Percorso espositivo 228 opere: mezzo secolo di

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Percorso espositivo
228 opere: mezzo secolo di grande arte inserita tra i due sommi capolavori che quest’arte hanno fortemente influenzato. Ventisei opere di Mantegna (dipinti, disegni e incisioni) a dialogare con decine di tavole e tele dei maggiori artisti veronesi del primo Rinascimento, ma anche con disegni, sculture, medaglie,
codici, arredi. Insomma uno straordinario, fantastico affresco della vivacità della produzione artistica
scaligera nei decenni che intercorrono tra la Pala di San Zeno (1456 – 1459) e la pala della Madonna in
gloria tra i Santi Giovanni Battista, Gregorio Magno, Benedetto e Girolamo (Pala Trivulzio) destinata a
Santa Maria in Organo (1497), ovvero i due capolavori con i quali Mantegna rivoluzionò gusti, mentalità,
mestieri, visioni nella città che li ospitava: Verona.
Per la mostra “Mantegna e le Arti a Verona 1450 – 1500” sono stati ottenuti prestiti da più di 100 musei
e istituzioni pubbliche e private di mezzo mondo: Amsterdam, Berlino, Boston, Cracovia, Londra, Los
Angeles, New York, Parigi, Vienna, Washington, Milano, Venezia, Firenze, Roma. A testimonianza della
immensa “diaspora” che ha portato i capolavori veronesi di questo momento felice dell’arte scaligera e
veneta ad essere collezionati ed ambiti in tutto il mondo.
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Opere che mancavano da tempo, in alcuni casi da molti secoli, da Verona e che vi faranno ritorno, per la
prima e forse unica volta per questa grande esposizione. Valga fra tutti proprio la grande Pala Trivulzio
opera tra le più importanti delle raccolte del Castello Sforzesco, capolavoro che dopo le vicende napoleoniche tornerà ancora a respirare l’aria dell’Adige.
La Pala di San Zeno, dedicata alla Vergine madre di Dio, è l’ultima opera realizzata dal giovane artista
prima del trasferimento alla corte di Mantova come pittore ufficiale dei Gonzaga. Commissionata da
Gregorio Correr, abate della basilica di San Zeno e grande umanista di origine veneziana, enuncia i temi
fondamentali dell’arte di Mantegna, dal rapporto con l’Antico al rapporto con la scultura contemporanea
e in particolare con Donatello, fonte di ispirazione per la splendida cornice lignea concepita come una
monumentale architettura classica che contiene la rappresentazione, in cui compaiono i Santi Pietro,
Paolo, Giovanni evangelista, Zeno, Benedetto, Lorenzo, Gregorio, Giovanni battista. Una profonda coerenza di linguaggio figurativo che Mantegna dimostra fino alla tarda maturità come conferma in mostra
la pala per l’altar maggiore della chiesa del ricchissimo convento olivetano di Santa Maria in Organo,
inviata da Andrea da Mantova nel 1497, conosciuta come Pala Trivulzio, anch’essa in origine dotata di
una preziosa cornice purtroppo andata perduta.
Da questi cardini fondamentali, accostati a disegni preparatori e a calzanti confronti con altri dipinti
e incisioni di Andrea, la mostra prende avvio per presentare il multiforme mosaico culturale veronese dal quale emergono personalità di grande interesse, ancora poco studiate ma tutt’altro che minori:
Francesco Benaglio (circa 1432–1492), Francesco Bonsignori (circa 1460–1519), Liberale da Verona
(1445– 1526/29), Domenico Morone (circa 1442– dopo il 1518) e i suoi allievi. Essi diventano così protagonisti di un periodo che ha visto Verona rendere omaggio a Mantegna ma guardare con eguale curiosità
ad altri centri artistici e trovare una propria originale ed affascinante identità. Si tratta di quel “Primo
Rinascimento” nell’arte della città scaligera che affascinò in antico Giorgio Vasari e, secoli dopo, studiosi
dell’età moderna come Bernard Berenson e Rudolph Wittkower.
