Antonio Malo
Essere persona
Un’antropologia dell’identità
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Prefazione
Di fronte a una situazione confusa
La domanda fondamentale sull’uomo
Struttura del libro
9
9
11
12
Capitolo primo: Questioni generali
1. Significato e importanza dell’Antropologia filosofica
2. Oggetto materiale e formale
3. I metodi
4. Rapporto fra antropologia e altre discipline
15
15
19
22
25
Capitolo secondo: Il presupposto dell’integrazione personale:
l’unione sostanziale corpo-anima
1. Le dimensioni del corpo: materiale, vivente, senziente,
spiritualizzato
2. La corporeità: il corpo vissuto e le sue espressioni
3. L’unione sostanziale corpo-anima
4. L’anima come principio vitale, senziente e spirituale
Capitolo terzo: La vita come integrazione
1. Caratteristiche fenomenologiche della vita
2. Nozione metafisica di vita
3. I gradi di vita come gradi d’integrazione
4. Biogenesi
5. Antropogenesi
6. Ecologia ed ecologismo
29
29
37
40
43
47
47
52
54
58
70
74
Sommario
Capitolo quarto: L’integrazione spontanea del dinamismo
del vivente
1. Le potenzialità della totalità del vivente: istinti e tendenze
2. Dinamizzazione, attualizzazione e azione
3. Desiderio umano e inconscio
79
79
82
87
Capitolo quinto: L’integrazione attiva nella coscienza sensibile
1. Il possesso intenzionale
2. La struttura della conoscenza umana
3. I sensi esterni
4. I sensibili propri e comuni
5. I sensi interni
6. Coscienza sensibile
93
94
96
101
109
111
138
Capitolo sesto: Coscienza della realtà, pensiero e autocoscienza
1. La coscienza della realtà: astrazione e conoscenza
dei singolari
2. Le operazioni del pensiero: concetto, giudizio,
ragionamento
3. Coscienza, conoscenza e autocoscienza
4. Funzioni della ragione: speculativa, tecnica, etica,
ermeneutica
143
144
149
162
165
Capitolo settimo: L’affettività come integrazione spontanea
169
di soggettività dinamica e realtà
1. L’integrazione spontanea di tendenza e conoscenza:
170
le passioni
2. Mappa dell’affettività umana: sentimenti corporei, emozioni,
174
sentimenti propriamente detti e stati d’animo
3. Affettività e libertà
189
4. La coscienza affettiva
200
Capitolo ottavo: La volontà come dinamismo d’integrazione
personale
1. La relazione intrinseca fra ragione e volontà
2. Struttura della volontà: volontà come natura e volontà
come ragione
3. Trascendenza e immanenza della persona nel volere
203
203
205
209
Sommario
4. La persona negli atti del binomio ragione-volontà:
consenso, deliberazione e scelta
5. La fallibilità della volontà: il male
6. Coscienza e volontà
213
218
222
Capitolo nono: L’integrazione della persona nell’agire
225
1. L’agire come integrazione dell’ambito tendenziale-affettivo,
226
conoscitivo e volontario
2. Coscienza dell’azione
230
3. Il senso dell’azione: l’amore
233
4. Automatismi e abiti
236
5. Il comportamento virtuoso
239
Capitolo decimo: L’azione umana all’origine della cultura
1. Natura e cultura
2. L’azione umana come sintesi di natura e cultura
3. La topica della cultura: le attività tecniche, giuridiche,
etiche, scientifiche, artistiche e religiose
4. La realizzazione dell’uomo tramite il lavoro
5. Progresso tecnico-scientifico e perfezione umana
6. Cultura, valori e verità
245
245
249
Capitolo undicesimo: Identità personale e condizione sessuata
1. Sessualità e condizione sessuata
2. La relazione uomo-donna
3. Il celibato
4. Paternità, maternità e filiazione
5. L’integrazione del carattere sessuato: maturità affettiva e
donazione
275
275
280
287
289
Capitolo dodicesimo: Identità personale e socialità
1. Collettivismo e spersonalizzazione
2. Individualismo: edonismo e consumismo
3. Persona in relazione: costituzione della soggettività
e virtù sociali
4. Amicizia
5. La donazione di sé come massimo bene relazionale
303
304
308
252
259
264
269
300
311
325
330
Sommario
Capitolo tredicesimo: Identità personale e temporalità
1. Dimensioni della temporalità umana
2. La biografia: temporalità e trascendenza
3. La storia come orizzonte temporale dell’esistenza:
tradizione e rivoluzione
4. Il rapporto con il trascendente: il sacro e il profano
5. L’eternità nel tempo: promessa, perdono e pentimento
333
333
335
Capitolo quattordicesimo: Identità personale e morte
1. Il problema metafisico della morte
2. Immaterialità, spiritualità e immortalità
3. Il problema antropologico ed esistenziale della sofferenza
e della morte
4. Origine e fine dell’identità personale
347
347
350
Conclusioni
365
Appendice
369
Glossario
375
Bibliografia
383
338
340
342
356
363
Prefazione
Il libro ha origine dai corsi di Antropologia che ho tenuto nell’ultimo decennio per centinaia di studenti. In questi anni gli argomenti
hanno raggiunto una certa maturazione e ciò in parte è dovuto alle molte domande poste dai miei studenti, a cui non sempre riuscivo a dare
una risposta. Tentavo di trovare soluzioni nei manuali e nei saggi di
mia conoscenza, finché mi sono accorto che essi mi erano di scarso
aiuto. Alcuni avevano un taglio puramente storico; altri, malgrado la
loro complessità, erano troppo astratti e seguivano determinate correnti
di pensiero invece di studiare la persona. I libri di Antropologia, infatti,
spesso hanno un taglio fenomenologico, culturale, personalista, metafisico, ecc. E ciò significa che riducono la ricchezza e la complessità
della persona a una sola prospettiva. Spinto da questa carenza, a poco
a poco ho cambiato l’impostazione dei corsi, partendo non più dai libri
ma dalla persona stessa, o meglio dalle persone in tutta la loro complessità costitutiva ed esistenziale. In questo lavoro mi ha aiutato molto
riflettere sul paradosso, ben individuato da Heidegger, fra l’enorme conoscenza che abbiamo accumulato sull’uomo e l’ignoranza su chi sia
la persona umana.
