Giustamm.it - Rivista di Diritto Pubblico

ARTICOLI E NOTE
© copyright
LORENZO CARBONARA
Il principio di partecipazione nel procedimento ambientale
Per visualizzare il testo del documento clicca qui
(pubblicato il 16.10.2012)
20 Feb 2013
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
LORENZO CARBONARA
Il principio di partecipazione nel procedimento ambientale
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Partecipazione pubblica e tutela dell’ambiente nel contesto
sovranazionale. – 2.1. L’evoluzione dell’ordinamento internazionale: il rafforzamento dei diritti di
informazione e partecipazione dei cittadini nella Dichiarazione di Rio e nella Convenzione di Aarhus. – 2.2.
Le direttive comunitarie in materia di informazione e partecipazione dei cittadini. – 3. Il valore del bene
ambiente e la partecipazione pubblica nell’ordinamento nazionale. – 3.1 Il principio di primarietà
dell’ambiente. – 3.2. La disciplina generale: l’inapplicabilità dell’istituto della partecipazione ai
procedimenti di interesse collettivo. – 3.3. La disciplina di settore: il recepimento degli strumenti di
informazione e partecipazione ambientale previsti dalle fonti ultrastatali. – 4. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione.
Costruire un’autostrada o una linea ferroviaria ad alta velocità, realizzare una centrale nucleare o
un termovalorizzatore comporta inevitabilmente problematiche di accettabilità sociale e ambientale.
In particolare, come testimoniato dai fatti di cronaca, sempre più spesso la realizzazione delle
grandi infrastrutture genera la cosiddetta sindrome NIMBY (not in my backyard) secondo cui in
presenza di opere, anche se di pubblica utilità, le comunità locali tendono ad opporsi in maniera
radicale (in forma più o meno violenta) chiedendo la modifica o il ritiro del progetto.
Oggi infatti la comunità (sia quale singolo individuo, sia soprattutto attraverso associazioni
rappresentative) reclama fortemente la possibilità di trovarsi dentro i processi decisionali che la
riguardano, senza essere costretta semplicemente a subirli. L’etimologia del termine partecipazione
– dai vocaboli latini pars, parte, e capere, prendere – richiama immediatamente ad un
coinvolgimento, ad un prendere parte, appunto, ad un progetto o ad una attività di comune interesse.
Si constata tuttavia come, sempre più spesso, questo coinvolgimento non riesca a svolgersi in forma
pacifica e realmente collaborativa.
Il lavoro, muovendo da questo punto di partenza, intende analizzare il ruolo che l’istituto della
partecipazione al procedimento amministrativo può svolgere all’interno dei procedimenti in materia
ambientale, al fine di stabilire se essi siano in effetti in grado di assicurare adeguatamente la
partecipazione delle comunità interessate e di attenuare così la fisiologica conflittualità associata a
quelle decisioni che sono suscettibili di avere importanti ricadute sull’ambiente e sulla salute
pubblica. Tali procedimenti, infatti, rappresentano uno dei momenti di maggiore acutezza del
confronto tra istanze del mondo economico, esigenze di tutela delle comunità interessate e
dell’ecosistema, e ruolo della pubblica amministrazione.
Lo studio, in particolare, si fonda su un’ipotesi – della quale si intende verificare il fondamento –
che si concretizza nel rigetto dell’affermazione secondo la quale l’istituto della partecipazione
procedimentale sarebbe un ostacolo alla rapidità decisionale. Il problema della decisione
amministrativa non è infatti soltanto quello della rapidità, ma anche quello della sua legittimazione,
specialmente in presenza di scelte suscettibili di modificare l’ambiente. Solo predisponendo
strumenti in grado di permettere l’instaurarsi di un dialogo concreto tra istituzioni e cittadini sembra
quindi possibile garantire un solido consenso alle macrodecisioni pubbliche, evitando la
mobilitazione e il conflitto locale. Democraticità ed efficienza della decisione pubblica appaiono
dunque strettamente interconnesse: si prospetta così un approccio innovativo per la gestione dei
rapporti con i territori che, fondato su procedure partecipative avviate tempestivamente e condotte
in forma non esclusivamente scritta, si propone di moderare la conflittualità in una prospettiva
funzionale ad un incremento della qualità delle politiche pubbliche, dell’efficienza dell’azione
amministrativa e dell’inclusione delle comunità interessate nei procedimenti che le riguardano.
Nella prima parte del lavoro si vedrà come la seconda metà del XX secolo si caratterizzi per una
diffusa preoccupazione ecologica in ambito mondiale – segnalata da alcune conferenze
internazionali e dai primi programmi comunitari di azione ambientale – e come all’accresciuta
sensibilità nei confronti dell’interesse all’ambiente si sia nel tempo accompagnata una consistente
domanda di accesso alle informazioni e di partecipazione procedimentale da parte dei cittadini. A
questo riguardo, la normativa ultrastatale ha progressivamente assunto posizione centrale e
propulsiva, contribuendo sensibilmente all’ampliamento delle garanzie partecipative nei
procedimenti ambientali di fronte ai pubblici poteri (§ 2.).
La seconda parte dello studio è dedicata all’esame delle modalità con le quali l’ordinamento
italiano ha recepito tali fonti, che non sembrano tuttavia valorizzare adeguatamente il ruolo della
partecipazione pubblica. Ci si soffermerà innanzitutto sul processo di emersione del principio di
primarietà del bene ambiente, che è progressivamente andato affermandosi come valore
costituzionale assoluto, meritevole del più ampio livello di tutela: non sembra tuttavia che, a tale
affermazione, in Italia sia seguita una produzione legislativa tesa all’effettivo potenziamento delle
tecniche di partecipazione del pubblico ai procedimenti ambientali (§ 3.1.). In secondo luogo, sarà
analizzata la disciplina generale della partecipazione al procedimento, al fine di mostrarne in
particolare il limite costituito dalla inapplicabilità ai procedimenti di interesse collettivo (quali la
realizzazione di grandi infrastrutture), in cui le esigenze partecipative sono invece massimamente
avvertite (§ 3.2.). Si muoverà poi all’esame della disciplina di settore in materia di Valutazione di
impatto ambientale-Via, mettendo in luce come l’inchiesta pubblica, un importante strumento
partecipativo che all’estero ha trovato larga applicazione, in Italia stenta ad affermarsi: non
contemplato a livello generale, è previsto solo dalle discipline di settore ambientali, ma in chiave
meramente facoltativa (§ 3.3.). L’analisi comparata delle esperienze straniere (Francia e Regno
Unito) fornirà, inoltre, interessanti indicazioni che consentono di individuare alcune delle cause
dell’anomalia italiana (§ 4.).
2. Partecipazione pubblica e tutela dell’ambiente nel contesto sovranazionale.
La seconda metà del XX secolo, come accennato, si caratterizza per una crescente attenzione
ecologica in ambito mondiale, segnalata dall’entrata in vigore nel 1970 dell’Environmental Policy
Act statunitense 1, dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano tenutasi a Stoccolma
nel 1972 2 e dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati, adottata dall’Organizzazione delle
Nazioni Unite (ONU) nel 1974, dove si stabilisce che la protezione, conservazione e valorizzazione
1
Su cui è interessante leggere COUNCIL ON ENVIRONMENTAL QUALITY EXECUTIVE - OFFICE OF THE
PRESIDENT, The National Environmental Policy Act: a study of its effectiveness after twenty-five years, January 1997
consultabile su http://ceq.hss.doe.gov/nepa/nepa25fn.pdf. Nel documento si evidenzia come la partecipazione alle
attività decisorie in campo ambientale contribuisca “to discourage poor proposals, reduce the amount of documentation
down the road, and support innovation. NEPA helps managers make better decisions, produce better results, and build
trust in surrounding communities” (p. 12).
2
Con la Dichiarazione di principi e il Piano mondiale di azione ambientale, adottati in seno alla Conferenza, “la
comunità internazionale afferma per la prima volta con chiarezza la gravità del degrado ambientale e l’esigenza che gli
Stati lo affrontino attraverso politiche e normative internazionali, regionali e nazionali tendenti a prevenire le cause
principali d’inquinamento delle risorse naturali” (S. MARCHISIO, Il diritto internazionale dell’ambiente, in Diritto
ambientale. Profili internazionali europei e comparati, a cura di G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, II ed., Torino,
Giappichelli, 2008, p. 6). A seguito della Conferenza di Stoccolma viene inoltre creato il primo organo internazionale a
carattere universale con competenze specifiche nel settore ambientale, il Programma delle Nazioni Unite per
l’Ambiente (UNEP), istituito dall’Assemblea Generale con la risoluzione 2997 (XXVII) del 15 dicembre 1972 in qualità
di organo sussidiario, dotato di forte autonomia e di una propria struttura. Il testo della dichiarazione è consultabile sul
sito dell’UNEP, all’indirizzo http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?documentid=97&articleid=15
03. Per una rassegna delle tappe fondamentali del diritto internazionale dell’ambiente si v. G. ROSSI (a cura di), Diritto
dell’ambiente, Torino, Giappichelli, 2008, pp. 30 ss.
2
dell’ambiente costituisce responsabilità comune di tutti gli Stati 3. La stessa Comunità Economica
Europea, con il primo Programma di azione in materia ambientale del 1973, prende coscienza, nel
contesto dell’espansione economica e del miglioramento della qualità della vita, dei problemi legati
all’ambiente 4.
All’accresciuta sensibilità nei confronti dell’interesse all’ambiente si è nel tempo accompagnata
una consistente domanda di accesso alle informazioni e di partecipazione procedimentale da parte
dei cittadini. Il coinvolgimento dei diversi attori della società, fondamentale per migliorare la
qualità delle politiche pubbliche e i processi decisionali, ha pertanto nei decenni successivi
costituito un riferimento sempre più presente nel quadro normativo e programmatico internazionale,
comunitario e nazionale sullo sviluppo sostenibile.
Nelle pagine che seguono ci si propone di dare conto della forte spinta che, sul piano ultrastatale,
è venuta all’ampliamento delle garanzie partecipative nei procedimenti ambientali di fronte ai
pubblici poteri. Successivamente, si indicheranno le modalità con le quali tale spinta ha influenzato
l’ordinamento italiano.
2.1. L’evoluzione dell’ordinamento internazionale: il rafforzamento dei diritti di informazione e
partecipazione dei cittadini nella Dichiarazione di Rio e nella Convenzione di Aarhus.
Una tappa decisiva per l’affermazione e la diffusione a livello internazionale dei principi di
informazione e partecipazione della società civile alle decisioni che riguardano l’ambiente è
rappresentata dalla Dichiarazione assunta a Rio de Janeiro in esito alla Conferenza delle Nazioni
Unite su Ambiente e Sviluppo (UNCED), tenutasi dal 3 al 14 giugno 1992 5.
La Dichiarazione di Rio si articola su ventisette “principi”: il Principio Dieci, specificamente
dedicato ai temi della informazione e partecipazione procedimentale, afferma che “Il modo migliore
di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini
interessati, ai diversi livelli”. A questo scopo, “ciascun individuo avrà adeguato accesso alle
informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni
relative alle sostanze ed attività pericolose nella comunità, ed avrà la possibilità di partecipare ai
processi decisionali”. Il Principio afferma il dovere degli Stati di facilitare e incoraggiare la
partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni e ammettendo un
effettivo accesso alle procedure amministrative e giudiziarie 6.
Tali premesse hanno trovato ulteriore e più maturo sviluppo con la Convenzione di Aarhus, dal
nome della città danese nella quale è stata aperta alla sottoscrizione in data 25 giugno 1998 7. Si
3
General Assembly Resolution 3281 (XXIX) del 12 dicembre 1974, art. 30, Chapter III, significativamente intitolato
“Common Responsibilities Towards the International Community”. Il testo è consultabile on-line su http://www.undocuments.net/a29r3281.htm
4
Sulla genesi della politica ambientale comunitaria si v. A.L. DE CESARIS, Le politiche comunitarie in materia di
ambiente, in S. Cassese (a cura di), Diritto ambientale comunitario, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 11 ss., P. FOIS, Il diritto
ambientale nell’ordinamento dell’Unione Europea, in Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, a
cura di G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, II ed., cit., pp. 55 ss.
5
Il
cui
testo
è
consultabile
sul
sito
dell’UNEP,
all’indirizzo
http://www.unep.org/Documents.Multilingual/Default.asp?documentid=78&articleid=1163
6
Uno dei documenti fondamentali della Conferenza di Rio, l’Agenda 21, affronta tra gli altri il tema della libertà di
accesso e di partecipazione, stabilendo che i Paesi svilupperanno le loro politiche e programmi per “ensuring access by
the public to relevant information, facilitating the reception of public views and allowing for effective participation”
(Agenda 21, cap. 8, par. 8.4 f). Per una analisi approfondita dei risultati della Conferenza di Rio si v. L. PINESCHI, La
Conferenza di Rio de Janeiro su ambiente e sviluppo, in Riv. giur. amb., 1992, fasc. 3, p. 705-712.
7
Tra i primi interventi in dottrina sulla Convenzione si v. J. HARRISON, Legislazione ambientale e libertà di
informazione: la Convenzione di Aarhus, in Riv. giur. amb., 2000, fasc. 1, pp. 27-46, R. McCRACKEN, G. JONES,
The Aarhus Convention, in Journal of Planning & Environment Law, London, 2003, p. 802 ss., R. MONTANARO, La
partecipazione ai procedimenti in materia ambientale, in Il diritto all’ambiente salubre: gli strumenti di tutela. Lo
status quo e le prospettive, a cura di P.M. Vipiana, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 183 ss., in particolare p. 188-222, ID.,
L’ambiente e i nuovi istituti della partecipazione, in A. Crosetti, F. Fracchia (a cura di), Procedimento amministrativo e
partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze, Milano, Giuffrè, 2002, pp. 107 ss., in particolare pp. 119-131.
3
tratta di un testo molto articolato, frutto della Conferenza internazionale sulla libertà di
informazione e sulla partecipazione in materia ambientale, promossa dalla Commissione economica
delle Nazioni Unite per l’Europa (UNECE) 8.
Con tale Convenzione per la prima volta si affronta in termini organici e completi la tematica
della partecipazione ai procedimenti in materia ambientale, proponendo un modello di “democrazia
ambientale” fondato su tre autonomi “pilastri”, pur tra loro interdipendenti: (i) la libertà di accesso
all’informazione ambientale; (ii) il diritto di partecipazione del pubblico ai processi decisionali, (iii)
la possibilità di attivare la tutela giurisdizionale per garantire tali diritti 9.
Sin dal preambolo della Convenzione si afferma che “ogni persona ha il diritto di vivere in un
ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e il dovere di tutelare e migliorare
l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future”.
Al fine di poter affermare tale diritto e adempiere a tale obbligo, i cittadini, singolarmente o in
forma associata, devono dunque avere ampio accesso alle informazioni ed essere ammessi a
partecipare ai processi decisionali: consentendo al pubblico di esprimere le proprie preoccupazioni
e permettendo alle pubbliche autorità di tenerne adeguatamente conto, non solo si contribuisce a
sensibilizzare il pubblico alle tematiche ambientali ma migliora in generale la qualità delle decisioni
e se ne rafforza la loro efficacia 10.