Evidenti sono i rapporti tra i veronesi e la cultura di ambito squarcionesco–donatelliano, le aperture a
Venezia nel momento in cui era all’apice il confronto Giovanni Bellini – Antonello da Messina e si diffondeva la pittura narrativa di Carpaccio, i legami con Mantova e quindi con la pittura lombarda anche dopo
la morte di Mantegna.
Vera e propria ricostruzione di un contesto artistico e culturale nell’arco di cinquant’anni, l’esposizione
sarà corredata da ampie sezioni dedicate al disegno, alla scultura, alla miniatura, all’architettura, alla
medaglistica e all’editoria, con codici e incunaboli la cui produzione costituisce una delle avventure più
avvincenti del periodo. Essa inoltre sottolineerà le relazioni fondamentali tra pittura e miniatura, con
Liberale da Verona e Francesco e Girolamo dai Libri, tra pittura e scultura, con fra Giovanni e Giovanni
Zebellana, tra pittura su tela e affresco, con Domenico e Francesco Morone, e tra pittura, architettura
e antiquaria con Giovanni Maria Falconetto. A fondamento delle varie arti si evidenzia la grande abilità
disegnativa dei maestri veronesi, da analizzare a confronto con il corpus grafico di Mantegna che verrà
presentato per intero in questa sede.
Grazie all’ampiezza e all’importanza dei prestiti ottenuti, sarà possibile accompagnare il visitatore lungo
un percorso che prende avvio dall’ampia sezione incentrata sulla Pala di San Zeno, presentata accanto
a una documentazione di analisi riflettografiche per lo studio del disegno soggiacente appositamente
effettuate per l’occasione, e confrontata con i suoi principali disegni preparatori conservati nei musei di
Londra, Los Angeles, Liverpool, New York e, in Italia, di Venezia, Milano, Brescia.
La pala è analizzabile nelle sue relazioni con opere di altri artisti tra cui Giovanni Bellini, Bartolomeo
Vivarini, Liberale da Verona e con quello che va di fatto considerato come il suo riscontro più puntuale: il
Trittico di San Bernardino di Francesco Benaglio, del 1462, prima e singolarissima risposta della cultura
veronese all’arrivo della pala nella basilica di San Zeno, espressione di una originale personalità artistica formatasi al crocevia tra il mondo squarcionesco padovano e quello centro italiano intorno a Piero
della Francesca. Di questo artista ancora poco indagato attivo fino allo scorcio del secolo, vengono per la
prima volta riuniti i dipinti più significativi, dal San Girolamo della National Gallery di Washington, alle
Madonne col Bambino provenienti dai musei di Rochester, Parigi, Venezia, Lovere e infine dal Museo di
Castelvecchio.
Altri selezionatissimi dipinti di Mantegna presenti, legati per ragioni stilistiche o documentarie alla cultura veronese, sono il Gesù Bambino benedicente della National Gallery di Washington, che ricorda un
dipinto perduto di soggetto simile che secondo Vasari il maestro aveva affrescato nel chiostro della basilica di San Zeno, la Sacra Famiglia del Museo di Castelvecchio, un’opera dall’attribuzione controversa
al tardo Mantegna, interessante da confrontare stilisticamente alla Pala Trivulzio e a una serie di dipinti
di tematica analoga realizzati da artisti veronesi intorno allo stesso periodo; e infine il Cristo portacroce,
sempre a Castelvecchio, dibattuto tra Andrea Mantegna e il figlio Francesco.
Una sorta di piccola rassegna monografica interessa la figura di Francesco Bonsignori, di cui sono raccolte soprattutto le opere concepite a Verona prima di emigrare definitivamente alla corte di Mantova,
verso il 1490, per lavorare vicino al maestro padovano. Lo splendido Ritratto virile della National Gallery
di Londra, esposto accanto al suo disegno preparatorio dell’Albertina di Vienna, documenta l’eccezionale
abilità ritrattistica di Bonsignori, che unisce la sensibilità psicologica di un fiammingo all’austerità e
alla definizione lineare di Mantegna. Alcuni esempi della produzione matura mostrano la sua interpretazione di modelli mantegneschi mantovani, in particolare il Cristo portacroce di Firenze, Museo Nazionale
del Bargello e la pala d’altare della cappella di San Biagio ai Santi Nazaro e Celso a Verona, inviata da
Mantova poco prima di morire nel 1518.
