3.1 I solidi: conduttori, isolanti e semiconduttori
Consideriamo due oscillatori identici, per esempio due pendoli, che dunque oscillano esattamente
alla stessa frequenza. Cosa avviene quando avviciniamo i pendoli fra loro, creando così fra essi un
accoppiamento, attraverso l’aria? Il sistema complessivo presenta ora due diverse frequenze di
oscillazione, una maggiore e una minore di quella dei due oscillatori separati; con una differenza di
frequenza che aumenta al crescere del grado di accoppiamento. E se colleghiamo assieme tre o più
oscillatori identici? Il risultato è del tutto analogo: il sistema costituito da n oscillatori verrà a
possedere n diverse frequenze di oscillazione, attorno a quella che possedevano inizialmente.
Un fenomeno simile avviene quando si avvicinano fra loro più atomi uguali, come quando si
forma di un cristallo. Come sapete, gli elettroni degli atomi, considerati separatamente, possono
occupare soltanto determinati livelli di energia, stabiliti dai Precisiamo. Le bande permesse di energia
numeri quantici. Quando però gli atomi interagiscono fra
non sono “luoghi” dove gli elettroni degli
atomi del cristallo possono trovarsi, ma
loro, a ciascuno di questi livelli viene a corrispondere una
insiemi di livelli di energia che gli elettroni
molteplicità di livelli distinti. Dato che il numero di atomi
possono occupare.
di un cristallo è straordinariamente grande, l’insieme di
questi livelli viene a costituire una banda di energia praticamente continua. Sicchè nel cristallo si
formano più bande continue, corrispondenti ai livelli energetici dell’atomo isolato, che sono
chiamate bande permesse perché rappresentano stati che gli elettroni possono occupare. Queste
possono sovrapporsi parzialmente oppure essere separate da intervalli chiamati bande
proibite perchè non vi sono stati che gli elettroni possano occupare.
Notate però che la formazione di queste bande continue di energia riguarda sopratutto gli
elettroni degli strati più esterni, perchè quelli più interni, fortemente legati ai nuclei, risentono assai
meno dell’interazione con gli atomi adiacenti.
Ed è proprio dalla particolare struttura a bande di un cristallo che dipendono le sue proprietà,
in particolare le proprietà elettriche. Negli isolanti la banda di energia permessa più elevata,
chiamata banda di conduzione (C in figura 4) è vuota. Al di sotto di essa si trova una banda proibita
di parecchi eV, per esempio eV nel caso del diamante, che la separa dalla banda di energia permessa
subito inferiore, chiamata banda di valenza (V in figura 4), che invece è completamente piena. Gli
elettroni della banda di valenza, essendo legati agli atomi, non possono acquistare energia in
presenza di un campo elettrico, dal momento che tutti i livelli di energia in quella banda sono già
accupati. Sicchè essi non possono spostarsi nel cristallo, che si comporta
Tabella 1. Ampiezza
appunto come un isolante. nel quale i legami sono di tipo covalente
EBP della banda proibita
Nei semiconduttori la struttura a bande è simile a quella degli
di alcuni materiali
isolanti, ma con una differenza importantissima: l’ampiezza della banda
InSb
0,17 eV
proibita è relativamente bassa, per esempio 1,1 eV nel silicio, cioè tale che a
Ge
0,67 eV
temperatura ambiente l’energia termica sia sufficiente a portare nella banda di Si
1,14 eV
conduzione una piccola frazione degli elettroni della banda di valenza. Questi GaAs
1,42 eV
si comportano come portatori di carica, liberi di muoversi all’interno del
GaP
2,26 eV
cristallo, dato che in un cristallo con legami covalenti gli elettroni sono
diamante
5,5 eV
condivisi fra tutti i suoi atomi. E quindi un semiconduttore conduce
l’elettricità, sia pur debolmente. Sono semiconduttori alcuni elementi del IV gruppo della tavola
periodica, fra cui il germanio (Ge) e il silicio (Si), che è il più importante, alcuni composti, come
l’arseniuro di gallio (GaAs) e alcune leghe particolari.
Nei metalli, infine, le due bande permesse superiori sono parzialmente sovrapposte,
formando così un’unica banda di energia permessa, che è riempita solo parzialmente. E quindi gli
elettroni che vi si trovano possono muoversi liberamente, sempre beninteso all’interno del metallo:
sia spontaneamente grazie all’agitazione termica, conducendo quindi bene il calore, sia in presenza
di un campo elettrico, perciò conducendo bene l’elettricità.