Risulta, quindi, evidente come l’inclusione della tutela ambientale nell’ambito delle politiche
pubbliche contribuisca alla ridefinizione dei rapporti tra i cittadini e le autorità politicoamministrative in senso più democratico, trasparente e partecipativo.
In questa stretta relazione tra ambiente e democrazia assume una posizione centrale il pilastro
informativo, che può considerarsi il necessario presupposto per l’esercizio dei diritti di
partecipazione 11. L’art. 4, dedicato all’accesso alle informazioni ambientali, risulta emblematico del
rafforzamento del tasso di democraticità nella gestione dei pubblici poteri poiché riconosce la
legittimazione all’accesso a chiunque, senza che occorra la dimostrazione di uno specifico e
rilevante interesse, a differenza di quanto previsto dall’art. 22 della l. 241/1990 12 . Inoltre, la
Convenzione amplia considerevolmente la portata della “informazione attiva”, ossia dell’attività
informativa e divulgativa che le autorità pubbliche devono assicurare nel normale svolgimento della
propria azione, a prescindere da un’apposita richiesta del cittadino. L’accesso non è più configurato
solo come un dovere che pone l’amministrazione nella posizione passiva di essere tenuta a mettere
a disposizione documenti e informazioni su istanza di parte, ma le impone di farsi parte attiva e
predisporre un’attività informativa rivolta al pubblico 13.
8
Il testo ufficiale in lingua inglese è consultabile on-line sul sito dell’UNECE all’indirizzo
http://www.unece.org/env/pp/documents/cep43e.pdf (peraltro disponibile anche in lingua francese e russa). Una
versione non ufficiale in lingua italiana è consultabile sul sito del Ministero dell’Ambiente all’indirizzo
http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/normativa/convenzione_aarhus_25_06_1998.pdf
9
Il terzo “pilastro” (l’accesso alla giustizia) non verrà tuttavia trattato in questa sede. Per un esame della tutela
giurisdizionale in materia ambientale si v. F. FONDERICO, La tutela dell’ambiente, in Trattato di diritto
amministrativo, a cura di S. Cassese, II ed., Diritto amministrativo speciale, Milano, Giuffrè, 2003, II, p. 2092 ss.
10
La Convenzione, all’art. 2, dà una definizione ampia sia di “autorità pubblica” sia di “pubblico”, comprendendovi
non solo le organizzazioni e le associazioni che si occupano di tutela ambientale, ma anche i singoli cittadini. Per la
prima volta il contributo di privati e delle organizzazioni non governative nel processo decisionale ottiene il
riconoscimento legale.
11
Per un commento agli atti normativi internazionali, comunitari ed italiani in tema di informazione ambientale si v.
G. RECCHIA (a cura di), Informazione ambientale e diritto di accesso, Padova, Cedam, 2007, D. BORGONOVO,
Informazione ambientale e diritto di accesso, in Codice dell’ambiente, a cura di S. Nespor e A.L. De Cesaris, III ed.,
Milano, Giuffrè, 2009, p. 1461-1507, F. FONDERICO, Il diritto di accesso all’informazione ambientale, in Giorn. dir.
amm., 2006, fasc. 6, pp. 675-685, E. PELOSI, A. VERSOLATO, La partecipazione del pubblico ai processi decisionali
in materia ambientale, in Riv. giur. amb., 2007, fasc. 6, p. 1001-1015. In precedenza si v. G. GARZIA, Il diritto
all’informazione ambientale tra situazioni soggettive e interessi pubblici, Rimini, Maggioli, 1998.
12
L’art. 22, lett. b, della l. 241/1990 infatti definisce interessati “tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di
interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
13
In proposito si v. gli obblighi divulgativi posti dall’art. 5 della Convenzione. Al riguardo J. HARRISON,
4
Si sofferma diffusamente sulla partecipazione a singole decisioni l’art. 6, avente come rubrica
“partecipazione del pubblico alle decisioni relative ad attività specifiche”, mentre gli artt. 7 e 8
riguardano rispettivamente la partecipazione del pubblico all’elaborazione di “piani, programmi e
politiche in materia ambientale” e di “regolamenti di attuazione e strumenti normativi
giuridicamente vincolanti di applicazione generale”. Innovativo è dunque innanzitutto l’ambito
oggettivo: la partecipazione non è disposta solo nei confronti di procedimenti rivolti all’adozione di
provvedimenti puntuali ma, a differenza di quanto previsto dall’art. 13 l. n. 241/9014, è prevista
anche nella predisposizione di piani e programmi e in relazione a strumenti normativi.
Le “attività specifiche” cui fa riferimento l’art. 6 sono descritte dettagliatamente nell’Allegato I.
In sostanza vi figurano tutte le grandi opere: raffinerie di petrolio e gas, impianti di gassificazione e
liquefazione, centrali termiche e nucleari, impianti per la produzione e trasformazione dei metalli,
impianti chimici variamente classificati, discariche e termovalorizzatori, ferrovie di lunga distanza,
porti ed aeroporti di una certa dimensione, autostrade e strade con più di quattro corsie, dighe e, in
generale, ogni altra attività per la quale è prevista la partecipazione del pubblico a una procedura di
valutazione dell’impatto ambientale a norma della legislazione nazionale.
L’art. 6 stabilisce che il “pubblico interessato” deve essere informato nella fase iniziale del
processo decisionale in materia ambientale in modo adeguato, tempestivo ed efficace, mediante
pubblici avvisi o individualmente 15.
Per le varie fasi della procedura di partecipazione del pubblico devono inoltre essere fissati
termini ragionevoli, in modo da prevedere un margine di tempo sufficiente per informare il
pubblico e consentirgli di prepararsi e di partecipare concretamente al processo decisionale in
materia ambientale.
Particolarmente interessante è il passaggio in cui si richiede che la partecipazione del pubblico
avvenga in una fase iniziale, quando tutte le alternative sono ancora praticabili e tale partecipazione
può quindi avere un’effettiva influenza.
Quanto alle procedure di partecipazione, esse devono consentire al pubblico di presentare per
iscritto o, a seconda dei casi, in occasione di un’udienza o di un’inchiesta pubblica che implichi
l’intervento del richiedente, tutte le osservazioni, le informazioni, le analisi o le opinioni che si
ritengono pertinenti in merito all’attività proposta.
In ultimo, la Convenzione assicura che al momento dell’adozione della decisione, si tenga
adeguatamente conto dei risultati della partecipazione del pubblico.
In definitiva, la Convenzione poggia sull’assunto che una partecipazione effettiva del pubblico ai
processi decisionali in materia di ambiente (i.e. una partecipazione informata, tempestiva, in grado
di incidere potenzialmente sul risultato) legittima la decisione finale, rendendola condivisibile, o
quanto meno più accettabile, dai destinatari stessi. La novità della Convenzione risiede pertanto
nell’attribuzione ai cittadini della titolarità di situazioni soggettive – in linea di principio
direttamente azionabili – che si inseriscono nei delicati rapporti “verticali” tra cittadini ed autorità
pubbliche: per tale via i primi percepiscono la decisione non come derivante dall’autoritativa
imposizione delle seconde, ma come soluzione di sintesi tra i diversi soggetti istituzionali e sociali
coinvolti, idonea a bilanciare i differenti interessi in gioco proprio perché fondata sul principio di
trasparenza, sulla ricerca del consenso e sulla distribuzione del potere decisionale 16.
Legislazione ambientale e libertà di informazione: la Convenzione di Aarhus, cit., p. 27 ha significativamente distinto
tra “fondamenti reattivi” e “fondamenti pro-attivi” dell’attività informativa.
14
Per cui si v. infra § 3.2.
15
Con l’espressione “pubblico interessato” si intende il pubblico che è coinvolto o che rischia di essere coinvolto
dalle decisioni prese in ambito ambientale oppure che ha un interesse da far valere nei confronti del processo
decisionale. Un ulteriore tappa nello sviluppo del ruolo delle organizzazioni non governative è segnata dal secondo
periodo della disposizione, dove si stabilisce che qualora esse operino a favore della tutela dell’ambiente e soddisfino le
condizioni richieste dal diritto interno, sono considerate come “aventi un interesse” (art. 2, co. 5 della Convenzione).
16
Ai sensi dell’art. 10 della Convenzione, gli Stati contraenti si riuniscono periodicamente per sottoporre a verifica
l’attuazione della Convenzione, sulla base di rapporti periodici.
5
2.2. Le direttive comunitarie in materia di informazione e partecipazione dei cittadini.
Anche a livello comunitario il tema dell’informazione e del coinvolgimento dei cittadini nelle
scelte è andato progressivamente acquisendo un valore sostanziale 17.
A questo proposito, un riferimento importante è costituito dal Libro bianco sulla governance
europea (2001), in cui si tracciano le linee di un sistema di governo che renda più trasparente il
processo di elaborazione delle politiche dell’Unione Europea, con l’obiettivo di favorire la
partecipazione dei cittadini e delle organizzazioni alla definizione di tali scelte politiche. Infatti,
come viene sottolineato nel Libro bianco, “La qualità, la pertinenza e l’efficacia delle politiche
dell’Unione dipendono dall’ampia partecipazione che si saprà assicurare lungo tutto il loro
percorso, dalla prima elaborazione all’esecuzione. Con una maggiore partecipazione sarà possibile
aumentare la fiducia nel risultato finale e nelle istituzioni da cui emanano tali politiche” 18. Assume
inoltre certamente rilievo la recente Carta europea della partecipazione, stilata nell’ambito del
progetto Partecipando all’interno del programma europeo Urbact dedicato alla città 19.
La tendenza delle istituzioni comunitarie all’apertura, alla trasparenza dei processi decisionali e
ai meccanismi di coinvolgimento dei cittadini emerge tuttavia con particolare evidenza nel settore
delle politiche ambientali.
La Comunità Europea, ancor prima di approvare la Convenzione di Aarhus con decisione del
Consiglio n. 370 del 17 febbraio 2005, aveva infatti già recepito i principi di due dei tre pilastri
della Convenzione di Aarhus attraverso la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio “sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale” (che abroga la precedente
direttiva 90/313/CEE 20) e la direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio “che
prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia
ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE” 21 . Tali direttive
17
Si v. F. BIGNAMI, Tre generazioni di diritti di partecipazione nei procedimenti amministrativi europei, in S.
Cassese, F. Bignami (a cura di), Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, Quaderno n. 1, Rivista trimestrale
di diritto pubblico, Milano, Giuffré, 2004, pp. 87-123, che al riguardo individua tre distinte categorie di diritti
procedimentali, ognuna delle quali collegata ad una distinta fase della storia comunitaria: il diritto ad essere sentiti
quando la Commissione adotta sanzioni o altre misure sfavorevoli per gli interessi dei singoli, emerso negli anni
settanta nell’ambito dei procedimenti in materia di concorrenza; l’affermazione, negli anni novanta, del diritto alla
trasparenza; infine, nella fase più recente lo sviluppo dei diritti di partecipazione nell’ambito dei procedimenti
legislativi e di rulemaking.
18
COMMISSIONE EUROPEA, La governance europea, un libro bianco, Bruxelles, 2001, p. 10 consultabile online all’indirizzo http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2001/com2001_0428it02.pdf
19
Il progetto Partecipando è stato creato in seno al programma europeo Urbact (finalizzato alla promozione dello
sviluppo urbano sostenibile in Europa) e ha visto la creazione di una rete urbana di ventidue città europee che in
passato avevano preso parte ai programmi europei Urban e Progetti Pilota Urbani. Lo scopo è promuovere lo scambio
trasnazionale di esperienze sui temi della progettazione partecipata, delle politiche integrate e della coesione sociale. I
lavori della rete hanno riunito insieme politici, tecnici, esperti tematici ed abitanti dei paesi partecipanti e si sono
articolati in nove inchieste locali realizzate da esperti tematici (Roma, Parigi, Napoli, Cosenza, Reggio Calabria,
Grenoble, Bordeaux, Newcastle, Bruxelles) e dodici seminari tematici svolti in dieci differenti città partner nel corso dei
quali sono stati affrontati i diversi aspetti della partecipazione. I risultati delle più significative esperienze di
progettazione urbana partecipata nei Paesi dell’UE sono raccolti nel “Manuale europeo per la partecipazione” e nella
“Carta della Partecipazione” ad uso delle pubbliche amministrazioni locali, nazionali e internazionali, per diffondere la
cultura e le metodologie della partecipazione come strumento indispensabile per il governo del territorio. URBACTPARTECIPANDO, Manuel européen de la participation Bruxelles, 2006 è consultabile on-line all’indirizzo
http://urbact.eu/fileadmin/general_library/Manuel_europeen_de_la_participation.pdf
20
Si tratta della direttiva europea che per la prima volta afferma l’importanza di garantire l’accesso del pubblico a
tutte le informazioni in materia di ambiente in possesso degli Stati membri. Anche nel Quinto programma comunitario
di azione in materia ambientale (GU C 138 del 17.5.1993, p. 1) viene sottolineata l’importanza dell’accesso agevole
alle informazioni ambientali, al punto che, in occasione della sua revisione, questo aspetto viene ribadito come
prioritario per il processo di sensibilizzazione del pubblico ai temi ambientali.
21
La Convenzione di Aarhus era stata infatti sottoscritta dalla Comunità Europea e dalla maggioranza dei suoi Stati
membri nel giugno 1998. Prima della ratifica da parte della Comunità è stato tuttavia necessario rendere le disposizioni
6
riprendono molti passaggi della Convenzione di Aarhus in modo quasi letterale, pur lasciando
discreti margini di manovra agli Stati membri per approntare gli strumenti concreti di
partecipazione del pubblico.
Successivamente alla ratifica da parte della Comunità, è stato poi approvato il regolamento
1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, che contiene norme atte a garantire alle
istituzioni e agli organi comunitari l’applicazione delle disposizioni e dei principi della
Convenzione di Aarhus.
La direttiva 2003/4/CE, proponendosi di ampliare le misure per l’esercizio del diritto di accesso
stabilite nella precedente direttiva 90/313/CEE, stabilisce essenzialmente due obiettivi principali: a)
garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e
stabilire i termini e le modalità pratiche per il suo esercizio; b) garantire che l’informazione
ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, in
modo da ottenere la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico
dell’informazione ambientale 22.
In funzione della massima tutela dei cittadini, il testo comunitario adotta una lettura assai ampia
delle nozioni di “informazione sull’ambiente” 23 e di “autorità pubblica” 24 tenuta a fornire al privato
le informazioni stesse.
Il testo normativo innanzitutto riconosce, come la precedente direttiva 90/313/CEE, la
legittimazione all’accesso a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il
proprio interesse 25.
A differenza invece della precedente direttiva – che era orientata soprattutto sul profilo passivo
dell’informazione, ossia quello del rilascio delle informazioni su apposita richiesta del cittadino – il
nuovo testo insiste molto sulla divulgazione “attiva” delle informazioni, proprio come stabilito nella
Convenzione di Aarhus.
