La stagione 2004-05 - Conservatorio della Svizzera Italiana

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Giuseppe Clericetti
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Nel grande Supermercato della Musica il reparto del Novecento è il più fornito. Il
cliente odierno vi può trovare un’offerta incomparabilmente più diversificata e
attrattiva di quella degli altri secoli musicali: non c’è che l’imbarazzo della scelta,
dai Kindertotenlieder fino a Jovanotti. Entriamo con il carrello della spesa e diamo
un’occhiata: dapprima gli autori che stanno ancora con un piede nell’Ottocento:
Mahler appunto, Reger, Richard Strauss, Busoni, Respighi, che non osiamo ancora chiamare dei nostri. Poi pian pianino Debussy e Ravel, e finalmente la «neue
Musik» (che buffo, anche nel reparto del Trecento ho trovato un’«Ars nova»). Belli i titoli: Espressionismo, Atonalità, Dodecafonia, Serialità, Minimalismo; e quanti
nomi: in ordine alfabetico Bartók, Berg, Berio, Boulez, Britten, Cage, Dallapiccola, Gershwin, Hindemith, Honegger, Ives, Kagel, K2enek, Ligeti, Lutoslawski,
´
Maderna, Messiaen, Milhaud, Nono, Orff, Penderecki, Poulenc, Prokofiev, Satie,
Schönberg, 7ostakovi1, Stockhausen, Stravinskij, Varèse, Webern, Weill, Xenakis,
è gustoso passarli in rassegna: i reparti delle epoche precedenti infatti non sono
corredati (come questi ultimi) da fotografie, né da interviste, dichiarazioni di appartenenze politiche, e preziose indicazioni per l’esecuzione delle loro composizioni.
È comunque imbarazzato, il solerte commerciante, a dover ospitare sotto lo stesso tetto Rachmaninov e Stockhausen: non parliamo poi dell’ingombrante presenza di altri generi, anche se posizionati più in basso, discosti: musica per il cinema
(muto e non), musica da intrattenimento, da ballo, music-hall, pop, rock, hard,
metal, techno, rap…
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Con buona pace di venditori e acquirenti, si sta sempre più facendo strada l’ipotesi che del Novecento musicale rimarranno e si ricorderanno soprattutto due elementi fondamentali: il jazz e la riscoperta della musica «antica». L’ipotesi è suggestiva (e anche provocatoria: e ciò è fonte di paradosso: essa non piace ai
«fondamentalisti» del Nuovo, che tuttavia, in quanto amanti della provocazione,
non possono, nel contempo, non amarla: rischiano così l’incoerenza, fenomeno
incompatibile con il fondamentalismo) e rischia di avverarsi. Di fatto, e tuttavia con
estrema cautela vista la pericolosa vicinanza con l’oggetto in questione, questo
proteiforme Novecento, possiamo innanzitutto affermare che il jazz è il vero, primo figlio del secolo, se considerato nella sua globalità geografica e storica: una
creatura particolarmente vivace e vigorosa, che – azzardo – percorre in cent’anni
le tappe che la Musica Colta Occidentale ha percorso in dieci secoli, e ci piace
pensare a un Medioevo del jazz, a una sua epoca d’oro, a un classicismo, a uno
spartiacque (Charlie Parker, il Beethoven del jazz?), a una sua crisi e atonalità,
quella del free jazz…
Inoltre non possiamo pensare all’attività musicale esercitata nel Novecento senza
prendere in considerazione la riflessione sulla musica dell’antichità, anch’essa
figlia del secolo appena trascorso, attraverso lo sviluppo delle ricerca musicologica e la conseguente applicazione delle varie prassi esecutive, che avvicinano i
vari repertori ai nostri orecchi, viepiù «storici»: è sintomatico notare a questo proposito in che maniera sia mutato, negli ultimi decenni, il significato dell’aggettivo
«antico» riferito alla musica, un chiaro riflesso sull’uso linguistico dell’allargamento del repertorio praticato: «antica» è risultata, successivamente, la musica prima
di Mozart – la musica prima di Bach – la musica prima di Monteverdi – la musica
prima di Josquin – la musica prima di…
Sommamente curioso è inoltre osservare i punti in comune tra la pratica jazzisti-
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ca e la prassi esecutiva dei secoli passati – soprattutto quella del Sei e Settecento – riportata in auge negli ultimi decenni: l’improvvisazione, alla base del jazz, così
come praticata dai continuisti nella realizzazione del basso; lo swing, modalità non
scritta ma entrata nella convenzione, esattamente come les notes inégales di Couperin & compagni; la jam-session, declinata come la ciaccona, ostinato ritmicoarmonico e supporto per l’improvvisazione di gruppo; l’uso di standard, temi
conosciuti e assimilati, come spunto per variazioni improvvisate, come la pratica
della diminuzione, esemplificata in numerosi trattati.
I due elementi evidenziati si rivelano importanti anche per i loro influssi sull’attività compositiva «colta». Sul primo fronte troviamo fin dagli anni Dieci una serie di
composizioni che presentano elementi jazzistici: è del 1917 Parade di Satie, dell’anno seguente Ragtime di Stravinskij; del decennio successivo i due concerti di
Ravel, la Création du monde di Milhaud, il Concertino e il Concerto per violoncello di Honegger, la Revue de cuisine di Martinů, la Sonata 1922 di Hindemith. Ciò
è del tutto inusuale, considerando che il jazz era allora ancora guardato come
qualcosa di selvaggio, esotico, e quindi inferiore; inoltre, prima delle tournée europee dei grandi jazzmen di colore, cioè prima degli anni Trenta, il jazz da esportazione si presentava spesso come semplice spettacolo da baraccone: nel Vecchio
continente arriva solamente qualche disco o qualche band minore, e si conoscono unicamente esperienze di consumo e di intrattenimento musicale ballabile:
shimmy, fox-trot, charleston, emulazioni spiritual, richiamo a motivi leggeri e di
successo. Vanno pure citati anche i casi inversi, quelli di jazzisti che adottano forme classiche, come le suites di Duke Ellington o l’opera Treemonisha di Scott
Joplin. Sull’altro versante, lo studio delle partiture dell’antichità, rivisitazione di
pagine antiche con l’applicazione della rispettiva prassi esecutiva, l’allargamento
del repertorio in seguito a nuove partiture riportate alla luce, l’uso di strumenti sto-
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rici hanno fecondato la creatività dei compositori, dalla stagione del Neoclassicismo fino a Michael Nyman che si è laureato con una tesi su Henry Purcell, e trasforma i grounds secenteschi in sequenze ripetitive, e Arvo Pärt che si nutre della linearità medievale, metabolizzandola genialmente. È forse la trasversalità (con
tutte le insidie in essa celate) la possibile nuova via da percorrere nel presente? È
quanto sembrano indicarci alcuni sentieri battuti proprio da artisti che dal Novecento hanno imparato il jazz e l’amore per l’antico (un esempio fra tutti, quello di
Uri Caine e dei suoi progetti orientati a Bach, Variazioni Goldberg, Beethoven, Diabelli, Schumann, Dichterliebe, Wagner e Venezia, Verdi, Otello, Mahler, Urlicht,
Toblach, Dark Flame).
In realtà il Novecento dovrebbe già essere musica antica, per gli orecchi dei fruitori del 2004: e siamo curiosi di riscoprire la sua musica proprio con gli strumenti
di lavoro che nel secolo scorso ci hanno aiutato per la messa in rilievo e la valorizzazione dei secoli scorsi: senza pregiudizi legati al genere, etichettato in alto o
basso, colto o di consumo, ci riavviciniamo oggi, grazie alla nostra rassegna concertistica, all’enorme repertorio ereditato, con l’indispensabile correttezza dello
studio musicologico e nel contempo con la libertà di esecuzione ereditata dai maestri dello swing…
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Giorgio Bernasconi
Nato a Lugano, si è diplomato in corno al Conservatorio G. Verdi di Milano. Ha
proseguito gli studi presso la Hochschule für Musik di Friburgo in Germania dove
ha studiato composizione con Klaus Huber e direzione d’orchestra con Francis
Travis, diplomandosi nel 1976.
È stato per anni animatore e direttore del Gruppo Musica Insieme di Cremona, con
il quale ha svolto un’intensa attività concertistica. Ha collaborato con la cantante
Cathy Berberian con cui ha effettuato numerosi concerti in Italia e all’estero.
Dal 1982 è regolarmente invitato a dirigere l’Ensemble Contrechamps di Ginevra
con il quale, oltre ad essere costantemente presente nelle più importanti sedi
concertistiche europee, ha effettuato tournées in Sudamerica, India, Giappone,
Russia.
Parallelamente a questa attività è spesso ospite di diverse orchestre italiane e straniere quali l’Orchestra della Svizzera italiana, l’Orchestra Sinfonica dell’Emilia Romagna «Arturo Toscanini», l’Orchestra Nazionale Belga, la Tokyo Symphony Orchestra, l’Orchestra Filarmonica di Radio France.
Dal 1999 si occupa dei concerti di musica da camera dedicati al repertorio novecentesco presso il Conservatorio della Svizzera italiana, dove è titolare dell’insegnamento della direzione d’orchestra per il repertorio contemporaneo.
