Critica dell’estremismo giovanile (dai gruppi al partito) gennaio 1970, manoscritto Oggi giocare a fare la rivoluzione è diventato un piacevole passatempo per tutti i migliori elementi della nostra generazione. Figli di borghesi e di operai si ritrovano insieme a sfilare per le vie della città e a sfogare le loro energie represse gridando slogan contro la classe al potere. Ovviamente tutto questo ha una giustificazione che si può rintracciare nella pseudocultura che la società capitalistica diffonde a basso costo e a livello di massa, cultura per propria natura superficiale e molto spesso ridotta a definizioni, schemi e priva di contenuti veramente seri. Questa acculturazione apparentemente aperta, liberale, ispirata da un giusto criterio di libertà di critica , fa invece in modo egregio il servizio della borghesia. Le persone, soprattutto i giovani che si abbeverano a questa fonte di informazione e (pseudo) formazione vengono forniti di risultati, di prese di posizione, di concetti ideologici già belli che confezionati, privi quindi di un contenuto che ne riveli la genesi e le ragioni. Quindi qualsiasi scelta il giovane farà, la farà come si sceglie tra due oggetti che lasciano scoprire solo la loro esteriorità e quindi sceglierà più in base ad una preferenza emotiva che in base ad un proprio ragionamento scientifico. Per queste ragioni e per il ritmo con cui si susseguono le informazioni-formazioni i giovani vengono a prendere molto presto le loro posizioni, che saranno il più delle volte grossolane, poco realistiche. Queste sono spesso le più estremistiche perché la coerenza ideologica porta inevitabilmente all’estremismo. Ora è chiaro che, in campo politico, più le posizioni degli oppositori della classe dominante sono rozze, astratte, prive di un aggancio con la realtà sociale e più queste faranno il gioco della classe stessa . Sia ben chiaro, con questa mia generalizzazione io non voglio accusare tutti individualmente di poca maturità (io stesso sono oggetto ovviamente degli stessi condizionamenti), ma voglio solo analizzare un certo fenomeno, per me negativo, e constatarne il meccanismo. Tutte queste considerazioni io non le faccio da un punto di vista di critica esterna ma da un punto di vista di discussione interna; sarebbe ora che tutti cominciassero una revisione critica feconda delle proprie posizioni politiche perché in questo modo la borghesia ha tutto da perdere e il proletariato tutto da guadagnare. Mi sembra che a questo punto sia chiaro il riferimento a quei gruppi politici extraparlamentari che si pongono alla sinistra del partito comunista, partendo da basi esclusivamente sociali. Primo punto da chiarire mi sembra questo: la rivoluzione socialista non è la rivoluzione di questo o di quel gruppo rivoluzionario, ma è la rivoluzione della classe operaia, del proletariato, quindi l’organizzazione che mira a sovvertire l’ordine sociale esistente deve essere l’organizzazione della classe rivoluzionaria, deve tradurne in atti le esigenze e le aspirazioni. Attenzione, io pongo il problema da un punto di vista strategico e non ideologico, altrimenti “Lotta continua” potrebbe dirmi: ma noi ci schieriamo dalla parte della classe operaia, siamo sempre al suo fianco, la spingiamo alla lotta e il nostro obiettivo è l’unità di classe degli oppressi. D’accordo, ma con quali mezzi, percorrendo quali vie, Lotta continua ed il M.A.S, che ne è il portavoce al Liceo scientifico, credono di poter realizzare questa unità di cui loro tanto astrattamente parlano ? La loro parola preferita è “sensibilizzazione” , la loro attività preferita è “lavoro alle fabbriche”. E con queste armi loro credono di fare la rivoluzione ? Credono di attirare a sé le masse dei proletari, degli sfruttati, necessarie a sconfiggere Agnelli, Costa i colonnelli italiani e quelli statunitensi ? Mi sembra un po’ pochino. Molte volte nel M.A.S. si è intuita una verità che non si è mai portata alle estreme conseguenze logiche: cioè che la coscienza di classe non si crea con i discorsi, ma attraverso la lotta in cui sono direttamente impegnati i lavoratori. Sono in possesso questi gruppi della capacità politica di organizzare la lotta su obiettivi