Viene stabilito infatti che “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che le
autorità pubbliche strutturino l’informazione ambientale rilevante per le loro funzioni e in loro
possesso o detenuta per loro conto ai fini di un’attiva e sistematica diffusione al pubblico, in
particolare mediante le tecnologie di telecomunicazione informatica e/o le tecnologie elettroniche,
se disponibili” 26.
La disposizione aggiunge che l’informazione ambientale sia resa progressivamente disponibile in
banche dati elettroniche cui il pubblico possa avere facilmente accesso tramite reti di
telecomunicazione pubbliche e che, inoltre, essa sia costantemente aggiornata attraverso rapporti
periodici 27nonché resa “immediatamente e senza indugio” in caso di “minaccia imminente per la
di diritto comunitario compatibili con quelle della Convenzione. Sul punto si v. B. GEBERS, Proposte avanzate dalla
Commissione europea per l’applicazione della Convenzione di Aarhus,
in Riv. giur. amb., 2001, fasc. 1, pp. 189-191.
Successivamente, per un approccio critico sotto il profilo della concreta attuazione delle disposizioni comunitarie si v.
B. LORZ, Verso l’applicazione della Convenzione di Aarhus nell’UE. Disposizioni di attuazione e progressi realizzati,
in Riv. giur. amb., 2006, fasc. 6, pp. 1047-1055.
22
Art. 1, direttiva 2003/4/CE.
23
Si ricomprendono così tra le informazioni ambientali aspetti come la salute e la sicurezza umana, le condizioni di
vita dell’uomo, i siti e gli edifici di interesse culturale e, addirittura, l’analisi costi-benefici e altre analisi e metodi
economici utilizzati per l’adozione di provvedimenti ambientali (Art. 2, direttiva 2003/4/CE, co. 1).
24
L’idea di fondo è che ogniqualvolta viene esercitato il potere pubblico, gli individui e le loro organizzazioni
dovrebbero godere di determinati diritti. È pertanto necessario che le istituzioni e gli organi soggetti alle disposizioni
della direttiva siano definiti in modo altrettanto ampio e funzionale. Nel novero delle “autorità pubbliche” rientrano
pertanto, oltre all’amministrazione a livello centrale, regionale e locale, anche tutti i soggetti, persone fisiche e/o
giuridiche che, secondo il rispettivo diritto nazionale, svolgono funzioni amministrative pubbliche ovvero hanno
responsabilità o funzioni pubbliche o che forniscono pubblici servizi connessi all’ambiente sotto il controllo del
governo o di chi comunque svolge funzioni amministrative pubbliche (Art. 2, direttiva 2003/4/CE, co. 2).
25
Art. 3, direttiva 2003/4/CE.
26
Art. 7, direttiva 2003/4/CE.
27
L’art. 7, co. 3, direttiva 2003/4/CE attribuisce agli Stati membri il compito di adottare “le misure necessarie
affinché si provveda alla pubblicazione a intervalli regolari, non superiori a quattro anni, di rapporti nazionali e, a
seconda dei casi, regionali o locali sullo stato dell’ambiente. Detti rapporti contengono informazioni sulla qualità
7
salute umana o per l’ambiente”.
Nella direttiva, come si vede, la tutela dell’ambiente e il rafforzamento democratico delle
istituzioni degli Stati membri attraverso il potenziamento delle tecniche di informazione procedono
in parallelo.
Per quanto riguarda i profili della partecipazione del pubblico 28, la direttiva 2003/35/CE (art. 3,
che essenzialmente modifica in molte parti la direttiva 85/337/CEE) impone che al pubblico
interessato vengano offerte tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alle procedure
decisionali in materia ambientale, avendo a tal fine esso il diritto di esprimere osservazioni e pareri
all’autorità competente quando tutte le opzioni sono aperte, prima che venga adottata la decisione
sulla domanda di autorizzazione.
Gli Stati membri stabiliscono le modalità dettagliate di informazione del pubblico (ad esempio
mediante affissione entro una certa area o mediante pubblicazione nei giornali locali) e di
consultazione del pubblico interessato, per iscritto o tramite indagine pubblica (rectius: inchiesta
pubblica) 29.
Le scadenze per le varie fasi devono essere fissate in maniera adeguata, tale da consentire un
tempo sufficiente per informare il pubblico nonché per consentire al pubblico interessato di
prepararsi e di partecipare efficacemente al processo decisionale in materia ambientale.
Come si vede la direttiva, al pari della Convenzione di Aarhus, considera l’effettiva
partecipazione del pubblico all’adozione di decisioni uno strumento in grado di accrescere la
responsabilità e la trasparenza del processo decisionale nel suo complesso, favorendo la
consapevolezza dei cittadini comunitari sui problemi ambientali e la legittimazione delle decisioni
adottate.
3. Il valore del bene ambiente e la partecipazione pubblica nell’ordinamento nazionale.
Come si è avuto modo di vedere, all’accresciuta sensibilità nei confronti dell’interesse
all’ambiente – inteso come bene la cui integrità va preservata nel rispetto delle generazioni future e
della salute pubblica – si è nel tempo accompagnata una consistente domanda di accesso alle
informazioni e di partecipazione procedimentale da parte dei cittadini.
Il pubblico infatti avverte la necessità di trovarsi dentro il procedimento ambientale più che in
ogni altro procedimento, poiché esso si caratterizza per la particolare complessità dell’attività
istruttoria e per gli effetti immediati che le scelte dell’amministrazione producono sull’intera
collettività.
A livello internazionale e comunitario è così provenuta una forte spinta al rafforzamento
democratico dei processi decisionali, volta a garantire il massimo coinvolgimento della collettività e
il più ampio accesso alle informazioni nei processi decisionali relativi a progetti che producono
effetti significativi sull’ambiente.
La consapevolezza che strumenti effettivi di partecipazione pubblica – attraverso i quali il
pubblico è ammesso a contribuire concretamente con il proprio apporto di elementi tecnico
scientifici – rendono possibile sensibilizzare l’autorità decidente ed elevare la qualità del processo
decisionale nel suo complesso, ha infatti condotto a prevedere idonee modalità di coinvolgimento
dei cittadini nei procedimenti amministrativi direttamente attinenti le opere progettate e le loro
dell’ambiente e sulle pressioni cui è sottoposto”.
28
A proposito si v. approfonditamente S. RUINA, La disciplina comunitaria dei diritti di partecipazione ai
procedimenti ambientali, Quaderni della Rivista giuridica dell’ambiente, Quaderno n. 22, Milano, Giuffrè, 2008, in
particolare pp. 31 ss.
29
Il testo tradotto in italiano non dà adeguato conto dei termini utilizzati: le espressioni enquête publique o public
inquiry, usate nelle versioni ufficiali della direttiva in lingua francese o inglese, hanno infatti una precisa valenza
tecnica, tuttavia tradotta genericamente con il termine indagine pubblica, anziché, in modo più corretto, inchiesta
pubblica (sul punto si v. infra § 3.3).
8
ricadute sull’ambiente 30.
La realizzazione di una grande infrastruttura infatti spesso pone serie questioni di compatibilità
ambientale ed è suscettibile di produrre effetti immediati sulla collettività interessata; di
conseguenza, in questo ambito la necessità di garantire la partecipazione del pubblico è
particolarmente avvertita: come si è già visto, la normativa ultrastatale ha quindi compiuto un
importante sforzo per l’ampliamento di tali garanzie.
In tale direzione si sono mossi anche alcuni ordinamenti statali, che hanno ricercato strumenti
innovativi di partecipazione ai procedimenti di autorizzazione delle grandi opere pubbliche:
l’esigenza di garantire una sempre maggiore partecipazione pubblica nelle decisioni che
comportano effetti rilevanti per l’ambiente ha infatti portato a una continua evoluzione delle
procedure partecipative e, a questo riguardo, la Francia e il Regno Unito rappresentano un esempio
importante di come l’iniziale recepimento della normativa ultrastatale in materia ambientale abbia
offerto lo spunto per il rafforzamento della stessa disciplina generale.
In Italia, alla progressiva affermazione dell’ambiente come valore “primario” e meritevole
pertanto della più ampia tutela, non è tuttavia seguita una produzione legislativa tesa all’effettivo
potenziamento delle tecniche di partecipazione del pubblico nei procedimenti ambientali, e questo
nonostante i vincoli posti in tal senso dall’ordinamento comunitario ed internazionale 31.
Da una parte la disciplina speciale in materia di ambiente è il frutto di un recepimento piuttosto
“prudente” (poiché le inchieste pubbliche sono meramente facoltative); dall’altra la disciplina
generale del procedimento, a differenza di quanto avvenuto in altri Paesi, non è stata in grado di
assorbire questo importante strumento partecipativo (non essendo ad oggi prevista la possibilità di
indire inchieste pubbliche). Questa constatazione desta maggiore perplessità se invece si considera
che nel settore dell’informazione al pubblico si è positivamente verificata un’osmosi tra la
disciplina ambientale e quella generale.
Nelle pagine che seguono si analizzerà dapprima in chiave storica l’emersione dell’interesse
all’ambiente nel contesto italiano; successivamente si analizzeranno le opportunità offerte dal
nostro ordinamento in tema di partecipazione pubblica ai procedimenti di interesse collettivo; infine
si darà conto delle modalità con le quali il nostro Paese ha recepito la normativa ultrastatale in
materia di partecipazione ambientale.
3.1. Il principio di primarietà dell’ambiente.
Come è stato notato 32, nonostante nel nostro ordinamento il termine ambiente compaia per la
prima volta già nel 1940 nella normativa di protezione delle bellezze naturali e del paesaggio 33, il
concetto di rilevanza giuridica di “tutela” dell’ambiente emerge nel diritto positivo solo trent’anni
30
Preambolo della Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione, sulla partecipazione del pubblico al
processo decisionale e sull’accesso alla giustizia in materia ambientale.
31
Sul tema dell’“ingresso” delle fonti ultrastatali in materia di ambiente nell’ordinamento costituzionale italiano si
v. di recente D. PORENA, La protezione dell’ambiente tra Costituzione italiana e “Costituzione globale”, Torino,
Giappichelli, 2009.
32
P. DELL’ANNO, Modelli organizzativi per la tutela dell’ambiente, (Relazione tenuta a Teramo al 1° Convegno
dell’AIDU su “La tutela dell’ambiente”), in Riv. giur. amb., 2005, fasc. 6, p. 957-990, qui p. 958.
33
Regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, art. 9, comma 2, n. 3 (Regolamento per l’applicazione della Legge 29
giugno 1939, n. 1497 sulla Protezione delle bellezze naturali). Quest’ultima legge, cui il regolamento si riferisce, è stata
abrogata dal D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), art. 166 (Norme abrogate), comma 1. Ciononostante,
il Regolamento medesimo è stato mantenuto in vigore, per le disposizioni ancora “applicabili”, sia prima dal suddetto
D.lgs. 490/1999, art. 161 (Regolamento), comma 2, sia dal successivo D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), art. 158 (Disposizioni regionali di
attuazione). Nello specifico, l’art. 158 del D.lgs. 42/2004, attualmente vigente, dispone che: “Fino all’emanazione di
apposite disposizioni regionali di attuazione del presente codice restano in vigore, in quanto applicabili, le disposizioni
del regolamento approvato con Regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357”.
9
dopo e comunque nell’ambito dell’organizzazione della pubblica amministrazione e della
distribuzione delle competenze tra Stato e regioni 34.
All’interno del nostro ordinamento non è tuttavia possibile rinvenire una vera e propria
definizione giuridica di ambiente 35 . La Carta costituzionale, pur contenendo disposizioni
concernenti temi strettamente connessi con l’ambiente, quali l’art. 9, relativo alla tutela del
paesaggio e del patrimonio storico-artistico, e l’art. 32, laddove si prevede la tutela del diritto alla
salute, non rappresenta alcun riferimento diretto all’ambiente 36. Nelle diverse legislature sono stati
più volte proposti disegni di legge per introdurre nella Costituzione una norma direttamente riferita
all’ambiente, ma ciò non è avvenuto fino alla riforma costituzionale del 2001, di cui si parlerà tra
poco.
Nella dottrina italiana la prima concreta, ed ancora oggi fondamentale, ricostruzione giuridica
del concetto di ambiente si deve dunque al pensiero di Giannini dei primi anni settanta 37, secondo
cui la disciplina dell’ambiente è costituita da “frammenti” di diverse materie: la tutela del
paesaggio; la difesa del suolo, dell’aria, dell’acqua contro le forme di inquinamento; l’assetto del
territorio 38. Secondo la teoria tripartita di Giannini, risultava fallimentare qualsiasi tentativo volto
ad identificare l’esistenza di una materia a sé stante coincidente con l’ambiente, termine che si
palesava, dunque, del tutto generico e non connotante, se non da un punto di vista metagiuridico 39.
La teoria “frammentaria” di Giannini è stata per la prima volta messa in discussione da
Postiglione, che, in maniera diametralmente opposta, intendeva dimostrare la correttezza di una
concezione giuridica unitaria di ambiente 40 . Questo Autore riconosceva nell’ambiente non una
pluralità di interessi, ma “un interesse pubblico fondamentale della collettività nazionale” e, sulla
base della previsione aperta dell’art. 2 della Costituzione, teorizzava l’esistenza di un vero e
proprio diritto fondamentale della persona relativo all’ambiente, diritto che avrebbe un contenuto
34
Art. 6, n. 7 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 in materia di “Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle
funzioni amministrative statali in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera e dei relativi personali ed uffici”.
35
Si noti come nel menzionato D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) si parli
unicamente di “beni paesaggistici”, laddove nella precedente disciplina (D.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, “Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”) si faccia invece diretto riferimento all’ambiente.
Con ogni probabilità, la scelta del legislatore è dettata dalla difficoltà di definire, dal punto di vista giuridico, il concetto
di ambiente, con la conseguenza che l’eliminazione di tale termine deve essere apparsa la soluzione più idonea in
risposta alle esigenze di certezza del diritto.
36
Per una dettagliata analisi delle norme costituzionali che, anche in maniera indiretta, investono il tema
dell’ambiente si v. A. POSTIGLIONE, Il diritto all’ambiente, Napoli, Jovene, 1982, p. 39 ss.
37
M.S. GIANNINI, Ambiente: saggio sui suoi diversi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, pp. 15 ss. (da
cui ha preso le mosse l’intero dibattito dottrinario sul punto). L’illustre A., nel disconoscere una nozione giuridica in
senso unitario di ambiente, sostiene che il dato ambientale viene preso in considerazione dall’ordinamento
essenzialmente nell’accezione culturale, sanitaria ed urbanistica o delle trasformazioni territoriali. In precedenza si v.
anche ID. Difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale e culturale, in Riv. trim. dir. pubbl., 1971, fasc. 3, pp. 11221134.
38
A lungo, infatti, si è sostenuta l’impossibilità di dare alla tutela dell’ambiente un’autonomia concettuale rispetto al
paesaggio, alla salute, all’urbanistica. Sul punto, riformulando le teorie fino a quel momento maggioritarie, G.