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Domenica 14 novembre 2004
RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo, 17.30
Lou Harrison
Concerto, per violino e orchestra di percussioni
Marlène Prodigo, violino
Darius Milhaud
Concerto n. 2, per due pianoforti e percussione
Leonardo Bartelloni e Cristiana Nicolini, pianoforti
Jean Françaix
Divertissement, per fagotto e quintetto d’archi
Gabor Meszaros, fagotto
Bohuslav Martinů
Concerto, per clavicembalo e otto strumenti
Gianluca Petagna, clavicembalo
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Domenica 5 dicembre 2004
RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo, 17.30
André Richard
Musique de rue, per percussione, ensemble e nastro magnetico
Luciano Zampar, percussioni
Guo Wenjing
Concertino, per violoncello e ensemble
Giorgio Casati, violoncello
Francesco Hoch
Agli spettatori, per coro di voci bianche
Jean Absil
L’album à colorier, per coro di voci bianche e pianoforte
Coro di voci bianche Clairière diretto da Brunella Clerici
Jacques Ibert
Capriccio per dieci strumenti
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Domenica 23 gennaio 2005
RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo, 17.30
Carl Orff
Carmina Burana, per tre voci sole, coro, due pianoforti e percussioni
Coro Pro Arte di Losanna
diretto da Pascal Mayer
Brigitte Fournier, soprano
Thierry Dagon, controtenore
Michel Brodard, baritono
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Domenica 6 febbraio 2005
RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo, 17.30
Jean Françaix
Concerto, per chitarra e archi
Massimo Laura, chitarra
Alfred Schnittke
Sonata, per violino,archi e clavicembalo
Paolo Ghidoni, violino
Wladimir Vogel
Arpiade su testi di Hans Arp
per coro parlato, soprano e ensemble
Coro della Scuola Teatro Dimitri
Luisa Castellani, soprano
Preparazione delle voci e regia
Antonella Astolfi
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Domenica 13 marzo 2005
Massagno, Cinema Lux, 17.30
Ladislaw Starewicz
L’horloge magique
L’horologe magique, La forêt enchantée
Walt Disney
Four Alice Comedies
Alice in the Wooly West, Alice the Firefighter, Alice’s Monkey Business, Alice Helps the Romance
Musiche di
Paul Dessau
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Domenica 10 aprile 2005
RSI Lugano, Auditorio Stelio Molo, 17.30
Mathias Steinauer
TimeOutMachine, per ensemble, videoproiezioni e cd
Leóš Janáček
Rikadla canti infantili per coro da camera e dieci strumenti
Camerata Polifonica di Milano diretta da Ruben Jais
Animazione video a cura della SUPSI
Rudolf Kelterborn
Seismogramme, per 4 viole da gamba
Michael Jarrell
Abschied per pianoforte e orchestra da camera
Aki Kuroda, pianoforte
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Conservatorio
della Svizzera italiana
Il Conservatorio della Svizzera italiana nasce come Accademia di Musica della
Svizzera Italiana, nel luglio 1985, su iniziativa privata con lo scopo di offrire ai giovani ticinesi un insegnamento musicale qualificato, sia a livello professionale, sia
a livello amatoriale.
La sezione professionale raggiunge entro breve tempo un ottimo livello ottenendo già nell’aprile 1988 il riconoscimento dei suoi diplomi a livello federale dalla
Conferenza dei Direttori dei Conservatori Svizzeri. Segue il riconoscimento da parte del Cantone Ticino. Da allora il Conservatorio ha guadagnato prestigio, ha continuamente migliorato la qualità della formazione, diventando – grazie anche alla
fama dei suoi docenti – una meta per studenti provenienti da tutto il mondo: tra
gli studenti che hanno svolto i loro studi a Lugano troviamo giovani russi, giapponesi, coreani, statunitensi, australiani, argentini, colombiani, canadesi e naturalmente tanti europei, svizzeri e ticinesi.
Nel gennaio del 2000 è stato superato un traguardo importante con il riconoscimento provvisorio quale Scuola universitaria di musica, passo indispensabile per
poter offrire anche in futuro una formazione musicale professionale di livello internazionale. Un Dipartimento Ricerca e Sviluppo e un Dipartimento Servizi e Postformazione offrono inoltre agli studenti la possibilità di approfondire gli studi legati alla Psicologia, alla Fisiologia ed alla Pedagogia della musica, permettendo
occasioni di aggiornamento professionale in collaborazione con istituzioni prestigiose quali il Royal College of Music (Londra), la New York University (USA) e l’University of Michigan (USA).
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Jean Absil 1893–1974
Compositore e didatta belga nato nel 1893. Fu professore di fuga al Conservatorio di Bruxelles. Fondatore e redattore capo della
Revue Internationale de Musique, nel 1936 diede vita al gruppo dei giovani compositori «La Sirène». Dopo il 1929 Absil abbandonò
le brillanti realizzazioni per grande orchestra e concentrò l’attenzione sulla più impegnativa tecnica della polifonia da camera.
La cantata L’Album à colorier op. 68 è stata scritta, nel 1948, originariamente per orchestra utilizzando dei poemi d’Étienne de Sadeleer. È composta da 8 raffinate miniature ognuna caratterizzata da un colore. Elementi del suo linguaggio musicale più maturo sono
costituiti dalla sostituzione dell’intervallo di quinta, storicamente esausto, con quello di quarta. La tecnica contrappuntistica evita, ma
non radicalmente, le consonanze tradizionali.
Paul Dessau 1894–1979
Paul Dessau è una delle grandi figure della musica del Novecento, ancora poco conosciute. Forse per essere vissuto molti anni isolato
nella DDR, la Germania dell’Est; forse per essere considerato troppo spesso un semplice, efficace braccio di Bertold Brecht – con il quale collaborò alacremente a partire dai primi anni Quaranta ad Hollywood; forse per aver scritto una musica spesso dodecafonica, ma
sempre temperata da contaminazioni melodiche e tonali. Fu un uomo estremamente aperto e democratico, la cui poetica fu sempre improntata «a un profondo senso etico e sociale della musica, imperniato sui valori della solidarietà, dell’uguaglianza, della lotta contro
l’oppressione.» Partì da posizioni stravinskiane e hindemithiane – sempre entusiasta per un musica semplice, chiara, facilmente fruibile (Gebrauchmusik) – poi abbracciò il verbo di Schoenberg, che considerava «il padre della nostra arte contemporanea»; il maestro venerato al quale mai osò far vedere una sua composizione. Con l’avvento di Hitler, nel 1933, emigrò prima a Parigi (dove strinse una lunga amicizia con il massimo apostolo della dodecafonia: René Leibowitz), poi negli Stati Uniti, dove visse facendo il giardiniere, il copista,
e l’insegnante; e componendo per i film di Hollywood, sotto falso nome o in anonimato, una enorme quantità di colonne sonore. Nel
1948 ritornò a Berlino, dove proseguì l’intensa collaborazione con Bertold Brecht (Madre Coraggio, 1946; L’anima buona di Sezuan,
1948; La condanna di Lucullus, 1951) e dove il suo puro comunismo soffrì a contatto con il comunismo reale.
Nel 1928, dopo aver litigato con Bruno Walter all’Opera di Berlino, divenne direttore del teatro Alhambra: un luogo funzionale e pittoresco, dove compose ed eseguì molta musica per film muti. Tra questi alcuni capolavori di Walt Disney, Le quattro commedie di Alice, del 1928-29, e L’orologio magico (1928) di Ladislaw Starewicz. Una musica magica, misteriosa, contemplativa; suoni apparente´
mente semplici per tredici esecutori; un umile commento a squisiti cartoni animati – perle del grande Walt Disney – che ad un attento
ascolto riveleranno un’amorevole aura di leggerezza e contrappunto, melodia e grazia.
Jean-René Françaix 1912–1997
Come un vasto paesaggio, ogni secolo ha la sua precisa orografia. Del Novecento musicale sono famose le vette più fascinose e altere – sempre innevate da una bianca spuma di venerazione e gloria – molte montagne forse «minori», o nel loro discreto verde meno
visibili; ma quanto conosciamo dei promontori, delle vallate, delle dolci colline? Jean-René Françaix (Le Mans 1912 – Parigi 1997) di
questo ideale paesaggio è rappresentante di un aspetto sicuramente meno visibile, meno noto, probabilmente meno importante, ma
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non per questo inutile o superfluo. Ogni misura ha la sua dignità, ogni luogo la sua importanza, ogni particolare di quel vasto paesaggio la sua bellezza. Quando ascoltiamo le sue musiche, sempre tradizionali, solari e divertenti, abbiamo l’impressione di ascoltare una
voce spensierata, innocente, giovanile; una voce che non conosce le ansie, le angosce, le sperimentazioni, di molta musica del nostro
inestimabile Novecento. Come un felice cantore sperduto in un mondo di pensieri e meditazioni, approfondimenti e ricerche, la sua
musica è il gesto di un bambino che danza come un ruscello; è il movimento di una mano che assomiglia ad una farfalla; è lo sguardo di un occhio che non rileva nessuna atrocità. Ma, ben lontano dalle immense banalità della musica leggera – oggi una delle più
grandi industrie del mondo – le sue composizioni hanno sempre una sapienza indiscutibile.
Tra le sue numerose opere, il Divertissement per fagotto e quintetto d’archi e il Concerto per chitarra e archi, spiccano per freschezza, trasparenza, libertà. Il Divertissement, scritto durante la seconda Guerra mondiale, nel 1942, è tessuto in un linguaggio sonoro
che elude radicalmente qualsiasi dolore, tutte le preoccupazione, qualsiasi ansietà; la storia non esiste, il tragico presente non è contemplato; tutto è leggerezza, tutto è gioco: e il fagotto danza sopra il prato degli archi, le sue note staccate saltellano sulla giostra dei
violini, e ogni suono dei quattro tempi (Vivace, Lento, Vivo assai, Allegro) è un innocente divertimento. Più meditato lo squisito Concerto per chitarra e archi, in cinque parti (Allegro, Larghetto, Presto ma non troppo, Larghetto, Allegrissimo) dove il bambino Françaix
dialoga con un uomo anziano; e dove le nostalgie di una chitarra, non solo spagnola – dietro le grate arabescate di un fitto avorio profumato – sussurra i suoi antichi segreti ad un cuore amico e semplice.
