Memorie a stato solido

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ITI OMAR Novara
Memorie a stato solido
Memorie a stato solido
Le memorie dette “a stato solido” attualmente utilizzate nei sistemi di elaborazione
dati sono essenzialmente di tre tipi: magnetiche, ottiche o a semiconduttore.
1 - Memorie magnetiche
Le memorie magnetiche - quali ad esempio le musicassette e le videocassette –
memorizzano i dati sotto forma di differenti intensità di magnetizzazione dei micro-granuli di
polvere di materiale ferromagnetico (generalmente ossido di ferro o di cromo) annegati
all’interno del nastro di materiale plastico che fa da supporto. La magnetizzazione (scrittura)
e la lettura del nastro avvengono mediante un trasduttore magnetico costituito da un
avvolgimento di sottili fili di rame
attorno ad un materiale magnetico
dolce (testine). La scrittura delle
tracce deve avvenire dopo la
completa
cancellazione
della
precedente
magnetizzazione
mediante un’apposita testina.
Le memorie magnetiche
quali le musicassette e le
videocassette sono però di tipo
“analogico”, ovvero permettono di
memorizzare i brani musicali
P. De Vittor
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direttamente tramite differenti intensità di magnetizzazione del supporto. Le memorie
magnetiche utilizzate nei sistemi di elaborazione dati sono invece di tipo “digitale”, ovvero
necessitano di memorizzare solamente due livelli logici, realizzati da due differenti direzioni
di magnetizzazione dei micro-granuli di materiale ferromagnetico. Infatti, per i primi personal
computer (si ricordi i “gloriosi” VIC20 o i Commodore 64), si utilizzarono le cassette a nastro,
impiegate proprio in modalità digitale per la memorizzazione dei programmi.
Attualmente, invece, i supporti utilizzati per le memorie magnetiche di tipo digitale
sono esclusivamente a disco, come ad esempio i floppy-disc (i primi erano da 8 pollici di
diametro, i successivi da 5” e i più recenti da 3,5”), i dischi “Zip” da 3½” e i dischi rigidi (hard
disk) inizialmente da 8”, poi da 5” e oggi anche da 2½” per i PC portatili.
Nei dischi floppy il supporto è costituito da un disco di materiale plastico morbido (da
cui la denominazione di “floppy”) in cui è annegata una sottile polvere di materiale
ferromagnetico, mentre negli hard-disk il materiale ferromagnetico è depositato sotto forma
di sottilissimo strato sulla superficie di un disco metallico.
In un hard-disk – proprio per consentire
elevate capacità di memorizzazione – si
utilizzano non solo entrambe le facce del
disco, ma anche più dischi sullo stesso asse,
ciascuno con due testine.
Il progressivo miglioramento della tecnologia
costruttiva ha infatti permesso di passare dal
megabyte di capacità dei primi HD degli anni
’80 alle varie decine di gigabyte degli attuali
hard-disk.
Nei sistemi di elaborazione, se si volevano memorizzare in maniera permanente
piccole quantità di dati o parametri di configurazione da modificare solo periodicamente
evitando il ricorso agli hard-disk (costosi, ingombranti, avidi di corrente e sensibili alle
vibrazioni) si potevano utilizzare le memorie a nuclei di ferrite, che utilizzavano delle
minuscole “perline” (toroidi) di materiale ferromagnetico attraversate da fili di rame per la
scrittura e la lettura dei dati.
Con questa tecnica si raggiungevano però
densità limitate (al massimo qualche Kilobit, ovvero
poche centinaia di byte) e veniva richiesta un’ampia
area di circuito stampato. Si avevano però alcuni
vantaggi derivati dal fatto di avere una memoria
permanente esente da parti meccaniche in movimento,
e quindi ad elevata velocità di accesso (non vi è da
attendere il posizionamento della testina magnetica né
la rotazione del disco), non soggetta ad usura a lungo
termine nonché insensibile alle vibrazioni e agli urti: in
altri termini più affidabile e decisamente più veloce.
