Pdf - RTUP - Università degli Studi di Perugia

annuncio pubblicitario
CancerStat Umbria
Anno III No. 7
Luglio 2012
Registro Tumori
Umbro di Popolazione
ISSN 2039-814X
Registro Nominativo
delle Cause di Morte
Registro Regionale
dei Mesoteliomi
Direttore:
Francesco La Rosa
Coordinatore:
Fabrizio Stracci
Dipartimento di
Specialità MedicoChirurgiche e Sanità
pubblica.
Sezione di Sanità
Pubblica.
Università degli Studi
di Perugia.
I tumori dell’ovaio
G. Baiocchi, S. Gerli, G.C. Di Renzo.
N. Buonora, L. Minelli, F. Bianconi,
V. Brunori, F. La Rosa, F. Stracci.
INDICE:
Parte I
Epidemiologia e fattori di rischio
pag. 345
Bibliografia
pag. 351
Parte II
Regione dell’Umbria.
Direzione regionale
Salute, coesione sociale
e società della
conoscenza
Anatomia patologica e management clinico
pag. 355
Bibliografia
pag. 368
CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7
CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO.7
CancerStat Umbria
Registro Tumori
Umbro di Popolazione
Registro Nominativo
delle Cause di Morte
Registro Regionale
dei Mesoteliomi
Direttore:
Anno III No. 7, Luglio 2012
ISSN 2039-814X
Codice CINECA-ANCE E205269
Pubblicato da:
Registro Tumori Umbro di Popolazione
Francesco La Rosa
Coordinatore:
Fabrizio Stracci
Collaboratori:
Anna Maria Petrinelli
Daniela Costarelli
Fortunato Bianconi
Valerio Brunori
Daniela D’Alò
Silvia Leite
Maria Saba Petrucci
Francesco Spano
Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Sanità
Pubblica. Sezione di Sanità Pubblica.
Università degli Studi di Perugia.
Via del Giochetto
06100 Perugia
Tel.: +39.075.585.7329 - +39.075.585.7366
Fax: +39.075.585.7317
Email: [email protected]
URL: www.rtup.unipg.it
Segreteria:
Luisa Bisello
Regione dell’Umbria.
Direzione regionale
Salute, coesione sociale
e società della
conoscenza
Emilio Duca
Paola Casucci
Marcello Catanelli
Mariadonata Giaimo
CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO.7
I TUMORI DELL’OVAIO
I tumori dell’ovaio
G. Baiocchi1, S. Gerli1, G.C. Di Renzo1.
N. Buonora2, L. Minelli2, F. Bianconi3, V. Brunori3,
F. La Rosa2,3, F. Stracci2,3.
1
2
3
Clinica Ostetrica e Ginecologica, Azienda Ospedaliera di Perugia
Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva,
Università di Perugia
Registro Tumori Umbro di Popolazione, Dipartimento di Specialità
Medico-chirurgiche e Sanità pubblica. Sezione di Sanità pubblica.
Università di Perugia.
Parte I
N. Buonora, L. Minelli, F. Bianconi, V. Brunori, F. La Rosa, F. Stracci
Introduzione
I tumori ovarici primitivi originano dai tre
elementi che costituiscono l’ovaio: l’epitelio di
superficie, che a sua volta deriva
embriologicamente dai dotti mulleriani, lo
stroma ovarico e i cordoni sessuali, e le cellule
germinali che migrano all’ovaio dal sacco
vitellino e che sono totipotenti[1]. L’80-90% dei
tumori ovarici si presenta in donne in età
compresa fra 20 e 65 anni, e meno del 5% in
età pediatrica. Nella grande maggioranza dei
casi (80%) si tratta di tumori benigni: il 60% di
questi è diagnosticato in donne in età inferiore a
40 anni. Il 15-20% dei tumori ovarici è maligno,
e di questi il 90% è diagnosticato in donne in
età superiore ai 40 anni. Infine, il 5-10% dei
tumori ovarici è definito a malignità intermedia
(borderline). A differenza dei tumori maligni, che
si osservano prevalentemente in età avanzata, i
tumori borderline sono più comuni in donne
giovani con picco di incidenza nella quarta e
quinta decade[2].
Materiali e Metodi
In questo lavoro vengono illustrati i tassi
d’incidenza e di mortalità per tumori maligni
dell’ovaio in Umbria, i trend temporali degli
stessi indicatori per il periodo 1994-2008 e il
confronto con i trend italiani 1998-2005[3-4].
I dati relativi al numero di nuovi casi sono
quelli del database del Registro Tumori Umbro
di Popolazione (RTUP), quelli relativi ai
deceduti del Registro Nominativo delle Cause
di Morte (ReNCaM) dell’Umbria.
I tumori sono stati codificati secondo la decima
classificazione internazionale delle malattie con
il codice C56 (ICD X)[1].
I trend temporali sono stati calcolati sui tassi
standardizzati per sesso ed età, con la
popolazione europea con il metodo della
“jointpoint
regression”.
Questa
analisi
temporale mette in evidenza i cambiamenti
statisticamente significativi dei trend e
quantifica la variazione media annuale dei tassi
(annual percent change = APC)[5].
Nelle tabelle l’asterisco (*) accanto al valore
dell’APC indica la significatività (P≤0.05)
dell’incremento o del decremento calcolato.
Epidemiologia
Il cancro dell’ovaio rappresenta in termini di
frequenza la settima neoplasia femminile nel
mondo. Ogni anno si stimano circa 225.000
nuovi casi (6.3/100.000) con 140.000 decessi.
L’incidenza delle neoplasie maligne ovariche
varia nelle diverse aree geografiche, con tassi
più elevati in Europa (10.1/100.000) e Nord
America (8.7/100.000) rispetto ai paesi africani
(4.0/100.000)
e
al
sud-est
asiatico
[6]
(6.2/100.000) . Pur essendo per frequenza la
terza delle neoplasie ginecologiche nell’emisfero
occidentale, dopo il cancro dell’endometrio e
della cervice uterina, è ancora la prima causa di
morte in ragione della diagnosi spesso tardiva e
della scarsa risposta al trattamento.
345
I TUMORI DELL’OVAIO
Nel 2011 in Italia sono stati registrati 4770
nuovi casi di cancro dell’ovaio e si stima che nel
2030 saranno 5756[7]. Tale neoplasia rientra tra i
primi dieci tumori femminili in termini di
frequenza e rappresenta, per numero di decessi,
la sesta causa di morte neoplastica nelle donne
(4,8% di tutti i decessi per cancro). In Italia, il
tasso d’incidenza grezzo medio annuo è di 17,1
casi per 100.000 donne. L’incidenza ha invertito
il suo trend ascendente alla metà degli anni
novanta, e attualmente la sua flessione (APC) è
del -1.2* (figura 1). Il trend della mortalità è
simile (APC -1.4, non statisticamente
significativo).
Figura 1. Trend temporali dei tassi standardizzati di
incidenza e mortalità per 100.000. cancro ovarico
(C56). Periodo 1998-2005.
diminuisce con APC -1.2 ma non in maniera
significativa (tabella1; figura 2).
Tabella 1. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi
grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità in
Umbria. Periodi 1978-1982, 1994-1998, 2004-2008;
Femmine.
Incidenza femmine
Tasso
Tasso
grezzo
standard.
11.7
10.1
21.2
14.9
18.5
12.0
Mortalità
Anni di
riferimento
1978-1982
1994-1998
2004-2008
N.
casi
48
89
83
Anni di
riferimento
N.
morti
Tasso
grezzo
Tasso
standard.
1978-1982
1994-1998
2004-2008
48
56
11.5
12.4
6.8
6.5
18
16
14
12
10
8
Andamenti temporali dell’incidenza e della
mortalità in Umbria
Il trend umbro non si discosta dal quadro
epidemiologico italiano. A partire dal 1994,
anno d’inizio dell’attività del Registro Tumori
Umbro di Popolazione, al 2008 l’incidenza e la
mortalità per cancro ovarico hanno un
andamento decrescente. L’incidenza si riduce
significativamente con APC -2.1*. La mortalità
6
4
2
20
08
20
06
20
04
20
02
20
00
19
98
19
96
0
19
94
La riduzione dell’incidenza coinvolge tutte le
età, pur essendo tuttora più marcata sotto i 50
anni. I tassi d’incidenza e di mortalità sono
relativamente simili attraverso il Paese, ma
sembrano declinare più rapidamente nell’Italia
centrale, meridionale e insulare[4].
INCIDENCE 1994-2008 APC( 95%CI) -2.1* (-3.8; -1.4)
MORTALITY 1994-2008 APC (95% CI) -1.2 (-3.5; 1.2)
Figura 2. Trend umbro di incidenza e mortalità del
cancro ovarico (C56) (triangolo: tasso osservato
d’incidenza; linea continua: trend stimato
d’incidenza; rombo: tasso osservato di mortalità;
linea continua: trend stimato di mortalità). Periodo
1994-2008.
L’analisi geografica dell’incidenza del cancro
dell’ovaio mostra una tendenza a valori più
elevati nella parte sud e sud-est della Regione,
346
I TUMORI DELL’OVAIO
con SIR che nella maggior parte dei casi non
superano tuttavia il 140 per 100 (tabella 2, 3;
figura 3, 4). Tale tendenza si associa a quella già
nota per gli altri tumori ginecologici e per tutte
le sedi complessivamente nel sesso femminile in
Umbria[8].
Tabella 2. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi
grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità del
cancro dell’ovaio per ASL in Umbria. Periodo 19941998.
19941998
INCIDENZA
N.
casi
MORTALITA'
Tasso
Tasso Tasso N.
grezzo stand. morti grezzo
Tasso
stand.
ASL1
12
19.2
13.8
8
12.9
7.4
ASL2
34
20.2
14.3
20
12.3
8.0
ASL3
16
20.9
14.8
8
10.3
5.9
ASL4
27
24.0
16.7
12
10.2
5.5
Umbria
89
21.2
14.9
48
11.5
6.8
Figura 3. Distribuzione regionale del cancro del
collo dell’utero (C53), del corpo dell’utero (C54),
dell’ovaio (C56) e per tutte le sedi. SIR 1999-2003
Tabella 3. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi
grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità del
cancro dell’ovaio per ASL in Umbria. Periodo 20042008.
20042008
INCIDENZA
N.
casi
MORTALITA'
Tasso Tasso N.
Tasso
grezzo stand. morti grezzo
Tasso
stand.
