Sviluppo e sottosviluppo

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SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO
La questione nasce ufficialmente all’epoca della conferenza di Bandung (Giava, 1955) che definì
paesi del Terzo Mondo quelli che non appartenevano né all’Occidente industrializzato né al blocco
orientale guidato dall’URSS.
Oggi il termine Terzo Mondo non corrisponde più alle esigenze di comprensione della situazione
mondiale. Le realtà sono sempre più complesse in ogni continente e sub-continente.
Si preferisce così parlare di Paesi avanzati (PA), sottosviluppati o in via di sviluppo (PVS).
L’idea di sviluppo è un’idea piuttosto recente ed è un’idea che è legata allo sviluppo del sistema
capitalistico, cioè al processo di industrializzazione che è venuto maturando in Europa a partire
dalla fine del Settecento. Infatti, fino all’età moderna l’Europa non si definì rispetto al mondo
esterno.
Il momento di svolta è la scoperta dell’America e l’incontro con gli indiani d’America. Una volta
conosciute le nuove popolazioni gli Europei cercano di scoprirne le origini attraverso un metodo
comparistico. Questo metodo fa emergere il concetto di arretratezza: i popoli selvaggi sono rimasti
indietro rispetto agli Europei.
L’idea di progresso entra nella cultura europea nel XVII sec., con le scoperte scientifiche che
rivoluzionano il pensiero degli europei. L’idea moderna di progresso si afferma, invece, quando gli
europei iniziano la loro espansione nel nuovo mondo e cominciano ad intessere una rete di scambi
che darà luogo al mercato mondiale.
In questo periodo nasce il capitalismo europeo.
L’idea di sviluppo è, quindi, intrinseca a quella di evoluzione, cioè alla concezione per cui la
società si evolve attraverso una serie di stadi.
Secondo alcuni studiosi, infatti, tutte le civiltà passano da uno stadio iniziale, quello della caccia
e della pesca, ad uno successivo, quello della pastorizia per poi giungere a quello dell’agricoltura.
Il passaggio da uno stadio all’altro permette una produzione più abbondante e determina l’aumento
della popolazione e la nascita di istituzioni. Il quarto stadio fu definito “società commerciale” e le
sue caratteristiche sono l’ineguaglianza degli uomini, la divisone del lavoro, l’estensione dello
scambio e del commercio, l’accumulazione del capitale. Queste caratteristiche sono proprie
dell’economia moderna che sta sorgendo: l’economia capitalistica.
La definizione di paese sottosviluppato è ovviamente relativa e si riferisce ad una vasta gamma di
caratteristiche economiche, demografiche, sociali e politiche che non possono venire attribuite in
eguale misura a tutti i paesi in oggetto.
Di norma le misure che descrivono il sottosviluppo comprendono da un lato bassi indici di
industrializzazione, di reddito procapite e di speranza di vita, dall’altro alti indici di mortalità
infantile (congiunti a un forte incremento demografico), di dipendenza dalle esportazioni di materie
prime, di debito estero, di analfabetismo, in un quadro di diffusa indigenza e malnutrizione.
Storicizzato, il sottosviluppo è la conseguenza del colonialismo e della colonizzazione e si forma
quindi dopo la seconda guerra mondiale.
Un indicatore dello sviluppo molto usato è il PIL (valore della produzione di un paese) nei settori
agricolo, industriale e dei servizi. Nel 1990 l’ONU ha proposto di sostituire il PIL, o reddito pro
capite, con un nuovo indicatore dello sviluppo, lo Human Development Index ( HDI/ISU), che
tiene conto del potere di acquisto all’interno di ciascun paese, dei tassi di analfabetismo e della
speranza di vita. L’HDI/ISU tende a far risalire nella scala paesi come Cuba, Giamaica, Costa Rica,
e a far scendere i produttori di petrolio del Vicino Oriente.
