Buone notizie per i tirocini: riflessioni sul tirocinio

RECENSIONI
Buone notizie per i tirocini: riflessioni sul
tirocinio per gli allievi delle Scuole di
specializzazione in Psicoterapia.
Massimo Pelli
Sabato 31 dicembre Alberto Zucconi, segretario nazionale del CNSP, ci ha
augurato buon anno regalandoci la bella notizia che, grazie al significativo
contributo svolto dal Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, Dr.
Lauro Mengheri, a difesa e promozione dei diritti degli allievi delle Scuole di
Specializzazione in Psicoterapia, il Direttore Amministrativo della AUSL Toscana
Centro, Dr. Enrico Volpe, ha annunciato che non verranno richiesti contributi
finanziari per la stipula della convenzione tra la sua AUSL e le Scuole di
specializzazione per l’espletamento del tirocinio, che come sappiamo è parte
integrante del corso di specializzazione. E’ un primo passo significativo a fronte di
una tendenza diffusa negli ultimi anni per cui le Scuole si sentivano richiedere, al
momento della stipula della convenzione, un contributo economico per ciascun
allievo per consentirne l’accesso alle strutture in cui effettuare il tirocinio. Con un
duplice effetto paradossale e di disorientamento: da un lato di impedire, se non
dietro il pagamento di un “pedaggio”, l’espletamento del diritto/dovere delle
Scuole e degli allievi, previsto dalla legge di istituzione delle Scuole
(Legge
56/89), di convenzionarsi con le strutture pubbliche o private convenzionate,
attinente
alla
salute
mentale,
per
completare
la
formazione
del
futuro
psicoterapeuta, e dall’altro disconfermando quella che è una realtà consolidata,
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ovunque si guardi, e cioè che senza i tirocinanti le stesse ASL non potrebbero
assolvere al proprio mandato istituzionale di cura perché, a causa del progressivo
depauperamento delle risorse umane, i Servizi per la tutela della salute mentale
adulti e dell’età evolutiva ed altri Servizi non potrebbero più erogare prestazioni
psicoterapeutiche.
Come scrive Alberto Zucconi nella lettera di ringraziamento al Dr.Mengheri,
“ vogliamo sperare che l’ottimo esempio d’intervento che ha visto Lei, Presidente
Mengheri, adoperarsi efficacemente affinché il diritto/dovere dell’espletamento dei
tirocini , possa concretamente realizzarsi in Toscana...venga seguito anche da
tutti gli Ordini Regionali che insieme al CNSP potrebbero estendere a livello
nazionale l’azione di tutela e promozione dei diritti degli specializzandi...”.
Questa è la cronaca , adesso un po’ di storia e di riflessioni a margine della
buona notizia.
Sono ormai diversi anni che al CNSP arrivano le segnalazioni di Scuole di
Specializzazione alle quali viene richiesto un “contributo economico” per la stipula
delle convenzioni e va dato merito al CNSP di avere sempre raccolto queste
informazioni e promosso strategie di confronto con le istituzioni coinvolte e/o da
coinvolgere (vedi Regioni, Ordini Regionali degli Psicologi, ecc.) per superare
questa prassi che solo a partire da un certo momento storico ( e cioè quello dei
tagli alla spesa sanitaria) ha cominciato a diffondersi mettendo le Scuole di fronte
alla conditio sine qua non di dover pagare per poter accedere a un diritto/dovere.
Infatti la legge 56/89 che sancisce l’iter del riconoscimento delle Scuole di
Specializzazione in Psicoterapia le vincola all’obbligo di attivare i tirocini degli
allievi nelle strutture pubbliche e private convenzionate inerenti alla salute
mentale. La legge 509/98 ha poi regolamentato l’espletamento dei tirocini .
Va inoltre ricordato che esiste un mandato istituzionale delle ASL che
prevede tra gli obblighi istituzionali il dovere alla formazione e all’aggiornamento
sia interno che esterno.