MORBIDELLI, Il regime amministrativo speciale dell’ambiente, in Scritti in onore di Alberto Predieri, vol. II, Milano,
Giuffrè, 1996, p. 1121 ss. che individua almeno quattro componenti dell’entità ambiente: l’assetto del territorio, la
ricchezza delle risorse naturali, il paesaggio nel suo valore estetico e culturale, la salubrità delle condizioni di vita. Ed è
in fondo proprio quest’ultima espressione di “ambiente” ad essere predominante negli anni novanta.
39
Si v. F. FRACCHIA, Sulla configurazione giuridica unitaria dell’ambiente: art. 2 Cost. e doveri di solidarietà
ambientale, in Dir. econ, 2002, fasc. 2, pp. 215 ss.
40
A. POSTIGLIONE, Ambiente: suo significato giuridico unitario, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, fasc. 1, p. 32-60.
Del resto, va tenuto a mente che Giannini “ha elaborato la sua teoria prima che nel nostro ordinamento comparissero
istituti di tutela ambientale a carattere generale quali la valutazione di impatto ambientale, la responsabilità per danno
ambientale, l’azione giurisdizionale amministrativa ex art. 18, comma 5, della legge 349/1986” (così C. VIVANI, Il
danno ambientale. Profili di diritto pubblico, Padova, Cedam, 2000, p. 16).
10
autonomo e più ampio rispetto ai singoli interessi (di natura culturale, sanitaria o urbanistica) di
volta in volta protetti dall’ordinamento 41.
Nel silenzio del legislatore (che nella Legge 349/1986 istitutiva del Ministero dell’Ambiente ben
avrebbe potuto fornire una definizione chiarificatrice del concetto giuridico di ambiente, in senso
unitario o frazionato) il problema è stato affrontato principalmente dall’elaborazione
giurisprudenziale costituzionale 42.
In due importantissime sentenze la Corte, pur aderendo ad una concezione fondamentalmente
unitaria dell’ambiente “comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali” 43, si sforzava di creare i
presupposti per una saldatura delle due opposte concezioni osservando che l’ambiente rappresenta
un “bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche
costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono
riconducibili ad unità” 44. La Corte, in sostanza, afferma che la circostanza che il bene ambiente, di
rilevanza “primaria” ed “assoluta” possa essere fruito e tutelato dalla collettività sotto più profili
distinti, non esclude affatto la legittimazione di una sua considerazione giuridica in senso unitario.
Nonostante la chiara ricostruzione della Corte costituzionale, il nostro ordinamento si è
caratterizzato per molto tempo per i forti contrasti su tale tema, principalmente a causa della
mancanza all’interno della nostra Carta Costituzionale – lo si è già notato – di una norma che
parlasse esplicitamente di ambiente 45.
In tale contesto è intervenuta la novella del 2001, che ha finalmente introdotto un esplicito
riferimento all’ambiente nella Costituzione italiana con l’art. 117, secondo comma, lettera s) 46. Tale
norma attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la “tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali”, sottoponendo, nel contempo, al regime della legislazione
concorrente le materie della tutela della salute e del governo del territorio. In tal senso il legislatore
non solo ha per la prima volta, sia pure in un precetto di natura organizzativa, introdotto il termine
ambiente in una norma della Costituzione italiana, ma, allo stesso tempo, sembra chiarire che tale
formula “non consiste in una mera sintesi verbale che rimanda ad altri istituti in qualche modo
collegati (salute, paesaggio, territorio, ecc.), bensì rappresenta una materia a sé stante, con una
propria autonomia giuridica e concettuale” 47.
Successivamente alla riforma della Carta Costituzionale, l’attività “creatrice” del Giudice
costituzionale si è in realtà affinata ulteriormente, delineando l’ambiente non come autonoma
41
Secondo la ricostruzione di S. CASSESE, La tutela dell’ambiente: funzioni e organizzazione. (Relazione al
seminario “Diritto e ambiente”, Roma, 5 novembre 1988), in Riv. giur. amb., 1989, fasc. 4, pp. 759-760 la disciplina
dell’ambiente si è sviluppata attraverso tre fasi: una prima fase, fino al 1960, caratterizzata dall’episodicità (rilevano
cioè solo alcuni aspetti di esso: ad es. le bellezze paesistiche, l’urbanistica e l’igiene dei suoli); una seconda fase
contrassegnata dal passaggio ad una considerazione globale dell’ambiente (in cui l’ambiente viene quindi assunto dalla
normativa nella sua totalità); una terza fase in cui si assiste al passaggio da una disciplina nazionale ad una disciplina
fondamentalmente comunitaria.
42
Per un’analisi dell’intervento del Giudice delle leggi si v. A. RALLO, Funzione di tutela ambientale e
procedimento amministrativo, Napoli, Editoriale Scientifica, 2000, pp. 28 ss.
43
Corte Cost. 28 maggio 1987, n. 210, punto 4.3, in diritto.
44
Corte Cost., 30 dicembre 1987, n. 641, punto 2.2, in diritto.
45
Sulla considerazione della materia ambientale nelle Costituzioni dei diversi ordinamenti si rinvia a G. CORDINI,
Profili di diritto ambientale comparato, in Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, a cura di G.
Cordini, P. Fois, S. Marchisio, II ed., cit., pp. 99-127, S. GRASSI, Costituzioni e tutela dell’ambiente, in S. Scamuzzi (a
cura di), Costituzioni, razionalità, ambiente, Torino, Bollati Boringhieri, 1994, pp. 389-430, L. MEZZETTI, La
Costituzione dell’ambiente nel diritto comparato: modelli normativi, organizzazione amministrativa e situazioni
giuridiche soggettive, in L. Mezzetti (a cura di), I diritti della natura. Paradigmi di giuridificazione dell’ambiente nel
diritto pubblico comparato, Padova, Cedam, 1997, pp. 1 ss., D. AMIRANTE (a cura di), Diritto ambientale e
Costituzione. Esperienze europee, Milano, F. Angeli, 2000.
46
In dottrina si v. G. ROSSI (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., pp. 44 ss.
47
Così M. CALABRÒ, Potere amministrativo e partecipazione procedimentale. Il caso ambiente, Napoli,
Editoriale scientifica, 2004, p. 182.
11
materia, ma come “valore costituzionalmente protetto” a carattere trasversale 48 . L’ambiente si
distingue infatti dalle “materie in senso stretto” per configurarsi come “valore” idoneo ad investire e
ad intrecciarsi inestricabilmente con interessi e competenze di natura diversa (dal governo del
territorio alla salute, dai trasporti all’energia, etc.), la cui tutela può essere indifferentemente
affidata sia allo Stato che alle regioni 49.
In Italia, dunque, l’ambiente è progressivamente andato affermandosi come valore costituzionale
primario ed assoluto, meritevole del più ampio livello di tutela 50: nonostante i vincoli che si è visto
provenire dall’ordinamento comunitario ed internazionale, non sembra tuttavia che, a tale
affermazione, in Italia sia seguita una produzione legislativa tesa all’effettivo potenziamento delle
tecniche di partecipazione del pubblico ai procedimenti ambientali.
3.2. La disciplina generale: l’inapplicabilità dell’istituto della partecipazione ai procedimenti di
interesse collettivo.
La ricostruzione dell’istituto in questione non può non dar conto, seppur brevemente, dei
caratteri del principio di partecipazione al procedimento amministrativo prima dell’emanazione
delle Legge 7 agosto 1990, n. 241 51. In chiave storica, pertanto, è opportuno prendere le mosse
dall’analisi della disposizione contenuta nel co. I dell’art. 3 dell’All. E della legge 20 marzo 1865 n.
2248, legge abolitrice del contenzioso amministrativo.
Come è noto, infatti, tale disposizione normativa attribuiva alle parti interessate la facoltà di
48
La tutela ambientale dunque, più che una vera e propria materia, potrebbe configurare una clausola generale,
applicabile a diverse materie. È stato sottolineato, al riguardo, come, oltre l’ambiente, anche altre materie contemplate
dall’art. 117 Cost. possiedono un analogo carattere di trasversalità, quale, ad esempio, la “determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio
nazionale”. Sul punto si v. A. FERRARA, La “materia ambiente” nel testo di riforma del Titolo V, in AA.VV.,
Problemi del federalismo, Milano, Giuffrè, 2001, pp. 185-194, in particolare p. 191 ss.
49
In particolare, con le sentenze n. 407 e 536 del 2002, n. 222 del 2003, la Corte cost. ha escluso che la tutela
dell’ambiente sia una “materia” in senso tecnico, essendo invece l’ambiente da considerarsi come un “valore”
costituzionalmente protetto. Come tale, non esclude la titolarità in capo alle Regioni di competenze legislative su
materie (governo del territorio, tutela della salute, ecc.) per le quali quel valore costituzionale assume rilievo e consente
allo Stato di dettare, in funzione di esso, “standards di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale” anche incidenti
sulle competenze legislative regionali ex art. 117 della Costituzione, senza tuttavia che ne resti esclusa la competenza
regionale alla cura di interessi “funzionalmente collegati” con quelli propriamente ambientali. Sul tema delle
prerogative di Stato e regioni nella materia ambientale si v. A. D’ATENA, La Consulta parla…e la riforma del titolo V
entra in vigore, in Giur. cost., 2002, fasc. 3, pp. 2027-2034, M. CECCHETTI, Legislazione statale e legislazione
regionale per la tutela dell’ambiente: niente di nuovo dopo la riforma costituzionale del Titolo V, in Le Regioni, 2003,
fasc. 1, pp. 318-337, G. D’ALFONSO, La tutela dell’ambiente quale “valore costituzionale primario” prima e dopo la
riforma del Titolo V della Costituzione, in F. Lucarelli (a cura di), Ambiente, territorio e beni culturali nella
giurisprudenza costituzionale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2006, pp. 3-69. Di recente si v. G. VESPERINI, Il
riparto delle funzioni in materia ambientale: un’introduzione, in Giorn. dir. amm., 2007, fasc. 5, pp. 551-555 e, per
una attenta disamina della giurisprudenza costituzionale in materia, D. PORENA, L’ambiente come “materia” nella
recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, 2, 2009.
50
Fra le molte, dapprima Corte cost. n. 151 del 1986, n. 641 del 1987 e poi n. 182 e n. 183 del 2006, n. 367 del
2007. In dottrina si v. P. MANTINI, Per una nozione costituzionalmente rilevante di ambiente, in Riv. giur. amb., 2006,
fasc. 2, pp. 207-226, P. MADDALENA, L’ambiente: prolegomeni per una sua tutela giuridica (relazione al convegno
“concetto e tutela dell’ambiente”, Napoli, 21 aprile 2007), in Riv. giur. amb., 2008, fasc. 3-4, pp. 523-533, M.
CECCHETTI, Principi costituzionali per la tutela dell’ambiente, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 6 ss.
51
Per cui si v. G. BARONE, L’intervento del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1969, M.
NIGRO, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, pp. 225-236, ID., Procedimento amministrativo
e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione (il problema di una legge generale sul procedimento
amministrativo), in Riv. dir. proc., 1980, pp. 252-278, ID., Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e
trasformazione dell’amministrazione (A proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm., 1989, pp. 5-24,
G. SCIULLO, Il fastidio della partecipazione, in Riv. giur. urb., 1989, p. 463 ss., G. BERTI, Procedimento, procedura,
partecipazione, in Studi in memoria di E. Guicciardi, Padova, Cedam, 1975, pp. 779 ss., S. CASSESE, Il privato e il
procedimento amministrativo. Una analisi della legislazione e della giurisprudenza, in Arch. Giur., n. 1-2, 1970, p. 25
ss.
12
presentare osservazioni e deduzioni all’autorità amministrativa durante la fase procedimentale; in
particolare essa disponeva che “gli affari non compresi nell’articolo precedente [ovvero, i diritti
civili o politici] saranno attribuiti alle autorità amministrative, le quali, ammesse le deduzioni e le
osservazioni in iscritto delle parti interessate, provvederanno con decreti motivati”.
Tuttavia, almeno inizialmente, la stessa riferibilità della norma al procedimento di primo grado
fu da più parti messa in discussione, poiché l’opinione dominante in dottrina fu quella che l’art. 3 si
riferisse, sia al I che al II comma, alla procedura del ricorso gerarchico. Tale orientamento iniziale
fu però superato, consolidandosi definitivamente grazie ai contributi di successivi autori che si
occuparono della questione. Per essi, l’intento del legislatore, in conformità alla dottrina liberale
che aveva ispirato l’emanazione della legge n. 2248/1865, era stato quello di introdurre “un sistema
di formazione degli atti amministrativi che consentisse di utilizzare, anche prima dell’emanazione
dell’atto, quegli utili elementi di collaborazione che il cittadino può portarvi per assicurarne la
legittimità e l’opportunità” 52.
Ciononostante, sembra doversi escludere la possibilità di individuare, in epoca anteriore
all’emanazione della L. n. 241/90, un principio generale di partecipazione dei cittadini al
procedimento amministrativo all’interno del nostro ordinamento giuridico. Da una parte infatti va
considerato il costante contrario orientamento della giurisprudenza amministrativa, che compatta
riteneva il citato art. 3 una disposizione di carattere sostanzialmente programmatico 53; dall’altra,
tale istituto è stato, per moltissimi anni, considerato non la regola, bensì l’eccezione, riconosciuto
unicamente nelle poche discipline speciali che espressamente lo contemplavano, introducendo ex
novo il principio del contraddittorio in quella determinata materia 54.
Tuttavia, l’evoluzione del rapporto tra Stato e società nel nostro ordinamento 55 ha fatto sì che sin
dalla fine degli anni Settanta la dottrina più attenta iniziasse a compiere pressioni sul legislatore per
l’emanazione di una legge finalmente introduttiva del principio di partecipazione degli interessati al
52
M. NIGRO, Sulle decisioni amministrative, in Foro amm., 1950, IV, p. 24 ss. D’altra parte, come è stato poi
efficacemente chiarito, il primo co. dell’art. 3 non era affatto riferito né riferibile al ricorso gerarchico, oggetto del solo
secondo co., e ciò innanzitutto in base ad una interpretazione letterale del testo normativo: sul punto si v. S. CASSESE,
Il privato e il procedimento amministrativo. Una analisi della legislazione e della giurisprudenza, in Arch. Giur., n. 12, 1970, p. 98.
53
Ex multis, Cons. St., Sez. IV, 9 dicembre 1964, n. 1382, in Foro amm. 1964, I, 1397; Cons. St., Sez. VI, 14 luglio
1981, n. 422, in Cons. St. 1981, I, 872; T.A.R. Friuli, 6 maggio 1981, n. 116, in T.A.R. 1981, I, 2193; T.A.R. Campania,
21 marzo 1984, n. 208, in T.A.R. 1984, I, 1825.