La vicenda di Liberale da Verona, diversamente, è segnata da un’emigrazione giovanile e da un ritorno
a Verona proprio all’epoca della partenza di Bonsignori. Anch’essa viene analizzata intorno al gruppo di
opere più indicative del suo incontro con la cultura mantegnesca, percepibile in maniera eclatante nella
bellissima pala con Cristo risorto e santi dal Duomo di Viterbo, nel San Sebastiano dell’University Art
Museum di Princeton, e nelle sfaccettature espressive dei disegni e delle miniature.
Il percorso comprende anche una sezione incentrata sulle botteghe artistiche veronesi più attive nell’ultimo ventennio del Quattrocento e nel Cinquecento inoltrato: quella di Domenico Morone, che grazie alla
presenza della Madonna col Bambino della Gemäldegalerie di Berlino, firmata e datata 1484, dovrebbe
finalmente consentire di arrivare a un chiarimento sulla questione della paternità di molti dipinti ultimamente respinti dal catalogo dell’artista; e quella del cosiddetto Maestro del Cespo di Garofano, recentemente identificato con Antonio Badile II, dunque all’interno di una dinastia estremamente prolifica di
artisti veronesi.
Tali presenze ben radicate nella cultura locale vengono indagate anche nei loro stretti rapporti con la
scultura, tramite accostamenti con opere di Donatello (la celebre Madonna Verona, presente nella versione del museo di Krefeld), di Giovanni Zebellana e di altri maestri rappresentati da opere provenienti da
chiese locali come Sant’Anastasia, Santa Toscana, San Lorenzo e da musei e collezioni private: in particolare il monumentale gruppo scultoreo realizzato da Zebellana raffigurante il Compianto su Cristo morto,
dalla chiesa di Santa Toscana, un’opera di intenso pathos espressionistico che tradisce la conoscenza
precisa di un modello grafico mantegnesco.
Non meno rilevanti, tra le sfaccettature di questa produzione artistica locale, sono la pittura di “cassoni”
di ispirazione antiquaria (in mostra con Trionfi e Scene di Battaglia di Liberale, Giovanni Maria Falconetto
e Michele da Verona) e l’arte della tarsia lignea (con il monumentale Leggio di fra Giovanni dalla chiesa
di Santa Maria in Organo), campi di applicazione nei quali i veronesi sono tradizionalmente riconosciuti
tra i maggiori specialisti italiani del tempo.
Un’ampia sezione è dedicata alla cultura antiquaria e all’architettura veronese derivata da modelli classici. Qui vengono messi a confronto elementi architettonici provenienti da edifici antichi di età romana
ed edifici rinascimentali (rilievi, capitelli figurati, fregi, paraste, ecc.), disegni e dipinti con studi di architettura e di figura di Giovan Maria Falconetto, il principale interprete veronese della cultura antiquaria
tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, calchi e modellini lignei appositamente realizzati
dei principali monumenti del primo Rinascimento locale (in primis la Loggia del Consiglio attribuita tradizionalmente a fra Giocondo, suggestivo fulcro della sezione). Accanto a questi, una selezione di testi,
incunaboli e manoscritti, dei più importanti umanisti attivi a Verona nel Quattrocento, e medaglie coniate
da artisti veronesi, dai prototipi di Pisanello (la medaglia con il Ritratto di Vittorino da Feltre) ad esemplari di Matteo de’ Pasti (tra cui il Ritratto di Guarino Veronese), di Pomedello e Giovan Francesco Caroto,
interpreti, questi ultimi, fino al Cinquecento inoltrato della tradizione del ritratto di profilo all’antica.
