QUADERNI
del
Consiglio Superiore della Magistratura
RELAZIONE QUADRIENNALE
SULL’ATTIVITÀ DI FORMAZIONE
PROFESSIONALE
(gennaio 1997-dicembre 2000)
QUADERNI DEL
CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
Anno 2001, Numero 119
Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario
curata dall’Ufficio Studi e Documentazione
A Carlo Verardi
La Relazione quadriennale sull’attività di formazione non è soltanto una sintesi di quattro anni di attività consiliare in uno dei suoi settori più importanti e vitali, ma costituisce anche un bilancio della storia della formazione professionale dei magistrati italiani, quale si è andata dispiegando nel naturale evolversi delle funzioni di governo autonomo della magistratura. La storia della formazione è il frutto di un
lavoro collettivo e di un progressivo coinvolgimento, che hanno visto
diventare più netta nel tempo la consapevolezza del valore del dialogo
e del confronto quale fattore di crescita professionale e di radicamento dell’indipendenza della magistratura.
In quest’opera creativa e feconda si è segnalata in modo particolare l’attività di Carlo VERARDI, prematuramente scomparso. Il suo
apporto, insieme a quello di altri magistrati, è stato determinante in
quest’ultimo lavoro come lo è stato per l’avvio della formazione professionale, al cui sviluppo egli ha cooperato quale componente del comitato scientifico e, poi, quale referente per la formazione decentrata
in molte forme; con le numerose relazioni agli incontri e seminari di
studio cui ha preso parte; con gli scritti che hanno fornito contributi
scientifici per importanti scelte consiliari (come quelle relative proprio alla “formazione decentrata”) con l’attività di formatore intensamente svolta anche nel quotidiano lavoro giudiziario, in particolare
verso gli uditori. Anche nella realtà concreta degli uffici, infatti, Carlo
VERARDI ha saputo porsi quale punto costante di riferimento, dentro
e fuori la magistratura, contribuendo, con entusiasmo e con la sua
straordinaria cultura giuridica, con la naturale disponibilità al dialogo e al confronto, con la sua capacità di cogliere i fermenti più nuovi
nell’orizzonte giurisprudenziale, ad un profondo rinnovamento culturale delle prassi per l’affermazione dei diritti e l’effettività della giurisdizione nella vita di ogni giorno.
A Carlo VERARDI, che pur così giovane con il suo esempio ha
onorato la magistratura italiana segnando profondamente anche la
storia della formazione professionale, il Consiglio intende dedicare
questa Relazione, quale segno di gratitudine e di affetto.
Seduta dell’Assemblea plenaria
del 24 Ottobre 2001
3
NOTA INTRODUTTIVA
Il tema della formazione è stato al centro dell’attività della Nona Commissione per l’importanza che questo aspetto riveste.
In armonia con l’istituzione dei referenti distrettuali e, in una prospettiva più ampia, con il nuovo spirito europeo, questa relazione, che
segue quella elaborata nel 1995 ed è stata approvata l’11.7.2001 dall’assemblea plenaria del CSM, si propone di promuovere una riflessione critica sulle molteplici valenze della formazione, quale presupposto
per una rinnovata professionalità, stimolo ad una più efficiente e consapevole organizzazione giudiziaria, occasione di costante confronto
con le realtà esterne alla magistratura.
Un sincero ringraziamento, anche a nome degli altri componenti della
Nona Commissione, professori Eligio Resta e Giuseppe Riccio, consiglieri Manuela Romei Pasetti, Paolo Angeli, Gianfranco Gilardi, deve
essere rivolto ai professori Antonio Gambaro e Giorgio Spangher ed ai
dottori Francesco Cassano, Domenico Chindemi, Maria Giuliana Civinini, Armando D’Alterio, Sergio Di Amato, Giovanni Diotallevi, Massimo Fabiani, Piero Gaeta, Antonio Laudati, Guglielmo Leo, Alberto
Macchia, Nicola Mazzamuto, Stefano Mogini, Alfredo Montagna, Alessandro Pepe, Luca Pistorelli, Raffaele Sabato, Giuseppe Salmè, Irene
Tricomi, Carlo Maria Verardi, che hanno contribuito a questo lavoro
con entusiasmo, abnegazione ed encomiabile spirito collaborativo.
Analogo sentito ringraziamento deve essere formulato ai magistrati
segretari dottoresse Giuseppina Casella, Donatella Ferranti, Monica
Garzia, al funzionario dirigente della segreteria della Nona Commissione, dott. Massimo Siepi, e a tutto il personale addetto alla stessa
che, con infaticabile dedizione, hanno contribuito alla riuscita del lavoro.
Roma, luglio 2001
IL PRESIDENTE DELLA NONA COMMISSIONE
Margherita Cassano
5
INDICE
CAPITOLO PRIMO
IL CONTESTO E LE RAGIONI ATTUALI DELLA RIFLESSIONE
SULLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI
1.A. Formazione e fase evolutiva della giurisdizione . . . . . .
15
1.B. L’efficienza della giurisdizione quale bisogno prioritario
della società civile e delle sue istituzioni . . . . . . . . . . . .
18
1.C. Ruolo e caratteri dell’organizzazione giudiziaria quali
fattori di conformazione dello strumento formativo . . .
1.C.1. Le peculiarità dell’organizzazione giudiziaria e l’inesistenza di modelli di riferimento “esportabili” . . . . . . . .
1.C.2. La costruzione “dall’interno” di un modello di formazione per la magistratura italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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1.D. La nuova dimensione europea e internazionale dell’attività giudiziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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23
1.E. La formazione nell’ordinamento interno . . . . . . . . . . .
1.E.1. Il dovere costituzionale di leale cooperazione fra poteri dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.E.2. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali . . .
1.E.3. Il confronto con gli altri operatori del diritto . . . . . . . .
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33
1.F. Le modifiche ordinamentali e processuali . . . . . . . . . .
35
1.G. Il nuovo ruolo della magistratura onoraria . . . . . . . . . .
37
1.H. Le modifiche della formazione preliminare . . . . . . . . .
43
1.I. Le nuove modalità di accesso alla funzione giudiziaria . .
1.I.1. La magistratura togata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
50
50
7
1.I.2. La magistratura onoraria. In particolare, i giudici di pace . .
54
1.L. La modifica delle strutture consiliari . . . . . . . . . . . . . .
1.L.1. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati togati . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.L.2. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati onorari . . . . . . . . . . . . . . . . . .
60
60
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1.M. Le circolari del Consiglio: la nuova disciplina del tirocinio e la formazione permanente decentrata . . . . . . . .
1.M.1. Formazione decentrata e tirocinio degli uditori . . . . . .
64
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1.N. L’incremento qualitativo e quantitativo della formazione
professionale dei magistrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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CAPITOLO SECONDO
RICOGNIZIONE DELL’ATTIVITÀ DEL QUADRIENNIO
Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
75
2.A. L’offerta formativa nel quadriennio 1997/2000 . . . . . . .
77
2.B. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo
dell’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
82
2.C. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su
base soggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
84
2.D. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo
della partecipazione ai corsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
125
2.E. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su
base oggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
130
2.F.
La valutazione statistica del gradimento per i corsi
espresso su base oggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
146
2.G. La valutazione di impatto formativo per grandi aree tematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
150
2.H. L’esame delle richieste formative desumibili dalle schede di partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
158
2.I.
8
Le prime esperienze di formazione decentrata e l’avvio
della rete dei referenti distrettuali . . . . . . . . . . . . . . . .
176
CAPITOLO TERZO
LINEE GUIDA E PROSPETTIVE FUTURE
DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI
3.A. La formazione. Alcune premesse teoriche . . . . . . . . . .
3.A.1. Peculiarità della formazione del magistrato . . . . . . . . .
3.A.2. Che cos’è la formazione? Concezioni della formazione
e evoluzioni dei contesti organizzativi e culturali . . . . .
3.A.3. Approcci diversi per acquisire competenze diverse . . .
3.B. La formazione decentrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.B.1. Le linee culturali e la “quantità” dell’offerta da erogare
al centro. L’interazione tra attività formative a livello centrale e decentrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.B.2. La rete dei formatori locali. Profili organizzativi e strutturazione della rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.B.3. La sequenza di sviluppo della formazione decentrata . .
3.B.4. I contenuti ed i metodi della formazione decentrata . .
3.B.5. I profili organizzativi e di strutturazione della rete dei
formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.C. La formazione permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.C.1. L’evoluzione dei moduli formativi . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.C.2. La formazione permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.C.3. La scelta dei docenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.D. La formazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.D.1. La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari (d.p.r. 17 luglio 1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.D.2. La definizione delle finalità del tirocinio . . . . . . . . . . .
3.D.3. Gli organi della formazione: natura e compiti . . . . . . .
3.D.4. La durata del tirocinio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.D.5. La documentazione dell’attività di tirocinio . . . . . . . . .
3.D.6. Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio . . . .
3.D.7. Il tirocinio mirato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.D.8. Gli incontri di studio per gli uditori giudiziari . . . . . . .
3.D.9. I relatori degli incontri di formazione iniziale . . . . . . .
3.D.10. La valutazione dell’uditore nel tirocinio ordinario . . . .
3.D.11. La valutazione finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3.D.12. La valutazione nella fase di formazione complementare . .
3.D.13. Le soluzioni alla prova dei fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.E. La sperimentazione: i laboratori di autoformazione . . .
3.E.1. I laboratori. Finalità e ragioni della sperimentazione . .
3.E.2. Organizzazione, strumenti operativi, contenuti del primo laboratorio per giudici e pubblici ministeri minorili
e della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.E.3. Il corso sperimentale di “autoformazione” professionale
per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti
alle funzioni penali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.F. La formazione dei dirigenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.G. La formazione della magistratura onoraria . . . . . . . . .
3.H. Le prospettive future della formazione . . . . . . . . . . . . .
3.H.1. La formazione permanente. L’apertura alle culture non
giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.H.2. Il confronto con gli altri operatori del processo . . . . . .
3.H.3. Le iniziative con le Autorità indipendenti . . . . . . . . . . .
3.H.4. Il supporto alla specializzazione ed alla riconversione . .
3.H.5. Il supporto alla corretta fruizione degli strumenti informatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.H.6. Le sinergie tra i percorsi collettivi ed individuali di formazione e l’organizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . .
3.H.7. La formazione quale supporto permanente al lavoro
degli uffici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.H.8. La formazione quale supporto permanente al lavoro
degli uffici: i contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.H.9. Le future prospettive metodologiche della formazione
permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.I. La valutazione della formazione: un problema aperto . .
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CAPITOLO QUARTO
LA DIMENSIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE
DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI
4.A. Verso lo spazio giudiziario europeo: un bisogno formativo centrale a fronte di un percorso contraddittorio e
incompiuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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4.B. La formazione come strumento per la legittimazione delle istituzioni giudiziarie nell’Europa dei cittadini e dei
diritti umani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.C. La formazione internazionale ed europea del C.S.M. . .
4.C.1. I contenuti dell’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.C.2. La rete europea di formazione giudiziaria . . . . . . . . . .
4.D. Questioni aperte e prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.D.1. Le strutture comunitarie e interne preposte alla formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.D.2. Le strutture consiliari di fronte ai nuovi obiettivi europei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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CAPITOLO QUINTO
STRUTTURE E ORGANIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA
DI UN ASSETTO STABILE DELLA FORMAZIONE
5.A. Le risorse e la loro utilizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5.B. I nodi organizzativi e progettuali della formazione . . .
5.C. Gli strumenti per assicurare il massimo grado di partecipazione dei magistrati alle attività di formazione . . . . .
5.D. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali del
C.S.M. nelle attività di formazione . . . . . . . . . . . . . . . .
5.E. La prospettiva di un nuovo assetto organizzativo funzionale alla formazione professionale dei magistrati quale
componente essenziale dell’autogoverno consapevole
della magistratura e dell’esercizio responsabile della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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IL CONTESTO E LE RAGIONI ATTUALI DELLA
RIFLESSIONE SULLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
DEI MAGISTRATI
1.A. Formazione e fase evolutiva della giurisdizione.