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2 – Memorie ottiche
Le memorie ottiche (Compact-Disk o CD e
Digital Versatile Disk o DVD) sono quelle introdotte più
recentemente sul mercato (anni ’90) e si sono potute
imporre solo grazie all’impiego del laser (la “luce” che
viene impiegata per la lettura e la scrittura del
supporto) e delle tecniche di “digitalizzazione” del
suono. In altri termini, mentre le memorie di tipo
magnetico possono esser di tipo sia analogico che
digitale, le memorie ottiche sono esclusivamente di tipo
digitale.
Nelle memorie a disco ottico la
memorizzazione avviene effettuando dei
piccolissimi “fori” sulla superficie di un sottile
strato di alluminio annegato all’interno di un
materiale plastico che fa da supporto del disco
stesso. I minuscoli fori vengono realizzati
vaporizzando l’alluminio tramite impulsi di luce
laser all’infrarosso, generata dalla testina di
scrittura del “masterizzatore”, che è il nome del
drive in grado di scrivere i CD.
3 – Memorie a semiconduttore
Mentre le memorie magnetiche e ottiche sono tutte di tipo permanente, le memorie a
semiconduttore (che possono essere realizzate sotto forma di circuiti integrati) possono
essere permanenti oppure temporanee. Sono infatti temporanee se sono in grado di
mantenere i dati memorizzati solo fino a quando sono alimentate, mentre non appena viene
tolta la tensione di alimentazione esse
perdono totalmente il loro contenuto;
memorie a semiconduttore
in questo caso si usa dire che si tratta
di memorie “volatili” (la volatilità è
riferita al contenuto), mentre quelle
memorie
memorie
permanenti
sono
dette
anche
non-volatili
volatili
memorie “non volatili”.
(ROM)
(RAM)
Quelle di tipo non-volatile
sono in grado di
perdono i dati
vengono comunemente classificate
mantenere i dati
memorizzati se viene
memorizzati in
tolta la tensione di
come memorie ROM, ovvero Readmaniera permanente
alimentazione
Only Memory (memorie a sola
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lettura), mentre quelle di tipo temporaneo (memorie volatili) vengono classificate come
memorie RAM, ovvero Random-Access Memory. Si noti che – contrariamente alle ROM - il
nome di RAM (letteralmente “memoria ad accesso casuale”) non ha alcun riferimento con la
permanenza o meno dei dati, bensì con la modalità di accesso ai dati presenti in memoria;
infatti, mentre nelle memorie a nastro l’accesso ai dati è necessariamente di tipo sequenziale
(prima di raggiungere un certo dato devo “far scorrere” i dati precedenti fino a raggiungere la
posizione voluta), nelle memorie a semiconduttore è invece possibile raggiungere
direttamente i dati richiesti semplicemente impostandone l’indirizzo (di riga e di colonna) in
maniera immediata, consentendo in tal modo che l’accesso ai dati possa avvenire in maniera
“casuale” anziché “sequenziale”.
3.1 – Memorie non-volatili
Nelle memorie a sola lettura di tipo ROM i dati non devono rimanere memorizzati in
maniera permanente, e devono essere mantenuti anche in assenza di alimentazione. Le
ROM possono essere di due tipi, a seconda che vengano “scritte” dal costruttore oppure
dall’utente. Nel primo caso l’utente invia al costruttore la struttura dei dati da memorizzare
per mezzo di un idoneo supporto (ad
memorie ROM
esempio un CD) e la società di
semiconduttori provvederà a “scrivere”
l’array di memoria. Nel secondo caso
programmate
programmabili
le memorie vengono programmate “in
in fabbrica
dall’utente
casa” dall’utente che le acquista
(mask-ROM)
(fuse-PROM)
“vergini”. Nel primo caso si parla di
il costruttore
con un apposito
ROM vere e proprie, mentre nel
personalizza un array
programmatore
secondo
di
PROM,
ovvero
prediffuso tramite
vengono bruciati dei
Programmable ROM.
Anche se è
metallizzazione
mini-fusibili
indubbiamente più comodo “scrivere” le
ROM in casa, il ricorso al costruttore è conveniente
nel caso di grossi volumi produttivi.
Le ROM posseggono una struttura interna
abbastanza semplice, riconducibile allo schema di
principio riportato nella figura a lato. In una ROM,
infatti, gli “zeri” e gli “uno” logici vengono ottenuti
cortocircuitando alcuni “incroci” fra le righe e le
colonne di un array di connessioni interne.