Lou Harrison, 1917–2003
Lou Harrison è una delle grandi figure della musica negli Stati Uniti del Novecento. Nacque nel 1917 a Portland, nell’Oregon e studiò
con importanti musicisti: Cowell, Cooper, Schoenberg; visse a lungo nella sua vasta California, e dieci anni a New York – insegnando,
commerciando strumenti musicali, scrivendo brillanti articoli musicali, e dirigendo la prima esecuzione della Terza sinfonia di Charles
Ives – con il quale fu grande amico – dopo averne curato appassionatamente il manoscritto inedito. Viaggiò molto: nelle terre degli indiani d’America, nei remoti luoghi dell’estremo Oriente – così vicino all’estremo Occidente – in Corea, in Giappone, a Taiwan, dove studiò letteratura antica e gli inesauribili suoni delle tradizioni siamese e giavanese. Poi rientrò nella sua patria, da dove continuò a coniugare con inesauribile estro le immense memorie della musica Occidentale, con le ricche alchimie dei riverberi orientali. Amico fraterno
di John Cage – con il quale trasformava pentole e oggetti di ogni sorta in magiche percussioni – condivisero insieme l’amore per la sperimentazione, la passione per i suoni trascendentali, il disprezzo per l’accademismo. Nella sua lunga vita terrena forse ha amato queste mirabili parole di Robert Louis Stevenson: «Il desiderio è un telescopio meraviglioso». Come un Galileo dei suoni, Harrison spinse il
suo sguardo verso pianeti sonori inediti, galassie timbriche impensabili, costellazioni e firmamenti insieme avveniristici e arcaici in cui il
sistema temperato occidentale si dissolve in una polvere ritmica, magnetica e lunare.
Scrisse opere teatrali e balletti, opere per orchestra, per strumenti solisti e molta musica da camera. Ha creduto talmente al potere
delle percussioni che, per queste, arrivò a scrivere una fuga. Più spesso ha amato coniugare strumenti tradizionali con gli impulsi
imprevedibili dei suoi personali gamelan. Nel Concerto per violino con orchestra di percussioni, scritto nel 1959, (tre tempi divisi in
altri tempi: Allegro, Maestoso, Allegro vivace – Largo, Cantabile – Allegro, Vigoroso, poco presto), ha fatto danzare, intorno al gran-
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de totem del violino scolpito in tre soli intervalli melodici, agili e rarefatte figure delle sue variegate percussioni, in un rito senza confini, dove larghe onde tradizionali s’intrecciano a rarefatte spume orientali.
Francesco Hoch *1943
Nato a Lugano, Francesco Hoch si è diplomato in composizione con Franco Donatoni al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Ha
anche studiato canto, direzione d’orchestra e musica elettronica. A Darmstadt ha frequentato i corsi di composizione di Stockhausen e Ligeti. Compone dal 1968: musica da camera, solistica, vocale, per coro, orchestra, elettronica, per danza, teatro ed eventi multimediali. Ha ottenuto numerose commissioni e premi in Svizzera e all’estero. La sua musica si situa nell’ambito della musica radicale ed è caratterizzata da varie fasi che hanno toccato: l’«indeterminazione» (1968-1970), la «ricerca polidirezionale» (1970-1975), la
«musica figurale» (1975-1980), l’ «ostinato-variabile» (1980-1983), il «tempo della dissoluzione» (1983-1985), il «silenzio» (1985-1989),
le opere «postume» (1989-1993), la «critica dell’impietoso presente» (dal 1994).
Agli spettatori, 1974 – Composto a contatto con il coro di voci bianche «I Piccoli Cantori de la Turrita» , questo lavoro presenta alcuni aspetti dell’improvvisazione individuale all’interno di una collettività, intesi come stimolo per svolgere un’attività creativa da parte
di persone di qualsiasi età, formazione musicale e situazione sociale. L’intenzione didattico-pedagogica è dichiarata anche nel testo
dell’autore che funge da base per la composizione: «stIAMO feRMI guArdiAmO E AscOltiAmO / I mAEstrI prEsIdEntI pApÀ lE tI vU /
FiSCHiaNO SCeLGoNO LoRO / scEgliAmO cAntiAmO nOI / VOI vOI sEDUtI cI stAtE AscOltAndO / cAntAtE». FH
Jacques Ibert 1890– 1962
Jacques Ibert è un raffinato compositore che rappresenta il Novecento più moderato e «accademico». Contemporaneo di Honegger
e di Milhaud, si allontana da questi per una musica meno nervosa e ritmica, più semplice e sfumata. Un calmo dipinto di Sisley o di
Pissarro potrebbe rappresentarlo: ampi o brevi tocchi distribuiti con eleganza e grazia; una profonda prospettiva di ginestre e campi
che si incidono nell’emozione della mente; un lento fiume che raccoglie a sé prati, fiori, alberi, uomini; una gioiosa armonia di suoni
colorati che si moltiplicano in una sinfonia di forme; un vento profumato di primavera e menta; un orizzonte senza confini d’acque e
di stelle.
«La musica contemporanea non può limitarsi a vane combinazioni di timbri e di suoni, né piegarsi a non essere più un’arte espressiva, ma un semplice risultato di ricerche scientifiche. Ciò che è innanzitutto importante in musica, è la qualità del discorso; e il materiale, se deve essere nuovo, non può essere sufficiente a provocare l’evoluzione del linguaggio o della sintassi.» Lontano da qualsiasi sperimentalismo, ben distante da qualsiasi sterile «ricerca scientifica», così lo stesso Ibert ci spiega la sua avversione per un’arte
eccessivamente nuova. Ciò che importa per lui è solo la musica: in una forma ben costruita, che si ordina secondo un criterio consolidato e semplice. Autore gioioso e prolifico, collaboratore di Orson Wells per le musiche del suo splendido Macbeth, Ibert è certamente l’ultimo compositore impressionista.
Nel Capriccio, un’opera del 1938, una sinuosa arpa dialoga con la luce degli archi: su di un ampio prato di smeraldo farfalle variopinte volteggiano in arabeschi di cristallo; un velo di foschia trasparente avvolge ogni cosa; un remoto profumo di latte e di miele; potreb-
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be apparire un fauno, mentre l’acqua scorre tra le fronde; potrebbe apparire una ninfa, tra il fogliame di quel bosco vicino; il piede di
Apollo sembra sfiorare ogni cosa. Soprattutto, in questa antica arcadia, non c’è progresso, non c’è tecnologia, non c’è scienza, non
ci sono industrie. L’impressionista Ibert continua a sognare il suo utopico e magico sogno.
Leóš Janáček 1854–1928
Il cecoslovacco Leóš Janáček scrisse le splendide Rikadla, 19 Canti infantili per coro da camera e 10 strumenti, tra il 1925 ed il ’27. Aveva allora 73 anni. Come Monteverdi, come Verdi, come Strauss, anch’egli conobbe un’anzianità straordinariamente prolifica e felice. Fin
da ragazzo, aveva voluto studiare ed approfondire l’immenso folclore della sua terra; e il canto popolare e le sue inesauribili voci – dalle più umili alle più raffinate, dalle più nascoste alle più appariscenti – fu il tronco dal quale fiorirono i rami e i frutti delle sue inconfondibili opere. Se in quegli anni la cosiddetta modernità sembrava incarnarsi soltanto nel verbo imprescindibile dell’europeismo, dell’internazionalità, e di un ingombrante germanesimo, al contrario Janáček scoprì la sua personale modernità scavando tra i tesori della sua
Moravia: ispirandosi ai diagrammi sonori e alle intonazioni della lingua parlata, concentrandosi sulle inflessioni vocali delle persone più
semplici, dei contadini, dei vecchi, dei bambini; fino a scoprire in una fonicità arcaica, archetipica, il timbro selvatico di suoni unici ed
inediti – oltre la memoria, oltre il tempo. Prima di Debussy, così Janáček esplorò nuovi territori musicali, dove liberi concatenamenti armonici si succedono senza costrizioni tonali e ampie melodie navigano sopra un mare ritmico brillante e irregolare.
In questi Canti infantili, l’anziano Janáček riscopre la magia dell’infanzia. Riscopre la semplicità e spesso il non-senso di frasi che
appaiono come arcobaleni, di parole che decorano l’aria, di sillabe che, come aquiloni d’acqua, appaiono e scompaiono, sono e non
sono. Il fascino di filastrocche accompagnate da curiosi disegni: la felicità di una capra danzante; un cane disperato; una copiosa
raccolta di frutta; un contadino arrabbiato; il tuffo delle capre nell’acqua; la grazia, questa sera, di un cartone animato che accompagna una musica colorata, leggera, freschissima: come la presenza dei bambini, come l’inesauribile sogno dell’infanzia.
Michael Jarrell *1958
Nato a Ginevra, ha studiato composizione nella classe di Eric Gaudibert al Conservatorio di Ginevra e in occasione di diversi soggiorni negli Stati Uniti (Tanglewood, 1979). Ha completato la sua formazione alla Staatliche Hochschule für Musik di Friburgo in Brisgovia sotto la guida di Klaus Huber. Dal 1982 la sua attività di compositore è stata coronata da numerosi premi: Premio Acantes (1983),
Beethovenpreis della città di Bonn (1986), Premio Marescotti (1986), Gaudeamus e Henriette Renié (1988), Siemens-Förderungspreis
(1990). Tra il 1986 e il 1988 soggiorna alla Cité des Arts a Parigi e partecipa allo stage di informatica musicale dell’IRCAM. Nel 198889 gli è concesso il soggiorno a Villa Medici a Roma. Successivamente (1989-90) è membro dell’Istituto Svizzero a Roma. Dall’ottobre 1991 al giugno 1993 è compositore “in residence” dell’Orchestra di Lione. Dal 1993 è professore di composizione presso la
Hochschule für Musik di Vienna. Nel 1996 è accolto come compositore “in residence” al Festival di Lucerna.
