Oriente in Occidente: culture, regole, progresso civile

Oriente in Occidente: culture, regole, progresso civile
dott. Aloisio Tonolini
sabato 24 agosto 2002
Il tema che vogliamo affrontare è uno dei nodi mondiali. Ciò che dobbiamo cercare di
capire all’interno di questo percorso dentro e oltre l’Occidente, è sintetizzabile nella
domanda “come si fa a vivere dentro una società multiculturale”? Per poter fornire
qualche risposta è necessario chiarire alcuni concetti per non confondersi.
Società multiculturale: una società nella quale sono compresenti culture diverse.
Intendiamo oggi una società multiculturale perché in Italia sono presenti culture diverse
dalle nostre (legate soprattutto ai processi migratori). Ma la nostra non è una società
multiculturale solo per i processi migratori, ma perché siamo ormai in una società
globalizzata (basta vedere i canali satellitari TV). I nostri stili di consumo, i nostri valori,
vengono in buona parte dall’America; i prodotti vengono da tutto il mondo. Siamo in una
società multiculturale perché siamo in una società globale, non per i flussi migratori.
Il come vivere in una società di questo tipo, è legato al come si fa ad essere cittadini
planetari. La società italiana si è percepita come società multiculturale a causa della
presenza di culture, stili di vita altri. Una società di questo tipo non può essere scelta;
non si può scegliere di vivere in una società non globale. Per cui anche i termini come
“no-global” sono insensati. Anzi; noi cristiani dovremmo volere più degli altri la
globalizzazione perché ci permette di essere veramente tutti fratelli.
Come si può governare una società di questo tipo (dal passaggio di fatto al progetto). Ci
sono due approcci:
 assimilazionista (usato soprattutto dai francesi): è un processo per cui si chiede
all’immigrato di assimilarsi alla nostra cultura e società. Si chiede di diventare uno di
noi. Non c’è nessun confronto tra le culture: “ti spogli di te stesso e diventi uguale a
noi, tranne a casa tua nel privato”.
 pluralista (o comunitarista; approccio anglosassone): ogni cultura ha diritto di
rispettare il proprio stile ma all’interno della propria comunità. Ci sono regole
comuni e poi tante isolette. Basti pensare ad un condominio e la sua assemblea, dove
rispettando delle regole comuni, ognuno può fare quello che vuole. In questa società
ci sono delle regole comuni (solitamente definite dai più forti) e poi ognuno è libero.
Appartiene a questa logica l’idea che ogni comunità possa essere rappresentata
all’interno della comunità civile (associazioni, liste di immigrati ecc.) in modo che
possano partecipare alla definizione di alcune regole comuni.
In entrambe i modelli colui che è autoctono (che abita da molto tempo dal luogo), non
viene quasi mai interpellato dalla nuova realtà.
Termine integrazione: viene usata spessissimo in modo sbagliata. Ci sono tanti tipi di
integrazione: nei confronti degli immigrati si chiede la culturale (che dovrebbe essere
l’unica non chiesta), e si rifiuta quella economica e politica. In una società ognuno
partecipa alla definizione di quali sono gli obiettivi e gli strumenti della comunità.
Tranne gli immigrati che però contribuiscono con il loro lavoro a creare ricchezza in
quella comunità. Noi invece chiediamo l’integrazione culturale, che è quella che non
potremmo chiedere; eppure rifiutiamo l’integrazione con i diritti. Posso darti per cui
integrazione sociale se prima c’è integrazione culturale (prima ti converti a noi e dopo ti
do integrazione sociale).
Non bisogno assolutamente confondere poi l’idea di Occidente e Cristiano; Gesù è stato
occidentalizzato da noi così come ha fatto ogni civiltà. I missionari non portano
l’Occidente ma Gesù.
Noi possiamo vivere nella stessa società pur avendo interessi e bisogni diversi già tra di
noi. C’è conflitto ma non pretendiamo di omologarci tutti ad uno.
Esempio della maestra di La Spezia che ha tolto il crocifisso dalla classe dove arrivavano
bambini arabi. L’errore è stato cercare di creare un luogo d’incontro togliendo anziché
aggiungendo. E’ aumentando, mettendo ricchezza che si crea un luogo per l’incontro.