In Italia la riforma psichiatrica del 1978, oltre a sancire la chiusura del
manicomi spostando l’asse del trattamento sul territorio, inteso come contesto di
vita e quindi di storia e di relazioni significative in cui rintracciare sia le possibili
origini del disturbo, ma anche le risorse per affrontarlo, ha permesso di assumere
personale per i nuovi Servizi e quindi ha consentito a tutta una nuova
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generazione di operatori di sperimentare sul campo nuove prospettive teoriche e
cliniche, oltre a quelle biologiche,
che sempre più indicavano la necessità di
integrare l’approccio biologico con una lettura e un intervento psicoterapeutico
rendendo disponibile per la prima volta a una grande popolazione di utenti e di
familiari un intervento (quello psicoterapeutico) fino ad allora riservato alle fasce
sociali che se lo potevano permettere.
Veniva così confermata l’evidenza basata sull’esperienza e sugli studi
promossi dal welfare di diverse nazioni (in primis l’Inghilterra) sull’efficacia e
l’efficienza del trattamento psicoterapeutico inserendo la psicoterapia nelle buone
pratiche relative alla cura dei disturbi psichici degli adulti e dell’età evolutiva e in
altri settori limitrofi (area delle
dipendenze, consultori, disabilità ecc.). Più di
trent’anni di esperienza di lavoro nei Servizi Pubblici che si occupano del disagio
nelle sue differenti forme ci hanno dimostrato l’utilità di questa integrazione da
diverse angolature e prospettive :
1) Un contenimento nell’uso dei farmaci con relativo risparmio sulla spesa
sanitaria.
2) Una riduzione del ricorso al ricovero e soprattutto una riduzione dei
cosiddetti
pazienti
revolving
door
(l’utilizzo
di
un
atteggiamento
psicoterapico con il paziente e i familiari e la condivisione del significato
della crisi permette una alleanza terapeutica che contiene il rischio di drop
out e che permette di affrontare le crisi del sistema terapeutico senza
arrivare alle situazioni di escalation minacciose che spesso determinano la
richiesta di ricovero).
3) Ancora un atteggiamento di cooperazione e di alleanza che nasce dalla
condivisione di una lettura “esplicativa” del disturbo che non sia solo una
ricezione passiva di un sapere medico a cui paziente e famiglia devono
aderire ma venga costruita insieme sulla base di una ricostruzione di storia
e di significati in modo da rendere meno probabile l’espulsione familiare del
paziente e quindi il bisogno di istituzionalizzazione e di assistenzialismo, e
quindi ancora un risparmio sulla spesa assistenziale.
4) Una migliore e più duratura riacquisizione di competenze personali e
relazionali che porta ad un miglioramento dell’inclusione sociale.
5) Un miglioramento della qualità della vita.
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Un’intera generazione di operatori che ha lavorato nei Servizi ha potuto
verificare nel tempo, soprattutto per i casi gravi, l’efficacia clinica e l’efficienza
costi/benefici
dell’integrazione
tra
lettura
medica
e
quindi
trattamento
farmacologico, e un intervento psicoterapeutico che restituisca al paziente , e alla
sua famiglia, il senso di una storia che non può essere soltanto storia di una
malattia, ma storia di una persona e delle vicissitudini delle sue relazioni e di
come queste relazioni cambiano nel tempo.
D’altra parte ci siamo resi conto molto presto che la possibilità di accogliere
nei Servizi di salute mentale anche una domanda di aiuto relativa a situazioni
meno compromesse dal punto di vista psicopatologico, e quindi non gravi dal
punto di vista psichiatrico
(e che si possono declinare nei vari aspetti che
assumono i disturbi di ansia, la vasta area di sofferenza legata al lutto,
all’abbandono, alle separazioni e più recentemente le situazioni di maltrattamento
e di abuso) permetteva di accogliere un’utenza diversa che non era più soltanto lo
“zoccolo duro” dei residui manicomiali (come infelicemente si diceva allora…):
un’utenza che altrimenti non si sarebbe mai rivolta al Servizio Pubblico che
rischiava (e rischia) di diventare il luogo “dove vanno i matti”. Il lavoro sullo
stigma sociale che da sempre accompagna la malattia mentale e con cui gli
operatori hanno dovuto confrontarsi per tanti anni (e che non è certamente
concluso) ha potuto evolvere anche grazie a questa “visione d’insieme” che
accoglieva nello stesso servizio aspetti diversi del dolore e della sofferenza anche
se non necessariamente medicalizzati e di pertinenza strettamente psichiatrica.
