Villa Crosa Diana - Fondazione Conservatorio Fieschi

Villa Crosa Diana
a Genova Sampierdarena
Un restauro post-industriale
A cura di
Gianni Bozzo
Collana di Studi
Fondazione Conservatorio Fieschi
Fondata da Agostino Crosa di Vergagni
Gianni Bozzo è nato a Genova ed ha qui compiuto gli studi
di Architettura e Lettere, conseguendo poi il Perfezionamento in storia dell’Arte medievale e Moderna. Dopo l’insegnamento nella scuola secondaria, è entrato, nel 1985, in qualità di architetto, alla Soprintendenza per i Beni Architettonici
e Paesaggistici della Liguria, presso cui ha lavorato fino al
2009. È stato Soprintendente per le province di Como, Lecco,
Varese e Sondrio e per quelle di Torino, Asti, Cuneo, Biella e
Vercelli. Si occupa di temi di Restauro e di Storia dell’Architettura e dell’Arte.
€ 25,00
Villa Crosa Diana
a Genova Sampierdarena
Un restauro post-industriale
A cura di
Gianni Bozzo
Testi di
Francesco Tomasinelli
Giovanni Battista Crosa Di Vergagni
Giorgio Sanni Fotografie di
Dario Nicolini
Collana di Studi
Fondazione Conservatorio Fieschi
Fondata da Agostino Crosa di Vergagni
Assolte tutte le pratiche per l’assoluzione dei diritti,
l’editore resta a disposizione degli eventuali aventi diritto.
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Indice
Premessa 5
Nota del curatore
7
I
Il sistema delle ville di Sampierdarena.
Da luogo di delizie ad area produttiva.
L’asse storico di via Daste.
9
- Le residenze di villeggiatura
14
II
La villa: tipologia, caratteri, decorazione.
Le vicende storiche.
La decorazione.
- Le fasi originaria e secentesca, il Settecento, il secolo XIX
III Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni,
Il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte.
-
-
L’intervento di restauro
Francesco Tomasinelli
Le superfici decorate
Giorgio Sanni
IV La famiglia Crosa; le vicende storiche e i beni
da essa posseduti a Sampierdarena nel xviii secolo
31
44
71
76
83
85
Giovanni Battista Crosa di Vergagni
NOTE
90
BIBLIOGRAFIA
93
Premessa Fondazione
Premessa
L
a Fondazione “Opera Pia Conservatorio Fieschi”, più brevemente “Fondazione Fieschi”, è persona
giuridica di diritto privato, senza fini di lucro, dotata di piena autonomia statutaria e gestionale, il cui
scopo esclusivo è il perseguimento di fini di utilità sociale, consistenti nell’assistenza ed educazione
dei minori, e dei giovani bisognosi. L’Opera Pia Conservatorio Fieschi nasce nel 1762, alla morte del suo fondatore, Conte Domenico Fieschi, che, trovandosi senza discendenti, istituisce, per testamento, suo “…erede universale la Scuola o Conservatorio semplicemente laicale da erigersi sotto il titolo dell’immacolata Concezione”, da
destinarsi al “… ricovero e ammaestramento gratuito delle zitelle povere, orfane, abbandonate, onde poi, volontarie, ridonarle alla società, fedeli alla religione, care all’industria, di esempio alle loro uguali”.
L’Opera ha pienamente esercitato, nei secoli, la propria attività filantropica, collocandosi fra le prime della
Liguria per magnitudine patrimoniale e pluralità di interventi a favore delle giovani bisognose.
A titolo di mero esempio, basti ricordare un censimento dell’anno 1839, effettuato sugli istituti di assistenza presenti negli Stati Sabaudi (all’epoca Sardegna, Liguria, Piemonte, Nizzardo e Savoia), ove il Conservatorio
Fieschi si collocava al primo posto nella graduatoria riservata agli istituti minorili, per ammontare delle entrate
e numero delle ricoverate, quantificate, per l’anno in esame, in 195 su un totale di 805 in tutto il territorio.
L’Opera oggi svolge, esclusivamente con mezzi propri derivanti dalla gestione del patrimonio dotale della
Fondazione, accortemente e saggiamente amministrato, una consistente quantità di interventi, sempre incentrati sull’assistenza ed educazione dei giovani, quali la gratuita ospitalità a studenti universitari liguri, residenti
fuori Genova, bisognosi di aiuto, la dazione di borse di studio a favore di studentesse universitarie madri, studenti disabili e studenti orfani, l’erogazione di contributi a favore di Enti assistenziali liguri con finalità analoghe a quelle dell’opera Pia, e, più generalmente, a giovani in difficoltà.
Sei anni orsono la Fondazione Fieschi ha istituito una collana di Studi, fondata dall’Ingegnere Agostino Crosa di Vergagni, all’epoca Amministratore ed oggi prematuramente scomparso, con lo scopo di mettere a disposizione della collettività pubblicazioni, studi e/o monografie, principalmente incentrate sulla famiglia Fieschi,
ma anche rivolte ad altre tematiche, prevalentemente limitate agli eventi storici e artistici del territorio ligure.
Il sesto esemplare della collana, che costituisce la presente pubblicazione, racconta la storia del restauro di un monumento storico, quale la Villa Crosa Diana di Genova Sampierdarena. La villa, acquistata alla fine del XX secolo dalla Fondazione Fieschi, è stata fatta oggetto di un attento e sapiente restauro, durato dieci anni, che l’ha restituita - in gran parte e per quanto è stato possibile - all’antico fascino di villa destinata sia ai riposi estivi che, nei purtroppo frequenti passati momenti di epidemie e pestilenze, alla temporanea migrazione dalla città verso lidi di maggiore salubrità.
La Fondazione Fieschi è particolarmente lieta che il predetto restauro sia stato ora condensato in una piacevole pubblicazione, che viene oggi messa a disposizione degli appassionati e degli studiosi, e coglie l’occasione per rivolgere un caloroso ringraziamento a Gianni Bozzo, principale autore della pubblicazione, a Francesco Tomasinelli, che ha seguito quale Direttore dei Lavori il restauro dell’edificio durante il periodo 2000-2010, le cui fasi più salienti sono esse pure descritte nel presente libro, e a Dario Nicolini, autore della documentazione fotografica a supporto dell’opera oggi presentata.
Fondazione Conservatorio Fieschi
Il Consiglio di Amministrazione
Nota del Curatore
Nota del Curatore
T
rattare a livello monografico di un edificio come Villa Crosa Diana, che sussiste quale testimonianza viva del passato, oggi nella riconquistata dimensione del restauro, ma in un contesto totalmente
mutato, non esime dal considerare le trasformazioni intervenute all’intorno che, se da un lato segnano una distanza incolmabile con l’assetto antico, dall’altro rendono l’organismo architettonico residuo
ancora più prezioso e significativo di un’epoca definitivamente tramontata. Lo splendido ambito di villeggiatura di Sampierdarena, insieme di natura e arte davvero ammirevole, è mutato al punto da essere in buona
misura irriconoscibile, tuttavia, si deve prendere atto che la città ha seguito sue leggi di evoluzione e crescita,
in taluni casi del tutto speculative e stravolgenti, tuttavia irreversibili, tanto che appare inutile rimpiangere
ciò che è avvenuto o rifugiarsi nella contemplazione di un ideale mondo consolatorio, utopistico e distante.
Il mutamento, come si sa, è sinonimo di vita, non è chiaro se anche di vitalità; comunque, non è incombenza del curatore giudicare vicende che, per quanto significative, trascendono la dimensione dell’architettura,
oggetto delle ricerche qui proposte alla considerazione del lettore.
La villa di cui si dà conto nella presente pubblicazione è, allo stesso tempo, l’ambiente delle lussuose feste
sei, sette e ottocentesche, (non volendo eccedere a idealizzare, si può dire che non di feste si trattava, ma dello scambio frequente di visite tra parenti e amici, con consumazioni, a scelta, tra i prodotti di orti e frutteti :
limonate, sciroppi, sorbetti) tra saloni, logge e giardino prospiciente il mare e l’ambito commerciale espositivo delle latte delle conserve di alimenti, in gran parte destinate a provviste di bordo (di cui restano alcune
curiose immagini d’epoca), della ditta degli imprenditori Diana, proprietari del compendio nel Novecento,
per dire della mutevolezza delle funzioni e della persistenza fisica delle strutture, per altri versi, fragili e delicate, così difficili da salvaguardare. La contestualizzazione è parsa la via migliore per giungere ad uno studio non autoreferenziale, ma che intrecciasse i necessari rapporti con l’intorno, in vista di un auspicato recupero del grande patrimonio delle ville di Sampierdarena, appartenenti ad enti pubblici o a privati, viventi
ciascuna in una particolare situazione, spesso di estremo degrado, in attesa di un piano di salvataggio e valorizzazione, ormai sempre meno delegabile all’intervento pubblico, sempre più da radicare nella coscienza
dei cittadini. Un modesto, ma significativo, Parco delle Ville potrebbe ottenersi con la demolizione del mercato coperto di Piazza Treponti e la creazione in sua vece di un giardino all’italiana e, ovviamente, con il restauro ed una congrua destinazione funzionale delle ville ancora in mano pubblica.
In tal senso, il recupero di Villa Crosa Diana è atto illuminato che non può rimanere isolato; quanto attuato dimostra che il degrado non è necessariamente il finale obbligato per una storia che inizia con una
buona dose di indifferenza nei confronti delle testimonianze antiche e avrebbe potuto concludersi con la distruzione e il tracollo definitivo dell’edificio. Così non è andata. Se le scelte dei decenni, forse è meglio dire
del secolo passato, non sono rivedibili, molto può ancora operarsi per la valorizzazione di ciò che rimane, a
patto che sussista la consapevolezza dei valori che sono in gioco e di quanto conti per l’intera città il recupero di questo ambito di assoluto rilievo. Si potrà osservare che la vastità del nostro patrimonio impone scelte
e priorità nell’azione di salvaguardia e recupero; alla vieta obiezione, si può rispondere che, stanti le stravolgenti vicende della seconda metà del secolo scorso, alle quali pressoché nulla è scampato, oggi l’imperativo
dovrebbe essere il salvataggio e la valorizzazione di ciò che resta in una prospettiva di riscatto e riqualifica-
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
zione, architettonica ma anche civile, della città. Non serve molta fantasia per dire ciò che la restaurata villa
Crosa Diana aggiunge, di particolare e specifico, al panorama delle ville note (va aggiunto che fu impedito
agli schedatori del Catalogo delle Ville di accedere all’interno, tanto che le foto che ritraggono gli ambienti
sono, a tutti gli effetti, degli inediti) basterà accennare allo spalancarsi, superata l’angustia della via e la soglia d’ingresso, dello spazio-luce dell’atrio e (un tempo) del giardino in una prospettiva che si spingeva fino
al mare e il suo dilagare mediante lo scalone nell’ aereo loggiato superiore: un fluire continuo di ambienti,
un variare di prospettive e visuali che rendono dinamica la definizione manierista dei volumi “per blocchi”,
immettendola a pieno titolo nell’ illusività barocca, priva di limiti. Va infine osservato che il benemerito Catalogo delle Ville Genovesi del 1967, col suo repertorio illustrativo in bianco e nero, talora indispensabile,
sempre prezioso, appartiene ad un momento ormai chiuso dell’editoria e a modalità di ripresa del reale definitivamente tramontate.
Committenti, professionisti, funzionari dell’ ente di tutela, imprese, maestranze e restauratori hanno insieme lavorato perché il recupero fosse possibile e un tassello di un patrimonio comune non andasse perduto;
l’esito va oltre ogni aspettativa, dimostrando che le potenzialità degli edifici antichi sono sorprendenti, tali
da superare anche una brutale industrializzazione. Una particolare citazione compete innanzitutto all’Impresa Gennaro Costruzioni dei fratelli Egidio e Giancarlo, che ha operato dall’inizio alla conclusione dei lavori con sperimentata competenza, alla Bottega s.r.l di Giorgio Sanni e Giorgio Dagnino artefice dei decori
e di parte dei restauri, nonché alla Bottega del Restauro di Amalia Sartori, restauratrice delle partiture cinquecentesche. Disporre di uno spazio insolitamente ampio per l’analisi di un edificio cui, in una trattazione
generale, si dedicherebbero poche pagine è una sfida di metodo e l’occasione per rinverdire la veridicità del
detto che Dio si nasconde nei dettagli; il ricco bagaglio di immagini inedite che ne risulta fissa i nodi salienti di un edificio che, pur nelle non eccelse dimensioni e nonostante i pesanti impoverimenti subiti, mostra la
ragguardevole complessità e le molteplici sfaccettature di un capitolo, per niente secondario, del nostro patrimonio. Si coglie l’occasione per ringraziare Paolo Arduino, Alberta Bedocchi, Andrea Bozzo, Danilo Cabona, Giorgio Ceccarelli, Piera Ferrari, Maurizio Galletti, Luciana Langella, Madre Bianca Longeri, Giuliano Peirano, Francesco Petrucci, Alfredo G. Remedi, Giorgio Rossini, Luce Tondi.
Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
I
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
Il sistema delle ville
di Sampierdarena: da luogo
di delizie ad area produttiva.
L’asse storico di via Don Daste
S
criveva nel 1967 Grossi Bianchi: “Ma è a Sampierdarena dove l’associazione più frequente dei tipi
edilizi cinquecenteschi, presenti in tutte le loro varianti lungo un asse viario principale fiancheggiato da teorie di giardini, doveva dar vita ad un tessuto urbano di un livello civile così alto e di una così
ricca qualità, che poteva trovare un riscontro solo in grandi capitali barocche ed in particolare in alcuni celebri quartieri ella nobiltà parigina1.” Lo studioso si riferisce evidentemente all’attuale via Don Daste, l’asse
viario interno tuttora esistente lungo il quale si dislocano le costruzioni antiche, ma assai bene fa ad usare
l’imperfetto, in quanto l’impressione che si trae dagli edifici vetusti risulta così variata e stravolta dagli intasamenti edilizi sorti accanto, intorno e in mezzo, che si deve compiere un notevole sforzo di fantasia per ricreare un pallido riflesso dell’assetto originario. In pratica, accade come se, in un museo, nelle sale dedicate
al Cinquecento, in mezzo alle opere autentiche del periodo, si mescolassero alla rinfusa, opere contemporanee di infima qualità, ma estremamente ingombranti per dimensioni e impatto; è evidente che i riflessi percettivi negativi impedirebbero di cogliere anche quanto di autentico ed eccezionale ancora sussiste. Oltre a
ciò, è mutato tutto l’ambiente intorno, anche in senso più propriamente naturalistico; l’armonioso rapporto
tra insediamenti di villa, giardini, coltivi e il mare ha lasciato il posto alla edificazione massiva che ha annullato pressoché ogni respiro e risparmiato, in molti casi almeno, solo le costruzioni antiche o parti delle stesse, alterandone comunque, in via definitiva, ogni rapporto con l’esterno e con lo spazio circostante. Osservava Ezia Gavazza: “Totalmente soffocata dalle costruzioni circostanti che ne hanno snaturato, già a partire
dalla fine del secolo scorso, il suo originario aspetto di edificio collocato tra il mare e un immenso giardino
a monte, mutata nella sua struttura essenziale... la Villa Spinola di San Pietro è ben lontana non solo dalla
sua primitiva sistemazione architettonica, ma anche da quella che ancora nel secolo scorso la poneva in posizione di preminenza in uno spazio aperto2”. La dinamica illustrata vale purtroppo per quasi tutte le ville
del comprensorio di Sampierdarena e documenta un processo di accrescimento urbano totalmente irrispettoso delle preesistenze antiche; l’indifferenziato accostamento di edifici moderni e”funzionali” alle testimonianze storiche è dovuto in parte a ragioni speculative pure e semplici, in parte alla volontà di esibire, per dir
così, la propria adesione alla contemporaneità, sempre ad una grave mancanza di progettualità urbanistica
(termine, in Italia, quasi sempre usurpato) e architettonica.
