CancerStat Umbria Anno III No. 7 Luglio 2012 Registro Tumori Umbro di Popolazione ISSN 2039-814X Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Francesco La Rosa Coordinatore: Fabrizio Stracci Dipartimento di Specialità MedicoChirurgiche e Sanità pubblica. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. I tumori dell’ovaio G. Baiocchi, S. Gerli, G.C. Di Renzo. N. Buonora, L. Minelli, F. Bianconi, V. Brunori, F. La Rosa, F. Stracci. INDICE: Parte I Epidemiologia e fattori di rischio pag. 345 Bibliografia pag. 351 Parte II Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza Anatomia patologica e management clinico pag. 355 Bibliografia pag. 368 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO.7 CancerStat Umbria Registro Tumori Umbro di Popolazione Registro Nominativo delle Cause di Morte Registro Regionale dei Mesoteliomi Direttore: Anno III No. 7, Luglio 2012 ISSN 2039-814X Codice CINECA-ANCE E205269 Pubblicato da: Registro Tumori Umbro di Popolazione Francesco La Rosa Coordinatore: Fabrizio Stracci Collaboratori: Anna Maria Petrinelli Daniela Costarelli Fortunato Bianconi Valerio Brunori Daniela D’Alò Silvia Leite Maria Saba Petrucci Francesco Spano Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche e Sanità Pubblica. Sezione di Sanità Pubblica. Università degli Studi di Perugia. Via del Giochetto 06100 Perugia Tel.: +39.075.585.7329 - +39.075.585.7366 Fax: +39.075.585.7317 Email: [email protected] URL: www.rtup.unipg.it Segreteria: Luisa Bisello Regione dell’Umbria. Direzione regionale Salute, coesione sociale e società della conoscenza Emilio Duca Paola Casucci Marcello Catanelli Mariadonata Giaimo CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO.7 I TUMORI DELL’OVAIO I tumori dell’ovaio G. Baiocchi1, S. Gerli1, G.C. Di Renzo1. N. Buonora2, L. Minelli2, F. Bianconi3, V. Brunori3, F. La Rosa2,3, F. Stracci2,3. 1 2 3 Clinica Ostetrica e Ginecologica, Azienda Ospedaliera di Perugia Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva, Università di Perugia Registro Tumori Umbro di Popolazione, Dipartimento di Specialità Medico-chirurgiche e Sanità pubblica. Sezione di Sanità pubblica. Università di Perugia. Parte I N. Buonora, L. Minelli, F. Bianconi, V. Brunori, F. La Rosa, F. Stracci Introduzione I tumori ovarici primitivi originano dai tre elementi che costituiscono l’ovaio: l’epitelio di superficie, che a sua volta deriva embriologicamente dai dotti mulleriani, lo stroma ovarico e i cordoni sessuali, e le cellule germinali che migrano all’ovaio dal sacco vitellino e che sono totipotenti[1]. L’80-90% dei tumori ovarici si presenta in donne in età compresa fra 20 e 65 anni, e meno del 5% in età pediatrica. Nella grande maggioranza dei casi (80%) si tratta di tumori benigni: il 60% di questi è diagnosticato in donne in età inferiore a 40 anni. Il 15-20% dei tumori ovarici è maligno, e di questi il 90% è diagnosticato in donne in età superiore ai 40 anni. Infine, il 5-10% dei tumori ovarici è definito a malignità intermedia (borderline). A differenza dei tumori maligni, che si osservano prevalentemente in età avanzata, i tumori borderline sono più comuni in donne giovani con picco di incidenza nella quarta e quinta decade[2]. Materiali e Metodi In questo lavoro vengono illustrati i tassi d’incidenza e di mortalità per tumori maligni dell’ovaio in Umbria, i trend temporali degli stessi indicatori per il periodo 1994-2008 e il confronto con i trend italiani 1998-2005[3-4]. I dati relativi al numero di nuovi casi sono quelli del database del Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP), quelli relativi ai deceduti del Registro Nominativo delle Cause di Morte (ReNCaM) dell’Umbria. I tumori sono stati codificati secondo la decima classificazione internazionale delle malattie con il codice C56 (ICD X)[1]. I trend temporali sono stati calcolati sui tassi standardizzati per sesso ed età, con la popolazione europea con il metodo della “jointpoint regression”. Questa analisi temporale mette in evidenza i cambiamenti statisticamente significativi dei trend e quantifica la variazione media annuale dei tassi (annual percent change = APC)[5]. Nelle tabelle l’asterisco (*) accanto al valore dell’APC indica la significatività (P≤0.05) dell’incremento o del decremento calcolato. Epidemiologia Il cancro dell’ovaio rappresenta in termini di frequenza la settima neoplasia femminile nel mondo. Ogni anno si stimano circa 225.000 nuovi casi (6.3/100.000) con 140.000 decessi. L’incidenza delle neoplasie maligne ovariche varia nelle diverse aree geografiche, con tassi più elevati in Europa (10.1/100.000) e Nord America (8.7/100.000) rispetto ai paesi africani (4.0/100.000) e al sud-est asiatico [6] (6.2/100.000) . Pur essendo per frequenza la terza delle neoplasie ginecologiche nell’emisfero occidentale, dopo il cancro dell’endometrio e della cervice uterina, è ancora la prima causa di morte in ragione della diagnosi spesso tardiva e della scarsa risposta al trattamento. 345 I TUMORI DELL’OVAIO Nel 2011 in Italia sono stati registrati 4770 nuovi casi di cancro dell’ovaio e si stima che nel 2030 saranno 5756[7]. Tale neoplasia rientra tra i primi dieci tumori femminili in termini di frequenza e rappresenta, per numero di decessi, la sesta causa di morte neoplastica nelle donne (4,8% di tutti i decessi per cancro). In Italia, il tasso d’incidenza grezzo medio annuo è di 17,1 casi per 100.000 donne. L’incidenza ha invertito il suo trend ascendente alla metà degli anni novanta, e attualmente la sua flessione (APC) è del -1.2* (figura 1). Il trend della mortalità è simile (APC -1.4, non statisticamente significativo). Figura 1. Trend temporali dei tassi standardizzati di incidenza e mortalità per 100.000. cancro ovarico (C56). Periodo 1998-2005. diminuisce con APC -1.2 ma non in maniera significativa (tabella1; figura 2). Tabella 1. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità in Umbria. Periodi 1978-1982, 1994-1998, 2004-2008; Femmine. Incidenza femmine Tasso Tasso grezzo standard. 11.7 10.1 21.2 14.9 18.5 12.0 Mortalità Anni di riferimento 1978-1982 1994-1998 2004-2008 N. casi 48 89 83 Anni di riferimento N. morti Tasso grezzo Tasso standard. 1978-1982 1994-1998 2004-2008 48 56 11.5 12.4 6.8 6.5 18 16 14 12 10 8 Andamenti temporali dell’incidenza e della mortalità in Umbria Il trend umbro non si discosta dal quadro epidemiologico italiano. A partire dal 1994, anno d’inizio dell’attività del Registro Tumori Umbro di Popolazione, al 2008 l’incidenza e la mortalità per cancro ovarico hanno un andamento decrescente. L’incidenza si riduce significativamente con APC -2.1*. La mortalità 6 4 2 20 08 20 06 20 04 20 02 20 00 19 98 19 96 0 19 94 La riduzione dell’incidenza coinvolge tutte le età, pur essendo tuttora più marcata sotto i 50 anni. I tassi d’incidenza e di mortalità sono relativamente simili attraverso il Paese, ma sembrano declinare più rapidamente nell’Italia centrale, meridionale e insulare[4]. INCIDENCE 1994-2008 APC( 95%CI) -2.1* (-3.8; -1.4) MORTALITY 1994-2008 APC (95% CI) -1.2 (-3.5; 1.2) Figura 2. Trend umbro di incidenza e mortalità del cancro ovarico (C56) (triangolo: tasso osservato d’incidenza; linea continua: trend stimato d’incidenza; rombo: tasso osservato di mortalità; linea continua: trend stimato di mortalità). Periodo 1994-2008. L’analisi geografica dell’incidenza del cancro dell’ovaio mostra una tendenza a valori più elevati nella parte sud e sud-est della Regione, 346 I TUMORI DELL’OVAIO con SIR che nella maggior parte dei casi non superano tuttavia il 140 per 100 (tabella 2, 3; figura 3, 4). Tale tendenza si associa a quella già nota per gli altri tumori ginecologici e per tutte le sedi complessivamente nel sesso femminile in Umbria[8]. Tabella 2. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità del cancro dell’ovaio per ASL in Umbria. Periodo 19941998. 19941998 INCIDENZA N. casi MORTALITA' Tasso Tasso Tasso N. grezzo stand. morti grezzo Tasso stand. ASL1 12 19.2 13.8 8 12.9 7.4 ASL2 34 20.2 14.3 20 12.3 8.0 ASL3 16 20.9 14.8 8 10.3 5.9 ASL4 27 24.0 16.7 12 10.2 5.5 Umbria 89 21.2 14.9 48 11.5 6.8 Figura 3. Distribuzione regionale del cancro del collo dell’utero (C53), del corpo dell’utero (C54), dell’ovaio (C56) e per tutte le sedi. SIR 1999-2003 Tabella 3. Numero annuo medio di nuovi casi, tassi grezzi e standardizzati di incidenza e mortalità del cancro dell’ovaio per ASL in Umbria. Periodo 20042008. 20042008 INCIDENZA N. casi MORTALITA' Tasso Tasso N. Tasso grezzo stand. morti grezzo Tasso stand. ASL1 12 17.1 11.0 7 10.9 5.6 ASL2 32 17.4 12.5 17 9.3 5.3 ASL3 14 17.8 10.6 13 15.5 7.3 ASL4 25 21.4 12.7 19 15.8 8.0 Umbria 83 18.5 12.0 56 12.4 6.5 Figura 4. Distribuzione regionale del cancro dell’ovaio (C56). SIR 2004-2008 L’analisi delle diverse sedi mette in evidenza chiare differenze territoriali che possono, talvolta essere ricondotte a differenti esposizioni ai fattori di rischio, considerato che per il tumore dell’ovaio non esiste ancora un intervento di screening organizzato, a differenza di cervice uterina, mammella e colon-retto, né uno “selvaggio” come per cancro della prostata o melanoma. 