Nel corso degli anni, ci sono stati diversi modi con i quali si è guardato al sottosviluppo e si è agito
su di esso:
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Anni 50-60 In questo periodo il concetto di sottosviluppo si configura come problema
essenzialmente quantitativo, un problema di mancanza o scarsità di alcuni fattori di
produzione (capitali, tecnologie, organizzazioni) e di basso livello di alcuni indicatori
economici (singole produzioni, reddito pro capite, PNL).
Quale soluzione si afferma che questi fattori e indicatori vanno incrementati e potenziati; ne
conseguirà un processo auto-sostenuto di crescita economica;
Anni 70 Reazione alla visione precedente da parte del mondo socialista e tentativo di avvio
di una crescita economica fondata sulla tecnologia di Stato e la costruzione di grandi opere
per l’elettrificazione (opere di idraulica nelle regioni aride di Pakistan, Egitto, India, Iraq,
Cina). Ne sono seguiti dissesti idrogeologici;
Anni 80 La critica agli interventi tecnologici e l’attenzione all’aspetto ecologico prendono
piede sempre più. Soprattutto a seguito dell’incidente di Chernobyl. Si afferma il concetto
di sviluppo sostenibile, ossia la tendenza a conciliare il miglioramento della qualità della
vita delle popolazioni sottosviluppate con la conservazione delle risorse naturali dalle quali
dipenderanno le generazioni future. Si prende atto, inoltre, della grave crisi finanziaria
(indebitamento dovuto a shock petrolifero del 1973 e del 1979) dei paesi sottosviluppati.
Si propongono, quale soluzione, la riduzione dell’intervento pubblico in economia
(passaggio alla privatizzazione e rimozione dei vincoli posti al mercato) sia all’interno dei
singoli paesi (deregulation) sia in ambito internazionale (flessibilità dei cambi e apertura
delle frontiere) e soprattutto una riduzione delle spese sociali da parte dello Stato;
Anni 2000 I paesi sottosviluppati presentano una situazione fortemente deteriorata e le loro
prospettive sono assolutamente drammatiche: il numero di coloro che vivono in condizione
di povertà è sceso in percentuale dal 52% (1970) al 44% (1985) ma è aumentato in valori
assoluti da 944 a 1.156 milioni. Va inoltre considerata l’enorme crescita demografica, gli
scarsi progressi agricoli, la struttura disuguale del commercio mondiale.
La constatazione del divario esistente tra i diversi paesi del mondo si pone al centro
dell’attenzione degli economisti che formulano teorie sul perché questo è successo e sul come si
può riequilibrare la situazione.
Esistono diverse teorie relative al sottosviluppo che propongono diverse soluzioni:
Teoria della modernizzazione o teoria liberista degli stadi di sviluppo, sorta negli anni 50,
sostiene che le principali cause del mancato sviluppo dei paesi sottosviluppati siano interne ai paesi
stessi e siano rappresentate da inadeguatezze strutturali. In base a questa teoria gli economisti
riassumono lo sviluppo di un paese in 5 stadi progressivi:
1. economia agricola tradizionale: caratterizzata da una bassa produttività, bassi livelli di
risparmio e limitata mobilità sociale;
2. Aumentano risparmio, investimenti e produttività agricola, si afferma un governo
nazionale che promuove i trasporti e la comunicazione;
3. Decollo (take off): aumentano ancora gli investimenti e gli ostacoli vengono rimossi,
nasce l’industria manifatturiera e l’iniziativa individuale;
4. Il progresso tecnologico consente di produrre tutti i beni che l’economia in questione
intende impiegare, consumare o esportare;
5. Produzione e consumo di massa. I settori trainanti sono quelli dei beni durevoli e dei
servizi.
Quindi in base a questa teoria gli strumenti di intervento sono: progettazioni fondate sulla
convinzione della possibilità della crescita di questi paesi secondo le tappe dei paesi
occidentali, con un impegno dei paesi industrializzai per il sostegno e l’ammodernamento delle
economie dei paesi sottosviluppati.