ASL1
12
17.1
11.0
7
10.9
5.6
ASL2
32
17.4
12.5
17
9.3
5.3
ASL3
14
17.8
10.6
13
15.5
7.3
ASL4
25
21.4
12.7
19
15.8
8.0
Umbria
83
18.5
12.0
56
12.4
6.5
Figura 4. Distribuzione regionale del cancro
dell’ovaio (C56). SIR 2004-2008
L’analisi delle diverse sedi mette in evidenza
chiare differenze territoriali che possono,
talvolta essere ricondotte a differenti
esposizioni ai fattori di rischio, considerato che
per il tumore dell’ovaio non esiste ancora un
intervento di screening organizzato, a
differenza di cervice uterina, mammella e
colon-retto, né uno “selvaggio” come per
cancro della prostata o melanoma.
347
I TUMORI DELL’OVAIO
Fattori di rischio ed eziologia
I principali fattori di rischio per il carcinoma
ovarico sono una storia familiare positiva e la
presenza di alcune sindromi genetiche (tabella
4). Studi epidemiologici hanno portato ad
elaborare tre teorie riguardo alla eziologia dei
tumori ovarici:
1) la storia familiare di malattia è un fattore
associato ad un aumentato rischio di neoplasia
(fattori genetici e familiari);
2) l’ovulazione incessante e la stimolazione
gonadotropinica possono portare a mutazioni
cellulari e favorire la trasformazione neoplastica
(fattori endocrini);
3) l’ovaio può essere esposto all’azione di
cancerogeni attraverso la vagina e le tube di
Falloppio (fattori ambientali).
Fattori genetici e familiari:
Circa il 5-10% delle neoplasie ovariche
riconosce, quale fattore di rischio principale, la
familiarità. Nella popolazione generale, il rischio
medio per una donna di sviluppare nel corso
della vita un tumore ovarico è 1,6%. Una storia
di carcinoma ovarico in una parente aumenta il
rischio complessivo di sviluppare la neoplasia,
nel corso della vita, fino al 5%; in presenza di
una storia familiare in due parenti l’aumento del
rischio è invece pari al 7%. Le donne affette da
specifiche mutazioni geniche sono esposte ad
un rischio più elevato[9,10]. Significativa è
l’associazione fra carcinoma ovarico e tumore
mammario per la presenza di loci di
suscettibilità genetica per questi tumori
denominati BRCA1 (q17) e BRCA2 (q13).
Mutazioni a carico di questi geni soppressori
sono responsabili della maggior parte delle
forme ereditarie di carcinoma ovarico epiteliale.
La sindrome del carcinoma della mammella e
del carcinoma ovarico ereditario, che interessa
una donna ogni 500, è associata ad una
mutazione autosomica dominante dei geni
BRCA1 o BRCA2[11,12].
La sindrome aumenta il rischio di sviluppare
carcinomi della mammella, del pancreas e della
prostata, ed è associata ad un rischio di
carcinoma ovarico, nel corso della vita, pari al
23-54%. Complessivamente la sindrome del
carcinoma della mammella e del carcinoma
ovarico ereditari è responsabile del 12% dei casi
di carcinoma ovarico. Tra le donne ebree
Ashkenaziti, discendenti da gruppi originari
dell’Europa Centro-Orientale, la stima dei
portatori di mutazioni founder a carico dei geni
BRCA1 e BRCA2 è circa del 2,5% (1 su 50). Le
due mutazioni ricorrenti in BRCA1 (185delAG
e 5382insC) e quella in BRCA2 (6174delT)
sono responsabili di quasi il 90% (78-96%) dei
casi ereditari di carcinoma della mammella e di
cancro ovarico[13-15]. La sindrome del carcinoma
colon-rettale
non
poliposico
ereditario
(sindrome di Lynch II) è invece il risultato di
una mutazione autosomica dominante che
determina un aumento del rischio di carcinoma
colon-rettale non poliposico e dei carcinomi
dell’endometrio, della mammella e ovaio[16-18].
Nelle pazienti affette dalla sindrome il rischio di
sviluppare un carcinoma ovarico nel corso della
vita è del 12%.
Altre sindromi genetiche individuate sono:
-
Sindrome di Cowden, legata a una
mutazione di PTEN, con associazione tra
tumori ovarici e tumori cerebrali;
Sindrome di Gorlin, legata a una
mutazione di PTC, con associazione tra
tumori ovarici e nevi multipli.
Fattori endocrini:
La multiparità, l’allattamento al seno e un
prolungato impiego di contraccettivi orali
riducono il rischio di tumore ovarico. In
particolare, donne multipare presentano una
riduzione del rischio del 30% circa rispetto a
donne che non hanno partorito[19,20].
Le ovulazioni ripetute e le successive
riparazioni potrebbero costituire un fattore di
rischio per l’insorgenza di mutazioni genetiche
maligne[21]. Ciò potrebbe spiegare l’effetto
protettivo esercitato dai contraccettivi orali, dal
menarca tardivo, dalla menopausa precoce,
dalla multiparità e dall’allattamento al seno.
Tutti questi fattori hanno, in effetti, in comune
una diminuzione del numero di ovulazioni.
L’effetto protettivo della multiparità e
dell’assunzione di contraccettivi potrebbe essere
348
I TUMORI DELL’OVAIO
attribuito anche ad un aumento dei livelli di
progesterone[22-29]. In una meta-analisi di
Hankinson, l’uso costante della pillola
contraccettiva orale rispetto al mancato uso è
stato associato ad un rischio relativo di 0,64 (IC
95% 0,57-0,73)[30]. E’ stata dimostrata una
diminuzione del 10-12% nel rischio di cancro
ovarico con un anno di utilizzo e una riduzione
di circa il 50% del rischio con cinque anni di
utilizzo. Tale riduzione del rischio si è verificata
sia nelle nullipare che nelle pluripare, ed è
durata per almeno dieci anni dopo la cessazione
dell’utilizzo. Tuttavia, risultati di uno studio
condotto da Gnagy indicano che la relativa
diminuzione dei tassi di incidenza di carcinoma
ovarico legata all'effetto protettivo dei
contraccettivi orali diminuisce nel lungo
termine[31]. Il fattore sterilità sembra essere
correlato a un maggiore rischio tumorale in
relazione alla mancanza dell’effetto protettivo
svolto dall’assetto endocrinologico della
gravidanza. Allo stato attuale non esistono però
dati che permettano di convalidare tale ipotesi.
Anche i dati inerenti la terapia ormonale
sostitutiva e l’incidenza di tumori ovarici sono a
tutt’oggi molto conflittuali[32].
Per quanto riguarda le donne affette da
infertilità e sottoposte a FIVET non sembra
esserci un aumento del rischio di neoplasia, e
tutt’oggi i dati della letteratura risultano
contrastanti[33-35].
L’isterectomia e la legatura delle tube sono
probabilmente associate ad una diminuzione del
rischio di carcinoma ovarico in conseguenza di
una diminuzione del flusso di sangue a uteroovaie[36-38]. Ciò limiterebbe l’esposizione locale a
fattori infiammatori e ormonali potenzialmente
carcinogeni. L’endometriosi è osservata in circa
3-8% delle donne in età fertile ed è nota la sua
associazione con livelli elevati di citochine
infiammatorie (MMPs, VEGF, TGF-β) e una
riduzione dell’attività delle cellule NK.
L’associazione con l’endometriosi è più
frequente nei carcinomi endometrioidi e in
quelli a cellule chiare (20-50% dei casi), più rara
negli istotipi sierosi, mucinosi e altri (3-9%)[39,
40]
. Un aumentato rischio di neoplasia ovarica in
fine è stato osservato in pazienti con cancro
della mammella, indicando la presenza di fattori
eziologici comuni fra le due neoplasie.
Fattori ambientali:
Diversi fattori di rischio modificabili (es.
obesità, fumo, dieta con elevato contenuto di
amido o di lipidi, stile di vita sedentario)
risultano associati ad un aumento del rischio di
carcinoma ovarico. I risultati tuttavia sono
molto discordanti[41-46].
Lo studio Women’s Health Initiative Dietary
Modification Randomized Controlled Trial ha
descritto, in donne in post-menopausa, una
diminuzione del rischio di carcinoma ovarico in
seguito a 4 anni di dieta con ridotta
introduzione di grassi[47].
Molteplici studi su fumo e cancro ovarico
hanno mostrato risultati contrastanti[48,49].
Alcuni non mostrano associazione mentre altri
mostrano un’associazione positiva in particolare
con tumori mucinosi. Una meta-analisi di
Jordan ha indagato la relazione tra fumoei
diversi sottotipi istologici di cancro ovarico
rilevando un raddoppio del rischio di tumore
mucinoso nei fumatori rispetto ai non fumatori,
rischio non aumentato per istotipo sieroso o
endometrioide e un rischio ridotto per tumori a
cellule chiare[50]. Uno studio aveva ipotizzato un
rapporto tra l’applicazione perineale di
talcoeaumento del rischio di carcinoma ovarico;
una recente metanalisi non ha invece
confermato l’esistenza di alcun legame
significativo tra i due eventi[51,52].
Fattori associati ad una moderata diminuzione
del rischio di carcinoma ovarico comprendono:
un aumento dell’introduzione alimentare di
fibre; l’assunzione di carotene, vitamina C,
vitamina E, acidi grassi insaturi; un aumento
dell’attività
fisica.
Per
una
corretta
interpretazione di tali associazioni occorre
tuttavia tener presente la possibile coesistenza
di diversi fattori di confondimento. Le evidenze
in supporto dell’adozione di alcune modifiche
delle abitudini di vita per ottenere una riduzione
del rischio di carcinoma ovarico appaiono
inoltre limitate. Nella maggior parte delle donne
con una diagnosi di carcinoma ovarico la storia
familiare non è positiva, e l’eziologia rimane
ignota.