Quanto detto spiega la straordinaria differenza fra la conducibilità elettrica di un isolante, di
un semiconduttore e di un metallo, che dipende dal numero di elettroni liberi per unità di volume. Il
numero di elettroni liberi in un volumetto di metallo è infatti maggiore di molti ordini di grandezza
rispetto a un semiconduttore, che a sua volta è estremamente maggiore di un isolante, la cui
veramente minima conducibilità si deve a piccole deviazioni dal comportamento ideale, che sarebbe
invece quello di un isolante perfetto.
Alla conducibilità elettrica dei semiconduttori contribuiscono sia gli elettroni liberati dagli
atomi del cristallo per effetto termico sia le lacune, o elettroni mancanti, ad essi corrispondenti.
Quando infatti un elettrone si libera da un atomo del semiconduttore, si crea corrispondentemente un
posto vacante, che può essere occupato da un elettrone sottratto a un altro atomo. In presenza di un
campo elettrico, quindi, si muovono sia gli elettroni liberi sia quelli che si spostano ad occupare i
posti vacanti, creandone via via dei nuovi. Tutto avviene cioè come se le lacune si muovessero
effettivamente, comportandosi dunque come cariche positive libere, cioè come portatori di carica. Il
numero delle lacune, per quanto detto, è esattamente uguale a quello degli elettroni liberi.
Questo numero non è fisso, ma fluttua continuamente nel tempo attorno a un valore di
equilibrio: a ogni istante si creano infatti coppie elettrone-lacuna per effetto termico e a ogni istante
un certo numero di elettroni liberi vanno ad occupare altrettante lacune, annichilandosi
vicendevolmente. Questo equilibrio dipende fortemente dalla temperatura, che favorisce la
creazione di coppie elettrone-lacuna, sicchè la conducibilità elettrica aumenta a sua volta assai
rapidamente con la temperatura. Questo fenomeno è sfruttato in pratica per realizzare dei termometri
elettronici molto sensibili.
La creazione di coppie elettrone-lacuna può essere anche prodotta dall’assorbimento di
fotoni di energia almeno pari a quella della banda proibita, in grado cioè di portare un elettrone dalla
banda di valenza a quella di conduzione; e in tal caso si parla di effetto fotoelettrico interno,
perché gli elettroni così liberati restano comunque all’interno del semiconduttore. Questo effetto è
sfruttato nelle cosidette fotoresistenze, la cui resistenza è inversamente proporzionale al flusso
luminoso che le colpisce, e che trovano vari impieghi pratici, per esempio negli esposimetri delle
macchine fotografiche.
I semiconduttori drogati
La conducibilità elettrica di un semiconduttore aumenta grandemente, pur restando ben lontana da
quella dei metalli, quando nel cristallo viene introdotto un certo numero di atomi di determinati
elementi, che vanno a sostituire altrettanti atomi del semiconduttore. Questo processo prende il
nome di drogaggio, il materiale così ottenuto si chiama semiconduttore drogato. Le dosi di
drogaggio sono piccolissime, tipicamente dell’ordine di 1-100 atomi di impurità per milione di
atomi del cristallo.
Per capire cosa avviene in un cristallo drogato esaminiamo prima la struttura di un
semiconduttore puro come il germanio o il silicio. Lo strato elettronico più esterno degli atomi di
questi elementi contiene 4 elettroni, chiamati elettroni di valenza perché ne determinano le proprietà
chimiche, che si trovano normalmente nella banda di valenza. Il cristallo di silicio ha struttura
cubica a facce centrate, nella quale ogni atomo forma legami covalenti con ciascuno dei quattro
atomi più vicini, condividendo cioè due elettroni con ciascuno
Un paragone sportivo? Ciascun atomo
di essi, come è mostrato nella parte a) della figura 5.
di silicio del cristallo gioca
Quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di
contemporaneamente 4 partite di tennis
con i 4 atomi adiacenti, coinvolgendo
un elemento del V gruppo, che possiede cinque elettroni nello
usando due elettroni per partita.
strato più esterno, quattro dei quali vengono impegnati nei legami covalenti, mentre il quinto,
essendo solo debolmente legato all’atomo, si libera facilmente grazie all’agitazione termica,
passando cioè nella banda di conduzione. Gli elettroni così liberati vanno dunque ad accrescere la
conducibilità elettrica del materiale, che in questo caso prende il nome di semiconduttore di tipo n,
perché la maggior parte dei portatori di carica è costituito appunto da elettroni, dotati di carica
negativa.