Questa teoria, elaborata dall’economista Rostow, sostiene quindi che i paesi sottosviluppati
siano semplicemente “in ritardo” rispetto agli altri e che esistono delle “tappe” nel cammino dello
sviluppo per cui, nel tempo, anch’essi arriveranno allo stadio del benessere.
È implicito l’assunto che l’esperienza storica dell’Occidente rappresenta un modello che i paesi
sottosviluppati non devono fare altro che seguire per arrivare alla prosperità.
Diverse sono state le critiche mosse a questa teoria sottolineando il fatto che bisogna rinunciare a
guardare al sottosviluppo come uno stadio “naturale” di partenza da cui sono partite tutte le società
del mondo. Il sottosviluppo attuale di alcuni paesi del mondo può essere ricondotto, infatti, secondo
diversi autori, all’ideologia di una missione colonizzatrice dell’uomo bianco che giustificava le
imprese coloniali.
Teoria della dipendenza o delle colpe del colonialismo. Sorge negli anni 50-60. La tesi centrale
della storia della dipendenza è che lo sviluppo e il sottosviluppo sono fenomeni connessi tra loro e
che il rapporto tra la parte sottosviluppata del mondo e quella sviluppata è un rapporto di
dipendenza. Le forme di dipendenza sono mutate nel tempo: prima i paesi sottosviluppati
dipendevano dall’esportazione di prodotti agricoli e minerali verso l’Europa, successivamente lo
sviluppo verificatosi in alcuni paesi è dipeso dagli investimenti e dai prestiti provenienti dai paesi
avanzati; attualmente l’aspetto principale della dipendenza è quello tecnologico, dato che le
politiche volte all’industrializzazione richiedono conoscenze e mezzi della produzione che solo i
paesi industrializzati possono offrire.
Osservando i fatti storici, in una fase in cui la de-colonizzazione è ormai compiuta, si deve riflettere
sul modo in cui è avvenuto questo processo, in molti casi ha influito negativamente sulla situazione
politico-economica di molti Stati. Alcuni Paesi, infatti, sono giunti gradualmente all’indipendenza,
mentre altri si sono trovati improvvisamente liberi, senza una classe amministrativamente preparata.
Si sono avuti conflitti di potere e guerre civili facilmente degenerate in regimi dittatoriali che hanno
monopolizzato le ricchezze interne e hanno stretto legami di dipendenza economica ( anche per la
fornitura di armi) con le grandi potenze.
Teoria sub-centrica. Si caratterizza e si distingue per essere più estremista e populista. I paesi del
Sud del mondo sono assorbiti e distorti da quelli del Nord, i quali sfruttano a loro esclusivo
vantaggio le loro risorse. I paesi ricchi rappresentano la principale causa del sottosviluppo insieme
alla classe dominante dei paesi poveri, in un sistema centro-periferia.
Per uscire dal sottosviluppo occorre rompere con il centro e rifiutare i modelli libero-scambisti
dell’Occidente. La teoria si fonda sulla convinzione dell’inadeguatezza dei programmi basati sulla
tecnologia e sullo sviluppo industriale. È meglio ricorrere a programmi limitati e basati
sull’autogestione e sulle tecniche e organizzazioni locali perché garantiscono uno sviluppo equo e
un maggior rispetto per l’ambiente. L’obbiettivo prioritario dello sviluppo deve essere
l’eliminazione della povertà e il soddisfacimento dei bisogni primari (cibo e riparo, ossia abitazione,
riscaldamento), e in seguito assistenza sanitaria e scuole. Le strategie di sviluppo devono partire dal
basso, cioè devono tener conto delle tradizioni economiche e sociali e delle vere necessità delle
popolazioni dei paesi sottosviluppati. Si tratta di un principio opposto a quello che sta alla base
degli altri due (modernizzazione e dipendenza) che invece partono dall’alto.