Nello spazio neutro non si crea un luogo per l’incontro ma un luogo dove tutti vogliono
fuggire. Nel palazzo di vetro, c’è un luogo di meditazione dove ci sono simboli di tutte le
religioni. Se io voglio incontrare l’altro devo creare un luogo ricco non povero. La
situazione più ricca è quella dove c’è la possibilità per tutti di avere ciò di cui abbiamo
bisogno ma c’è anche la possibilità per tutti di provare l’esperienza dell’altro.
Per cui chiediamo l’integrazione culturale ma rifiutiamo quella sociale. In una società
multiculturale di questo tipo il tentativo di rispondere a come fare per vivere insieme, il
multiculturalismo è diventato molto soft; si sta cercando di costruire luoghi d’incontro
nei quali le persone possano relazionarsi secondo la logica dell’identità/differenza. Ci si
scopre, riconosce, rispetta differenti, ma come differenti si percepisce il fatto che
grazie al fatto di essere differenti si può avere un obiettivo comune. Sentiamo parlare
molto di identità solo adesso che ci si è incrociati con una differenza (e ci si chiede
allora chi siamo noi). Va bene avere un’identità, ma questa viene percepita come chiusa
o come pura ricerca “archeologica” (come per i celti), di quello che noi siamo. Ma la
vera identità viene scoperta solo con l’incontro con l’alterità. Capiamo e scopriamo noi
stessi solo incontrando l’altro. Mi definisco come identità in relazione con la differenza
dell’altro. E la prima differenza dalla quale abbiamo da apprendere per la nostra
identità, è quella di genere (maschile/femminile). Anche la democrazia sarebbe sterile
e inutile senza differenze. La democrazia è il luogo nel quale le differenze si incontrano
e si relazionano. Lavorare nel campo identità/differenza significa oggi difendere la
democrazia.
Quando parliamo di società multiculturale noi mettiamo in discussione due elementi: ci
sono non solo differenze culturali nelle nostre società, ma ci sono anche differenze
economiche. E’ molto facile usare la dimensione culturale per coprire quella economica.
Spesso i conflitti sociali ed economici vengono trasformati in conflitti culturali. E questo
serve anche per coprire e negare un conflitto sociale che c’è e non si può nascondere.
Usare le distinzioni culturali per nascondere conflitti sociali ed economici, è una prassi
comune in Italia.
Una società multiculturale è votata al fallimento se non costruisce un progetto che la
superi. Le identità e le differenze che si confrontano, per confrontarsi veramente hanno
bisogno di avere un obiettivo futuro rispetto al quale siamo tutti stranieri. L’obiettivo di
una tale società è di costruire una casa comune che faccia sentire a casa sia me che chi
è casa come me. E questo non dobbiamo costruirlo solo perché ci sono tante culture, ma
perché siamo in un mondo globale che oggi chiede una definizione di cittadinanza
planetaria, rispetto al quale ognuno è straniero. E questa è la vera scommessa per il
futuro: come costruire una cittadinanza a livello planetario, in cui ognuno si senta a
casa. Ci giochiamo la costruzione di una città comune che non è la nostra attuale, ma è
una città nella quale ognuno deve sentirsi a casa; una costruzione nella quale tutti sono
chiamati a contribuire. Non sappiamo cosa ne verrà fuori, però mettersi in cammino è
obbligatorio.
pensieri sparsi in risposta ai gruppi
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Se il pensiero del liberismo ritiene che tutto può muoversi liberamente nel mondo,
perché non possono muoversi le persone? Perché siamo liberisti a casa d’altri ma mai
a casa nostra?
Come società dobbiamo però fare i conti con la storia migratoria italiana all’estero.
La parola tolleranza è condizione necessaria ma non sufficiente per costruire una
società democratica. Non è sufficientemente costruttiva.
Negli ultimi 10 anni, è diminuito il numero dei reati, ma è aumentata la percezione
di insicurezza sociale. Ci si sente insicuri perché mancano legami sociali.
La nostra identità è cambiata nel tempo, non è stabile. Come individui, persone
(grazie alla relazione e l’incontro con l’alterità). Ma relazionarsi con gli altri non è
significato perdere la propria identità, ma costruirla ogni giorno. Costruiamo
qualcosa di diverso, insieme. L’identità è una fluidità.