Di fronte a una situazione confusa
Sappiamo infatti molte cose della persona a incominciare dalla mappatura del suo codice genetico fino ai condizionamenti psicologici e
sociali, passando per l’influsso che l’ambiente e la cultura hanno sulla
vita umana. Mai come oggi, però, la persona rappresenta per noi un mistero inaccessibile. Per la stragrande maggioranza degli uomini e delle
9
Prefazione
donne le principali questioni sul senso della vita, da dove veniamo e
verso dove andiamo, rimangono senza alcuna risposta. Invece di aiutarci, sembra che il moltiplicarsi dei dati e delle informazioni provochi
confusione. Ad esempio, se prima quasi tutti accettavano un’origine in
qualche modo unica dell’uomo, ora non è più così e ci sono tante ipotesi quante sono le interpretazioni dei dati: l’uomo occupa un posto di
rilievo nel Cosmo, o è soltanto una scimmia intelligente? È un essere in
continua evoluzione o vive nell’illusione di esserlo? Qualcosa di simile
accade con le azioni umane: sono libere o, piuttosto, sono condizionate
geneticamente? Sono il prodotto della cultura, o il risultato della somma del fattore genetico e culturale? Queste domande ricevono le più
svariate risposte, spesso in contraddizione tra loro e, dunque, incapaci
di essere tutte quante vere.
Oltre a produrre angoscia e perdita di senso in tante persone, questo
confusionismo antropologico influisce negativamente sull’immagine
che abbiamo di noi stessi e, di conseguenza, sul nostro comportamento.
È un fenomeno che possiamo osservare lungo tutte le fasi della vita
umana – perfino nell’infanzia – in tutta una serie di patologie psico-sociali in costante aumento, come la droga, le ossessioni sessuali, l’alcool
e la delinquenza, o altri fenomeni ancora più diffusi e apparentemente
meno gravi, come la mancanza di unità di vita, riscontrabile nell’oscillare fra l’ordine e l’efficienza della settimana lavorativa e la febbre del
sabato sera. Alcuni si rendono conto che questi sono i sintomi di una
malattia esistenziale quando è già troppo tardi, come si può rilevare da
alcune notizie di cronaca: violenza negli stadi, bullismo tra compagni
di scuola, liceo o università per rabbia, gioco o vendetta; altri invece
reagiscono cercando di comprendere meglio la persona umana nell’età
odierna della tecno-scienza. È quello che anch’io tenterò di fare in questo saggio.
Il quadro non deve, però, essere dipinto esclusivamente a tinte fosche, giacché nella situazione attuale ci sono anche molte cose positive.
Tra queste, lo sviluppo della scienza e della tecnica porta a un allungamento della vita umana, alla diminuzione della fatica e a un maggiore
benessere economico. Inoltre, si diffonde sempre più una sensibilità
morale, nuova e più fine: i diritti umani si fanno strada nella maggioranza dei paesi del mondo, come anche la preoccupazione di restituire
bellezza e bontà alla natura deturpata da decenni di sfruttamento e incuria.
10
Prefazione
La domanda fondamentale sull’uomo
Il primo quesito che deve affrontare l’Antropologia è la domanda
fondamentale sull’uomo, cioè se l’essere umano sia qualcosa o qualcuno. A seconda della risposta, infatti, ci si avvia verso due oggetti differenti di studio: se l’uomo – io che scrivo e tu che leggi – è qualcosa
(ad esempio, un semplice individuo della specie homo sapiens sapiens)
la sua distinzione dalle altre realtà dell’universo si ridurrà ad alcune
qualità che si dovranno individuare caso per caso e che, comunque,
non potranno mai trascendere la propria specie né, quindi, l’universo.
Se invece è qualcuno, la sua distinzione non sarà riducibile a nessuna
caratteristica perché sarà di natura ontologica.
Apparentemente la risposta più immediata alla domanda precedente
è che l’uomo sia qualcosa, giacché egli si trova all’interno del Cosmo,
specificamente su un piccolo pianeta del sistema solare appartenente
alla Via Lattea, in relazione necessaria, dunque, con altri esseri, soprattutto con i suoi coinquilini della Terra. Sembra, dunque, che la persona non sia in grado di trascendere il gigantesco universo dove si trova
confinata.
Se analizziamo la posizione dell’uomo nel Cosmo osserviamo, però,
che il modo di abitare la Terra e di essere in relazione con le altre realtà
manifesta una trascendenza non solo nei confronti del proprio pianeta, ma anche dell’intero Universo. C’è bisogno, dunque, di un’analisi
dell’uomo, cioè di ognuno di noi, sia nella sua struttura materiale, organica e vivente, sia nelle sue relazioni con le altre realtà.
In questo saggio tenterò quindi non soltanto di confrontare le proprietà dei diversi esseri nel mondo, in modo particolare i viventi, ma
soprattutto di stabilire qual è l’essenza dell’esistenza umana. In questo
modo non svelerò certamente il mistero della persona, ma aggiungerò
solo quel poco di luce che proviene dall’aver individuato il suo nucleo
ontologico. Posso già anticipare il risultato di questa ricerca: la persona
è un’identità irripetibile che si perfeziona come tale mediante le relazioni, soprattutto con le altre persone.
Oltre a chiarire i termini di identità e di relazione qui adoperati,
tenterò di mostrare come essi siano connessi con un altro concetto fondamentale: l’integrazione. L’identità umana, infatti, può integrarsi solo
nella misura in cui entra in relazione. Così, il bambino riesce ad avere
coscienza di sé solo mediante la relazione con gli altri, soprattutto con
11
Prefazione
i suoi genitori. Anche se approfondiremo più avanti l’argomento, possiamo fin d’ora affermare che l’integrazione implica l’esistenza di una
realtà composta in cui gli elementi, anche se connessi dall’appartenere
a una medesima persona, ammettono un maggior grado di unione: ad
esempio, le sensazioni si integrano nella percezione, la conoscenza razionale nella scienza e gli atti buoni nel comportamento virtuoso.