concreti che la classe operaia tocca con mano e che sente legati alla propria vita ? Evidentemente no, per la stessa natura di questi gruppi che, per definizione, rifiutano ogni contatto con le organizzazioni politiche tradizionali in cui, bene o male, la massa della classe operaia si riconosce perché sa che solo attraverso queste organizzazioni, può ottenere l’aumento del salario, una casa migliore, un avvenire sicuro per i figli. Inoltre c’è una ragione più profonda per cui l’opera di Lotta continua cadrà sempre nel vuoto. Il lavoratore non si rende conto della propria essenza di sfruttato e di oppresso, è cioè alienato dalla propria posizione sociale e quindi sentirà ogni discorso riguardante la ribellione, la fine della sua schiavitù al regime capitalistico come qualcosa di estraneo alla propria condizione e alla propria vita, anche se, in effetti, ne è investito in pieno. Si combatte contro il capitalismo con le stesse armi che esso ha posto a sua difesa. Il problema è che queste scelte strategiche non sono in realtà delle scelte da parte dei gruppi “rivoluzionari”, perché, anzi, questi non si sono mai posti il problema della strategia, ma si sono lasciati trascinare dalle loro convinzioni ideologiche, trovandosi così, meccanicamente, su quelle posizioni (dico questo soprattutto per esperienza vissuta). Il fare la rivoluzione si è mantenuto a livello di astrazione e non si è calato nel mezzo alla realtà sociale obiettiva. Questi gruppi che si dichiarano marxistileninisti non sanno che Marx e Lenin dicono in effetti il contrario di quello che loro asseriscono per distinguersi dai partiti della sinistra anticapitalistica tradizionale. Nessuno ha mai detto che non bisogna impegnarsi in lotte per obiettivi parziali, nessuno ha mai detto che il partito o il movimento rivoluzionario non devono “abbassarsi” a compromessi con le forze borghesi (progressiste si intende), anzi proprio Lenin dice che bisogna sfruttare ogni via ed ogni mezzo che la borghesia inconsapevolmente ci offre per realizzare una sempre maggiore unità di classe. Quindi anche il parlamento borghese può andare bene, anche le riforme possono andare bene. Perché nella società occidentale industrialmente avanzata solo il parlamento consente ad una forza rivoluzionaria di progredire e di allargare la propria influenza sulla massa lavoratrice e solo con la lotta per le riforme si può far lievitare la coscienza di classe e nello stesso tempo fornire il proletariato di un maggior potere e quindi far aumentare la probabilità di successo della rivoluzione. Perché, checchè se ne dica, il sindacato, con le lotte contrattuali ha sviluppato grandemente l’unità e la capacità di lotta della classe operaia, a prescindere dalle critiche che si possono fare ad esso. Poi esistono riforme e riforme, qui è bene chiarire: riforme borghesi e riforme rivoluzionarie (non è un paradosso). Ci sono riforme che hanno un ufficio prettamente efficientistico e che non cambiano gli equilibri sociali tra le classi, ma vi sono anche riforme che se richieste da una massa lavoratrice unita nella lotta e da un organizzazione fornita di un programma preciso e strutturata alla maniera leninista avvicinano veramente il momento dello scontro e in posizione più forte. Naturalmente questa strategia apparentemente compromissoria ed opportunistica non deve intaccare quello che è il radicalismo del programma sociale. Una forza rivoluzionaria diventa revisionista quando muta nei contenuti e rinuncia a guidare la classe lavoratrice allo scardinamento del sistema per instaurare poi una società effettivamente senza classi, mentre non si può parlare di revisionismo per quanto riguarda le forme e i modi di lotta. Tutto questo serve per introdurre il discorso sul Partito comunista. Il partito comunista in Italia (come in Francia) è veramente un partito revisionista o è solo una questione di strategia ? Mentre il P.C.I. è chiarissimo per quanto riguarda i suoi rapporti con le forze borghesi e gli istituti tuttora vigenti, è molto ambiguo per quanto riguarda il suo programma sociale. Effettivamente dalla propaganda comunista e dai discorsi degli esponenti del partito sembra che venga a mancare il senso