Teoria razziale. E’ basata sulla presunta inferiorità delle popolazioni di colore, è servita in passato
a sostenere e giustificare il colonialismo. In realtà sono sorte raffinate civiltà extraeuropee (come
quelle pre-colombiane, cinese e indiane) che hanno raggiunto elevati livelli di progresso e in
anticipo rispetto alla “razza bianca”. Inoltre esistono regioni economicamente depresse abitate da
Europei: si pensi all’Alentejo portoghese o alle Highlands scozzesi.
Teoria demografica. Si basa sul fatto che una forte crescita della popolazione sia la principale
responsabile del sottosviluppo. Osservando i dati, si vede che il forte incremento naturale avviene
dove l’arretratezza economica appare già consolidata; al contrario i Paesi attualmente sviluppati
registrarono un forte incremento naturale proprio al momento del loro “ decollo economico”,
durante la prima rivoluzione industriale quando l’abbondante manodopera favorì lo sfruttamento
delle risorse.
Ciò non vuol dire che il problema demografico non rappresenti oggi un forte freno allo sviluppo.
Teoria di Y. Lacoste
Secondo Y. Lacoste se facciamo risalire il progresso socio economico alla rivoluzione
industriale europea, ci imbattiamo in una classe sociale dinamica e desiderosa di affermare
non solo sul piano economico ma anche politico: la borghesia. Nell’Europa del XVIII secolo,
questo ceto sociale, costituito da mercanti e da artigiani, non faceva ancora parte delle classi
privilegiate, rappresentate da nobili e clero, ed era esclusa dal potere politico. Consapevole della
propria importanza economico- sociale, la borghesia si adoperò allora per distruggere il sistema
feudale, maturato nel Medioevo e per sostituirlo con un nuovo ordine più conforme ai propri
interessi.
In altre regioni della Terra invece (India, Cina Paesi Arabi), il ceto mercantile non aveva alcuno
stimolo a modificare l’assetto sociale, perché da tempo godeva di grandi vantaggi e, di fatto, faceva
parte della minoranza più privilegiata. E’ un fatto innegabile che, al di là delle differenze storiche,
tutte le aree attualmente sottosviluppate sono caratterizzate all’assenza della borghesia.
Quindi si può affermare che le cause interne ed esterne del sottosviluppo si intreccino a vicenda.
In altre parole, il sottosviluppo deriva da una catena di cause: il mercato interno è ristretto alle
minoranze privilegiate, nella generale miseria c’è bisogno di braccia per l’agricoltura
tradizionale, si perpetua l’alta natalità la quale, combinata con la diminuzione della mortalità
provoca un forte incremento demografico, superiore a quello delle risorse e dunque si ha il
ristagno/ regresso economico.
Il sottosviluppo non è altro che un enorme circolo vizioso, in cui la crescita economica è ostacolata
dalle condizioni culturali, sociali, sanitarie e demografiche le quali, a loro volta, non possono
progredire a causa della mancata evoluzione economica.
Nel contempo si è creata una differenzazione strutturale nella vecchia concezione di Terzo Mondo.
Un gruppo di paesi emergenti (tigri asiatiche, banda dei quattro, NIC (Newly Industrialities
Countries): Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Hong Kong), qualche paese dell’America latina, in
particolare Brasile, Venezuela, Ecuador, i paesi dell’OPEC (esportatori di petrolio) ha compiuto una
propria originale rivoluzione industriale fondata sul basso costo della manodopera, o sulla
valorizzazione delle materie prime (OPEC).
Parte dell’Africa sub-sahariana intanto è diventata Quarto Mondo.
Le cifre evidenziano che la popolazione dei paesi sottosviluppati equivale a circa il 75% della
popolazione, realizza 1/5 del reddito mondiale e il 10% delle capacità industriali.
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