347 I TUMORI DELL’OVAIO Fattori di rischio ed eziologia I principali fattori di rischio per il carcinoma ovarico sono una storia familiare positiva e la presenza di alcune sindromi genetiche (tabella 4). Studi epidemiologici hanno portato ad elaborare tre teorie riguardo alla eziologia dei tumori ovarici: 1) la storia familiare di malattia è un fattore associato ad un aumentato rischio di neoplasia (fattori genetici e familiari); 2) l’ovulazione incessante e la stimolazione gonadotropinica possono portare a mutazioni cellulari e favorire la trasformazione neoplastica (fattori endocrini); 3) l’ovaio può essere esposto all’azione di cancerogeni attraverso la vagina e le tube di Falloppio (fattori ambientali). Fattori genetici e familiari: Circa il 5-10% delle neoplasie ovariche riconosce, quale fattore di rischio principale, la familiarità. Nella popolazione generale, il rischio medio per una donna di sviluppare nel corso della vita un tumore ovarico è 1,6%. Una storia di carcinoma ovarico in una parente aumenta il rischio complessivo di sviluppare la neoplasia, nel corso della vita, fino al 5%; in presenza di una storia familiare in due parenti l’aumento del rischio è invece pari al 7%. Le donne affette da specifiche mutazioni geniche sono esposte ad un rischio più elevato[9,10]. Significativa è l’associazione fra carcinoma ovarico e tumore mammario per la presenza di loci di suscettibilità genetica per questi tumori denominati BRCA1 (q17) e BRCA2 (q13). Mutazioni a carico di questi geni soppressori sono responsabili della maggior parte delle forme ereditarie di carcinoma ovarico epiteliale. La sindrome del carcinoma della mammella e del carcinoma ovarico ereditario, che interessa una donna ogni 500, è associata ad una mutazione autosomica dominante dei geni BRCA1 o BRCA2[11,12]. La sindrome aumenta il rischio di sviluppare carcinomi della mammella, del pancreas e della prostata, ed è associata ad un rischio di carcinoma ovarico, nel corso della vita, pari al 23-54%. Complessivamente la sindrome del carcinoma della mammella e del carcinoma ovarico ereditari è responsabile del 12% dei casi di carcinoma ovarico. Tra le donne ebree Ashkenaziti, discendenti da gruppi originari dell’Europa Centro-Orientale, la stima dei portatori di mutazioni founder a carico dei geni BRCA1 e BRCA2 è circa del 2,5% (1 su 50). Le due mutazioni ricorrenti in BRCA1 (185delAG e 5382insC) e quella in BRCA2 (6174delT) sono responsabili di quasi il 90% (78-96%) dei casi ereditari di carcinoma della mammella e di cancro ovarico[13-15]. La sindrome del carcinoma colon-rettale non poliposico ereditario (sindrome di Lynch II) è invece il risultato di una mutazione autosomica dominante che determina un aumento del rischio di carcinoma colon-rettale non poliposico e dei carcinomi dell’endometrio, della mammella e ovaio[16-18]. Nelle pazienti affette dalla sindrome il rischio di sviluppare un carcinoma ovarico nel corso della vita è del 12%. Altre sindromi genetiche individuate sono: - Sindrome di Cowden, legata a una mutazione di PTEN, con associazione tra tumori ovarici e tumori cerebrali; Sindrome di Gorlin, legata a una mutazione di PTC, con associazione tra tumori ovarici e nevi multipli. Fattori endocrini: La multiparità, l’allattamento al seno e un prolungato impiego di contraccettivi orali riducono il rischio di tumore ovarico. In particolare, donne multipare presentano una riduzione del rischio del 30% circa rispetto a donne che non hanno partorito[19,20]. Le ovulazioni ripetute e le successive riparazioni potrebbero costituire un fattore di rischio per l’insorgenza di mutazioni genetiche maligne[21]. Ciò potrebbe spiegare l’effetto protettivo esercitato dai contraccettivi orali, dal menarca tardivo, dalla menopausa precoce, dalla multiparità e dall’allattamento al seno. Tutti questi fattori hanno, in effetti, in comune una diminuzione del numero di ovulazioni. L’effetto protettivo della multiparità e dell’assunzione di contraccettivi potrebbe essere 348 I TUMORI DELL’OVAIO attribuito anche ad un aumento dei livelli di progesterone[22-29]. In una meta-analisi di Hankinson, l’uso costante della pillola contraccettiva orale rispetto al mancato uso è stato associato ad un rischio relativo di 0,64 (IC 95% 0,57-0,73)[30]. E’ stata dimostrata una diminuzione del 10-12% nel rischio di cancro ovarico con un anno di utilizzo e una riduzione di circa il 50% del rischio con cinque anni di utilizzo. Tale riduzione del rischio si è verificata sia nelle nullipare che nelle pluripare, ed è durata per almeno dieci anni dopo la cessazione dell’utilizzo. Tuttavia, risultati di uno studio condotto da Gnagy indicano che la relativa diminuzione dei tassi di incidenza di carcinoma ovarico legata all'effetto protettivo dei contraccettivi orali diminuisce nel lungo termine[31]. Il fattore sterilità sembra essere correlato a un maggiore rischio tumorale in relazione alla mancanza dell’effetto protettivo svolto dall’assetto endocrinologico della gravidanza. Allo stato attuale non esistono però dati che permettano di convalidare tale ipotesi. Anche i dati inerenti la terapia ormonale sostitutiva e l’incidenza di tumori ovarici sono a tutt’oggi molto conflittuali[32]. Per quanto riguarda le donne affette da infertilità e sottoposte a FIVET non sembra esserci un aumento del rischio di neoplasia, e tutt’oggi i dati della letteratura risultano contrastanti[33-35]. L’isterectomia e la legatura delle tube sono probabilmente associate ad una diminuzione del rischio di carcinoma ovarico in conseguenza di una diminuzione del flusso di sangue a uteroovaie[36-38]. Ciò limiterebbe l’esposizione locale a fattori infiammatori e ormonali potenzialmente carcinogeni. L’endometriosi è osservata in circa 3-8% delle donne in età fertile ed è nota la sua associazione con livelli elevati di citochine infiammatorie (MMPs, VEGF, TGF-β) e una riduzione dell’attività delle cellule NK. L’associazione con l’endometriosi è più frequente nei carcinomi endometrioidi e in quelli a cellule chiare (20-50% dei casi), più rara negli istotipi sierosi, mucinosi e altri (3-9%)[39, 40] . Un aumentato rischio di neoplasia ovarica in fine è stato osservato in pazienti con cancro della mammella, indicando la presenza di fattori eziologici comuni fra le due neoplasie. Fattori ambientali: Diversi fattori di rischio modificabili (es. obesità, fumo, dieta con elevato contenuto di amido o di lipidi, stile di vita sedentario) risultano associati ad un aumento del rischio di carcinoma ovarico. I risultati tuttavia sono molto discordanti[41-46]. Lo studio Women’s Health Initiative Dietary Modification Randomized Controlled Trial ha descritto, in donne in post-menopausa, una diminuzione del rischio di carcinoma ovarico in seguito a 4 anni di dieta con ridotta introduzione di grassi[47]. Molteplici studi su fumo e cancro ovarico hanno mostrato risultati contrastanti[48,49]. Alcuni non mostrano associazione mentre altri mostrano un’associazione positiva in particolare con tumori mucinosi. Una meta-analisi di Jordan ha indagato la relazione tra fumoei diversi sottotipi istologici di cancro ovarico rilevando un raddoppio del rischio di tumore mucinoso nei fumatori rispetto ai non fumatori, rischio non aumentato per istotipo sieroso o endometrioide e un rischio ridotto per tumori a cellule chiare[50]. Uno studio aveva ipotizzato un rapporto tra l’applicazione perineale di talcoeaumento del rischio di carcinoma ovarico; una recente metanalisi non ha invece confermato l’esistenza di alcun legame significativo tra i due eventi[51,52]. Fattori associati ad una moderata diminuzione del rischio di carcinoma ovarico comprendono: un aumento dell’introduzione alimentare di fibre; l’assunzione di carotene, vitamina C, vitamina E, acidi grassi insaturi; un aumento dell’attività fisica. Per una corretta interpretazione di tali associazioni occorre tuttavia tener presente la possibile coesistenza di diversi fattori di confondimento. Le evidenze in supporto dell’adozione di alcune modifiche delle abitudini di vita per ottenere una riduzione del rischio di carcinoma ovarico appaiono inoltre limitate. Nella maggior parte delle donne con una diagnosi di carcinoma ovarico la storia familiare non è positiva, e l’eziologia rimane ignota. 349 I TUMORI DELL’OVAIO Tabella 4. Fattori di rischio e Fattori protettivi associati al carcinoma ovarico FR FP Gravidanze tardive Allattamento al seno per almeno 18 mesi Menarca precoce Endometriosi Terapia sostitutiva con estrogeni per più di 5 anni Storia familiare che indica una predisposizione genetica Sindromi genetiche Dieta con elevata introduzione di grassi Menopausa tardiva Bassa parità Menopausa precoce Multiparità (il rischio diminuisce con ogni gravidanza Isterectomia Menarca tardivo Dieta con bassa introduzione di grassi Assunzione di contraccettivi orali Legatura delle tube Discussione Uno dei motivi del fallimento della terapia del carcinoma ovarico è la diagnosi in fase avanzata di malattia. I tumori dell’ovaio presentano valori di sopravvivenza a 5 anni inferiori al 40% con un modesto andamento temporale che sembra ridursi a 10 e 15 anni suggerendo quindi che il miglioramento della sopravvivenza è dovuto ad un’anticipazione diagnostica senza effetti a lungo termine[53]. Ad oggi non esistono ancora programmi di screening efficaci per la prevenzione del cancro ovarico. È per questo che circa il 70% di essi vengono diagnosticati in stadio avanzato. Test di screening potenziali includono l'esame pelvico bimanuale, il dosaggio di CA 125 e l’ecografia. Per quanto un accurato esame pelvico bimanuale possa rilevare una varietà di disturbi ginecologici, solo occasionalmente è possibile rilevare una neoplasia alla