Ci sono almeno tre buone ragioni, nella cernita tra molte, che impegnano ad una riflessione sulla formazione professionale in ambito
giuridico e la sottraggono, quasi come un antidoto, ad una spendita di
concetti banale o retorica. Si tratta di ragioni che riguardano la necessità in sé di uno sviluppo di aggiornamento, prescindendo anche
dalle molte e buone ragioni che possano inerire ai suoi destinatari, e
cioè i magistrati italiani. La prima di tali ragioni è rappresentata dal
vortice del mutamento normativo. Se, ad esempio, ci si sforza di comparare la fissità della codificazione del secolo ormai passato con la
normazione effusa dei tempi recenti, la sensazione è di uno iato ben
più dilatato di pochi decenni. Come per una piccola, grande rivoluzione industriale, sono cambiati i ritmi e le modalità di produzione del
diritto ed è mutato profondamente il metodo della conoscenza: anche
qui il ricordo delle corpose riviste giuridiche del passato, in arretrato,
quanto a tempi di pubblicazione, persino di anni, fa sorridere pensando all’on line, pratica ormai quotidiana del giurista moderno. E se l’aggiornamento di conoscenza ha un indubbia connotazione individuale,
il rimpianto, rispetto al passato, è per ciò che ferma invece la riflessione: il proliferare delle norme reca con sé l’espansione dei commenti “a prima lettura”, necessariamente dinamici come le prime e tuttavia, proprio per questo, non meno frenetici, per cui si avverte spesso il
bisogno di una meditazione, nel senso etimologico dell’espressione, di
uno scambio comune per riprender fiato teorico.
La seconda ragione dell’attualità stringente della formazione è l’ormai diffusa pluralità di piani nella produzione delle norme giuridiche.
Quest’ultima è intensa e quasi frenetica – in contrasto con ogni spinta
alla delegificazione - anche per il concorso di fonti diverse da quella nazionale, cui unicamente guardavano i giuristi di un trentennio fa. Le
nuove geometrie giuridiche sovranazionali, unitamente alle nuove autonomie giuridiche infranazionali, implicano la necessità di una diversa
conoscenza della produzione del diritto, con metodologie ed approcci
che rendono obsolete quelle appena passate: ciò che prima era lusso culturale del riferimento comparatistico è, oggi, imprescindibile strumen-
15
to di lavoro; alla moltiplicazione delle fonti, d’altra parte, corrisponde
una intensa necessità di incrementare conoscenza. Se il primo momento di cognizione da parte dell’operatore di diritto, come si accennava, è
spesso individuale, segue la necessità di ricomporre il sistema con una
riflessione di secondo momento e, soprattutto, comune.
L’ultima ragione riguarda, anch’essa, una peculiarità dei tempi
d’oggi del sistema giuridico. Il “confine conteso” tra diritto e non-diritto, tra l’ambizione del primo di disciplinare e formalizzare fenomeni dalla fisionomia ancora fluida ed incerta (perché assolutamente
inediti nella storia della civiltà) ed una sorta di richiesta di autonomia
da parte di altre scienze, che a quei fenomeni guardano con anticipo.
Gli embrioni congelati, i cibi transgenici, l’inquinamento elettromagnetico, ma anche l’insider trading, la pirateria informatica, la pedofilia via internet e tutto ciò che, in generale, è sperimentato dalla scienza prima che il diritto appronti il proprio strumentario: tutto ciò modifica il lavoro del giurista, il quale era prima chiamato, essenzialmente, ad un’opera di sistemazione e razionalizzazione di categorie
già note, ed oggi deve esprimere progettualità per le quali necessita di
saperi intrecciati, deve compiere incursioni in ambiti che tradizionalmente non gli appartengono.
Lo sforzo di una adeguata formazione professionale consiste nel
coniugare queste ragioni generali a quelle istituzionali proprie della
magistratura italiana: di cogliere, cioè, bisogni emergenti accanto a tipiche necessità formative inerenti la giurisdizione in quanto funzione
essenziale dello Stato. In breve: le emergenze della contingenza storica si affiancano alle esigenze formative in qualche modo ‘costanti’, le
quali trovano origine nella stessa collocazione funzionale assegnata
dalla Carta costituzionale alla magistratura italiana e nella sperimentata attinenza tra professionalità e indipendenza del magistrato.
La professionalità – espressione quasi inflazionata e, nondimeno,
denotazione linguistica difficilmente sostituibile - riveste, per la magistratura italiana, un ruolo centrale per lo stesso dettato costituzionale: i giudici ordinari sono nominati per concorso (art. 106, 1° co.), amministrano la giustizia “in nome del popolo” (art. 101, 1° co.), sono
“soggetti soltanto alla legge” (art. 101, 2° co.), “si distinguono tra loro
soltanto per diversità di funzioni” (art. 107, 3° co.). La professionalità
emerge non solo quale criterio fondante la selezione (al di fuori di ogni
considerazione di carattere politico, economico, sociale), ma anche
quale strumento primo per la realizzazione della soggezione soltanto
alla legge, il che costituisce la base della legittimazione democratica
dei giudici e dei pubblici ministeri.
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Da tali caratteri discende, in primo luogo, che nel nostro ordinamento intercorre una relazione biunivoca tra professionalità e garanzia di indipendenza del magistrato. Ancora, poiché indipendenza significa innanzitutto soggezione del giudice soltanto alla legge, e poiché una delle modalità organizzative previste dalla Costituzione a garanzia della indipendenza ed autonomia dei singoli giudici è quella indicata dall’art. 107, 3° co. (secondo cui “i magistrati si distinguono tra
loro soltanto per diversità di funzioni”) ne consegue, ancora, “che non
possono essere suggeriti ai giudici indirizzi od orientamenti circa l’interpretazione delle leggi da alcun organo e da alcuna autorità dello
Stato, né da poteri esterni né dallo stesso potere giudiziario; e che pertanto il giudice, il quale si trova solo di fronte alla legge che deve interpretare senza alcun ausilio esterno, ha bisogno, più che ogni altro
funzionario dello Stato, di una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della interpretazione delle leggi, ed assumersene la piena responsabilità”1.
Uno dei principali riflessi della complessità che segna la relazione tra
indipendenza e costante adeguatezza professionale del magistrato
consiste dunque nella doverosità dell’aggiornamento, nella sua pertinenza ai doveri più essenziali degli appartenenti all’ordine giudiziario,
quale strumento imprescindibile della loro diligenza professionale.
Non è un caso che tale consapevolezza sia maturata tra i magistrati riflettendo sui profili più incisivi della propria funzione nelle istituzioni
e nella società, e cioè elaborando in sede associativa un codice etico
per i propri comportamenti professionali2. E naturalmente non è concepibile che, per quanto attinente ai doveri individuali, un aspetto essenziale e non discrezionale dell’attività professionale del magistrato
rimanga privo di riflessi istituzionali ed ordinamentali, sotto il profilo
della garanzia di assolvimento così come per l’assicurazione delle condizioni e degli strumenti per l’assicurazione di una crescita professionale il più possibile diffusa ed adeguata. La complessità del fenomeno,
propria di diverse ed eterogenee esigenze, si è inevitabilmente riverberata, in questi ultimi anni, sulla stessa attività di formazione dei magistrati italiani, che si è dovuta strutturare nel farsi, con una meditazione in corso d’opera su metodi, oggetto, organizzazione. Ne è scaturito un cammino a volte non lineare, su sentieri spesso accidentati,
1
Così la Relazione del C.S.M. al Parlamento sullo stato della giustizia per il 1994, Reclutamento e formazione professionale dei magistrati, in Quaderni del C.S.M., n. 68, 1994.
2
Si veda in particolare l’art. 3 del Codice etico approvato dall’A.N.M., sul quale si avrà
modo di tornare anche in seguito.
17
che talvolta hanno implicato sforzi di comprensione tra chi progettava la formazione e chi ne fruiva. Ma si è trattato anche di un percorso
estremamente fecondo, segnato da stimoli intellettuali intensi, da elaborazioni anche complesse, in un circuito - tra formatori e destinatari della formazione – sempre biunivoco e mai unidirezionale. L’interazione progressivamente più consapevole (e da ultimo più consapevolmente analizzata) tra i poli del circuito formativo ha rappresentato fin
qui, e tra l’altro, l’unico strumento, essenziale ma non sufficiente, per
una valutazione di qualità dell’offerta progettata e dell’offerta attuata
nei confronti dei magistrati ordinari (e degli altri soggetti, sempre più
numerosi, coinvolti nell’attività consiliare). L’importanza di tale valutazione, e dunque quella dell’affinamento degli strumenti cognizione e
rilevazione relativi, non risiede semplicemente nei principi di buona
amministrazione (che per inciso impongono una misurazione dei risultati in rapporto ai costi sostenuti per produrli) o nell’ambizione
comprensibile della struttura per un prodotto gradito dai suoi destinatari. Si è appena detto che l’attività formativa rappresenta il riflesso
istituzionale della doverosità di un costante ed adeguato aggiornamento professionale dei magistrati. Una formazione di qualità, dunque, non rappresenta l’obiettivo gradito ma “aggiuntivo” di una attività più o meno burocratica della struttura amministrativa che sorregge la funzione giurisdizionale, quanto piuttosto una necessità istituzionale per la Magistratura e per i suoi organi d’autogoverno.
Si tratta allora di compiere una riflessione lungo più tracce, che
colga le linee essenziali dell’esperienza formativa fino ad oggi maturata e nel contempo misuri (nei limiti del possibile) l’evoluzione e le relazioni reciproche dei parametri che segnano i compiti istituzionali
della formazione dei magistrati. Dovrebbe scaturirne, quanto meno in
una prima e perfettibile approssimazione, la base per studiare e discutere le linee possibili di una progressione non burocratica, non ripetitiva, non recessiva dell’attività di formazione.
1.B. L’efficienza della giurisdizione quale bisogno prioritario della società civile e delle sue istituzioni.
In questi ultimi tempi sono emersi prepotentemente, anche per
l’effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo,
e per i costanti richiami del Presidente della Repubblica, i problemi legati all’efficienza della giustizia. La ragionevole durata del processo è
diventata, dopo la modifica dell’art. 111 della Costituzione, una delle
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finalità necessarie e specifiche della legislazione, ed una norma d’azione per gli uffici giudiziari e per ogni magistrato.
La magistratura ha ormai acquisito consapevolezza che efficienza
e professionalità dell’intervento giudiziario sono due componenti essenziali e imprescindibili della funzione di garanzia che è chiamata a
svolgere. E tuttavia, maggiore diviene la crisi di gestione della macchina giudiziaria, maggiore diviene il rischio che il sistema si chiuda
alle reali esigenze della società, si legittimi in apparenza con momenti di sostanziale autoreferenzialità. Con la conseguenza tendenziale, su
queste premesse, che una vasta congerie di interessi “deboli” non arrivi neppure più a sollecitare la tutela giurisdizionale, e nel contempo
che vengano sottratte alla giurisdizione ordinaria le controversie di
maggiore rilievo e quelle politicamente più sensibili. Anche il sempre
maggiore spazio concesso alle autorità indipendenti conduce a momenti di riflessione sull’attuale ruolo della magistratura ordinaria.
Perché dunque l’istituzione giudiziaria possa far emergere tutti i
bisogni di tutela che sono attualmente respinti o frustrati dai ridotti livelli di efficienza che caratterizzano nel suo complesso il servizio giustizia, occorre fornire una risposta che si muova su due piani: uno
concernente l’organizzazione ordinamentale, che preveda un giudice
dotato di adeguata professionalità, ed un altro processuale, dove il rito
sia maggiormente adeguato all’obiettivo da raggiungere.