L’opposto accade invece quando un atomo di silicio viene sostituito con uno di un elemento
del III gruppo, che possiede tre elettroni nello strato più esterno e può quindi fornire solo tre dei
quattro elettroni necessari per stabilire i legami covalenti. Di conseguenza nel cristallo si crea un
lacuna o elettrone mancante, cioè l’equivalente di una particella dotata di carica positiva, che si
comporta come un portatore di carica mobile. Le lacune così prodotte vanno ad accrescere la
conducibilità elettrica del materiale, che in questo caso prende il nome di semiconduttore di tipo p,
perché la maggior parte dei portatori di carica è costitito da cariche positive.
Notate però che i semiconduttori drogati sono elettricamente neutri. A ciascun elettrone
libero in un semiconduttore di tipo n, trascurando quelli generati per effetto termico, corrisponde
infatti uno ione positivo fisso dotato di carica positiva (un atomo di drogante che ha perso un
elettrone). In un semiconduttore di tipo p, analogamente, a ciascuna lacuna corrisponde uno ione
negativo fisso dotato di carica negativa (un atomo di drogante che ha acquistato un elettrone).
La fisica della tecnologia 1. Il drogaggio dei semiconduttori.
Come si compie il drogaggio di un semiconduttore puro per trasformarlo in uno drogato, inserendo
nel cristallo piccole quantità controllate di altri elementi? Una tecnica consiste nel portare il cristallo
ad alta temperatura (attorno a 1000°C, nel caso del silicio) in presenza di un gas che contiene
l’elemento drogante, che penetra gradualmente al suo interno per diffusione. Tale processo, del tutto
analogo ai moti di diffusione delle molecole di un gas, è fortemente favorito dalla temperatura. Una
tecnica diversa è quella chiamata impianto di ioni: gli atomi di drogante vengono prima ionizzati e
poi accelerati da un intenso campo elettrico che li “spara” contro il cristallo semiconduttore. Se
l’energia cinetica degli ioni è sufficiente (da decine a centinaia di eV), essi penetrano nel cristallo e
vi si inseriscono. Una successiva “ricottura” del cristallo è poi necessaria per ricomporne la struttura
cristallina, in qualche modo distorta dagli effetti di questa questa “artiglieria”.
Approfondimento 2. La struttura a bande dei semiconduttori drogati.
La presenza di un consistente numero di portatori di carica (elettroni liberi oppure lacune) nei
semiconduttori drogati si deve al cambiamento struttura a bande che si verifica quando il cristallo
semiconduttore viene drogato. Come mostra la figura A nel caso del silicio di tipo n. La presenza
nel cristallo di atomi con 5 elettroni esterni, cioè con un elettrone in più rispetto a quanto richiedono
i legami covalenti, crea infatti infatti una piccola banda
permessa all’interno della banda proibita (indicata in nero
nella figura). Questa si trova tipicamente a qualche
centesimo di eV dal bordo inferiore della banda di
conduzione, e quindi a temperatura ambiente l’energia
termica è sufficiente a portare in banda di conduzione gli
elettroni che vi si trovano. Si ha infatti: kT = 1,38∙1023
300 = 4,14∙10-21 J =
4,14∙10-21/1,6∙10-19 eV = 0,026 eV.
Figura A. Struttura a bande di un cristallo di silicio puro e di un cristallo drogato di tipo n. In quest’ultimo si ha una
piccola banda permessa appena sotto la banda di conduzione, a pochi centesimi di elettronvolt. Da questa gli elettroni
passano facilmente nella banda di conduzione grazie all’energia termica a temperatura ambiente.
Figura 3. Quando degli atomi si avvicinano fra loro,
l’interazione fra essi trasforma i livelli energetici
posseduti inizialmente in bande di energia
praticamente continue (bande permesse), separate da
bande proibite. L’ampiezza delle bande permesse è
tanto maggiore quanto più gli atomi si avvicinano. Il
cristallo costituito dagli atomi di un dato elemento ha
la specifica struttura a bande che corrisponde alla
particolare distanza interatomica d0, per cui il
cristallo è stabile (d0 = 54,3 nm nel caso del silicio).
Figura 4. (a) La struttura a bande di un isolante è caratterizzata dalla
presenza di una banda di conduzione (C) completamente vuota di
elettroni e da una banda di valenza i cui stati sono invece tutti
occupati. Le due bande sono separate da una banda proibita (P),
priva di stati che gli elettroni possano assumere, con ampiezza di
parecchi eV. (b) I semiconduttori differiscono dagli isolanti per l’ampiezza ridotta, attorno a 1 eV, della banda proibita.
(c) Nei metalli, le prime due bande permesse si sovrappongono parzialmente, creando un’unica banda che per questo è
solo parzialmente riempita di elettroni.