palpazioneeil più delle volte in stadio molto avanzato[54]. I marcatori tumorali hanno una specificità limitata. L’antigene Ca 125 è una glicoproteina ad alto peso molecolare che ha il 90% di sensibilità in pazienti con tumore allo stadio II (prevalentemente nel tipo istologico sieroso), ma una minore sensibilità (49%) in stadio I[55, 56]. Numerosi stati fisiologici e patologici possono condizionare i livelli di CA 125. Infatti, questa glicoproteina non è specifica per carcinoma ovarico ed è largamente distribuita nei tessuti adulti. Viene ritrovata in tutte le strutture che derivano dall’epitelio celomatico (endocervice, endometrio e tube di Falloppio) o dal mesotelio (pleura pericardio e peritoneo). E’ espressa nel tessuto ovarico normale e nei tessuti epiteliali di colon, pancreas, polmone, rene, prostata, mammella e stomaco. Elevate concentrazioni di CA 125 sono riscontrate in neoplasie di pancreas, polmone, mammella, endometrio e colonein condizioni non neoplastiche: endometriosi, malattia infiammatoria pelvica, malattie del fegato e recente laparotomia. Pur non essendo affidabile come test di screening, per la sua scarsa sensibilità e specificità, il CA 125 costituisce un utile marcatore per il monitoraggio dei tumori ovarici epiteliali di tipo non-mucinoso. Negli ultimi anni nel tentativo di incrementare la specificità del dosaggio di CA 125 nel carcinoma ovarico epiteliale sono stati condotti numerosissimi studi[57-59]. Il marker più promettente è risultato essere il HE4 (Human epididymis 4) con una sensibilità del 73%[60]. Sembra che un dosaggio combinato di CA 125eHE4 possa portare ad un aumento significativo della sensibilità mantenendo elevata la specificità[61]. I risultati sono ancora contraddittori e necessitano di ulteriori studi. L’Ecografia transvaginale (TVS) è attualmente considerata l’indagine di elezione in diagnostica strumentale, dal momento che è in grado di stimare le dimensioni dell'ovaio, di rilevare masse piccole fino ad 1 cm, e distinguere le lesioni solide dalle liquide. L’ecocolor Doppler consente lo studio della vascolarizzazione delle masse ginecologiche, di predirne la velocità di crescita nel tempo e di ipotizzarne la natura. Tuttavia, l'ecografia transvaginale non è efficace per l'utilizzo come test di screening[62]. La sensibilità e la specificità dell’ecografia transaddominale e transvaginale sono rispettivamente 50-100% e 76-97%. Alcuni studi hanno dimostrato un incremento in termini di specificità e sensibilità applicando un 350 I TUMORI DELL’OVAIO algoritmo per stimare il rischio delle donne di sviluppare carcinoma ovarico (ROC: risk of ovarian cancer) rispetto all’utilizzo del solo CA 125. Le donne vengono suddivise in tre classi di rischio: bassa, intermedia e alta. Le donne che tramite ROC vengono classificate nella classe a rischio intermedio devono ripetere il dosaggio di CA 125, mentre le classi ad alto rischio oltre a ripetere il dosaggio effettuano anche un’ecografia transvaginale[63]. Ad oggi tuttavia numerosissimi studi suggeriscono che lo screening con l'ecografia (con o senza Doppler), il CA125, l’HE4, l'esame pelvico, o combinazioni di questi, non sono efficaci per individuare i tumori in una fase iniziale[64-66]. Al fine di valutare l’effetto dello screening sulla mortalità nelle ultime due decadi sono stati intrapresi numerosi trials clinici, alcuni dei quali ancora in corso. Nel PLCO (Prostate, Lung, Colorectal and Ovarian) Cancer Screening Randomized Controlled Trial sono state arruolate 78.216 donne in salute di età compresa tra i 55ei 74 anni, assegnate random a controllo con CA 125 e con ecografia transvaginale annuale[67]. I risultati, tuttavia, non hanno indicato una riduzione significativa della mortalità[68]. Nel UKCTOCS (United Kingdom Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening) sono state arruolate 202.638 donne in post-menopausa con un’età compresa tra i 50ei 74 anni suddivise in un gruppo controllo, un gruppo ecografico, sottoposto ad ecografia pelvica annuale, e un gruppo multimodale sottoposto a dosaggio CA 125, valutato tramite algoritmo ROC, ed eventuale ecografia transvaginale come secondo livello. Ad oggi sono stati pubblicati solo i dati del round di prevalenza[69]. Bibliografia 1. WHO. International statistical classification of diseases and related health problems, tenth revision (ICD-10). Geneva, 1992. 2. 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Morfologicamente i dall’epitelio ovarico di superficie o più carcinomi sierosi di basso grado si probabilmente da cisti di inclusione epiteliali. caratterizzano per atipie nucleari minime e Alcuni studi hanno suggerito una possibile numero di mitosi basso, al contrario in quelli di derivazione dai sistemi Mulleriani che alto grado si repertano atipie nucleari marcate comprendono cisti paraovariche e ed elevato numero di mitosi. La dicotomia è paratubariche, endometrio, endosalpingi ed conservata anche per il pattern genetico e di epitelio della vescica urinaria[1]. Tutte queste progressione. Nei carcinomi sierosi di alto porzioni del tratto genitale femminile grado sono frequentemente coinvolte riconoscono nell’epitelio celomatico (mesotelio) mutazioni del gene p53, perdita di funzione dei il precursore embriologico comune. La geni BRCA 1/2 con maggior suscettibilità classificazione dei tumori epiteliali ovarici genomica e aumentata espressione di Btak, una correntemente in uso, basata sulla morfologia proteina coinvolta nella regolazione della delle cellule tumorali, li suddivide in: sierosi (60mitosi. I meccanismi di innesco e 70%), endometrioidi (10-20%), mucinosi (5mantenimento della tumorigenesi non sono 20%), a cellule chiare (3-10%)eindifferenziati [2ancora stati chiariti e sono state riportate altre 4] (tabella 1). alterazioni genetiche in associazione: il recettore del fattore di crescita epidermoidale, Her2/neu, AKT2, PI-3K e c-myc[5]. I carcinomi sierosi di basso grado sono caratterizzati da mutazioni di Tabella 1. Tipi istologici comuni di KRAS o BRAF con attivazione delle molecole carcinoma epiteliale ovarico che svolgono il ruolo di secondi messaggeri Papillare sieroso (RAF PI-3K e RAL GEFs). Date le sostanziali differenze tra le due forme, Singer et al., Endometrioide recentemente, parlano di tumore di tipo I per indicare neoplasie di basso grado con una Mucinoso progressione da adenoma a tumore borderline a A cellule chiare carcinoma e coinvolgimento di mutazioni di KRAS e BRAF[6-8]. Il tumore di tipo II indica, Tumore di Brenner invece, un carcinoma a rapida crescita senza precursori morfologicamente riconoscibili e Indifferenziato alterazioni genetiche p53 e/o BRCA1/2[9]. Forme miste Carcinoma ovarico endometrioide Carcinoma ovarico sieroso Rappresenta l’istotipo più comune di carcinoma ovarico epiteliale. Caratterizzato da cellule che per morfologia e pattern di crescita ricordano l’epitelio tubarico. Istologicamente è Rappresenta il 10-20% di tutti i carcinomi ovarici epiteliali, con un’età media di insorgenza di 59 anni ed è istologicamente simile ai tumori maligni primitivi dell’endometrio. Nei soggetti affetti da carcinoma endometrioide sono stati occasionalmente riscontranti foci 355 I TUMORI DELL’OVAIO endometriosici in sede ovarica omo o controlaterale e/o extraovarica, e nel 14% dei casi un carcinoma endometrioide del corpo dell’utero. Macroscopicamente, il carcinoma endometrioide ha un aspetto solido-cistico (con aree cistiche contenenti materiale friabile e raccolte fluide), o, più raramente, totalmente solido con estese aree di necrosi ed emorragia. Microscopicamente è invece caratterizzato da spazi ghiandolari con proiezioni papillari rivestite da epitelio con stratificazione nucleare. Relativamente poco conosciuti i meccanismi molecolari di sviluppo del carcinoma endometrioide. Sembrano coinvolte mutazioni del gene della beta-catenina implicata nell’adesione cellulare e nella trasduzione del segnale. Disregolazioni del complesso catenina/caderina sono implicate nello sviluppo, progressione, invasione e metastasi di molte neoplasie[10,11]. Mutazioni del gene PTEN sono state ritrovate nel 43% delle donne con carcinoma ovarico endometrioide. Carcinoma ovarico mucinoso Istologicamente i carcinomi mucinosi sono tumori costituiti da ghiandole, cisti o papille rivestite da cellule che contengono mucina (“globet cells” nel tipo intestinale); morfologicamente ricordano l’epitelio dell’endocervice e dell’intestino. Il carcinoma mucinoso si caratterizza per la presenza di atipie citologiche molto marcate: elevato numero di mitosi, nuclei ipercromatici, stratificazioni cellulari, ghiandole che infiltrano lo stroma e crescita solida. I tumori mucinosi sono spesso eterogenei, in particolare il tipo intestinale, e mostrano frequente coesistenza di elementi benigni, borderline e maligni nella singola neoplasia, suggerendo una chiara progressione della carcinogenesi da cistoadenoma a carcinoma invasivo (tumore borderline-tumore non invasivo-tumore microinvasivo e carcinoma invasivo). I meccanismi molecolari alla base della tumorigenesi, seppur ancora per lo più sconosciuti, riconoscono mutazioni di KRAS come evento precoce. I carcinomi mucinosi sono i tumori ovarici che raggiungono macroscopicamente le maggiori dimensioni seguiti dal tipo endometrioide[12]. Carcinoma ovarico a cellule chiare Tumori microscopicamente caratterizzati da grandi cellule con citoplasma chiaro contenente