L’asse stradale di via Don Daste, un tempo intitolato a Sant’Antonio, che diventa un quartiere residenziale
nobiliare di villeggiatura, in analogia e sostanziale contemporaneità con Strada Nuova nel centro cittadino,
trova giustificazione nella sua natura di tracciato viario antico, parallelo di fatto alla linea di costa e alla
celebre spiaggia, che poteva prestarsi a innervare questa serie di splendide costruzioni, i loro giardini e gli
spazi verdi di pertinenza, in una dimensione urbanistica almeno quanto paesaggistica (fig. 1). Purtroppo,
quest’ultimo aspetto è il più difficile da ricomporre a fronte delle stravolgenti modifiche intervenute; esso va
comunque tenuto presente perché, in caso contrario, non si spiegherebbero talune macroscopiche deroghe
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
1
Via Daste da levante
11
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
2
Villa Imperiale Scassi,
Veduta dal Gauthier
3
Sampierdarena in una
stampa del XVII secolo,
Coll. Privata
4
Pianta del Soborgo
di Sampierdarena…
formata…l’anno 1757,
(firmata) Matteo
Colonnello Vinzoni
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
5
Commissariato della
Sanità di Sampierdarena
(firmato), Matteo
Colonnello Vinzoni
alla disposizione e all’allineamento degli edifici, basti considerare, ad esempio, quanto accade con villa Grimaldi la “Fortezza”, che offre alla strada il fianco nord ed apre il prospetto a est, sorgendo per di più su un
alto podio, che in parte guadagna il dislivello che esiste tra il suo sedime e quello di villa Imperiale Scassi, la
“Bellezza”. Si deve inoltre considerare che l’asse di via Daste costituisce una sorta di cerniera in quanto segna
il passaggio dall’area pianeggiante che si spingeva, a mare, fino alle case prospicienti la riva e la spiaggia a
quella, a monte, su un terreno in notevole ascesa, lungo le pendici della collina di Belvedere (figg. 2, 3, 5, 6).
La Pianta del Soborgo di Sampierdarena in cui sono segnate tutte le Strade Palazzi Case Giardini e Ville con
loro Confini e Acquedotti formata per ordine dell’Illustrissimo Magistrato de Padri del Comune l’anno 1757
per il riaccomodo di dette Strade per dar esito all’Acque che inondano le stesse alla cura del pref. Ill. Magistrato
commessa dalla legge del 1481 firmata dal Colonnello Matteo Vinzoni (fig. 4), dice, oltre alla serietà tutta
ancien régime dell’elaborato, per cui nel 1757, si ritiene cogente una legge del 1481, l’estensione delle proprietà
delle principali famiglie nobiliari titolari di questi insediamenti di villa, che sono aziende produttive a tutti
gli effetti, di supporto alla vita di città e certo anche al reddito delle casate protagoniste e detentrici. Sappiamo che tali estratti topografici servivano tra l’altro a conteggiare i contributi di miglioria, presiedendo al
riparto delle spese sostenute dalla mano pubblica per opere di utilità anche privata. Nello stesso elaborato, i
proprietari sono contrassegnati dagli appellativi in uso, corrispondenti ai livelli di nobiltà posseduti: vi sono
così i Signori, i Serenissimi e i Magnifici, sono altresì riportati i possedimenti delle parrocchie (i Domenicani
di San Giacomo di Cornigliano e gli Agostiniani di Nostra Signora di Belvedere) nonché quelli del Magistrato degli Incurabili o di quello dei Poveri: i Magnifici Crosa, oltre alla villa di cui ci occuperemo, segnata in
modo perfetto col lungo lotto del giardino che si spinge a mare fino alla proprietà del Sig. Stefano Cambiaso,
il quale deteneva la costruzione sorgente a ridosso del lido marino, possedevano la villa di Salita Belvedere,
Crosa De Franchi, e due ampi appezzamenti in sponda destra e sinistra del torrente Polcevera, praticamente
alla foce dello stesso corso d’acqua, la cosiddetta Fiumara, con ogni probabilità dedicati alla manifattura
della seta, con cui la famiglia aveva accumulato le sue notevoli ricchezze.
6
Sampierdarena ripresa
dalla punta della Lanterna
alla fine del secolo XIX
13
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
Le residenze di villeggiatura
Si ritiene imprescindibile, dare brevi ed essenziali notizie sui principali capitoli di questo florilegio di residenze di villeggiatura, a cominciare da quelle citate e riprodotte nelle incisioni dei Palazzi di Genova di
Rubens, nell’edizione di Anversa del 1652 -menzione di rilievo davvero non comune- e cioè la villa Spinola
di San Pietro, la villa Grimaldi, “la Fortezza” per includere poi villa Imperiale Scassi, “la Bellezza” e la Centurione detta “il Monastero”; a queste, sembra il caso di aggiungere una nota su villa Doria Pavese per il suo
eccezionale ninfeo e qualche cenno sulle restanti.
7
Villa Spinola di san Pietro,
pianta da Rubens
8
Villa Spinola di san Pietro,
facciata da Rubens
9
Villa Spinola Giovanni
Carlone, ‘Imprese di
Megollo Lercari’
10
Villa Spinola Giovanni
Andrea Ansaldo, ‘Il Mito
di Perseo’
14
Villa Spinola di San Pietro: eretta subito dopo la metà del secolo XVI, per gli Spinola duchi di San Pietro in
un ambito naturalisticamente intatto e destinato alla villeggiatura estiva, compare nelle incisioni di Rubens
come palazzo C (figg. 7,8); il prospetto ne mostra la facies cinquecentesca, con profonda loggia al piano terreno
e due logge angolari al piano superiore; l’edificio era circondato a monte da un giardino vastissimo, a mare,
da una corte d’onore; nel 1625, come recita l’iscrizione intorno all’arco di ingresso alla villa, Giovanni Battista
Spinola,sposo di Maria Spinola, di un altro ramo della famiglia e sorella del celebre Ambrogio, operò profonde
trasformazioni che restano documentate nei rilievi ottocenteschi del Gauthier; in particolare, furono chiuse le
logge al piano terreno e al primo piano e aggiunti due corpi porticati a monte. I cicli decorativi interni fanno di
questo edificio uno dei più alti esempi di celebrazione encomiastica di una casata che Genova annoveri3: al piano
terreno, sussiste la decorazione della volta di una sala col ‘Ratto di Elena’ di Bernardo Castello, mentre, al piano
superiore, si alternano affreschi di Giovanni Carlone con le ‘Imprese di Megollo Lercari’ e di Andrea Ansaldo con
le ‘Gesta di Ambrogio Spinola’ e col ‘Mito di Perseo’, in una suggestiva contaminazione di storia dinastica, storia tout court e mitografia classica, sempre finalizzata all’esaltazione della grande famiglia genovese (figg. 9, 10).
L’esemplare sistemazione critica degli affreschi, operata da Gavazza una trentina di anni or sono, alla luce
della naturale evoluzione del discorso e di alcune recenti acquisizioni di cicli ritenuti perduti4, può essere in
parte precisata riferendo al solo Giovanni Carlone l’intera decorazione del salone con le ‘Imprese di Megollo
Lercari’ e all’Ansaldo quelle di Ambrogio Spinola e le ‘Storie di Perseo’, evitando di ipotizzare una commistione di mani nello stesso ciclo, evenienza non frequente in una razionale divisione di compiti e in un complesso
decorativo così impegnativo e prestigioso. Infine, un solo cenno alle tavole del Gauthier, (figg. 11, 12) per misurare la distanza con l’assetto originario della villa e lo scempio perpetrato.
Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
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Villa Spinola di San Pietro, pianta dal Gauthier
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Villa Spinola di San Pietro, sezione dal Gauthier
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
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Villa Grimaldi “la Fortezza”, pianta del piano nobile da Rubens
Villa Grimaldi “la Fortezza”, facciata da Rubens
Villa Grimaldi “la Fortezza”. L’edificio è posto in vicinanza delle ville Imperiale, “la Bellezza” e Sauli “la
Semplicità”, con cui faceva sistema, pur eccettuandosi dalle costruzioni vicine per il suo impostarsi su un
alto basamento e per l’orientamento e l’accesso non subordinati alla via, ma indipendenti e a questa perpendicolari. È stato Mario Labò a precisare che l’architetto della villa non fu Galeazzo Alessi ma Bernardo Spazio, del Canton Ticino, che aveva lavorato con Alessi nel cantiere della Basilica di Carignano, attivo anche
nella vicinissima villa Sauli, “la Semplicità”, mentre le decorazioni a stucco si devono a Giovanni Battista
Castello detto il Bergamasco e a Giovanni Battista Perolli; con la morte di Spazio, nel 1564, il cantiere fu
proseguito da Giovanni Ponzello. Giovanni Battista Grimaldi, che divideva col fratello Nicolò il primato
tra gli uomini più ricchi della Repubblica, fu committente oltre che della villa anche del palazzo detto della
Meridiana, posto nelle immediate vicinanze di Strada Nuova5 tra i più sontuosi della città, decorato in parte
dagli stessi artisti, ma con l’apporto eccezionale di Luca Cambiaso. La villa è inserita nel novero di quelle
pubblicate da Rubens (Figg. 13, 14 e 15) che proprio qui aveva soggiornato nel 1607, al seguito del Duca di
Mantova. Straordinarie le dimensioni del volume della fabbrica e del salone centrale, privo di decorazioni,
che sintetizza un impianto architettonico unico nel pur ricco panorama genovese; proprio la severa e spoglia qualità degli ambienti dice quanto lo Spazio sia debitore all’Alessi della villa Giustiniani Cambiaso in
Albaro, di una decina di anni prima ed anche le decorazioni a stucco bianco delle loggia, dovute ad Andrea
da Carona, raffiguranti ‘Divinità marine’ e il ‘Carro di Nettuno’ tra motivi a cassettoni, esaltano l’essenziale
definizione degli spazi; sui cicli di affreschi, forse dovuti al Perolli col probabile intervento del Bergamasco
in parte scialbati, poco si può dire dato lo stato conservativo non buono che riflette quello della villa, di
proprietà comunale e ormai dismessa anche come sede scolastica. La situazione di villa Grimaldi è una delle
emergenze conservative più drammatiche del sistema del nucleo di edifici antichi di Sampierdarena e meriterebbe azioni mirate di recupero che purtroppo non sono, al momento, neppure ipotizzabili (fig. 16).
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
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Villa Grimaldi “la Fortezza”, prospetti nord e ovest
16
Villa Grimaldi “la Fortezza”, prospetto est
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
Villa Imperiale Scassi “La Bellezza”. Terza tra le ville Grimaldi e Sauli, in posizione ancora più centrale e con
un immenso giardino alle spalle che sale sulle pendici della collina, la villa Imperiale godeva forse della migliore posizione paesaggistica del borgo e dava vita con le ricordate costruzioni ad un insieme di rara e perduta
armonia; tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo scorso, gli edifici sorti intorno hanno irrimediabilmente
alterato l’ambito della villa, falsandone i rapporti e le proporzioni; infine, il taglio della Via Cantore ha finito
con l’isolare il giardino dal palazzo, mentre la crescita caotica e casuale della città ha trasformato quest’ultimo
in un verde attrezzato (standard urbanistico) che nulla ha a che vedere con un giardino storico, la sua natura e le
esigenze conservative. Committente fu Vincenzo Imperiale, che negli stessi anni fa erigere in piazza Campetto
il suo magnifico palazzo urbano, con fronte convessa e decorazioni di Cambiaso, del Bergamasco e di Andrea
Ansaldo e che si mostra attento e aggiornato sulle novità in campo artistico e delle stesse raffinato intenditore.
Anche villa Imperiale Scassi deve essere inserita nel novero delle costruzioni germinate dal filone alessiano, ed
è riferita, sulla scorta di Alizeri, a Domenico Ponzello, coadiuvato dal fratello Giovanni; uno scultore, Giacomo Guidetti riceve commissione per portali, mensole, balaustre, mentre il ricordato giardino si arricchisce di
ninfei, fontane e sculture, ormai quasi del tutto dispersi o distrutti. La fase decorativa dell’edificio si colloca
circa quarant’anni anni dopo la costruzione; le decorazioni ad affresco si devono a Bernardo Castello (1602)
e Giovanni Carlone, mentre un ruolo importante e strettamente connesso con l’architettura è attribuibile al
plasticatore Marcello Sparzo, figura rilevante anche nei confronti di taluni edifici di Strada Nuova, come il Palazzo di Baldassarre Lomellino6, qui esecutore di stucchi complementari agli affreschi o costituenti una sorta di
17
Villa Imperiale Scassi,
prospetto principale
19
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
commento plastico al maestoso svolgersi dei volumi architettonici,
in particolare dello scalone (figg. 17, 18, 19). Va infine ricordato che
la villa compare nell’Architectura Civilis… di J.Furttenbach, edita a
Ulm nel 1635. In anni recentissimi (2009) si sono restaurati i due
prospetti a nord e ad est e si sono compiuti lavori di adeguamento
alle normative di sicurezza che hanno consentito il riutilizzo scolastico del compendio, migliore comunque dell’abbandono totale; in
tale occasione, è stato completamente recuperato il grande salone
al piano nobile, con affaccio sul giardino a nord che presenta una
severa ed elegante decorazione neoclassica a monocromia, vicina ai
modi di Michele Canzio, attribuibile al momento in cui la villa passa
in proprietà di Onofrio Scassi, anatomo patologo di vaglia e amante
dell’arte, noto anche per un ritratto di Santino Tagliafichi7 (figg. 20,
21, 22).
18
Villa Imperiale Scassi, scalone con statua in stucco di Marcello Sparzo
19
Villa Imperiale Scassi, atrio superiore con affreschi di Bernardo
Castello e stucchi di Marcello Sparzo
20
Villa Imperiale Scassi, salone con decorazioni neoclassiche
(restauri del 2009)
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
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Villa Imperiale Scassi, mascherone di un ninfeo del giardino
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Villa Imperiale Scassi, ninfeo del giardino
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
23
Villa Sauli “la Semplicità”,
prospetto principale
22
A Villa Lercari Sauli, la “Semplicità”, costruita nella seconda metà del Cinquecento e che nel 1598 accolse
Margherita d’Austria, moglie di Filippo III di Spagna, si dedicano solo due righe in ragione della devastante
trasformazione subita in alloggi e appartamenti popolari, che nulla conservano dell’assetto antico; nemmeno i prospetti possono ritenersi completamente salvaguardati (fig. 23).