Figura 5. Rappresentazione (nel piano) dei legami fra gli atomi di un cristallo di silicio puro (a) e di silicio drogato (b e
c). Ciascun atomo di silicio si lega con quattro atomi vicini, condividendo due elettroni con ciascuno di essi. Gli atomi
di arsenico (b) hanno 5 elettroni nello strato più esterno, quattro dei quali vengono condivisi con gli atomi di silicio
adiacenti, mentre il quinto si libera facilmente perché solo debolmente legato all’atomo. Gli atomi di boro (b) hanno 3
elettroni nello strato più esterno, sicchè devono catturarne uno a un altro atomo in modo da averne 4 da condividere con
gli atomi di silicio adiacenti: si libera così una lacuna o elettrone mancante, una carica positiva che può muoversi nel
cristallo.
(adattare da Scienza della materia, vol. 2, pag. 255, fig. 3)
3.2 La giunzione p-n e il diodo a semiconduttore
Quando poniamo a contatto due metalli diversi, fra essi si stabilisce una differenza di potenziale
(effetto Volta,  Tomo 3, pag. xxx) che è dovuta alla differenza fra le energie di estrazione degli
elettroni dai due metalli. Un fenomeno analogo si verifica fra due regioni di un semiconduttore,
drogate diversamente, in particolare quando una parte
Attenzione. La differenza di potenziale
di un cristallo è di tipo n e l’altra di tipo p, formando
fra le due regioni di una giunzione p-n
ciò che si chiama una giunzione p-n ( figura 6).
NON si misura con un voltmetro disposto
Questa barriera di potenziale si manifesta
fra i suoi estremi. Per la stessa ragione
praticamente quando fra i due estremi della giunzione si per cui non si misura quella che si
stabilisce fra due metalli diversi.
applica una tensione esterna che, a seconda della sua
polarità, può abbassare la barriera, favorendo così il
moto dei portatori (gli elettroni liberi presenti nella zona p, le lacune presenti nella zona n)
attraverso la giunzione, oppure può innalzarla, impedendone il passaggio. Nel primo caso nella
giunzione scorre una corrente elettrica e si dice che essa è polarizzata direttamente; nel secondo
caso non vi scorre corrente apprezzabile e si dice che la giunzione è polarizzata inversamente. Su
questa proprietà è basato il funzionamento dei diodi a semiconduttore, che potete osservare
eseguendo l’esperimento proposto nella figura 7.
Più precisamente, il comportamento elettrico ideale di una giunzione p-n è descritto dalla
seguente legge dovuta al fisico americano William B. Shockley (1910-1989):
(1)

 eV
I  I 0  exp 
 kT

 
  1
 
dove I è l’intensità della corrente, V è la tensione applicata dall’esterno fra la regione p e quella n
della giunzione, I0 è un parametro caratteristico della giunzione e k = 1,38∙10-23 J/K è la costante di
Boltzmann. Il parametro I0 prende il nome di corrente inversa, perché rappresenta la debolissima
corrente, dell’ordine di 1-100 pA nel caso di un normale diodo al silicio, che scorre attraverso la
giunzione quando ad essa viene applicata una tensione negativa (fra la zona p e quella n). Il grafico
in figura 8 rappresenta la curva caratteristica corrente-tensione di una giunzione p-n, data dalla
formula (1).
Oltre che nei diodi, le proprietà delle giunzioni p-n sono sfruttate nella realizzazione di
numerosi dispositivi elettronici, fra cui le celle fotovoltaiche e i transistori a giunzione.
Le celle fotovoltaiche
Cosa avviene quando un fotone incide su una giunzione p-n? Sapete già l’assorbimento di un fotone
da parte di un semiconduttore produce la creazione di una coppia elettrone-lacuna, se l’energia E
che esso possiede è maggiore o uguale all’ampiezza EBP della banda proibita del materiale, cioè se è
verificata la condizione
(2)
hf = hc/ ≥ EBP
dove f è la frequenza del fotone e  la sua lunghezza d’onda.
Ma fra le due regioni di una giunzione p-n vi è un campo elettrico, dovuto alla presenza di
ioni di carica opposta sui due lati (che si manifesta nella presenza della barriera di potenziale di cui
s’è detto prima). L’effetto del campo è allora quello di separare gli elettroni dalle lacune, creando
così un accumulo di cariche opposte ai due lati della giunzione e quindi una differenza di potenziale
fra i suoi estremi, una corrente se questi sono collegati a un carico esterno. La giunzione p-n, così, si
comporta come un generatore elettrico, che converte l’energia dei fotoni in energia elettrica. I
dispositivi realizzati a questo scopo prendono il nome di celle fotovoltaiche o celle solari e trovano
impiego nello sfruttamento dell’energia solare come fonte di energia alternativa ( pag. xxx).