glicogeno che formano masse solide o strutture ghiandolari. Morfologicamente simile all’endometrio ipersecretivo, tanto da essere considerato una possibile variante del carcinoma endometrioide ovarico, colpisce in età più avanzata, è di solito associato ad una cattiva prognosi per la scarsa responsività alla chemioterapia. Nel 5-10% dei casi ci può essere un’associazione con foci endometriosici. Fra i meccanismi molecolari della carcinogenesi si segnala l’assenza di mutazioni del gene p53 come meccanismo anti-apoptotico tumorale e la presenza di metilazioni aberranti di TMS1/ASC che funzionano fisiologicamente da silenziatori della trascrizione, mutazioni PTEN e disregolazioni di CD4461, una glicoproteina di membrana presente nelle cellule peritoneali che fa da recettore per GAGeacido ialuronico[13,14]. Sono stati inoltre osservati elevati livelli di instabilità dei microsatelliti (hMLH1 e hMSH2)euna bassa espressione di BAX nei pazienti con tumori chemioresitenti. Una comparazione del profilo genetico appartenente agli istotipi sieroso, endometrioideea cellule chiare dei carcinomi ovarici epiteliali dimostra 43 geni comuni a tutti gli istotipi suggerendo un processo di trasformazione maligna comune[11]. Nuove teorie eziopatogeniche La revisione delle caratteristiche molecolari e clinico-patologiche dei maggiori istotipi, descritti sopra, di carcinoma ovarico epiteliale, ha dimostrato numerosi elementi comuni, che pongono le basi per la creazione di un modello di carcinogenesi. E’ stata proposta una suddivisione dei tumori epiteliali di superficie in due categorie: tipo I e tipo II, sulla base del pattern di progressione tumorale e delle variazioni molecolari-genetiche[4,7,11]. I tumori di tipo I comprendono carcinomi sierosi di basso grado, carcinomi endometrioidi di basso grado, carcinomi mucinosi e lo spettro dei carcinomi a cellule chiare con sviluppo da lesioni riconoscibili e carcinogenesi con modello progressivo. Generalmente i tumori di tipo I si caratterizzano per lenta crescita, grosse 356 I TUMORI DELL’OVAIO dimensioni, stadi precoci alla diagnosi e mutazioni somatiche dei geni codificanti protein-chinasi come KRAS, BRAF, PIK3CA e HERB2ealtre molecole segnale come PTEN e CTNNB1. I tumori di tipo II comprendono carcinomi sierosi di alto grado, carcinomi endometrioidi di alto grado, carcinomi indifferenziati, alcuni carcinomi a cellule chiareei tumori mesodermici misti (carcinosarcomi). Generalmente hanno crescita rapida, diffondono precocemente, alla diagnosi spesso risultano già coinvolte strutture extraovariche e sono caratterizzati da un’elevata frequenza di mutazioni di TP53 e CCNE1[15]. Recentemente è stata proposta una nuova teoria eziopatogenetica per cui la maggioranza dei carcinomi ovarici, che sono tumori sierosi di alto grado, originano da carcinomi tubarici sierosi intraepiteliali di alto grado (soprattutto localizzati a livello delle fimbrie), che si diffondono all’ovaio come impianti di cellule maligne[5]. Carcinomi tubarici sono stati osservati nel 70% circa delle forme sporadiche, non ereditarie, di carcinoma ovarico sieroso di alto grado. Un elemento a sostegno di questa nuova teoria è il riscontro di mutazioni TP53 sia a carico dei carcinomi tubarici che dei tumori ovarici tipo II. TUMORI OVARICI BORDERLINE I tumori ovarici borderline sono un gruppo di neoplasie ovariche non invasive a prognosi buona. Rappresentano il 15-20% di tutte le neoplasie. I tumori ovarici borderline istologicamente sono tumori epiteliali che non invadono lo stroma. L’età media di presentazione è più precoce di 20 anni circa rispetto alle forme invasive di carcinoma ovarico (35-40 anni). Il termine borderline vuole indicare la bassa potenzialità maligna per la mancata capacità di invasione stromale. Tuttavia i tumori ovarici borderline vennero riconosciuti un’entità distinta dagli altri tumori ovarici solo nel 1971 quando la “International Federetion of Obstetrics and Gynecology” (FIGO) creò questa nuova categoria all’interno della classificazione già esistente. I tumori mucinosi e sierosi rappresentano la maggior parte dei tumori borderline. In accordo con la classificazione del 2003 della World Health Organization, i tumori ovarici borderline possono essere classificati in base all’istopatologiaeall’istogenesi in: sierosi, mucinosi, endometrioidi, a cellule chiare e transizionale (tabella 2)[3-4]. Tabella 2. Classificazione istopatologica dei tumori ovarici borderline Sieroso Mucinoso Endometrioide A cellule chiare Transizionale Tumori sierosi borderline I tumori sierosi rappresentano il tipo istologico più comune, il 65% circa, di tutti i tumori ovarici borderline, con un’età media di insorgenza di 35-40 anni. Istologicamente possono essere suddivisi in forme tipiche (90%) e forme micropapillari (10%). Recenti studi patogenetici hanno dimostrato che solo una piccola parte dei cistoadenomi sierosi progrediscono poi a tumori ovarici sierosi borderline e che mutazioni attivanti di KRAS e BRAF sono precocemente coinvolte nella carcinogenesi delle forme sierose borderline[6]. Contrariamente nei tumori sierosi ad elevato grado di malignità si riscontrano, nel 50% dei casi, mutazioni di p53. I tumori sierosi rappresentano l’unico istostipo, dei tumori ovarici borderline in cui è possibile una diffusione extraovarica di malattia. Possono ritrovarsi impianti peritoneali in circa il 35% dei casi sia in forma invasiva che non invasiva. Data la buona prognosi delle donne con diffusione extraovarica di malattia si utilizza il termine “impianto” e non metastasi. La nomenclatura degli impianti è in base alle caratteristiche, se poggiano semplicemente sulla superficie peritoneale, sono denominati non invasivi, se invece coinvolgono i tessuti 357 I TUMORI DELL’OVAIO sottostanti, come l’omento e la parete intestinale, si parla di impianti invasivi. Macroscopicamente i tumori ovarici sierosi borderline si presentano come una massa complex annessiale cistica, bilaterale in 1/3 dei casi. Al momento della diagnosi il 70 % sono confinati all’ovaio con una sopravvivenza a 5 anni del 100%, mentre se si riscontrano impianti peritoneali invasivi la sopravvivenza si abbassa al 66% per una maggior incidenza di recidive soprattutto di carcinomi invasivi[16,17]. Tumori mucinosi borderline I tumori mucinosi rappresentano circa il 32% di tutti i tumori ovarici borderline. L’età media di insorgenza è 45 anni e comprende due distinti sottotipi istologici: il tipo intestinale (90%)eil tipo mulleriano simile all’endocervice (10%). Il tipo intestinale è solitamente monolateraleein associazione con uno pseudomixoma in più del 17% dei casi. Il tipo mulleriano è invece bilaterale nel 40% dei casi e in associazione con endometriosi pelvica o ovarica nel 20-30% dei casi. Importante per la diagnosi nelle forme mucinose borderline è l’esclusione di metastasi secondarie provenienti soprattutto dal tratto gastrointestinale (appendice o colon). Il tumore ovarico mucinoso borderline rappresenta la forma intermedia di progressione tra la controparte benigna (cistoadenoma mucinoso)eil carcinoma mucinoso invasivo. Mutazioni di KRAS sono state riscontrate in più del 60% dei casi, ma sono state associate anche alle forme benigneeal carcinoma invasivo. I tumori ovarici mucinosi borderline possono raggiungere dimensioni anche doppie rispetto ai sierosi borderline e macroscopicamente sono masse cistiche multiloculari o uniloculari. Al momento della diagnosi approssimativamente l’82% dei tumori ovarici mucinosi borderline è confinato all’ovaio con una sopravvivenza a 5 anni del 99100%[16,12]. Altri tumori ovarici borderline Rappresentano il 3-4% di tutti i tumori ovarici borderline e comprendono: il tumore endometrioide, il tumore a cellule chiareeil tumore a cellule transizionali o tumore di Brenner. L’età media di insorgenza è di 45-65 anni. I tumori ovarici endometrioidi borderline istologicamente sono simili ai tumori endometrioidi del corpo dell’utero e si associano a focolai endometriosici, sono caratterizzati da mutazioni coinvolgenti i geni della beta-catenina (50%), PTEN (20%)einstabilità dei microsatelliti (40-50%). I tumori ovarici endometrioidi borderline possono associarsi, in una bassa percentuale di casi, a progressione verso carcinoma invasivo di basso grado. I tumori borderline a cellule chiare sono neoplasie con basso potenziale di malignità caratterizzate dalla presenza di cellule chiare in uno stroma fibroso denso, in assenza di invasione stromale. I tumori di Brenner borderline sono tumori ovarici a cellule transizionali con atipieealterazioni epiteliali per i quali i meccanismi molecolari e genetici di progressione non sono ancora stati descritti. SINTOMATOLOGIA E QUADRO CLINICO Il carcinoma ovarico è il secondo tumore ginecologico per frequenza, dopo quello del corpo dell’utero, ma è sicuramente il più letale. L’elevata letalità è correlabile con l’alta percentuale di pazienti che si presentano con malattia in fase avanzata alla diagnosi. La tardività della diagnosi si può ascrivere alla mancanza di sintomi specificieall’assenza di uno screening valido ed efficace. I sintomi più comuni riportati nelle donne con carcinoma epiteliale dell’ovaio sono aspecifici e possono essere rappresentati da: dispepsia, gonfiore, sazietà precoce, sintomi urinari come urgenza e/o frequenza della minzione, affaticamento, dolori alla colonna vertebrale, costipazioneeirregolarità mestruali (tabella 