna Forense – 2/2010 353 Giurisprudenza del Consiglio nazionale forense Norme deontologiche 18 giugno 2010, n. 37 – Pres. f.f. PERFETTI – Rel. D’INNELLA – P.M. FE(conf.) – avv. G.Z. DELI (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Reggio Emilia, 9 giugno 2008). 164. Avvocato – Norme deontologiche – Doveri di correttezza e lealtà – Violazione – Rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale influenti sul rapporto professionale – Fattispecie. Viola gli artt. 22, 10, 35 e 36 c.d.f. l’avvocato che intervenga quale legale di fiducia nella controversia familiare che il proprio assistito abbia in corso con la moglie, intrattenendo una corrispondenza con il collega di controparte al fine di far trascorrere il tempo necessario a consentire al cliente medesimo, per mezzo di alienazione ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello effettivo in favore di una S.p.A. amministrata dalla figlia del professionista il quale altresì risulti titolare di quote societarie, di disfarsi dell’immobile che costituisca la residenza familiare nella quale abitino con il coniuge le figlie minori, così da un lato prestandosi a sottrarre a minori l’unica fonte di possibile soddisfazione del loro diritto di credito alimentare verso il padre naturale, e quindi a vanificare la concreta possibilità di soddisfazione del credito alimentare e del loro diritto di abitare nella casa familiare, e, dall’altro, consentendo alla predetta società, nella quale l’incolpato coltivi evidenti interessi patrimoniali, di acquistare l’immobile descritto ad un corrispettivo vantaggioso, così tenendo un comportamento contrario ai doveri deontologici che si colloca agli antipodi della correttezza e della lealtà anche nei confronti del collega di controparte. 18 giugno 2010, n. 42 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BORSACCHI – P.M. MARTONE (non conf.) – avv. L.B. (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Verbania, 21 luglio 2008) 165. Avvocato – Procedimento disciplinare – Procedimento dinanzi al C.d.O. – Provvedimento di archiviazione – Natura decisoria e definitiva – Esclusione – Revocabilità – Successivo esercizio azione disciplinare – Ammissibilità – Violazione principio ne bis in idem – Insussistenza. Avvocato – Procedimento disciplinare – Decisione del C.d.O. – Notifica del provvedimento all’interessato – Termine di 15 giorni ex art. 50 r.d.l. n. 1578/1933 – Natura 354 Rassegna Forense – 2/2010 Parte Seconda – Giurisprudenza ordinatoria – Violazione – Conseguenze – Spostamento dies a quo impugnazione. Avvocato – Norme deontologiche – Principi generali – Doveri di competenza e diligenza – Attività priva di legittimazione – Violazione. Il provvedimento di archiviazione dell’esposto, con il quale il C.d.O. delibera di non esercitare l’azione disciplinare e, dunque, di non celebrare il relativo procedimento, siccome privo del carattere di decisorietà, e quindi della definitività in quanto assunto “allo stato degli atti”, non da luogo a preclusioni di alcun genere, ma è sempre revocabile sulla base di nuovi accertamenti, onde tollera un successivo esercizio dell’azione da parte del Consiglio senza che in alcun modo possa configurarsi violazione del principio generale del ne bis in idem. La mancata osservanza del termine di 15 giorni previsto dall’art. 50 del r.d.l. 27.11.1933 n. 1578 ai fini della tempestiva notifica della decisione all’interessato non determina nullità alcuna, trattandosi di termine ordinatorio, unica conseguenza del ritardo essendo il semplice spostamento del dies a quo per l’eventuale impugnazione. Pone in essere una palese e grossolana violazione del dovere di competenza l’avvocato che, senza essersi preventivamente costituito in giudizio, svolga in pendenza di questo attività processualmente rilevante, quale quella di revoca e nomina dei consulenti tecnici di parte, in forza di due mandati ad litem idonei ad assumere una qualche rilevanza nel solo rapporto interno tra cliente e professionista ma certo inidonei a soddisfare i requisiti di cui all’art. 83 c.p.c. Competenza e diligenza costituiscono presupposti impliciti dell’attività professionale. Mentre la diligenza, espressamente richiamata anche dalle norme sul mandato, assicura la qualità della prestazione dovuta, la competenza tende ad affermare la legittimazione specifica dell’attività professionale richiesta dalla parte assistita. E se l’avvocato che svolge il mandato con incuria e mancanza di attenzione viola il principio fondamentale della deontologia forense, intesa come “scienza del dovere” ovvero come “etica professionale”, il riferimento alla “adeguata competenza” contenuto nell’art. 12 del c.d.f. consente una valutazione della capacità sostanziale usata dal professionista nei confronti del cliente. 18 giugno 2010, n. 43 – Pres. f.f. VERMIGLIO – Rel. BONZO – P.M. IAN(conf.) – avv. A.C NELLI (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca, 19 settembre 2008) Rassegna Forense – 2/2010 355