Sul piano dell’organizzazione e della sua capacità di rispondere
alle legittime istanze dei cittadini il sistema si è confrontato con la
riforma del giudice unico di primo grado, con l’istituzione dei tribunali metropolitani, con l’istituzione delle sezioni stralcio, con la realizzazione della competenza penale dei giudici di pace. Sul piano delle
procedure, oggetto di particolare attenzione per il rito penale ma in
generale interessate dal processo di riforma focalizzato tra l’altro sul
nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, si è registrata una successione dall’impatto poderoso, specie ed appunto sul piano penalistico,
con la c.d. Legge Carotti, con gli interventi quasi immediati di sua
riforma, con le recentissime leggi sulla prova, sulle indagini difensive,
sulla difesa d’ufficio, sul trattamento sostanziale e processuale dei
reati di cosiddetta microcriminalità, per ricordare solo gli interventi
più importanti del legislatore. Ecco dunque che, in questo momento
di riforme procedurali ed organizzative, deve essere trovato un collegamento sempre più stretto tra formazione e contesto organizzativo in
cui la stessa è chiamata ad inserirsi. La formazione è sicuramente un
bisogno indotto dal cambiamento, ma può anche assumere la funzione di produttore del cambiamento stesso: occorre individuare i modi
19
in cui sia possibile governare nel modo più utile questa opportunità,
analizzando le logiche e gli strumenti dell’innovazione e il ruolo svolto dai singoli soggetti chiamati a realizzare le riforme mirate ad assicurare garanzie ed efficienza insieme. Ciò anche considerando come i
notevoli mutamenti di cui l’organizzazione giudiziaria è stata oggetto
non siano stati sempre coordinati, e siano anzi talora apparsi in contraddizione proprio riguardo all’obiettivo di un servizio giustizia in cui
le condizioni dell’efficacia e dell’efficienza possano essere utilmente
coniugate con quelle della legalità del procedere. Esiste certamente,
come sarà più volte notato nel corso di questa analisi, un rapporto interattivo tra formazione professionale e organizzazione. I cambiamenti introdotti hanno inciso sicuramente sulla professionalità richiesta ai
magistrati e sui modi del loro operare. Basti pensare ai diversi lineamenti assunti dalla figura del presidente di sezione od alla diversa
competenza attribuita al giudice monocratico sia nel settore civile che
nel settore penale. Basti pensare ancora, e sul piano squisitamente ordinamentale, agli sbarramenti posti per l’esercizio di funzioni monocratiche agli uditori con funzioni e per l’esercizio della giurisdizione
preliminare nel processo penale. Basti pensare infine, nella materia civile ed in chiave prospettica, alle implicazioni della cd riforma Mirone per quanto riguarda il diritto societario, od ai progetti di modifica
delle esecuzioni mobiliari e delle procedure concorsuali. In alcuni settori, come ad esempio quello concernente i magistrati che si occupano dei minori, oppure all’interno della magistratura di sorveglianza,
questa esigenza “specializzata” di cambiamento è stata percepita in
anticipo. E’ stato così sviluppato in modo positivo il circuito organizzazione/professionalità/cambiamento, anche se occorre prevenire l’eventualità che una differenziazione troppo accentuata isoli il fenomeno e la sua evoluzione all’interno di compartimenti non comunicanti,
in contrasto con l’esigenza di un dibattito che investa l’intera organizzazione giudiziaria. Del resto il modello del giudice “generalista”, cioè
del giudice territorialmente ripartito ma con competenza generale,
sembra inevitabilmente entrato in crisi. Di fatto lo stesso legislatore ha
abbandonato il mito del magistrato onnisciente, per avvicinarsi ad un
giudice che, per determinati settori, si caratterizza per una capacità
professionale qualificata (si pensi ai già ricordati tribunale per i minori, ai tribunali di sorveglianza, alle sezioni lavorio, alle Direzioni distrettuali antimafia, alla stessa Direzione Nazionale Antimafia). Il
Consiglio Superiore, in sede di normazione secondaria, ha percepito
la necessità che sempre più spesso, ai percorsi di cambiamento della
struttura organizzativa giudiziaria, faccia riscontro il supporto ad una
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cultura della giurisdizione specifica, e quindi la necessità di una nuova
formazione professionale. Si pensi ad esempio alla disciplina introdotta per la copertura di posti della magistratura di sorveglianza e dei
minori, per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi in questi settori, per la copertura di posti apicali nelle Procure della Repubblica ove abbiano sede le Direzioni distrettuali antimafia. A livello tabellare, negli uffici giudicanti sono state individuate specifiche modalità di assegnazione per materia sia negli affari civili che in quelli penali, mentre in molti uffici di Procura sono stati costitutiti gruppi di
lavoro specializzati per determinati reati. In questo contesto la formazione professionale del magistrato, e, in uno stadio successivo, la sua
valutazione, dovrebbero costituire uno dei principali obiettivi cui finalizzare l’organizzazione del sistema giustizia.
Per la verità conviene notare fin d’ora che nella specializzazione
possono insinuarsi, oltre agli innegabili aspetti positivi (l’economicità
dell’assetto organizzativo dell’ufficio, i tempi minori per la decisione,
una tendenziale uniformità della decisione per casi analoghi, una sensibilità specifica per la questione sottoposta ad esame), anche aspetti
negativi, come il rischio di una cristallizzazione giurisprudenziale, la
resistenza alle innovazioni, l’appannamento dell’imparzialità conseguente alla costante prossimità agli interessi oggetto della decisione.
Questi rischi tuttavia possono essere evitati se si persegue l’obiettivo di
conciliare l’idea della specializzazione con quella di una ragionevole
temporaneità delle funzioni, in cui le competenze acquisite non vadano disperse, ma possano essere utilizzate in settori contigui ove vengano affrontati problemi giurisdizionali affini. Ecco dunque riemergere il ruolo essenziale della sinergia tra organizzazione e formazione, e
dunque della sinergia tra formazione ed efficienza della giurisdizione.
L’efficienza è non solo un obiettivo costituzionalmente garantito,
anche attraverso il principio sulla ragionevole durata del processo, ma
una delle condizioni per la legittimazione democratica del principio di
indipendenza del giudice. Occorre pero chiarire come, per l’organizzazione giudiziaria, vada definito con molta attenzione lo stesso concetto di efficienza. I misuratori prevalenti, ad esempio a livello di analisi politica o mediatica del problema, sono certamente essenziali e
pertinenti, ma non esaustivi. Se è chiaro ad esempio che non possono
accettarsi valutazioni emotive del pubblico, specie se riferite alla qualità delle decisioni assunte (a ondate, con riguardo alla durezza delle
pene inflitte, o talvolta in riferimento alle condanne piuttosto che alle
assoluzioni), gli stessi misuratori della durata del processo, o della
quantità delle decisioni assunte, vanno ponderati con sufficiente fi-
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nezza. Questi parametri, se isolatamente considerati, nascondono la
peculiarità del lavoro giudiziario, che richiede che la decisione sia assunta secondo le regole (che ad esempio spesso configurano anche un
tempo minimo a garanzia delle parti), sul presupposto che quelle regole siano la strada migliore, fatti salvi gli incidenti di legittimità costituzionale, per una decisione corretta. Allo stesso tempo il magistrato deve
trovarsi nella condizione di assumere la decisione in condizione di capacità professionale - il che significa in primo luogo in condizione di
comprensione culturale del fenomeno oggetto del suo giudizio - in
modo da evitare, per quanto possibile l’errore ed il soggettivismo o la
casualità e agire in modo autonomo e indipendente, e cioè mantenendo ben riconoscibile la separatezza delle sue prospettive personali rispetto al merito della sua decisione da un lato, e confermando l’indipendenza istituzionale del corpo giudiziario rispetto alle altre istituzioni all’esterno. Dunque la professionalità del magistrato, e la stessa sua
indipendenza, sono misuratori di efficienza del sistema altrettanto importanti che altri. In altre parole, la professionalità del magistrato rappresenta un requisito che condiziona la sua indipendenza, la quale a
sua volta condiziona la legittimazione del giudice. La giurisdizione è
dunque un fattore di democrazia condizionata dalla presenza di un
giudice autonomo da ogni potere, che possa utilizzare un percorso processuale idoneo a rendere giustizia in tempi ragionevoli, e quindi professionalmente qualificato, in particolare in quei settori dove la complessità della materia richieda una conoscenza specifica anche di saperi extragiuridici. Il sistema sarà efficiente nel momento in cui anche il
confronto all’interno degli uffici su criteri organizzativi, prassi e d
orientamenti giurisprudenziali sarà sentito come valore, come dovere
deontologico. Un richiamo a questa esigenza proviene dalle stesse recenti riforme legislative che hanno investito l’art. 47 dell’ordinamento
giudiziario, con il d.lgs n. 51/98. Se il sistema giudiziario è un sistema
di potere diffuso, occorre riflettere anche sulle modalità dell’esercizio
di questo potere e confrontarsi sulle aspettative dei cittadini. Non si
tratta di perseguire una omogeneità giurisprudenziale sulle scelte culturali di fondo, in cui la presenza di giurisprudenze diverse ha sicuramente aspetti positivi, una volta che si presenti come scelta consapevole ed informata rispetto all’alternativa esistente. La cultura dell’organizzazione del servizio giustizia deve però avere ricadute sull’impegno
per realizzare all’interno delle varie sedi giudiziarie moduli organizzativi comuni rivolti alla funzionalità del servizio; in assoluto, ma in particolare nella gestione della quotidianità solo dal confronto non occasionale, abbandonando logiche di separatezza potranno esserci rispo-
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ste positive allo sforzo per una certezza del diritto possibile, che , allo
stesso tempo, sia capace di fornire risposte effettive ed accettabili anche rispetto a domande di tutela nuove e sempre più ampie, in modo
da garantire il più ampio numero di soggetti interessati.
1.C. Ruolo e caratteri dell’organizzazione giudiziaria quali fattori di conformazione dello strumento formativo.
Nei paragrafi precedenti si è evocato, con la sommarietà consentita dal fine della mera loro enunciazione, il quadro dei compiti della
magistratura italiana nel contesto sociale, normativo, istituzionale,
costituzionale in cui vive ed opera, ed è già emersa la fondamentale
importanza della formazione. Per un’esatta comprensione degli obbiettivi e dei contenuti della formazione medesima, nonché delle scelte che in concreto negli anni sono state operate (per scrutinarne anche
criticamente le ragioni e per operare in vista di miglioramenti), è opportuno richiamare l’attenzione su alcuni elementi, la cui esatta valutazione risulta imprescindibile perchè si tratta di fattori che “conformano” il modello formativo utile per i magistrati. Si tratta in particolare di porre le premesse per una formazione che: a) non prescinda nè
possa imboccare percorsi che prescindano dalla posizione ordinamentale del magistrato italiano; b) sia rispettosa dei caratteri dell’organizzazione giudiziaria, c) prenda atto dell’inesistenza di modelli di
riferimento “esportabili” e dunque si organizzi per una costruzione
“dall’interno” di un modello per la magistratura italiana d) corrisponda alla “doppia faccia” dell’attività giurisdizionale, che si fonda su saperi sostanziali e richiede la gestione tecnica delle regole per pervenire alla decisione.
1.C.1. Le peculiarità dell’organizzazione giudiziaria e l’inesistenza di modelli di riferimento “esportabili”.
L’organizzazione giudiziaria presenta caratteristiche peculiari,
che la differenziano sia dall’impresa privata che da altri settori della
pubblica amministrazione (anche da quelli che, come la giustizia, garantiscono servizi essenziali per la collettività, come scuola e sanità).
Si tratta infatti di “una struttura prevalentemente rigida, perché regolata in ogni suo momento da norme formali”, che “non è propriamente strutturata in vista del raggiungimento di fini”, che “non opera in situazione di concorrenza”, che non presenta alcuna “divaricazione tra
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vertici - committenti della FP e base - destinataria della medesima”3.
Le particolarità del soggetto destinatario della formazione, da un lato,
e del contesto organizzativo-funzionale in cui si colloca, dall’altro,
fanno sì che non si rinvengano modelli di formazione esportabili, sic
et simpliciter, in ambito giudiziario. In proposito, deve operarsi una distinzione di fondo tra la formazione che ha per riferimento l’esercizio
della giurisdizione e quella che punta al miglioramento dei profili organizzativo-gestionali del lavoro giudiziario e che si rivolge, in primo
luogo, ai dirigenti degli uffici. L’attività di questi ultimi non si differenzia, sotto molti profili, da quella di un dirigente amministrativo (se
non per l’oggetto che richiede un’attività improntata ad un rafforzamento delle garanzie che va ben al di là degli ordinari criteri di buon
andamento della pubblica amministrazione) e anzi da tempo, sotto la
bandiera dell’efficienza, si parla di aziendalizzazione, come chiave di
soluzione dei problemi del “pubblico”, anche per la giustizia. Se per la
formazione dei dirigenti possono mutuarsi, con gli opportuni adattamenti, moduli formativi già sperimentati in altri contesti di produzione di servizi, ciò non è possibile per l’esercizio della giurisdizione.