Per fornire l’indirizzo della linea desiderata si
applica un livello logico alto (5 Volt) alla riga R
selezionata, per cui fluirà corrente attraverso uno o
più resistori alla base delle colonne a seconda della
posizione dei nodi che sono stati programmati.
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In fabbrica i nodi vengono ottenuti tramite
“metallizzazione”,
ovvero
interconnettendo
opportunamente tramite sottilissime piste di
alluminio (vedi figura a lato) una matrice di
connessioni preesistenti. Le memorie di questo
tipo vengono anche dette “mask-ROM”, poiché la
personalizzazione delle interconnessioni viene
realizzata tramite “mascheratura”, con un
processo di tipo fotolitografico.
Nel caso invece delle PROM (che possono venir programmate dall’utente)
l’operazione di personalizzazione deve essere fatta attraverso un apparato chiamato
“PROM-programmer” il quale, partendo da una memoria PROM “vergine” memorizza la
mappa di zeri e di uno tramite la bruciatura di mini-fusibili interni, da cui il nome di “fusePROM” per questo tipo di memorie.
La
struttura
interna è simile a
quella delle maskROM, con la differenza
che - quando vengono
vendute - tutti i nodi di
interconnessione rigacolonna dell’array di
memoria sono attivi, e
con
l’azione
di
bruciatura di alcuni
fusibili si interrompono
le
connessioni
indesiderate
e
si
lasciano quelle che
riproducono la struttura
dei dati richiesta.
Si tenga conto del fatto che i fusibili a seconda che rimangano integri o vengano
interrotti provocano l’interdizione o la saturazione di altrettanti transistor, il cui stato logico
verrà poi letto e interpretato da un apposito circuito che in tal modo decodificherà la “mappa”
(e quindi il contenuto) della memoria.
Curiosamente, uno degli ambiti applicativi in cui si è registrato il maggior impiego di
memorie ROM è stato il settore dei videogiochi, che ha richiesto memorie mask-ROM di
ampia capacità (svariati megabyte). Il principale impiego delle ROM e delle PROM ha
riguardato comunque la memorizzazione dei programmi per le schede a microcontroller in
settori quali il le comunicazioni, il controllo industriale e la strumentazione elettronica.
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Nel caso in cui però l’utente abbia la necessità di modificare i dati memorizzati sorge
la necessità di sostituire il chip di memoria, senza la possibilità di modificarne il contenuto.
Ecco allora l’esigenza di far sì che le PROM divengano non solo programmabili dall’utente,
ma anche modificabili successivamente. Nacquero così le EPROM, ovvero le ElectricallyProgrammable ROM. La tecnica per rendere cancellabili e nuovamente riprogrammabili le
EPROM dovette però far ricorso ad una tecnologia differente: non più fusibili bensì porzioni
di conduttore elettricamente isolati in grado di trattenere gli elettroni.
In poche parole
la
tecnica
è
la
seguente (si veda qui a
lato la sezione della
cella di memoria): si
utilizza uno strato di
materiale
conduttore
(tipicamente alluminio,
silicio policristallino o
un siliciuro) “annegato”
entro
un
isolante,
ovvero racchiuso entro
due strati di ossido di silicio, uno più spesso ed uno, sottostante, molto sottile; lo strato
conduttore annegato nell’ossido viene detto “floating gate” (gate flottante).
Per “scrivere” il bit da memorizzare nella cella si fornisce tensione al transistor Mosfet
di tipo sottostante (ovvero si applicano +5V fra drain e source) dopodiché si polarizza
l’elettrodo di gate con una tensione Vgs sufficientemente elevata (anche qualche decina di
Volt) da costringere gli elettroni che transitano nel canale fra drain e source a “perforare” per
effetto tunnel la sottile barriera di ossido isolante e raggiungere lo strato di gate flottante. Gli
elettroni, raggiunto questo strato, vi rimangono confinati in quanto non sono in grado di
proseguire verso il gate sovrastante a causa del maggior spessore dell’ossido. Una volta
tolta la tensione di programmazione, gli elettroni rimarranno intrappolati all’interno del gate
flottante grazie all’elevatissima resistività dell’ossido, che è in grado di garantire una “data
retention” di molte decine di anni.