Il concerto per pianoforte Abschied (2000/01) non è basato su alcuna ispirazione extra-musicale. L’idea iniziale è quella di una spirale che si sviluppa praticamente all’infinito. All’inizio, nel registro acuto, delle successioni di note percorrono diversi stadi di trasformazione venendo costantemente filtrate. Questo processo avviene a gran velocità e implica un notevole virtuosismo non solo da parte
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del solista. Il principio d’opposizione tra solista e orchestra, tipico del concerto, è mantenuto, anche se a volte il pianoforte è integrato nel tutti in forma di dialogo, come se solista e orchestra parlassero tra loro. Il pianoforte propone comunque tutta una serie di soluzioni che gli sono proprie, mettendo in atto una gran varietà di tecniche esecutive.
Buona parte dell’opera (nella sua prima versione per pianoforte e orchestra) era già completata quando il padre del compositore morì
improvvisamente. Questo avvenimento biografico determinò un cambio di direzione: le energie che si muovevano nel registro acuto
vengono convogliate verso il grave, il pezzo diventa lento, alla ricerca di profondità, e sfrutta soprattutto fenomeni di risonanza. La
musica tende progressivamente a sparire, un addio (da cui il titolo) dove la dimensione narrativa dell’inizio s’interrompe per lasciare
spazio alla riflessione, al silenzio, al ricordo.
Rudolf Kelterborn *1931
Rudolf Kelterborn è uno dei compositori elvetici più rappresentativi della scena contemporanea ed è tra i pochi a godere di una reale reputazione internazionale. Nacque a Basilea. Ha insegnato all’Accademia di Basilea, di cui fu anche direttore e poi anche al Conservatorio di Zurigo. È stato poi per numerosi anni direttore del dipartimento musicale della DRS e anche il redattore della Schweizerische Musikzeitung. Kelterborn ha fatto pure il direttore d’orchestra, dirigendo principalmente sue proprie composizioni e ha anche
scritto parecchio di musica, specialmente contributi di carattere analitico. Sono scritti che testimoniano bene il suo ampio orizzonte
culturale. E questo lo si vede anche nella sua produzione musicale, nelle scelte, negli indirizzi che essa manifesta, per esempio nella sua musica teatrale. Una delle cose più significative in questo ambito fu, nel 1974, la trasformazione in opera di un lavoro di Dürrenmatt, Ein Engel kommt nach Babylon, che fu un lavoro in cui lo stesso drammaturgo si mostrò disponibile a rielaborare il proprio
testo per renderlo adatto a questa nuova destinazione teatral-musicale.
Seismogramme è stata scritta nel 1992 per il Yukimi Kambe Viol Consort e fu eseguita lo stesso anno a Tokyo. Sul brano ecco il commento del compositore stesso:
«Mi ha sempre intrigato l’idea di comporre per strumenti storici, soprattutto per la delicatezza dei loro timbri (tra l’altro un brano per
voce solistica e strumenti rinascimentali in un organico piuttosto corposo, un brano per flauti a becco barocchi, ecc.). Il titolo
“Seismogramme” evoca naturalmente associazioni al sismografo, capace di registrare con estrema sensibilità le scosse (della terra).
I sette brevi movimenti in cui si articola la composizione sono in una certa misura da intendere come la sensibile registrazione di scosse emozionali; essi si svolgono per lo più in registri tenui, commisurati alle caratteristiche delle viole da gamba. Solo raramente (ad
esempio nel secondo e nel sesto) si giunge ad esiti violenti».
Bohuslav Martinů 1890–1959
È un compositore riccamente eclettico. Come la sua nazionalità cecoslovacca, la sua musica si è mescolata ad altre influenze, altri
paesi: la Francia, gli Stati Uniti, la Svizzera, l’Italia. Iniziò gli studi al Conservatorio di Praga, dove venne espulso due volte per indisciplina; suonò il violino nell’Orchestra Filarmonica Ceca, fino al 1923; e in quello stesso anno si trasferì a Parigi. Qui si legò ai surrealisti, condivise lo spirito ritmico, solare e sportivo del «Gruppo dei Sei», e rimase folgorato dai suoni di Stravinskij. Durante la secon-
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da Guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, dove rimase, con alcune pause, fino al 1953, scrivendo molta musica ed insegnando
all’Università di Princeton.
Prima del movimento sinfonico Rugby di Honneger, dimostrò le sue indiscusse doti orchestrali con la composizione Half-Time (1924),
che ispirandosi ad una partita a calcio ne rievoca liberamente lo sgambettio, le corse, la folla, i colori. Scrisse numerose opere: teatrali, sinfoniche, da camera, oratoriali. Mescolando, con tenue e misurata maestria, ogni sorta di linguaggio: dal folclore della sua
patria, ai ritmi del jazz, dalle melodie tradizionali ad un furore ritmico riccamente stravinskiano, sigillato da un’atmosfera gioiosamente neoclassica. Amò intensamente la poesia e la pittura, e agli splendidi affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo, dedicò una partitura d’orchestra calma e solenne, profonda e irreale. Mai credette ad un Novecento eccessivamente avanguardista e sperimentale;
(la punta della sua intemperanza giovanile si temperò presto nella moderazione della maturità). Se le forme della storia offrono già
tanto materiale, perché proiettare la propria mente verso un futuro nebulosamente rarefatto? Se le possibilità già esistenti sono così
numerose e ricche, perché costruirne delle altre? Come un acrobata sicuro, così camminò sulla corda del tempo, senza arrischiarsi
in funambolici salti mortali. Scrisse il Concerto per clavicembalo e orchestra da camera nel 1935, durante il suo periodo parigino. E
con il lievito neobarocco del clavicembalo – allora ritornato vivacemente in voga, grazie soprattutto ad una grande interprete come
Wanda Landowska – fece lievitare la farina degli archi in un pane di suoni morbido e saporito, dove l’impeto ritmico governa incontrastato e un pianoforte tra gli archi ne sollecita le felici vibrazioni.
Darius Milhaud 1892–1974
Fu uno dei compositori più prolifici della storia. Scrisse 12 sinfonie, 30 concerti per diversi strumenti, un numero sterminato di opere
teatrali, molta musica sacra, molta musica da camera, musica per sole voci, musica per radio; e, last but not least 18 quartetti per
archi! Un’aulica forma, questa, secondo quanto scrisse lui stesso «che porta alla meditazione, che induce a esprimere la parte più
profonda di se stessi, con dei mezzi limitati a quattro archetti». «Al tempo stesso una disciplina intellettuale e il crogiolo dell’emozione più intensa.»
Di famiglia ebraica, studiò al Conservatorio di Parigi e alla «Schola Cantorum» con Vincent d’Indy. Tra il 1917 ed il ’18 visse a Rio de Janeiro, come segretario di Paul Claudel, ambasciatore di Francia. E qui affondò le mani nel vasto patrimonio del folclore brasiliano, i cui
frutti maturarono sui lussureggianti rami danzanti, al vento di esotici ritmi, di una delle sue opere più celebri: il balletto Le bœuf sur le
toit. Ritornato a Parigi, fece parte del gruppo «Les Six», insieme a Auric, Durey, Honegger, Poulenc e Tailleferre; con i quali condivise la
profonda amicizia con Cocteau e Satie, l’impeto solare e infantile, l’amore per il movimento e per lo sport; il freddo e appassionato gusto per la politonalità, la poliritmia, in un linguaggio cristallino ed essenziale. Tra il 1940 ed il ’47 visse negli Stati Uniti, insegnando al Mills
College di Oakland, e amandone gli sterminati spazi. Ritornato a Parigi, divenne professore di composizione al Conservatorio.
Scrisse il suo Secondo Concerto per due pianoforti e percussioni nel 1961; sicuramente ispirandosi al famoso esempio di Bartók, ma
evitando qualsiasi banale influenza. In una giostra policroma di politonalità (autonome linee melodiche che si intrecciano) e di poliritmia (più ritmi combinati insieme) tre movimenti si inseguono in una felice caccia metafisica: una combinazione di strumenti solo percussivi che si trasfigura in una girandola di note aeree e sottili, pregnanti e invisibili.
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Carl Orff 1895–1982
Poche opere del Novecento, come i Carmina Burana di Carl Orff, conoscono una così vasta popolarità. Una musica semplice, monodica, fastosamente ritmica. Suoni medievaleggianti, incisivi, estremamente efficaci. Voci corali tessute su melodie romaniche o milismi gotici, che hanno il potere di affascinare e sedurre. «Può mandare al macero tutto quanto ho scritto finora. Con i Carmina Burana inizia la mia produzione.» Così lo stesso Orff scriveva al suo editore nel 1937, anno della composizione di questi mirabili canti.
Poco tempo prima aveva iniziato la sua attività di compositore credendo in una musica più sfumata e romantica, più intima ed elegiaca. Ma, a contatto con il nuovo universo neoclassico, presto si era orientato alla riscoperta e la rivisitazione dell’immenso patrimonio antico, soprattutto medievale e barocco: rielaborando molte opere di Orlando di Lasso, di Palestrina, dell’amatissimo Monteverdi. Poi, con l’avvento del regime nazista, fu uno dei pochi musicisti a rimanere nella sua Germania, iniziando a concepire, per la
nuova politica nazionalsocialista, una musica estremamente efficace e semplice: la musica, soprattutto, dei Carmina Burana. Una
cantata teatrale, in una introduzione e tre parti (Fortuna Imperatrix Mundi; I Primo vere; II In Taberna; III Cour d’amour), per tre voci
soliste, coro, due pianoforti e percussioni, su una scelta di testi profani in un latino tardo – screziato da curiose contaminazioni vernacolari e dialettali – e tratte da una raccolta di circa duecento poesie e canzoni, ritrovate nel 1803 nella biblioteca dell’antica abbazia di Benedictbeuren, nell’alta Baviera. Testi di monaci e chierici vaganti, ri-musicati e sintetizzati da Carl Orff in tre ampie sezioni: il
rapporto dell’uomo con la natura (Veris leta facies), in particolare la primavera; il rapporto dell’uomo con i doni della terra, fino alla
grande festa del vino (In taberna); il fascino ed il mistero dell’amore (Amor volat undique), il tutto incentrato intorno alla grande ruota
della fortuna (O fortuna, velut luna), la grande dea misteriosa che dà e toglie, rende ricchi e felici, o poveri e tribolati. In un linguaggio
musicale di estremo fascino, ordito in una scrittura felicemente stravinskiana, danzante e ritmica, elettrica e pregnante, dove grandi
blocchi sonori incedono sopra il teatro del tempo come giocosi e allegri giganti.