Come è noto, l’esigenza (e quindi l’organizzazione) della formazione fonda le sue origini nell’industria, dove costituisce uno strumento predisposto, conformato e promanato dall’alto per conseguire
un miglioramento della efficienza e della qualità del sistema produttivo, attraverso l’aumento della competenza professionale e dell’orizzonte informativo di cui dispone il lavoratore, nonché attraverso la diminuzione del suo senso di estraneazione dall’impresa. Nei contesti
produttivi, infatti, la prestazione lavorativa “motivata”, caratterizzata
da una maggiore capacità e libertà di autodeterminazione, inserita in
un sistema diffuso dei flussi informativi, è funzionale ad un maggior
controllo dei risultati del lavoro, che deve garantire una qualità data.
Come è stato osservato da esperti della formazione (con riferimento
alla produzione di servizi sanitari e sociali), nel modello “industria” si
“crede di poter individuare culture, saperi, strumenti e regole di riferimento per <<mettere ordine>>. Regole precise e ripetute garantiranno la prestazione ottimale; l’oggetto di lavoro sembra pensato all’interno di saperi che orientano gli operatori verso una sorta di ingegnerizzazione della cura. Rientrano in questo modello tutte le pratiche dei
processi di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi o l’idea
del manager come colui che deve definire esattamente i diversi livelli
3
24
Si veda la Relazione del C.S.M. al Parlamento, citata alla nota che precede.
di gerarchia e responsabilità. In questo senso non può non venire in
mente la fabbrica tayloristica, nella quale i processi lavorativi sono razionalizzati in modo da consentire a ciascun operatore di sapere che
cosa deve fare, come e in quanto tempo. Nelle culture classiche dell’organizzazione non importa se si producono vernici o si aiuta un
adolescente a riprogettare la sua esistenza dopo un periodo di depressione, quel che conta è avere chiara la distribuzione del lavoro, la sequenza delle prestazioni e i tempi per le singole azioni”. Infatti l’idea
della aziendalizzazione “fonda il ragionamento per cui, se è possibile
definire le procedure e gli standard con cui costruire le macchine, è altrettanto possibile definire le procedure e gli standard per risolvere situazioni di sofferenza o di dolore. In questo modo decontestualizza
l’oggetto di lavoro, nel senso che presuppone che produrre benessere
[produrre giustizia, potremmo dire noi] sia la stessa cosa che produrre vernici …”.
1.C.2. La costruzione “dall’interno” di un modello di formazione per la
magistratura italiana.
Se il modello “industria” non può applicarsi alla giurisdizione,
neppure le Scuole straniere della magistratura (e in primo luogo l’Ecole National de la Magistrature) possono costituire un punto di riferimento esaustivo, per le caratteristiche di indipendenza interna ed
esterna che connotano fortemente il magistrato italiano, e che sono
assenti o affievolite altrove. Del resto non esistono studi ed elaborazioni di rilievo sui metodi più idonei per la formazione dei magistrati,
e non è mai stato approfondito, nell’ambito proprio delle scienze sociali, un modello formativo per la magistratura, che vada al di là della
semplice e scolastica impartizione di lezioni di diritto. E’ noto oltretutto come il lavoro del magistrato sia sempre duplice, consistendo (in
varia misura a seconda della funzione svolta) in un’attività di conduzione del processo e in un’attività di qualificazione giuridica delle fattispecie. A queste si accompagna poi quella specialissima attività che
è la decisione. Le “abilità” che entrano in gioco in queste attività sono
diverse e, se per quanto concerne la conoscenza del diritto sostanziale possono proporsi forme tradizionali di insegnamento e apprendimento, imparare a condurre un processo e a decidere implica l’acquisizione di tutta una serie di capacità per le quali è stato (ed è tuttora)
necessario inventare un nuovo lessico formativo.
Al fine appena indicato ben difficilmente potrebbero essere chia-
25
mati, in chiave esclusiva e risolutiva, esperti e tecnici esterni alla magistratura, poichè costoro non sarebbero in grado di cogliere e analizzare tutte le peculiarità della funzione, mentre l’ “appalto” di una
tale ricerca porrebbe in ogni caso delicati problemi di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. La struttura di formazione si è, pertanto, trovata di fronte al non semplice problema di
individuare l’oggetto, il contenuto, l’obbiettivo, il metodo della formazione per i magistrati, raccogliendo la sfida della necessità di preparare la nostra “cassetta degli attrezzi”. Per giungere a tale risultato,
o meglio ad alcuni risultati intermedi da rivedere e migliorare, è stato
necessario valutare quello che le teoriche tradizionali sulla formazione proponevano e cercar di capire quali suggerimenti potevano venire da esperienze pilota nel settore dei servizi. Soprattutto è stato necessario “imparare sbagliando”, apprendendo dai risultati degli incontri di studio cosa doveva essere eliminato, cosa rafforzato o migliorato Quest’opera, tuttora in fieri, è stata condotta in modo per lo
più autodidatta e solo per alcune attività sperimentali (i laboratori
per il giudice ed il p.m. nel procedimento minorile e della famiglia, e
per i magistrati di sorveglianza) ai magistrati è stata affiancata un’assistenza esterna, di carattere esclusivamente metodologico, ad opera
parte di professionisti della formazione, resa indispensabile dalla carenza di competenze professionali e culturali specifiche all’interno
della magistratura.
Si tratta naturalmente di comprendere, a questo punto, in che
senso l’esperienza e le caratteristiche del corpo giudiziario debbano
orientare il modello formativo.
1.D. La nuova dimensione europea e internazionale dell’attività giudiziaria.
“Accanto agli adempimenti della XII Legislatura repubblicana ci
sono davanti a noi anche gli adempimenti della nuova Legislatura europea che sta per cominciare. Di questa Legislatura, il programma
centrale è lo “spazio europeo di libertà, sicurezza e cooperazione giudiziaria”, un programma quinquennale che impegnerà in egual misura il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. Il nostro ordinamento avrà nell’attuazione progressiva di questo programma un parametro sicuro di riferimento a quello “standard” giudiziario europeo,
che è condizione primaria perché i cittadini e le imprese possano godere di un’effettiva cittadinanza europea e usufruire di una concreta
26
garanzia di pienezza della tutela giurisdizionale. Sono certo che il
Consiglio Superiore della Magistratura presterà la massima attenzione alle fasi di attuazione di tale “spazio” di diritto comune europeo,
dando anche qui il suo contributo in termini di consiglio e di proposta. Non è lontano, inoltre, il momento nel quale potrà parlarsi di una
formazione professionale comune dei magistrati europei. La diffusione di una cultura della giurisdizione comune fra i magistrati europei
è premessa e strumento della promozione di forme sempre più tempestive e incisive di cooperazione giudiziaria”.
Con queste parole, pronunciate in occasione del suo discorso di
insediamento dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura, il
Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi indicava nella maniera più precisa e solenne il nesso necessario tra gli scenari istituzionali e normativi dell’Unione Europea in materia di giustizia e l’esigenza di favorire, attraverso la formazione, l’emergenza di una comune
cultura dei magistrati europei.
Non v’è dubbio che il peculiare rilievo assunto dall’applicazione
giurisprudenziale del diritto comunitario e la crescente importanza
dei profili internazionali dell’attività giudiziaria sono tra i fattori che,
negli ultimi anni, più hanno contribuito al cambiamento del ruolo istituzionale e delle pratiche professionali dei magistrati. Il carattere sempre più spesso transnazionale di situazioni e fenomeni oggetto di regolazione per via giudiziaria e l’incidenza profonda di fonti comunitarie o di origine pattizia negli ordinamenti giuridici interni, disegnano
un contesto nel quale la necessità di adeguare saperi e capacità dei
magistrati europei - la loro cultura, o, se si vuole, la loro “cassetta degli
attrezzi” - appare impellente.
Se ci si volge indietro e si tenta di condurre la riflessione in una
prospettiva storica, ci si accorge che l’elemento caratterizzante di tale
nuovo contesto è forse, più di altri, la recente, fortissima accelerazione del processo che lo ha determinato. L’integrazione, talvolta la vera
e propria “scalata”, del diritto comunitario e dei principi posti a tutela dei diritti umani nel sistema delle fonti è fenomeno che negli ultimi
anni ha toccato ordinamenti tra i più refrattari ad influenze esterne,
mentre la cooperazione giudiziaria internazionale è stata recentemente oggetto, almeno a livello europeo, di mutamenti profondi. Sviluppatasi negli anni cinquanta ai margini di trattati di natura essenzialmente economica, la cooperazione giudiziaria, centrata sull’attività
penale, è stata per lungo tempo in Europa una specie di necessario
prolungamento, di appendice, della cooperazione tra polizie, già allora ancorata a modelli e strutture operative (per tutte, Interpol) larga-
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mente esorbitanti l’ambito europeo e non a caso espressamente citate
nelle convenzioni di più generale applicazione.
Nonostante il concetto di “spazio giudiziario europeo “ fosse stato
enunciato fin dal Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 1977, i
tentativi di declinarlo nella realtà si sono per anni tradotti in altrettanti fallimenti. L’Accordo di Schengen del 1985 e l’Atto unico europeo
del 1986, stipulati al dichiarato scopo di stabilire nello spazio europeo,
anche mediante l’adozione di specifiche misure di accompagnamento
dell’abolizione delle frontiere interne, la libera circolazione delle persone quale condizione per la migliore realizzazione del mercato unico,
non avevano fatto uscire la cooperazione giudiziaria dal quadro intergovernativo che le era sempre stato proprio.
E’ stato il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, a segnare l’istituzionalizzazione della cooperazione giudiziaria e la creazione di un Terzo Pilastro dedicato alla Giustizia ed agli Affari Interni :
pur restando nell’ambito intergovernativo, le istituzioni comunitarie
(Parlamento, Consiglio, Commissione) si vedono riconosciute competenze proprie in materia di cooperazione giudiziaria. Si innesta così
una dinamica, certo non priva di contraddizioni ma reale, di integrazione della cooperazione giudiziaria al diritto comunitario. Dinamica
che, pur con i limiti e le insufficienze connaturati ai processi politicoistituzionali complessi, non ha a tutt’oggi conosciuto inversioni di tendenza. Al contrario. Con la firma del Trattato di Amsterdam alla data
del 2 ottobre 1997, l’Unione europea si è data per la prima volta come
obiettivo quello della “creazione progressiva di uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia nell’ambito del quale è assicurata la libera circolazione delle persone”. Si tratta di un obiettivo generale, “interpilastri “: la giustizia entra a far parte a pieno titolo delle politiche dell’Unione.
L’estensione del settore comunitario alla cooperazione giudiziaria
in materia civile e la riforma del Terzo Pilastro4, pure operati dal Trat-
Ormai limitato alla cooperazione di polizia ed a quella giudiziaria in materia penale,
il Terzo pilastro vede tra l’altro, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il riconoscimento alla Commissione di poteri di iniziativa nel processo di produzione normativa
fin qui riservati agli Stati membri, nuove prerogative e nuovi compiti per il Parlamento europeo e per la Corte di Giustizia, la possibilità di realizzare forme più avanzate di cooperazione tra un numero ridotto di Stati membri, l’inizio del superamento del principio dell’unanimità, la previsione di un’armonizzazione dei diversi diritti penali europei, un riferimento preciso al rispetto dei diritti umani (artt. 6 e 49 TUE) garantito da un meccanismo
sanzionatorio nei confronti dello Stato membro che si rendesse responsabile della loro violazione (art. 7 TUE).
4
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tato di Amsterdam, sono state seguite, secondo cadenze prima sconosciute, da altri passaggi importanti, che consegnano al terzo millennio
un quadro istituzionale e normativo in rapida evoluzione.