Villa Doria Pavese delle Madri Franzoniane. Collocata in modo da godere della vista del mare, la villa presenta un impianto della metà del secolo XVI,con corpo centrale e due ali laterali verso la strada, e resti di una
grande loggia al piano nobile, successivamente tamponata. Molti vani interni conservano decorazioni ad affresco, declinate secondo tipologie e iconografie in auge all’epoca; in particolare sono raffigurati temi biblici;
Grossi Bianchi ipotizza che i soggetti pagani non abbiano beneficiato della medesima indulgenza e siano stati
scialbati o rimossi e si spinge a individuare una ‘Diana cacciatrice’, debitamente trasformata, nell’angelo posto sul fastigio della chiesa dedicata a Maria Sedes Sapientiae, eretta da Angelo Scaniglia, architetto sampierdarenese, a completare il complesso, nel 1822. Un’imponente torre a sei piani rivela un assetto difensivo del
complesso, oggi non agevole a comprendersi, ma ricorrente per fabbriche isolate e facilmente raggiungibili dal
mare. Il giardino, come già quello di villa Imperiale Scassi, ha subito decurtazioni e perdite a seguito dell’apertura di via Cantore (figg. 24, 25, 26) lungo la quale si dispone il corpo di fabbrica destinato a edificio scolastico
costruito nel 1935. Nell’ambito del giardino, è posto il ninfeo a grotta, che rappresenta una delle più compiute espressione di tale tipologia, eccezionale per la complessità dello schema planimetrico, ma soprattutto per
la straordinaria raffinatezza delle incrostazioni polimateriche di cui si compongono le decorazioni: paste vitree, gocce di ceramica smaltata, cristalli di calcite, ciottoli di selce di dimensioni minutissime, tessere dorate,
vere conchiglie, stalattiti, concrezioni naturali e coralli. Non si concorda affatto con la qualifica di rustica attribuita alla grotta nel Catalogo delle Ville; si è qui in presenza, al contrario, di una delle più stupefacenti realizzazioni di questa tipologia, oggi non pienamente godibile solo per il suo stato conservativo, assai precario.
Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
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Villa Doria Pavese Madri Franzoniane, plastico di Sampierdarena
degli alunni della Scuola Media Statale (prof. G. Mazzarino)
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
Palazzo o Villa Centurione detta il “Monastero”. Il nome si deve al monastero femminile di suore benedettine riformate sorto sul sito nel XIII di cui sopravvive il chiostro, inglobato nella fabbrica cinquecentesca
e nel suo ampliamento ottocentesco e rimesso in luce, in parte, nel 1912 . Verso la fine del XVI secolo, sul
sedime e sui resti del convento, soppresso nel 1544, Barnaba Centurione edifica l’imponente costruzione,
in posizione eccezionale, prossima al lido marino e ai restanti edifici a mare. L’imponenza dell’edificio si
traduce in una complessa e impegnativa decorazione, affidata a Bernardo Castello, uno dei pittori più celebri
e quotati della scuola locale; Caraceni ritiene che il pittore sia stato lasciato libero di scegliere i temi delle
decorazioni; ciò suona piuttosto improbabile, ma certo i soggetti sono del tutto in linea con la sensibilità dell’
artista, che qui raggiunge l’apice delle sue potenzialità espressive; l’atrio presenta il riquadro con ‘Erminia tra
i pastori’ (fig. 27) dalla Gerusalemme Liberata del Tasso, la cui edizione genovese del 1590 il Castello illustrò
con le sue incisioni8; nello scalone, è narrata la favola di ‘Perseo e Andromeda’, mentre il mito di Diana e
precisamente ‘Diana e Callisto’ occupa la volta di un salone contiguo; seguono le storie della ‘Guerra giugurtina’ e ‘Storie bibliche di David’. Come si vede, un complesso celebrativo di grande coerenza concettuale e
stilistica in uno degli edifici più rappresentativi della delegazione. Rimasto in proprietà dei Centurione fino
al1853, fu poi lasciato dal gesuita Mons. G.B. Centurione agli Ospedali Civili e infine acquisito dal Comune,
tuttora proprietario ed adibito a scuola, a biblioteca e Università Popolare9.
Villa Serra Monticelli, via Daste 34. Risale alla metà del secolo XVI e si presenta verso la via come un
volume austero e chiuso, ravvivato da un portale a bugne in pietra di Finale; a sud, invece, la struttura, murata e oggi parzialmente stamponata, godeva di un’ampia vista sul mare; ad est, erano situati il giardino, poi
occupato da uno stabilimento industriale e una torre, anch’essa profondamente trasformata. Le decorazioni
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Villa Doria Pavese
delle Madri Franzoniane,
ninfeo, particolare
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Villa Doria Pavese
delle Madri Franzoniane,
ninfeo, particolare
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
interne, che si estendono al salone e a vari salotti, sono dovute, verosimilmente, ai fratelli Calvi e rappresentano le ‘Fatiche di Ercole’ ed ‘Ercole accolto nel concilio degli Dei ’. Passata, circa un decennio or sono, di
proprietà, la villa è stata adibita ad appartamenti e uffici, mentre i suoi cicli decorativi sono stati oggetto di
restauro conservativo e valorizzati dall’eliminazione di svariate sovrastrutture (fig. 28).
Villa Centurione Carpaneto (fig. 29), costruita nei primi decenni del Seicento per Cristoforo Centurione,
appartiene alla famiglia ancora nel 1757 per poi passare, nel 1859, ai Tubino e, nel 1875, ai Carpaneto. La disposizione planimetrica della villa fa riferimento alla tipologia prealessiana, con una successione paratattica
di ambienti, cui è annessa una robusta torre; il complesso era in origine dotato di un vasto lotto di terreno,
esteso fino alla palazzata a mare. La villa è di fatto posta al centro di direttrici di percorsi all’origine di un
sistema viario che vede, alla metà del Settecento, l’apertura della nuova strada Reale per Torino; mentre a
metà Ottocento, con la costruzione della ferrovia e della via Vittorio Emanuele, il giardino di pertinenza dell’edificio risulta pressoché distrutto. Anche gli spazi laterali e antistanti il compendio sono stati azzerati per
il tracciamento della via Cantore (1932-34) e della Piazza Montano. Luigi Centurione, nel 1623, commissiona
a Bernardo Strozzi la decorazione di tre sale con ‘Storie di Enea e Didone’, ‘Orazio Coclite’ e ‘Marco Curzio
che si getta nella voragine’, cicli tra i più rilevanti della pittura genovese del periodo e, stante la perdita, per
le pessime condizioni conservative, di quelli del Palazzo di Branca Doria, unici dipinti murali superstiti del
Cappuccino, fino al ritrovamento degli affreschi di Palazzo Lomellino di Strada Nuova (2004). Il rifacimento
novecentesco del prospetto sulla piazza rende difficile la lettura tipologica della villa e impossibile la restituzione, anche solo in via ideale, del suo ambiente naturale originario; sopravvive, decontestualizzato, il bel
portale a bozze di diamante in pietra di Finale.
27
Villa Centurione
“il Monastero”,
Bernardo Castello,
‘Erminia tra i pastori’
28
Villa Serra Monticelli,
il portale di accesso
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
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Villa Centurione
Carpaneto, plastico
di Sampierdarena
degli alunni della
Scuola Media Statale
(prof. G. Mazzarino)
28
Villa Crosa De Franchi “Istituto Antoniano” Salita belvedere 15, ospita l’orfanotrofio femminile Antoniano del canonico Annibale di Francia; documentata nel XVII secolo come appartenente alla famiglia eponima, sorge su un terreno in forte pendenza che sale fino al Santuario di N.S. di Belvedere. La villa era dotata di
ampio appezzamento di terreno, destinato a coltivi; a causa del suolo fortemente acclive, ha collegamenti con
l’esterno a varie quote e, nel giardino nord, al livello superiore, è visibile un ninfeo contenuto in una nicchia.
Rilevanti le modifiche ottocentesche e non poche le incongrue interpolazioni recenti.
Facendo ancora riferimento alla planimetria del Vinzoni, relativa al Soborgo di Sampierdarena, si osserverà che la frammentazione della proprietà del suolo è indice, come osserva Cevini,10 delle ridotte dimensioni
delle aziende agricole e della loro alta produttività; l’ elaborato cartografico chiarisce inoltre come una parte
non trascurabile dell’economia genovese fosse affidata alla conduzione agricola del suburbio, attività ovviamente complementare a quella mercantile e trasportistica del porto e a quella finanziaria, la più redditizia,
appannaggio della ricca aristocrazia. Tale sistema è evidentemente legato ad un assetto stabile (leggasi immobile) del territorio e della società; a questo erano funzionali le poche vie pubbliche di collegamento per
l’Oltregiogo e quelle, ancora più frammentarie, del tracciato litoraneo da e per le riviere. È altrettanto evidente che i mutamenti sociali ed economici (e l’Ottocento ne avrebbe prodotti in quantità), in conseguenza
dei quali era inevitabile il potenziamento della rete stradale e l’introduzione della ferrovia, sarebbero stati
destinati a incidere profondamente sul territorio e sull’assetto sociale, in coincidenza con l’avvento della
rivoluzione tecnologica e industriale della modernità. Nel 1856, è inaugurata la ferrovia Genova -Voltri, (poi
proseguita fino a Savona) che, come osserva Cevini, ha un risvolto economico modesto ma un peso promozionale forte nei confronti di località come Cornigliano e Pegli, dal notevole appeal turistico. Certamente,
le ripercussioni nei confronti del tessuto storico delle ville sampierdarenesi fu devastante, basti considerare
che la linea Genova-Torino, asse portante del sistema ferroviario genovese, attraversa Sampierdarena tutta in
Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
elevato su un viadotto ad arcate (per singolare coincidenza, sono iniziati proprio mentre si scrivono queste
note - maggio-settembre 2011 - i restauri del viadotto lungo la Via Buranello). La risultante del processo può
riassumersi nella distruzione dell’assetto di un ampio territorio di splendida e antica urbanizzazione; Sampierdarena paga il prezzo più alto alla modernizzazione rappresentata dalla strada ferrata; il tessuto a giardini e coltivi di pertinenza delle ville è oggetto di un’edificazione a tappeto, che avrà come asse principale la
via Vittorio Emanuele (oggi Buranello) che fiancheggia il viadotto, in un’operazione di fatto gestita e diretta
dall’Azienda Generale delle Strade Ferrate, unica referente dell’intervento (figg. 29, 30).
L’impatto del viadotto ferroviario sulla delegazione di Sampierdarena risulta grande e irreversibile: prima
tappa verso la conversione industriale del ponente genovese, che infatti non mancherà di verificarsi con la
dislocazione delle principali fabbriche tra questo ambito, Cornigliano e Sestri Ponente, sede dei principali
opifici e dei cantieri navali. Dato il taglio particolare dello studio, che si incentra su una villa del comprensorio sampierdarenese, non si divagherà oltre sul destino industriale del ponente genovese, ma non ci si può
esimere dal considerare l’evoluzione futura e complessiva della delegazione, che, come è noto, avrà in sorte
l’estensione del porto, deciso con una serie di Regi Decreti dal 1923 al 1933 ed in particolare con la legge
Albertazzi (R.D. n. 321 del 6/2/1927 convertito nella legge 2693 del 29/12/1927) ed attuato con la disposizione
a pettine dei moli, contrassegnati dai nomi delle colonie africane del fascismo e del suo Impero. Il bacino di
Sampierdarena risulta edificato a partire dagli anni Venti del Novecento, mentre del 1916 è il progetto CoenCagli del porto dal Bisagno al Polcevera11. Ad un insediamento di tale impatto, corrisponde una sistemazione viabilistica che vede la costruzione della Camionale (inaugurata il 29 ottobre 1935), della Via di Francia
(1929) risultante dallo spianamento del Promontorio di san Benigno e della via Cantore, già ricordata, responsabile della scissione tra la villa Imperiale Scassi e il suo parco. Si ha così la definitiva separazione del litorale dal borgo e la massiccia trasformazione delle aree ancora libere in case di abitazione per i lavoratori del
porto e delle industrie e in capannoni per attività produttive o di stoccaggio delle merci. Un lucido disegno
sociale e urbanistico di questa fase di grande espansione è contenuto nella relazione di accompagnamento
alla proposta del porto di ponente di Carlo Canepa, che, letta a posteriori, suona come guida illustrativa di
ciò che si è realizzato in quegli anni; l’ottimismo che ne traspare e la corrispondente fiducia nel progresso
sono in effetti da indicare come i sentimenti prevalenti di queste età di sviluppo, anche se mai si insinua, nei
pur logici ragionamenti, un dubbio di metodo o di merito sulla reale natura del processo, sui suoi sviluppi
ultimi e sulle sottaciute, ma fin da allora presenti e ineliminabili, criticità.
30
Via Buranello,
viadotto ferroviario
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Il sistema delle ville di Sampierdarena: da luogo di delizie ad area produttiva. L’asse storico di via Don Daste
II
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
La villa: tipologia, caratteri,
decorazione. Le vicende storiche
L
a ricordata scheda di Grossi Bianchi su villa Crosa, nel Catalogo delle Ville del 1967, contiene pochi
elementi, peraltro corretti, di inquadramento storico e architettonico; non vi sono seri dubbi sull’origine cinque-secentesca del complesso, né sulle trasformazioni successive che sembrano collocarsi essenzialmente nei secoli XVIII e XIX, a giudicare dall’assetto decorativo che residua, oggi recuperato da un meritorio e sapiente restauro, di cui si dirà12. L’impianto fondamentale dell’edificio è dato da un corpo più alto e di
notevole sviluppo longitudinale che si dispone lungo l’asse stradale di via Don Daste (già via Sant’Antonio) e da
un corpo più basso a questo perpendicolare, talché, la costruzione assume un andamento a T rovesciata; al di là
di questo corpo che accoglie l’atrio sud, lo scalone e la loggia, in origine aperta su tre lati, si disponeva il giardino che raggiungeva, a mare, la proprietà confinante di Stefano Cambiaso, posta lungo l’arenile (figg. 31,32,33).