54
Tra le leggi principali si ricordano il D.L. 21 ottobre 1937, n. 2180 sulle espropriazioni per la costruzione di
alberghi, il T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775 sulle acque e gli impianti elettrici, la L. 29 giugno 1939, n. 1497 sulla
protezione delle bellezze naturali, il R.D. 30 marzo 1942, n. 327 (Codice della navigazione), la legge urbanistica del 17
agosto 1942, n. 1150 e la legge-ponte 6 agosto 1967, n. 765 in materia di piani regolatori.
55
Sul tema si rinvia necessariamente a A. ROMANO, Il cittadino e la pubblica amministrazione, in Studi in
memoria di V. Bachelet, I, Milano 1987, p. 550 ss.; V. OTTAVIANO, Appunti in tema di amministrazione e cittadino
nello Stato democratico, in Scritti in onore di M. S. Giannini, vol. II, Milano 1988, p. 369 ss.; F. BENVENUTI, Il
nuovo cittadino, tra libertà garantita e libertà attiva, Padova, 1994; E. CASETTA, Profili della evoluzione dei rapporti
tra cittadini e pubblica amministrazione, in Dir. amm., 1/1993, p. 1 ss.; S. CASSESE, Il cittadino e l’amministrazione
pubblica, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, p. 1015 ss. Quest’ultimo A. individua tre distinte fasi che caratterizzano
l’evoluzione del rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione e delle relative conseguenze per l’intero assetto
ordinamentale: durante la prima fase, iniziata nei primi anni del XIX secolo, “i diritti dei cittadini si fermavano sulla
soglia della politica, così come la democrazia era democrazia politica, non amministrativa. [ ...] Le amministrazioni
pubbliche non avevano ancora avuto lo sviluppo che avranno nel secolo successivo e si presentavano ancora come
apparati limitati, operanti in alcuni settori essenziali (ordine pubblico, anche economico, rapporti esteri, difesa) sotto
stretto controllo governativo [ ...] Con il XX secolo inizia una fase nuova: le amministrazioni pubbliche aumentano di
numero e di importanza e si stabiliscono rapporti diretti con i privati. [ ... ] Corrispettivamente, le amministrazioni
pubbliche vengono considerate come entità superiori, che possono agire come autorità e, quindi, con atti unilaterali e
imperativi a danno dei cittadini [ ...] Dunque, da una fase nella quale non vi erano rapporti cittadini-pubbliche
amministrazioni, ma solo rapporti cittadini-Stato, si passa ad una seconda fase nella quale si stabiliscono rapporti non
occasionali o episodici, diretti, tra pubbliche amministrazioni e privati. Ma tali rapporti sono di sudditanza [ ...]
Nell’ultimo quarto di secolo si registra un cambiamento radicale: le amministrazioni pubbliche riconoscono i privati
come cittadini, posti sullo stesso livello delle amministrazioni e dotati di diritti [ ...] gli uffici pubblici non possono più
essere presentati come la longa manus del governo; agiscono in prima persona”.
13
procedimento amministrativo.
Nel 1979, Giannini, presentando il suo “Rapporto sui principali problemi sull’amministrazione
dello Stato” 56 rilevava, tra 1’altro, la necessità di garantire la libertà dei cittadini “di essere
informati circa i fatti dei poteri pubblici” e asseriva, altresì, che occorreva procedere alla
“modernizzazione delle leggi regolative dell’azione amministrativa”. Poneva in luce, così, quegli
autoritarismi che avevano fino ad allora profondamente caratterizzato la posizione di supremazia
della P.A., al fine di avviare lo sviluppo di una nuova amministrazione, caratterizzata da un’azione
imparziale e da un procedimento in cui venisse garantito il confronto e la rappresentanza di tutti gli
interessi di volta in volta coinvolti.
Negli anni successivi, le istanze volte a porre le basi per l’affermazione di un’amministrazione
più trasparente e vicina ai cittadini, nonché alle sempre più sentite esigenze, da parte dei privati, di
partecipazione all’attività della pubblica amministrazione divenivano sempre più pressanti: è a
queste istanze che il legislatore del 1990 ha cercato quindi di dare una concreta risposta.
Come è noto, l’intero Capo III della Legge 7 agosto 1990, n. 241 è dedicato alla disciplina
dell’istituto della partecipazione dei privati al procedimento amministrativo 57 . Lo scopo di tale
fondamentale normativa 58, frutto del lavoro effettuato dalla Commissione governativa presieduta da
Nigro, era quello di realizzare la democratizzazione del procedimento amministrativo rendendolo,
da serie interna di atti finalizzati all’emanazione di un provvedimento, “luogo di confluenza e
comparazione di tutti gli interessi pubblici e degli interessi cosiddetti privati” al fine dell’adozione
della soluzione più idonea ed adeguata 59.
56
M.S. GIANNINI, Rapporto sui principali problemi dell’amministrazione dello Stato (trasmesso alle Camere il 16
novembre 1979), in Riv. trim. dir. pubbl., 1982, n. 3, p. 722 ss.
57
M. NIGRO, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, p. 231 sottolinea come proprio il
procedimento “è la forma organizzativa ideale per l’emersione degli interessi «partecipanti» perché idoneo a dare
elasticità alle strutture e ad assicurarne la più ampia apertura, mantenendo nello stesso tempo quella stabilità dei
lineamenti organizzativi e quella distinzione dei ruoli che sono essenziali da una parte alla certezza e alla imparzialità
dell’organizzazione, dall’altra alla esistenza stessa e alla fecondità della partecipazione”.
58
Sul tema la bibliografia è troppo ampia per essere qui ricordata esaustivamente. Si vedano, tra gli altri, M.
D’ALBERTI, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, in Riv. trim. dir.
pubbl., 2000, pp. 1-34, M. OCCHIENA, Situazioni giuridiche soggettive e procedimento amministrativo, Milano,
Giuffrè, 2002, ID., Partecipazione al procedimento amministrativo, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S.
Cassese, 5° vol., Milano, Giuffrè, 2006, ad vocem, A. SANDULLI, Il procedimento, in Trattato di diritto
amministrativo, a cura di S. Cassese, II ed., Diritto amministrativo generale, Milano, Giuffrè, 2003, II, pp. 1035 ss., A.
CROSETTI e F. FRACCHIA (a cura di), Procedimento amministrativo e partecipazione, cit.; A. ZITO, Le pretese
partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1996, ID., I profili funzionali del
procedimento, in La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, a cura di V. Cerulli
Irelli, Napoli, Jovene, 2006, p. 159 ss., U. ALLEGRETTI, Procedura, procedimento, processo. Un’ottica di democrazia
partecipativa, in Dir. amm., 2007, pp. 779-804, A. MASSERA (a cura di), Le tutele procedimentali. Profili di diritto
comparato, Napoli, Jovene, 2007, G. VIRGA, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè,
1998, S. COGNETTI, “Quantità” e “qualità” della partecipazione: tutela procedimentale e legittimazione
processuale, Milano, Giuffrè, 2000, R. CARANTA, L. FERRARIS, S. RODRIQUEZ, La partecipazione al
procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, II ed., 2005. Per un approfondito confronto con il modello tedesco,
inglese, spagnolo e francese si rinvia all’opera di M.A. SANDULLI (a cura di), Il procedimento amministrativo fra
semplificazione e partecipazione: modelli europei a confronto, Milano, Giuffrè, 2000.
59
Così M. NIGRO, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazione dell’amministrazione (a
proposito di un recente disegno di legge), in Dir. proc. amm., 1989, p. 17. L’A. prosegue affermando di voler proporre
un’idea di procedimento come “entità dinamica, flessibile, di natura organizzativa, soprattutto, come un’entità aperta,
cioè non vincolata, né quanto all’istruttoria, né quanto alla conclusione, da modelli rigidi, ma suscettibile di assumere
tutte le forme che la realtà concreta della vicenda suggerisce e impone” (p. 23). Forse ancor più esemplificativa della
nuova concezione in chiave funzionale è la ricostruzione di Giannini secondo cui il procedimento “è il modo di
svolgersi dell’attività (potestà) discrezionale, o la forma della funzione amministrativa”. “Il decidente, e anche le altre
parti del procedimento in un procedimento complesso si muovono in una rete di interessi pubblici, collettivi, diffusi e
privati. Quanto più la rete degli interessi è complessa, tanto più il legislatore dovrebbe avere cura di congegnare le fasi
del procedimento in modo da permettere una valutazione consapevole degli interessi compresenti: il procedimento
amministrativo, sotto l’aspetto funzionale, è uno strumento per disciplinare la “compresenza degli interessi” (M.S.
GIANNINI, Diritto amministrativo, III ed., Milano, Giuffrè, 1993, vol. II, rispettivamente alle pp. 155-156 ed a p. 160).
14
Con la normativa in questione, il legislatore per la prima volta inserisce esplicitamente un
principio di ordine generale di partecipazione del cittadino al procedimento amministrativo: infatti,
l’art. 29 specifica in modo inequivoco che i principi contenuti nella legge n. 241/90 rappresentano
principi generali dell’ordinamento 60. Il principio di partecipazione delineato in tale legge è però un
principio non solo generale, ma nel contempo minimo: esso, pertanto, è di immediata applicazione
in tutti i procedimenti amministrativi, fatta salva la possibilità, da parte di leggi di settore, di
prevedere forme ancora più rafforzate di intervento del privato.
La legge n. 241/90 si presenta tuttavia inadeguata, non solo per l’importante limite all’oralità, ma
in quanto la disciplina è relativa ai soli procedimenti volti all’adozione di atti individuali, in ordine
ai quali la partecipazione è riservata a coloro che hanno un interesse specifico. Sono espressamente
esclusi, infatti, i procedimenti di interesse collettivo 61.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, è opportuno rilevare come il legislatore abbia operato una
chiara scelta circa le modalità di esecuzione dell’intervento del privato nel procedimento, non
prevedendo alcun tipo di partecipazione informale basata sull’audizione orale – che pure era
contemplata nello schema Nigro 62 – bensì optando per una partecipazione esclusivamente scritta. È
pur vero che il mancato riconoscimento di un diritto all’audizione orale non equivale ad un divieto
di adottare tale modalità, ma è altrettanto vero che, sulla base dell’esperienza, sono piuttosto rare le
occasioni nelle quali il responsabile del singolo procedimento abbia spontaneamente provveduto (in
maniera ovviamente irrituale, perché non espressamente prevista dalla legge) a convocare
l’interessato per un colloquio orale.
La partecipazione del privato nella fase istruttoria è dunque considerata, nel nostro ordinamento,
una vicenda non solo soggetta a rigorose regole formali, ma oltretutto essenzialmente “cartacea”,
non essendo previsto altro modo di intervenire se non attraverso il deposito di memorie scritte 63. Al
di fuori del settore delle Amministrazioni indipendenti 64, di particolari procedimenti contenziosi (si
Quest’ordine di idee, com’è noto, succede alla concezione formale del procedimento formulata da A.M. SANDULLI, Il
procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 1940, il quale, invece, individuava nel procedimento unicamente una
serie ordinata e consequenziale di atti formalmente collegati volti all’emanazione del provvedimento finale. La genesi
della ricostruzione funzionale del procedimento ed i suoi rapporti con la concezione formale sono esaminati da A.
SANDULLI, Il procedimento, cit., pp. 1035 ss.
60
Sulla interpretazione della legge n. 241/90 come legge di principi immediatamente applicabili a tutti i
procedimenti amministrativi vedi, in giurisprudenza: Corte Cost. 24 febbraio 1995, n. 57, in Foro It. 1995, I, 2407;
Cons. St., Sez. IV, 25 settembre 1998, n. 569, in Cons. Stato 1998, I, 1281, laddove, in particolare, si chiarisce che “La
partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo prevista dagli artt. 7 e ss. l. 7 agosto 1990 n. 241
costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico, per cui ogni posizione che limiti o escluda tale diritto va
interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso”.
61
Esclude dunque che sul piano della disciplina statale generale la partecipazione pubblica a procedimenti di
interesse collettivo abbia valenza di principio generale assoluto A. SANDULLI, Il procedimento, cit., p. 1074 ss. e 1148
ss.
62
lnvero, lo schema originario del progetto di legge Nigro sulla riforma del procedimento amministrativo
prevedeva, all’art. 1, che “L’attività amministrativa deve svolgersi in modo sollecito, semplice ed economico. Essa si
ispira al principio della libertà delle forme”. Veniva in pratica posto, come principio generale, il criterio
dell’informalità, della massima elasticità, che avrebbe dovuto permettere un continuo adeguarsi delle forme alle
esigenze dei singoli procedimenti, in funzione dell’efficienza. Tale previsione, però, a seguito del lavoro di revisione
effettuato dagli uffici della Presidenza del Consiglio, è scomparsa dal testo del disegno di legge.
63
Tale scelta del legislatore è aspramente criticata da quella parte della dottrina che pone in rilievo i limiti di
rigidezza e inefficacia cui essa va inevitabilmente incontro. Sul punto si v. G. CORSO, F. TERESI, Procedimento
amministrativo e accesso ai documenti. Commento alla legge 7 agosto 1990, n. 241, Rimini, Maggioli, 1991, p. 98 ss.;
V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 1999, p. 479 ss.; M.P. CHITI, L’effettività
della tutela avverso la pubblica amministrazione nel procedimento e nell’amministrazione giustiziale, in Scritti in
onore di Pietro Virga, I, Milano, Giuffrè, 1994, p. 560 ss.
64
La partecipazione degli interessati è particolarmente rilevante per le autorità indipendenti: sia per la peculiarità
delle loro funzioni, che tendono a svolgersi in forme contenziose, richiedendo garanzie di difesa e contraddittorio; sia
perché per esse la partecipazione può avere una funzione ulteriore, come fonte di legittimazione, in assenza della
legittimazione democratica, che per le altre amministrazioni deriva dall’inserimento nel circuito della responsabilità
politica (così L. TORCHIA (a cura di), Il sistema amministrativo italiano, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 261). Ad es.
l’art. 2, co. 24, lett a) della legge 14 novembre 1995, n. 481 sulle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità,
15
pensi al procedimento tributario disciplinato dal d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) nonché di alcuni
specifici procedimenti in materia ambientale (in merito ai quali si v. infra § 3.3), il nostro
ordinamento si mostra ancora restio ad accogliere modelli di partecipazione informale 65.
Per quanto riguarda il secondo degli aspetti prima richiamato, l’art. 13 della l. n. 241/90 prevede
una significativa eccezione alla regola generale dell’applicazione a tutti i tipi di procedimenti
dell’istituto della partecipazione. In tale articolo si stabilisce che “Le disposizioni contenute nel
presente capo [ovvero il capo III] non si applicano nei confronti dell’attività della pubblica
amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione
e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la
formazione” 66.