3)[2]. Tabella 3. Quadro clinico Sintomatologia gastrointestinale: dispepsia, gonfiore, sazietà precoce, costipazione Sintomatologia urinaria: urgenza minzionale, pollachiuria Sintomatologia ossea e muscolare: affaticamento e rachialgia Sintomatologia ginecologica: irregolarità mestruali 358 I TUMORI DELL’OVAIO DIAGNOSI ESAME FISICO La diagnosi di carcinoma ovarico risulta difficile a causa della sintomatologia aspecifica. Molto frequentemente le pazienti arrivano dal medico ginecologo per riscontro occasionale di una massa annessiale. In questo caso, è necessario considerare la diagnosi differenziale fra tutte le cause di massa annessiale (tabella 4). Tutte le donne con sintomi aspecifici addominali o pelvici che non rispondono a terapia medica hanno l’indicazione per effettuare una visita ginecologica. L’esame include anche la valutazione dei parametri vitali e dello stato generale della paziente. Inoltre, si esegue la palpazione delle stazioni inguinali, ascellari e sopraclavicolari alla ricerca di linfoadenopatie. L’esame obiettivo dell’addome è necessario per escludere la presenza di masse addominali, ascite ed epatosplenomegalia. Mediante la visita ginecologica, si valutano le dimensioni, la consistenza, la posizione e mobilità dell’utero e degli annessi. L’esame retto-vaginale può rivelare la presenza di nodularità a carico dei legamenti utero-sacrali. Il sospetto di carcinoma ovarico può sorgere anche dall’anamnesi personale e ginecologica che va a ricercare i possibili fattori di rischio o la familiarità positiva. Gli esami ematochimici e la diagnostica strumentale seguono poi l’esame pelvico. Tabella 4. Cause di massa annessiale GINECOLOGICHE Ovariche benigne Cisti del corpo luteo, cisti follicolari, luteoma della gravidanza, teratoma maturo, torsione ovarica, ovaio policistico cisti teco-luteinica Ovariche maligne Tumori borderline, carcinoma epiteliale, tumori a cell. germinali, sarcoma ovarico, tumori dello stroma e dei cordoni sessuali NON GINECOLOGICHE Benigne Ascesso appendicolare, appendicite, sanguinamentoeascesso diverticolare, rene pelvico, cisti peritoneali diverticolo ureterale Maligne Carcinomi gastrointestinali, Metastasi del carcinoma mammario Sarcomi retroperitoneali Non ovariche benigne Gravidanza ectopica, endometrioma, idrosalpinge, leiomioma, ascesso tubo-ovarico Non ovariche maligne Carcinoma endometriale, carcinoma tubarico Infatti, in base all’età e ai fattori di rischio della paziente, è utile discriminare, se possibile, le masse annessiali che non necessitano della chirurgia, da quelle che richiedono l’intervento del chirurgo ginecologo, o addirittura, se c’è il sospetto di malignità, da quelle che vanno riferite al ginecologo oncologo[18,19]. La diagnosi si avvale delle procedure sotto elencate. ESAMI EMATOBIOCHIMICI Gli esami ematochimici che risultano utili sono: l’emocromoeil dosaggio dei markers tumorali. L’emocromo con attenta valutazione dei linfociti e della componente neutrofila può orientare verso uno stato infettivo, come la PID (pelvic inflammatory disease), o se normale, escluderlo; o ancora guidare verso uno stillicidio ematico cronico e, quindi, verso neoplasie del colon-retto che possono rientrare in diagnosi differenziale. Un marker tumorale, da valutare nella diagnosi di carcinoma ovarico epiteliale, è il CA 125, un antigene descritto per la prima volta da Bast et al. come una glicoproteina ad alto peso molecolare riconosciuta da anticorpi murini. Il CA 125 è elevato nel 90% delle pazienti con carcinoma ovarico epiteliale in fase avanzata (prevalentemente nel tipo istologico sieroso), ma solo nel 50% dei pazienti con stadio I di malattia[20]. Numerosi stati fisiologici e patologici possono condizionare i livelli di CA 125 (Tabella 5). Infatti, questa glicoproteina non è specifica per carcinoma ovarico ed è 359 I TUMORI DELL’OVAIO largamente distribuita nei tessuti adulti. Viene ritrovata in tutte le strutture che derivano dall’epitelio celomatico (endocervice, endometrio e tube di Falloppio) o dal mesotelio (pleura pericardio e peritoneo). E’ espressa nel tessuto ovarico normale e nei tessuti epiteliali di colon, pancreas, polmone, rene, prostata, mammella e stomaco. Queste motivazioni rendono ragione della bassa sensibilità e specificità del CA 125 che rispettivamente è del 61-91% e 71-93% con un valore predittivo positivo del 35-91%[21,22]. The American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda che la paziente sia riferita ad un ginecologo oncologo per valori di CA 125 che siano maggiori a 200 UI/ml in pre-menopausa e 35 UI/ml in post-menopausa[23]. I cut-off si basano sulla distribuzione dei valori di CA 125 nella popolazione sana, in pre-menopausa, nella quale, nel 99% dei casi, sono stati riscontrati valori inferiori a 35 UI/ml. I valori sono anche influenzati dalle razze, dal ciclo mestruale, dalla gravidanza e soprattutto dall’età; da qui la necessità di creare due cut-off di riferimento per le due principali fasce di età nella donna, in maniera da ridurre i falsi positivi. Tabella 5. Condizioni associate con elevati livelli di CA 125 Altri markers Per la diagnosi di esclusione di carcinoma ovarico epiteliale si possono anche dosare BetaHCG, alfa-fetoproteina, e CA-19.9. La beta HCG in una donna in età fertile con massa annessiale sospetta ci permette di escludere una gravidanza extrauterina e contemporaneamente, a tutte le età, insieme all’alfa-fetoproteina in particolare, si associa a tumori ovarici a cellule germinali. Il marker Ca19-9 sembra correlare, in misura maggiore, con patologie neoplastiche a carico dell’intestino[24]. Nuove frontiere Negli ultimi anni nel tentativo di incrementare la specificità del dosaggio di CA 125 nel carcinoma ovarico epiteliale sono stati condotti numerosissimi studi. Il marker più promettente è risultato essere l’HE4 (Human epididymis 4) con una sensibilità del 73%. Sembra che un dosaggio combinato di CA 125eHE4 possa portare ad un aumento significativo della sensibilità mantenendo elevata la specificità[25]. I risultati sono ancora contraddittori e necessitano di ulteriori studi e trials di approfondimento poiché la combinazione entri a far parte della pratica clinica. Non carcinomatose Endometriosi Mammella ECOGRAFIA PID Pancreas Epatiti Colon Gravidanza Polmone Peritonite Endometrio L’ecografia transvaginale è utilizzata come approccio iniziale nella valutazione della massa annessiale[26]. Lo scopo è quello di identificare le modificazioni precoci dell’architettura e della morfologia ovarica che si accompagnano alla carcinogenesi. L’ecografia valuta: le dimensioni, le caratteristiche della massa (cistica, solida o mista), la complessità (setti interni, escrescenze o papille) e la presenza o assenza di fluido addominale o pelvico. Le caratteristiche che si associano a malignità sono di solito contorni della massa meno regolari con componente solida o al massimo mista, con setti spessi all’interno o papille aggettanti e la presenza di fluido nel Douglas o addirittura in cavità addominale. Un ostacolo alla diagnosi ecografica sono i tumori ovarici borderline per cui, come facilmente intuibile, anche le Chirurgia addominale recente Fibromatosi Mestruazioni Carcinomi 360 I TUMORI DELL’OVAIO caratteristiche ecografiche possono essere intermedie e quindi creare un sospetto che spesso necessita di laparoscopia/laparotomia di conferma. La combinazione dell’ecografia con lo studio doppler dei flussi può incrementare la sensibilità e specificità dell’esame[27]. I carcinomi ovarici mostrano frequentemente un aumento del flusso a carico della massa annessiale, del numero dei vasi e della loro tortuosità; si apprezza, quindi, un sensibile decremento dell’indice di resistenza (RI). Segni ecografici suggestivi per la natura maligna della massa annessiale e valori di CA 125 superiori al cut-off sono un’indicazione ad una approccio chirurgico con il ginecologo oncologo. TAC (TOMOGRAFIA COMPUTERIZZATA) ASSIALE La TAC è la tecnica d’elezione nella valutazione preoperatoria del carcinoma ovarico epiteliale per definire i confini della malattia e predire così la radicalità o meno dell’intervento chirurgico (citoriduzione ottimale). Qualora la TAC evidenziasse un coinvolgimento del diaframma, delle anse intestinali, del mesentere, dello stomaco o della milza diventerebbe incerta la radicalità di un intervento chirurgico. Importante compito svolto dalla TAC è anche la valutazione di eventuali linfoadenopatie[29]. PET (TOMOGRAFIA AD EMISSIONE DI POSITRONI) RMN (RISONANZA NUCLEARE) MAGNETICA La RMN rientra fra le indagini di secondo livello utilizzate quando si ha una massa annessiale di significato incerto ma con forte sospetto di malignità. Dimostra una sensibilità e specificità rispettivamente del 100% e 94% quando impiegata per valutare masse fortemente sospette all’ecografia nella diagnosi natura maligna. La RMN viene impiegata anche per la diagnosi definitiva di molte comuni patologie annessiali benigne, soprattutto per lesioni cistiche extraovariche, visualizzate come massa complex all’ecografia, con mancata visualizzazione dell’ovaio omolaterale per i limiti degli ultrasuoni stessi. I criteri primari per caratterizzare un tumore ovarico con risonanza magnetica sono: ampia componente solida, spessore della parete maggiore di 3 mm, spessore dei setti maggiore di 3 mm e la presenza di nodularità o necrosi. Un criterio ancillare è il coinvolgimento di