Struttura del libro
Da dove incominciare lo studio dell’uomo? A mio parere si deve
partire da quanto è più immediato, ossia dal corpo, poiché è ciò per
mezzo di cui si è nel mondo e si entra in relazione con le altre realtà. Dopo avere quindi dedicato il primo capitolo all’origine storica
dell’Antropologia e al suo rapporto con le scienze sperimentali e le discipline umanistiche, nel secondo capitolo affronteremo la questione
del corpo umano. Attraverso un’analisi fenomenologica cercheremo di
individuare le sue proprietà. Nonostante le loro differenze, vedremo che
queste proprietà corrispondono a un solo corpo. Questo corpo ha lo
stesso statuto costitutivo dell’uomo: sarà, dunque, una cosa se l’uomo è
qualcosa; sarà personale, se l’uomo è qualcuno. D’altronde, benché si
tratti di un medesimo corpo, scopriremo che esso non possiede in sé il
principio che unifica le sue diverse proprietà. Ne deriva la necessità di
andare al di là del corpo in cerca del fondamento della sua unità, ossia
di scoprire l’anima umana. Oltre a spiegare l’unità del corpo e delle sue
proprietà, l’esistenza di un’anima spirituale è anche in grado di dare
ragione dell’agire umano e della cultura. Il capitolo terzo si occuperà
di confermare l’esistenza di questi due coprincipi – corpo e anima spirituale – mediante il confronto con quanto sappiamo sull’origine della
vita e dell’uomo; a tal fine, saranno analizzate diverse teorie, in modo
particolare l’evoluzionismo. Scopriremo così che i gradi della vita corrispondono ai gradi d’integrazione dei differenti elementi (fisico-chimico, psichico) e delle loro relazioni. Solo nell’uomo, però, l’integrazione
si realizza anche a livello spirituale.
I capitoli rimanenti cercheranno di dare conferma di questa tesi. Nel
quarto capitolo si studieranno le tendenze umane pre-cognitive, in cui
si dà già una prima integrazione dinamica degli aspetti fisici, psichici e
spirituali e un abbozzo di relazionalità, come accade nella soddisfazione
12
Prefazione
della fame del bambino attraverso l’allattamento materno; nel quinto e
sesto capitolo si esaminerà come – attraverso la conoscenza – l’integrazione e la relazionalità diventano più intime ed estese, fino ad arrivare
alla realizzazione funzionale delle potenze conoscitive nell’intellezione, che permette una relazione con la realtà in tutta la sua portata e con
gli altri in quanto esseri personali. Come avremo modo di osservare,
l’autocoscienza originata da queste relazioni è l’elemento chiave nella
costituzione della soggettività attiva della persona, nucleo del perfezionamento dell’identità. Ciò nonostante, la soggettività umana è anche
passiva. Anzi, per diventare attiva ha bisogno di una prima integrazione
spontanea tra tendenza e conoscenza, e tra relazione spontanea di soggettività e realtà, cioè ha bisogno dell’affettività. Lo scatenarsi dell’ira
di fronte a qualcosa di ingiusto, ad esempio, prepara l’organismo all’attacco. Il settimo capitolo si occuperà, dunque, della coscienza affettiva
nella molteplicità e complessità dei suoi fenomeni e delle sue relazioni
con la realtà. Nell’ottavo capitolo si analizzerà l’inizio dell’integrazione
attiva della soggettività nella sua relazione con la realtà, grazie all’atto della volontà. Il capitolo nono individuerà nell’azione, nelle virtù e
nel dono il perfezionamento di questa integrazione attiva del soggetto,
mentre il decimo mostrerà l’azione umana come origine della cultura,
che è quindi l’ambito in cui deve collocarsi l’agire personale.
La tesi centrale del libro, una volta ricavata dalle argomentazioni
precedenti, verrà applicata a tre ambiti fondamentali dell’esistenza
umana: sessualità (capitolo undicesimo), socialità (dodicesimo) e mortalità (tredicesimo). Vi sono certamente altri ambiti dell’Antropologia
filosofica, come il gioco, la festa, la sofferenza, la religione, ecc., che
saranno analizzati in un’altra sede. Ho scelto di trattare esplicitamente
della sessualità, della socialità e della mortalità perché sono tre aree decisive nella costruzione dell’identità umana, dove essa è posta in relazione non solo con gli altri, ma anche con se stessa e – soprattutto – con
il trascendente. Il libro si chiude con due appendici, nella prima appare
una serie di tabelle sul cervello e la sua relazione con le sensazioni,
emozioni e azioni, nella seconda si offre un glossario con la definizione
di alcuni termini importanti.
Non mi resta che ringraziare i miei studenti per le loro domande e
i loro suggerimenti, e i miei colleghi della Pontificia Università della
Santa Croce. In particolare, vorrei ringraziare il Prof. José Manuel Gi13
Prefazione
ménez Amaya e David Lázaro per i loro commenti e i loro rilievi critici
dal punto di vista delle neuroscienze e il Prof. Paul O’Calaghan per i
seminari d’Antropologia teologica da lui organizzati in cui per la prima
volta ho discusso di alcune questioni qui trattate. Infine, vorrei ringraziare anche il Prof. Giorgio Buonamassa, il Dott. Angel Pérez López e
la Dottoressa Giovanna Porcaro, che con la loro attenta lettura hanno
contribuito a migliorare la forma e il contenuto di questo libro.
14
Capitolo primo
Questioni generali
1. Significato e importanza dell’Antropologia filosofica
La storia dell’antropologia filosofica è legata allo sviluppo della
filosofia e delle scienze che l’hanno preceduta. La prima disciplina,
che in parte corrisponde a ciò che oggi si chiama antropologia, è stata la psicologia. Questo termine, coniato nel Rinascimento da Melantone (1520)1, deriva dalla parola greca psychê, ossia anima. Platone
(428/427 a.C.-348/347 a.C.) adopera psychê in alcuni dei suoi dialoghi,
come il Fedone, dove si interroga sull’immortalità dell’anima; anche
Aristotele lo usa (384/383 a.C.-322 a.C.) nella sua nota opera Peri psychê, il De anima. A differenza dell’antropologia filosofica, la filosofia
classica greca aveva per oggetto un’anima che non si riferisce solamente all’uomo ma a ogni essere dotato di principio vitale, come le
piante e gli animali. Il termine psychê, nella sua traduzione latina di
anima, domina incontrastato nei molteplici trattati medievali De anima: sia presso gli averroisti latini, come Sigieri di Brabante (prima
metà del XIII secolo-1282), che presso gli oppositori all’interpretazione averroista della psicologia aristotelica, come Tommaso d’Aquino
(1225-1274). Nel Rinascimento, invece, lo studio dell’anima viene a
poco a poco sostituito da quello dell’uomo. Ciò nonostante continua a
1
Il termine “psicologia” è stato messo in circolazione da due discepoli di
Melantone: Rodolfo Goclenio, autore di un trattato intitolato Psychologia, hoc est
de hominis perfectione (1590), e Otto Cassmann, che scrisse un altro trattato in due
volumi con il titolo di Psychologia anthropologica, sive animae humanae doctrina
(1594-96) (cfr. W. ZIEGENFUSS, G. JUNG, Philosophen-Lexicon, Handwörterbuch der
Philosophie nach Personen, De Gruyter, Berlin 1949, I, p. 394).