La natura urbanizzata del sito fa pensare che vi fossero preesistenze ed un tramato viario in certo senso invalicabile, tanto che, lateralmente, la villa non ha sbocchi di sorta, ma resta confinata come un palazzo di città, o
meglio, ha sul lato sinistro una strada vicinale, il vico stretto di sant’Antonio, che doveva evidentemente consentire il transito fino al litorale; certamente, l’ampia distesa di giardini, coltivi e del mare in distanza, faceva
sì che la percezione tipologica della villa fosse ben più netta di come appare al giorno d’oggi (figg. 34,35,36). Il
tema della rigorosa distinzione tipologica tra villa, palazzo di villa e palazzo di città è tuttora oggetto di dibattito, se la stessa Strada Nuova, lottizzazione certamente urbana, allinea una serie di palazzi che, soprattutto lungo il lato a monte, hanno cornici verdi di tutto rispetto, non inferiori a quelle di molte ville, mentre uno, Palazzo Grimaldi Doria Tursi, di giardini ne ha due laterali e uno, oggi perduto, retrostante. Lo stesso testo di Pietro
Paolo Rubens I Palazzi di Genova non distingue tra palazzi e ville mentre dobbiamo riconoscere che il modo
di abitare alla moderna, deve alla tipologia della villa non pochi degli elementi più innovativi e caratterizzanti, soprattutto se si pone mente alla distanza siderale che separa le costruzioni del suburbio dal tessuto denso e
compatto del centro storico genovese, in cui i pur grandiosi palazzi nobiliari, riedificati su accorpamenti di lotti antichi, vivono in ambiti chiusi, di scarsissimo respiro ambientale. Sono in ballo, come si capisce, due concezioni dell’abitare di valenza assai diversa; qui vige, senza dubbio, la tipologia della villa, che non sembra aver
avuto, nel caso di specie, in dotazione una grande estensione di giardino e verde ortivo, ma che era caratterizzata dall’essere inserita in un cornice più ampia di verzura e in una dimensione ambientale di particolare fascino e attrattiva.
L’unica traccia documentale per ricostruire idealmente la parte del giardino adiacente alla villa, a sud, è
rappresentata da una fotografia di inizio Novecento (figg. 37, 38), recante il titolo Prospetto della fabbrica, in
cui la facciata a mare della costruzione, debitamente fregiata della scritta : Stabilimento Conserve Alimentari
Massardo Diana & C.,13 è preceduta dal giardino di cui è dato apprezzare la bella vasca polilobata settecentesca
con putto alato al centro, forse Eros, il vialetto che conduce alla costruzione tra siepi, alberi ad alto fusto e
due (di quattro) statue coeve, verosimilmente rappresentanti le ‘Stagioni’. Lo schema è assolutamente tipico,
32
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
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32
Villa Crosa Diana, piano fondi e piano terra
Villa Crosa Diana, piano nobile e primo ammezzato
(rilievo Studio Polastri Tomasinelli)
(rilievo Studio Polastri Tomasinelli)
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Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
33
Villa Crosa Diana, sezioni
(rilievo Studio Polastri Tomasinelli)
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La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
si vorrebbe dire proprio, in particolare, dei giardini delle ville prospicienti il mare e basti riferirsi alla villa
Durazzo Bombrini a Cornigliano, che presenta tuttora un impianto consimile, sia pur di dimensioni più ampie,
in un contesto parimenti alterato. L’ambito del giardino non è agevole da indagare nella vecchia fotografia,
benché essa sia molto intrigante; a destra, si intravedono strutture certo funzionali alla produzione, così come
sul lato destro (visto dal giardino) del prospetto del corpo centrale più alto svetta la ciminiera per l’esalazione
dei fumi delle cotture dei cibi da conservare. Altra esile testimonianza è una seconda fotografia (fig. 39) storica
in cui si coglie un alto e scabro muro intonacato, non dissimile da quelli delle numerose crose del borgo, che
chiudeva, si presume lateralmente a est o ad ovest, il giardino, confermando l’intuizione che il lotto di verzura
fosse nettamente confinato ai lati. Si deve immaginare che la rimozione del giardino a mare sia stata agevolata
dalla sua semplicità d’impianto e dalla planarità dell’area; si trattava di uno spazio naturale e simbolico al tempo
stesso, contenente l’essenziale per la ricreazione della natura sub specie artis o artificii Lo spazio antistante
34
Villa Crosa Diana, bozzetto
per il restauro della facciata
(La Bottega s.r.l.)
35
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
35
Villa Crosa Diana, bozzetto
per il restauro del prospetto sud-est
(La Bottega s.r.l.)
36
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
36
Villa Crosa Diana,
bozzetto per il restauro del prospetto sud-est
(La Bottega s.r.l.)
37
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
37
Il giardino in una fotografia
dei primi decenni del
Novecento (Biblioteca
Civica F. Gallino, Album
Massardo Diana &C)
38
cancellata di acceso al
giardino
39
fotografia storica, il muro
di cinta del giardino con le
“lavoranti delle sardelle”
(Biblioteca Civica F.
Gallino, Album Massardo
Diana &C)
38
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
40
un vano ipogeo
41
un vano ipogeo
il prospetto sud si qualificava, anche nel caso di villa Crosa, come l’antiporta del giardino e assumeva una
valenza particolare, scenografica e teatrale. È del tutto credibile che le sculture, ma anche la bordura della vasca
siano state rimosse e poi disperse, non certo distrutte, anche se una loro identificazione appare poco probabile;
senza dubbio, il loro allontanamento ha segnato l’inizio della fine dell’utilizzo proprio, cioè residenziale, del
complesso.
Villa Crosa Diana insiste su un piano fondi voltato di notevole perizia costruttiva, atto ad isolare lo stesso
livello terreno dall’umidità di risalita e dalle vicende alluvionali che, come apprendiamo dalla legenda della
planimetria del Vinzoni, erano frequenti e periodiche nel 1757, ma verosimilmente anche prima e dopo; i vani
ipogei servivano a contenere derrate e ospitavano magazzini e locali di servizio nell’ottica di una organizzazione
funzionale complessa come era quella delle ville (figg. 40, 41). La salubrità della costruzione, ottenuta impostando
la fabbrica su strutture voltate e non direttamente sul terreno, è all’origine della complessiva conservazione
dell’immobile anche durante il periodo del più profondo degrado di cui si dirà.
Il portale, di nobile semplicità, è affiancato da due grandi finestre protette da inferriate che consentono la
visione dell’atrio e l’introspezione del pubblico nello spazio privato; questi elementi, non ancora sufficientemente
indagati, appartengono però con certezza al repertorio tipologico cinquecentesco e compaiono, ad esempio
in palazzo Grimaldi Doria Tursi (Municipio); la loro presenza è forse dovuta al desiderio di mantenere una
39
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
40
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
dimensione, in certo senso pubblica, al piano terreno dell’immobile e una sorta di facoltà di controllo su
ciò che si svolgeva all’interno, in una dialettica, evidente anche se oggi non del tutto chiara, tra dominanti
e dominati (fig. 42).
Appena varcata la soglia, ci si trova nel primo atrio o androne nord, contrassegnato da due colonne
marmoree che precedono le due rampe simmetriche, di cui una, la sinistra, prosegue al piano superiore
fino a sfociare nella grande loggia coperta e aperta da cui si doveva dominare un vasto panorama fino al
mare; allineati alle colonne, sono posti due pilastri in pietrame e mattone intonacati, che evidentemente
sono destinati a sorreggere un carico maggiore ed immettono nel secondo atrio o androne sud, che si apriva
sul giardino e ripropone in modo simmetrico e speculare la partitura dell’ingresso (fig. 43). È uno spazio
di insolita vastità, dominato dalla diffusa luminosità proveniente da sud e scandita dai rigorosi elementi
architettonici presenti nei vani tra cui le lesene doriche o tuscaniche e le due grandi volte lunettate degli atri;
si osserverà che l’effetto di trasparenza e di controluce è accentuato dal triforio, di alessiana memoria e dalle
doppie balaustre delle scale, che si ritagliano a jour sullo sfondo, effetto certamente voluto e tale da ribadire
il senso della continuità dello spazio (figg. 44, 45)14.
Le membrature dall’insolito rigore e le profilature multiple delle lesene sembrano più tarde rispetto
all’impianto originario della villa e si ritiene possano risalire ai primi decenni del Seicento15; viene il dubbio
che il corpo di fabbrica più basso, includente l’androne sud e lo scalone, sia frutto di un addossamento e di un
42
Il portale principale
affiancato da finestre
43
L’atrio dall’ingresso
principale
41
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
44
L’atrio dall’androne sud
45
Pilastro dell’atrio e rampa
di scale a ovest
42
ampliamento successivi, in quanto è ben difficile che in un edificio di genesi omogenea si ricorra ad una
simile soluzione per la copertura; proprio a livello del piano fondi, l’andamento continuo del muro su cui
si addossa il corpo dello scalone e della loggia (che di fatto individua un parallelepipedo corrispondente
al corpo alto lungo via Daste) e la mancata comunicazione tra gli ambiti sembrerebbe confermare quanto
ipotizzato, salvo il problema di collocare in modo credibile lo scalone. Potrebbe esservi stata una loggia più
modesta, corrispondente ad un diverso andamento delle rampe dello scalone, sempre ritenendo credibile
l’uscita in loggia della scala, soluzione, peraltro, attestata in molte ville genovesi. È comunque assodato che
i corpi di fabbrica del palazzo e della loggia sono, di fatto, disgiunti, avendo il primo maggiore altezza e
maggior numero di piani.
Un cenno particolare compete al bel pavimento, di tipologia complessa che abbina duplici fasce di mattoni
in coltello tra di loro perpendicolari e grandi ottagoni in ardesia con tozzetto in marmo bianco; ai lati, nei
riquadri perimetrali, i motivi ornamentali sono ancora più articolati e assumono conformazioni a rosone
nel ricorso costante all’intarsio marmoreo, in cui sono presenti anche elementi in pietra di Finale; le fasce
di mattoni legano colonne e lesene e sono ovviamente in relazione alle scansioni delle volte, dal momento
che dalle lesene si originano i peducci alternati alle unghie (fig. 46). Un gioco geometrico e materico di
notevole impegno, che trova riscontro, ad esempio, in un affresco di Andrea Ansaldo raffigurante ‘Assuero
consegna l’anello ad Aman’, nel Palazzo di Giovanni Battista Ceva (o Cebà) del terzo decennio del Seicento
(fig. 47) citato da Gavazza, ma di identificazione ancora incerta16; l’espediente prospettico chiarisce come i
patterns dei pavimenti avessero sempre un valore di scansione metrica degli spazi e di misura degli elementi
architettonici.
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
46
Pavimento dell’atrio
47
Gio Andrea Ansaldo,
‘Assuero consegna l’anello
ad Aman’ Genova, Palazzo
di Battista Ceva (Cebà)
43
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
La decorazione.
Le fasi originaria e secentesca, il settecento, il secolo XIX
Si premette che, per decorazioni, si intendono qui non solo cicli o complessi ornamentali veri e propri, ma anche
tipologie formali, materiali e lavorazioni che incarnano lo spirito del tempo in cui sono sorti, riflettendone il
gusto e connotando gli ambienti, secondo le intenzioni autorappresentative della committenza, dicendo anche
ciò che, strettamente, non era stato loro chiesto di dire: testimonianze afferenti alla cultura materiale oltre
che alla cultura tout court, delineanti, ai nostri fini, una griglia interpretativa di sicura affidabilità. Della fase
originaria e primo secentesca, che per comodità consideriamo unite, converrà intanto notare che restano le
belle volte a padiglione con lunette dell’atrio e di pressoché tutti gli ambienti al piano terreno, con l’eccezione
48
Balaustrini dello scalone
44
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
della cappella coperta da due volte a vela certamente posteriori; la volta dell’androne a sud, di cui abbiamo
ipotizzato la possibile costruzione successiva rispetta, nella sostanza la tipologia arcaica delle contigue e forse
più antiche, tanto da indurre cautela nell’ipotizzare distinzioni cronologiche . Dal punto di vista costruttivo e
delle fasi edilizie, è forse il caso di notare che, essendo le volte a copertura del piano terra certamente strutturali,
esse non sono suscettibili di modifiche radicali, laddove quelle dei piani superiori, in canniccio sospese a solai
lignei, possono aver subito variazioni di geometria e certamente di assetto decorativo. Sembra frivolo notarlo,
(se ne fa un cenno di sfuggita) ma, nel 1936, quando la villa è acquistata dai Fratelli Diana, lungo le costole delle
volte, qualche decoratore, influenzato dallo stile Decò, allora in auge, traccia una duplice linea ondulata verde e
ovoli dello stesso colore, testimonianza di un gusto totalmente alieno dall’origine antica del complesso e di una
45
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
49
Porta e finestra nella
parete nord della loggia
46
volontà, un poco incongrua, di modernizzazione; in ossequio ai principi del restauro, una traccia di tale decoro
è stata lasciata a testimoniare questa singolarità.
I suggestivi locali ipogei, cui s’è già fatto cenno, testimoniano la fase fondativa della villa e si rapportano
alle tipologie consimili e ad archetipi più antichi, in quanto la loro natura, eminentemente funzionale, si
compone di elementi difficilmente modificati nel tempo, ricorrenti e immemoriali. Pareti continue, pilastri
anche litici di recupero, conformati a barbacane o a pilone di fiume e volte a padiglione a profilo ribassato, con
eventuali ghiere di profilatura degli archi confluenti sui pilastri, il tutto intonacato, con belle stesure ancora
superstiti, indice della loro sapiente apparecchiatura (vedi figg. 40, 41). A commento, si osserverà che le stesure
ad intonaco sono più rifinite di quanto accade per locali di pari funzioni, in cui erano lasciati a vista i segni
delle centine lignee di contenimento dei getti di malta delle volte in pietrame e mattoni o di solo materiale
litico; rade aperture a bocca di lupo, protette dalle classiche inferriate, infilate ad anello o ferrate alla lombarda17
consentivano il passaggio dell’aria e il mantenimento all’asciutto di ambiti che erano stati predisposti proprio
per questa funzione di isolamento dall’umidità del terreno. L’impiego di marmo nella costruzione è limitato,
basti considerare che le colonne con pulvino dell’atrio nord sono solo due e ad esse è attribuita la funzione
di modello dei pilastri e delle lesene che animano l’intero sistema dei vasti vestiboli al piano terreno; ancora
in marmo sono realizzati i balaustrini della scala, già definiti a giorno, e gli stipiti delle porte, mentre sono
di preferenza in ardesia le pedate dello scalone. Sempre con riferimento al materiale lapideo degli elementi
costruttivi, non può non notarsi la fattura molto arcaica dei pilastri e dei balaustri marmorei dell’approdo dello
scalone, sormontati da una sfera in marmo scuro, con ogni probabilità Portoro, di sapore cinquecentesco assai
più che settecentesco (fig. 48); ciò deve suggerire prudenza nell’ipotizzare assetti e fasi non documentabili se
non in base a ragionamenti. Apparirebbe, alla luce di un’analisi puntuale dei manufatti, plausibile la fattura
antica dello scalone e successiva solo la costruzione del padiglione loggiato nell’attuale configurazione, anche
se non si è in grado, allo stato attuale, di precisare entità e dettagli delle modifiche intervenute con certezza in
questo ambito. La porta che immette dalla loggia nella sala del camino, recante tracce di manomissioni, nel
senso che vi era in origine un sopraluce con sbarre di ferro e un architrave marmoreo, poi rimossi e la vicina
finestra (grande come una porta) munita di balaustrini che non proteggono da nulla perché non v‘è alcun salto
di quota, dicono, al di là di ogni dubbio, che l’assetto generale è mutato e sono intervenute varie e rilevanti
alterazioni (fig. 49).