Esempio 1. Quali fotoni della luce solare sono utilizzati da una cella solare al silicio?
Vogliamo stabilire quale parte dei fotoni della radiazione solare sono effettivamente utilizzati da una
cella solare al silicio.
Ricaviamo dalla formula (2) la lunghezza d’onda dei fotoni che hanno l’energia necessaria a
produrre effetto fotoelettrico nel silicio: = hc/EBP. Sapendo che l’ampiezza della banda proibita nel
silicio è EBP = 1,1 eV = 1,11,6∙10-19 J = 1,76∙10-19 J, si ha pertanto:
= 6,63∙10-343∙108/1,76∙10-19 = 1,13∙10-6 m = 1130 nm. Questa lunghezza d’onda, che cade
nell’infrarosso, separa i fotoni utili per la conversione in elettricità, cioè tutti quelli che cadono nel
visibile più una piccola frazione di quelli infrarossi, da quelli inutilizzati, cioè i fotoni infrarossi con
lunghezza d’onda maggiore di 1130 nm.
I diodi emettitori di luce (LED)
Il processo inverso, cioè l’emissione di fotoni da parte di una giunzione p-n attraversata da una
corrente elettrica, si verifica in vari materiali semiconduttori, ma non nel silicio. L’energia dei fotoni
emessi corrisponde al salto di energia che subiscono gli elettroni della corrente, cioè all’ampiezza
della banda proibita EBP del semiconduttore (o a salti fra i livelli energetici intermedi che si creano
nei semiconduttori drogati. Si ottiene così radiazione infrarossa (nei LED usati nei telecomandi) e
luci di colori diversi usando diodi di materiali diversi, con valori diversi di EBP: per esempio
arseniuro di gallio (GaAs), fosfuro di gallio (PAs), e leghe di questi e altri materiali. Solo da qualche
tempo si è poi ottenuta anche luce blu, da LED di nitruro di gallio e indio (GaInN).
La radiazione emessa da questi dispositivi, con lunghezze d’onda comprese in un certo
intervallo di colori, è incoerente (come quella delle lampade a incandescenza o a scarica). I diodi
laser, ottenuti realizzando una cavità ottica con pareti riflettenti attorno alla giunzione, producono
invece radiazione coerente sfruttando il principio dell’emissione stimolata ( Unità 2, pag. xxx).
La fisica attorno a noi 1. Le lampadine a stato solido.
Da qualche tempo si sta diffondendo l’impiego dei LED come sorgenti di illuminazione, in aggiunta
a quello tradizionale come lampadine spia o come indicatori luminosi. Queste lampadine a stato
solido, già in uso nei semafori e nei fari delle automobili, cominciano infatti a
trovare impiego anche nella illuminazione degli ambienti. Il successo dei LED è
legato alle loro caratteristiche di efficienza, misurata in termini di luce prodotta
per watt consumato, che sta migliorando nel tempo ma già oggi è decisamente
superiore alle tradizionali lampade a incandescenza, e alla loro durata
lunghissima, attorno a 105 ore, assai maggiore di qualunque altro tipo di
lampada.
Ma sono stati necessari molti anni di lavoro per riuscire a ottenere luce
bianca, come è necessario nel campo dell’illuminazione, a partire da sorgenti di
luce colorata, quali sono naturalmente i LED. Le soluzioni adottate sono
essenzialmente due: l’impiego in combinazione di tre LED ciascunio dei quali
emette luce di uno dei tre colori primari (rosso, verde e blu), l’impiego di LED
che emettono radiazione di breve lunghezza d’onda, che viene trasformata in
luce bianca utilizzando opportune sostanze fluorescenti (come avviene nelle lampade fluorescenti
usuali).
Figura A. L’impiego dei LED nei semafori per le segnalazioni stradali è particolarmente conveniente. Queste lampade
emettono infatti naturalmente luce colorata (rossa, verde o arancione), sostituendo, con grandi risparmi di energia, le
lampade a incandescenza dotate di filtri colorati che si usavano in passato. Nella foto un semaforo realizzato con
sorgenti LED, prodotto dalla società americana Gelcore.
Figura 6. Una giunzione p-n si realizza drogando differentemente due regioni di un semiconduttore, per ottenere cioè al
suo interno una zona di tipo p e una di tipo n. Nei pressi della zona di contatto le cariche libere si neutralizzano, creando
il cosidetto strato di svuotamento, mentre le cariche fisse (ioni con cariche di segno opposto ai due lati) creano un campo
elettrico e quindi una differenza di potenziale fra le due zone della giunzione.