15
Capitolo primo
essere presente nei titoli di alcuni trattati come quello di Pomponazzi
(1462-1525), De immortalitate animae (1516), o di Luis Vives (14921540) – noto umanista spagnolo – De anima et vita (1538), in cui vengono poste le basi di una moderna teoria educativa. L’interesse degli
autori posteriori si orienta a poco a poco verso lo studio dell’uomo,
finché esso diviene – con Cartesio (1596-1650) – l’oggetto esclusivo.
Nell’opera Le passioni dell’anima (1649), il pensatore francese si occupa unicamente dell’uomo, perché secondo lui solo questi è dotato di
anima. Nel razionalismo del ’700 il termine anima nei trattati è sostituito da quello di psicologia e si riferisce esclusivamente allo studio
della ragione umana. La differenza fondamentale riguardo al Rinascimento consiste nel fatto che adesso alla psicologia si aggiunge l’aggettivo razionale per distinguerla non più da una psicologia animale,
bensì empirica. La distinzione fra una psicologia del comportamento
o empirica e un’altra teoretica o razionale, che studia le facoltà e le
loro operazioni, è dovuta a Christian Wolff (1679-1754). Mezzo secolo
dopo, il rifiuto della psicologia razionale porterà Immanuel Kant a sostituire la psicologia con una nuova disciplina, l’antropologia, termine
coniato da lui stesso nell’opera Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798). La nuova dizione avrà successo soprattutto presso la
fenomenologia del XX secolo. Autori come Max Scheler (1874-1928),
Edith Stein (1891-1942), Dietrich von Hildebrand (1889-1977) e, più
tardi, Helmuth Plessner (1892-1985), Arnold Gehlen (1904-1976), e
Karol Wojtyla (1920-2005) daranno a questi primi tentativi di sistematizzazione il carattere rigoroso di una disciplina matura, che avrà una
grande rilevanza nei dibattiti culturali dalla metà del secolo scorso fino
ai nostri giorni. L’antropologia filosofica, dunque, è il risultato finale
di una lunga storia di differenziazione nei confronti di altre discipline
filosofiche, fino al raggiungimento dello status di sapere autonomo.
Oggi l’antropologia, oltre a essersi consolidata a livello accademico, è
pure una disciplina di moda.
Una disciplina che studia l’uomo può essere considerata “di moda”?
Parlare dell’antropologia in questi termini non è, in realtà, contraddittorio? Sembrerebbe di sì. Infatti, mentre la moda ha di per sé un valore effimero e si sviluppa in un breve orizzonte temporale, l’uomo di
cui si occupa l’antropologia ha una storia millenaria e soprattutto un
valore assoluto, una sua dignità intrinseca. Forse la contraddizione è
solo apparente: l’interesse attuale per le questioni antropologiche, lungi
16
Questioni generali
dall’essere un semplice fatto culturale, manifesta le grandi sfide che la
cultura tecnologica e la globalizzazione pongono alla persona umana.
Anche se non si è mai occupato di antropologia, Martin Heidegger
(1889-1976) si è posto il problema paradossale della conoscenza che
l’uomo contemporaneo ha della persona umana: «Nessun’epoca ha saputo conquistare tante e così svariate conoscenze sull’uomo come la
nostra… Eppure nessun’epoca ha conosciuto l’uomo così poco come
la nostra. In nessun’epoca l’uomo è diventato così problematico come
nella nostra»2. La conoscenza dell’uomo non è, infatti, come quella
delle altre realtà, la cui conoscenza cresce con il crescere delle informazioni acquisite su di esse. Ciò che sappiamo dell’uomo, al contrario,
non dipende soltanto dalle informazioni acquisite, ma soprattutto dalla
comprensione della sua identità. Se le scienze ci dicono come è l’uomo,
l’antropologia filosofica ci dice chi è l’uomo e, di conseguenza, ciò che
lo fa essere se stesso, ossia crescere come persona.
L’epoca odierna, orfana di un’idea chiara di chi sia l’uomo, benché
ricca di conoscenze – soprattutto in ambito tecnico-scientifico –, è incapace di affrontare argomenti come la crisi ecologica, la globalizzazione
o le nuove possibilità offerte dalle biotecnologie senza finire in vicoli ciechi. I problemi sollevati, ad esempio, dall’economia capitalista o
dalle biotecnologie hanno uno spiccato carattere antropologico e sono
radicali, in quanto mettono in questione il concetto stesso di umano,
la sua identità e ciò che gli si oppone perché non-umano, disumano
o trans-umano. Il cammino dell’antiumanesimo odierno culmina nel
tentativo di creare modelli di famiglia alternativi e relazioni personali
differenti.
Alla luce di questa tensione fra il “chi è” e il “che cosa fa”, l’uomo
appare in una doppia veste: da un lato è in grado di risolvere innumerevoli problemi, dall’altro ne crea continuamente nuovi senza riuscire
sempre a risolverli, come accade con l’energia nucleare, la manipolazione degli embrioni o l’attuale crisi economica mondiale. Alla fine si
corre il rischio di pensare che l’uomo stesso sia un problema che in
qualche momento storico troverà una risposta. Questa è la visione tecno-scientifica dell’uomo diffusa da alcune ideologie politiche convinte
di poter creare, secondo il titolo del romanzo più famoso di Aldous
2
M. HEIDEGGER, Kant e il problema della metafisica, Silvano, Milano 1962, p.
275.
17
Capitolo primo
Huxley (1894-1963), Il mondo nuovo (Brave New World, 1932). Ma
l’uomo non è un problema; piuttosto è un mistero, la cui trascendenza
rimanda all’Infinito3. La tecnica e le scienze empiriche non possono
dire nulla sull’origine e il fine dell’uomo, perché ciò trascende i loro
metodi d’indagine e il loro campo di applicazione.