Ancora in fase con la fondazione cinquecentesca o primo-secentesca sono i ninfei a grottesche sovrastanti
due pregevoli lavabi in marmo posti al primo piano nell’angolo nord-ovest della costruzione (figg. 50, 51, 52,
53), in un ambito che assume i connotati della stufa. La preziosità degli inserti arricchiti da mosaici polimaterici
dice che l’assetto decorativo cinquecentesco (o di primo Seicento) era improntato a raffinata misura e al consueto
gioco della natura ricreata nella dimensione del giardino o della villa e dei loro complementi, uno dei tòpoi della
cultura manierista18; perduti i mascheroni marmorei che, con ogni probabilità, contenevano gli ugelli, o bronzini,
dell’acqua. Proprio l’esame puntuale delle incrostazioni materiche dei ninfei, ma anche della loro morfologia
può aiutarci a istituire confronti e affinità con altri manufatti; tra i materiali, si evidenziano stalattiti naturali,
intere o a frammenti, provenienti, verosimilmente, dalle grotte del monte Gazzo a Sestri Ponente, conchiglie,
lacerti rocciosi, cristalli di calcite,vetro lavico (ossidiana) coralli, tessere e paste vitree. Non sfuggirà l’identità
di materiali che lega i ninfei Crosa ai restanti altri esempi tipologici, uno certamente ancora Crosa, quello della
villa di Salita San Rocco 1519, altri, anch’essi poco noti perché solo di recente sottoposti a restauro, come quelli
del giardino di Palazzo Lomellino in via Garibaldi e precisamente quello centrale, ridecorato nel Settecento
da Domenico Parodi, e quello sul lato sinistro del muro in cui si apre il ninfeo centrale, ospitante ’ Apollo e
il cinghiale’, ancora di Domenico Parodi. In realtà, anche nella Villa Imperiale Scassi si trovano materiali e
conformazioni simili, tanto che possiamo ritenere tipica e cronologicamente definita la fase di fine Cinquecento,
primi del Seicento in cui è in auge questo gusto e sono apprezzati in modo particolare tali manufatti.(vedi fig.
20). La minutissima consistenza degli inerti e la loro colorazione naturale (rossa, nel caso dei coralli) fanno sì
che le qualità del modellato si arricchiscano di nuovi elementi materici e cromatici, senza perdere la nitidezza del
segno e la pregnanza del rilievo; va anche aggiunto che le formazioni geologiche naturali (stalattiti o stalagmiti)
sono scelte in ragione della loro morfologia, così da suggerire il completamento delle forme, come, nella
gioielleria dell’epoca, una perla scaramazza, richiamante un torso, lo diveniva in forza dell’opera dell’artigiano.
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
47
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
50
52
Ninfeo con incrostazioni polimateriche e vasca marmorea
Maestranze lombarde d’inizio Seicento,
51
vasca con protome angelica e festoni di frutti
Ninfeo, particolare
48
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
53
54
Ninfeo con incrostazioni polimateriche e vasca marmorea
Ninfeo, particolare
49
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
55
Il prospetto ovest
50
Ma il motivo delle vasche marmoree conformate a lavabo con protomi di cherubini e festoni o nastri arricchiti
da frutti sono così caratterizzanti l’opera delle maestranze lombarde attive, in questi anni, a Genova, (i Carlone,
i Ferrandina, i Casella, per fare qualche nome) che non si può fare a meno di riferire proprio a tali artefici
queste sculture, con l’avvertenza che solo l’eventuale ritrovamento di documenti potrà sciogliere la questione
attributiva ad un artefice in particolare (fig. 52); va infine aggiunto che la continuità sostanziale dei prodotti tra
il secolo XVI e il seguente, fa sì che una trattazione rigidamente disgiunta sia inappropriata a rendere, nelle sue
dimensioni reali e storiche, il fenomeno20. Si può aggiungere che la tipologia delle teste angeliche ad ali spiegate
descriventi una lunetta è, per esempio, attestata nella decorazione dei primi anni del Seicento della Cappella di
San Giovanni Battista nella Cattedrale di San Lorenzo, riferibile a Taddeo Carlone ed è dato che può definirsi
come sopravvivenza o retaggio degli ultimi decenni del secolo XVI21.
La presenza dei due lavabo e dei ninfei ai lati di una finestra verso ponente, in una manica stretta e definibile
di servizio, serve comunque ad attestare che l’intera costruzione cinquecentesca era formalmente eletta e che
non vi erano parti secondarie o neglette dai committenti e dagli artisti. Un cenno merita la scelta che si è
attuata di lasciare a stretto contatto con le belle vasche marmoree cinquecentesche le piastrelle in ceramica
degli anni Trenta del Novecento, bianche e gialle a scacchiera, per non vanificare una fase ben individuabile e
forti della possibilità di intervenire in qualunque momento ad isolare i manufatti di pregio.
Alla primitiva fase cinque-secentesca occorre riferire anche la decorazione pittorica dei prospetti, che come
si dirà, in sede di restauro è stata riproposta, sulla base di evidenze decorative superstiti, localizzate soprattutto
nel cornicione e zone limitrofe, dove il riparo dagli agenti atmosferici ha favorito la conservazione di lacerti
e tracce dotate di significato. Si tratta di elementi tipici del repertorio decorativo manierista: mascheroni,
protomi umane, modanature ornate a fogliami con la tecnica dello stencil, finte lesene e mostre delle finestre,
qui arricchite dal tema dei busti all’antica che talvolta connotano edifici in cui è programmatico il ricorso
alla cultura antiquariale. I toni cromatici caldi, nella gamma dell’ocra, erano completati dal ricorso al rosso e
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
ad ampie sottolineature in bruno, contrappuntate da lumeggiature
bianche (figg. 55, 56, 57). La decisione di riprendere e ricostituire
le partiture decorative esterne tiene conto di ciò che prescrive, in
materia, la Carta del Restauro 1972, ma è stata assunta anche
in considerazione delle modifiche intervenute all’intorno che
giustificano la riconquista di un dato di forte identità dell’edificio
quali le decorazioni dei prospetti (figg. 58, 59). La fase settecentesca,
ampia e discreta, è predisposta all’unione diacronica di elementi
diversi e caratterizzata, nei suoi tratti costitutivi, dalla risaputa lievità.
Il Settecento, rococò e poi neoclassico, esplosione dinamica di linee,
forme spezzate e accordi cromatici inusuali, subordinato in seguito
a rigorosa disciplina, ha come denominatore comune un robusto
substrato critico che fa sì che il secolo, sia pure al declino, passi alla
storia come Età dei Lumi e, in campo artistico,come tramonto del
Barocco, da un lato e acuta riflessione -fino alla stroncatura- sullo
stesso, dall’altro. È il momento in cui sorge un consapevole concetto
di restauro, non ancora metodologicamente corretto, ma certo
inteso in modo non dissimile da come lo si concepisce oggi. Proprio
a questa consapevolezza si deve la coesistenza delle diverse fasi in un
insieme del tutto credibile; anche il successivo momento neoclassico
trova il modo di accordarsi con le preesistenze. Possiamo riferire al
secolo XVIII l’incorniciatura plastica della nicchia sopra il portale
di ingresso principale, priva della scultura che la decorava, peraltro
56
Il prospetto sud
57
Particolare dei decori di un prospetto e del cornicione
51
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
52
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
identificata nell’attuale collocazione e di cui si fornisce la fotografia (fig. 60) essa evidenzia una bella partitura
a stucco con sagome spezzate, pellacce e teste di cherubini, divenute parte integrante del decoro (fig. 61). La
scultura, che verosimilmente occupava la nicchia22, opera di grande interesse risalente, con ogni probabilità,
al terzo quarto del XVII secolo, sembra da riferire alla bottega di Filippo Parodi, per via di una finitura e
una conduzione dei dettagli non consone al maestro, ma libera di movimento e d’invenzione, col dinamico
Bambino appena trattenuto dalla Madre, dalle braccia aperte in un gesto realistico e simbolico al tempo
stesso; proprio l’eccezionale resa di Cristo infante può essere ricondotta a Filippo, in quella che sembra opera
dell’Atelier e, in certa misura, sua. Sempre sul prospetto sulla via Daste, l’inferriata sul sopraluce della porta
che immette alla cappella presenta un motivo ad intreccio di grande eleganza e libertà formale; come già detto,
le due volte a vela che coprono il piccolo vano sono frutto di un intervento di questo momento, o leggermente
successivo, mentre sono andati perduti decorazioni e arredi che completavano l’ambito. Il vano loggiato, in
origine aperto, in cui sbocca lo scalone, rappresenta l’ambiente più innovativo della villa per il suo carattere
di interno ed esterno allo stesso tempo; l’eccezionale volta in canniccio che lo copre è appesa e sostenuta
direttamente dalla copertura (non ultima ragione della sua costitutiva fragilità) e le decorazioni che ornano
il vasto e luminoso insieme sono esemplate su quadrature illusive, evocanti una spazialità simulata, ma altresì
58
Particolare dei decori di un
prospetto e del cornicione
59
Particolare dei decori del
cornicione
60
Filippo Parodi e bottega,
‘Madonna col Bambino’,
già nella nicchia
sovrastante il portale
(Coll. Privata)
61
Nicchia settecentesca
sopra il portale principale
53
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
62
Decorazioni parietali
della loggia e balaustra
marmorea dello scalone
54
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
55
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
56
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
su cornici mistilinee rocailles nelle tonalità del verde, giallo e rosa
con l’inserto di fronde che si intrecciano con le riquadrature, in
un gioco svelto e dinamico, esaltatore, per contro, delle superfici
reali.(figg. 62, 63, 64). In modo più analitico, si osserverà che i decori
di superficie si stendono sulle pareti, come se, per un’evenienza
particolare e festosa, queste e il soffitto fossero stati addobbati con
nastri e fronde; le quadrature prospettiche sono invece dislocate a
simulare una prosecuzione della loggia e degli spazi che, per limiti
fisici invalicabili, possono solo essere evocati pittoricamente. È
una vera e propria partitura quadraturistica, estesa alle pareti non
ospitanti le vaste aperture della loggia e approntata per completare e
ampliare la già dilatata spazialità del vano. Sulla base di un discorso
morfologico e linguistico, sembrano esservi strette affinità con il
quadraturista Rocco Costa, collaboratore di Jacopo Antonio Boni
nelle decorazioni del presbiterio di San Francesco di Albaro23, in cui
il tono rosato delle finte architetture sembra rispondere ad una sorta
di monocromatismo convenzionale, come avviene per le ceramiche
o per i mobili laccati e dipinti coevi, come si dirà di seguito.
È un repertorio decorativo ben noto e ampiamente usato nel
Settecento; il motivo della sua fortuna va ricercato nell’eleganza
delle partizioni decorative e nel fatto che esso si combina in modo
assolutamente organico con l’arredo, fino a dar vita ad un insieme
inscindibile. E proprio il riferimento ai mobili offre il destro per un
parallelo che riteniamo di istituire tra le decorazioni delle pareti di
63
Decorazioni parietali della loggia
64
Decorazioni della volta della loggia
65
Artigianato genovese del secolo XVIII,
cassettone dipinto con armi Grimaldi Spinola
57
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
58
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
66
Decorazione settecentesca
di un salotto
67
Decorazione settecentesca
di un salotto, particolare
59
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
68
Artista genovese del sec. XVIII, sovrapporta con ‘Ercole nel
giardino delle Esperidi’ da Pietro da Cortona
60
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
69
70
Artista genovese del sec. XVIII, sovrapporta con
Artista genovese del sec. XVIII, sovrapporta con
‘Dafne che si trasforma in alloro’ da G.F. Romanelli (?)
‘Rebecca ed Eleazar al pozzo’ da Carlo Maratti
71
72
Artista genovese del sec. XVIII, sovrapporta con
Artista genovese del sec. XVIII, sovrapporta con
‘Putti che giocano con un pesce’
‘Allegoria del Tempo’
61
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
73
Cammeo, rilievo in gesso
del XIX secolo
74
Cucina ubicata nel primo
ammezzato
62
villa Crosa Diana e quelle dei coevi mobili laccati e dipinti, piuttosto diffusi a Genova24; vi è una completa
condivisione di scelte tecniche e di opzioni estetiche: la sobrietà della gamma cromatica, il ricorso al legno dolce
e all’ intonaco come supporto per i decori, la sveltezza esecutiva, comune, peraltro, ai decoratori di ceramiche
dei famosi centri di Savona e Albissola, produttori, in questi decenni, di autentici capolavori. (fig. 65). L’attiguo
salotto del camino, con mostra marmorea e maioliche policrome, presenta analoghe decorazioni estese a pareti
e soffitto che riquadrano anche le sovrapporte sulle quali dobbiamo spendere qualche parola (figg. da 66 a 72)
i soggetti sono: ‘Ercole nel giardino delle Esperidi’, dall’incisione di J.F. Greuter tratta da Pietro da Cortona;
‘Rebecca ed Eleazar al pozzo’, derivante in controparte dall’omologo dipinto di Carlo Maratti della Galleria
Corsini a Roma; ‘Dafne che si trasforma in alloro’, probabile derivazione da G.F. Romanelli; ‘Putti che giocano
con un pesce’ e ‘Putto con strumenti astronomici’. Pur trattandosi di opere di non eccelsa qualità, è opportuno
operare alcuni distinguo; le sovrapporte di soggetto mitologico e biblico appaiono influenzate dalla pittura
romana, conosciuta, in certo senso, di rimando, contengono echi del Maratti e risultano vicine ai modi di
Paolo Gerolamo Piola, se pure con minor morbidezza nei passaggi cromatici e una semplificata articolazione
delle forme; quelle con putti, piolesche in senso stretto e di qualità più alta, si apparentano ad una tradizione
iconografica nota, che conosce precedenti illustri, ad esempio, l’Allegoria del Tempo’ della Galleria Sabauda di
Torino, del Domenichino, in cui il putto alato centrale regge una clessidra stando seduto su una sfera armillare,
evidente simbologia astronomica, non scevra dai contenuti moraleggianti delle Vanitates25; nella nostra tela, il
putto brandisce con la mano destra un compasso, ribadendo il significato simbolico richiamato in precedenza.
Il valore globalizzante delle decorazioni in questo momento storico, impone che i dipinti siano incastonati nelle
pareti e incorniciati da profilature in stucco o dipinte, di fatto superando la semplice decorazione mediante
quadri appesi, sia pur con un ordine architettonico (forse inadeguata perché modificabile), ma privilegiando
una stabile e definitiva collocazione delle tele nelle pareti. Questo aspetto si combina in modo inscindibile
con le decorazioni a stucco, che hanno comunque il valore di quadrature architettoniche dei vani e con una
concezione dell’unitarietà e dell’organicità dell’assetto decorativo che non ammette casualità e stonature.