André Richard *1944
Drammaturgia: Musica di strada costituisce un corto dramma che mette in scena i seguenti protagonisti: un ensemble, un uomo-orchestra, i rumori della circolazione stradale ed un oscuro personaggio sconosciuto.
Punto di partenza: le forme commerciali e istituzionalizzate dell’arte, e più in particolare tutte le forme di diffusione della musica (concerti d’abbonamento, televisione, video, CD, pubblicità…) impregnano i consumatori di ciò che conviene scegliere. Le informazioni
canalizzate in vista del successo commerciale sommergono l’uomo e determinano così gran parte del suo comportamento. Nelle
grandi città, la circolazione è canalizzata nelle grandi arterie stradali e tutti i veicoli circolano nella stessa direzione. Ci sarebbe da
qualche parte, fuori dalla corrente, qualcosa da scoprire, da sentire e vedere. Ma non ci si arriva, il traffico canalizzato (dal valore simbolico) copre con il suo rumore l’ensemble di musicisti che resta al bordo della via principale. Ben inteso non si tratta di accordare la
priorità alla musica contemporanea. Lo scenario rappresenta semplicemente una situazione abituale con la quale ciascuno si trova
oggi confrontato o contro la quale bisogna lottare. La composizione mette in gioco diversi livelli di percezione. L’ensemble suona
simultaneamente in due ambienti acustici: in uno spazio aperto (nella strada; nastro magnetico) e in uno spazio chiuso (nella sala da
concerto), e crea, con l’uomo-orchestra itinerante in sala, una situazione multi spaziale e multi temporale. Nel corso del brano, appa-
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re poco a poco tra l’ensemble e la strada una sorta di lotta in cui a soccombere è l’ensemble. Alla fine, l’uomo-orchestra rimane l’unico sopravvissuto ma solamente per poco tempo. Con dei gesti bruschi e a scatti, suona ancora, evocando gli ultimi movimenti di un
manichino meccanico o di una marionetta, e si irrigidisce alla fine nel baccano del traffico. Il personaggio burlesco, apparentemente
libero, dell’ uomo orchestra, si rivela essere una marionetta diretta da forze esterne.
Il quarto protagonista, l’oscuro personaggio sconosciuto, che non appare nello scenario ma che, fin dall’inizio, partecipa all’evento
e lo manipola, è l’interprete che ha regolato il rumore della circolazione e che ha, in questa funzione, un significato simbolico forte.
Alfred Schnittke 1934–1998
Nel vortice e negli estremismi degli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, tutti i musicisti erano convinti che non si potesse concepire novità e bellezza senza purismo, senza rigore stilistico, senza ferrea coerenza e unità. Ogni forma di contaminazione, mescolanza di generi, eclettismo, era radicalmente bandita. Per una concentrazione stilistica che in quel tempo si credeva ineluttabile e sacra, tutto ciò
che si avvicinava alla storia, al passato, alle infinite forme della tradizione e del mondo, era visto come sciocco e impuro. Oggi, a più
di cinquant’anni da quelle eleganti superstizioni, il tempo ci ha di nuovo insegnato che non esistono rigide ricette per dar forma alla
bellezza, e che la creatività e la perfezione possono nascere in ogni forma, ogni circostanza, ogni mezzo e ogni luogo.
Alfred Schnittke, di origine russa ma poi residente in Germania, ad Amburgo, è stato uno dei massimi rappresentanti di questa nuova
creatività, riccamente eclettica. Egli credeva fermamente che «non è ciò che si fa che può essere nuovo, ma il modo di farlo. La personalità del compositore conta nuovamente. Occorre procedere a tentoni ed avere fiducia. Oggi contano le idee e i pensieri inaspettati...».
Pensieri e forme non prevedibili che nella sua mente si ordinano secondo un gioco fittissimo di contaminazioni e reminiscenze, metamorfosi e ritorni, nel cuore di quel concetto chiave che lui stesso ha chiamato «polistilistica». Un termine che per Schnittke non significa la somma disordinata di diversi stili, ma, al contrario, «la possibilità di portare ad espressione l’individualità del compositore con ogni
stile.» La Sonata per violino, archi e clavicembalo, scritta nella sua versione da camera nel 1968, da una prima versione per violino e pianoforte, è un fulgido emblema di questa sua cifra stilistica. Quattro agili tempi, Andante, Allegretto, Largo, Allegretto, in cui un’unica serie dodecafonica – ispirata ai più perfetti modelli di Webern – viene rivestita da una ricca metamorfosi, che sembra dissolversi nel vorticoso finale in una nuvola abbagliante di geometrie irrazionali. Un gioco sapiente di inusitate forme: dal calore del violino alla freddezza
del clavicembalo, dalle dolcezze delle triadi tradizionali ad aspri clusters (grumi di accordi), che apparendo in un eclettismo inusitato si
trasforma lentamente in un’imprevedibile e marmorea unità.
Mathias Steinauer *1959
Nasce a Basilea nel 1959. Studia pianoforte, composizione (con Robert Suter e rispettivamente con Roland Moser) e musicoterapia
presso l’accademia musicale a Basilea. Dal 1986 al 1988 studia composizione con György Kurtag a Budapest.
Dal 1986 è docente di teoria musicale, di musica da camera e di corsi sulla nuova musica e di composizione presso la Hochschule
für Musik und Theather di Zurigo (a Zurigo ed a Winterthur). Tiene conferenze e si esibisce presso numerose scuole universitarie di
musica e nell’ambito di diversi festival in Svizzera, Germania, Italia, Cechia, Russia, Ucraina, Azerbaigian, Bulgaria, Cina, negli Stati
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Uniti ed in altri paesi. Partecipa inoltre alle ISCM World Music Days 2001 in Giappone ed assume la carica di presidente e di direttore artistico dell’ISCM World New Music Days «trans_it»2004.
TimeOutMachine (2001/02) per ensemble da camera, videoproiettori (Reinhard Manz) e registratore. Fantasie musicali e visive sulla
pulsazione, sull’amore, sull’accecamento e sull’effimero (e temporaneo) desiderio di immortalare l’istante. Composto per l’Ensemble
TaG (Theater am Gleis) di Winterthur. La Rivoluzione industriale, tra le altre cose, ci ha procurato una lunga serie di nuovi rumori e ritmi regolari. L’avanguardia musicale non ha ignorato questa novità: mentre da un canto l’orecchio è teso ad ascoltare tutti questi nuovi rumori, d’altro canto dimentica gradualmente le pulsazioni regolari.
Strano: queste macchine pestanti sono in gran parte scomparse. Ciò nonostante non rimane quasi nemmeno un angolo del nostro
mondo che non sia invaso da pulsazioni sintetiche. Ed ancora, questo minaccioso continuo pestare meccanico, potrebbe legare l’industria della musica da intrattenimento con grandi sentimenti come la malinconia o l’amore… MS
Wladimir Vogel 1896–1984
Nato a Mosca il 29 febbraio 1896 da padre tedesco e da madre russa, dopo una prima fase di influenza skriabiniana Wladimir Vogel
si trasferì nel 1918 a Berlino dove fu ammesso nella classe di composizione di Ferruccio Busoni. La scelta di diventare allievo di una
figura illustre impegnata nell’affermazione della «nuova classicità» si iscrive nella consapevolezza di dover dominare le pulsioni passionali e soggettive della componente slava della sua personalità.
Negli anni berlinesi il suo linguaggio si aprì alla polifonia dissonante e politonale (Komposition für ein und zwei Klaviere, 1923), al
costruttivismo di brani quali l’Étude-Toccata (1926) esaltante i valori motorico-dinamici, con interesse spiccato per la ricerca espressiva sull’unione di cantato e parlato (Sprechlieder, 1922). L’affermazione di Vogel fu raggiunta con gli Zwei Etüden für Orchester (1930)
e col successivo oratorio Wagadu che non poté tuttavia godere della prima esecuzione berlinese a causa dell’avvento del nazismo
che lo costrinse all’esilio. In verità, oltre agli interessi per le ricerche avanzate (che lo avvicinarono al gruppo «Sturm» e alle esperienze del «Bauhaus»), egli fece parte della «Novembergruppe», importante per le implicazioni di impegno politico assegnate al compito
del moderno artista, che lo spinsero a comporre anche cori operai, fiancheggiando il movimento della «Kampfmusik». In quest’ambito egli venne a contatto con i gruppi che in Germania, sul fronte di sinistra, si distinguevano per l’uso del teatro e della canzone ad
uso propagandistico, quali «Der rote Sprachrohr», che si avvalevano in senso militante della tecnica del coro parlato.