Si pensi alle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, tenutosi il 15 e 16 ottobre 1999, primo vertice dei Capi di Stato e di Governo consacrato alla Giustizia e agli Affari interni, che si è pronunciato espressamente per la realizzazione di “un vero e proprio spazio
europeo di giustizia”, fondato su tre capitoli fondamentali : un miglioramento delle condizioni di accesso alla giustizia, il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie (definito come la “chiave di
volta “della cooperazione giudiziaria, tanto in materia civile che penale) e una più forte convergenza nel campo del diritto civile per gli
affari a carattere transfrontaliero. Priorità è data nelle Conclusioni
di Tampere alla lotta contro la criminalità organizzata, con indicazioni specifiche concernenti il riciclaggio dei profitti criminali. Si
pensi ancora alla creazione, nel mese di settembre del 2000, dell’Unità Provvisoria Eurojust, costituita al fine di favorire il migliore
coordinamento tra le autorità giudiziarie europee nella lotta alle
forme gravi di criminalità organizzata, od agli esiti della Conferenza
Intergovernativa di Nizza, che hanno prodotto l’inserimento di Eurojust nei Trattati. Si pensi, infine, alla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, che, proclamata in occasione del Consiglio europeo di Biarritz e firmata a Nizza nel dicembre scorso, costituisce
un’altra tappa del tentativo di ancorare l’Europa dei cittadini a principi e valori comuni.
Una facile previsione si impone nel contesto fin qui descritto.
Quali che siano le difficoltà dei processi di integrazione politicoistituzionale in Europa, la tendenza di fondo all’accelerazione, insieme quantitativa e qualitativa, della trasformazione della cooperazione
giudiziaria si troverà amplificata nei prossimi anni.
La progettazione della formazione professionale dispensata dal
Consiglio Superiore ai magistrati italiani si è posta e deve porsi con
attenzione crescente l’obiettivo di accompagnare tali mutamenti e di
integrare queste nuove dimensioni dell’attività giudiziaria. Proprio
dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea emerge una
nuova prospettiva culturale per quanto riguarda i contenuti della formazione; a ciò è collegata una dimensione collettiva per quanto riguarda l’ individuazione dei suoi destinatari; dallo stesso Consiglio
d’Europa è stata infatti sottolineata recentemente l’ obbligatorietà
della formazione non solo per i magistrati giudicanti, ma anche per i
magistrati del p.m.
29
1.E. La formazione nell’ordinamento interno.
1.E.1. Il dovere costituzionale di leale cooperazione fra poteri dello Stato.
Come è stato già sottolineato nella precedente relazione5, la competenza del Consiglio Superiore in materia di formazione dei magistrati,
per quanto non espressamente indicata nell’art. 105 della Costituzione,
è ormai unanimemente riconosciuta nell’ordinamento e nel mondo istituzionale6. All’indicazione delle norme che espressamente prevedono
tale funzione del Consiglio, contenuta nella predetta relazione, possono
aggiungersi: l’art. 4-bis della legge 21 novembre 1991, n. 374, che ha istituito il giudice di pace, inserito con l’art. 2 della legge 24 novembre
1999, n. 468; l’art. 11, quinto comma, della legge 13 febbraio 2001, n. 48,
sull’aumento del ruolo organico e la disciplina dell’accesso in magistratura, nella parte in cui, in caso di riduzione della durata del tirocinio
degli uditori giudiziari, prevede l’obbligo di partecipazione per i cinque
anni successivi all’assunzione delle funzioni e per due mesi l’anno, agli
“incontri di studio sulla formazione professionale, organizzati, fino all’istituzione della scuola della magistratura, dal Consiglio superiore
della magistratura”; l’art. 16 della stessa legge, che, per il tirocinio degli
avvocati vincitori del concorso per magistrato di tribunale di cui all’art.
14, richiama la disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari dettata
con il d.p.r. 17 luglio 1988. Recentemente, inoltre, l’attività di formazione dei magistrati ha avuto il positivo apprezzamento del presidente
della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nell’intervento svolto davanti all’Assemblea plenaria del Consiglio il 5 marzo 20017.
5
BONETTO, CARCANO, CASSANO, CIAMPOLI, FABIANI, MORELLI, OBERTO, VERARDI, La formazione professionale del magistrato – Relazione e considerazioni sull’attività
svolta (marzo 1994 – giugno 1995), s.d. ma Roma 1996, pag. 18,
6
Nella citata Relazione al Parlamento, pag. 98 e seg., si ricorda che la prima iniziativa
consiliare in tema di formazione risale alla delibera 5 aprile 1973, cui seguì nello stesso anno
l’organizzazione di sei incontri della durata di una settimana, a ciascuno dei quali parteciparono cinquanta magistrati.
7
Il Presidente, in tema di formazione dei magistrati ha espressamente dichiarato: “E’
molto importante anche in questo campo il ruolo del Consiglio Superiore, il quale conosce bene
la problematica in esame e già si è adoperato e si adopera per studiare soluzioni e fare proposte. Questo sforzo deve essere intensificato, poiché sì tratta di un problema la cui mancata o inadeguata soluzione rischia di travolgere qualsiasi processo riformatore. E bisogna porre mente
al fatto che, come ho avuto altre volte modo di affermare, la formazione non è soltanto qualcosa di propedeutico all’iniziale esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma è essenziale lungo l’intero arco della vita professionale del magistrato, sotto forma di aggiornamento culturale e di ragionata rivisitazione delle esperienze accumulate nelle diverse articolazioni della propria attività professionale di magistrato, sia come requirente, sia come giudicante.”
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La formazione dei magistrati, pur rientrando nelle attribuzioni del
Consiglio, pone comunque anche un problema di adempimento del dovere di leale collaborazione con altri poteri dello Stato8. Tale dovere, ribadito e puntualizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 379
del 1992, ha certamente una portata che va al di là dello specifico oggetto (rapporti tra C.S.M. e Ministro in tema di concerto per la nomina
dei titolari di uffici direttivi), potendo estendersi a ogni ipotesi in cui le
norme prevedano il concorso di organi e soggetti distinti nell’esercizio
di una funzione pubblica di rilievo costituzionale. In tal caso, secondo
la Corte costituzionale, le istituzioni concorrenti sono tenute a comportarsi secondo i principi della correttezza nei loro rapporti reciproci e nel
rispetto sostanziale dell’autonomia di ciascuna di esse.
In via del tutto semplificativa si possono ricordare, come ipotesi
di concorso del Consiglio con altri poteri dello Stato in materia di formazione, l’organizzazione dei corsi di specializzazione per i giudici di
pace, prevista, in via transitoria, dall’art. 6, comma 5-ter della legge n.
374 del 1991, che aveva appunto assegnato tale compito al Ministero
ed al Consiglio stesso.
Ma, ancor prima della formazione vera e propria, per l’evidente
rapporto esistente tra il piano della formazione finalizzata all’esercizio
delle funzioni giurisdizionali e quello della preparazione al concorso,
la legge prevede un’attività del Consiglio concorrente con quella del
Ministro dell’università e del Ministro della giustizia in materia di
scuole di specializzazione per le professioni legali (art. 16 del d.lgs.
398 del 1997), nelle quali si deve realizzare la formazione comune dei
laureati in giurisprudenza al fine di accedere alla magistratura ordinaria o di esercitare le professioni di avvocato o notaio. Le scuole,
come previsto dall’art. art. 17, commi 113 e 114, della legge n. 127 del
1997 sono istituite presso le Università, con provvedimenti del Ministro dell’università di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il
Consiglio, al quale poi compete indicare la rosa dei magistrati tra i
quali vengono scelti quelli che compongono il consiglio direttivo (d.m.
n. 509 del 1999). Rientra poi nell’ordinaria competenza consiliare l’au8
Sulla qualificazione del C.S.M. come “potere dello Stato” v. già Corte cost. n. 168 del
1963 e, successivamente, ex professo, l’ordinanza n. 184 del 1992 e la sentenza n. 279 dello
stesso anno di cui al testo. La stessa commissione “Paladin” (Giur cost. 1991, 986), che pure
ha adottato un orientamento abbastanza restrittivo in tema di qualificazioni sul piano costituzionale delle funzioni e della natura del C.S.M., ha espressamente affermato la legittimazione del Consiglio a sollevare conflitto di attribuzioni ai sensi dell’art. 134 Cost., a tutela delle sue “attribuzioni costituzionalmente rilevanti”.
31
torizzazione ad accettare l’incarico di componente del corpo docente
e delle commissioni d’esame per l’accesso e per il conseguimento del
diploma.
Un ulteriore ipotesi di concorso di attività può infine prospettarsi
in materia di formazione dei magistrati dirigenti e di quelli titolari di
funzioni di collaborazione direttiva, di cui si tratterà specificamente in
seguito, in relazione al rilievo che tali magistrati sono chiamati a svolgere, oltre a funzioni giurisdizionali e di amministrazione della giurisdizione, anche compiti attinenti al funzionamento dei servizi, che
rientra nelle attribuzioni costituzionali del Ministro. Tra l’altro significativa evoluzione ha conosciuto negli ultimi tempi anche la formazione del personale amministrativo del dipartimento di giustizia, attraverso lo sviluppo delle “scuole”, il cui numero va rapidamente aumentando sul territorio nazionale e le quali vanno seguite con grande interesse, vantando un ottimo modello strutturale e rilevanti risorse organizzative. Del resto la collaborazione con la struttura destinata a
formare i collaboratori del giudice e del pubblico ministero è impegno
la cui utilità risulta di palmare evidenza.
Non può tralasciarsi il rilievo che in concreto il Consiglio ha già
dato spontaneamente prova di ispirare la sua azione, in materia, al
principio di leale collaborazione, sottoscrivendo la convenzione 23
settembre 1993, con la quale, in via sperimentale e in attesa dell’istituzione in via legislativa della Scuola, si prevedeva la creazione di una
struttura comune, composta da rappresentanti del Ministero e del
Consiglio. Come è noto la convenzione non ha poi avuto effetti per il
diniego di registrazione da parte della Corte dei conti.
1.E.2. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali.
Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un progressivo incremento dell’interazione tra il Consiglio ed altri enti in materia di formazione. Tuttavia va registrata una certa difficoltà di natura strutturale nel recepire le offerte provenienti da soggetti esterni o nel pianificare progetti da proporre all’esterno, imputabile in larga parte ai limiti intrinseci dell’attuale assetto organizzativo. Superando le attuali difficoltà operative si è comunque iniziato a prendere contatto con alcuni enti per l’adozione di iniziative comuni. Nel dicembre del 2000 si è
così perfezionata un’iniziativa formativa presso la CONSOB (v. l’incontro di studio, organizzato nelle due sessioni del 18 dicembre 2000
e del 15 gennaio 2001), che ha avuto notevole successo tra i parteci-
32
panti. Sono state altresì realizzate altre positive iniziative in collaborazione con la Banca d’Italia (v. l’incontro di studio del 4-6 giugno
2001) e l’Agenzia nazionale per il volo (v. l’incontro di studio del 18
maggio 2001).
La crescente importanza dell’attività di agenzie e autorities, istituzionalmente preposte alla funzione di controllo su rilevanti settori
della vita economica e sociale, impone l’approfondimento dei rapporti già avviati, nel recente passato, con tali istituzioni. Risulta infatti essenziale, per la completa ed efficace attuazione delle normative speciali, realizzare effettive sinergie operative con queste autorità –le cui
competenze sempre più spesso si intersecano con quelle della magistratura-, innanzi tutto promovendo la conoscenza delle reciproche
potenzialità ed esigenze. In proposito, affidarsi a iniziative autonome,
pur realizzabili, appare insufficiente, risultando certamente più proficuo attingere direttamente all’esperienza che la maggior parte di questi enti hanno maturato nella formazione del proprio personale.
In conclusione va comunque sottolineato come la formazione “integrata” non possa andare a scapito delle iniziative gestite in completa autonomia dal Consiglio. In altri termini, la collaborazione in materia di formazione deve divenire un valido e irrinunciabile complemento dell’attività tradizionale, ma non può sostituirla. Sotto altro
profilo deve invece rilevarsi l’opportunità che il progetto di una attività
formativa in collaborazione si conformi per larga parte mediante l’attività della rete di formazione decentrata, coinvolgendo – quantomeno
in alcune iniziative – il maggior numero possibile di magistrati, ai quali fornire in questo modo importanti occasioni di confronto e di apertura culturale.