del salto di qualità e della rottura che dovrebbe accompagnare la trasformazione in senso socialista. Il partito appare, nei suoi rapporti con la massa, non come l’organizzazione atta a suscitare la coscienza e la partecipazione della classe operaia alla lotta anche parziale, bensì come un’ istituzione conglobatrice e in definitiva insterilizzatrice di tutte le potenzialità contestative del sistema in un apparato destinato a muoversi entro limiti sempre più ristretti. Il perdurare di questa frattura tra la base sociale e l’avanguardia politica porta inevitabilmente ad una burocratizzazione ed incancrenazione (sic) dell’organizzazione politica della classe operaia che più di tutte le altre deve essere viva, dinamica, dialetticamente aperta con la base, perché il partito comunista ha la propria ragione di essere proprio ed unicamente nella realtà sociale. Non voglio in questo modo fare l’apologia dello spontaneismo e di un affidamento univoco sulla base (infatti non esiste l’antitesi tra iniziativa che parte dal basso ed iniziativa che parte dall’alto: è ovvio che dal basso non nasce niente se non c’è un’ avanguardia che sintetizza che sintetizza teoria e prassi politica ) ma è anche vero che se il partito non significa classe operaia, sia organizzativamente che ideologicamente, il movimento rivoluzionario finisce per pugnalarsi alla schiena. Così non solo finisce per compromettere il successo della lotta di classe, snaturandola, ma può essere causa di gravi degenerazioni in un eventuale regime socialista. Il distacco tra vertice e base e l’esagerata accentuazione del momento dell’azione politica rispetto a quello dell’azione sociale può portare alla formazione, anche in una società senza classi, di un gruppo di dirigenti burocrati, uomini politici di professione; insomma si finisce per fare politica, prima e dopo la rivoluzione, allo sesso modo degli uomini politici borghesi. Verrebbe inoltre a mancare quella che dovrebbe essere una delle peculiarità fondamentali della società socialista: l’effettiva eguaglianza sociale e morale. In definitiva il partito comunista, se non vuol diventare pura istituzione, rassegnata alla logica dello status quo e staccarsi, agli occhi delle masse, dal gregge degli altri partiti, deve riscoprire di essere veramente “il partito comunista”, cioè diverso in sé, il partito marxista, destinato ad compito storico. Di importanza fondamentale è delineare i tratti fondamentali della società socialista che il P.C.I. si propone di realizzare. Il Partito comunista ha rifiutato il sistema dei consigli operai come mezzi di gestione proletaria. E’ ovvio che i “soviet” non possono essere realizzati subito dopo che la rivoluzione ha avuto successo, dato che il processo di difesa del socialismo e di rafforzamento al potere richiede necessariamente un’organizzazione accentrata, ma dovrebbero pur sempre rimanere una meta in tempi più o meno lunghi. I soviet rappresentano in un certo modo l’istituzione che definisce tutta una vita sociale, che crea nuovi modo di gestire il potere e nuovi rapporti tra gli uomini. La positività dei “soviet” non sta nei soviet in quanto tali (non si appoggiano i soviet per un fanatico e antistorico bolscevismo, ma perché questi sono sinonimo di gestione popolare, di vertici ricongiunti con la base, di progressiva eliminazione dello stato oppressivo. In questo senso essi potrebbero essere sostituiti da altre organizzazioni di base, da altre forme di democratizzazione. Il partito comunista, invece, potrebbe continuare a servirsi del parlamento borghese, andando incontro agli inconvenienti elitari di cui ho parlato. Il partito, espropriati i mezzi di produzione, avvierà anche un processo di rivoluzione culturale, costruirà l’ambiente adatto alla nascita dell’uomo nuovo ? Se dopo la rivoluzione economica non si procederà anche a cancellare i miti, i pregiudizi e il modo di pensare della società borghese, se questi continueranno ad esistere anche dopo, il socialismo andrebbe incontro ad una rapida involuzione. Tutti sappiamo in che modo il socialismo è stato realizzato in Unione sovietica : una delle cause di questo è senz’altro che lì non c’è stata una rivoluzione culturale.