organi pelvici vicini (peritoneo, mesentere, omento, ascite, adenopatie). Quando questi criteri vengono utilizzati, la sensibilità e specificità nella diagnosi di tumore ovarico epiteliale è rispettivamente del 92% e 92-100%[28]. Difficoltà maggiori, anche per la RMN, nei tumori borderline. Tale metodica mostra una sensibilità del 5258%euna specificità del 75% non è, quindi, raccomandata per la diagnosi di carcinoma ovarico epiteliale. Numerosi falsi negativi sono stati descritti in caso di tumori borderline o carcinomi epiteliali di basso grado e falsi positivi in caso di idrosalpinge ed endometriosi. I falsi positivi si hanno soprattutto in premenopausa quando l’aumentata attività metabolica ovarica costituisce l’elemento confondente. La PET non viene quindi utilizzata nel percorso diagnostico del carcinoma epiteliale, ma il suo utilizzo, insieme alla TAC, risulta invece appropriato nelle ricorrenze o nella valutazione della risposta alla terapia[30,31]. LAPAROSCOPIA La laparoscopia permette la visualizzazione diretta della massa annessiale e nei casi di forte sospetto, che non riesce ad essere sciolto dalle indagini precedenti, può risultare un utile approccio diagnostico[32]. Da considerare, in ogni caso, che si tratta di un intervento chirurgico e può essere gravato, quindi, da numerosi effetti collaterali. Il vantaggio è che permette l’asportazione della massa e la biopsia di tutte le lesioni sospette visibili con la possibilità di ottenere una diagnosi istologica e quindi di certezza. Permette inoltre la visualizzazione dell’ovaio controlaterale degli 361 I TUMORI DELL’OVAIO organi vicini e del peritoneo. Lo svantaggio è che, in caso di natura maligna, all’esame istologico estemporaneo, nella quasi totalità dei casi, vi è la necessita di una conversione dell’intervento in laparotomia. MANAGEMENT ANNESSIALI DELLE il 48% dei pazienti con carcinoma ovarico hanno più di 65 annieil 7% più di 80 anni. Numerosi fattori possono potenzialmente limitare gli approcci chirurgici radicali in queste donne ( decadimento funzionale e cognitivo, supporto sociale esiguo, comorbidità). MASSE Le difficoltà nella diagnosi del carcinoma ovarico epiteliale dipendono in parte dalla difficoltosa diagnosi differenziale con le masse annessiali dovute ad altre patologie[33]. Il ginecologo oncologo deve conoscere molto bene la patologia ovarica benigna e malignaeanche extraovarica per districarsi nel difficile iter diagnostico (figura 1). La chirurgia è solitamente il trattamento di elezione per le donne con sospetto carcinoma ovarico. Un’accurata stadiazione chirurgicaeuna citoriduzione più completa ed efficace possibile, seguita da chemioterapia basata su platino, attualmente, rappresentano il gold standard per il trattamento del carcinoma ovarico epiteliale. TRATTAMENTO CHIRURGICO Lo scopo della chirurgia è di stabilire una diagnosi di certezza, definire l’estensione della malattia e rimuovere più massa tumorale possibile (citoriduzione). Per citoriduzione primaria si intende l’asportazione chirurgica iniziale del tumore e delle sue metastasi prima dell’approccio chemioterapico. La citoriduzione di intervallo sta invece ad indicare la chirurgia in pazienti già sottoposti a chemioterapia neoadiuvante. Tale approccio si riserva, in realtà, a pazienti in cui, o per l’estensione della malattia, o per le condizioni cliniche della donna, la chirurgia, come primo approccio terapeutico, non rappresenta la procedura migliore. Infine per citoriduzione secondaria si intende il management chirurgico di pazienti con recidiva. La chirurgia deve tenere in considerazione un elevato numero di variabili, oltre le caratteristiche cliniche (dimensioni ed estensione)eistologiche della massa, anche lo stato nutrizionale, le eventuali patologie concomitanti, l’età ed eventuali ostruzioni intestinali della paziente. Approssimativamente Citoriduzione primaria e staging La citoriduzione primaria riveste un ruolo fondamentale in quanto permette di ottenere una diagnosi istologica definitiva e consente di effettuare una stadiazione accurata, fondamentale per il management chirurgico, sia nella stessa sede operatoria che nel postoperatorio[34,35]. La procedura di stadiazione comprende la valutazione e la palpazione di tutte le superfici peritoneali e degli organi intraddominali, incluso il diaframma, quali il fegato, la milza, il piccolo e grosso intestino, il mesentere e l’appendice. Anche il retroperitoneo viene valutato per eventuali adenopatie. In assenza di malattia extra-ovarica visibile macroscopicamente, si procede con l’asportazione della tumefazione annessiale sospetta tutta intera, senza rottura della capsula (evitando lo spilling intraoperatorio). Qualora l’esame istologico estemporaneo confermasse la malignità della neoplasia si esegue la stadiazione chirurgica intensiva (tabella 6) che include: isterectomia extrafasciale con annessiectomia controlaterale alla tumefazione, washing peritoneale, appendicectomia, omentectomia infracolica, linfoadenectomia pelvica e paraortica, biopsie multiple random a livello delle docce paracoliche, del peritoneo prevescicale, dello scavo del Douglas e della superficie diaframmatica destra. Qualora la neoplasia ovarica abbia invaso altri organi pelvici e/o addominali si procede alla citoriduzione primaria che consiste nella procedura chirurgica precedentemente descritta accanto rimozione di tutte le ripetizioni della malattia, sia in sede pelvica che addominale, cercando di ottenere un residuo di tumore molto piccolo (< 1 cm, definito ottimale) o assente [36,37]. 362 I TUMORI DELL’OVAIO Pz con massa annessiale Pz in pre-menopausa Pz in post-menopausa Eco-TV Eco- TV e CA 125 Assenza di caratteri maligni Eco-tv di controllo a 2-3 mesi Presenza caratteri maligni: grosse dimensioni, papille aggettanti, necrosi, bordi irregolari, componente solida Eco positiva/CA 125 >35 UI/ml Eco negativa CA 125>35UI/m Eco positiva CA 125 < 35 UI/ml Color-Doppler RMN/TAC preoperatorie Aumento flusso e decremento RI Persistenza massa Esclusione: PID, endometriosi, epatite, K mammella, pancreas endometrio… colon Esclusione altre cause di massa annessiale (RMN, TAC) Dosaggio CA 125 < 35 UI/m Nuova eco e CA 125 entro 3 mesi >35 UI/m Nuovo dosaggio CA 125 Massa annessiale da causa non riconducibile Counseling con la pz: Ricerca ereditarietà e/o familiarità Se > 35 UI/ml Laparotomia/laparoscopia TERAPIA Figura 1. Flow-chart 363 I TUMORI DELL’OVAIO Tabella 6. Malattia macroscopicamente confinata all’ovaio: stadiazione chirurgica intensiva Isterectomia extrafasciale con annessiectomia controlaterale Washing peritoneale Appendicectomia Omentectomia infracolica Linfadenectomia pelvica-paraortica Biopsie multiple random In questi stadi più avanzati, per una chirurgia ottimale, possono essere necessarie alcune procedure come la splenectomia, lo stripping diaframmatico, la resezione epatica parziale o la resezione intestinale. Il termine citoriduzione ottimale è recentemente divenuto argomento di dibattito. L’assenza di malattia residua al termine della chirurgia ha dimostrato aumentare la sopravvivenza globale e quella libera da malattia, ma mancano dati certi e studi randomizzati prospettici che definiscano le dimensioni di malattia residua con miglior “outcome” clinico. Quindi, sebbene il GOG (Gynecologic Oncology Group) definisca citoriduzione ottimale una malattia residua < di 1 cm, dati recenti suggeriscono che la sopravvivenza libera da malattia aumenta quando la citoriduzione è massimale (cioè senza residuo di malattia), considerando, comunque, che questa potrebbe associarsi ad alta morbilità per le tecniche chirurgiche aggressive spesso utilizzate. Tuttavia deve essere ribadito che numerosi studi hanno dimostrato che il volume di malattia residua, dopo chirurgia citoriduttiva, si correla inversamente con la sopravvivenza[3842] . Una citoriduzione primaria ottimale è anche in grado di ottimizzare l’efficacia della chemioterapia adiuvante. I farmaci chemioterapici sortiscono il loro massimo effetto in tumori di piccole dimensioni ben perfusi e con una buona attività mitotica. Masse tumorali di grosse dimensioni si associano spesso con una perfusione scarsa, pertanto si può verificare un danno cellulare sub-letale con la persistenza di cloni cellulari resistenti. In pazienti ancora desiderosi di prole, appartenenti allo stadio I A (grading 1 o 2) o con tumori borderline, è possibile effettuare una chirurgia di tipo conservativo con una salpingo-ovariectomia unilaterale con ispezione dell’annesso controlaterale. Importante è però conoscere e informare la paziente sul rischio di recidiva che nel caso di donna con neoplasia borderline è all’incirca del 10-15%. Citoriduzione subottimale (Residuo tumore > 1cm) Numerosi fattori possono contribuire ad un debulking subottimale come l’interessamento addominale esteso, la malattia retroperitoneale, il coinvolgimento di grosse porzioni di intestino e/o di mesentere o della vena porta. Alcuni criteri preoperatori vengono impiegati come fattori predittivi per una chirurgia non ottimale: stadio IV di malattia, ascite massiva, malattia omentale con interessamento della milza, linfoadenopatia soprarenale e metastasi polmonari. La tomografia computerizzata e la laparoscopia possono essere utilizzate come strumento di valutazione di malattia non resecabile. Citoriduzione di intervallo In realtà, il termine citoriduzione di intervallo comprende due situazioni differenti: chirurgia secondaria dopo una citoriduzione non ottimale e chirurgia primaria di debulking dopo chemioterapia neoadiuvante. Clinicamente la chirurgia di intervallo si utilizza frequentemente in quei pazienti che, per le motivazioni espresse sopra, hanno un’elevata probabilità di non resecabilità ottimale che quindi traggono giovamento da cicli di chemioterapia citoriduttiva prima dell’intervento, o ancora in quelle donne in cui la citoriduzione primaria non è stata effettuata nel modo migliore possibile. Dato l’esiguo numero di studi randomizzati controllati sull’utilizzo di chemioterapia neoadiuvante e sui possibili vantaggi, la citoriduzione primaria ottimale rimane comunque l’approccio consigliato per il management dei carcinomi ovarici avanzati[43-46]. 