1.E.3. Il confronto con gli altri operatori del diritto.
L’esigenza di aggiornamento professionale su saperi extragiuridici, finalizzata a diffondere fra i magistrati conoscenze relative a settori scientifici complementari ma sempre più attuali (tra cui economia,
contabilità, psicologia, balistica, stupefacenti, medicina, psichiatria,
chimica in tema di sofisticazioni alimentari, ecologia, urbanistica,
scienza dell’amministrazione, tecnica bancaria, scienze sociali), ha accentuato il progressivo coinvolgimento degli altri operatori del diritto,
sia esterni alla magistratura, sia provenienti da altre magistrature
(onoraria, amministrativa, militare) quali relatori, o partecipanti ai
corsi di formazione che hanno per oggetto tematiche comuni.
33
In effetti la sempre maggiore complessità dei fenomeni sociali, la
multiculturalità della società contemporanea, la globalizzazione dei
mercati, fenomeni tutti che comportano un inevitabile riflesso sul
piano giuridico, impongono di valutare e ponderare i diversi saperi,
soprattutto in tema di tutela interdisciplinare della persona, della famiglia e dei minori, nonché sulle problematiche attinenti il mondo del
lavoro.
L’offerta formativa relativa ai settori specifici dei diritti bancario e
commerciale (comprendente al suo interno il diritto societario, industriale, fallimentare) per il settore civile, ed il contenuto specialistico
della legislazione penale oggetto dei vari incontri di studio, così come
gli aspetti complessi della devianza criminale, hanno reso indifferibile l’apporto di conoscenze ed esperienze multidisciplinari. A tale apporto si connette la possibilità di un immediato confronto sulle varie
tematiche oggetto degli incontri di studio, con la prospettazione delle
relative posizioni e orientamenti, anche antitetici, che consentono una
ponderata valutazione dei rispettivi punti di vista al fine di ricercare
soluzioni, sia comuni che differenziate, in un’ottica di effettiva dialettica. E’ evidente come tale confronto sviluppi la comprensione tra logiche e ruoli diversi, ma complementari, e costituisca strumento di
crescita professionale dei magistrati, mezzo di affinamento nell’esercizio della funzione, contribuendo ad una maggiore efficienza complessiva dei sistema.
Proprio in tale ottica di collaborazione e confronto produttivo, da
qualche anno, il Comitato scientifico, nel redigere il programma annuale dei corsi di formazione ed di aggiornamento professionale da sottoporre per l’approvazione al Consiglio, individua le ulteriori categorie dei
destinatari delle varie offerte formative e la percentuale di partecipazione alle medesime. Per il 2001 è stata prevista la partecipazione a singole iniziative di rappresentanti delle forze di Polizia, specializzati nella
lotta alla immigrazione clandestina ed alla tratta degli esseri umani9, di
avvocati e appartenenti alla magistratura amministrativa e militare10,
Incontro di studi su “Fenomeni migratori, minoranze e razzismo”.
Incontri su “Ricostruzione del fatto e prova scientifica”, “Libertà della persona e
provvedimenti prescrittivi del giudice”, “Rapporto tra illecito civile e illecito penale”, “La discrezionalità nell’attività giurisdizionale”, “Questioni attuali in materia di contratto”, “Il
contenzioso con le banche”, “Il punto sul nuovo rito civile ordinario”, “Le prove nel processo civile”, “L’istruttoria sommaria atipica”, “Le impugnazioni civili”, “I processi soggetti al
rito del lavoro”, “La tutela cautelare d’urgenza”, “Modelli e dinamiche del processo e della
pena”, “Le recenti riforme del processo penale”, “Il nuovo diritto penale tributario”, “Dalla
notizia di reato all’avviso di conclusione: funzione e struttura delle indagini preliminari”,
9
10
34
di notai11. Occorre incentivare ulteriormente la partecipazione, anche
quali relatori, di esperti nelle specifiche materie della famiglia, dei
minori e del lavoro, per l’utile e specifico contributo all’approfondimento e risoluzione delle relative questioni specialistiche.
1.F. Le modifiche ordinamentali e processuali.
Dopo la stagione delle nuove codificazioni e degli interventi di assestamento che, come era prevedibile, sono scaturiti da riforme di così
ampio respiro, sembrava forse legittimo preconizzare l’avvio di una
fase di stasi nella produzione novellistica, così da permettere una adeguata “metabolizzazione” dei nuovi modelli e delle diverse culture che
essi presupponevano. Al contrario, gli ultimi anni hanno fatto registrare, nei più variegati settori, interventi normativi tanto numerosi e
di così elevata valenza (non soltanto sul piano dei sistemi, quanto
anche, e forse soprattutto, su quello degli assetti ordinamentali e delle
strutture) da non presentare l’eguale nei tempi precedenti. Il ritmo
delle riforme è stato intenso ed ha richiesto, di volta in volta ed in relazione all’assetto novellistico, particolare impegno e prontezza sia per
ricalibrare l’organizzazione del lavoro in funzione delle esigenze normative prospettate, sia per registrare, sul piano operativo, i profondi
mutamenti che venivano a subire – sotto il profilo ordinamentale –
ruoli e funzioni dei giudici. È chiaro infatti che la ridefinizione di assetti e dinamiche processuali quasi ineluttabilmente comporta una
nuova collocazione (e, dunque, una nuova “figura”) per il giudice, sicché, a prescindere da qualsiasi formale riverbero sul versante dell’ordinamento giudiziario o della struttura ed organizzazione degli uffici
giudiziari, è proprio la configurazione delle attribuzioni giurisdizionali a “percepire” in prima battuta i segnali del cambiamento. Un fe-
“Legittimità e merito, la dialettica tra i giudici”, “Giustizia penale negoziata, poteri dispositivi delle parti e funzione del giudice”, “La riforma dell’art. 111 della Costituzione nei suoi
riflessi sul processo penale”, “La tutela penale del processo”, “La funzione giudiziale preliminare”, “I rapporti patrimoniali della famiglia”, “L’adozione nazionale e internazionale”,
“Giudice penale e giudice minorile di fronte all’abuso sessuale”, “L’affidamento del minore”,
“Accertamento del passivo nel fallimento: questioni dibattute e prassi”, “Il contenzioso in
materia di previdenza ed assistenza”, “Le controversie in materia di pubblico impiego: profili sostanziali”.
11
Incontri su “Interposizione e simulazione nel negozio giuridico”, “I rapporti patrimoniali della famiglia”.
35
nomeno, questo, evidentemente di portata tanto più ampia quanto
maggiore è l’area della giurisdizione interessata dalle varie riforme.
Ebbene, basterà poco per avvedersi di quali e quante siano state
le novità introdotte nel “comparto” giustizia da un legislatore animato, negli ultimi tempi, da una intensa volontà di riforma, specie nel
settore penale. E’ sufficiente considerare, in primo luogo, la modifica
costituzionale dell’art. 111, che, introducendo il principio della ‘ragionevole durata del processo’ quale indefettibile canone di un processo ‘giusto’, chiama all’impegno, in chiave costituzionale, per una
razionalizzazione organizzativa abbinata al migliore standard di qualità professionale. Ancora: basti pensare, tra gli interventi più significativi della normativa ordinaria, alla istituzione del giudice unico di
primo grado, alla attribuzione di competenze penali al giudice di
pace, ai mutamenti processuali ed ordinamentali introdotti dalla cosiddetta legge Carotti e dalle successive norme modificative, alle innovazioni apportate al codice di procedura penale ed all’ordinamento penitenziario dalla cosiddetta legge Simeone, alla recente disciplina sulle indagini difensive ed a quelle, ancora più recenti, in materia
di acquisizione e valutazione della prova e di assicurazione della difesa d’ufficio. Sono sintomi, tutti, di un fermento normativo che sembra confidare nella capacità del sistema di recepire nuovi bisogni e
nuove soluzioni per la giustizia, e di adeguarsi agli strumenti approntati a questo scopo. Peraltro, tale dinamismo normativo è sovente foriero di esigenze – e dunque di sollecitazioni – diverse. Traspaiono, così, necessità di specializzazione ma, anche, di tendenziale “separatezza” di ruoli – come nel caso della distinzione sempre più accentuata e forse destinata a radicalizzarsi tra giudice per le indagini
preliminari e giudice della udienza preliminare. Si affermano anche
nelle fonti primarie di regolazione dell’ordinamento, più in generale,
linee volte a circoscrivere temporalmente l’esercizio di determinate
funzioni. Insomma, alla pluralità delle “dinamiche funzionali” non
può non corrispondere anche (e soprattutto) una configurazione per
così dire “modulare” del ruolo del giudice: le attribuzioni si specificano, infatti, e con esse si specifica anche la “cultura” del giudice
chiamato ad esercitarle.
Le implicazioni di un fenomeno siffatto sul piano della formazione saranno a lungo studiate, e per molti versi sono già evidenti.
Alla pluralità (ed eterogeneità) delle innovazioni legislative si è infatti dovuto e si deve far fronte con una offerta formativa anch’essa
“modulare” e flessibile. Da un lato, infatti, è indispensabile attrezzare piani di intervento di rapida attuazione, atti a soddisfare, con
36
la massima tempestività e diffusione, l’urgente bisogno informativo
(prima ancora che formativo) derivante dalle novelle. Di qui soprattutto la scelta, avviata nel 2000 e riproposta per il 2001, di prefigurare brevi e concentrati incontri di studio, ripetuti periodicamente,
così da permettere un (idealmente doveroso) aggiornamento professionale, sulla base di standards qualitativi omogenei ed elevati.
Sotto altro profilo, l’offerta non può trascurare strumenti atti a stimolare una riflessione, per così dire, di secondo livello, così da verificare, al di là della gestione operativa delle novità, i riflessi di sistema e le eventuali zone d’ombra emerse, anche, alla luce della
prima fase di applicazione delle nuove norme. Un terzo aspetto
della proposta formativa è implicato da un dato di forte rilievo scaturito dalle più recenti riforme: si allude alla tendenza, sempre più
accentuata, verso l’esercizio individuale della giurisdizione, come
stanno a testimoniare le estese e delicate attribuzioni devolute al tribunale in composizione monocratica, le competenze civili e penali
del giudice di pace, la individuazione del giudice per le indagini preliminare come giudice dei riti alternativi, e dunque dei procedimenti chiamati a ridurre il carico dibattimentale secondo una incidenza quantitativa in forte aumento. Ciò comporta, come è evidente, non tanto uno sforzo formativo di riconversione, quanto piuttosto l’offerta di modelli culturali diversificati, che tengano in particolare conto dei peculiari livelli di impegno e responsabilità connessi all’esercizio di funzioni monocratiche, oltre che degli specifici bisogni formativi che possono sottendere ai singoli e differenziati ruoli giurisdizionali.
1.G. Il nuovo ruolo della magistratura onoraria.
Un altro degli scenari che rapidamente stanno mutando sul terreno della giurisdizione, condizionandone la fisionomia, è quello relativo alla magistratura onoraria. Alcuni aspetti del fenomeno, per altro
mai valorizzati nella riflessione sulle necessità formative del corpo
giudiziario, sono rilevanti ma non presentano carattere di novità. Si
allude qui, ad esempio, al ruolo dei componenti non togati della Magistratura minorile o di quella di sorveglianza. Gli stessi giudici onorari di tribunale, la cui figura presenta evidenti analogie (per quanto
segnata, alla luce della riforma del giudice unico di primo grado, da
competenze rafforzate) con quella del vice pretore, rappresentano un
dato metabolizzato dell’organizzazione giudiziaria (così come la strut-
37
tura, più recente e diversamente conformata, dei membri onorari
degli uffici di procura). I profili dunque di maggior novità sul terreno
in esame riguardano la giurisdizione di pace, che del resto, per numero degli addetti e importanza dei compiti, rappresenta ormai di gran
lunga la componente più rilevante della magistratura onoraria12.