(Adattare da Scienza della Materia, vol. 2, pag. 256, modificando le scritte come segue: a sinistra ione positivo e a destra
ione negativo)
Figura 7. Esperimento. Il diodo è un conduttore unidirezionale. (a) Collegate un diodo al silicio fra una pila e una
lampadinetta: questa si accenderà indicando il passaggio di una corrente elettrica. (b) Invertendo la polarità del diodo, la
lampadina resterà spenta, indicando che nel circuito non scorre corrente di intensità apprezzabile.
Figura 8. La curva
caratteristica correntetensione di una
giunzione p-n, cioè di
un diodo a
semiconduttore, mostra
chiaramente che questo
dispositivo non segue la legge di Ohm, comportandosi come un conduttore
unidirezionale. A una tensione positiva (polarizzazione diretta) corrisponde il
passaggio di corrente; a una negativa (polarizzazione inversa), una corrente di
intensità debolissima (I0).
3.3 Il transistore a giunzione
Esperimento 1. Il transistore a giunzione amplifica una corrente.
Procuratevi una pila da 4,5 volt, un transistore NPN, un resistore da 220 Ω e due lampadinette adatte
alla pila, e realizzate il circuito in figura 9. Chiudendo l’interruttore, troverete che si accende la
lampadina 2 ma non quella 1. Ciò si spiega ammettendo che il transistore amplifichi la corrente che
entra nel suo ingresso, nel terminale B, lasciandosi attraversare cioè da una corrente corrispondente,
più intensa, che scorre nel suo terminale d’uscita C. Che infatti è in grado di accendere la lampadina
2.
Il transistore a giunzione è sostanzialmente un cristallo nel quale sono state realizzate due
giunzioni p-n, con la regione intermedia in comune, a piccolissima distanza fra loro perché il
funzionamento del dispositivo è basato proprio sull’interazione fra le giunzioni. E quindi possiamo
avere sia un sandwich p-n-p, che prende il nome di transistore PNP, che uno n-p-n, che prende il
nome di NPN. La figura 10 mostra in particolare la struttura di un transistore NPN, nel quale la
regione in comune è di tipo n.
La proprietà essenziale di questo dispositivo è l’amplificazione di corrente: quando le
tensioni esterne sono disposte come nella figura 10, la corrente IC che scorre attraverso l’elettrodo C
(chiamato collettore) è poco minore di quella (IE) che scorre attraverso l’elettrodo E (chiamato
emettitore), ma assai più intensa della corrente IB che scorre nell’elettrodo B (chiamato base), a cui è
direttamente proporzionale. Si ha pertanto:
(3)
IC = IB
dove il fattore di amplificazione  è tipicamente compreso fra 50 e 500.
Il fenomeno è dovuto al fatto che la giunzione BE fra la base (B) e l’emettitore (E) è
realizzata in modo che la corrente che vi scorre sia costituita soprattutto da elettroni. Quando questa
giunzione viene polarizzata direttamente, cioè si applica una tensione positiva fra B ed E, si crea una
corrente di elettroni che dall’emettitore raggiunge la regione di base. Ma siccome la regione di base
ha uno spessore assai piccolo, gli elettroni la attraversano senza ricombinarsi apprezzabilmente con
le lacune in essa presenti, raggiungendo così il collettore, anche se la giunzione BC fra base e
collettore è polarizzata inversamente, e scorrendo poi nel circuito esterno. Attraverso l’elettrodo di
base scorre quindi soltanto la piccola differenza (IB) fra le correnti di emettitore (IE) e di collettore
(IC).
Nota storica 1. L’invenzione del transistore a giunzione.
L’idea di controllare il moto di cariche elettriche in un cristallo semiconduttore, per realizzare un
dispositivo amplificatore usando risale agli anni ’30 del Novecento. Essa trovò successo il 16
dicembre del 1947, quando nei laboratori di ricerca della società americana Bell Telephone un
gruppo di scienziati costruì il primo rudimentale transistore usando un cristallo di germanio con due
contatti di oro a 50 m di distanza (l’equivalente di due giunzioni p-n ravvicinate), verificando
subito che esso poteva amplificare una debole corrente elettrica. Gli inventori del transistore,
William Shockley, John Bardeen e Walter Brattain, ricevettero il premio Nobel nel 1956.