Per quanto svolto come parabola del primato della forza spirituale interiore dell’uomo affermata al di là della portata del potere costituito nella società, l’uso da parte di Vogel di cori parlati in Wagadu (eseguito a Bruxelles nel 1935) non poteva quindi essere neutra, in una
congiuntura in cui i prodotti della creazione artistica erano chiamati in prima fila a sostenere l’urto della battaglia delle idee. Ancor più
segnati dagli eventi politici risultano i cori parlati che costituiscono l’ossatura di Thyl Claes, l’oratorio composto negli anni della guerra
sull’oppressione della Fiandra all’epoca della dominazione spagnola vista come metafora della resistenza al nazismo. In tal caso i cori
parlati traducono l’energia offensiva di un popolo accecato dalla propaganda che incalza i giudici ad infierire sugli eretici.
Tale lavoro fu composto quando il compositore aveva già trovato residenza in Ticino, prima a Comologno poi ad Ascona, dove ben
presto divenne un riferimento importante per la nostra vita musicale e dove maturò la sua adesione al metodo dodecafonico. Di que-
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sti due aspetti, della pratica del coro parlato e della dodecafonia, ne è testimonianza Arpiade, composta nel 1954 su poemi di Hans
Arp. Il musicista, che aveva già incontrato l’artista alsaziano negli anni di Berlino, lo conobbe e frequentò diventandone amico data
la comune residenza nel Locarnese. Anche come poeta il grande pittore ricerca l’astrazione, per cui la rarefazione sonora della scrittura dodecafonica in questa composizione si sposa efficacemente con le disarticolate combinazioni della parola. Destinando una parte dei testi alla voce cantata e un’altra al coro parlato, Vogel vi attua il tipo di funzionalizzazione della musica rispetto alla parola che
l’aveva già portato a formulare il genere del «dramma oratorio» in cui i diversi livelli di trattamento del testo sintetizzano le funzioni
narrativa, lirica e drammatica. Alla conduzione lineare del canto, di tipo addirittura arioso, si contrappone quindi la concitazione del
coro parlato articolato in quattro parti che Vogel, sollecitato dal surreale gioco con la parola attuato da Arp nelle sue poesie (parte in
tedesco e parte in francese), per la prima volta dirige verso soluzioni burlesche. In verità, quanto più le parti corali dal confronto con
la scrittura dodecafonica ricavano la logica dell’organizzazione contrappuntistica, così le parti strumentali sono indotte a trovare spunti ironici e scherzosi in un contesto linguistico apparentemente sfavorevole a tale obiettivo. Il fatto che Vogel vi abbia scelto la destinazione a flauto, clarinetto, viola, violoncello e pianoforte, cioè gli stessi strumenti impiegati da Schoenberg nel Pierrot lunaire mostra
l’intenzione programmatica di estendere il campo d’azione espressiva dello Sprechgesang.
La composizione ebbe la sua prima esecuzione a Baden-Baden nel 1955 nell’ambito del Festival della Società internazionale di musica contemporanea da parte dello Zürcher Kammersprechchor creato da Ellen Widman proprio per eseguire questo tipo di repertorio
a cui Vogel dette un impulso fondamentale. Carlo Piccardi
Guo Wenjing
Guo Wenjing è nato nel 1956 nel Sichuan, una provincia montuosa nel sud-ovest della Cina. Ha iniziato a studiare il violino da autodidatta all’età di 12 anni. Tra il 1970 e il 1977 è stato membro del Chongquing Song and Dance Ensemble, dove ha acquistato confidenza con la musica popolare del Sichuan. Guo Wenjing è stato ammesso al Conservatorio Centrale di musica di Beijing nel 1978
e vi si è diplomato in composizione nel 1983. Attualmente è membro dell’Associazione Musicisti Cinese, preside e professore di composizione al Dipartimento di composizione del Conservatorio di Musica di Beijing.
La prolifica produzione di Guo Wenjing include due opere da camera, una sinfonia corale, tre concerti, due poemi sinfonici e alcuni
pezzi di musica da camera. Inoltre ha scritto le musiche per venti film e venticinque telefilm. Dal 1985 la musica di Guo Wenjing ha
vinto numerosi premi nazionali in Cina. Sebbene viva e lavori a Beijing, i suoi lavori sono stati eseguiti in diversi festival. Inoltre ha
scritto musica per ensembles e orchestra tradizionali cinesi. Nel 1996 è stato invitato negli Stati Uniti come professore ‘ospite’ dall’Asian Cultural Council, affiliato del Rockefeller Brother Fund. È stato inoltre invitato come relatore dallo Swedish Royal Music Institute, dall’Università di Cincinnati – College Conservatory of music – e dalla Manhattan School of Music.
Il Concertino per violoncello ed ensemble è e stato composto per la violoncellista russa Natalia Gutman nell’anno 1997 durante il soggiorno del compositore a New York. Su commissione della Radio Olandese Cristiana, ha avuto la sua prima esecuzione al Concertgebouw ad Amsterdam nel marzo 1997. Guo spiega che la composizione trasmette un messaggio semplice – il suono e la bellezza
della Madre Natura.
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Interpreti
Leonardo Bartelloni
Leonardo Bartelloni si è diplomato con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore presso l’istituto Luigi Boccherini di Lucca,
proseguendo la sua formazione musicale presso la scuola di alto perfezionamento musicale di Saluzzo dove dal 1989 al 1994 è stato assistente di musica da camera.
Ha vinto numerosi concorsi pianistici nazionali ed internazionali sia come solista che in varie formazioni cameristiche. Svolge attività
concertistica sia come solista che in duo con musicisti di fame internazionale, quali Uto Ughi, Pierre Amoyal, Massimo Quarta, Mario
Ancillotti.
Ha effettuato tournées negli Stati Uniti, Sud America, Corea e Giappone.
Attualmente è maestro collaboratore al Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano e al Conservatorio di Losanna.
Camerata Polifonica di Milano
La Camerata Polifonica di Milano è sorta nel 1982, sotto la guida del maestro Ottavio Beretta, dedicandosi prevalentemente al repertorio sacro e profano del Rinascimento e ricercando inediti da proporre al pubblico odierno, tra cui i brani di G. Gastoldi, madrigali di
F. Corteccia e la Missa dominicalis di G. Contino.
Dal 1991, sotto la nuova direzione di Ruben Jais, la Camerata ha ampliato il suo repertorio dedicandosi anche all’esecuzione di musica del Novecento e di autori contemporanei. Ha quindi partecipato a prime esecuzioni assolute di opere quali Rigurgita di Davide
Anzaghi, Unreported Imbound Palermo di Alessandro Melchiorre e di brani per coro a cappella di autori quali Irlando Danieli, Flavio
Delli Pizzi, Francesco Pennisi e Bruno Zanolini.
Nel 1999, insieme all’orchestra dei Pomeriggi Musicali, ha partecipato all’esecuzione di musica sacra nella basilica di S. Ambrogio
durante il nuovo progetto di Musica Liturgica Contemporanea.
Giorgio Casati
19 anni, ha svolto gli studi di violoncello sotto la guida di Marco Bernardin presso il Conservatorio di Milano, diplomandosi nel 2002
con il massimo dei voti, la lode e la menzione speciale. Dal 2001 è allievo di Mario Brunello presso la Fondazione Romanini di Brescia e l’Accademia Musicale Chigiana. Studia inoltre con Enrico Dindo e con Enrico Bronzi. In duo con il pianista Luca Ieracitano, è
seguito dall’Altemberg Trio Wien e da Andrea Lucchesini.
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Come camerista e solista ha partecipato a prestigiose manifestazioni quali Settembre Musica (Torino 2002), le Settimane Musicali di
Stresa, il Festival Ligeti – Milano Musica, Bologna Festival (2003). Quest’anno è stato invitato dal Festival Amfiteatrof di Levanto, dalla rassegna Contemporaneamente di Lodi, dai Solisti Aquilani. Ha collaborato con il Quartetto Borciani, il pianista Andrea Dindo, la
soprano Alda Caiello, il flautista Mario Caroli, il cimbalomista Luigi Gaggero. Inoltre, ha sostituito temporaneamente Claudia Ravetto
come violoncellista del Quartetto Borciani.
Ha esordito come solista nel 2001, eseguendo il primo concerto per violoncello e orchestra di J.Haydn. È stato in tourneé in Argentina con il terzo concerto di C.P.E. Bach. Ha inaugurato l’anno accademico 2002/03 del Conservatorio di Milano con il concerto di
R. Schumann, diretto da György Rath. Ha partecipato per diversi anni a prestigiose orchestre giovanili quali la Gustav Mahler Jugendorchester e la European Union Youth Orchestra, di cui è stato nel 2001 il più giovane musicista.
Particolarmente attento al repertorio moderno e contemporaneo, è membro dell’Ensemble Musica d’Insieme di Milano, diretto da Yoichi Sugiyama. Collabora inoltre con Icarus Ensemble. Tra le numerose prime esecuzioni per violoncello solo o per ensemble alle quali ha preso parte, spiccano opere di G.Lopez, G.Verrando, J.Torres Maldonado. Gode del sostegno della Federazione CEMAT per le
attività svolte in questo ambito. Nel 2002 è stato insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia di bronzo quale Benemerito della Cultura e dell’Arte. Studia Filosofia presso l’Università Statale di Milano.
Luisa Castellani
Luisa Castellani è un’interprete particolarmente apprezzata per l’estrema duttilità della tecnica vocale, affinata con insegnanti come
Gina Cigna e Dorothy Dorow, unita al gusto dell’approfondimento musicale, in particolare nel repertorio contemporaneo, per cui molti compositori ne hanno fatto un’interprete di elezione.
L’intelligente curiosità intellettuale e l’istinto di «performer», unite alla convinzione della necessità di ampliare il rituale del concerto
tradizionale, l’hanno portata e realizzare e proporre anche concerti-spettacolo, a voce sola o con altri solisti (ad esempio Atopos con
Antonio Ballista), su percorsi di ricerca inusuali e stimolanti per il pubblico.