La lettura del contenuto della cella viene effettuato polarizzando normalmente il
transistor, applicando una tensione di 5V fra gate e source e leggendo la tensione in uscita:
se il gate flottante non contiene elettroni il Mosfet sarà in conduzione, mentre se lo strato di
conduttore annegato nell’ossido contiene elettroni il Mosfet risulterà interdetto, a causa della
maggiore tensione di soglia di gate necessaria per la conduzione.
La cancellazione di questo tipo di memorie può essere fatta rendendo conduttivo
l’ossido di silicio, ciò che si ottiene illuminando la superficie del semiconduttore con raggi
ultravioletti sufficientemente penetranti (a corta lunghezza d’onda) per una durata di una
decina di minuti. L’azione dei fotoni ultravioletti riduce l’energia di soglia della barriera di
potenziale esistente fra polisilicio e ossido, consentendo la dispersione degli elettroni anche
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senza sottoporre a tensione la cella di memoria.
Tale tecnica di cancellazione richiede però che il
chip di memoria sia accessibile esternamente
tramite un’apposita finestra di materiale
trasparente (normalmente quarzo), per cui
l’aspetto di tali memorie è quello visibile nella
figura a lato. La successiva riprogrammazione
della memoria avviene tramite impulsi elettrici
forniti da un comune PROM-programmer, del
tipo di quelli utilizzati per le memorie PROM.
Proprio per il particolare metodo di cancellazione a ultravioletti, queste memorie vengono
anche dette UV-EPROM.
Successivamente sono state sviluppate delle memorie il cui spessore dell’ossido era
tale da permettere non solo una programmazione, ma anche una cancellazione di tipo
elettrico, denominate EEPROM, da Electrically-Erasable PROM o anche E2PROM. Versioni
più recenti e più economiche (in quanto modificabili solo in blocchi o “pagine” e inoltre più
lente) sono le FLASH, oggi largamente utilizzate in prodotti quali i telefoni cellulari, le
fotocamere digitali, le Pen-Flash, i lettori di MP3 e prodotti analoghi.
3.2 – Memorie volatili
Molto spesso, nei sistemi di elaborazione dati, non è necessario utilizzare memorie
non-volatili, che richiedono appositi circuiti di programmazione, ma è sufficiente disporre di
memorie “transitorie” in cui immagazzinare i dati solo temporaneamente, come ad esempio
la memoria video, ovvero i dati che debbono essere visualizzati dal monitor, che debbono
essere disponibili solo quando il sistema è in funzione.
Queste memorie debbono inoltre essere di elevata densità e disporre di tempi di
lettura e scrittura sufficientemente brevi da poter gestire con adeguata efficienza i dati
necessari all’unità centrale di elaborazione. Ecco quindi il motivo per cui sono state
sviluppate le memorie “volatili”, appartenenti al gruppo
delle RAM.
Le memorie RAM possono essere di due tipi:
statiche o dinamiche. In quelle di tipo statico i bit 0 e 1
(zero e uno, che corrispondono a due livelli logici, a
tensione differente) vengono memorizzati saturando o
interdicendo (ovvero mandando in conduzione o
bloccando) i transistor interni, in maniera analoga a
quanto succede nei circuiti logici denominati “flip-flop” o
“latch”.
Nelle RAM di tipo dinamico, invece, l’uno logico viene ottenuto caricando un
minuscolo condensatore integrato (in realtà la capacità parassita di un transistor Mosfet in
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cui il dielettrico è costituito da ossido di
silicio e le armature da alluminio), mentre
lo zero logico viene fornito dal
condensatore scarico.
Vi è però un
inconveniente:
questi
minuscoli
condensatori tendono a scaricarsi in breve
tempo, e ciò poiché hanno capacità
bassissime, dell’ordine dei femtofarad
(ovvero 10-15 Farad) al fine di
massimizzare
la
densità
di
memorizzazione). Per evitare la perdita
dei dati memorizzati occorre quindi
provvedere a “riscrivere” periodicamente i dati, ovvero a ricaricare i condensatori a intervalli
regolari, ciò che richiede un “clock” ed un apposito circuito di ricarica che provvede a fornire i
necessari cicli detti di “refresh”. Per questo motivo queste memorie vengono dette
“dinamiche”, poiché se cessano i cicli di rinfresco i dati memorizzati vengono cancellati.
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