Anche se si parla dell’uomo come persona, quest’ultima può essere
intesa solamente nella sua pluralità ovvero in relazione alle altre persone, perché i rapporti interpersonali influiscono in modo essenziale sulla
costituzione di ciò che la persona è, ovvero sulla sua identità4.
Da quanto detto finora possono ricavarsi due premesse per lo studio
dell’antropologia:
1) L’uomo non è una realtà come le altre: non è qualcosa, ma è qualcuno. Questo si manifesta, ad esempio, nella trascendenza che l’uomo
ha nei confronti dei suoi obiettivi economici e tecnici. L’impossibilità di
comprenderlo unicamente a partire dall’informazione oggettiva fornita
dalle scienze rivela la necessità di formazione di cui l’uomo ha bisogno
per diventare ciò che deve essere. Immanuel Kant (1724-1804) aveva
già colto, pur se in modo limitato, l’apparente paradosso fra informazione e formazione quando distingueva fra un’antropologia fisiologica,
ossia ciò che la natura fa dell’uomo, e un’antropologia pragmatica ossia
ciò che l’uomo fa della sua natura5. L’antropologia filosofica, dunque,
deve studiare l’uomo nella sua totalità, raccogliendo quanto le scienze
sperimentali, la tecnica, le arti e la filosofia dicono di lui ma senza mai
perdere di vista la sua trascendenza.
2) L’identità umana consiste in una continua scoperta della propria
natura, in particolare della razionalità o relazionalità, giacché la persona, sebbene non consista in una relazione, è sempre in relazione. Sarà
3
Sulla distinzione fra problema e mistero, Gabriel Marcel scrive: il problema
«è qualcosa che incontro, che trovo davanti a me, ma che posso delimitare e trasformare, mentre un mistero è qualcosa in cui sono impegnato e che quindi è pensabile
soltanto come una sfera in cui la distinzione fra l’“in me” e “davanti a me” perde il
suo significato e il suo valore iniziale» (G. MARCEL, Giornale metafisico, Edizioni
Abete, Roma 1966, p. 320).
4 Ho difeso questa tesi nel saggio Io e gli altri. Dall’identità alla relazione,
EDUSC, Roma 2010, pp. 347-359.
5 «La conoscenza fisiologica dell’uomo si propone di indagare ciò che la natura
fa dell’uomo, la pragmatica ciò che l’uomo, in quanto essere libero, fa o può fare di
se stesso» (I. KANT, Antropologia dal punto di vista pragmatico, in Scritti morali, a
cura di P. Chiodi, Torino, UTET 1970, p. 541).
18
Questioni generali
perciò necessario considerare le relazioni interpersonali come parte essenziale dell’identità personale. Questo richiederà l’impiego, come si
vedrà in seguito, di un metodo preciso.
La persona, in fin dei conti, non è un puro oggetto di scienza né un
essere che risolve solo problemi pratici; è un essere trascendente e relazionale, cioè un mistero che non ammette soluzioni, ma una progressiva
scoperta della sua identità. Un’identità, d’altra parte, che – prescindendo da una prospettiva escatologica – non è mai raggiungibile definitivamente: la persona può sempre essere più di ciò che è, perché non è un
essere determinato e compiuto, quanto piuttosto un poter essere orientato verso una perfezione ultima posseduta solo in modo germinale.
2. Oggetto materiale e formale
Solo tenendo conto di queste due premesse la persona umana può
essere oggetto (o ambito di studio) dell’antropologia. D’altro canto, la
persona è anche il soggetto di questa scienza, perché, pur ammettendo
una certa conoscenza oggettiva, la persona è soggetto di passioni, azioni
e relazioni, nonché della riflessione antropologica stessa. Anche se ogni
teoria antropologica filosofica contempla il proprio oggetto dall’esterno attraverso una distanza che rende possibile l’oggettività, deve pur
sempre servirsi dell’esperienza che tale “oggetto” ha di se stesso e degli
altri come persone. La parzialità della conoscenza della persona non è
solo dovuta ai limiti della ragione umana e al carattere complesso del
suo oggetto, ma soprattutto al suo mistero. Da questo punto di vista,
l’antropologia ha molti punti in comune con altre discipline umanistiche, come la psicologia, la sociologia, la storia, ecc., in cui appare chiaramente la trascendenza personale.
L’oggetto dell’antropologia può essere considerato da un punto di
vista materiale e da un punto di vista formale. L’oggetto materiale è la
persona nella molteplicità delle sue manifestazioni somatiche, psichiche
e spirituali, cioè la persona in quanto un’unità strutturale. L’ambito di
studio che l’antropologia ha in comune con altre discipline si riferisce
quindi agli elementi di questa struttura: il corpo del quale si occupano la
fisica, la chimica, la biologia, l’anatomia, la fisiologia; la psiche di cui si
occupa la psichiatria, la psicologia e le neuroscienze; lo spirito di cui si
occupa la religione, le belle arti, la politica, la sociologia, la storia e la
19
Capitolo primo
linguistica. A differenza dall’antropologia, queste discipline affrontano
la conoscenza della persona in modo settoriale, non nella sua unità.
L’unità non va però identificata con la totalità della struttura, bensì
con il principio che la genera. È infatti possibile – come fa l’antropologia scientifica – studiare la persona nella sua struttura somatico-psichico-spirituale senza sconfinare nell’ambito dell’antropologia filosofica,
che invece si occupa del vivere personale come principio. All’interno
dell’antropologia scientifica ci sono discipline che colgono la totalità
umana da una prospettiva determinata. Abbiamo l’antropologia culturale che si occupa degli usi e dei costumi sociali; quella psicologica
che studia la condotta umana dal punto di vista dei processi psichici,
degli equilibri e squilibri, delle crisi e dei disturbi; quella sociale che
analizza le dinamiche relazionali della persona (elementi comuni alle
varie forme di società); quella etnologica, il cui oggetto sono i gruppi
umani, le circostanze geografiche, storiche o climatiche (descrizione e
comparazione delle caratteristiche comuni). Nessuna di queste discipline per sé considerata né la loro somma corrispondono all’antropologia
filosofica.