Luciano Berio l’ha voluta per dar voce alla nuova edizione del suo Calmo, che Luisa Castellani ha portato nei principali teatri e festival insieme a Sequenza III e Folksongs, e per lei ha creato il ruolo di Ada in Outis, andato in scena alla Scala nell’autunno del 1996.
Anche Giacinto Scelsi le aveva affidato l’interpretazione delle sue partiture.
Ha eseguito e registrato con successo numerose opere, tra cui molte «prime assolute», di Berio, Cage, De Pablo, Donatoni, Ferney-
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hough, Francesconi, Gervasoni, Kurtag, Panni, Pennisi, approfondendole con gli stessi autori. Ha inoltre interpretato le opere dei più
importanti compositori del Novecento storico, da Debussy a Bartók, da Schoenberg a Dallapiccola, da Stravinskij a Webern, sotto la
direzione di maestri come Berio, Eötvös, Ferro, Gelmetti, Robertson, Sinopoli, Tamayo.
Ha interpretato ruoli come cantante d’opera, tra l’altro, in Esequie della Luna e Tristan di F. Pennisi, Anton di E. Scogna, The turn of
the screw di B. Britten, Outis e La vera storia di L. Berio, La madre invita a comer di L. De Pablo, Il velo dissolto di F. Donatoni, in teatri come La Scala di Milano, il Teatro Comunale di Firenze e la Fenice di Venezia e ha ricevuto, nel 1991 il premio Gino Tani per la lirica. Solista con la London Sinfonietta, la BBC, con le orchestre di Radio France, dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia e della RAI,
ospite del Barbican Theatre e della Royal Festival Hall di Londra, dell’Opéra Bastille di Parigi e del Teatro alla Scala, ha inaugurato il
Maggio Musicale Fiorentino nel 1986 e il Wien Modern nel 1990 ed è stata invitata dalle biennali di Helsinki, Berlino, Venezia e, tra gli
altri, dall’Holland Festival, dall’Ars Musica Festival di Bruxelles, dal Festival Cervantino in Messico. Collabora con l’Ensemble InterContemporain di Parigi, col quale ha presentato la «prima» francese del Lohengrin di Sciarrino ed ha più volte eseguito il Marteau
sans maître di Boulez, con l’Ensemble Modern di Francoforte e l’Ensemble Recherche di Friburgo, con l’ASKO Ensemble di Amsterdam, con il quartetto Arditti, il gruppo Contrechamps di Ginevra e con solisti come Antonio Ballista, Bruno Canino, Massimiliano
Damerini, Andras Keller e Andrea Lucchesini.
Come didatta, è stata invitata a tenere masterclasses e conferenze in molti paesi, tra cui Bolivia, Cina, Svizzera, Ungheria, USA, oltre
che in Italia, come responsabile della Classe di Vocalità Contemporanea dei Corsi di formazione della CEE.
Ha registrato per radio e televisioni in molti paesi e numerosi CD.
Brunella Clerici
e il Coro di voci bianche Clairière
Brunella Clerici ha compiuto gli studi musicali al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, diplomandosi in pianoforte, composizione,
musica corale e direzione di coro. La sua pratica è prevalentemente rivolta alla coralità giovanile: dal 1994 dirige il coro di voci bianche al Conservatorio di Lugano, con il quale ha tenuto numerosi concerti in Svizzera e all’estero. Alcune sue composizioni sono state eseguite nella rassegna Musica e Metrò di Milano, presso la Sala «Carducci» di Como e recentemente nella rassegna «Novecento passato e presente» alla RSI di Lugano.
Il Coro di voci bianche «Clairière» nasce all’interno della Scuola di Musica del Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano ed è
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composto da ragazzi e ragazze dagli 8 ai 14 anni. Ha al suo attivo numerosi concerti nella Svizzera Italiana e all’estero. Nell’estate
2000 ha partecipato, con 6 rappresentazioni, alla Carmen di Bizet messa in scena al Castelgrande di Bellinzona.
Sulla base di alcune registrazioni è stato selezionato quale rappresentante della Svizzera Italiana insieme ad alcuni prestigiosi cori
europei per partecipare alla 39. edizione del Festival Corale di Montreux, che si è svolto dal 4 al 7 aprile 2002, ottenendo una menzione e riscuotendo un notevole successo di pubblico e critica.
Nel corso del 2003 ha registrato il suo primo CD «… per voce e strumento…».
Nel maggio 2004 si è esibito nella Città del Vaticano in occasione della giornata del Giuramento della Guardia Svizzera del Papa.
Paolo Ghidoni
Paolo Ghidoni, nato a Mantova nel 1964, si è diplomato nel 1982 con il massimo dei voti sotto la guida di Ferruccio Sangiorgi. Successivamente si è perfezionato con Franco Gulli all’Accademia Chigiana conseguendo nel triennio 1983-85 il Diploma di Merito, con
Salvatore Accardo a Cremona e successivamente con Franco Claudio Ferrari.
Ha inoltre conseguito il Diploma di merito e di partecipazione ai Corsi di Fiesole e dell’Accademia Chigiana con il Trio di Trieste e con
Paolo Borciani a Milano. Ha inoltre frequentato corsi con Ivri Gytlis.
È vincitore di numerosi concorsi nazionali ed internazionali tra i quali «Cesena», «Michelangelo Abbado» a Sondrio, «Stresa» e soprattutto il «Premio Vittorio Gui» a Firenze nel 1983. Ha collaborato con prestigiosi solisti, tra i quali Franco Petracchi, Mario Brunello, Enrico Dindo.
Svolge attività solistica, cameristica, anche con il Trio Matisse del quale è tra i fondatori ed inoltre attività come primo violino dei Virtuosi Italiani e, recentemente, dell’Orchestra da camera di Padova e del Veneto. È docente di Musica da Camera presso il Conservatorio «Lucio Campiani» di Mantova.
Aki Kuroda
La pianista Aki Kuroda, terminati gli studi presso la Tokyo National University of Fine Arts, approfondisce i suoi studi sotto la guida di
Bruno Mezzena in Italia. Vince il Primo premio nell’ambito della French Music Comptetition ‘93 e la Contemporary Music Competition nell’edizione del ’97. Nel ’95 ha ricevuto inoltre il premio Xavier Montsalvage per l’interpretazione, premio per la musica del
XX secolo per pianoforte tenuto in Spagna. Oltre ai repertori classici, Kuroda ha eseguito brani di vari compositori contemporanei
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come G. Ligeti, I. Xenakis, F. Donatoni, P. Boulez, R. Campo, M. Mochizuki e T.Takemitsu. Nel 2003 si è esibita brillantemente presso il Teatro Regio di Parma. Successivamente si è esibita al Festival Ticino Musica eseguendo Modifications di M. Jarrell. Nel 2004,
a Tokyo ed Osaka, Kuroda ha tenuto un recital con la Kammersymphonie Op. 9 di A. Schoenberg.
Massimo Laura
Vincitore del Primo Premio nei prestigiosi Concorsi Internazionali di Alessandria 1986, Milano 1987 (nel centenario di Villa-Lobos con
tournée in Brasile), e «Tarrega» a Benicasim (Spagna) nel 1988, ha suonato come solista con la Camerata Academica del Mozarteum
di Salisburgo diretta da Sándor Végh e con le orchestre sinfoniche di Basilea, San Remo, Nazionale del Cile, Filarmonica Betica di
Siviglia. È docente presso il Conservatorio di Como e titolare della Cattedra di Perfezionamento del Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Dal 1980 è chitarrista del Teatro alla Scala.
Pascal Mayer e il Coro Pro Arte
Pascal Mayer ha alle spalle vent’anni di attività di direttore di coro nella Svizzera romanda. Con le sue differenti formazioni affronta un
vasto repertorio che va dai grandi affreschi barocchi fino alla prima esecuzione di opere contemporanee. Ha compiuto gli studi di canto e di direzione corale nei conservatori di Friborgo e Zurigo, ed è stato membro di prestigiosi ensemble vocali diretti da personalità quali Michel Corboz, André Charlet, Frieder Bernius. Per cinque anni ha pure diretto il Basler Kammerchor per il direttore d’orchestra e mecenate Paul Sacher. A Losanna dirige i cori Pro Arte e il coro Faller che collaborano regolarmente con l’Orchestre de Chambre de
Lausanne e l’Orchestre de la Suisse romande. A Friborgo ha fondato il Chœur de Chambre de l’Université con il quale presenta regolarmente delle prime esecuzioni d’opere contemporanee. Pascal Mayer prepara il coro del Festival d’Opéra d’Avenches ed è invitato
regolarmente dal coro della Mitteldeutscher Rundfunk di Lipzia. È docente di direzione corale alla Musikhochschule di Lucerna.
Il coro Pro Arte di Losanna è stato fondato nel 1947. Grazie al talento e alla perseveranza del suo fondatore, André Charlet, e al sostegno di Ernest Ansermet è diventato un elemento chiave del mondo musicale della svizzera romanda.
Numerose le collaborazioni con l’Orchestre de la Suisse Romande e l’Orchestre de Chambre de Lausanne sotto la guida di direttori prestigiosi. Così come numerose sono pure le produzioni discografiche per etichette quali Cascavelle, Chandos, Decca ed Erato
tra le quali spiccano le registrazioni de Il flauto magico di Mozart, la Messa in mib di Schubert, il Requiem di Fauré, Le Stagioni e La
Creazione di Haydn, e ancora diverse opere di Stravinskij.
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Assieme ad André Charlet, il coro Pro Arte è l’iniziatore della «Schubertiade» della Radio Suisse Romande (Espace 2) che si tiene ogni
due anni, ormai dal 1978, in diverse città.