E’ appena necessario ricordare come gli uffici del giudice di pace
siano stati istituiti all’inizio dello scorso decennio (legge 21 novembre
1991 n. 374), secondo un progetto che ne prevedeva la competenza tanto
per il settore civile che per quello penale, e come la loro attività, nel solo
settore civile, si sia sostanzialmente avviata nel 1995, una volta ultimato il
procedimento di selezione della prima generazione di giudici onorari. Di
fatto, l’operatività dei nuovi uffici giudiziari ha quasi coinciso con la piena
applicazione della legge 353/1990 (riforma del processo civile) e l’introduzione della figura del giudice istruttore, nel giudizio di cognizione dinanzi al tribunale, in funzione di giudice unico della decisione. Ma a loro
volta tali riforme si iscrivevano in un progetto più ampio, ispirato dall’esigenza di un nuovo magistrato onorario che, integrando l’azione ormai
ridotta del conciliatore, fosse in grado di contribuire alla deflazione del
contenzioso civile mediante l’assunzione di competenze già pretorili, ma
rappresentasse anche una nuova concezione dell’amministrare giustizia,
in una prospettiva sempre più coesistenziale e sempre meno contenziosa.
L’esperienza di oltre un quinquennio, sviluppatasi come accennato nel solo settore civile perchè il Governo dell’epoca aveva lasciato
scadere la delega parlamentare in punto di competenza penale senza
esercitarla, ha certamente rivelato una tendenza all’accrescimento dei
compiti della magistratura di pace, anche solo in termini quantitativi
e con una schietta destinazione allo smaltimento dell’arretrato (si
pensi all’attribuzione delle cause di “vecchio rito”, operata mediante
gli artt. 1-4 della l. 16 dicembre 1999 n. 479, e per altro verso alla recente istituzione della competenza per il giudizio d’opposizione alla
ordinanza-ingiunzione collegata agli illeciti depenalizzati)13.
Alla data del 22 marzo 20001 il ruolo organico dei giudici di pace prevede 4700 unità,
suddivise per distretto di Corte di Appello come segue: Ancona 111; Bari 187; Bologna 246;
Brescia 123; Cagliari 159; Caltanissetta 67; Campobasso 51, Catania 170; Catanzaro 179; Firenze 246; Genova 164; L’Aquila 130; Lecce 138; Messina 75; Milano 372; Napoli 692; Palermo 231; Perugia 58; Potenza 83; Reggio Calabria 85; Roma 370; Salerno 101; Torino 324;
Trento 73; Trieste 72; Venezia 193. Tuttavia non tutti i posti previsti dal ruolo organico sono
allo stato coperti , ed infatti solo per 2588 sono state completate le procedure di conferma o
nomina , mentre risultano ancora vacanti, alla stessa data del 22 marzo 2001, 2112 posti.
13
Art. 22-bis della legge 24 novembre 1981 n. 689, come introdotto ex art. 98 del d.lgs.
30 dicembre 1999 n. 507).
12
38
Ma tutto ciò non implica che la figura del giudice di pace, a parte
il persistente carattere onorario della sua funzione, si sia strutturata in
senso per così dire ordinario, quale mero strumento di gestione della
fascia più bassa di controversie civili. La matrice culturale dell’istituto è rimasta quella elaborata durante il dibattito degli anni ’70, influenzata dall’esperienza del conciliatore ma suggestionata anche
dalle esperienze dei Paesi anglosassoni. E’ una concezione del giudice
come magistrato di prossimità, legata all’idea di una composizione dei
conflitti favorita attraverso un contenuto utilizzo della tecnica giuridica, se non mediante il ricorso all’equità, secondo criteri di minor lacerazione dei rapporti tra i cittadini, attuati da persone munite di saggezza e di una autorevolezza loro riconosciuta da una comunità territorialmente circoscritta, e dal forte legame coi suoi giudici di pace.
Pur non dovendosi semplificare un fenomeno storicamente complesso, si può dire che tra le ragioni del ritardo di quasi un decennio
nella istituzione della giudicatura penale di pace si annovera anche la
tensione tra le caratteristiche per così dire genetiche del giudice onorario e principi strutturali del diritto penale e processuale (regolazione tecnica del processo in funzione di garanzia, carattere indisponibile dei beni coinvolti nel processo, connotato di obbligatorietà dell’azione, principio di tassatività delle fattispecie e delle sanzioni). Per
altro verso una concezione solo deflattiva del riparto di competenze
tra magistratura professionale e magistratura ordinaria complicava le
opzioni legislative, determinando una sorta di concorrenza con la direttiva della depenalizzazione, poi recentemente attuata con esiti da
più parti giudicati insoddisfacenti (d. lgs. 30 dicembre 1999 n. 507).
Alla fine si è affermata comunque l’idea di un giudice di pace chiamato ad intervenire non con riguardo ad un diritto penale inutile,
quanto piuttosto su un diritto penale diverso, e per molti versi dichiaratamente sperimentale. Un diritto penale con un ruolo affatto speciale della vittima, come documentano le fattispecie sostanziali concepite per “costringere” il reo alla riparazione ed alla eliminazione
delle conseguenze del reato (art. 35, e per certi versi art. 34 del d. lgs.
28 agosto 2000 n. 274), e documentano altresì le fattispecie processuali congegnate al fine di consentire un accesso tempestivo ed immediato della stessa vittima alla sede giudiziale (artt. 21 e seguenti del
citato d. lgs. 274/2000). Nel contempo, un diritto penale della mediazione e della conciliazione, prima e preferibilmente rispetto alla comminazione della pena, come ancora una volta si evince dalle regole
processuali congegnate per favorire la riparazione o per indurre, appunto, la conciliazione (ancora art. 35 e art. 29 comma 5° del d. lgs. ci-
39
tato). Non a caso la normativa che il Governo ha adottato quando il
Parlamento ha nuovamente conferito la delega per la configurazione
di competenze penali per il giudice di pace (legge 24 novembre 1999
n. 468), e cioè il decreto legislativo che contiene tra l’altro le disposizioni appena evocate, comprende anche una sorta di norma – manifesto, di carattere enunciativo e quasi pedagogico: “nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”. Il precetto è così centrale, nell’economia della
riforma, che la parte processuale della disciplina contiene una novità
metodologica finora sperimentata solo nel processo minorile, e cioè la
possibilità del ricorso a tecnici di strutture pubbliche o private presenti sul territorio per gestire il processo di mediazione tra le parti
(art. 29 comma 4° del d. lgs. cit.). Non a caso il Consiglio superiore, nel
riprendere indicazioni della stessa normazione primaria (comma 4
dell’art. 4-bis della l. 374/91), ha stabilito che i programmi di formazione per i giudici di pace comprendano anche l’approfondimento di
tecniche e conoscenze finalizzate all’obiettivo della conciliazione tra le
parti (circ. 19-24 luglio 2000. Cfr. anche infra, 3i).
L’ambizione del progetto culturale e sperimentale che sottende
alla legislazione in discorso ha comportato, per altro, la strutturazione di un corpo normativo complesso, che per molti versi non sostituisce ma integra il corpo codicistico e la legislazione penale speciale, implicando necessità di formazione molto complesse (con tutto ciò che
ne consegue in termini di risorse investite al proposito), e in certo
senso contraddicendo l’ambizione ad un giudice poco tecnico e molto
pragmatico, un giudice “di vicinanza” esperto più nella conciliazione
che nella tecnica di ricostruzione ed applicazione delle fattispecie.
Non a caso proprio la legge espressiva della delega in punto di competenza penale ha anche completamente modificato i criteri di accesso alla funzione, introducendo una vera e propria rivoluzione in ciò
che potrebbe definirsi la morfologia del giudice di pace.
Il fenomeno merita particolare attenzione, anche dall’osservatorio
dell’attività formativa, per varie ragioni. Anzitutto è chiaro che le caratteristiche effettive del giudice di pace devono orientare nella progettazione del suo percorso formativo, tanto nella fase del tirocinio
che in sede di formazione permanente. D’altra parte l’impetuosa dilatazione di ruolo della magistratura onoraria nell’economia generale
della attività di giurisdizione, dal punto di vista delle proporzioni tra
organico professionale e giudici di pace, e dal punto di vista della
quantità degli affari che l’ordinamento distribuisce tra le due componenti, implica ricadute certe, anche se non facilmente stimabili nella
40
loro effettiva portata, sull’evoluzione culturale professionale dei magistrati di carriera. Oltretutto, e più banalmente, la funzione d’accusa
nella giurisdizione penale per gli appartenenti alle procure della Repubblica, il ruolo di giudici dell’appello riservato ai componenti dei
Tribunali, le disposizioni sulla applicabilità di molti istituti speciali
anche nell’ambito di giudizi celebrati per ragioni di connessione da
magistrati professionali, comportano immediate necessità formative
nel settore penale anche per i giudici ordinari.
Si pensi allora, su queste premesse, alle caratteristiche iniziali del
giudice di pace italiano. Si trattava di un laureato in giurisprudenza
disponibile ad una esperienza non molto significativa nel tempo, visto
che l’eventuale designazione per un secondo quadriennio equivaleva
in tutto e per tutto ad una nuova designazione (in concorrenza con
nuovi aspiranti), molto legato al territorio in cui amministrava la sua
funzione (il reclutamento interveniva su base esclusivamente distrettuale), non necessariamente munito di esperienza giudiziaria. Era
quest’ultima la sua caratteristica più vistosa (poteva trattarsi di professori di scuola media superiore, di dirigenti di amministrazioni diverse da quella giudiziaria, ecc.), perchè il sistema accettava la sua
esperienza di vita quale percorso formativo sostanzialmente equivalente all’esercizio di funzioni in qualche modo connesse al mondo giudiziario.
Il quadro si è di fatto ribaltato, per ognuno dei profili indicati,
con le modifiche che la legge 468/99 ha introdotto nelle norme di riferimento della legislazione istitutiva (la già citata legge 374/91). Le
esperienze formative abilitanti all’accesso nella magistratura di
pace sono complessivamente molto più specifiche, richiedendosi almeno l’intervenuta abilitazione all’esercizio della professione forense od in alternativa l’esercizio pregresso di funzioni giudiziarie qualificanti (con la sola parziale eccezione dei titolari di cattedre universitarie in materie giuridiche). E non basta, perchè lo stesso meccanismo del reclutamento –fondato sulla istituzione di un corsoconcorso che semplicemente consente l’ingresso in una graduatoria
di idoneità – condurrà alla selezione in via esclusiva di persone che
abbiano superato con successo un semestre di tirocinio pratico,
esercitato senza funzioni ed in via continuativa. Per inciso, il meccanismo in questione è posto alla base, per evidenti ragioni di economia, del tendenziale superamento del criterio di territorialità, essendo previsto che gli idonei non chiamati alla funzione nel distretto di riferimento possano essere direttamente designati quali giudici di pace in altri distretti, il che può rappresentare in embrione una
41
dilatazione verso la scala nazionale dell’intera attività di reclutamento. Anche la nuova disciplina in materia di durata della funzione orienta la giudicatura di pace verso connotati di franca professionalità: il criterio di tendenziale equiparazione della conferma
alla prima nomina è stato ribaltato, attraverso la creazione d’un
passaggio di semplice verifica della persistente idoneità alla funzione, con conseguente prelazione dei giudici in servizio riguardo alla
vacanza pubblicata per la scadenza del loro primo quadriennio. In
altre parole i giudici in servizio non partecipano alla procedura prevista per il reclutamento, ed i posti vacanti devono essere destinati
a loro prima che a nuovi aspiranti eventualmente più titolati.
Insomma, il “mestiere” del giudice di pace sarà esercitato normalmente per otto anni (anche più, con una interruzione dopo i
primi due quadrienni), ed anzi per i magistrati reclutati nel 1995
la legge ha già previsto la possibilità di un terzo ciclo, della durata di un biennio, che porterà a ben dieci anni (col fine evidente di
non disperdere lo sforzo formativo in vista delle funzioni penali)
la loro esperienza. Nel contempo l’organizzazione degli uffici diviene più complessa, con una ristrutturazione dei compiti dei
coordinatori, una maggiore complessità delle disposizioni tabellari, un rapporto del giudice con la struttura ed il suo funzionamento complessivo più assimilabile a quello che ormai caratterizza gli
uffici ordinari. Un segnale molto suggestivo di tutti i fenomeni
evocati è dato dalla recentissima ristrutturazione dei compensi
dovuti al giudice di pace, che per la prima volta percepisce una
“indennità” (di valore contenuto ma non simbolico) che si collega
ai compiti generali di istituto, e non alla attività tenuta in un singolo procedimento.