I transistori, nel giro di pochi anni, rivoluzionarono il mondo dell’elettronica, soppiantando i
tubi a vuoto usati in precedenza grazie al loro minore ingombro e minor consumo di potenza. Data
infatti a quell’epoca la diffusione delle radio portatili e lo sviluppo dei primi calcolatori elettronici
moderni. Ma l’invenzione del transistore aprì anche la porta allo sviluppo di numerosi altri
dispositivi, fra cui le celle solari e i circuiti integrati.
Figura A. Il primo rudimentale transistore costruito nel 1947 presso i laboratori Bell Telephone
(Il mondo della Fisica, vol. B, pag. 453, ma possibilmente trovando una immagine migliore)
Figura 9. (a) Struttura di un
transistore NPN. Le correnti IC e IE
hanno pressappoco la stessa
intensità. Intensità assai inferiore
ha invece la corrente IB, data dalla
differenza fra le due precedenti.
(b) Simbolo grafico di un
transistore NPN.
Figura 10. Esperimento.
Realizzate il semplice circuito in
figura. Chiudendo l’interruttore la lampadina 1 resta spenta mentre si accende la
lampadina 2. La corrente I2, amplificata dal transistore, è infatti molto più intensa della corrente I 1.
3.4 Il transistore MOS
I transistori MOS (metallo-ossido-semiconduttore) hanno una struttura più semplice di quella dei
transistori a giunzione, come mostra la figura 11. Qui è rappresentato un dispositivo a canale n, del
tipo detto ad accrescimento, che è costituito da due piccole regioni di tipo n realizzate in un cristallo
semiconduttore di tipo p. Il semiconduttore è ricoperto da uno straterello isolante di ossido di silicio,
al di sopra del quale si trova poi uno strato metallico che costituisce l’elettrodo di comando,
chiamato porta. In condizioni normali, cioè in assenza di segnale di comando sulla porta, il tratto fra
le due regioni n (chiamato canale) non può condurre corrente: fra le due regioni n si trova infatti una
regione p, e quindi si ha l’equivalente di due diodi disposti in serie in sensi opposti.
Le cose cambiano, però, quando fra la porta e il canale viene applicata una tensione positiva.
La struttura formata dal metallo (l’elettrodo porta), dall’ossido e dal semiconduttore (il canale)
costituisce infatti un condensatore, sicchè quando fra la porta e il semiconduttore si applica una
tensione positiva (VP), le cariche positive sulla porta inducono nel semiconduttore sottostante
altrettante cariche negative. Se queste ultime sono abbastanza numerose, la regione del canale
cambia natura, trasformandosi da una di tipo p in una di tipo n, che mette quindi in contatto fra loro
le due regioni n ai suoi estremi. L’intensità della corrente che può scorrere attraverso il canale,
quando una tensione è applicata ai suoi estremi (fra D e P in figura), dipende naturalmente dal
valore della tensione applicata alla porta, che esercita dunque una azione di controllo.
La semplicità realizzativa di questa soluzione rende oggi dominante l’impiego dei transistori
MOS nei circuiti integrati.
Figura 11. Nella figura si individuano i tre strati, rispettivamente di metallo (in alto), di ossido isolante e di
semiconduttore (in basso), da cui deriva la denominazione dei transistori MOS. Il dispositivo in figura è del tipo detto a
canale n , ma il canale conduttore fra le due regioni drogate di tipo n in realtà non esiste. Esso si forma soltanto quando
si applica una tensione positiva (VP) fra l’elettrodo porta (P) e il semiconduttore, grazie alle cariche negative che
vengono indotte nel cristallo p. E allora può scorrere una corrente fra i due elettrodi D e S, collegati alle due regioni n
agli estremi del canale.
3.5 I circuiti integrati e le nanotecnologie
Poco più di 10 anni dopo l’invenzione del
transistore a giunzione, l’ingegnere
americano Jack Saint Clair Kilby attuò
un’idea che si rivelò presto di eccezionale
portata: costruire in un cristallo di
semiconduttore un circuito elettrico
completo di tutte le sue parti: diodi, transistori, resistori, condensatori, …, inclusi i conduttori che li
collegano. Il primo circuito integrato della storia nacque infatti nei laboratori della società Texas
Instruments, dove Kilby lavorava, nell’estate del 1958.
I transistori e i diodi vengono realizzati drogando opportunamente determinate regioni di un
cristallo di silicio, i resistori consistono di piccoli volumi di semiconduttore (la cui resistenza fra gli
estremi è data dalla seconda legge di Ohm) che vengono drogati in modo da presentare la resistività
desiderata, i condensatori si ottengono disponendo sul silicio uno straterello di ossido isolante
ricoperto poi da uno stato di metallo (come nei transistori MOS). I conduttori che collegano fra loro
i vari elementi del circuito si ottengono infine depositando delle piste metalliche sull’ossido che
ricopre tutto il semiconduttore, ad eccezione dei punti di contatto con i vari componenti.