Gabor Meszaros
Gabor Meszaros è docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, dove svolge la sua attività didattica. Tiene regolarmente corsi di perfezionamento in Italia, Ungheria ed in Svizzera. Fa regolarmente parte di giurie di concorsi nazionali ed internazionali.
Concerti e recital in numerosi importanti centri musicali a Zurigo, Berna, Berlino, Colonia, Madrid, Barcellona, New York, come pure
registrazioni radiofoniche e televisive confermano la sua fama di straordinario interprete del suo strumento. Nell’anno 2002 è uscito
il suo CD: Musica per fagotto e pianoforte – «Francia» della casa discografica «La bottega discantica» di Milano, che ha ottenuto ottime critiche.
Nel corso della sua carriera ha conseguito diversi premi nazionali ed internazionali. È fondatore e membro di diversi gruppi di musica da camera, tra i quali Il Nonetto Svizzero. Grazie alla sua ampia esperienza in questo campo è molto apprezzato come musicista
in ensemble. Ha eseguito con successo concerti con musicisti quali Elisaveta Blumina, Alessandro Carbonare, Ingo Goritzki, François Benda, Hans Elhorst e il Quartetto Orpheus. È stato fagottista di numerose orchestre sinfoniche in Svizzera, Spagna e Germania, dove ha collaborato anche come solista con direttori come Arpad Joo, Víctor Pablo Pérez, Anthony Wit, Franz-Paul Decker, Philippe Bender, Johannes Goritzki e Odón Alonso. È stato invitato quale primo fagotto a partecipare al «Millennium Gala Concert of the
Nations», tenutosi al Lincoln Center di New York e patrocinato dall’ONU.
Cristiana Nicolini
Cristiana Nicolini , Valsesiana, è nata nel 1981. Si è formata musicalmente sotto la guida di Leonardo Bartelloni e si è diplomata in pianoforte nel 2001 presso l’istituto musicale Boccherini di Lucca, in qualità di privatista ottenendo il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore. Negli ultimi anni ha vinto primi premi assoluti a diversi concorsi nazionali. Nel 2003 è stata premiata al Concorso nazionale
«Marco Fortini» di Bologna con una borsa di studio e ha vinto il primo premio al Concorso nazionale di pianoforte «Val Tidone».
Nel 2004 ha vinto il primo premio al Concorso nazionale «Rospigliosi» di Lamporecchio, il primo premio al Concorso Internazionale
di Arenzano e il primo premio al Concorso nazionale di Cesenatico.
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Ha tenuto concerti a Grosseto per il Festival pianistico, a Pisa per l’associazione Miroir, a Piombino, Pistoia, Viareggio e a Camaiore
in duo pianistico. Si è inoltre esibita in varie località piemontesi e in Svizzera a Morcote per l’associazione Ceresio Estate.
Nel 2003 ha suonato alla sala Tallone per il XLVI Settembre musicale di Orta San Giulio, al Circolo Ufficiali di Bologna e al Teatro
dell’Ulivo di Camaiore. Nel 2004 ha iniziato ad esibirsi in duo pianistico con Leonardo Bartelloni tenendo concerti a Viareggio e a
Massa, a Monza per l’associazione Corona Ferrea e a Lucca per l’Agimus. Ha partecipato a corsi di perfezionamento con Cristiano
Burato.
Gianluca Petagna
Nato a Milano nel 1972, ha curato la propria formazione artistica con Ilonka Deckers Küszler, grande didatta ungherese erede della
scuola pianistica di Franz Liszt, diplomandosi in Pianoforte presso il Conservatorio «G. Verdi» di Milano, dove ha inoltre studiato Composizione Sperimentale con Davide Anzaghi, Lettura della Partitura con Edoardo Filus e Organo con Eva Frick Galliera.
Ha frequentato corsi di perfezionamento con Marilyn Engle (pianoforte) e Andor Toth (musica da camera), entrambi docenti del Conservatory of Music di Oberlin, Ohio e successivamente il corso di perfezionamento di musica da camera alla Musikhochschule di Vienna con Christian Klaus Schuster.
Presso la Musik Akademie di Altenburg in Austria ha conseguito il diploma di perfezionamento di interpretazione pianistica e musica da
camera con Robert Lehrbaumer, e ha frequentato il Corso di Clavicembalo con Marina Mauriello Frischenschlager.
Come pianista solista e come clavicembalista ha debuttato in diverse sale e teatri in Italia e all’estero, tra cui: L’Umanitaria, il Circolo
della Stampa, Gli Amici del Loggione della Scala a Milano, Teatro Comunale di Casal Maggiore, Marmor Saal di Altenburg, Sala Grande della Musikhochschule di Vienna ecc. Nel 1998 ha costituito, a ricordo della sua insegnante, il Trio Deckers.
Marlène Prodigo
Marlène Prodigo ha iniziato giovanissima lo studio del violino presso il Conservatorio Alfredo Casella dell’Aquila, diplomandosi a
diciassette anni. Ha partecipato a quindici concerti effettuati dall’Orchestra Giovanile Abruzzese nel triennio 1995/97, ricoprendo il
ruolo di spalla. Nel dicembre del ’97 e nel febbraio del ’98 ha ricoperto il ruolo di spalla presso l’Orchestra del Laboratorio musicale
del Teatro Marrucino di Chieti.
Dal 1998 al 2001 ha fatto parte dell’organico stabile dell’Orchestra giovanile dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nell’estate
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del ’98 ha ricoperto il ruolo di spalla dei secondi violini presso l’Orchestra del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto. Nel corso dell’estate del ’99 ha collaborato con l’Orchestra dei professori della Scarlatti di Napoli, sotto la direzione di Piero Bellugi e Massimo
Pradella. Nel 2003 ha collaborato con l’orchestra barocca «Swiss Consort» di Ginevra.
Scuola Teatro Dimitri
La Scuola Teatro Dimitri è una scuola di teatro nella quale l’insegnamento è basato soprattutto sullo studio del movimento, sul corpo e le sue possibilità di espressione. A partire dalla sua apertura, nel 1975, sono state scelte come materie principali il teatro del
movimento, l’acrobazia, la danza e l’improvvisazione teatrale. Col tempo si sono aggiunte lo studio del ritmo, un lavoro sulla respirazione, l’espressione vocale e la recitazione. Degli stages su diverse forme d’espressione, per esempio Commedia dell’Arte, clownerie, particolari tipi di danza, ecc. completano questo insegnamento.
La Scuola Teatro Dimitri offre una formazione di base completa nel dominio dell’espressione teatrale, per mezzo della trasmissione
di tecniche tradizionali e nuove, cercando di stimolare in modo creativo i doni di ciascuno in rapporto alla sua personalità. Nell’anno
2004 la Scuola Teatro Dimitri ha ottenuto il riconoscimento come Scuola Universitaria di Teatro.
SUPSI: Dipartimento Ambiente, Costruzioni e Design
L’obiettivo del dipartimento è far fronte alle nuove sfide nei settori dell’ambiente costruito e naturale, basandosi sui principi dello sviluppo sostenibile, nei campi di competenza delle sue unità.
Il dipartimento offre numerosi cicli di studio con curricoli a tempo pieno e in parallelo all’attività professionale che permettono allo studente di frequentare uno studio pur mantenendo l’attività lavorativa.
Comune a tutti i corsi è un approccio che abbina la trasmissione di conoscenze teoriche all’esercitazione pratica. Quest’ultima rappresenta mediamente il 50% delle ore-lezione previste per un corso e garantisce che i partecipanti sappiano applicare a casi concreti le competenze tecniche acquisite. A questo scopo il DACD dispone di sale di esercitazione e laboratori modernamente attrezzati e
continuamente aggiornati.
L’ambito di attività del comunicatore visivo si estende da quello definito dalla grafica tradizionale sino a quello dei nuovi media. Particolare attenzione è data allo sviluppo di competenze, sia nella comunicazione didattica sia in quella sociale. È sollecitata la capacità di sviluppare immagini coordinate utilizzando i diversi linguaggi e media oggi a disposizione (computer, video, fotografia digitale…).
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Lo studente deve imparare a individuare e risolvere i problemi di comunicazione. Le soluzioni possono essere ricche della capacità
espressiva personale.Nelle diverse attività è dato particolare accento all’interazione di diversi codici. L’intento è di delineare percorsi «linguistici» costituiti da più codici, capaci di tradurre, esprimere e comunicare il senso di ciò che viene realizzato. L’esempio di
ricerca intitolato «immagini per apprendere», sulla base di ricerche svolte in ambito didattico, è volto appunto all’utilizzo di più codici (linguistico e iconico) al fine di comunicare a più livelli un contenuto, traducendolo in diversi sistemi di segni. Altri esempi di attività estendono la traduzione a sistemi di segni musicali e video, altri ancora, in collaborazione con gli architetti d’interni, allo spazio.
Luciano Zampar
Luciano Zampar è nato a Cambé/Brasile nel 1979. Ha iniziato i suoi studi musicali presso l’Orchestra dell’Università di Londrina (Brasile del sud) sviluppando un lavoro di interpretazione di musica contemporanea solistica, di insieme e di creazione di musica per spettacoli teatrali. Diplomatosi in percussioni all’Università Federale di Santa Maria (RS, Brasile) ha partecipato a diversi festival internazionali e ha vinto il concorso giovani solisti dell’Orchestra Sinfonica di Porto Alegre.
Dal 2001 si perfeziona al Conservatorio della Svizzera Italiana, frequentando i corsi di studio di Interpretazione/Performance e Pedagogia musicale. Come interprete si è presentato come solista con l’Orchestra della Svizzera Italiana all’Expo ’02 e ha vinto lo Stipendienpreis alle Internationalen Ferienkurse für Neue Musik Darmstadt 2002. Nell’agosto 2003 ha ricevuto il Primo premio d’interpretazione allo Stockhausen-Kurs a Colonia.
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