364 I TUMORI DELL’OVAIO “Second-look surgery” La “Second-look surgery” è una procedura chirurgica per determinare lo stato di malattia in pazienti senza segni clinici di malattia dopo aver effettuato citoriduzione primaria e chemioterapia adiuvante. La procedura comprende l’esame scrupoloso della cavità peritoneale e dello spazio retroperitoneale. Data la scarsa affidabilità dei livelli di Ca125 e degli studi radiografici nel determinare la completa risposta alla chemioterapia nelle donne con carcinoma ovarico epiteliale, questa procedura è stata inizialmente usata per stabilire gli endpoints del trattamento medico chemioterapico. Malattia residua è stata trovata in più del 50% delle donne con carcinoma ovarico avanzato che erano andate incontro ad un’apparente remissione clinica di malattia dopo i cicli di chemioterapia. La presenza di malattia alla “second-look surgery” si associa ad una cattiva prognosi ma il suo impiego non si associa chiaramente ad un aumento della sopravvivenza per cui è una procedura non raccomandata il cui impiego rimane limitato ai protocolli sperimentali. Citoriduzione secondaria Nonostante l’approccio terapeutico aggressivo con chirurgia citoriduttiva primaria e chemioterapia adiuvante, la maggior parte delle donne con carcinoma ovarico avanzato sviluppa una recidiva di malattia. Il management standard di queste pazienti e soprattutto il ruolo della chirurgia sono tuttora poco definiti. Numerosi studi hanno dimostrato un incremento della sopravvivenza dopo completa escissione della recidiva di malattia con chirurgia secondaria. La citoriduzione secondaria andrebbe presa in considerazione nelle pazienti con intervello libero da malattia maggiore di 12-18 mesi, che hanno completato il ciclo di chemioterapia adiuvante, con recidiva localizzata e potenzialmente resecabile in modo radicaleeovviamente in buone condizioni di salute da sopportare un nuovo intervento chirurgico. Come per il debulking primario una citoriduzione ottimale, con malattia residua inferiore ad 1 cm, ha un importante significato prognostico anche dopo citoriduzione secondaria. Pazienti con citoriduzione secondaria ottimale hanno una sopravvivenza significativamente più lunga di quella delle pazienti con chirurgia secondaria subottimale (> ad 1 cm). Chirurgia palliativa Lo scopo della chirurgia palliativa nelle pazienti con carcinoma ovarico è quello di un miglioramento significativo della qualità di vita. Le indicazioni più comuni a questo tipo di chirurgia sono rappresentate dalle ostruzioni intestinali. Il management delle ostruzioni intestinali è estremamente variabile sia perché spesso complica una recidiva di malattia in fase avanzata e chemio-resistente, sia perché è un intervento chirurgico gravato da un elevato rischio di morbilità e mortalità associato alla procedura. Le cause delle ostruzioni intestinali sono spesso multifattoriali e comprendono: ostruzione meccanica, infiltrazione mesenteriale, carcinomatosi diffusa e adesioni. Le procedure palliative, a loro volta, comprendono resezioni intestinali semplici o multiple, colostomie e bypass intestinali. Le controversie sull’argomento sono ancora aperte e questo dimostra maggiormente l’importanza di un’attenta valutazione di un’equipe medica specializzata con un chirurgo ginecologo oncologo e un atteggiamento individualizzato in base alla situazione. Chirurgia laparoscopica Il ruolo della laparoscopia nel carcinoma ovarico si è evoluto negli ultimi anni, ma non è un utilizzo routinario e dovrebbe essere impiegato in maniera cosciente e scrupolosa. L’approccio chirurgico mini-invasivo può essere utilizzato nella valutazione iniziale della massa annessiale, nel management di un carcinoma ovarico apparentemente in stadi iniziali, per determinare l’operabilità dei carcinomi in fase avanzata, prima della laparotomia, e infine nelle procedure di “second-look”. Meno del 5% delle masse annessiali valutate laparoscopicamente saranno poi di natura maligna, ma la possibilità del carcinoma e le possibili implicazioni chirurgiche vanno considerate e spiegate ampiamente alla paziente come la necessità di una conversione 365 I TUMORI DELL’OVAIO in laparotomia in caso di esame istologico estemporaneo positivo. La laparoscopia diagnostica trova largo impiego nella valutazione in donne giovani con sospetta massa annessiale benigna con il vantaggio di un’ospedalizzazione molto breveeun rapido recupero funzionale per la paziente. Le complicazioni della chirurgia mini-invasiva comprendono, insulti vascolari, gastrointestinali e la rottura della massa annessiale (nel 12-25% dei casi), durante il tentativo di rimozione, che comporta, in caso di malignità, disseminazione intra-addominale di malattia con peggioramento della prognosi. TERAPIA MEDICA Nel 75% dei casi i carcinomi ovarici epiteliali alla diagnosi si presentano in fase avanzata e quindi necessitano di un trattamento integrato con chirurgia e chemioterapia. La chemioterapia gioca un ruolo chiave sia come terapia adiuvante, quindi dopo la chirurgia, che nel trattamento delle pazienti non operate. Molti fattori clinici e prognostici vanno considerati prima di intraprendere una chemioterapia: il tipo istologico del tumore, il grado di differenziazione, l’età della paziente, il tipo di chirurgia effettuata, e la malattia residua all’intervento. Agli inizi degli anni ’80 è stato introdotto il cisplatino come nuovo potente farmaco nel trattamento del carcinoma ovarico, che mostrava la peculiarità di interagire con il DNA. Da allora, sono stati eseguiti tutta una serie di trials randomizzati che indicano come il platino, solo o in combinazione con altri agenti, riesca ad incrementare la sopravvivenza, delle pazienti affette da carcinoma ovarico, se paragonato con chemioterapie non basate sul platino[47]. Nei primi anni ’90 viene poi introdotto un altro chemioterapico, il paclitaxel (taxolo), un costituente attivo della corteccia degli alberi delle foreste del Pacifico. Tale farmaco si è dimostrato, in combinazione con il platino, in grado di apportare un significativo incremento della risposta globale ( dal 60% al 73%), della risposta clinica completa (dal 31 al 51%), di intervallo medio di sopravvivenza libero da malattia (da 13 a 18 mesi)einfine di sopravvivenza globale (dai 24 ai 38 mesi). Tuttavia gli studi effettuati hanno anche evidenziato che l’associazione cisplatinopaclitaxel è gravata da tossicità neurologica e renale dovuta prevalentemente al cisplatino. Dal 2000, gli studi clinici hanno utilizzato l’associazione carboplatino/cisplatino al fine di valutarne l’efficacia ma soprattutto per ridurre la tossicità della combinazione cisplatinotaxolo. Date le numerose evidenze a favore del basso profilo di tossicità e di un’accettabile efficacia, la combinazione carboplatinopaclitaxel è considerata la migliore scelta nel management del carcinoma ovarico[48-50]. Negli ultimi 20 anni altri trials sono stati condotti per caratterizzare la somministrazione di farmaci chemioterapici intraperitoneali e confrontarle con quella classica endovenosa. La somministrazione intraperitoneale trova il suo razionale nella biologia stessa del carcinoma ovarico epiteliale che origina dall’epitelio di superficie dell’ovaioeha una diffusione intraaddominale attraverso la cavità peritoneale, essendo l’ovaio un organo intraperitoneale. La via intraperitoneale ha dimostrato vantaggi consistenti sia per il carboplatino che per il cisplatino che per il paclitaxel. Altri studi riportano però, un peggioramento del “performance status” delle pazienti, un aumento del disconfort addominale e della neurotossicitàeun maggior rischio di complicazioni (ostruzioni, infezioni, perforazioni intestinali e fistole). Date le controversie ancora aperte, a tutt’oggi, in molti paesi si preferisce una chemioterapia con somministrazione dei farmaci per via endovenosa[51,52]. Chemioterapia di prima linea A) Stadio I-IIA FIGO: il 20% delle pazienti alla diagnosi si presentano a questo stadio e se trattate solo con chirurgia hanno un rischio di ricorrenza del 25%. L’utilizzo della chemioterapia negli stadi precoci di carcinoma è ancora controverso. Le donne possono essere suddivise in tre categorie, cioè tre classi di rischio: a rischio basso di ricorrenza, che comprende stadi IA e IB con tumore ben differenziato. A rischio medio che comprende stadi IA e IB moderatamente differenziati e a rischio elevato che comprende lo stadio IC con 366 I TUMORI DELL’OVAIO qualsiasi grading o IB e IC moderatamente o scarsamente differenziati. In accordo con i risultati degli studi dell’International Collaborative Ovarian Cancer, la