Come abbiamo già detto questa “rivoluzione copernicana” che ha permesso
di abbattere le barriere che separavano i “poveri matti” (gli alienati si diceva un
tempo , i diversi da noi) da altri disturbi e problemi che possono comunque
invalidare il funzionamento della persona in certe fasi del proprio ciclo vitale, è
stata possibile grazie alla presenza nelle strutture sanitarie di figure professionali
portatrici di competenze non mediche e mi riferisco alle risorse portate dagli
psicologi e dagli assistenti sociali che hanno offerto un contributo importante
affinché i Centri di Igiene Mentale si trasformassero in Centri di Salute Mentale.
Era allora possibile (negli anni ’80 e ’90) immaginare di lavorare nella struttura
pubblica sia con il paziente che con la famiglia e/o la coppia; i Servizi anche se
potevano sembrare una specie di fortino nel “deserto dei Tartari”, avevano
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personale adeguato per numero e competenze. Poi l’apertura delle strutture
intermedie (necessaria e agognata), resa possibile dalla espoliazione delle
precedenti, e infine il blocco delle assunzioni e i tagli economici hanno via via reso
sempre
più
difficile
l’equazione
costi/benefici
a
scapito
delle
risorse
psicoterapeutiche .
Da questo punto di vista i tirocinanti delle Scuole di Specializzazione in
psicoterapia che sono arrivati nei Servizi hanno rappresentato e rappresentano
una grande risorsa umana svolgendo un lavoro quotidiano di supporto agli
operatori e alle prestazioni erogate inserendosi, guidati dai tutor, nelle diverse
linee di attività dalla fase dell’accoglienza all’assistenza domiciliare, e soprattutto
nel contributo al supporto psicoterapeutico che senza di loro oggi i Servizi non
sarebbero in grado di erogare vista la situazione di progressivo depauperamento
di risorse umane di cui siamo tutti testimoni e che rende sempre più
problematico per i Servizi dare risposte al proprio mandato istituzionale di
prevenzione e di cura .
Infine
vorrei
evidenziare
come
Specializzazione e le Aziende USL
le
convenzioni
tra
le
Scuole
di
in questi anni hanno rappresentato un
esempio significativo di quella sinergia che può svilupparsi nella reciprocità di
esperienze tra Pubblico e Privato tante volte ricordato nelle politiche sanitarie
come deterrente per gli sperperi: infatti mentre l’esperienza del tirocinante nel
Servizio permette il confronto con la clinica e le pratiche terapeutiche a
completamento del proprio percorso formativo, dall’altro la Scuola può restituire
alla ASL possibilità di formazione, cultura, aggiornamento sia in termini di
supervisione alle equipe dei Servizi, sia in termini di proposte culturali,
organizzazione di seminari, workshop e partecipazione a convegni. La promozione
di questa interazione tra Pubblico e Privato va quindi difesa .
Aggiungerei a margine di queste riflessioni alcune considerazioni derivate
dall’esperienza avendo avuto occasione nella mia vita professionale di essere
Direttore di una Unità Operativa del DSM e Didatta di una Scuola di Psicoterapia.
Come Direttore mi sono spesso trovato nelle condizioni di dover intervenire
affinché i tirocinanti non fossero impiegati come semplice manovalanza per
supplire alle carenze degli operatori, utilizzati in attività incoerenti con le finalità
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del loro tirocinio , oppure requisiti da qualche tutor per qualche scopo personale.
Queste esperienze mi insegnano che il Responsabile del servizio, i tutor e
comunque i referenti della formazione dovrebbe fare più attenzione ai percorsi
formativi dei tirocinanti .
Come Didatta penso che le Scuole dovrebbe dare più spazio e tempo alla
supervisione interna dei tirocinanti, conoscere meglio i contesti in cui si muove il
tirocinante, dare strumenti di lettura evitando così feedback negativi dei
tirocinanti che non raramente tornano con un vissuto non soddisfacente
dell’esperienza. E probabilmente interagire maggiormente con i referenti della
formazione dei Dipartimenti, allo scopo di evitare che tutto il problema si risolva
nell’inserimento del tirocinante, mentre questo è solo il primo passo di un
percorso che deve essere monitorato da entrambe le parti e che il tirocinio,
anziché una esperienza significativa per gli allievi, e un’opportunità per la Scuola
di aprirsi all’esterno, sia solo un fardello in più .
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