349
I TUMORI DELL’OVAIO
Tabella 4. Fattori di rischio e Fattori
protettivi associati al carcinoma ovarico
FR
FP
Gravidanze tardive
Allattamento al seno
per almeno
18 mesi
Menarca precoce
Endometriosi
Terapia sostitutiva con
estrogeni per più di 5
anni
Storia familiare che
indica
una predisposizione
genetica
Sindromi genetiche
Dieta con elevata
introduzione
di grassi
Menopausa tardiva
Bassa parità
Menopausa precoce
Multiparità (il rischio
diminuisce
con ogni gravidanza
Isterectomia
Menarca tardivo
Dieta con bassa
introduzione
di grassi
Assunzione di
contraccettivi
orali
Legatura delle tube
Discussione
Uno dei motivi del fallimento della terapia del
carcinoma ovarico è la diagnosi in fase avanzata
di malattia. I tumori dell’ovaio presentano
valori di sopravvivenza a 5 anni inferiori al 40%
con un modesto andamento temporale che
sembra ridursi a 10 e 15 anni suggerendo quindi
che il miglioramento della sopravvivenza è
dovuto ad un’anticipazione diagnostica senza
effetti a lungo termine[53]. Ad oggi non esistono
ancora programmi di screening efficaci per la
prevenzione del cancro ovarico. È per questo
che circa il 70% di essi vengono diagnosticati in
stadio avanzato. Test di screening potenziali
includono l'esame pelvico bimanuale, il
dosaggio di CA 125 e l’ecografia. Per quanto un
accurato esame pelvico bimanuale possa
rilevare una varietà di disturbi ginecologici, solo
occasionalmente è possibile rilevare una
neoplasia alla palpazioneeil più delle volte in
stadio molto avanzato[54]. I marcatori tumorali
hanno una specificità limitata. L’antigene Ca
125 è una glicoproteina ad alto peso molecolare
che ha il 90% di sensibilità in pazienti con
tumore allo stadio II (prevalentemente nel tipo
istologico sieroso), ma una minore sensibilità
(49%) in stadio I[55, 56]. Numerosi stati fisiologici
e patologici possono condizionare i livelli di CA
125. Infatti, questa glicoproteina non è specifica
per carcinoma ovarico ed è largamente
distribuita nei tessuti adulti. Viene ritrovata in
tutte le strutture che derivano dall’epitelio
celomatico (endocervice, endometrio e tube di
Falloppio) o dal mesotelio (pleura pericardio e
peritoneo). E’ espressa nel tessuto ovarico
normale e nei tessuti epiteliali di colon,
pancreas, polmone, rene, prostata, mammella e
stomaco. Elevate concentrazioni di CA 125
sono riscontrate in neoplasie di pancreas,
polmone, mammella, endometrio e colonein
condizioni non neoplastiche: endometriosi,
malattia infiammatoria pelvica, malattie del
fegato e recente laparotomia. Pur non essendo
affidabile come test di screening, per la sua
scarsa sensibilità e specificità, il CA 125
costituisce un utile marcatore per il
monitoraggio dei tumori ovarici epiteliali di tipo
non-mucinoso. Negli ultimi anni nel tentativo
di incrementare la specificità del dosaggio di
CA 125 nel carcinoma ovarico epiteliale sono
stati condotti numerosissimi studi[57-59]. Il
marker più promettente è risultato essere il
HE4 (Human epididymis 4) con una sensibilità
del 73%[60]. Sembra che un dosaggio combinato
di CA 125eHE4 possa portare ad un aumento
significativo della sensibilità mantenendo
elevata la specificità[61]. I risultati sono ancora
contraddittori e necessitano di ulteriori studi.
L’Ecografia transvaginale (TVS) è attualmente
considerata l’indagine di elezione in diagnostica
strumentale, dal momento che è in grado di
stimare le dimensioni dell'ovaio, di rilevare
masse piccole fino ad 1 cm, e distinguere le
lesioni solide dalle liquide. L’ecocolor Doppler
consente lo studio della vascolarizzazione delle
masse ginecologiche, di predirne la velocità di
crescita nel tempo e di ipotizzarne la natura.
Tuttavia, l'ecografia transvaginale non è efficace
per l'utilizzo come test di screening[62]. La
sensibilità e la specificità dell’ecografia
transaddominale
e
transvaginale
sono
rispettivamente 50-100% e 76-97%. Alcuni
studi hanno dimostrato un incremento in
termini di specificità e sensibilità applicando un
350
I TUMORI DELL’OVAIO
algoritmo per stimare il rischio delle donne di
sviluppare carcinoma ovarico (ROC: risk of
ovarian cancer) rispetto all’utilizzo del solo CA
125. Le donne vengono suddivise in tre classi di
rischio: bassa, intermedia e alta. Le donne che
tramite ROC vengono classificate nella classe a
rischio intermedio devono ripetere il dosaggio
di CA 125, mentre le classi ad alto rischio oltre
a ripetere il dosaggio effettuano anche
un’ecografia transvaginale[63]. Ad oggi tuttavia
numerosissimi studi suggeriscono che lo
screening con l'ecografia (con o senza
Doppler), il CA125, l’HE4, l'esame pelvico, o
combinazioni di questi, non sono efficaci per
individuare i tumori in una fase iniziale[64-66].
Al fine di valutare l’effetto dello screening sulla
mortalità nelle ultime due decadi sono stati
intrapresi numerosi trials clinici, alcuni dei quali
ancora in corso. Nel PLCO (Prostate, Lung,
Colorectal and Ovarian) Cancer Screening
Randomized Controlled Trial sono state
arruolate 78.216 donne in salute di età
compresa tra i 55ei 74 anni, assegnate random a
controllo con CA 125 e con ecografia
transvaginale annuale[67]. I risultati, tuttavia, non
hanno indicato una riduzione significativa della
mortalità[68]. Nel UKCTOCS (United Kingdom
Collaborative Trial of Ovarian Cancer
Screening) sono state arruolate 202.638 donne
in post-menopausa con un’età compresa tra i
50ei 74 anni suddivise in un gruppo controllo,
un gruppo ecografico, sottoposto ad ecografia
pelvica annuale, e un gruppo multimodale
sottoposto a dosaggio CA 125, valutato tramite
algoritmo ROC, ed eventuale ecografia
transvaginale come secondo livello. Ad oggi
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I TUMORI DELL’OVAIO
Parte II
G. Baiocchi, S. Gerli, G.C. Di Renzo.
contrassegnato da invasione dello stroma, aree
ANATOMIA PATOLOGICA
di crescita solida, papille complesse e possibili
calcificazioni (i corpi psammomatosi). I
Introduzione
carcinomi sierosi sono classificati in tumori
sierosi di basso grado e tumori sierosi di alto
Approssimativamente il 90% dei carcinomi
grado sulla base dell’estensione delle atipie
ovarici sono tumori epiteliali che insorgono
nucleari e delle mitosi. Morfologicamente i
dall’epitelio ovarico di superficie o più
carcinomi sierosi di basso grado si
probabilmente da cisti di inclusione epiteliali.
caratterizzano per atipie nucleari minime e
Alcuni studi hanno suggerito una possibile
numero di mitosi basso, al contrario in quelli di
derivazione dai sistemi Mulleriani che
alto grado si repertano atipie nucleari marcate
comprendono
cisti
paraovariche
e
ed elevato numero di mitosi. La dicotomia è
paratubariche, endometrio, endosalpingi ed
conservata anche per il pattern genetico e di
epitelio della vescica urinaria[1]. Tutte queste
progressione. Nei carcinomi sierosi di alto
porzioni del tratto genitale femminile
grado
sono
frequentemente
coinvolte
riconoscono nell’epitelio celomatico (mesotelio)
mutazioni del gene p53, perdita di funzione dei
il precursore embriologico comune. La
geni BRCA 1/2 con maggior suscettibilità
classificazione dei tumori epiteliali ovarici
genomica e aumentata espressione di Btak, una
correntemente in uso, basata sulla morfologia
proteina coinvolta nella regolazione della
delle cellule tumorali, li suddivide in: sierosi (60mitosi. I meccanismi di innesco e
70%), endometrioidi (10-20%), mucinosi (5mantenimento della tumorigenesi non sono
20%), a cellule chiare (3-10%)eindifferenziati [2ancora stati chiariti e sono state riportate altre
4]
(tabella 1).
alterazioni genetiche in associazione: il recettore
del fattore di crescita epidermoidale, Her2/neu,
AKT2, PI-3K e c-myc[5]. I carcinomi sierosi di
basso grado sono caratterizzati da mutazioni di
Tabella 1. Tipi istologici comuni di
KRAS o BRAF con attivazione delle molecole
carcinoma epiteliale ovarico
che svolgono il ruolo di secondi messaggeri
Papillare sieroso
(RAF PI-3K e RAL GEFs). Date le sostanziali
differenze tra le due forme, Singer et al.,
Endometrioide
recentemente, parlano di tumore di tipo I per
indicare neoplasie di basso grado con una
Mucinoso
progressione da adenoma a tumore borderline a
A cellule chiare
carcinoma e coinvolgimento di mutazioni di
KRAS e BRAF[6-8]. Il tumore di tipo II indica,
Tumore di Brenner
invece, un carcinoma a rapida crescita senza
precursori morfologicamente riconoscibili e
Indifferenziato
alterazioni genetiche p53 e/o BRCA1/2[9].
Forme miste
Carcinoma ovarico endometrioide
Carcinoma ovarico sieroso
Rappresenta l’istotipo più comune di carcinoma
ovarico epiteliale. Caratterizzato da cellule che
per morfologia e pattern di crescita ricordano
l’epitelio tubarico. Istologicamente
è
Rappresenta il 10-20% di tutti i carcinomi
ovarici epiteliali, con un’età media di insorgenza
di 59 anni ed è istologicamente simile ai tumori
maligni primitivi dell’endometrio. Nei soggetti
affetti da carcinoma endometrioide sono stati
occasionalmente
riscontranti
foci
355
I TUMORI DELL’OVAIO
endometriosici in sede ovarica omo o
controlaterale e/o extraovarica, e nel 14% dei
casi un carcinoma endometrioide del corpo
dell’utero. Macroscopicamente, il carcinoma
endometrioide ha un aspetto solido-cistico (con
aree cistiche contenenti materiale friabile e
raccolte fluide), o, più raramente, totalmente
solido con estese aree di necrosi ed emorragia.
Microscopicamente è invece caratterizzato da
spazi ghiandolari con proiezioni papillari
rivestite da epitelio con stratificazione nucleare.
Relativamente poco conosciuti i meccanismi
molecolari di sviluppo del carcinoma
endometrioide. Sembrano coinvolte mutazioni
del gene della beta-catenina implicata
nell’adesione cellulare e nella trasduzione del
segnale.
Disregolazioni
del
complesso
catenina/caderina sono implicate nello
sviluppo, progressione, invasione e metastasi di
molte neoplasie[10,11]. Mutazioni del gene PTEN
sono state ritrovate nel 43% delle donne con
carcinoma ovarico endometrioide.