chemioterapia è in grado di ridurre il rischio di ricorrenza nei pazienti ad alto rischio di recidiva, aumentandone la sopravvivenza. Da questi trials appare che solo nei pazienti appartenenti allo stadio IA o IB con carcinomi ben differenziati (G1), con istotipo non a cellule chiare e sottoposti a chirurgia ottimale, non si evidenzia un chiaro beneficio sulla sopravvivenza effettuando la chemioterapia postoperatoria. Questi pazienti possono essere seguiti solo con follow-up clinico e strumentale, in tutti gli altri casi la chemioterapia è indicata sia essa solo con carboplatino o combinata con carboplatino e paclitaxel[53,54]. B) STADIO IIB-IV FIGO: il trattamento standard dei pazienti con carcinoma ovarico avanzato è l’asportazione chirurgica della maggiore quantità di tumore possibile seguita da chemioterapia basata sull’associazione platino-paclitaxel. Tale strategia offre una sopravvivenza a 5 anni di circa il 25-30%. Una delle strategie nel tentativo di incrementare l’efficacia della chemioterapia di prima linea è quella di aggiungere un terzo farmaco all’associazione carboplatino-paclitaxel, già validata[55,56]. Sono state prese in considerazione diverse molecole e nell’ultima decade si è riaperto l’interesse verso una classe ampiamente studiata negli anni ’70, le antracicline. La doxorubicina pegylato liposomale è una nuova formulazione della doxorubicina che paragonata con la forma convenzionale ha grossi vantaggi farmacocinetici come una bassa concentrazione plasmatica, una bassa clearance, un piccolo volume di distribuzioneeuna lunga emivita risultando in una bassa tossicitàeun migliore profilo di efficacia[57]. Verso nuovi agenti nel trattamento di prima linea I maggiori sforzi degli ultimi anni si sono concentrati nel tentativo di scoprire nuovi agenti biologici in grado di migliorare la prognosi del carcinoma ovarico. Le conoscenze più approfondite sulla biologia del carcinoma ovarico hanno condotto all’identificazione di target molecolari come alcuni recettori di fattori di crescita, molecole trasduttrici del segnale, cellule regolatrici il ciclo cellulare e fattori angiogenici. L’utilizzo di queste nuove molecole è ancora poco chiaro e gli studi tutt’ora in corso stanno cercando di dimostrare la loro reale efficacia e le modalità di utilizzo all’interno di una polichemioterapia già consolidata (carboplatino-paclitaxel ) o in ionoterapia. Uno dei farmaci più promettenti sembra essere il bevacizumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il VEGF (vascular endotelial growth factor). La sua efficacia nel trattamento delle recidive sembra essere già stata dimostrata ed è in corso di valutazione il suo ruolo nella chemioterapia di prima linea in aggiunta a carboplatino-paclitaxel. Altre molecole per cui si attendono studi di fase III sono il pazopanib, erlotinib e abagovonab[58,59]. Trattamento delle recidive Nonostante l’ottima risposta (80% circa) alla terapia di prima linea, la maggioranza delle pazienti, con carcinoma ovarico in fase avanzata, muore per una recidiva di malattia. Una larga quota di pazienti sono quindi candidati ad una terapia di seconda linea. In base alla risposta alla terapia con platino possiamo caratterizzare diverse classi di pazienti. Pazienti platino-refrattari ossia quelle donne in cui la ripresa di malattia avviene entro 2-3 mesi dopo l’inizio della terapia. Pazienti platino-resistenti rappresentati dalle donne in cui la ripresa avviene nell’arco di 6 mesi dalla sospensione della terapia. Pazienti platinosensibili o parzialmente platino-sensibili quando la ripresa di malattia è, rispettivamente, dopo 12 mesi o tra i 6 e i 12 mesi dal termine della terapia. Questa suddivisione è importante per la scelta del trattamento delle recidive. Nei pazienti platino-sensibili il secondo ciclo di terapia può essere effettuato con platino o con la combinazione utilizzata nella terapia di prima linea, i pazienti parzialmente platino-sensibili 367 I TUMORI DELL’OVAIO rappresentano una “zona grigia” rispetto all’utilizzo del platino o delle sue associazioni, mentre in tutti gli altri casi l’approccio terapeutico alla recidiva di malattia è completamente diverso[60]. 1. Pazienti platino-sensibili: numerosi studi hanno dimostrato la piena efficacia nel riutilizzo di schemi chemioterapici basati sul platino con un minimo rischio di neurotossicità da accumulo sia per il carboplatino che per il paclitaxel. 2. Pazienti platino-parzialmente sensibili: l’approccio terapeutico migliore a questa classe di pazienti non è definito. Risultati confortanti si stanno ottenendo con l’utilizzo di un nuovo farmaco, la trabectedina, un agente antineoplastico inizialmente isolato da ecteinascidia turbinate con capacità di legame del DNA. 3. Pazienti platino-refrattari e platino-resistenti: La terapia con agenti singoli è considerata l’approccio migliore. Date le scarse risposte rilevate in questi pazienti con l’utilizzo di topotecan, docetaxel, etoposide, doxorubicinapegylatoliposomale, gemcitabina e ifofosfamide è preferibile includerli in Trials clinici per lo studio di nuove molecole. Numerose molecole sono attualmente in studio, tra queste, il pazopanib (un inibitore dell’angiogenesi che agisce su VEGFR), il PDGFR (un fattore di crescita derivato dalle piastrine) e c-kit sembrano i più promettenti. Anche l’associazione tra bevacizumab e ripetizione della chemioterapia di prima linea, nel trattamento delle recidive precoci, è in corso di approfondimento. Conclusioni Il miglior approccio nei pazienti con carcinoma ovarico epiteliale, siano essi in fasi precoci o avanzate, rimane ad oggi la chirurgia con l’intento di essere più radicale possibile seguita poi da cicli di chemioterapia basata su carboplatino da solo o in associazione carboplatino-paclitaxel. Le recidive di malattia sono da valutare caso per caso per un secondo approccio chirurgico che può essere preceduto o seguito da un nuovo ciclo di chemioterapia basato sul platino, per i pazienti platinosensibili, e su altre molecole per i pazienti platino-resistenti. Bibliografia 1. Kurman JR, Shih IeM. The Origin and Pathogenesis of Epithelial Ovarian Cancer: A Proposed Unifying Theory. Am J Surg Pathol 2010;34:433-43. 2. Di Renzo GC. Trattato di GinecologiaeOstetricia. Raspollini Mr, Taddei GL. Anatomia patologica dei tumori dell’apparato genitale. Volume II. Cap. 160; pp 1993-2008. 3. Robbins e Cotran. Le basi patologiche delle malattie 7° edizione. Cap XXII. Crum CP. 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Gestire la complessità per guadagnare in salute Convegno – Perugia 8-9 marzo 2012 • La georeferenziazione nella registrazione dei tumori: approccio metodologico e prospettive di studio. XVI Riunione scientifica annuale AIRTUM. Como 29-31 marzo 2012 Numero 6, supplemento 2 VIDEO. Tavola rotonda: Medicina predittiva e sanità pubblica. 372 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7 ______________ CancerStat Umbria ISSN 2039-814X Anno II, 2011 Numero 1 Mortalità per cause nelle ASL dell’Umbria. 2005-2009. Numero 2 Anni di vita potenziale persi (YPLL) in Umbria. 1995-1999 e 2005-2009. Numero 3-4 Il cancro della prostata. Numero 5 Ciò che bisogna sapere per decidere se sottoporsi allo screening per il cancro della prostata. Partecipazione al IV round dello screening citologico della AUSL 2 dell’Umbria. Numero 6 Il cancro del rene. Numero 7 Fumo o salute. I sessione. Numero 8 I tumori della tiroide. Numero 9 Fumo o salute. II e III sessione. Numero 10 GISCoR. I sessione Numero 11 GISCoR. II sessione Numero 12 Il cancro del pene e del testicolo 373 CANCERSTAT UMBRIA, ANNO III NO. 7 ______________ CancerStat Umbria Anno I, 2010 Numero 0 Le statistiche del cancro e della mortalità in Umbria. Numero1 - Ultime pubblicazioni dei collaboratori del RTUP. - Technology assessment della metodica di prelievo e di preparazione della citologia in fase liquida (LBC – Liquid Based Citology) per l’utilizzo routinario nello screening per la prevenzione del tumore della cervice uterina in tutte le fasce di età e per la ricerca del Papilloma Virus Umano ad alto rischio oncogeno (HPV – DNA HR) come test primario nelle fasce di età da 35 a 64 anni durata prevista: 12 mesi / 8000 donne). Numero 2 L’incidenza del cancro in Umbria, 2006-2008. Numero 3 - Il Registro Rumori Infantili Umbro-Marchigiano. - La ricerca dei tumori professionali nell’ambito del progetto OCCAM. Numero 4 Il quadro epidemiologico per la programmazione della prevenzione oncologica regionale in Umbria. Numero 5 - Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia 28/29 ottobre 2010. Tavola rotonda: Utilità della creazione di registri regionali dei carcinomi della tiroide. o L’esperienza del gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie della tiroide. o Registro Tumori Umbro di Popolazione (RTUP) e carcinoma della tiroide. Numero 6 - Incontro con il Gruppo multidisciplinare regionale per le neoplasie tiroidee in Umbria. Perugia 28/29 ottobre 2010. Tavola rotonda: Utilità della creazione di registri regionali dei carcinomi della tiroide. o Registro Siciliano dei Tumori della tiroide. - Convegno: Nuove acquisizioni nella gestione clinica del carcinoma della tiroide di origine follicolare: cosa dicono le linee guida? Numero 7 - Neoformazioni della cute e del cavo orale. Melanoma. Terni 13.11.2010 o L’epidemiologia dei tumori cutanei in Umbria. o Prevenzione primaria e secondaria dei tumori cutanei. 374