I primi circuiti integrati commerciali, prodotti negli anni ’60 del secolo scorso,
comprendevano soltanto un piccolo numero di componenti. Ma questo numero è andato sempre
aumentando negli anni, grazie ai progressi delle tecniche di fabbricazione, in particolare la continua
riduzione delle dimensioni dei transistori e degli altri componenti. Sicchè oggi si realizzano circuiti
integrati che contengono oltre un miliardo di transistori in un’area dell’ordine del cm2. Dato che
l’ordine di grandezza del costo di un microprocessore con 109 transistori è di 102 euro, come è
possibile che un singolo transistore, realizzato così, venga a costare appena 102/109 = 10-7 euro? La
risposta sta nel fatto che il processo di fabbricazione è oggi quasi completamente automatico,
realizzato in impianti costosissimi, che producono volumi enormi di prodotti per soddisfare le
esigenze di un mercato vastissimo.
La Fisica della tecnologia . La fabbricazione dei dispositivi a semiconduttore e dei circuiti
integrati.
Il silicio è abbondantissimo in natura, nella
Il processo ha inizio con l’estrazione del silicio dal
sabbia e nell’argilla come in molte rocce,
minerale e la sua purificazione, che fornisce una cristallo
costituendo il 25% della crosta terrestre.
purissimo (le impurità sono meno di un miliardesimo) nella
forma di una barra cilindrica monocristallina con raggio fino a 30 cm. Questa viene tagliata in sottili
(≈ 0,75 mm) fette chiamate wafer, che vengono poi ricoperte di ossido isolante (SiO2) per
proteggerle da qualsiasi contaminazione.
Le fasi successive del processo sono
Le dimensioni submicrometriche dei singoli elementi
mostrate nelle figura A. 1) Sull’ossido viene
che costituiscono oggi i circuiti integrati richiedono un
deposto uno strato di fotoresist, un materiale
dettaglio estremo nella definizione delle aree del wafer
sensibile alla luce, al quale viene poi
che vengono sottoposte al drogaggio. In passato si usava
luce visibile, oggi radiazioni ultraviolette, con cui si
sovrapposta una maschera, che rappresenta il
ottengono dettagli al livello di poche decine di nm.
circuito che si vuole realizzare, più
precisamente il dettaglio in negativo delle zone
del cristallo che devono essere drogate inserendovi le impurità. 2) Il wafer viene esposto a luce
ultravioletta che rende resistenti agli acidi le zone di fotoresist non coperte dalla maschera. 3) Si
elimina il fotoresist non trattato e si sottopone il wafer all’azione di un acido che asporta
selettivamente l’ossido. 4) Il wafer viene sottoposto al drogaggio, in una fornace di diffusione o
mediante impianto di ioni ( pag. xxx), e quindi viene ossidato nuovamente in vista di ripetere le
fasi precedenti quante volte occorre, cioè fino a realizzare il drogaggio (di to n o p) di tutte le zone
desiderate.
In una fase ulteriore, sul wafer viene
deposto uno strato di metallo (o di semiconduttore
fortemente drogato, quindi buon conduttore), che
viene inciso selettivamente per ricavarne le
connessioni elettriche fra le varie parti del
circuito. Poi il wafer viene suddiviso per
ottenerne i singoli dispositivi, da decine a
centinaia. Questi, dopo l’esecuzione di prove
elettriche, vengono incapsulati nel contenitore
finale e collegati ai terminali esterni.
Figura A.
Alcune fasi essenziali del processo di fabbricazione di un
circuito integrato. 1) Il silicio viene ossidato e ricoperto di
fotoresist. 2) La radiazione ultravioletta raggiunge il
fotoresist non protetto dalla maschera, rendendolo inerte all’acido. 3) L’acido asporta l’ossido dalle regioni
corrispondenti alla maschera. 4) Gli atomi di impurità raggiungono, drogandole, le regioni non protette dall’ossido.
Queste fasi vengono ripetute più volte fino a completare il drogaggio, di tipo p e di tipo n, di tutte le regioni necessarie a
creare nel silicio i vari elementi del circuito.
Figura 12. In questa sottile fetta (wafer) di silicio purissimo sono state realizzate centinaia di moduli (chip) identici.
ciascuno dei quali costituisce un microprocessore, cioè il cuore di un calcolatore elettronico.
(immagine aggiornata, modificando opportunamente la dida, simile a quella in Amaldi, La Fisica, vol. 3, pag. 369)