La particolare altezza delle volte di alcuni ambienti del piano terreno e del primo piano nobile, determina
spazi di “risulta” di altezza assai ridotta che ospitano le mezzarie o ammezzati, contenenti funzioni di supporto
e servizio ai piani principali; (figg. 33, 74) è una costante tipologica che viene puntualmente rispettata in
Villa Crosa Diana, un secondo ammezzato, certamente più vivibile e con dignità di affaccio sui prospetti più
importanti (si osservi che il primo ammezzato non ha affacci che sui prospetti laterali) contiene ambienti aventi
funzione residenziali che presentano semplici decorazioni neoclassiche; il secondo ammezzato prepara il terzo
livello o sottotetto che ha sistemazione ottocentesca e moderno adattamento ad alloggi.
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
Vicende storiche e familiari che non si è in grado di precisare, ma i cui risvolti pratici sono invece
comprensibilissimi, portano, durante il secolo XIX, i proprietari a operare profonde modifiche, soprattutto
concernenti il primo piano nobile, in cui il salone principale vede il completo rifacimento della volta e della
relativa decorazione, ora giocata su paraste, arconi e busti entro finte nicchie emisferiche (fig. 75); la non
eccelsa qualità degli ornati deve essere correlata anche al pesantissimo degrado che ha indotto al pressoché
completo ripristino di volta e pareti in sede di ricostruzione e restauro. Singolarmente, se si esclude la grandiosa
loggia, sono pochi gli ambienti settecenteschi che sopravvivono mantenendo il loro impianto decorativo, ciò
tuttavia basta ad affermare che si è qui perseguita la conservazione di una parte dei vani più antichi e rispettato
l’imprinting originario della villa, esempio chiaro di volontà conservativa di un assetto cui si attribuiva pregio
e valore. Il giro di boa, rappresentato dal Neoclassicismo e dal culto dell’antico è del tutto leggibile negli schemi
ornamentali seguiti nei salotti e nelle stanze, le decorazioni dei quali assumono configurazione a grottesche, in
cui il riferimento all’antico è, trattandosi di un monumento genovese, ben anteriore alla scoperta di Ercolano
e Pompei, e risale almeno al secolo XVI e ai cicli della villa di Andrea Doria a Fassolo. Pompeiane, se così si
vogliono chiamare, le gamme cromatiche, con accensioni nei rossi, verdi e blu; mentre direttamente mutuati
dalla cultura archeologica sono i cammei in gesso, evidentemente calcati da gemme o bassorilievi antichi o
ispirati a quelli antichi, incastonati nelle murature con l’intento di impreziosire con elementi plastici, pareti
decorate pittoricamente (figg. da 76 a 82). Notevole il senso di misurata armonia che scaturisce da questi
ambienti che hanno comunque una dimensione più domestica e contenuta.
75
Decorazioni
ottocentesche del salone
al piano nobile
63
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
76
Soffitto con decorazioni
neoclassiche
64
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
77
78
Decorazioni parietali neoclassiche
Decorazioni parietali neoclassiche
79
80
Cammeo, rilievo in gesso del secolo XIX
Cammeo, rilievo in gesso del secolo XIX
65
81
Cammei, rilievi in gesso del secolo XIX
82
Soffitto con decorazioni neoclassiche
raffiguranti le Stagioni, particolare
La villa: tipologia, caratteri, decorazione. Le vicende storiche
III
71
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
Dai Crosa ai Diana.
Le trasformazioni, il riuso e il degrado.
Manlio Diana e Dante Conte
N
el 1936, la villa viene acquistata dalla Società “Fratelli Diana S.p.A.” e destinata ad uffici, magazzini e laboratori dell’omonimo e contiguo stabilimento industriale conserviero; le immagini (fig.
83) superstiti di questo momento non lasciano dubbi circa l’utilizzo commerciale del complesso,
inserito, peraltro, come s’è già avuto modo di osservare, in una realtà retro-portuale in senso lato, tutta rivolta ad attività di produzione e scambio, in cui le vestigia del passato non sembrano avere grande rilevanza. Certamente adibito a scopi commerciali, se non produttivi, il piano terreno e gli ammezzati e ad esposizione la loggia del primo nobile, che conteneva anche l’abitazione della famiglia; va altresì considerato che le
esigenze dell’industria conserviera dei Fratelli Diana avevano portato alla costruzione di un grande capannone in calcestruzzo armato, su lato sinistro dell’edificio e di una ciminiera per l’esalazione dei fumi, nonché di una tettoia in cemento e vetrocemento letteralmente addossata al prospetto sud della villa, che è stata
rimossa durante l’ultimo restauro, circostanza che va certamente posta all’attivo dell’operazione di ripristino che qui si commenta26.
In realtà, i fratelli Diana, erano tutt’altro che insensibili all’arte; Manlio, ultimo sindaco del Comune
di Sampierdarena, prima della sua confluenza nella Grande Genova, fu, nei primi decenni del secolo, tra i
mecenati e sostenitori di Dante Conte, uno dei massimi esponenti della scuola pittorica di Sampierdarena,
prematuramente morto di influenza spagnola il 4 gennaio del 1919, a 34 anni27 e principale collezionista delle
sue opere; Diana va ricordato insieme ad Antonino Ronco, anch’egli sindaco della delegazione e Senatore,
col cui aiuto il pittore poté seguire gli studi all’Accademia Ligustica di Genova e poi in quella di Firenze. Va
rilevato il sorgere della scuola pittorica otto-novecentesca di Sampierdarena, auspice soprattutto Nicolò Barabino, perché essa certamente risulta dalla nuova realtà sociale e culturale che la radicale modernizzazione
del quartiere ha indotto. Un mix socio culturale, difficile a trovarsi altrove, di osservanza della tradizione,
sensibilità politica e mutualistica e aggiornamento sulle novità, non solo artistiche, italiane e straniere. Non
sembra questa la sede per approfondire il tema, ma non pare neppure opportuno passare sotto silenzio il
verificarsi di una temperie artistica di indubbio valore; i suoi esponenti, Conte e l’inseparabile Castrovillari,
ma altresì Giovanni Battista Derchi, ripropongono, tra i soggetti rappresentati, le residue bellezze del borgo,
con accenti di grande originalità; le vedute di Villa Imperiale Scassi, di Conte e Derchi, fissano particolari
condizioni di luce dell’eccezionale parco storico, con accenti di intima conoscenza e partecipazione (fig. 84).
Ma sono i personaggi di Conte, resi col vibrante, a tratti violento, impasto cromatico, ad imprimersi indelebili nella memoria: la madre, la sorella, di struggente e malinconica bellezza, ‘Iccio’, uomo di fatica, dall’
energia prorompente dai forti lineamenti, segnano un’età e una stagione irripetibili.
Il 10 gennaio 1980, per fusione con la “Fratelli Diana S.p.A.”, la proprietà passa alla ditta “Edilsampierdarena s.r.l.”,che, tre mesi più tardi, il 22 aprile, cede l’immobile alla Società “Progen s.r.l.” . Nel 1991, da giovedì
17 a lunedì 21 ottobre, la Casa d’Aste Rubinacci procede alla vendita degli arredi della Villa Diana, insieme a
72
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
83
Fotografia storica dello
Stabilimento Conserve
Alimentari, ‘Magazzini
barattoli pieni’
(Biblioteca Civica
F. Gallino Album
Massardo Diana &C)
84
Dante Conte, peschiera,
olio su cartone,
Collezione privata
73
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
85
Asta Rubinacci,
ottobre 1991
74
beni di altre dimore signorili.28 Le immagini del catalogo mostrano una situazione conservativa deteriorata, ma ancora sostanzialmente accettabile (figg. 85, 86). La stessa società, a seguito di fusione per incorporazione, nel 1993, trasferisce il cespite Villa Crosa Diana alla Società “Pedemonte s.r.l.” la quale fallisce
nel 1997. Segue l’acquisizione da parte dello I.A.C.P.,oggi A.R.T.E. (Azienda Regionale Territoriale per
l’Edilizia della Provincia di Genova). Oltre all’uso improprio che l’immobile si trova a subire dagli anni
Trenta del secolo scorso, a seguito dell’ultimo passaggio di proprietà, subentra un abbandono pressoché
totale che accentua in maniera esponenziale il degrado dell’edificio. La copertura, in più punti lacunosa,
consente ampie infiltrazioni d’acqua che danneggiano gravemente la struttura lignea di sostegno e le volte
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
in canniccio della loggia e del salone che, com’è noto, sono sospese mediante centine lignee e pendinature
alla medesima orditura. Si accentuano, all’interno tutti i fenomeni di degrado che il mancato presidio
di un immobile comporta. Nel 1999, la villa è acquistata dalla’ “Opera Pia Conservatorio Fieschi”, ente
legalmente riconosciuto, tuttora proprietaria del bene29; la natura giuridica dell’ente proprietario, come
già peraltro era avvenuto per A.R.T.E., sottopone il bene alla tutela ex lege disposta dal Decreto legislativo
42/2004 e al controllo della competente Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della
Liguria, che si adopera, in realtà fin dai primi anni Novanta del secolo scorso, per tutelare l’immobile e
scongiurarne il tracollo e la scomparsa.
86
Asta Rubinacci,
ottobre 1991
75
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
L’intervento di restauro
Francesco Tomasinelli
87
L’atrio prima dei restauri
76
Le condizioni manutentive di Villa Diana, già Crosa, in Sampierdarena, all’atto dell’acquisto da parte dell’Opera Pia Conservatorio Fieschi presentavano situazioni di grave degrado sia funzionale che strutturale,
nonché di scarsa leggibilità formale del contesto architettonico. Le coperture in lastre di ardesia alla genovese, non offrivano più alcun riparo alle intemperie e, di conseguenza, copiose erano le infiltrazioni di
umidità in tutte le parti del fabbricato (figg. da 87 a 90). Tutto ciò aveva causato danni non trascurabili sia
alla grossa che alla piccola orditura del tetto, provocando nei travi trasformazioni materiali preoccupanti,
con l’insorgere di funghi e muffe, tarli e colonie di batteri che avevano ridotto la sostanza del legno. Anche
i controsoffitti a volta in canniccio a decori pittorici, del periodo sette-ottocentesco, nonché i pavimenti
in legno e gli stessi solai erano stati aggrediti dall’umidità e ridotti in cattivo stato. Così la grande loggia
a sud presentava i segni inquietanti di cedimenti in corrispondenza dello spigolo est, dove si osservavano
rigonfiamenti estesi con non trascurabili fessurazioni degli intonaci e dell’apparato ornamentale in stucco e
in affresco. Maggior apprensione destava, però, una fenditura passante nella muratura di perimetro, che si
estendeva per tutta l’altezza del prospetto, dalla gronda fino al terrazzo del piano nobile, situato a sud - ovest.
Di identica portata erano pure quelle che si notavano nella parete ovest del salone centrale. Non solo; anche
gli elementi di marmo, che arricchivano i vani porta e finestra: balaustre e pilastrate, evidenziavano rotture
scomposte con disassamento dei livelli delle parti. I motivi di un simile difetto strutturale andavano ricercati negli adattamenti dell’organismo edilizio, avvenuti nel passato a seguito di assestamenti del terreno di fondazione, non più attivi al momento dell’inizio delle operazioni di restauro. Pure la distribuzione delle masse
volumetriche modificata in un passato, non certo prossimo, poteva aver giocato un ruolo non secondario.
Una attenta analisi dell’orditura portante e della conformazione planimetrica degli spazi faceva rilevare
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
la differenza sostanziale nel numero e nella consistenza dei vani tra l’ala ovest e quella est. In questa stava un
doppio ordine di ambienti che si faceva unico nell’altra. Solo un’infilata di locali di più ridotta larghezza, rimanenza dell’originaria disposizione, con muri del perimetro laterale meno spessi, concludeva da quella parte il
fabbricato. La drastica riduzione volumetrica, peraltro, forniva una minor resistenza alle spinte tensionali che
si scaricavano, un tempo simmetricamente, rispetto al salone centrale, sulle due porzioni laterali della villa.
Un ulteriore grave inconveniente era costituito dall’umidità proveniente dal terreno che risaliva per capillarità lungo tutte le murature del complesso bagnandole sino ad altezze rilevanti: 2 metri e più nei locali del
piano terra soprastanti il piano interrato (fig. 91).
Il quadro che si presentava era, dunque, desolante, ma abbondantemente compensato da quanto si sarebbe potuto ottenere da una efficace azione di riabilitazione dell’insieme, come si poteva intuire da ricognizioni approfondite degli elementi di peculiarità architettonica. Il lavoro iniziò con l’immediato ripristino
delle coperture al fine di mettere al sicuro dalle intemperie gli interni della villa. Furono sostituiti alcuni
travi ammalorati con manufatti dello stesso materiale, mentre quelli che, al contrario, non potevano essere
cambiati, furono affiancati, su entrambi i lati, da profilati di acciaio ad U, uniti da piatti, sempre in acciaio,
saldati all’intradosso a distanza tra loro di circa 80 cm, senza alcun contatto con la parte ammalorata. In
questo modo, l’azione portante fu affidata soltanto ai nuovi elementi metallici sollevando definitivamente
quelli non più capaci di sopportare i pesi ordinari. Si procedette, poi, al consolidamento strutturale delle
murature per evitare nuove eventuali lesioni e riparare quelle prodottesi nel passato. L’ottocentesco vano scale con i suoi rampanti e pianerottoli privi di una qualsiasi efficienza strutturale veniva scelto quale nucleo di
irrigidimento per l’intero corpo di fabbrica. I muri laterali, di spina. e quello di fondo, perimetrale, vennero
rinforzati con una griglia di acciaio, ancorata a quelli con barre dello stesso metallo, sulla quale si eseguiva
un getto di calcestruzzo di pochi centimetri, mentre la quarta parete era formata dal vano corsa dell’ascensore, realizzato interamente in calcestruzzo armato (fig. 92).
88
L’atrio prima dei restauri
77
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
89
Consolidamento
strutturale
nell’ammezzato
78
Questi interventi riuscirono a ricostituire l’originaria solidità dell’ossatura portante dell’edificio. Non vi
era bisogno di altri consolidamenti; si tenga presente che, d’altro canto, tranne parte dei solai del sottotetto
e quelli del piano sottogronda, cui era stato riservata una specifica cura di risanamento tramite il posizionamento, tra i travi rompitratta, di più affidabili componenti in acciaio, i restanti orizzontamenti non avevano
subito danni essenziali.
Terminate le opere di generale ristabilimento costituzionale, si passò al più laborioso e problematico restauro delle volte in canniccio. Per quelle ottocentesche, del piano sottogronda, vennero riparati gli ancoraggi e le centine spezzate, quindi, se ne ricostituì la continuità stuccando le fessurazioni ed integrando, dove
necessario, le decorazioni pittoriche. Quella della loggia, invece, richiedeva un metodo di lavoro più sofisticato e temporalmente assai più lungo. Praticati, infatti, dei piccoli fori, con trapani a bassa velocità, lungo i
lembi delle fratture, queste sono state suturate con fili di acciaio inox, quindi, si è stesa una pellicola di carta
riso sulla superficie interna. Con martinetti idraulici, a bassa pressione, se ne sono ridotti i difetti di curvatura a termini più accettabili, subito dopo si è colata, all’estradosso, una malta leggera additivata con collanti
appositi per dare un definitivo stato di forma e di sostegno. A stabilizzazione avvenuta, si sono potuti, quindi, eliminare i legacci in filo di acciaio inox inseriti in precedenza, stuccare le microfessurazioni e riprendere
stucchi e decorazioni floreali a fresco. La variegata presenza di una gamma di materiali, le diverse epoche
nonché i differenti metodi di realizzazione, hanno fornito un ampio spettro di applicazioni operative.