Salta quindi immediatamente agli occhi la contraddizione in cui incorre il legislatore nel
momento in cui, dopo aver introdotto la presenza degli interessi diffusi nel procedimento
amministrativo con l’art. 9, esclude la partecipazione proprio nei procedimenti di massa (tra cui
sicuramente rientrano quelli suscettibili di avere ricadute sull’ambiente) nei quali si manifestano
precipuamente gli interessi diffusi e nei quali la possibilità di contribuire dovrebbe essere a maggior
ragione assicurata 67 . Infatti, in relazione ai procedimenti destinati a concludersi con uno dei
provvedimenti elencati, e a differenza di quanto avviene in altri Paesi 68, i soggetti eventualmente
interessati sono impossibilitati dal presentare osservazioni o proposte ai sensi della disciplina della
partecipazione.
prevede che i regolamenti da esse emanati debbano definire procedure “idonee a garantire agli interessati la piena
conoscenza degli atti istruttori, il contraddittorio, in forma scritta e orale, e la verbalizzazione”. Le leggi sulla
formazione di alcuni provvedimenti da parte dell’Autorità della Concorrenza e del Mercato e dell’Autorità per l’Energia
Elettrica e il Gas, contengono disposizioni analoghe. Sul tema, si v. G. NAPOLITANO, L’energia elettrica e il gas, in
Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, II ed., cit., Diritto amministrativo speciale, III, 2189 ss., P.
LAZZARA, Partecipazione e contraddittorio nella procedure istruttorie davanti all’Autorità per l’energia, in Giorn.
dir. amm., 2002, p. 361 ss. In una prospettiva più ampia si v. G. VESPERINI, G. NAPOLITANO (a cura di), Le
autorità indipendenti: norma, procedimento e giudice, Viterbo, Università degli studi della Tuscia, Istituto giuridico,
1998, AA.VV., Il procedimento davanti alle autorità indipendenti, Quaderni del Consiglio di Stato, Torino,
Giappichelli, 1999, passim, S. CASSESE, Negoziazione e trasparenza nel procedimento davanti alle Autorità
indipendenti, in Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, cit., p. 37 ss, M. CLARICH, Autorità indipendenti.
Bilancio e prospettive di un modello, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 149 ss., F. MERUSI e M. PASSARO, Autorità
indipendenti, in Enc. dir., agg. VI, Milano, Giuffrè, 2005, p. 143 ss., S. SCREPANTI, La partecipazione ai
procedimenti regolatori delle Autorità indipendenti (nota a C. St., sez. VI, 27 dicembre 2006, n. 7972), in Giorn. dir.
amm., 2007, p. 377, L. TORCHIA (a cura di), Lezioni di diritto amministrativo progredito, Bologna, Il Mulino, 2010,
pp. 131-142.
65
D’altronde, come fa notare L. CASINI, L’inchiesta pubblica. Analisi comparata, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, p.
72, “ciò conferma che le modifiche alla l. n. 241/1990 introdotte con la l. n. 15/2005 avrebbero ben potuto comprendere
anche l’aggiornamento, sul piano normativo, delle garanzie partecipative nel procedimento”. D’altra parte, su questo
versante, la riforma del 2005 non sembra coerente soprattutto con riferimento all’art. 21-octies, ove si è prevista una
implicita probatio diabolica a carico del cittadino escluso dal procedimento che lo riguarda (parla di “mortificazione” in
particolare F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, II, Milano, Giuffrè, 2005, p. 1515). La norma in esame
stabilisce infatti che “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione
dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”, sostanzialmente individuando la violazione dell’obbligo
di comunicazione, e quindi di una delle fondamentali regole di partecipazione, alla stregua di una irregolarità nelle
forme. Sul punto si v. E. STRADELLA, La tutela contro i vizi di forma e nel procedimento, alla luce della nuova
disciplina del procedimento amministrativo: spunti di riflessione, in Le tutele procedimentali. Profili di diritto
comparato, a cura di A. Massera, cit, pp. 467 ss. Sulle modifiche alla l. n. 241/1990 introdotte dalla l. n. 15/2005, si v.
La disciplina generale dell’azione amministrativa. Saggi ordinati in sistema, a cura di V. Cerulli Irelli, cit., 2006.
66
Per gli atti amministrativi di portata generale si v. M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., vol. II, p. 804, e
più ampiamente, G. DELLA CANANEA, Gli atti amministrativi generali, Padova, Cedam, 2000, pp. 55 ss.
67
L. TORCHIA (a cura di), Il sistema amministrativo italiano, cit., p. 260.
68
S. CASSESE, Per una nuova disciplina dei diritti dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in
Giorn. dir. amm., 2007, p. 5 fa infatti notare come “le procedure di partecipazione alla formazione di atti
amministrativi generali, quelle formalizzate – formal on the record rule-making – e quelle semplificate – notice and
comment –, costituiscono uno dei punti di forza della legge americana sul procedimento”.
16
In realtà, il disegno di legge generale sul procedimento amministrativo elaborato dalla
Commissione Nigro nel 1984, come noto, prevedeva una disposizione analoga ma, nel contempo,
rendeva soggetti alla effettuazione di una istruttoria pubblica la maggior parte degli stessi
procedimenti (quali i procedimenti di pianificazione urbanistica, i piani paesistici e gli atti
programmatori volti alla localizzazione di centrali energetiche) 69 . In occasione quindi di quei
procedimenti la cui complessità rischia di non permettere all’amministrazione di ricostruire, da sola,
un adeguato quadro della realtà sulla quale va ad incidere, essa era, in pratica, obbligata ad indire
una riunione informale alla quale non solo erano legittimate ad intervenire tutte le organizzazioni
sociali e di categoria interessate, ma potevano inoltre essere inviate proposte ed osservazioni anche
da soggetti portatori di interessi di mero fatto 70.
Nel testo definitivo approvato dal Parlamento, però, senza che dai lavori preparatori possano
desumersene le ragioni, scompare del tutto l’istituto dell’istruttoria pubblica, mentre, di contro,
viene confermato il disposto del menzionato art. 13 senza alcuna previsione di forme alternative di
partecipazione per i procedimenti di massa: non a caso, in dottrina si è parlato di tale disposizione
come norma “frutto di un equivoco” 71.
È per questo che è stata prospettata l’ipotesi che con 1’art. 13 non si sia in alcun modo voluto
escludere in assoluto l’intervento dei privati nei procedimenti amministrativi destinati a concludersi
con atti generali o programmatori, bensì si sia opportunamente considerato che si sarebbe rivelata
maggiormente efficace l’individuazione di forme differenti di partecipazione, differenti rispetto a
quelle generalmente previste dalla l. n. 241/90, modellate sulle peculiarità di tali procedimenti 72.
69
Lo schema di d.d.l. (pubblicato, assieme al parere espresso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato in data
17 febbraio 1987 e reperibile in Il Consiglio di Stato, 1987, II, pp, 525 ss. e in Foro italiano, 1988, III, pp. 22 ss.)
stabiliva, infatti, all’art. 7 che: “1. L’adozione di strumenti urbanistici, di piani commerciali e di piani paesisitici, la
localizzazione di centrali energetiche e l’esecuzione di opere pubbliche, che incidano in modo rilevante sull’economia e
sull’assetto del territorio e che rientrino nelle categorie individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri,
devono essere precedute da istruttoria pubblica. L’istruttoria è facoltativa nel caso di altri procedimenti di particolare
interesse partecipativo. 2. A tal fine l’ufficio procedente, previo pubblico avviso, indice apposite riunioni per l’esame
dell’iniziativa. 3. Alle riunioni possono partecipare, oltre i promotori dell’iniziativa, le pubbliche amministrazioni e le
organizzazioni sociali e di categoria interessate. Tutti coloro che vi abbiano interesse, anche di fatto, possono far
pervenire proposte e osservazioni scritte. 4. Ogni amministrazione interessata adotta e rende pubbliche norme di
disciplina delle modalità di svolgimento e della verbalizzazione delle conclusioni delle riunioni di cui al secondo
comma. In mancanza di tali norme le riunioni si svolgono secondo criteri stabiliti con decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri da emanare entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il Presidente del
Consiglio dei ministri può, altresì, con atto di indirizzo e coordinamento, emanare in materia direttive vincolanti per
tutte le amministrazioni pubbliche”.
70
Non a caso, l’istituto dell’istruttoria pubblica è oggi previsto dall’art. 17 dello statuto della Regione EmiliaRomagna 31 marzo 2005, n. 13 proprio con riguardo a quei procedimenti riguardanti la formazione di atti normativi o
amministrativi di carattere generale (si v. infra in questo §, nota 76).
71
L’espressione è di V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli, 1999, p. 428.
D’altra parte lo stesso M. NIGRO, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazione
dell’amministrazione (A proposito di un recente disegno di legge), cit., p. 9 considerò l’eliminazione, dalla legge
generale sul procedimento, della norma sull’istruttoria pubblica “grave e priva di valide ragioni” in quanto
“dall’istruttoria pubblica, l’Amministrazione può trarre il massimo di conoscenze per la elaborazione dei suoi
provvedimenti, mentre la partecipazione può così spiegarsi in modo diffuso e penetrante. Si ha qui anzi uno dei punti
più sensibili di collegamento fra attività diretta alla conoscenza dei fatti ed alla emersione, nel procedimento, dei
soggetti interessati alla conoscenza di essi e quindi coinvolti nei procedimenti”. Inoltre l’illustre A., riconsiderando la
posizione espressa durante i lavori della commissione, critica la scelta ora contenuta nell’art. 13, mostrando con ciò il
proprio favore per l’affermazione del principio generale di partecipazione. Sul punto si v. anche S. CASSESE, Per una
nuova disciplina dei diritti dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in Giorn. dir. amm., 2007, p. 5 ss.
che segnala, tra le lacune della legge n. 241/1990, proprio l’assenza di qualsiasi riferimento alla democrazia
deliberativa.
72
In tal senso V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, cit., p. 429. In ogni caso, può oggi
considerarsi superata la questione relativa all’ammissibilità stessa di una legge sulla partecipazione pubblica a
procedimenti di interesse collettivo. Al riguardo, si veda C. cost, 6 dicembre 2004, n. 379, nella quale viene
significativamente respinta l’argomentazione secondo la quale simili procedure applicate all’attività normativa (ma
17
Il vero problema è, piuttosto, da rinvenire nella circostanza che, nella gran parte dei casi, le leggi
di settore non hanno ancora previsto tali peculiari forme di partecipazione ovvero non hanno
approntato sufficienti garanzie per la loro concreta applicazione, con la pregiudizievole
conseguenza che molti procedimenti risultano privi di un’adeguata disciplina di intervento del
privato 73.
In definitiva, dunque, la legge n. 241 del 1990 non solo non prevede modalità informali di
partecipazione attraverso cui facilitare un efficace confronto tra privato e p.a. 74 (ad oggi non
esistono disposizioni generali in materia di inchiesta pubblica: l’istituto è infatti previsto solo nella
normativa di settore, come semplice facoltà dell’amministrazione procedente, per tutte le categorie
di opere e progetti sottoposti a Valutazione di impatto ambientale (v. infra § 3.3.), ma esclude anche
ogni forma di partecipazione proprio nell’ambito dei processi amministrativi di interesse collettivo
(quali la realizzazione di grandi infrastrutture, suscettibili di avere un forte impatto sull’ambiente),
in cui le esigenze partecipative sono invece massimamente avvertite.
Anche in sede regionale mancano, d’altra parte, norme di portata generale sull’inchiesta
pubblica. Alcune leggi regionali tuttavia innovano rispetto alla disciplina contenuta nella l. n.
241/1990 poiché offrono agli interessati l’importante opportunità di una partecipazione orale 75.
3.3. La disciplina di settore: il recepimento degli strumenti di informazione e partecipazione
ambientale previsti dalle fonti ultrastatali.
Sul piano ultrastatale, come si è visto76, l’accresciuta importanza delle tematiche ambientali si è
accompagnata ad un potenziamento delle tecniche di informazione e partecipazione del pubblico
nei procedimenti amministrativi, nella convinzione che il rafforzamento democratico di questi
ultimi possa contribuire a migliorare la qualità dei processi decisionali in materia di ambiente. Solo
in un sistema caratterizzato da una libera e veloce circolazione delle informazioni circa lo stato
delle problematiche ambientali e da un’apertura ai contributi del pubblico risulta infatti possibile
perseguire un’efficace protezione dell’ecosistema 77.
analogo discorso vale per quella amministrativa) violerebbero, tra l’altro, il principio di buon andamento di cui all’art.
97 Cost.
73
Una situazione differente caratterizza, ad esempio, l’ordinamento inglese laddove, pur prevedendosi la non
applicabilità dei principi di partecipazione ai procedimenti di tipo generale, si è nel contempo provveduto ad emanare
singole leggi di settore nelle quali sono regolamentate le specifiche modalità in base alle quali - anche in tali ambiti - il
privato viene ascoltato e partecipa all’attività della p.a. (per l’esperienza inglese si v. infra Cap. II).
74
Per la dottrina che ha criticato duramente tale scelta del legislatore si v. supra § 2.1, nota 114, oltre a M.
D’ALBERTI, La “visione” e la “voce”: le garanzie di partecipazione ai procedimenti amministrativi, cit., p. 1 ss., in
particolare p. 7 ss., S. CIMINI, Partecipazione procedimentale: limiti di effettività della forma scritta e prospettive
dell’oralità, in Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze, a cura di A.
Crosetti e F. Fracchia, cit. pp. 25-54, dove non mancano cenni sulla partecipazione orale in altri ordinamenti.
75
Le regioni Sardegna (l.r. 40/1990, art. 18) ed Emilia-Romagna (l.r. 20/2000, art. 36 sexies) prevedono innanzitutto
ipotesi di istruttoria pubblica. Una procedura di inchiesta pubblica è invece espressamente prevista dall’art. 11 della
legge della Regione Abruzzo 3 marzo 1999, n. 11, dedicata in realtà all’attuazione del d.lgs. n. 112/1998. D’altra parte
la partecipazione pubblica assume notevole rilievo anche in alcuni recenti statuti: si v. gli statuti delle Regioni Abruzzo
28 dicembre 2006 (art. 12), Toscana 11 febbraio 2005 (artt. 72 e 73) e, soprattutto, Emilia-Romagna 31 marzo 2005, n.
13.
76
Si v. supra § 2.
77
È stato peraltro notato come “Per nessun altro bene o valore, come per l’ambiente, la previa acquisizione e la
circolazione adeguata delle informazioni e delle conoscenze, anche tecniche, è indispensabile per una corretta
definizione degli oggetti e delle modalità della tutela” (S. GRASSI, Considerazioni introduttive su libertà di
informazione e tutela dell’ambiente, in Nuove dimensioni nei diritti di libertà (Scritti in onore di Paolo Barile), Padova,
Cedam, 1990, p. 309). La disciplina comunitaria infatti sembra individuare nella possibilità da parte di chiunque di
accedere alle informazioni non tanto uno strumento di tipo garantistico, bensì un mezzo essenzialmente volto alla
realizzazione di una più efficiente tutela ambientale. A conferma di ciò, nella stessa direttiva 90/313/CEE veniva
specificato, in ordine agli obiettivi prefissati, che “l’accesso alle informazioni relative all’ambiente in possesso delle
autorità pubbliche contribuirà a migliorare la protezione dell’ambiente”. Emerge quindi chiaramente come “il principale
scopo della funzione di accesso individuata dalla direttiva comunitaria sia in realtà quello di garantire, attraverso
18
In Italia la libertà di accesso alle informazioni in materia di ambiente era già disciplinata
all’interno del d.lgs. n. 39 del 1997, che attuava (invero tardivamente 78) la direttiva 90/313/CEE. Il
decreto è stato successivamente sostituito dal d.lgs. n. 195 del 2005 che, recependo integralmente la
direttiva 2003/4/CE (adottata, a sua volta, in attuazione del pilastro informativo della Convenzione
di Aarhus) amplia la sfera di applicazione della precedente normativa e costituisce oggi
l’importante riferimento normativo italiano in materia di accesso del pubblico all’informazione
ambientale 79.