Ciò che distingue l’antropologia filosofica da tutte le altre discipline
filosofiche e anche dall’antropologia scientifica è il suo oggetto formale, ovvero lo studio della persona umana in quanto tale: la conoscenza
dei principi fondamentali della sua esistenza nel mondo, come la natura razionale o relazionale, la libertà ontologica e l’agire che dà luogo
all’integrazione o alla disintegrazione personale. La premessa dell’integrazione è la distinzione fra l’essere della persona e la sua essenza che,
oltre a essere spirituale, è anche corporea e psichica. L’integrazione
consiste nell’ottenere un grado di unificazione maggiore di quello che
l’essenza ha inizialmente. Nella persona essa può essere doppia: spontanea, mediante la strutturazione di desiderio, conoscenza, affettività e
movimento, come nel bambino che fugge dal cane perché ha paura; e
libera, mediante le azioni consapevoli e volontarie e gli abiti, come il
soldato valoroso che – nonostante la paura – affronta il nemico cercando di difendere la patria. Anche se la persona – come gli altri esseri viventi – è dotata di un principio di unità, a differenza di essi non possiede
un’integrazione solo spontanea, cioè limitata a portare a compimento i
processi vitali (ad esempio, la fuga dal predatore), ma anche libera, perché l’integrazione costituisce un obiettivo per la persona stessa. Da qui
l’analogia che il termine integrazione ha in antropologia. Certamente,
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Questioni generali
tanto nell’integrazione spontanea quanto in quella libera le relazioni
interpersonali giocano un ruolo fondamentale.
All’antropologia, dunque, non interessa il come, caratteristico delle
scienze sperimentali, ma il perché. Ad esempio, perché per vivere l’uomo ha necessità della cultura, della religione, dell’amicizia, ecc.? In sostanza, l’antropologia filosofica si chiede il senso e il perché della vita
umana. La confusione di piani porta, invece, come nel noto apologo
buddista dei ciechi e dell’elefante6, a costruire l’antropologia a partire
dai dati relativi a un solo ambito.
La domanda di senso tipica dell’antropologia la distingue anche dalle altre discipline filosofiche. Nonostante si occupi della realtà della
persona umana dal punto di vista dei primi principi e delle cause ultime,
non ha solo un carattere universale. La persona non è, infatti, una specie
o un universale (non esiste la persona, solo le persone), ma un essere
singolare che è addirittura unico e irripetibile. A differenza quindi di
quanto accade nelle altre discipline filosofiche, l’antropologia s’interessa anche dell’aspetto esistenziale. Dato, poi, che il soggetto di questa scienza è sempre la persona, oltre alla conoscenza degli altri esseri
umani singolari, l’antropologo si serve anche della conoscenza che ha
di sé come essere singolare e irripetibile. Infine, poiché studia l’essere
in relazione, l’antropologia filosofica si occupa anche della circolarità
fra l’integrazione personale e le relazioni interpersonali: in particolare,
essa si chiede in quali forme relazionali, secondo la sua struttura, la
persona possa inserirsi perfettivamente e se ne esistano alcune in particolare da cui essa dipenda in maniera essenziale.
Insomma, l’antropologia filosofica studia il logos o legge costitutiva delle persone e delle loro relazioni, che deve essere universalmente
comprensibile mediante i dati concreti e, soprattutto, applicabile alle
loro esistenze. A causa del suo carattere misto (universale-particolare),
l’antropologia ha un rapporto bilaterale con le scienze e si pone come
6
Si racconta di un re che, come divertimento, fece convocare nella piazza tutti i
ciechi della città chiedendo loro di descrivere l’elefante regale dopo averlo toccato.
Il cieco che toccò le orecchie disse: «Maestà, l’elefante è simile a un ventaglio».
Mentre quello che accarezzò le zanne sostenne: «No, maestà, l’animale è simile
a un vomere». La scena si ripeté quando gli altri ciechi toccarono la proboscide,
il ventre, le zampe: essi continuarono a smentirsi a vicenda e a litigare, perché
nessuno di loro aveva la visione dell’elefante tutta intera (cfr. O. VON HINÜBER, A
Handbook of Pāli Literature, De Gruyter, Berlin 2000, Udana, VI, 4, pp. 66-69).
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un sapere sintetico: tenendo conto dei risultati della scienza (per approfondire o riformulare le sue tesi), l’antropologo offre allo scienziato il
frame o cornice teoretica ove situare le questioni filosofiche ultime che
sono fonte di senso per l’esistenza e, di conseguenza, per la stessa elaborazione della scienza come attività personale.
3. I metodi
L’analisi dei manuali di antropologia mostra l’utilizzo di una molteplicità di metodi. Forse quelli più ricorrenti sono:
1) Il metodo storico, che consiste nel ricavare dalle diverse scuole e
dai differenti pensatori una serie di analisi, spiegazioni e interpretazioni
sull’uomo. Questo metodo, oltre alle difficoltà ermeneutiche proprie
delle discipline storiche, si deve confrontare anche con il problema che
l’antropologia è un ramo della filosofia relativamente recente, per cui
bisogna scegliere bene gli autori da prendere in considerazione, evitando di considerare antropologi quei pensatori che hanno una visione
dell’uomo basata piuttosto su altre discipline filosofiche, come l’ermeneutica o la teoria della conoscenza.
2) Il metodo sistematico, secondo cui si aderisce a un sistema filosofico determinato: la filosofia di Platone, di Aristotele, di San Tommaso
D’Aquino, di Cartesio, o di Kant, Scheler, Plessner, Gehlen… o se ne
crea uno nuovo.
All’interno del metodo sistematico possiamo ulteriormente distinguere due indirizzi fondamentali: ontologico classico e fenomenologico. L’indirizzo ontologico classico o metafisico studia la persona con le
stesse categorie degli altri enti. Anche se la visione metafisica permette
di giungere ad alcune conclusioni fondamentali per quanto riguarda la
comprensione dell’uomo (ad esempio, la sua natura di animale razionale), non sempre i suoi cultori tengono in considerazione i dati provenienti dalle scienze, e nemmeno le questioni poste recentemente dalle
neuroscienze. Così, l’indirizzo ontologico classico richiede un ripensamento di alcuni temi non facilmente interpretabili con le categorie di
sostanza e accidente, come la considerazione della libertà umana. Vi è
dunque necessità di un’ontologia più ricca che non si limiti a considerare le realtà umane solamente a partire da categorie comuni. D’altra
parte, sebbene l’indirizzo fenomenologico consenta di cogliere i vissuti
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Questioni generali
della persona umana, cioè tendenze, emozioni e atti intenzionali, non
sempre è in grado di passare al fondamento, per cui spesso rimane a
livello di un’analisi alla ricerca delle caratteristiche essenziali dei differenti fenomeni.