L’atrio, nella sua articolazione in due partite, esibiva, nella prima, un complesso disegno di impianto formato da riquadrature in mattoni, posti a coltello, campiti da lastre di ardesia con tasselli di marmo bianco,
in centro, e in giallo Siena agli spigoli smussati, nella seconda, una variazione al motivo precedente, era rappresentato da lastre in ardesia senza intarsi e piastrelle quadrate di marmo bianco a colmare il vuoto lasciato
dallo smusso degli spigoli - tozzetti - (figg. 93, 94).
Diffuse erano le lacune sia nei laterizi di contorno che nelle formelle angolari di completamento delle
lastre, alcune delle quali offrivano, in parte, superfici prive di intarsio, per altre, mancanze materiali irreparabili. Allo scopo di non avere disarmoniche coloriture, che avrebbero vanificato gli sforzi prodotti nel
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
lessicale restauro degli elementi originari, divelti con la massima cura i mattoni antichi e puliti prima con
lame a scalpello dalla calce di posa, furono passati, uno per uno con spazzole di saggina, alcuni venivano
dimezzati per far fronte all’insufficienza dei pezzi e non ricorrere ad elementi di caratteristiche cromatiche
e strutturali differenti da quelli in opera. Così, dopo l’operazione, si è raggiunta una uniformità di materiale
di ottima riuscita, anche per la sostituzione delle vecchie lastre di ardesia più degradate con nuove, tagliate a
spacco e l’integrazione dei vuoti delle tarsie e degli spigoli in marmo colorato .
Meno complicato era l’intervento sui pavimenti del piano nobile costituiti da piastrelle ottagonali in cotto
con tozzetto agli spigoli, o più semplicemente quadrate. Uno dei vani più piccoli, non aveva quasi più pavimentazione, si prese allora la risoluzione di sollevare quello che ancora restava, recuperarne i pezzi, pulirli
con identico sistema di quello utilizzato per i mattoni dell’atrio e seminarli dove mancavano nelle altre sale.
In questo modo soltanto per una stanza fu posato un nuovo pavimento. Nel XIX secolo il salone centrale
aveva subito una profonda risistemazione con finiture dell’epoca in sostituzione di quelle più antiche. Il pavimento in graniglia con bordura laterale e campo in tinta unita centrale necessitava di una buona opera di
ripresa, soprattutto in prossimità dei perimetri dove erano presenti estese rotture e mancanze. Si procedeva
tagliando una striscia di circa 30 cm. tutto intorno lungo le pareti per riproporre una nuova mescola di colore diverso che non evidenziasse rappezzi inadeguati sia per grana che per colore.
Merita una illustrazione specifica la ricostituzione dei decori pittorici dei prospetti. Degli originari disegni esisteva solo qualche traccia sui perimetri esterni della loggia dove si leggevano, sia pur assai sbiadite,
rappresentazioni architettoniche d’effetto raffiguranti sfondati arricchiti da timpani e pilastrate attorno ai
vani finestra, ripartiti da colonne ed archi lumeggiati a simulare rilevo. Sulla scorta degli elementi rimasti
fu redatto un progetto che prevedeva un basamento in bugnato, in tinta ocra, in tinta rosso mattone,una
partitura dei prospetti scandita da lesene, anch’esse in rosso mattone su sfondo ocra, che si alzavano sino al
marcapiano del livello sottogronda dove finti mensoloni, che reggevano il cornicione guarnito con ovoli ed
ornamenti geometrici, tra i quali stavano formelle con figure a mascherone, alternate alle finestre dei vani
dell’ultimo piano (vedi figg. 59,61).
90
La loggia durante
i restauri
79
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
91
Degrado superficiale dei
decori ottocenteschi
80
Nei timpani, a culmine aperto, che completavano l’apparato architettonico dipinto delle finestre del piano
nobile, sono stati riproposti busti di foggia romana, che accrescono l’apprezzabilità della composizione.
La riqualificazione funzionale del complesso aveva contemplato una pluralità di funzioni per lasciare
inalterate le qualità architettoniche dei primi due piani. Affiancavano l’atrio monumentale, al piano terra,
alcuni spazi destinati al commercio con possibilità di frazionamento in unità più o meno grandi secondo
la richiesta. Nell’antica cappella, privata nel passato di ogni segno distintivo, se si escludevano le lesene sui
muri di perimetro e la volta, tutti elementi recuperati dall’intervento di restauro, era inserito l’androne a
servizio degli appartamenti che sono stati ricavati all’ammezzato, al terzo piano e nel sottotetto per un totale
di sei, con pezzature medie attorno agli ottantacinque metri quadrati.
Nel primo è stata conservata l’antica cucina con tutti i suoi arredi : dal monumentale acquaio in marmo
con doppia vasca, alle mensole ed al piano di lavoro sempre in bardiglio, nonché alla grande cappa e ai fornelli in ghisa di produzione francese degli inizi del secolo scorso (vedi fig. 74). Gli ambienti ottocenteschi
del terzo piano non venivano modificati, organizzando bagni e cucine nei vani, di dimensioni più ridotte, a
ridosso del perimetro di ponente. Le volte in canniccio ed i loro ornamenti floreali erano ripresi riportando
gli ambienti a condizioni di pregevole abitabilità . Nella parte a ponente del piano ammezzato, soprastante i
ricordati negozi, il criterio dell’unità ha guidato la riconversione funzionale del piano terra e del piano nobile
con inscindibilità degli spazi che ospitano l’atrio, la loggia ed il salone, mentre la semplice chiusura di alcune
porte, consentiva di disporre di altre due unità autonome accorpando i vani abitabili e gli spazi accessori in
cui erano sistemati i servizi.
In conclusione si deve convenire che il non trascurabile onere economico sopportato dall’Opera Pia ha
però prodotto risultati di buona qualità sotto ogni profilo.
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
92
Degrado per dilavamento dei decori settecenteschi della loggia
81
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
93
Il pavimento dell’atrio
prima dei restauri
94
Particolare di un
riquadro del pavimento
dell’atrio restaurato
82
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
Le superfici decorate
Giorgio Sanni
L’intervento effettuato sulle facciate di Villa Diana, ha avuto come principale scopo quello di proporre le
decorazioni originali seguendo le tracce ancora visibili dell’intonaco.
In accordo con la Direzione Lavori e la Committenza si è ritenuto opportuno procedere ad una ricostruzione ex-novo, previo recupero della partitura architettonica attraverso il rilievo diretto della tracciatura a
chiodo prima del consolidamento degli intonaci e la loro reintegrazione.
Le fasi salienti dell’intervento sono state appunto il rilevamento, che serve ad ottenere le porzioni decorative per
“definire gli spolveri” utilizzati per riprodurre il decoro in facciata. Lo spolvero viene bucherellato, ed una volta
accostato all’intonaco, viene “battuto” con uno straccio imbevuto di pigmento in polvere, tolto il cartone si ritrova
una traccia a puntini che, se insufficientemente dettagliata, si provvede a ricalcare congiungendo i vari punti e
completando il disegno tramite grafite. Le tracce ottenute sopra il fondo; precedentemente trattato con una velatura, sono state poi decorate con colori a base di silicati di potassio, campionati in loco e stesi in più riprese.
Normalmente durante la decorazione ex-novo, si procede alla stesura dei toni per gradi, partendo dai primi
scuri per poi arrivare ai lumi, che creano l’effetto di luce sul rilievo. Anche in questo caso le lavorazioni hanno visto la stesura dei colori per gradi, lavorando contemporaneamente sia sulle architetture che sugli ornati.
Un intervento diverso è stato effettuato sul cornicione, ancora ben conservato, dalla ditta La Bottega del
restauro di Amalia Sartori. In questo caso si è proceduto ad un vero e proprio intervento conservativo, dove si
sono susseguite fasi di consolidamento e pulitura, fino al reintegro pittorico delle superfici abrase o mancanti.
L’intervento di restauro della Loggia e del Salone
L’intervento effettuato presso una delle Ville storiche del quartiere genovese di Sampierdarena, si è concentrato negli interni del piano nobile.
L’intervento nel salone d’ingresso di Villa Diana ha comportato: il puntellamento della volta pericolante,
previa la protezione del decoro, lo smantellamento del solaio ed infine il restauro conservativo e la reintegrazione del decoro della volta e delle finte architetture delle pareti. La decorazione presumibilmente settecentesca, dipinta a calce, è caratterizzata da decorazione con fregi sulla volta e da sfondati architettonici alle
pareti, il colore predominante della decorazione è sui toni dei rosa e dei viola.
L’intervento sull’estradosso, operazione eseguita dalla ditta Gennaro Costruzioni, ha previsto il riaggancio del canniccio alla travatura con legature in filo metallico.
Dopo aver asportato la puntellatura eseguita per il consolidamento strutturale, si è continuato l’intervento di consolidamento dei distacchi, mediante iniezioni con malte idonee e Primal AC 33. La successiva
fase di chiusura di crepe e lacune profonde è stata effettuata con malte a base di sabbia fine e calce idraulica
e grassello di calce e polvere di marmo per la finitura. Inoltre è stato eseguito un intervento di estrazione di
sali solubili mediante l’utilizzo di compresse di carta giapponese imbevute in acqua deionizzata e applicate
in più riprese. La superficie pittorica presentava diversi problemi di degrado: la decorazione architettonica,
maggiormente compromessa, aveva problemi di adesione della pellicola pittorica ed è stata ricollocata mediante iniezioni di resina acrilica e successivamente pulita con una leggera spolveratura con pennelli e wishab
morbidi. Tutta la porzione degli sfondati risultava decoesa e pulverulenta, pertanto si è intervenuti con un
fissaggio tramite vaporizzazione di acqua deionizzata e resina acrilica Primal AC33 su carta giapponese.
Il restauro pittorico è stata eseguito ad acquarello e pigmenti naturali con velature in tono.
A seguire, l’intervento nel grande salone centrale ha interessato sia le pareti che il soffitto. Le lavorazioni
hanno previsto, oltre a tutte le fasi conservative precedentemente illustrate, la ricostruzione pittorica exnovo della porzione mancante, verso Via Daste, di circa un quarto di volta. Questa operazione ha previsto
la ricostruzione grafica degli spolveri che sono serviti alla riproposizione dei decori. Durante questa fase,
che ha impiegato l’utilizzo di grandi fogli di carta da lucido, sono stati “ricalcati” dall’originale le porzioni
mancanti . La struttura grafica, così ottenuta, è stata bucherellata e appoggiandola al soffitto e passandovi
sopra un battino intriso di pigmento, sono state riproposte le tracce della decorazione. Il reintegro pittorico
è stato effettuato mediante velature a base di calce e pigmenti naturali.
Medesimo tipo d’intervento conservativo è stato eseguito nelle stanze laterali.
83
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
IV
85
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
La famiglia Crosa;
le vicende storiche e i beni da essa
posseduti a Sampierdarena
nel xviii Secolo
Giovanni Battista Crosa Di Vergagni
Crosa sono originari di Murta. Un ramo della famiglia si stabilì in Sampierdarena alla fine del XV secolo. Quivi prosperò nel XVI e XVII secolo, principalmente con la produzione ed il commercio della
seta30 .
Numerose proprietà e beni immobili possedevano i due fratelli Gio. Niccolò e Gio. Ambrogio Crosa in
Sampierdarena durante il XVIII secolo, probabili acquisti effettuati in epoche precedenti, grazie ai profitti
realizzati dagli stessi e dai loro agnati.31
Una pianta del Vinzoni dell’anno 175732 ne indica le principali, mentre una descrizione più accurata si
ricava dall’atto di divisione, con il quale i due fratelli Gio. Niccolò e Gio. Ambrogio intesero, nell’anno 1758,
dividere tra loro i beni in comune 33 .
Dall’esame di detta pianta si evince un particolare curioso: dei Crosa era la proprietà dei terreni posti alla
foce del Polcevera, la cosiddetta “Fiumara”, ove consta che erano posizionati i filatoi di seta34.
Una nota particolare merita il palazzo, oggi denominato “Villa Diana”, sito in Sampierdarena, nella Via del
Mercato (oggi Via Don Nicolò Daste). Tale villa, raffigurata nella pianta del Vinzoni in basso a destra, parrebbe
identificarsi con la casa situata nella Via del Mercato, che toccò in “partage” a Gio. Ambrogio (vedi nota 33).
Essa, in un elaborato tecnico propedeutico alla vendita nel 1999, veniva descritta come “di notevole
interesse architettonico… dotata di un elegante portale settecentesco, di un atrio a colonne, di uno scalone
in elementi marmorei, che porta alla loggia del piano nobile, aperta in corrispondenza del salone” 35.
E ancora: “la villa espone pavimentazioni in buona parte originarie (rombi marmorei bianco-neri nella
loggia; cotto e marmo nell’ingresso; graniglia nel salone al piano nobile, ecc.); decorazioni pittoriche (nel piano
nobile, ad affresco; nello scalone e nella loggia, di natura architettonica; nel salone, vedute di paesaggio, ecc.36 .
Altri beni possedevano i Crosa in Cornigliano, in Murta e nella città di Genova.
A tutto ciò si aggiungeva il feudo imperiale di Vergagni, acquistato da Gio. Filippo Crosa nell’anno 1733
da Stefano Doria, citato nell’atto di divisione (vedi nota 33), che, per le sue vicende storiche, è stato di recente
oggetto di uno studio particolareggiato37 .
Nel XVIII secolo la famiglia Crosa si collocava come una delle più ricche in Genova ed era citata fra
quelle dedite al commercio, all’industria e ad operazioni finanziarie: “… a questo fenomeno si aggiunse
l’immissione nell’ordine privilegiato di nuove famiglie che avevano fatto fortuna con il commercio, con
l’industria e, soprattutto, con l’esercizio su vasta scala di operazioni finanziarie, come i Crosa (ammessi alla
nobiltà dal 1727), i Cambiaso (dal 1731); i Marana (dal 1733)38”.
E ancora: “la nuova strategia finanziaria, applicata su vasta scala dai Cambiaso e, in misura minore, dai Crosa
e dai Marana, finì per imporsi anche ai patrizi di più antica nobiltà e nella seconda metà del secolo i Durazzo,
i Doria, i Pallavicino, i Grimaldi e gli altri maggiorenti della città, pur senza abbandonare completamente
le operazioni mercantili, si dedicarono con larghezza crescente ai prestiti esteri a medio termine39”.