Sotto il profilo partecipativo, non sembra invece che tutte le disposizioni della Convenzione
trovino ancora concreta attuazione nel nostro ordinamento, nonostante le norme convenzionali
debbano ritenersi vigenti per il nostro paese (l’Italia ha ratificato la Convenzione di Aarhus con
legge 16 marzo 2001, n. 108) 80.
Come si è visto 81, la Convenzione prevede la partecipazione del pubblico all’elaborazione di
“piani, programmi e politiche in materia ambientale” e di “regolamenti di attuazione e strumenti
normativi giuridicamente vincolanti di applicazione generale”: a questo riguardo il nostro
ordinamento non prevede nella disciplina generale sul procedimento misure di partecipazione ai
procedimenti di interesse collettivo 82; nel settore della tutela ambientale, tuttavia, si è lentamente
dotato di tali strumenti (la Vas), non prevedendo tuttavia speciali e più “robuste” forme di
partecipazione rispetto alla disciplina generale sulla partecipazione 83.
Per quanto riguarda la partecipazione nei procedimenti rivolti all’adozione di provvedimenti
puntuali, il più rilevante campo di applicazione dell’art. 6 della Convenzione di Aarhus (relativo
appunto alla partecipazione del pubblico alle decisioni relative ad attività specifiche) è
rappresentato dalle previsioni settoriali in materia di Valutazione di impatto ambientale – Via,
l’esercizio di questo diritto, la migliore realizzazione della tutela ambientale stessa, confermando così come l’apertura
all’accesso in questa materia sia strettamente connessa con la tutela dell’interesse pubblico sottostante e non possa, da
questo, ritenersi in alcun modo sganciata, in favore della tutela di un interesse personale: quest’ultimo infatti – se pure
si configura – rimane tuttavia sullo sfondo e non interviene ai fini della legittimazione all’accesso” (A. RALLO,
Funzione di tutela ambientale e procedimento amministrativo, cit., p. 137 ss.).
78
Il termine per il recepimento della direttiva era stabilito al 31 dicembre 1992 e l’Italia rimase l’ultimo paese a non
aver dato attuazione alla direttiva, come fu segnalato in un parere motivato della Commissione Europea del 1994, che
denunciava il mancato recepimento. Il diritto di accesso all’informazione in materia ambientale nell’ordinamento
giuridico italiano era quindi regolato dal combinato disposto dell’art. 14 co. 3, l. 349/1986 e dell’art. 22, l. 241/1990.
Sul punto si v. M. MONTINI, Il diritto di accesso all’informazione in materia ambientale: la mancata attuazione della
direttiva CEE 90/313,
in Riv. giur. amb., 1997, fasc. 2, pp. 325-347. Sul decreto legislativo 39/1997 si v. B.
DELFINO, Il diritto di accesso alle informazioni ambientali secondo il d.lgs. 24 febbraio 1997 n. 39. Confronto con la
l. 7 agosto 1990 n. 241,
in, Cons. Stato, 1999, fasc. 1, pp. 135-156.
79
Dal momento che il d.lgs. n. 195 del 2005 recepisce integralmente la direttiva 2003/4/CE, per questi aspetti si
rinvia supra al § 2.2 e a G. ROSSI, Diritto dell’ambiente, cit. pp. 85 ss. Per l’analisi delle differenze tra l’accesso
“ambientale” e l’accesso “ordinario” ai documenti amministrativi si v. P. CORTESE, L’accesso agli atti in materia
ambientale: peculiarità del d.lgs. 195/2005 e differenze con le previsioni della legge n. 15/2005, in I contratti dello
Stato e degli Enti pubblici, 2006, fasc. 4, pp. 519-541, R.M. MERLO DE FORNASARI, Elementi innovativi della
disciplina speciale del diritto all’informazione ambientale rispetto al regime ordinario dell’accesso, in Nuova rass. leg.
dottrina giur., 2009, fasc. 15, pp. 1683-1687.
80
La l. 108/2001 non contiene una normativa specifica di recepimento, ma il tenore dell’art. 2 (“Piena ed intera
esecuzione è data alla Convenzione […] a decorrere dalla data della sua entrata in vigore…”) fa ritenere che i
principi e le disposizioni della Convenzione debbano essere immediatamente applicati dalle nostre autorità pubbliche,
senza necessità di ulteriori norme di recepimento, quantomeno per le parti che non richiedano necessariamente
disposizioni attuative. Ciononostante nella pratica l’attuazione è, come si vedrà infra, piuttosto inadeguata.
81
Si v. supra § 2.1.
82
L’art. 13 della l. n. 241/90, infatti, come visto nel § 3.2., prevede una significativa eccezione alla regola generale
dell’applicazione a tutti i tipi di procedimenti dell’istituto della partecipazione.
83
Un primo passo verso la concreta attuazione delle previsioni presenti nella Convenzione di Aarhus può essere
individuato nell’art. 144 del D.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale norma dispone
che deve essere assicurata la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni portatrici di interessi diffusi,
individuate ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ambiente e danno ambientale, anche in relazione ai
procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici i quali, rientrando tra i provvedimenti a carattere generale, non
sarebbero ex se soggetti al regime di partecipazione di cui alla L. n. 241/90.
19
regolata a livello nazionale e regionale. All’assenza di una normativa generale in materia di
partecipazione ai procedimenti ambientali è dunque necessario, in tutti gli altri casi, fare riferimento
alle regole generali della l. 241/1990, con conseguente perdita della specificità della partecipazione
ambientale costantemente sottolineata nelle fonti ultrastatali.
L’atto legislativo più importante in tema di Via è il D.lgs. n. 152/2006, c.d. “Codice
dell’ambiente”. A norma di tale decreto, il proponente deve dare notizia del progetto da sottoporre a
Via a mezzo stampa e sul sito web dell’autorità competente. Nel caso di progetti di competenza
statale, la pubblicazione va eseguita su un quotidiano a diffusione nazionale e su un quotidiano a
diffusione regionale per ciascuna Regione direttamente interessata. Nel caso di progetti per i quali
la competenza allo svolgimento della valutazione ambientale spetta alle regioni, si provvede con la
pubblicazione sul bollettino ufficiale regionale e su un quotidiano a diffusione regionale o
provinciale. L’avviso deve contenere una breve descrizione del progetto e dei suoi possibili
principali impatti ambientali, l’indicazione delle sedi ove possono essere consultati gli atti ed i
termini entro i quali è possibile inviare commenti. A questo riguardo, chiunque può presentare
osservazioni in forma scritta entro sessanta giorni da quando la documentazione è resa disponibile.
Il Codice dell’ambiente, accanto al modello tradizionale dell’osservazione scritta sopra esposto,
stabilisce tuttavia che l’autorità competente alla valutazione di impatto ambientale “può disporre
che la consultazione avvenga mediante lo svolgimento di un’inchiesta pubblica per l’esame dello
studio di impatto ambientale, dei pareri forniti dalle pubbliche amministrazioni e delle osservazioni
dei cittadini, senza che ciò comporti interruzioni o sospensioni dei termini per l’istruttoria” 84 .
L’inchiesta si conclude con una relazione sui lavori svolti ed un giudizio sui risultati emersi, che
sono acquisiti e valutati ai fini del provvedimento di valutazione dell’impatto ambientale (art. 24,
comma 6). Nel caso di impianti per la produzione di energia elettrica sono tuttavia organizzate
apposite inchieste pubbliche.
Qualora non abbia luogo l’inchiesta (la cui attivazione, essendo rimessa alla discrezionalità
dell’amministrazione, è meramente eventuale), il committente o proponente, può, anche su propria
richiesta, essere chiamato dall’autorità competente, prima della conclusione della procedura, ad un
“sintetico contraddittorio” con i soggetti che hanno presentato pareri o osservazioni. Il verbale del
contraddittorio è acquisito e valutato ai fini del giudizio di compatibilità ambientale.
La disciplina del Codice dell’ambiente, pertanto, pur rappresentando sotto questo profilo un
deciso passo in avanti rispetto alle previsioni contenute nel Codice dei contratti (D.lgs. 163/2006) 85,
mostra comunque quanto il legislatore italiano sia prudente nel definire un adeguato modello
partecipativo: come si è visto, infatti, la procedura ordinaria resta quella tradizionale
dell’osservazione scritta mentre l’attivazione di forme partecipative più innovative come l’inchiesta
e il contraddittorio è meramente eventuale. In fondo pertanto non stupisce che, a quanto risulta, la
sua applicazione non sembra sia mai avvenuta.
Accanto al modello generale, permane nel nostro ordinamento la procedura “Via speciale”,
disciplinata dal D.lgs. n. 163/2006 e riguardante le grandi opere e le infrastrutture di interesse
strategico. In tale procedura, che si applica ai progetti identificati dal Cipe come “strategici” o di
“interesse nazionale”, le fasi di partecipazione risultano fortemente compresse rispetto al modello
ordinario: i termini per la presentazione delle osservazioni sono ridotti a soli trenta giorni, ed è
persino precluso il ricorso a forme partecipative più sofisticate come l’inchiesta pubblica, di cui
nella disciplina ordinaria di Via viene perlomeno prevista l’eventualità.
84
Art. 24, co. 6 del Testo unico ambiente. Prima delle modifiche apportate con il decreto correttivo 16 gennaio
2008, n. 4, il previgente art. 29, co. 2 stabiliva invece che l’inchiesta sospendeva il termine previsto per la conclusione
del procedimento e si concludeva entro il sessantesimo giorno da quello nel quale essa era stata indetta, qualunque fosse
lo stadio nel quale si trovano le operazioni previste.
85
Infatti il Codice dei contratti, in via generale, si limita a riconoscere le ordinarie garanzie partecipative, ai sensi
della legge 7 agosto 1990, n. 241. Inoltre nel capo relativo alla Via per le infrastrutture strategiche, come si dirà subito,
il Codice dei contratti esclude la possibilità dell’attivazione di un’inchiesta pubblica, dettando quindi una disciplina
speciale addirittura più restrittiva di quanto ordinariamente si prevede per le altre tipologie di opere.
20
Disposizioni relative all’inchiesta pubblica si rinvengono, talvolta con un maggiore grado di
dettaglio rispetto alle scarne disposizioni dell’art. 24 del d.lgs. 152/2006, anche nella normativa
regionale in materia ambientale e, più specificamente, di Via 86 . A confronto con le previsioni
nazionali sulla Via, la legislazione regionale in tema di partecipazione pubblica si presenta in forma
decisamente più articolata (sono infatti previste istruttorie pubbliche, inchieste pubbliche,
consultazioni e udienze conoscitive, presentazioni pubbliche del progetto) e dettagliata (nella
maggior parte dei casi si specificano il soggetto responsabile e i criteri per la sua nomina, il luogo e
le modalità concrete di svolgimento della procedura, il valore da attribuire alle risultanze
istruttorie). Anche il legislatore regionale, al pari di quello statale, stenta tuttavia a definire un
adeguato modello partecipativo: l’attivazione delle forme partecipative più innovative come
l’inchiesta pubblica – che si caratterizza per la terzietà del responsabile della procedura rispetto
all’amministrazione decidente – è infatti decisamente rara, atteso il suo carattere facoltativo 87. La
procedura ordinaria resta quindi quella tradizionale dell’osservazione scritta, cui a volte seguono
limitate forme di contraddittorio tra gli interessati ed il proponente.
4. Considerazioni conclusive.
La disciplina italiana – generale e di settore – in materia di partecipazione, a causa dell’assenza
di un approccio ordinato e sistematico al tema della coinvolgimento dei cittadini alle decisioni
amministrative, si presenta fortemente inadeguata. Soltanto alcune regioni si sono dotate di
normative più avanzate, la cui applicazione, tuttavia, è ancora in fase sperimentale.
La disciplina generale contenuta nella l. 241 del 1990 non prevede alcun tipo di partecipazione
informale basata sull’audizione orale (che pure era contemplata nello schema Nigro) e non offre
altro modo di intervenire se non attraverso il deposito di memorie scritte: la partecipazione del
privato nella fase istruttoria è dunque da considerarsi una vicenda non solo soggetta a rigorose
regole formali, ma essenzialmente “cartacea”, come tale non in grado facilitare un efficace
confronto tra privato e amministrazione decidente.
Tale disciplina è inoltre relativa ai soli procedimenti volti all’adozione di atti individuali, in
ordine ai quali la partecipazione è riservata a coloro che hanno un interesse specifico. Sulla base
dell’art. 13 della l. 241 del 1990 sono espressamente esclusi, infatti, i procedimenti amministrativi
di interesse collettivo. In relazione ai procedimenti destinati a concludersi con l’adozione di atti
normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, dunque, i soggetti
eventualmente interessati sono impossibilitati dal presentare osservazioni o proposte ai sensi della
disciplina generale sulla partecipazione. La scelta del legislatore desta particolare perplessità se si
considera che le esigenze partecipative sono massimamente avvertite proprio nel corso di quei
procedimenti, quali la realizzazione di grandi opere, che si caratterizzano per il forte impatto
sull’ambiente, e dunque per l’idoneità a spiegare i propri effetti sull’intera collettività. Non stupisce
dunque che il disegno di legge generale sul procedimento amministrativo elaborato dalla
Commissione Nigro nel 1984, pur contenendo una disposizione analoga, rendeva soggetti
all’effettuazione di una istruttoria pubblica la maggior parte degli stessi procedimenti (quali i
procedimenti di pianificazione urbanistica, i piani paesistici e gli atti programmatori volti alla
localizzazione di centrali energetiche).
Alla luce di queste considerazioni la legge n. 241 del 1990, che pur ha costituito “una delle più
importanti innovazioni nella storia della disciplina legislativa dell’amministrazione”, si presenta
86
Ci si riferisce alla l. rg. Toscana n. 10/2010, art. 53; l.rg. Basilicata n. 47/1998, art. 10; l.rg. Piemonte n. 40/1998,
art. 14, c. 3; l.rg. Friuli-Venezia Giulia n. 43/1990, art. 15. Per una analisi della Via in ambito regionale si v. S.
CIVITARESE MATTEUCCI, Valutazione di impatto ambientale e ordinamenti regionali, in Le Regioni, 1997 fasc. 6,
pp. 1119-1134, P. LOMBARDI e A. SORIA, Valutazione d’impatto ambientale e legislazione regionale, in La
valutazione di impatto ambientale, a cura di R. Ferrara, cit., p. 281 ss.