Carcinoma ovarico mucinoso
Istologicamente i carcinomi mucinosi sono
tumori costituiti da ghiandole, cisti o papille
rivestite da cellule che contengono mucina
(“globet
cells”
nel
tipo
intestinale);
morfologicamente
ricordano
l’epitelio
dell’endocervice e dell’intestino. Il carcinoma
mucinoso si caratterizza per la presenza di
atipie citologiche molto marcate: elevato
numero di mitosi, nuclei ipercromatici,
stratificazioni cellulari, ghiandole che infiltrano
lo stroma e crescita solida. I tumori mucinosi
sono spesso eterogenei, in particolare il tipo
intestinale, e mostrano frequente coesistenza di
elementi benigni, borderline e maligni nella
singola neoplasia, suggerendo una chiara
progressione
della
carcinogenesi
da
cistoadenoma a carcinoma invasivo (tumore
borderline-tumore
non
invasivo-tumore
microinvasivo e carcinoma invasivo). I
meccanismi molecolari alla base della
tumorigenesi, seppur ancora per lo più
sconosciuti, riconoscono mutazioni di KRAS
come evento precoce. I carcinomi mucinosi
sono i tumori ovarici che raggiungono
macroscopicamente le maggiori dimensioni
seguiti dal tipo endometrioide[12].
Carcinoma ovarico a cellule chiare
Tumori microscopicamente caratterizzati da
grandi cellule con citoplasma chiaro contenente
glicogeno che formano masse solide o strutture
ghiandolari.
Morfologicamente
simile
all’endometrio ipersecretivo, tanto da essere
considerato una possibile variante del
carcinoma endometrioide ovarico, colpisce in
età più avanzata, è di solito associato ad una
cattiva prognosi per la scarsa responsività alla
chemioterapia. Nel 5-10% dei casi ci può essere
un’associazione con foci endometriosici. Fra i
meccanismi molecolari della carcinogenesi si
segnala l’assenza di mutazioni del gene p53
come meccanismo anti-apoptotico tumorale e
la presenza di metilazioni aberranti di TMS1/ASC che funzionano fisiologicamente da
silenziatori della trascrizione, mutazioni PTEN
e disregolazioni di CD4461, una glicoproteina
di membrana presente nelle cellule peritoneali
che fa da recettore per GAGeacido
ialuronico[13,14]. Sono stati inoltre osservati
elevati livelli di instabilità dei microsatelliti
(hMLH1 e hMSH2)euna bassa espressione di
BAX nei pazienti con tumori chemioresitenti.
Una comparazione del profilo genetico
appartenente
agli
istotipi
sieroso,
endometrioideea cellule chiare dei carcinomi
ovarici epiteliali dimostra 43 geni comuni a tutti
gli istotipi suggerendo un processo di
trasformazione maligna comune[11].
Nuove teorie eziopatogeniche
La revisione delle caratteristiche molecolari e
clinico-patologiche dei maggiori istotipi,
descritti sopra, di carcinoma ovarico epiteliale,
ha dimostrato numerosi elementi comuni, che
pongono le basi per la creazione di un modello
di carcinogenesi. E’ stata proposta una
suddivisione dei tumori epiteliali di superficie in
due categorie: tipo I e tipo II, sulla base del
pattern di progressione tumorale e delle
variazioni molecolari-genetiche[4,7,11]. I tumori di
tipo I comprendono carcinomi sierosi di basso
grado, carcinomi endometrioidi di basso grado,
carcinomi mucinosi e lo spettro dei carcinomi a
cellule chiare con sviluppo da lesioni
riconoscibili e carcinogenesi con modello
progressivo. Generalmente i tumori di tipo I si
caratterizzano per lenta crescita, grosse
356
I TUMORI DELL’OVAIO
dimensioni, stadi precoci alla diagnosi e
mutazioni somatiche dei geni codificanti
protein-chinasi come KRAS, BRAF, PIK3CA e
HERB2ealtre molecole segnale come PTEN e
CTNNB1. I tumori di tipo II comprendono
carcinomi sierosi di alto grado, carcinomi
endometrioidi di alto grado, carcinomi
indifferenziati, alcuni carcinomi a cellule
chiareei
tumori
mesodermici
misti
(carcinosarcomi). Generalmente hanno crescita
rapida, diffondono precocemente, alla diagnosi
spesso risultano già coinvolte strutture
extraovariche e sono caratterizzati da un’elevata
frequenza di mutazioni di TP53 e CCNE1[15].
Recentemente è stata proposta una nuova teoria
eziopatogenetica per cui la maggioranza dei
carcinomi ovarici, che sono tumori sierosi di
alto grado, originano da carcinomi tubarici
sierosi intraepiteliali di alto grado (soprattutto
localizzati a livello delle fimbrie), che si
diffondono all’ovaio come impianti di cellule
maligne[5]. Carcinomi tubarici sono stati
osservati nel 70% circa delle forme sporadiche,
non ereditarie, di carcinoma ovarico sieroso di
alto grado.
Un elemento a sostegno di questa nuova teoria
è il riscontro di mutazioni TP53 sia a carico dei
carcinomi tubarici che dei tumori ovarici tipo
II.
TUMORI OVARICI BORDERLINE
I tumori ovarici borderline sono un gruppo di
neoplasie ovariche non invasive a prognosi
buona. Rappresentano il 15-20% di tutte le
neoplasie. I tumori ovarici borderline
istologicamente sono tumori epiteliali che non
invadono lo stroma. L’età media di
presentazione è più precoce di 20 anni circa
rispetto alle forme invasive di carcinoma
ovarico (35-40 anni). Il termine borderline
vuole indicare la bassa potenzialità maligna per
la mancata capacità di invasione stromale.
Tuttavia i tumori ovarici borderline vennero
riconosciuti un’entità distinta dagli altri tumori
ovarici solo nel 1971 quando la “International
Federetion of Obstetrics and Gynecology”
(FIGO) creò questa nuova categoria all’interno
della classificazione già esistente. I tumori
mucinosi e sierosi rappresentano la maggior
parte dei tumori borderline. In accordo con la
classificazione del 2003 della World Health
Organization, i tumori ovarici borderline
possono
essere
classificati
in
base
all’istopatologiaeall’istogenesi
in:
sierosi,
mucinosi, endometrioidi, a cellule chiare e
transizionale (tabella 2)[3-4].
Tabella 2. Classificazione
istopatologica dei tumori
ovarici borderline
Sieroso
Mucinoso
Endometrioide
A cellule chiare
Transizionale
Tumori sierosi borderline
I tumori sierosi rappresentano il tipo istologico
più comune, il 65% circa, di tutti i tumori
ovarici borderline, con un’età media di
insorgenza di 35-40 anni. Istologicamente
possono essere suddivisi in forme tipiche (90%)
e forme micropapillari (10%). Recenti studi
patogenetici hanno dimostrato che solo una
piccola parte dei cistoadenomi sierosi
progrediscono poi a tumori ovarici sierosi
borderline e che mutazioni attivanti di KRAS e
BRAF sono precocemente coinvolte nella
carcinogenesi delle forme sierose borderline[6].
Contrariamente nei tumori sierosi ad elevato
grado di malignità si riscontrano, nel 50% dei
casi, mutazioni di p53. I tumori sierosi
rappresentano l’unico istostipo, dei tumori
ovarici borderline in cui è possibile una
diffusione extraovarica di malattia. Possono
ritrovarsi impianti peritoneali in circa il 35% dei
casi sia in forma invasiva che non invasiva.
Data la buona prognosi delle donne con
diffusione extraovarica di malattia si utilizza il
termine “impianto” e non metastasi. La
nomenclatura degli impianti è in base alle
caratteristiche, se poggiano semplicemente sulla
superficie peritoneale, sono denominati non
invasivi, se invece coinvolgono i tessuti
357
I TUMORI DELL’OVAIO
sottostanti, come l’omento e la parete
intestinale, si parla di impianti invasivi.
Macroscopicamente i tumori ovarici sierosi
borderline si presentano come una massa
complex annessiale cistica, bilaterale in 1/3 dei
casi. Al momento della diagnosi il 70 % sono
confinati all’ovaio con una sopravvivenza a 5
anni del 100%, mentre se si riscontrano
impianti peritoneali invasivi la sopravvivenza si
abbassa al 66% per una maggior incidenza di
recidive soprattutto di carcinomi invasivi[16,17].
Tumori mucinosi borderline
I tumori mucinosi rappresentano circa il 32% di
tutti i tumori ovarici borderline. L’età media di
insorgenza è 45 anni e comprende due distinti
sottotipi istologici: il tipo intestinale (90%)eil
tipo mulleriano simile all’endocervice (10%). Il
tipo intestinale è solitamente monolateraleein
associazione con uno pseudomixoma in più del
17% dei casi. Il tipo mulleriano è invece
bilaterale nel 40% dei casi e in associazione con
endometriosi pelvica o ovarica nel 20-30% dei
casi. Importante per la diagnosi nelle forme
mucinose borderline è l’esclusione di metastasi
secondarie provenienti soprattutto dal tratto
gastrointestinale (appendice o colon). Il tumore
ovarico mucinoso borderline rappresenta la
forma intermedia di progressione tra la
controparte
benigna
(cistoadenoma
mucinoso)eil carcinoma mucinoso invasivo.
Mutazioni di KRAS sono state riscontrate in
più del 60% dei casi, ma sono state associate
anche alle forme benigneeal carcinoma
invasivo. I tumori ovarici mucinosi borderline
possono raggiungere dimensioni anche doppie
rispetto
ai
sierosi
borderline
e
macroscopicamente sono masse cistiche
multiloculari o uniloculari. Al momento della
diagnosi approssimativamente l’82% dei tumori
ovarici mucinosi borderline è confinato
all’ovaio con una sopravvivenza a 5 anni del 99100%[16,12].
Altri tumori ovarici borderline
Rappresentano il 3-4% di tutti i tumori ovarici
borderline e comprendono: il tumore
endometrioide, il tumore a cellule chiareeil
tumore a cellule transizionali o tumore di
Brenner. L’età media di insorgenza è di 45-65
anni. I tumori ovarici endometrioidi borderline
istologicamente sono simili ai tumori
endometrioidi del corpo dell’utero e si
associano a focolai endometriosici, sono
caratterizzati da mutazioni coinvolgenti i geni
della
beta-catenina
(50%),
PTEN
(20%)einstabilità dei microsatelliti (40-50%). I
tumori ovarici endometrioidi borderline
possono associarsi, in una bassa percentuale di
casi, a progressione verso carcinoma invasivo di
basso grado. I tumori borderline a cellule chiare
sono neoplasie con basso potenziale di
malignità caratterizzate dalla presenza di cellule
chiare in uno stroma fibroso denso, in assenza
di invasione stromale. I tumori di Brenner
borderline sono tumori ovarici a cellule
transizionali con atipieealterazioni epiteliali per i
quali i meccanismi molecolari e genetici di
progressione non sono ancora stati descritti.