3) Nell’antropologia filosofica può essere impiegato anche il metodo
analitico, simile a quello usato dalle discipline scientifiche. La persona
umana è analizzata negli elementi che la compongono: organi, facoltà,
atti. Anche se ciò permette di approfondire singoli aspetti, si corre il
rischio di dimenticare l’unità personale, smembrata in una pluralità di
parti. Un esempio di questo, con tutti i pregi e i difetti, è la cosiddetta
psicologia delle facoltà.
4) Un metodo complementare a quello precedente è il metodo sintetico, in cui i singoli aspetti sono considerati facendo parte di un tutto
già dato. Anche qui ci sono alcuni limiti quando nel tentativo di non
perdere la visione d’insieme si sorvolano le particolarità. D’altro canto,
il metodo sintetico è più adatto a studiare il dinamismo dell’individuo e
il suo rapporto con il mondo e con gli altri, che non la sua struttura ontologica. L’antropologia esistenziale e quella personalista usano spesso
questo metodo7.
5) Infine, si deve parlare del metodo sistemico, da non confondere
con quello sistematico. A differenza di quest’ultimo, il metodo sistemico si occupa di elementi che sono coordinati realmente e non solo
concettualmente, per cui non è possibile studiarli in modo isolato. Ad
esempio, il bipedismo, la forma delle mani, l’uso di strumenti e il linguaggio costituiscono un unico insieme; a un livello più profondo, le
categorie (tempo, spazio, azione, passione, relazione, ecc.) costituiscono un altro plesso, e in questo modo, tempo, spazio, passioni, azioni e
relazioni fanno parte di un’unica identità personale. Troviamo così una
serie di sistemi le cui proprietà non si riducono alla somma dei loro
elementi: ad esempio, il significato del martello non si riduce allo strumento bensì all’insieme degli attrezzi e degli oggetti su cui esso si può
usare (chiodo, quadro, parete). Nel sistema c’è, quindi, novità: il tutto
contiene più della somma delle parti, e ciò implica un grado più alto di
unità, non più quantitativo ma appunto sistemico o qualitativo. Nella
persona la grande connessione fra gli elementi implica l’esistenza di
7
Un’ottima spiegazione di questa corrente si trova in J.M. BURGOS, El personalismo. Temas y autores de una filosofía nueva, Palabra, Madrid 2000.
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un’unità ancora più profonda, e di conseguenza possiamo, per lo meno,
ipotizzare l’esistenza di un principio ultimo di tale coesione, cioè un
essere spirituale.
La prospettiva seguita in questo libro è di natura sistemica, giacché
ogni elemento, fenomeno e caratteristica sono studiati in accordo con il
ruolo che svolgono nel perfezionamento umano. Infatti, questo aspetto
sistemico dell’antropologia deriva dal fatto che la persona umana è un
sistema aperto che tende al proprio sviluppo; non si tratta, dunque, di
un sistema fisico inerziale, e neppure omeostatico, in cui ciò che conta è
raggiungere l’equilibrio, come nell’assimilazione delle sostanze necessarie per vivere, bensì di un sistema che ha come scopo la perfezione
personale, ovvero che la persona giunga a essere se stessa in maniera
consapevole e libera. Il concetto d’integrazione ha perciò in antropologia una grande importanza. La persona umana ammette l’integrazione in grado massimo perché il suo rapporto con la realtà non consiste
nell’adattamento, ma piuttosto in una trasformazione orientata al perfezionamento, di se stessi, della società e del mondo. Mondo umano e
società sono anche sistemi aperti: è possibile migliorarli, o peggiorarli
fino a quasi distruggerli. In definitiva, il successo delle persone umane e
delle loro istituzioni non è scontato, poiché dipende dalla libera crescita
delle persone.
Il metodo sistemico, qui adoperato, ha due momenti: uno analiticoinduttivo (dai fenomeni verso i principi) e un altro sintetico-deduttivo
(dai principi verso i fenomeni). Questi due momenti tengono conto
sia del piano ontologico (essere/essenza; natura/libertà) sia del piano
fenomenologico (apparire/nascondere; apertura/chiusura; donazione/
ricezione).
Per quanto riguarda l’ambito delle tendenze, degli affetti e delle relazioni, il metodo sistemico è completato da quello ermeneutico, giacché
ogni comprensione dei principi e dei fenomeni antropologici contiene
già una precomprensione basata sull’esperienza vissuta. La ragione è
nelle caratteristiche proprie dell’oggetto dell’antropologia: la persona
umana non è un oggetto scientifico in più, ma è anche soggetto in quanto ha una conoscenza di se stessa basata sull’esperienza. La riflessione
antropologica in questo saggio è, perciò, sempre unita all’autocomprensione, così come l’autocomprensione è sempre unita alla comprensione
degli altri, e quest’ultima alla possibilità di ottenere un grado più elevato di conoscenza che permetta una maggiore integrazione personale.
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Questioni generali
Ad esempio, osservando le azioni degli altri non solo conosco meglio
le altre persone ma anche me stesso, giacché sono in grado di scoprire
in me delle possibilità latenti. Da questa prospettiva, le mode possono
avere un importante valore ermeneutico, anche se – come mostrano abbondanti esempi storici – non sempre aiutano ad acquisire la propria
integrazione. Per citarne solo uno, il suicidio del giovane Werther, protagonista dell’omonimo romanzo di Johann Wolfgang Goethe (17491832) I dolori del giovane Werther, nel mettere a nudo il cosiddetto
mal du siècle scatenò un’ondata di suicidi fra i suoi giovani lettori. Per
evitare l’influsso negativo delle mode bisogna essere consapevoli dei
modelli seguiti e del perché ci si vuole identificare con essi. Solo dopo
aver risposto a queste domande, si è nella condizione di servirsi intelligentemente delle mode.
4. Rapporto fra antropologia e altre discipline
Per comprendere meglio l’antropologia filosofica e il suo ambito di
ricerca è necessario considerare altre discipline filosofiche e teologiche
accomunate da uno stretto rapporto: fondamentalmente sono la metafisica, l’etica, la gnoseologia e l’antropologia teologica.