I
86
Dai Crosa ai Diana. Le trasformazioni, il riuso e il degrado. Manlio Diana e Dante Conte
Gli eventi europei della fine del XVIII secolo, culminati con la Rivoluzione Francese, segnarono un
generale impatto negativo sulle famiglie genovesi impegnate nelle operazioni finanziarie.
A questo fenomeno i Crosa, i cui investimenti erano principalmente rivolti agli impieghi di Francia, non
andarono immuni40.
È probabile che in questa circostanza i beni in Sampierdarena siano stati alienati, come pure altri beni in
altre località. Rimase invece nella famiglia la signoria di Vergagni, forse per l’impossibilità di trarre da un
eventuale vendita un legittimo profitto, a causa anche della soppressione dei Feudi Imperiali Liguri (occorsa
con l’avvento della Repubblica Cisalpina nel 1796), che privò i feudatari dei proventi che loro derivavano
dall’esercizio del potere feudale.
Anche il palazzo in Via Canneto il Lungo, acquistato da Gio. Niccolò Crosa in data 14 maggio 1752 dal
magnifico Stefano Ferretti (notaio Simone d’Aste) venne alienato da Ambrogio e Nicolò Crosa ad Agostino
Fieschi in data 16 agosto 1785 (notaio Saverio Pallano)41.
87
NOTE
BIBLIOGRAFIA
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
Note
1
in Liguria la pratica della
12
di restauro,dattiloscritto,
L. Grossi Bianchi, Introduzione
vaccinazione; nel 1799, acquistò
L. Grossi Bianchi, Villa Diana, in
agosto 2000. Boffito, a seguito
storico-urbanistica alle Ville
la Villa Imperiale e ne curò un
E. De Negri, C. Fera,L. Grossi
di sopralluogo, ritiene che la
Genovesi, in E. De Negri,
ampio restauro. Nel turbinoso
Bianchi, E. Poleggi, Catalogo
rampa di destra, di minore
C. Fera, L. Grossi Bianchi,
periodo della fine della
delle Ville cit, Genova, 1967,
elezione formale rispetto
E. Poleggi, Catalogo delle Ville
Repubblica Ligure, dell’epopea
pp,181-182, P. Falzone, Villa
a quella opposta, sia stata
Genovesi, Genova 1967, p. 28
napoleonica, della Restaurazione
Crosa, Diana, in F. Faedda,
realizzata successivamente;
2
e dell’annessione al Piemonte, lo
G. Guidano, Le Ville del
in realtà, i balaustrini sono
E. Gavazza, Villa Spinola di San
Scassi ebbe incarichi rilevanti e
Genovesato, Genova, 1986, vol.
addirittura in cemento, ma
Pietro, Genova,1976, pp.2-3.
pubblici riconoscimenti; morì il
III, pp. 61-62.
potrebbe trattarsi di una
3
10 agosto 1836.
13
semplice sostituzione di
E. Gavazza, La grande
8
Nella Civica Biblioteca
materia. Boffito ricorda, nella
decorazione a Genova,Genova,
La Gierusalemme Liberata di
Francesco Gallino di Genova
nota 6, i palazzi e le ville
1974, pp.53-67.
Torquato Tasso Con le Figure
Sampierdarena è conservato
caratterizzati dalla doppia
4
di Bernardo Castello e le
un album, rilegato e con le
rampa: il Palazzo di Tobia
G. Bozzo, La decorazione
Annotazioni di Scipio Gentili e
pagine in pesante cartone,
Pallavicino (Carrega Cataldi),
pittorica delle navate, in G.
di Giulio Guastavini, in Genova,
recante la segnatura MGF 4;
Grimaldi Doria Tursi, il Collegio
Rossini, L’Annunziata del Vastato
1590
il tomo reca nel frontespizio,
dei Gesuiti in Strada Balbi, Villa
a Genova. Arte e restauro,
9
scritta a mano, la seguente
Brignole Sale in Albaro, Villa
Venezia 2005, pp.77-86, in
Attualmente ospita la Scuola
dicitura:Massardo Diana &
Thellung a Fontanegli e quella
particolare, pp. 79-81.
Media Statale di Sampierdarena
C Stabilimenti Conserve
di Giovanni Domenico Spinola a
5
(senza altra denominazione);
Alimentari via S. Antonio n.14
Cornigliano.
G. Bozzo, L. Magnani G.
il plastico della Delegazione,
via Vittorio Emanuele (volto
15
Rossini, Palazzo Grimaldi
elaborato dagli allievi sotto
ferrovia n.19) con filiali Sciacca
Tali strutture possono essere
della Meridiana. Una dimora
la direzione del Prof. Guido
(Sicilia) Tarifa (Spagna).
state oggetto di risagomatura,
aristocratica genovese,Genova,
Mazzarino, meritevole di
L’interesse documentario
ma va ancora ribadito che è
2010
una collocazione dignitosa
dell’album è notevole; l’intento
arduo distinguere i prodotti
6
e definitiva, è riprodotto alle
è quello di illustrare l’attività
della fine del Cinquecento da
G. Bozzo, B. Merlano, M. Rabino,
figg. 24 e 29 della presente
della ditta, dalla pesca del
quelli di inizio Seicento per
Palazzo Nicolosio Lomellino
pubblicazione.
tonno (vi sono fotografie molto
una sostanziale persistenza
di Strada Nuova a Genova,
10
suggestive) alle fasi lavorative
degli stessi stilemi per diversi
Milano,2004
P. Cevini, L’armatura insediativa
comprendenti l’intero ciclo,
decenni.
7
della costa e dell’interno in età
incluso il confezionamento
16
Nato a Cogoleto nel 1786,
pre-industriale, in E. Poleggi,
dei barattoli in banda
E. Gavazza, La grande
studiò medicina a Genova,
P. Cevini, Le città nella storia
stagnata, in apposite officine
decorazione cit., Genova, 1974,
Pavia ed Edimburgo; divenne,
d’Italia. Genova, Bari, 1981, pp.
meccaniche; documento
p. 85, fig. 70
ventisettenne, professore di
211-218.
interessante per la storia
17
Scienze Mediche nell’Ateneo
11
dell’industria manifatturiera
C. Montagni, Il legno e il ferro
genovese e ricoprì incarichi
B. Gabrielli, Il porto di Genova
della delegazione, oltre che per
antiche tecniche costruttive
rilevanti nell’organizzazione
dalla donazione Galliera al
quella del costume.
liguri, Genova, 1993, p. 130,
sanitaria della città e della
progetto Gamba- Canepa,
14
fig.130
regione, in periodi di epidemie
1875-1919, in ‘Storia Urbana’ n.
M. Boffito,Villa Crosa, Diana,
18 L. Magnani, Il Tempio di
e pestilenze; introdusse
4, 1978
relazione allegata al progetto
Venere. Giardino e Villa nella
90
Note
Cultura Genovese, Genova,
in maniera esaustiva, ma alla
dei precedenti romani delle
27
2005, I ed. 1987
cui migliore comprensione
sovrapporte di soggetto
G. Beringheli, M. Chianese,
19
si può contribuire rendendo
mitologico.
A.G. Remedi, Dante Conte.
G. Bozzo, Grotta di Villa Crosa,
noti i prodotti che via via si
N. Gabrielli, Galleria Sabauda
Modernità di un artista
in V. Cazzato, M. Fagiolo,
reperiscono.
Maestri Italiani, Torino,1971,
nello sviluppo industriale
M. A. Giusti, Atlante delle
21
tav.119. fig292, n.499, scheda
di Sampierdarena, catalogo
grotte e dei ninfei in Italia.
G. Bozzo (a cura di), Cattedrale
p.117; i realtà, il dipinto
della mostra, Genova, 2005; V.
Italia settentrionale, Umbria e
e Chiostro di San Lorenzo a
reca il titolo: ‘L’Agricoltura,
Rocchiero,Scuole gruppi pittori
Marche. Milano, 2002,pp. 79-80
Genova. Conoscenza e restauro,
l’Architettura, L’Astronomia’,
dell’Ottocento ligure, Roma,
L’acquisizione del compendio
Genova, 2000, pp. 60-82.
che ben si accorda con gli
Genova, Savona,1981 e G. Bruno,
da parte della famiglia
22
attributi dei putti; ciò che
La pittura in Liguria dal 1850 al
Crosa è relativamente tarda
L’indicazione della probabile
avvalora la nostra lettura
Divisionismo, Genova, 1982
mentre i documenti, ritrovati
provenienza, nonché
dell’opera come Vanitas, è che
28
da A. Bedocchi riferiscono il
l’immagine sono state fornite
il solo putto con la clessidra,
In occasione del fallimento
compendio al secolo XVI e
dal Marchese Giovanni
brandita ed evidenziata, ha
della Pedemonte S.p.A.
alla famiglia Viale; si rimanda
Battista Crosa di Vergagni, che
le ali; d’altra parte, Tempus
e della vendita all’asta
al saggio, incorso di stampa,
ringrazio.
fugit. Dal punto di vista della
ricordata, l’intervento della
A. Bedocchi, Documenti di
23
materia delle opere, va rilevato
Soprintendenza per i Beni
collezionismo genovese tra XVI e
L. Magnani, Lo spazio
che le sovrapporte con putti
Architettonici e Paesaggistici
XVIII secolo. I numismatici della
religioso. Scelta decorativa e
derivano dall’ingrandimento di
della Liguria ha scongiurato la
lista Goltzius e la collezione Viale:
rappresentazione del sacro, in
tele ovali, con l’asse maggiore
rimozione e la dispersione delle
cultura e business di una famiglia
E. Gavazza. L. Magnani, Pittura
orizzontale, certamente
sovrapporte, in quanto, per la
di corallari nel mercato europeo
e decorazione a Genova e in
preesistenti.
particolare forma di ancoraggio
delle anticaglie e del lusso, in Atti
Liguria nel Settecento, Genova,
26
alle pareti, queste si qualificano
dell’Accademia Nazionale dei
2000,pp.255-314, in particolare,
Biblioteca Civica Francesco
come elementi immobili per
Lincei,Classe di Scienze morali,
nota 59 .
Gallino,Citta di Sampierdarena,
destinazione e possono essere
storiche e filologiche.
24
Lista degli elettori politici ed
rimosse solo su autorizzazione
20
A. Gonzales-Palacios, con la
amministrativi per l’anno 1908,
del Soprintendente, che
E. Parma Armani, M.C. Galassi,
collaborazione di E. Baccheschi,
coll. L.MISC.C.12.19; vi figurano:
ovviamente non fu concessa.
Artisti e artigiani del marmo dal
Il Mobile in Liguria, Genova,
Diana Attilio fu Giuseppe nato
29
Cinquecento al Seicento, in La
1996 pp. 209-217; non si deve
a Sampierdarena nel 1870,
M. Bocci, Il Conservatorio delle
scultura a Genova e in Liguria
dimenticare che molti ambienti
negoziante, via S.Antonio
Fieschine un esempio di Welfare
dal Seicento al primo Novecento,
settecenteschi sono arredati
14, Diana Manlio di Sallustio
nel Settecento, in “La Casana”,
Genova, 1988,pp.9-83. Molto
con mobili che risultano
nato a Sampierdarena nel
n.1, gennaio –marzo,2007,anno
opportunamente, la trattazione
progettati ed eseguiti en suite
1882, commerciante, Diana
XLIX, pp. 34-43
delle studiose prende le
con i decori e gli stucchi delle
Sallustio fu Giuseppe nato a la
30
mosse dal tardo Cinquecento
pareti e delle volte, basti citare
Maddalena e Massardo Luigi
cfr. A. M. G. Scorza Le antiche
e si incentra sui primi decenni
i padiglioni delle ‘Quattro
fu Nicolò, nato a Genova nel
famiglie liguri, Genova, 1939.
del secolo successivo, i più
Stagioni’ nella villa Della Rovere
1858 industriale, residente
31
ricchi di realizzazioni, di
Gavotti ad Albissola.
in via S. Antonio 14. I dati
per l’albero genealogico
cantieri e di artisti. È una vera
25
delineano una realtà industriale
dei Crosa, vedi A. M. G. Scorza,
e propria industria artistica
Si ringrazia Fancesco Petrucci
ed una familiare strettamente
Le antiche famiglie cit., Genova
di cui è impossibile dar conto
a cui si deve l’identificazione
connesse.
1939 ad vocem
91
Villa Crosa Diana a Genova Sampierdarena
32
34
37
39
Pianta del soborgo di
da Gio. Ambrogio, sposato con
cfr. G.B. Crosa di Vergagni,
G. Felloni,
Sampierdarena, in cui sono
Benedetta Cambiaso q. Francesco
I Diplomi Imperiali per i Feudi
Gli investimenti cit. Milano,1971,
segnate tutte le strade palazzi
Gaetano, non si ha discendenza
di Savignone, Mongiardino
pp. 474 e 475.
case giardini e ville con loro
mascolina, ma una sola figlia,
e Vergagni, Collana di Studi
40
confini ed acquedotti – formata
Maria, maritata con Domenico
Fondazione Conservatorio
cfr. il manoscritto
per ordine dell’illustrissimo
De’ Marini; da Gio. Niccolò,
Fieschi, Genova, 2008,
“Relazione sulle perdite della
Magistrato dei Padri del Comune
sposato con Battina Sauli q. Luigi
pp. 129 e seguenti.
famiglia Crosa”
l’anno 1757 da Matteo Vinzoni.
discendono tutti gli attuali Crosa.
38
(Archivio Privato).
33
35
cfr. Giuseppe Felloni,
41
cfr. la “Divisione tra i fratelli
Cfr “Perizia Bennati”, pp. 21 e 22
Gli investimenti finanziari
il successivo matrimonio tra
Gio. Batta e Gio. Niccolò Crosa
(Archivio Privato)
genovesi in Europa fra
Nicolò Crosa (fu Gio. Batta fu
– notaio Saverio Pallani –
36
il Seicento e la Restaurazione,
Nicolò) e Carlotta Fieschi, figlia
4 Gennaio 1760
Cfr “Perizia Bennati”, ibidem.
Milano, 1971,
di Agostino, riporterà questo
(Archivio Privato).
(Archivio Privato)
pag 473.
bene nella famiglia.
92
Bibliografia
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1590
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GENNARO
COSTRUZIONI
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Nella stessa collana:
Marina Firpo
La famiglia Fieschi
dei conti di Lavagna
Strutture familiari a Genova
e nel contado fra XI e XIII secolo
Genova 2006
Marina Firpo
I Fieschi. Potere chiesa e territorio
Sant’Adriano di Trigoso
e Santa Maria in Via Lata
Genova 2007
Giovanni Battista Crosa di Vergagni
I diplomi imperiali per i feudi
di Savignone, Mongiardino, Vergagni
(Fieschi, Spinola, Crosa)
Genova 2008
Marina Firpo
Il Mercato di Casella
Un investimento fliscano lungo
la “via del Pedaggio”
Genova 2010
Daniele Sanguineti
Genovesi in posa
Appunti sulla ritrattistica
tra fine Seicento e Settecento
Genova 2011
Agostino Crosa di Vergagni
(1947 - 2006)