Altra specifica sezione riguarda la miniatura, uno degli aspetti più caratterizzanti della produzione figurativa cittadina del periodo nel quale i prestiti mantegneschi sono molto evidenti. Alla miniatura si
dedicarono quasi tutti i pittori veronesi, da Domenico Morone a Francesco e Girolamo Dai Libri, a Liberale
da Verona, ritornato nella sua città natale solo intorno al 1490, dopo aver trascorso lunghi anni a Siena
dove è autore della decorazione dei favolosi corali del Duomo. Dal rapporto tra la pittura e i numerosi
esemplari miniati esposti in mostra provenienti da musei italiani e stranieri si può comprendere il carattere di finitezza, di perfezione formale e brillantezza cromatica che sta alla base del linguaggio dei
veronesi in ogni campo espressivo.
Altre ampie sezioni hanno come fulcro il fervido momento di rinnovamento artistico espresso dalla cultura
veronese dopo il 1480, riscontrabile nelle sue linee guida in due eccezionali cantieri artistici che impegnarono in complesse imprese decorative pittori e miniatori, scultori e intarsiatori e lapicidi: la chiesa di
Santa Maria in Organo, dove sull’altar maggiore era collocata la pala di Mantegna ornata da una ricca
cornice di fra Giovanni, e la chiesa dei Santi Nazaro e Celso, dove, all’inizio del Cinquecento, accanto ai
veronesi Falconetto e Morone, fu chiamato a lavorare alla decorazione ad affresco della cappella di San
Biagio e al polittico dell’altar maggiore Bartolomeo Montagna, uno degli artisti più significativi della
nuova generazione maturata tra Mantegna e Bellini.
La sezione dedicata a Santa Maria in Organo ricostruisce intorno alla Pala Trivulzio l’arredo figurativo che
la chiesa aveva all’inizio del Cinquecento, riunendo le opere tuttora presenti e quelle disperse nel Sette
e Ottocento realizzate dai veronesi dopo l’incontro con l’ultimo modello mantegnesco, espressione di una
cultura ormai in ritardo rispetto alle novità introdotte da Bellini e dalla cultura peruginesca, ma ancora
capace di lasciare un segno profondo per l’integrità e la coerenza del suo linguaggio. Si trovano quindi
esposte, per l’occasione: di Francesco Morone la pala d’altare tuttora nella cappella Giusti, interpretazione felicissima dei modi del tardo Mantegna, le ante dell’organo con l’Annunciazione, ora alla Galleria
degli Uffizi; di Girolamo dai Libri il Presepio dei conigli di Castelvecchio, la Deposizione della parrocchiale
di Malcesine e, proveniente dalla chiesa di Sant’Anastasia, la cosiddetta Pala Centrego, eseguita nel
1502, dotata di una splendida cornice rinascimentale che suggerisce come in origine doveva presentarsi
il precedente mantegnesco.
L’ultima sezione, dedicata alla chiesa dei Santi Nazaro e Celso e agli sviluppi della cultura pittorica veronese all’inizio del XVI secolo, ha come fulcro l’imponente polittico di Bartolomeo Montagna, ricostruito qui
per la prima volta nel suo insieme da quando fu smembrato all’inizio dell’Ottocento. In esso si percepisce
chiaramente la profonda impressione che la composizione della Pala di San Zeno seppe ancora suscitare
sulla generazione di artisti della “maniera moderna”.
Al polittico di Montagna viene quindi accostata la pala di Francesco Bonsignori inviata da Mantova nel
1518 per l’altare della cappella di San Biagio, e una raccolta di esempi della contemporanea pittura
veronese in cui si coglie la continuità di temi e linguaggi della tradizione figurativa locale.
La mostra va oltre i confini della sede espositiva nella città: all’itinerario è di invito una installazione video che consente di ammirare altre importanti opere figurative e architettoniche dell’età di Mantegna nella
loro collocazione originaria. In particolare cicli ad affresco, dipinti, sculture, tarsie e altari rinascimentali
conservati in Duomo, a Sant’Anastasia, Santa Maria in Organo, San Bernardino e ai Santi Nazaro e Celso.
Dopo la mostra su Pisanello del 1996 che ha richiamato l’attenzione del grande pubblico e degli studiosi
sulla realtà artistica della città, l’esposizione “Mantegna e le Arti a Verona 1450–1500” si configura
come logica prosecuzione di una ricerca critica già iniziata, e l’avvio di un percorso espositivo ricco di
spunti per ulteriori eventi culturali.