Nello studio degli enti in tutta la loro ampiezza e struttura fondante, cioè nei loro principi primi e nelle loro cause ultime, la metafisica
classica tratta anche dell’uomo. Pur nella sua validità, questo studio non
permette di cogliere, se non in modo implicito, la distinzione fra l’essenza e l’essere personali. Come infatti abbiamo accennato, la persona
non è un ente fra gli altri enti, ma un essere vivente dotato di razionalità,
cioè di relazionalità in quanto la razionalità è fondamentalmente apertura all’essere8: attraverso la razionalità la persona è in relazione con il
mondo e con gli altri enti, soprattutto con le altre persone. La relazione intesa come categoria accidentale non permette di pensare adeguatamente la relazionalità umana. Nonostante non costituisca l’essenza
umana, infatti, la relazione è indispensabile affinché quest’ultima possa
svilupparsi, giacché la persona si perfeziona soprattutto attraverso le
relazioni, in modo particolare con le persone umane e divine. D’altron8 Sull’idea di libertà come apertura si veda J.A. GARCÍA CUADRADO, Antropología
filosófica, EUNSA, Pamplona 2001, p. 146 e sgg.
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de, la libertà, che dal punto di vista della metafisica classica sarebbe
anch’essa un accidente (specificamente, una qualità della potenza volitiva), appare invece come qualcosa di ontologicamente costitutivo per
l’uomo9. Infatti, come si vedrà nello studio delle tendenze, in esse si
manifesta già la libertà.
Nel rapporto fra metafisica e antropologia emergono, quindi, una
serie di questioni: l’antropologia si fonda su un’ontologia di taglio classico o è una disciplina autonoma, con una propria ontologia? Le categorie degli altri enti dell’universo possono essere applicate alla persona
oppure devono essere in qualche modo modificate?
L’etica, dal canto suo, ha in comune con l’antropologia lo studio
della libertà, ma non in quanto tale, bensì come origine di azioni umane
(libere e responsabili), di virtù e di relazioni perfettive, come le virtù
sociali e l’amicizia virtuosa. Questo interesse per le manifestazioni della libertà nell’agire si osserva nelle diverse scuole, le quali sottolineano
determinati aspetti della persona. Ad esempio, l’etica eudemonistica
accentua la felicità; l’etica stoica, le virtù; l’etica edonistica, la diversità
dei piaceri della sfera sensibile e spirituale; e l’etica deontologica, il dovere. In tutte queste scuole è implicita una precomprensione dell’uomo
teorizzata in maggiore o minore misura, la cui correttezza deve essere
vagliata dall’antropologia. D’altro canto, dal rapporto fra etica e antropologia scaturiscono pure diverse domande: l’etica deve basarsi sulla
9 Il rifiuto della categoria metafisica di accidente per parlare della relazionalità
umana non dipende dal considerare l’accidente secondo il modo abituale di capire
questo termine, come qualcosa cioè di poco importante. Piuttosto esso dipende dal
carattere particolare che gli accidenti hanno in Antropologia, giacché permettono
all’essenza umana di raggiungere il suo perfezionamento personale, così la temporalità, la virtù, la relazione, ecc. Per quanto riguarda la libertà, anche quando
essa non può manifestarsi, è legata inseparabilmente all’essere personale. Tutto ciò
ci parla dell’essere umano come distinto da tutti gli altri esseri materiali. Come
vedremo, questa differenza deriva dal fatto che la persona ha un essere spirituale.
La distinzione antropologica fra essere ed essenza personale è, secondo Leonardo
Polo, un’applicazione della distinzione metafisica di San Tommaso fra l’atto di essere e l’essenza. Infatti, secondo quest’autore, la persona umana dispone d’accordo
con la sua essenza perché ha libertà, cioè il poter di questo disporre: «Andando
oltre la simmetria con l’essere dell’universo, la libertà umana è trascendentale. La
libertà è una dotazione da cui dipende l’essenza dell’uomo, dipendenza che assicura
il disporre, cioè l’essenza al livello degli abiti» (cfr. L. POLO, Presente y futuro del
hombre, Rialp, Madrid 1993, p. 191).
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metafisica o sull’antropologia? In quale modo l’etica aiuta l’antropologia a cogliere meglio l’essenza della libertà umana?
Anche con altre discipline filosofiche (filosofia politica, della cultura e dell’arte, della religione, ecc.) l’antropologia ha un rapporto bilaterale. Da un lato, l’antropologia filosofica fornisce la conoscenza del
senso della vita e delle azioni umane, dall’altro, queste discipline offrono all’antropologia prospettive, dati, e interpretazioni che servono a
migliorare la comprensione stessa della persona.
Anche con la teologia vi è una relazione simile. Da una parte, la teologia stimola e favorisce la comprensione dell’uomo mediante domande
essenziali: l’individuo è pienamente riducibile all’essere dell’universo
materiale? Il suo desiderio di felicità può essere vano? La morte del corpo segna la fine dell’uomo? Dall’altra, l’antropologia offre alla teologia
una via di accesso a Dio, giacché, come afferma Clemente D’Alessandria (150-circa 215), la conoscenza di Dio è intimamente legata alla
conoscenza di se stessi10. Il rapporto fra teologia e antropologia filosofica si dà, soprattutto, all’interno dell’antropologia teologica, in quanto
l’essere umano occupa un posto particolare nella creazione, giacché è
l’orizzonte e il confine fra gli esseri materiali e spirituali, creato da Dio
e da Lui elevato alla vita della grazia11.
10
«Chi conosce se stesso, conoscerà anche Dio» (CLEMENTE ALESSANDRINO, Il
pedagogo, Città Nuova, Roma 2005, p. 252).
11 «Perciò si riscontra che il supremo nel genere dei corpi, ossia il corpo umano
dalla complessione equilibrata, viene a toccare l’infimo nel genere delle sostanze
intellettive, cioè l’anima umana, come si può scoprire dal modo di conoscere intellettualmente. Ecco perché si dice che l’anima intellettiva è come “orizzonte” e
“confine” tra gli esseri corporei e incorporei, in quanto è una sostanza incorporea,
che però è forma del corpo» (TOMMASO D’AQUINO, Contra Gentiles, III, c. 112).
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