87
L’unico modello partecipativo orale a carattere obbligatorio è rappresentato dall’istruttoria pubblica sarda, che
tuttavia si caratterizza per essere condotta dal responsabile del procedimento, invece che – come accade per le inchieste
pubbliche – da un organo terzo e imparziale rispetto all’amministrazione decidente.
21
ormai oggi come “una legge carente, debole, superata” 88.
Anche la disciplina di settore in materia ambientale risulta particolarmente lacunosa quando si
tratta di assicurare il coinvolgimento delle comunità locali interessate dalla costruzione di una
grande infrastruttura e, questo, nonostante i vincoli posti dall’ordinamento internazionale e
comunitario.
La convenzione di Aarhus e le direttive comunitarie in materia di informazione e partecipazione
ambientale (2003/4/CE e 2003/35/CE), pongono infatti a carico degli Stati contraenti (o degli Stati
membri, nel caso delle direttive comunitarie) obblighi stringenti volti all’ampliamento delle
garanzie partecipative sia nei procedimenti ambientali volti all’adozione di piani o programmi sia in
quelli volti all’adozione di provvedimenti specifici. Le fonti ultrastatali, in particolare, pongono
l’accento sulla tempestività e l’effettività della partecipazione: a questo proposito, la procedura
partecipativa, che può svolgersi mediante apposite inchieste pubbliche, deve essere attivata in un
momento in cui tutte le alternative sono praticabili e deve poter concretamente influenzare la
decisione finale (v. §§ 2.1, 2.2).
La disciplina ambientale italiana non sembra tuttavia essere adeguatamente orientata all’effettivo
potenziamento delle tecniche di partecipazione del pubblico.
Le scarne disposizioni in materia di Valutazione ambientale strategica-Vas e di Valutazione di
impatto ambientale-Via rimangono ancorate a tecniche di partecipazione formali e per questo
superate: così, il pubblico interessato è semplicemente ammesso a presentare le proprie osservazioni
in forma scritta entro sessanta giorni dall’avviso della pubblicazione della documentazione
rilevante. La sola disciplina Via prevede la mera possibilità che l’autorità competente disponga la
consultazione mediante un’inchiesta pubblica: tuttavia questa procedura – particolarmente
interessante perché condotta da un organo terzo rispetto all’amministrazione decidente – avendo
carattere facoltativo, non viene quasi mai attivata.
Anche la legislazione regionale in materia di Via, seppur più articolata e dettagliata, stenta a
definire un adeguato modello partecipativo: l’attivazione delle forme più innovative di
partecipazione come l’inchiesta pubblica, atteso il carattere facoltativo, è decisamente rara.
Nella procedura “Via speciale” per le infrastrutture di interesse strategico le opportunità di
partecipazione pubblica risultano poi ulteriormente compresse rispetto al modello ordinario: i
termini per la presentazione delle osservazioni sono ridotti a soli trenta giorni, ed è persino precluso
il ricorso a forme partecipative più sofisticate come l’inchiesta pubblica, di cui nella disciplina
ordinaria di Via viene perlomeno prevista l’eventualità.
La disciplina di Via si presenta quindi inadeguata e non conforme al dettato della Convenzione
di Aarhus e delle direttive comunitarie: l’ascolto dei cittadini (salvi i rarissimi casi in cui,
nell’ambito della sola procedura ordinaria, viene disposta l’attivazione di un’inchiesta pubblica) è
legato al tradizionale meccanismo della forma scritta, che non permette un dibattito effettivo tra gli
attori interessati; la procedura di consultazione, dalla forte caratterizzazione tecnico scientifica, si
esaurisce poi entro un termine contenuto (sessanta giorni, o trenta nel caso della procedura
speciale), non prevede il contraddittorio e si fonda su una base di informazioni limitata (uno studio
d’impatto ambientale fornito dal proponente). Inoltre, i decreti di compatibilità ambientale
raramente richiamano le considerazioni puntuali dell’organo di valutazione in merito alle
osservazioni del pubblico e si limitano a generici riferimenti alle controdeduzioni del soggetto
proponente il progetto, non consentendo in tal modo al cittadino una congrua verifica della
procedura (come invece espressamente richiesto dalla Convenzione di Aarhus all’art. 6, comma 8,
dove si impone che al momento di prendere la decisione, i risultati della procedura di
partecipazione del pubblico siano adeguatamente presi in considerazione). D’altra parte, nel caso
delle opere strategiche, lo spirito della Convenzione è tradito dal fatto stesso che la procedura
interviene in una fase in cui l’opportunità di realizzare l’intervento è già stata dichiarata a seguito
88
S. CASSESE, Per una nuova disciplina dei diritti dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni, cit., p.
6, che, dopo aver segnalato l’esclusione della partecipazione di privati ai procedimenti che si concludono con atti
amministrativi generali, evidenzia le ulteriori lacune della disciplina.
22
del complesso procedimento che ha condotto alla sua inclusione nel programma delle infrastrutture
strategiche, rendendo di fatto impraticabile l’“opzione zero”.
A dimostrazione della criticità del quadro normativo, basti considerare che il primo
aggiornamento del “Rapporto nazionale sull’attuazione della Convenzione di Aarhus”, predisposto
dal Ministero dell’Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare nel dicembre del 2007, affermava che
“Non sono stati rilevati specifici ostacoli; tuttavia deve essere fatto notare che le modalità correnti
per la consultazione pubblica nella procedura Via, consistenti in osservazioni inviate dal pubblico
per iscritto, non permettono un dibattito effettivo tra gli attori interessati” 89.
Tale considerazione critica scompare però dalla bozza del secondo aggiornamento, predisposta
nel novembre del 2010 90: ciò senza che tuttavia possano desumersene le ragioni, dal momento che
il quadro normativo è rimasto sostanzialmente immutato.
Il legislatore dunque mostra, in particolar modo nella disciplina speciale per le infrastrutture
strategiche (dove le opportunità di partecipazione del pubblico sono ancor più ristrette), di essersi
preoccupato principalmente della semplificazione e della rapidità decisionale, tralasciando tuttavia
di considerare che la vera legittimazione di un’opera, specie se capace di modificare l’ambiente o di
mettere a repentaglio la salute pubblica, discende dalla effettiva partecipazione di tutte le parti
coinvolte dalla sua realizzazione.
L’assenza di adeguate forme di “ascolto” delle esigenze delle comunità dei territori interessati è
infatti suscettibile di acuire il fisiologico conflitto innescato dalla costruzione di grandi opere
infrastrutturali: i cittadini infatti sviluppano un forte senso di sfiducia nelle istituzioni, che spesso si
risolve in organizzati movimenti di protesta, in grado di bloccare i cantieri.
I fenomeni di opposizione alla realizzazione delle opere nel proprio territorio (sindrome NIMBY
– not in my backyard) o addirittura in qualsiasi luogo (sindrome BANANA – build absolutely
nothing anywhere near anything) sono da tempo diffusi in tutto il mondo. In Italia tuttavia la loro
gestione appare sorprendentemente complessa e l’attenuamento della conflittualità particolarmente
difficile a causa delle criticità della normativa sulla partecipazione che si sono evidenziate.
Il legislatore italiano ha, d’altronde, mostrato in più occasioni di subire l’illusione di poter
“aggirare” tali problematiche “comprando” il consenso delle popolazioni attraverso l’assegnazione
di ingenti misure compensative economiche. Lo strumento compensativo non è tuttavia in grado, se
non accompagnato a soluzioni innovative e realmente partecipate, di risolvere il problema
dell’opposizione delle comunità locali. Anzi, l’esperienza dimostra che talora esso può risultare
addirittura dannoso ai fini del raggiungimento di un accordo: questo vale soprattutto nel caso di
impianti che presentano potenziali rischi per la salute e per l’ecosistema, per i quali le comunità non
intendono negoziare.
Di fronte all’ampliamento delle forme di partecipazione e di consultazione previsto in sede
comunitaria e internazionale, dunque, non pare che, se non la lettera, quantomeno l’ispirazione
profonda della Convenzione di Aarhus sia stata effettivamente recepita nella normativa italiana
sulla partecipazione del pubblico alle decisioni amministrative.
L’accesso “conoscitivo” è stato infatti garantito con strumenti assai più adeguati di quelli previsti
per l’accesso “partecipativo” e il D.lgs. n. 152/2006, come visto, non ha contribuito a correggere
questo “disallineamento”: non ha valorizzato forme di partecipazione e consultazione strutturate
come l’inchiesta pubblica e ha mantenuto separate le due discipline (che invece a livello
internazionale sono trattate congiuntamente) 91.
89
Il
testo
del
primo
rapporto
è
consultabile
on-line
all’indirizzo
http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/vari/primo_aggiornamento_rapporto_aarhus.pdf
90
La bozza è stata aperta alla consultazione del pubblico fino 17 dicembre 2010, attraverso pubblicazione sul sito
web del Ministero e l’invio alle associazioni di protezione ambientale riconosciute, che hanno avuto la possibilità di
fornire
commenti
e
integrazioni.
Il
testo
è
consultabile
on-line
all’indirizzo
http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/vari/rna_convenzione_aarhus_bozza_26_11_2010.pdf
91
Così L. CASINI, Il cittadino e la cura dell’interesse pubblico ambientale: l’esempio italiano, in La tutela
ambientale venti anni dopo l’istituzione del Ministero dell’ambiente, seminario organizzato dalla Fondazione Luigi
Einaudi per studi di politica ed economia, Roma, 12 febbraio 2007, p. 9.
23
Non stupisce dunque che in Italia, a causa delle difficoltà nello strutturare idonee forme di
partecipazione pubblica alla formazione di decisione collettive, la gestione dei naturali conflitti con
le comunità interessate si presenti di particolare complessità, rappresentando così una delle cause
del ritardo infrastrutturale italiano rispetto ai principali partner europei.
In altri Paesi, come la Francia 92 e il Regno Unito 93, la predisposizione di apposite procedure
volte all’effettivo coinvolgimento del pubblico, introdotte allo specifico scopo di anticipare il
confronto con le comunità locali e favorire così il tempestivo appianamento dei contrasti, ha infatti
contribuito ad attenuare la conflittualità fisiologicamente associata alle grandi decisioni pubbliche
suscettibili di avere forte impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica (si pensi alla realizzazione di
centrali nucleari).
In tali Paesi sono presenti procedure partecipative che si caratterizzano per informalità, per
tempestività e per essere gestite da apposite autorità amministrative indipendenti. Nel contesto
italiano, invece, le modalità attuali di partecipazione ai processi decisionali rappresentano un punto
di debolezza dell’assetto dei rapporti tra cittadino e Pubblica amministrazione.
Segnali di novità si rilevano nella legge della Regione Toscana n. 69/2007, fortemente ispirata
alla procedura di débat public prevista nell’esperienza d’oltralpe e in occasione della realizzazione
della “Gronda di Genova”, che ha visto una prima e positiva sperimentazione di tale modello. Da un
lato tuttavia la legge toscana prevede che l’attivazione del dibattito sia rimessa alla valutazione
discrezionale dell’Autorità – mentre in Francia essa è obbligatoria – e non ne prevede con
sufficiente precisione le modalità operative; dall’altro il dibattito genovese, avviato al di fuori di
una legislazione regionale di riferimento, ha evidenziato alcuni limiti (attivazione tardiva;
commissione nominata dalla stessa amministrazione decidente).
Queste considerazioni dovrebbero, quindi, condurre il legislatore italiano ad affrontare
organicamente il problema del consenso collettivo alle macrodecisioni pubbliche con la
consapevolezza che esso richiede un intervento sotto due diversi profili: il primo è organizzativo, il
secondo procedimentale.
Sotto il profilo organizzativo, viene in rilievo l’istituzione di un’apposita Autorità indipendente,
cui affidare il ruolo di arbitro terzo rispetto all’amministrazione decidente, a garanzia dell’effettività
della partecipazione pubblica.
Sotto il profilo procedimentale, sembra qui utile evidenziare che la “costruzione” del consenso
pubblico è agevolata non solo dall’adozione di strumenti partecipativi informali e aperti all’oralità,
ma anche dalla loro attivazione sin dalle primissime fasi della procedura (nel Regno Unito ciò
avviene addirittura in una fase precedente alla presentazione della domanda di autorizzazione alla
realizzazione di un’opera). Infatti, una partecipazione tardiva già per questo si dimostra non
effettiva, poiché i cittadini hanno la sensazione di non poter realmente offrire il proprio contributo
all’amministrazione decidente.
92
Nell’esperienza francese, sin dal XIX secolo, la partecipazione in materia di opere pubbliche viene garantita
dall’istituto dell’inchiesta pubblica (enquête publique), sub-procedimento dalla finalità istruttoria e partecipativa
condotto da un organo terzo rispetto all’amministrazione decidente. Nonostante l’ampia diffusione dell’istituto, la
natura prevalentemente documentale della procedura e la sua tardività rispetto al momento in cui si formano i contenuti
della decisione (l’enquête è attivata quando già esiste un progetto preliminare) hanno, nel tempo, portato ad introdurre
una speciale procedura partecipativa obbligatoria per le opere strategiche: il “dibattito pubblico”. Rispetto all’inchiesta
questo strumento si caratterizza per un maggior tasso di oralità, per la fase preliminare del procedimento in cui esso ha
luogo e per essere gestito da un’apposita Autorità amministrativa indipendente (la Commission nationale du débat
public).
93
Nel Regno Unito l’inchiesta pubblica (public inquiry) ha trovato per lunghissimo tempo ampia diffusione nel
corso dei procedimenti per la localizzazione di opere pubbliche e per la pianificazione urbanistica, con finalità e
caratteristiche simili a quelle francesi. Da queste esse tuttavia si differenziavano per la natura simil-processuale (si pensi
che si svolgevano all’interno di aule organizzate come quella di un tribunale). Il Planning Act del 2008 ha tuttavia
previsto, con riferimento a cinque grandi categorie di infrastrutture (energetiche, di trasporto, idriche, fognarie e di
smaltimento dei rifiuti, con precise soglie di accesso di carattere dimensionale), una speciale procedura affidata ad
un’apposita Autorità amministrativa indipendente (la Infrastructure Planning Commission).
24
Allo stato attuale, tuttavia, sembra che manchi ancora nel legislatore un disegno innovatore
chiaro e coerente, volto a strutturare adeguate forme di consultazione e partecipazione alla
formazione di decisione collettive. La disciplina speciale per la localizzazione di impianti per la
produzione di energia nucleare (d.lgs. 31/2010) – successivamente travolta dall’esito referendario
del giugno 2011 –, ne è solo l’esempio più recente: anche in un settore nel quale, in considerazione
del potenziale danno per l’ambiente e per la salute pubblica, le esigenze di partecipazione vengono
massimamente avvertite dalla popolazione, il decreto sostanzialmente ignora tali aspetti, facendo
ancora una volta grande affidamento sul ruolo delle compensazioni economiche.
* Articolo sottoposto a procedura di referaggio
25