SINTOMATOLOGIA E QUADRO
CLINICO
Il carcinoma ovarico è il secondo tumore
ginecologico per frequenza, dopo quello del
corpo dell’utero, ma è sicuramente il più letale.
L’elevata letalità è correlabile con l’alta
percentuale di pazienti che si presentano con
malattia in fase avanzata alla diagnosi. La
tardività della diagnosi si può ascrivere alla
mancanza di sintomi specificieall’assenza di uno
screening valido ed efficace. I sintomi più
comuni riportati nelle donne con carcinoma
epiteliale dell’ovaio sono aspecifici e possono
essere rappresentati da: dispepsia, gonfiore,
sazietà precoce, sintomi urinari come urgenza
e/o frequenza della minzione, affaticamento,
dolori
alla
colonna
vertebrale,
costipazioneeirregolarità mestruali (tabella 3)[2].
Tabella 3. Quadro clinico
Sintomatologia gastrointestinale:
dispepsia, gonfiore, sazietà precoce,
costipazione
Sintomatologia urinaria: urgenza
minzionale, pollachiuria
Sintomatologia ossea e muscolare:
affaticamento e rachialgia
Sintomatologia ginecologica:
irregolarità mestruali
358
I TUMORI DELL’OVAIO
DIAGNOSI
ESAME FISICO
La diagnosi di carcinoma ovarico risulta difficile
a causa della sintomatologia aspecifica. Molto
frequentemente le pazienti arrivano dal medico
ginecologo per riscontro occasionale di una
massa annessiale. In questo caso, è necessario
considerare la diagnosi differenziale fra tutte le
cause di massa annessiale (tabella 4).
Tutte le donne con sintomi aspecifici
addominali o pelvici che non rispondono a
terapia medica hanno l’indicazione per
effettuare una visita ginecologica. L’esame
include anche la valutazione dei parametri vitali
e dello stato generale della paziente. Inoltre, si
esegue la palpazione delle stazioni inguinali,
ascellari e sopraclavicolari alla ricerca di
linfoadenopatie. L’esame obiettivo dell’addome
è necessario per escludere la presenza di masse
addominali, ascite ed epatosplenomegalia.
Mediante la visita ginecologica, si valutano le
dimensioni, la consistenza, la posizione e
mobilità dell’utero e degli annessi. L’esame
retto-vaginale può rivelare la presenza di
nodularità a carico dei legamenti utero-sacrali. Il
sospetto di carcinoma ovarico può sorgere
anche dall’anamnesi personale e ginecologica
che va a ricercare i possibili fattori di rischio o
la familiarità positiva. Gli esami ematochimici e
la diagnostica strumentale seguono poi l’esame
pelvico.
Tabella 4. Cause di massa annessiale
GINECOLOGICHE
Ovariche benigne
Cisti del corpo luteo,
cisti follicolari,
luteoma della gravidanza,
teratoma maturo,
torsione ovarica,
ovaio policistico
cisti teco-luteinica
Ovariche maligne
Tumori borderline,
carcinoma epiteliale,
tumori a cell. germinali,
sarcoma ovarico,
tumori dello stroma e dei
cordoni sessuali
NON
GINECOLOGICHE
Benigne
Ascesso appendicolare,
appendicite,
sanguinamentoeascesso
diverticolare,
rene pelvico,
cisti peritoneali
diverticolo ureterale
Maligne
Carcinomi gastrointestinali,
Metastasi del carcinoma
mammario
Sarcomi retroperitoneali
Non ovariche benigne
Gravidanza ectopica,
endometrioma,
idrosalpinge,
leiomioma,
ascesso tubo-ovarico
Non ovariche maligne
Carcinoma endometriale,
carcinoma tubarico
Infatti, in base all’età e ai fattori di rischio della
paziente, è utile discriminare, se possibile, le
masse annessiali che non necessitano della
chirurgia, da quelle che richiedono l’intervento
del chirurgo ginecologo, o addirittura, se c’è il
sospetto di malignità, da quelle che vanno
riferite al ginecologo oncologo[18,19].
La diagnosi si avvale delle procedure sotto
elencate.
ESAMI EMATOBIOCHIMICI
Gli esami ematochimici che risultano utili sono:
l’emocromoeil dosaggio dei markers tumorali.
L’emocromo con attenta valutazione dei
linfociti e della componente neutrofila può
orientare verso uno stato infettivo, come la PID
(pelvic inflammatory disease), o se normale,
escluderlo; o ancora guidare verso uno
stillicidio ematico cronico e, quindi, verso
neoplasie del colon-retto che possono rientrare
in diagnosi differenziale.
Un marker tumorale, da valutare nella diagnosi
di carcinoma ovarico epiteliale, è il CA 125, un
antigene descritto per la prima volta da Bast et
al. come una glicoproteina ad alto peso
molecolare riconosciuta da anticorpi murini. Il
CA 125 è elevato nel 90% delle pazienti con
carcinoma ovarico epiteliale in fase avanzata
(prevalentemente nel tipo istologico sieroso),
ma solo nel 50% dei pazienti con stadio I di
malattia[20]. Numerosi stati fisiologici e
patologici possono condizionare i livelli di CA
125 (Tabella 5). Infatti, questa glicoproteina
non è specifica per carcinoma ovarico ed è
359
I TUMORI DELL’OVAIO
largamente distribuita nei tessuti adulti. Viene
ritrovata in tutte le strutture che derivano
dall’epitelio
celomatico
(endocervice,
endometrio e tube di Falloppio) o dal mesotelio
(pleura pericardio e peritoneo). E’ espressa nel
tessuto ovarico normale e nei tessuti epiteliali di
colon, pancreas, polmone, rene, prostata,
mammella e stomaco. Queste motivazioni
rendono ragione della bassa sensibilità e
specificità del CA 125 che rispettivamente è del
61-91% e 71-93% con un valore predittivo
positivo del 35-91%[21,22]. The American College
of Obstetricians and Gynecologists raccomanda
che la paziente sia riferita ad un ginecologo
oncologo per valori di CA 125 che siano
maggiori a 200 UI/ml in pre-menopausa e 35
UI/ml in post-menopausa[23]. I cut-off si basano
sulla distribuzione dei valori di CA 125 nella
popolazione sana, in pre-menopausa, nella
quale, nel 99% dei casi, sono stati riscontrati
valori inferiori a 35 UI/ml. I valori sono anche
influenzati dalle razze, dal ciclo mestruale, dalla
gravidanza e soprattutto dall’età; da qui la
necessità di creare due cut-off di riferimento
per le due principali fasce di età nella donna, in
maniera da ridurre i falsi positivi.
Tabella 5. Condizioni associate con elevati
livelli di CA 125
Altri markers
Per la diagnosi di esclusione di carcinoma
ovarico epiteliale si possono anche dosare BetaHCG, alfa-fetoproteina, e CA-19.9. La beta HCG in una donna in età fertile con massa
annessiale sospetta ci permette di escludere una
gravidanza extrauterina e contemporaneamente,
a tutte le età, insieme all’alfa-fetoproteina in
particolare, si associa a tumori ovarici a cellule
germinali. Il marker Ca19-9 sembra correlare, in
misura maggiore, con patologie neoplastiche a
carico dell’intestino[24].
Nuove frontiere
Negli ultimi anni nel tentativo di incrementare
la specificità del dosaggio di CA 125 nel
carcinoma ovarico epiteliale sono stati condotti
numerosissimi studi. Il marker più promettente
è risultato essere l’HE4 (Human epididymis 4)
con una sensibilità del 73%. Sembra che un
dosaggio combinato di CA 125eHE4 possa
portare ad un aumento significativo della
sensibilità mantenendo elevata la specificità[25]. I
risultati sono ancora contraddittori e
necessitano di ulteriori studi e trials di
approfondimento poiché la combinazione entri
a far parte della pratica clinica.
Non
carcinomatose
Endometriosi
Mammella
ECOGRAFIA
PID
Pancreas
Epatiti
Colon
Gravidanza
Polmone
Peritonite
Endometrio
L’ecografia transvaginale è utilizzata come
approccio iniziale nella valutazione della massa
annessiale[26]. Lo scopo è quello di identificare le
modificazioni precoci dell’architettura e della
morfologia ovarica che si accompagnano alla
carcinogenesi. L’ecografia valuta: le dimensioni,
le caratteristiche della massa (cistica, solida o
mista), la complessità (setti interni, escrescenze
o papille) e la presenza o assenza di fluido
addominale o pelvico. Le caratteristiche che si
associano a malignità sono di solito contorni
della massa meno regolari con componente
solida o al massimo mista, con setti spessi
all’interno o papille aggettanti e la presenza di
fluido nel Douglas o addirittura in cavità
addominale. Un ostacolo alla diagnosi
ecografica sono i tumori ovarici borderline per
cui, come facilmente intuibile, anche le
Chirurgia
addominale
recente
Fibromatosi
Mestruazioni
Carcinomi
360
I TUMORI DELL’OVAIO
caratteristiche ecografiche possono essere
intermedie e quindi creare un sospetto che
spesso necessita di laparoscopia/laparotomia di
conferma. La combinazione dell’ecografia con
lo studio doppler dei flussi può incrementare la
sensibilità e specificità dell’esame[27]. I carcinomi
ovarici mostrano frequentemente un aumento
del flusso a carico della massa annessiale, del
numero dei vasi e della loro tortuosità; si
apprezza, quindi, un sensibile decremento
dell’indice di resistenza (RI).
Segni ecografici suggestivi per la natura maligna
della massa annessiale e valori di CA 125
superiori al cut-off sono un’indicazione ad una
approccio chirurgico con il ginecologo
oncologo.
TAC
(TOMOGRAFIA
COMPUTERIZZATA)
ASSIALE
La TAC è la tecnica d’elezione nella valutazione
preoperatoria del carcinoma ovarico epiteliale
per definire i confini della malattia e predire
così la radicalità o meno dell’intervento
chirurgico (citoriduzione ottimale). Qualora la
TAC evidenziasse un coinvolgimento del
diaframma, delle anse intestinali, del mesentere,
dello stomaco o della milza diventerebbe
incerta la radicalità di un intervento chirurgico.
Importante compito svolto dalla TAC è anche
la valutazione di eventuali linfoadenopatie[29].
PET (TOMOGRAFIA AD EMISSIONE
DI POSITRONI)
RMN
(RISONANZA
NUCLEARE)
MAGNETICA
La RMN rientra fra le indagini di secondo
livello utilizzate quando si ha una massa
annessiale di significato incerto ma con forte
sospetto di malignità. Dimostra una sensibilità e
specificità rispettivamente del 100% e 94%
quando impiegata per valutare masse
fortemente sospette all’ecografia nella diagnosi
natura maligna. La RMN viene impiegata anche
per la diagnosi definitiva di molte comuni
patologie annessiali benigne, soprattutto per
lesioni cistiche extraovariche, visualizzate come
massa complex all’ecografia, con mancata
visualizzazione dell’ovaio omolaterale per i
limiti degli ultrasuoni stessi. I criteri primari per
caratterizzare un tumore ovarico con risonanza
magnetica sono: ampia componente solida,
spessore della parete maggiore di 3 mm,
spessore dei setti maggiore di 3 mm e la
presenza di nodularità o necrosi. Un criterio
ancillare è il coinvolgimento di organi pelvici
vicini (peritoneo, mesentere, omento, ascite,
adenopatie). Quando questi criteri vengono
utilizzati, la sensibilità e specificità nella
diagnosi di tumore ovarico epiteliale è
rispettivamente del 92% e 92-100%[28].
Difficoltà maggiori, anche per la RMN, nei
tumori borderline.
Tale metodica mostra una sensibilità del 5258%euna specificità del 75% non è, quindi,
raccomandata per la diagnosi di carcinoma
ovarico epiteliale. Numerosi falsi negativi sono
stati descritti in caso di tumori borderline o
carcinomi epiteliali di basso grado e falsi
positivi in caso di idrosalpinge ed endometriosi.
I falsi positivi si hanno soprattutto in
premenopausa quando l’aumentata attività
metabolica ovarica costituisce l’elemento
confondente. La PET non viene quindi
utilizzata nel percorso diagnostico del
carcinoma epiteliale, ma il suo utilizzo, insieme
alla TAC, risulta invece appropriato nelle
ricorrenze o nella valutazione della risposta alla
terapia[30,31].
LAPAROSCOPIA
La laparoscopia permette la visualizzazione
diretta della massa annessiale e nei casi di forte
sospetto, che non riesce ad essere sciolto dalle
indagini precedenti, può risultare un utile
approccio diagnostico[32]. Da considerare, in
ogni caso, che si tratta di un intervento
chirurgico e può essere gravato, quindi, da
numerosi effetti collaterali. Il vantaggio è che
permette l’asportazione della massa e la biopsia
di tutte le lesioni sospette visibili con la
possibilità di ottenere una diagnosi istologica e
quindi di certezza. Permette inoltre la
visualizzazione dell’ovaio controlaterale degli
361
I TUMORI DELL’OVAIO
organi vicini e del peritoneo. Lo svantaggio è
che, in caso di natura maligna, all’esame
istologico estemporaneo, nella quasi totalità dei
casi, vi è la necessita di una conversione
dell’intervento in laparotomia.
MANAGEMENT
ANNESSIALI
DELLE
il 48% dei pazienti con carcinoma ovarico
hanno più di 65 annieil 7% più di 80 anni.
Numerosi fattori possono potenzialmente
limitare gli approcci chirurgici radicali in queste
donne ( decadimento funzionale e cognitivo,
supporto sociale esiguo, comorbidità).
MASSE
Le difficoltà nella diagnosi del carcinoma
ovarico epiteliale dipendono in parte dalla
difficoltosa diagnosi differenziale con le masse
annessiali dovute ad altre patologie[33]. Il
ginecologo oncologo deve conoscere molto
bene la patologia ovarica benigna e
malignaeanche extraovarica per districarsi nel
difficile iter diagnostico (figura 1).
La chirurgia è solitamente il trattamento di
elezione per le donne con sospetto carcinoma
ovarico. Un’accurata stadiazione chirurgicaeuna
citoriduzione più completa ed efficace possibile,
seguita da chemioterapia basata su platino,
attualmente, rappresentano il gold standard per
il trattamento del carcinoma ovarico epiteliale.
TRATTAMENTO CHIRURGICO
Lo scopo della chirurgia è di stabilire una
diagnosi di certezza, definire l’estensione della
malattia e rimuovere più massa tumorale
possibile (citoriduzione). Per citoriduzione
primaria si intende l’asportazione chirurgica
iniziale del tumore e delle sue metastasi prima
dell’approccio chemioterapico. La citoriduzione
di intervallo sta invece ad indicare la chirurgia in
pazienti già sottoposti a chemioterapia
neoadiuvante. Tale approccio si riserva, in
realtà, a pazienti in cui, o per l’estensione della
malattia, o per le condizioni cliniche della
donna, la chirurgia, come primo approccio
terapeutico, non rappresenta la procedura
migliore. Infine per citoriduzione secondaria si
intende il management chirurgico di pazienti
con recidiva.
La chirurgia deve tenere in considerazione un
elevato numero di variabili, oltre le
caratteristiche
cliniche
(dimensioni
ed
estensione)eistologiche della massa, anche lo
stato nutrizionale, le eventuali patologie
concomitanti, l’età ed eventuali ostruzioni
intestinali della paziente. Approssimativamente
Citoriduzione primaria e staging
La citoriduzione primaria riveste un ruolo
fondamentale in quanto permette di ottenere
una diagnosi istologica definitiva e consente di
effettuare
una
stadiazione
accurata,
fondamentale per il management chirurgico, sia
nella stessa sede operatoria che nel postoperatorio[34,35]. La procedura di stadiazione
comprende la valutazione e la palpazione di
tutte le superfici peritoneali e degli organi
intraddominali, incluso il diaframma, quali il
fegato, la milza, il piccolo e grosso intestino, il
mesentere
e
l’appendice.
Anche
il
retroperitoneo viene valutato per eventuali
adenopatie. In assenza di malattia extra-ovarica
visibile macroscopicamente, si procede con
l’asportazione della tumefazione annessiale
sospetta tutta intera, senza rottura della capsula
(evitando lo spilling intraoperatorio). Qualora
l’esame istologico estemporaneo confermasse la
malignità della neoplasia si esegue la stadiazione
chirurgica intensiva (tabella 6) che include:
isterectomia extrafasciale con annessiectomia
controlaterale alla tumefazione, washing
peritoneale, appendicectomia, omentectomia
infracolica,
linfoadenectomia
pelvica
e
paraortica, biopsie multiple random a livello
delle docce paracoliche, del peritoneo
prevescicale, dello scavo del Douglas e della
superficie diaframmatica destra.
Qualora la neoplasia ovarica abbia invaso altri
organi pelvici e/o addominali si procede alla
citoriduzione primaria che consiste nella
procedura chirurgica precedentemente descritta
accanto rimozione di tutte le ripetizioni della
malattia, sia in sede pelvica che addominale,
cercando di ottenere un residuo di tumore
molto piccolo (< 1 cm, definito ottimale) o
assente [36,37].
362
I TUMORI DELL’OVAIO
Pz con massa annessiale
Pz in pre-menopausa
Pz in post-menopausa
Eco-TV
Eco- TV e CA 125
Assenza
di
caratteri
maligni
Eco-tv di
controllo
a 2-3
mesi
Presenza caratteri maligni:
grosse dimensioni, papille
aggettanti, necrosi, bordi
irregolari, componente solida
Eco
positiva/CA
125 >35
UI/ml
Eco negativa
CA
125>35UI/m
Eco positiva
CA 125 < 35
UI/ml
Color-Doppler
RMN/TAC
preoperatorie
Aumento flusso e
decremento RI
Persistenza
massa
Esclusione:
PID,
endometriosi,
epatite, K
mammella,
pancreas
endometrio…
colon
Esclusione
altre cause di
massa
annessiale
(RMN, TAC)
Dosaggio CA 125
< 35
UI/m
Nuova
eco e CA
125 entro
3 mesi
>35
UI/m
Nuovo
dosaggio CA
125
Massa
annessiale da
causa non
riconducibile
Counseling con la pz:
Ricerca ereditarietà e/o
familiarità
Se > 35 UI/ml
Laparotomia/laparoscopia
TERAPIA
Figura 1. Flow-chart
363
I TUMORI DELL’OVAIO
Tabella 6. Malattia macroscopicamente
confinata all’ovaio: stadiazione chirurgica
intensiva
Isterectomia extrafasciale con annessiectomia
controlaterale
Washing peritoneale
Appendicectomia
Omentectomia infracolica
Linfadenectomia pelvica-paraortica
Biopsie multiple random
In questi stadi più avanzati, per una chirurgia
ottimale, possono essere necessarie alcune
procedure come la splenectomia, lo stripping
diaframmatico, la resezione epatica parziale o la
resezione intestinale. Il termine citoriduzione
ottimale è recentemente divenuto argomento di
dibattito. L’assenza di malattia residua al
termine della chirurgia ha dimostrato aumentare
la sopravvivenza globale e quella libera da
malattia, ma mancano dati certi e studi
randomizzati prospettici che definiscano le
dimensioni di malattia residua con miglior
“outcome” clinico. Quindi, sebbene il GOG
(Gynecologic Oncology Group) definisca
citoriduzione ottimale una malattia residua < di
1 cm, dati recenti suggeriscono che la
sopravvivenza libera da malattia aumenta
quando la citoriduzione è massimale (cioè senza
residuo di malattia), considerando, comunque,
che questa potrebbe associarsi ad alta morbilità
per le tecniche chirurgiche aggressive spesso
utilizzate. Tuttavia deve essere ribadito che
numerosi studi hanno dimostrato che il volume
di malattia residua, dopo chirurgia citoriduttiva,
si correla inversamente con la sopravvivenza[3842]
. Una citoriduzione primaria ottimale è anche
in grado di ottimizzare l’efficacia della
chemioterapia
adiuvante.
I
farmaci
chemioterapici sortiscono il loro massimo
effetto in tumori di piccole dimensioni ben
perfusi e con una buona attività mitotica. Masse
tumorali di grosse dimensioni si associano
spesso con una perfusione scarsa, pertanto si
può verificare un danno cellulare sub-letale con
la persistenza di cloni cellulari resistenti.
In pazienti ancora desiderosi di prole,
appartenenti allo stadio I A (grading 1 o 2) o
con tumori borderline, è possibile effettuare
una chirurgia di tipo conservativo con una
salpingo-ovariectomia unilaterale con ispezione
dell’annesso controlaterale. Importante è però
conoscere e informare la paziente sul rischio di
recidiva che nel caso di donna con neoplasia
borderline è all’incirca del 10-15%.
Citoriduzione subottimale (Residuo tumore
> 1cm)
Numerosi fattori possono contribuire ad un
debulking subottimale come l’interessamento
addominale esteso, la malattia retroperitoneale,
il coinvolgimento di grosse porzioni di intestino
e/o di mesentere o della vena porta. Alcuni
criteri preoperatori vengono impiegati come
fattori predittivi per una chirurgia non ottimale:
stadio IV di malattia, ascite massiva, malattia
omentale con interessamento della milza,
linfoadenopatia soprarenale e metastasi
polmonari. La tomografia computerizzata e la
laparoscopia possono essere utilizzate come
strumento di valutazione di malattia non
resecabile.
Citoriduzione di intervallo
In realtà, il termine citoriduzione di intervallo
comprende due situazioni differenti: chirurgia
secondaria dopo una citoriduzione non ottimale
e chirurgia primaria di debulking dopo
chemioterapia neoadiuvante. Clinicamente la
chirurgia di intervallo si utilizza frequentemente
in quei pazienti che, per le motivazioni espresse
sopra, hanno un’elevata probabilità di non
resecabilità ottimale che quindi traggono
giovamento da cicli di chemioterapia
citoriduttiva prima dell’intervento, o ancora in
quelle donne in cui la citoriduzione primaria
non è stata effettuata nel modo migliore
possibile. Dato l’esiguo numero di studi
randomizzati
controllati
sull’utilizzo
di
chemioterapia neoadiuvante e sui possibili
vantaggi, la citoriduzione primaria ottimale
rimane comunque l’approccio consigliato per il
management dei carcinomi ovarici avanzati[43-46].
364
I TUMORI DELL’OVAIO
“Second-look surgery”
La “Second-look surgery” è una procedura
chirurgica per determinare lo stato di malattia in
pazienti senza segni clinici di malattia dopo aver
effettuato
citoriduzione
primaria
e
chemioterapia adiuvante. La procedura
comprende l’esame scrupoloso della cavità
peritoneale e dello spazio retroperitoneale. Data
la scarsa affidabilità dei livelli di Ca125 e degli
studi radiografici nel determinare la completa
risposta alla chemioterapia nelle donne con
carcinoma ovarico epiteliale, questa procedura è
stata inizialmente usata per stabilire gli
endpoints
del
trattamento
medico
chemioterapico. Malattia residua è stata trovata
in più del 50% delle donne con carcinoma
ovarico avanzato che erano andate incontro ad
un’apparente remissione clinica di malattia
dopo i cicli di chemioterapia. La presenza di
malattia alla “second-look surgery” si associa ad
una cattiva prognosi ma il suo impiego non si
associa chiaramente ad un aumento della
sopravvivenza per cui è una procedura non
raccomandata il cui impiego rimane limitato ai
protocolli sperimentali.
Citoriduzione secondaria
Nonostante l’approccio terapeutico aggressivo
con chirurgia citoriduttiva primaria e
chemioterapia adiuvante, la maggior parte delle
donne con carcinoma ovarico avanzato
sviluppa una recidiva di malattia. Il
management standard di queste pazienti e
soprattutto il ruolo della chirurgia sono tuttora
poco definiti. Numerosi studi hanno dimostrato
un incremento della sopravvivenza dopo
completa escissione della recidiva di malattia
con chirurgia secondaria. La citoriduzione
secondaria andrebbe presa in considerazione
nelle pazienti con intervello libero da malattia
maggiore di 12-18 mesi, che hanno completato
il ciclo di chemioterapia adiuvante, con recidiva
localizzata e potenzialmente resecabile in modo
radicaleeovviamente in buone condizioni di
salute da sopportare un nuovo intervento
chirurgico. Come per il debulking primario una
citoriduzione ottimale, con malattia residua
inferiore ad 1 cm, ha un importante significato
prognostico
anche
dopo
citoriduzione
secondaria.
Pazienti
con
citoriduzione
secondaria ottimale hanno una sopravvivenza
significativamente più lunga di quella delle
pazienti con chirurgia secondaria subottimale
(> ad 1 cm).
Chirurgia palliativa
Lo scopo della chirurgia palliativa nelle pazienti
con carcinoma ovarico è quello di un
miglioramento significativo della qualità di vita.
Le indicazioni più comuni a questo tipo di
chirurgia sono rappresentate dalle ostruzioni
intestinali. Il management delle ostruzioni
intestinali è estremamente variabile sia perché
spesso complica una recidiva di malattia in fase
avanzata e chemio-resistente, sia perché è un
intervento chirurgico gravato da un elevato
rischio di morbilità e mortalità associato alla
procedura. Le cause delle ostruzioni intestinali
sono spesso multifattoriali e comprendono:
ostruzione
meccanica,
infiltrazione
mesenteriale, carcinomatosi diffusa e adesioni.
Le procedure palliative, a loro volta,
comprendono resezioni intestinali semplici o
multiple, colostomie e bypass intestinali. Le
controversie sull’argomento sono ancora aperte
e questo dimostra maggiormente l’importanza
di un’attenta valutazione di un’equipe medica
specializzata con un chirurgo ginecologo
oncologo e un atteggiamento individualizzato in
base alla situazione.
Chirurgia laparoscopica
Il ruolo della laparoscopia nel carcinoma
ovarico si è evoluto negli ultimi anni, ma non è
un utilizzo routinario e dovrebbe essere
impiegato in maniera cosciente e scrupolosa.
L’approccio chirurgico mini-invasivo può
essere utilizzato nella valutazione iniziale della
massa annessiale, nel management di un
carcinoma ovarico apparentemente in stadi
iniziali, per determinare l’operabilità dei
carcinomi in fase avanzata, prima della
laparotomia, e infine nelle procedure di
“second-look”. Meno del 5% delle masse
annessiali valutate laparoscopicamente saranno
poi di natura maligna, ma la possibilità del
carcinoma e le possibili implicazioni chirurgiche
vanno considerate e spiegate ampiamente alla
paziente come la necessità di una conversione
365
I TUMORI DELL’OVAIO
in laparotomia in caso di esame istologico
estemporaneo positivo. La laparoscopia
diagnostica trova largo impiego nella
valutazione in donne giovani con sospetta
massa annessiale benigna con il vantaggio di
un’ospedalizzazione molto breveeun rapido
recupero funzionale per la paziente. Le
complicazioni della chirurgia mini-invasiva
comprendono, insulti vascolari, gastrointestinali
e la rottura della massa annessiale (nel 12-25%
dei casi), durante il tentativo di rimozione, che
comporta, in caso di malignità, disseminazione
intra-addominale di malattia con peggioramento
della prognosi.
TERAPIA MEDICA
Nel 75% dei casi i carcinomi ovarici epiteliali
alla diagnosi si presentano in fase avanzata e
quindi necessitano di un trattamento integrato
con chirurgia e chemioterapia. La chemioterapia
gioca un ruolo chiave sia come terapia
adiuvante, quindi dopo la chirurgia, che nel
trattamento delle pazienti non operate. Molti
fattori clinici e prognostici vanno considerati
prima di intraprendere una chemioterapia: il
tipo istologico del tumore, il grado di
differenziazione, l’età della paziente, il tipo di
chirurgia effettuata, e la malattia residua
all’intervento. Agli inizi degli anni ’80 è stato
introdotto il cisplatino come nuovo potente
farmaco nel trattamento del carcinoma ovarico,
che mostrava la peculiarità di interagire con il
DNA. Da allora, sono stati eseguiti tutta una
serie di trials randomizzati che indicano come il
platino, solo o in combinazione con altri agenti,
riesca ad incrementare la sopravvivenza, delle
pazienti affette da carcinoma ovarico, se
paragonato con chemioterapie non basate sul
platino[47]. Nei primi anni ’90 viene poi
introdotto un altro chemioterapico, il paclitaxel
(taxolo), un costituente attivo della corteccia
degli alberi delle foreste del Pacifico. Tale
farmaco si è dimostrato, in combinazione con il
platino, in grado di apportare un significativo
incremento della risposta globale ( dal 60% al
73%), della risposta clinica completa (dal 31 al
51%), di intervallo medio di sopravvivenza
libero da malattia (da 13 a 18 mesi)einfine di
sopravvivenza globale (dai 24 ai 38 mesi).
Tuttavia gli studi effettuati hanno anche
evidenziato che l’associazione cisplatinopaclitaxel è gravata da tossicità neurologica e
renale dovuta prevalentemente al cisplatino. Dal
2000, gli studi clinici hanno utilizzato
l’associazione carboplatino/cisplatino al fine di
valutarne l’efficacia ma soprattutto per ridurre
la tossicità della combinazione cisplatinotaxolo. Date le numerose evidenze a favore del
basso profilo di tossicità e di un’accettabile
efficacia, la combinazione carboplatinopaclitaxel è considerata la migliore scelta nel
management del carcinoma ovarico[48-50]. Negli
ultimi 20 anni altri trials sono stati condotti per
caratterizzare la somministrazione di farmaci
chemioterapici intraperitoneali e confrontarle
con
quella
classica
endovenosa.
La
somministrazione intraperitoneale trova il suo
razionale nella biologia stessa del carcinoma
ovarico epiteliale che origina dall’epitelio di
superficie dell’ovaioeha una diffusione intraaddominale attraverso la cavità peritoneale,
essendo l’ovaio un organo intraperitoneale. La
via intraperitoneale ha dimostrato vantaggi
consistenti sia per il carboplatino che per il
cisplatino che per il paclitaxel. Altri studi
riportano però, un peggioramento del
“performance status” delle pazienti, un
aumento del disconfort addominale e della
neurotossicitàeun
maggior
rischio
di
complicazioni
(ostruzioni,
infezioni,
perforazioni intestinali e fistole). Date le
controversie ancora aperte, a tutt’oggi, in molti
paesi si preferisce una chemioterapia con
somministrazione dei farmaci per via
endovenosa[51,52].
Chemioterapia di prima linea
A) Stadio I-IIA FIGO: il 20% delle
pazienti alla diagnosi si presentano a
questo stadio e se trattate solo con
chirurgia hanno un rischio di ricorrenza
del 25%. L’utilizzo della chemioterapia
negli stadi precoci di carcinoma è
ancora controverso. Le donne possono
essere suddivise in tre categorie, cioè tre
classi di rischio: a rischio basso di
ricorrenza, che comprende stadi IA e IB
con tumore ben differenziato. A rischio
medio che comprende stadi IA e IB
moderatamente differenziati e a rischio
elevato che comprende lo stadio IC con
366
I TUMORI DELL’OVAIO
qualsiasi grading o IB e IC
moderatamente
o
scarsamente
differenziati. In accordo con i risultati
degli
studi
dell’International
Collaborative Ovarian Cancer, la
chemioterapia è in grado di ridurre il
rischio di ricorrenza nei pazienti ad alto
rischio di recidiva, aumentandone la
sopravvivenza. Da questi trials appare
che solo nei pazienti appartenenti allo
stadio IA o IB con carcinomi ben
differenziati (G1), con istotipo non a
cellule chiare e sottoposti a chirurgia
ottimale, non si evidenzia un chiaro
beneficio
sulla
sopravvivenza
effettuando
la
chemioterapia
postoperatoria. Questi pazienti possono
essere seguiti solo con follow-up clinico
e strumentale, in tutti gli altri casi la
chemioterapia è indicata sia essa solo
con carboplatino o combinata con
carboplatino e paclitaxel[53,54].
B) STADIO IIB-IV FIGO: il trattamento
standard dei pazienti con carcinoma
ovarico avanzato è l’asportazione
chirurgica della maggiore quantità di
tumore
possibile
seguita
da
chemioterapia basata sull’associazione
platino-paclitaxel. Tale strategia offre
una sopravvivenza a 5 anni di circa il
25-30%.
Una delle strategie nel tentativo di incrementare
l’efficacia della chemioterapia di prima linea è
quella di aggiungere un terzo farmaco
all’associazione carboplatino-paclitaxel, già
validata[55,56]. Sono state prese in considerazione
diverse molecole e nell’ultima decade si è
riaperto l’interesse verso una classe ampiamente
studiata negli anni ’70, le antracicline. La
doxorubicina pegylato liposomale è una nuova
formulazione
della
doxorubicina
che
paragonata con la forma convenzionale ha
grossi vantaggi farmacocinetici come una bassa
concentrazione plasmatica, una bassa clearance,
un piccolo volume di distribuzioneeuna lunga
emivita risultando in una bassa tossicitàeun
migliore profilo di efficacia[57].
Verso nuovi agenti nel trattamento di prima
linea
I maggiori sforzi degli ultimi anni si sono
concentrati nel tentativo di scoprire nuovi
agenti biologici in grado di migliorare la
prognosi del carcinoma ovarico. Le conoscenze
più approfondite sulla biologia del carcinoma
ovarico hanno condotto all’identificazione di
target molecolari come alcuni recettori di fattori
di crescita, molecole trasduttrici del segnale,
cellule regolatrici il ciclo cellulare e fattori
angiogenici. L’utilizzo di queste nuove molecole
è ancora poco chiaro e gli studi tutt’ora in corso
stanno cercando di dimostrare la loro reale
efficacia e le modalità di utilizzo all’interno di
una
polichemioterapia
già
consolidata
(carboplatino-paclitaxel ) o in ionoterapia. Uno
dei farmaci più promettenti sembra essere il
bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto
contro il VEGF (vascular endotelial growth
factor). La sua efficacia nel trattamento delle
recidive sembra essere già stata dimostrata ed è
in corso di valutazione il suo ruolo nella
chemioterapia di prima linea in aggiunta a
carboplatino-paclitaxel. Altre molecole per cui
si attendono studi di fase III sono il pazopanib,
erlotinib e abagovonab[58,59].
Trattamento delle recidive
Nonostante l’ottima risposta (80% circa) alla
terapia di prima linea, la maggioranza delle
pazienti, con carcinoma ovarico in fase
avanzata, muore per una recidiva di malattia.
Una larga quota di pazienti sono quindi
candidati ad una terapia di seconda linea. In
base alla risposta alla terapia con platino
possiamo caratterizzare diverse classi di
pazienti. Pazienti platino-refrattari ossia quelle
donne in cui la ripresa di malattia avviene entro
2-3 mesi dopo l’inizio della terapia. Pazienti
platino-resistenti rappresentati dalle donne in
cui la ripresa avviene nell’arco di 6 mesi dalla
sospensione della terapia. Pazienti platinosensibili o parzialmente platino-sensibili quando
la ripresa di malattia è, rispettivamente, dopo 12
mesi o tra i 6 e i 12 mesi dal termine della
terapia. Questa suddivisione è importante per la
scelta del trattamento delle recidive. Nei
pazienti platino-sensibili il secondo ciclo di
terapia può essere effettuato con platino o con
la combinazione utilizzata nella terapia di prima
linea, i pazienti parzialmente platino-sensibili
367
I TUMORI DELL’OVAIO
rappresentano una “zona grigia” rispetto
all’utilizzo del platino o delle sue associazioni,
mentre in tutti gli altri casi l’approccio
terapeutico alla recidiva di malattia è
completamente diverso[60].
1. Pazienti platino-sensibili: numerosi studi
hanno dimostrato la piena efficacia nel
riutilizzo di schemi chemioterapici
basati sul platino con un minimo rischio
di neurotossicità da accumulo sia per il
carboplatino che per il paclitaxel.
2. Pazienti
platino-parzialmente
sensibili:
l’approccio terapeutico migliore a
questa classe di pazienti non è definito.
Risultati
confortanti
si
stanno
ottenendo con l’utilizzo di un nuovo
farmaco, la trabectedina, un agente antineoplastico inizialmente isolato da
ecteinascidia turbinate con capacità di
legame del DNA.
3. Pazienti platino-refrattari e platino-resistenti:
La terapia con agenti singoli è
considerata l’approccio migliore. Date le
scarse risposte rilevate in questi pazienti
con l’utilizzo di topotecan, docetaxel,
etoposide,
doxorubicinapegylatoliposomale,
gemcitabina e ifofosfamide è preferibile
includerli in Trials clinici per lo studio
di nuove molecole. Numerose molecole
sono attualmente in studio, tra queste, il
pazopanib (un inibitore dell’angiogenesi
che agisce su VEGFR), il PDGFR (un
fattore di crescita derivato dalle
piastrine) e c-kit sembrano i più
promettenti. Anche l’associazione tra
bevacizumab e ripetizione della
chemioterapia di prima linea, nel
trattamento delle recidive precoci, è in
corso di approfondimento.
Conclusioni
Il miglior approccio nei pazienti con carcinoma
ovarico epiteliale, siano essi in fasi precoci o
avanzate, rimane ad oggi la chirurgia con
l’intento di essere più radicale possibile seguita
poi da cicli di chemioterapia basata su
carboplatino da solo o in associazione
carboplatino-paclitaxel. Le recidive di malattia
sono da valutare caso per caso per un secondo
approccio chirurgico che può essere preceduto
o seguito da un nuovo ciclo di chemioterapia
basato sul platino, per i pazienti platinosensibili, e su altre molecole per i pazienti
platino-resistenti.
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CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7
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CancerStat Umbria
ISSN 2039-814X
Anno III, 2012
Numero 1
I tumori della vescica
Numero 2
Trend di mortalità per cause in Umbria. 1994-2010.
Numero 3-4
I tumori delle alte vie aereo-digestive.
Numero 3-4, supplemento 1
VIDEO. Tavola rotonda: La sanità pubblica in Umbria. Opinioni e prospettive
Numero 5
Ambiente e salute. Qualità dell’aria e prevenzione.
Convegno – Perugia 25 febbraio 2012
Numero 6
• Screening mammografico. Gestire la complessità per guadagnare in salute
Convegno – Perugia 8-9 marzo 2012
• La georeferenziazione nella registrazione dei tumori: approccio metodologico
e prospettive di studio.
XVI Riunione scientifica annuale AIRTUM. Como 29-31 marzo 2012
Numero 6, supplemento 2
VIDEO. Tavola rotonda: Medicina predittiva e sanità pubblica.
372
CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7
______________
CancerStat Umbria
ISSN 2039-814X
Anno II, 2011
Numero 1
Mortalità per cause nelle ASL dell’Umbria. 2005-2009.
Numero 2
Anni di vita potenziale persi (YPLL) in Umbria. 1995-1999 e 2005-2009.
Numero 3-4
Il cancro della prostata.
Numero 5
Ciò che bisogna sapere per decidere se sottoporsi allo screening per il cancro
della prostata.
Partecipazione al IV round dello screening citologico della AUSL 2 dell’Umbria.
Numero 6
Il cancro del rene.
Numero 7
Fumo o salute. I sessione.
Numero 8
I tumori della tiroide.
Numero 9
Fumo o salute. II e III sessione.
Numero 10
GISCoR. I sessione
Numero 11
GISCoR. II sessione
Numero 12
Il cancro del pene e del testicolo
373
CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7
______________
CancerStat Umbria
Anno I, 2010
Numero 0
Le statistiche del cancro e della mortalità in Umbria.
Numero1
- Ultime pubblicazioni dei collaboratori del RTUP.
- Technology assessment della metodica di prelievo e di preparazione della citologia in fase
liquida (LBC – Liquid Based Citology) per l’utilizzo routinario nello screening per la
prevenzione del tumore della cervice uterina in tutte le fasce di età e per la ricerca del Papilloma
Virus Umano ad alto rischio oncogeno (HPV – DNA HR) come test primario nelle fasce di età
da 35 a 64 anni durata prevista: 12 mesi / 8000 donne).
Numero 2
L’incidenza del cancro in Umbria, 2006-2008.
Numero 3
- Il Registro Rumori Infantili Umbro-Marchigiano.
- La ricerca dei tumori professionali nell’ambito del progetto OCCAM.
Numero 4
Il quadro epidemiologico per la programmazione della prevenzione oncologica regionale in Umbria.
Numero 5
- Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia
28/29 ottobre 2010.
Tavola rotonda: Utilità della creazione di registri regionali dei carcinomi della tiroide.
o L’esperienza del gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie della tiroide.
o Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP) e carcinoma della tiroide.
Numero 6
- Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia
28/29 ottobre 2010.
Tavola rotonda: Utilità della creazione di registri regionali dei carcinomi della tiroide.
o Registro Siciliano dei Tumori della tiroide.
- Convegno: Nuove acquisizioni nella gestione clinica del carcinoma della tiroide di origine
follicolare: cosa dicono le linee guida?
Numero 7
- Neoformazioni della cute e del cavo orale. Melanoma.
Terni 13.11.2010
o L’epidemiologia dei tumori cutanei in Umbria.
o Prevenzione primaria e secondaria dei tumori cutanei.
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