Tutto ciò rende evidente che la magistratura onoraria non può più
essere considerata, dal punto di vista istituzionale ed ordinamentale,
un fenomeno secondario, una appendice della giurisdizione di scarso
significato qualitativo, ininfluente quando si tratti di conformare le regole per l’esercizio dell’autogoverno (almeno un cenno deve farsi qui
alla riforma dei Consigli giudiziari, la cui composizione si specializza
proprio per la gestione della giudicatura di pace), quando si tratti di
programmare il funzionamento degli uffici, quando occorra riflettere
–ed è quanto specificamente interessa in questa sede- sia sulle inopinate necessità di formazione che l’ordinamento genera per una parte
significativa del proprio apparato giurisdizionale, sia sull’incidenza
che queste necessità eserciteranno quanto all’evoluzione generale dell’azione formativa.
42
1.H. Le modifiche della formazione preliminare.
L’esame dei problemi della formazione iniziale consente un collegamento anche con le caratteristiche del percorso formativo per l’accesso alla professione di magistrato e alle altre professioni forensi.
Le modifiche introdotte alla disciplina del concorso per uditore
giudiziario, con l’introduzione della scuole di specializzazione per le
professioni legali, secondo il disposto dei commi 113 e 114 dell’art. 17
della l. 15 maggio 1997, n. 127, investono due campi distinti. Il il
primo è costituito da una serie di norme intese a razionalizzare ed accelerare la procedura concorsuale, mentre il secondo introduce una
radicale modifica dei requisiti per l’ammissione al concorso in magistratura.
Per motivi di precedenza logica occorre partire da quest’ultimo
punto. Va subito precisato che nell’impianto normativo della legge la
nozione di “scuola di specializzazione” chiaramente non è assunta nel
significato, impiegato ad esempio per le scuole successive alla laurea
in medicina, di corso postuniversitario volto all’approfondimento
scientifico di un singolo settore. Si tratta piuttosto di scuole destinate
a completare la preparazione universitaria in funzione esclusiva degli
sbocchi professionali della magistratura, della avvocatura e del notariato.
I commi 113 e 114 non erano contenuti nel disegno di legge originario e sono stati inseriti a seguito di un emendamento presentato alla
Camera dei deputati ed accolto dal Governo, che vi ha posto anche la
questione di fiducia. Le ragioni che hanno portato alla loro introduzione ed approvazione vanno certamente ricercate nel vivo dibattito
che, muovendo da alcune considerazioni unanimemente condivise
circa l’insufficienza del sistema selettivo attuale per l’accesso alla magistratura, ha portato alla formulazione di proposte concrete e suggerimenti sul tema della formazione degli aspiranti magistrati. Il richiamo a tale scambio di idee e proposte, che ha visto la partecipazione
dello stesso C.S.M., di alcuni dei suoi componenti, di magistrati, professori universitari, avvocati e studiosi del diritto, rende almeno in
parte ragione della circostanza che la istituzione delle Scuole di specializzazione post-universitaria sia stata prevista nel testo normativo
sopra indicato e, in particolare, nell’ambito delle disposizioni mirate a
semplificare le modalità di svolgimento del concorso per uditore giudiziario, configurando le future Scuole di specializzazione come strumento preselettivo per gli aspiranti magistrati.
Per tale motivo è utile ripercorrere, sia pure per linee generali, la
43
riflessione culminata con la riforma del sistema precedente. Uno dei
principali limiti di efficienza del sistema stesso era stato individuato
nella inidoneità della preparazione universitaria di base con riguardo
alla specifica finalità del reclutamento. Ma naturalmente erano stati
focalizzati anche profili quali il nunmero eccessivo di partecipanti al
concorso, la farraginosità e complessità dei lavori della Commissione
esaminatrice, nella impreparazione dimostrata (appunto) da un’ampia
porzione degli aspiranti. A fronte di tale situazione, che dilata i tempi
di attuazione della procedura concorsuale dando luogo ad un grave
scollamento temporale tra l’individuazione dei posti vacanti e la loro
copertura e non sembra garantire appieno la congruenza dei risultati,
sono state profilate due possibili opzioni di fondo, tra loro in alternativa, l’una risalente al modello francese e l’altra a quello tedesco. La
prima è fondata sull’idea di una formazione post-universitaria finalizzata specificamente alla preparazione dell’attività del magistrato, e
prevede pertanto una scuola di formazione – in Francia l’Ecole nationale de la magistrature - che conforma le proprie caratteristiche in
tema di accesso e di programmi all’esercizio futuro delle funzioni giurisdizionali. La seconda è incentrata, invece, sul progetto di creare una
specializzazione allargata e non orientata esclusivamente all’esercizio
della professione del magistrato, quindi comune agli operatori di giustizia, magistrati, avvocati e notai.
Per quanto il modello francese sia stato utilizzato in Italia per la
formazione dei dirigenti pubblici, attraverso l’istituzione della Scuola
superiore della Pubblica Amministrazione, la scelta del legislatore del
1997 è caduta inequivocabilmente sul modello tedesco, prevedendosi
una formazione post-universitaria comune ed omogenea per le diverse professioni legali. Tale scelta di fondo ha comportato due importanti corollari: il primo consiste nella netta collocazione del periodo di
formazione post-universitario in una fase extraconcorsuale, quale antecedente esterno allo svolgimento della procedura concorsuale in
senso proprio; il secondo è relativo alla individuazione del soggetto cui
demandare in concreto l’organizzazione e la gestione delle Scuole, indicato nelle Università, sedi delle facoltà di giurisprudenza, quali depositarie per così dire naturali della formazione scientifica.
La soluzione accolta ha ricevuto un pressoché unanime consenso,
sembrando ai più che l’ulteriore specializzazione orientata verso una
determinata professione ben potesse maturare in un periodo successivo, e che costituisse un valore, in un periodo di contrasti e contrapposizioni, una formazione comune tra i diversi operatori del diritto. L’innovazione legislativa, valorizzando il ruolo e l’autonomia delle Uni-
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versità, costituisce una significativa e positiva evoluzione rispetto ai
lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, che
nel licenziare, nel novembre del 1997, le proprie proposte di revisione
costituzionale, aveva inserito (nell’art.128 della nuova Costituzione),
tra le competenze del Ministro della giustizia, quella di promuovere
“la comune formazione propedeutica all’esercizio delle professioni giudiziarie e forensi”.
Nel comma 114, viene precisato, nella prima parte, che il diploma
di specializzazione costituisce titolo valutabile ai fini del compimento
della pratica legale richiesta per l’accesso alla professione di avvocato
e di notaio, demandando ad un decreto interministeriale del Ministro
della Giustizia e di quello della Università e Ricerca scientifica e tecnologica l’indicazione delle condizioni necessarie a tal fine. Nella seconda parte la legge, invece, delega ad un decreto interministeriale
nella composizione sopra indicata la definizione dei criteri per la istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione, precisando
che a tal fine vadano sentiti i competenti ordini professionali.
Sembra opportuno sottolineare, in primo luogo, che la valenza del
diploma di specializzazione ai fini del compimento della pratica legale richiesta per l’esame di abilitazione alla avvocatura non rappresenta affatto una novità, risultando essa già prevista, sia pure senza carattere di generalità14. In secondo luogo meritano rilievo le critiche sollevate da più parti circa la soluzione di compromesso adottata dalla
legge a proposito della rilevanza del diploma di specializzazione per
l’esercizio delle professioni legali libere, essendosi, invece, rappresentata l’opportunità che il diploma stesso costituisse la condizione necessaria ma non sufficiente per l’accesso a dette professioni (in modo
non dissimile da quanto previsto dal comma 113 per l’ammissione al
concorso per la magistratura ordinaria).
Con riferimento invece al decreto interministeriale relativo alla
istituzione ed organizzazione della Scuola, il comma 114 indica,
come si è visto, tra i soggetti che debbono essere consultati ai fini
della sua redazione ed approvazione i soli ordini professionali competenti. Tale disposizione va però integrata alla luce del D.Lgs. 17 novembre 1997 n.398, emanato in attuazione della delega contenuta
nel comma 113, che nell’art.16, comma 8, dispone che il predetto de-
14
Può citarsi al riguardo l’Istituto forense “E. Redenti“, istituito con r.d. 13. 10. 1927 e
riconosciuto con d.m. 7. 2. 1998, che nel suo statuto conferisce alla frequenza con profitto,
debitamente certificata, il valore di un anno di pratica forense.
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creto sia emanato “sentito il Consiglio superiore della magistratura“.
La legge, facendo anzitutto richiamo all’autonomia didattica degli
istituti universitari riconosciuta dall’art. 17 comma 95 della L. 15 maggio 1997 n. 127, al terzo comma dell’art. 16 precisava che le scuole sono
istituite presso le Università, anche sulla base di accordi e convenzioni
tra le stesse. La ratio era ed è quella di avviare, sulla base di modelli didattici omogenei, la formazione comune dei laureati in giurisprudenza
mediante l’approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche,
finalizzato all’assunzione dell’impiego di magistrato ordinario ovvero all’esercizio delle professioni di avvocato o notaio (art. 16 cit. 2 comma),
formazione resa possibile dalla previsione del numero chiuso dei laureati da ammettere alle Scuole e, di conseguenza, ai concorsi.
Le esigenze sopra evidenziate, in verità, erano già state in parte
rilevate e poste dal Cosnsiglio superiore a fondamento di diverse iniziative nell’ultimo decennio15. In questo contesto si colloca la delibe-
15
Una delle prime risoluzioni sul punto è rinvenibile nella Relazione annuale sullo stato
della giustizia per l’anno 1991 che, dopo aver ricordato un progetto del 1970 che contemplava
modifiche al sistema di ingresso nella magistratura, comprendenti, tra l’altro, l’istituzione di
un Centro nazionale di studi giuridici presso il Ministero di Grazia e Giustizia, rappresentava
a chiare lettere la necessità di una Scuola della Magistratura, con compiti, tra gli altri, di intervenire come strumento di selezione degli aspiranti magistrati e quindi con funzioni formative nella stessa fase di accesso alla magistratura (pagg.64, 106 e seguenti, 131 e seguente). Occorre dire che le linee argomentative e propositive ivi tracciate risentivano in misura significativa dei risultati della c.d. Commissione ministeriale Mirabelli, istituita con d.m. 19.5.1982,
che conteneva la proposta di una riforma organica dell’ordinamento giudiziario. Nella relazione conclusiva la Commissione optava sul tema, proponendo l’istituzione di una Scuola della
magistratura cui si accedesse per concorso e destinata quindi a formare i futuri magistrati
(pagg. 55 e segg.). Negli anni successivi è prevalsa tuttavia la convinzione della necessità di divaricare le strade dell’attività di formazione, distinguendo quella rivolta al momento preconcorsuale da quella destinata invece ai magistrati in servizio, distinguendo nell’ambito di quest’ultima la formazione rivolta agli uditori e quella c.d. permanente. Nella Relazione annuale
sullo stato della giustizia per l’anno 1994, dedicata al reclutamento e formazione professionale dei magistrati e più volte citata, tale dicotomia appare lucidamente esposta, sottolineandosi la necessità ineliminabile che le iniziative riguardanti la formazione preconcorsuale abbiano la loro fonte in norme di legge. Si sottolinea inoltre l’esigenza culturale che la preparazione preconcorsuale rimanga sottratta alle competenze della Scuola della magistratura e quindi
del C.S.M. per venire affidata alle Università. Ciò precisato è importante notare che nella citata Relazione si rinvengono idee e proposte analoghe, se non identiche, a quelle che poi hanno
trovato corpo nella L. n.127 del 1997. La Relazione, in particolare, proponeva l’istituzione di
un corso di specializzazione post-universitario, in analogia a quelli previsti dall’art.4 della
L.341 del 1990, per l’esercizio della professione di magistrato, il cui diploma avrebbe poi costituito titolo per l’accesso alla magistratura, suggerendo, come la soluzione migliore, quella di
unificare tale corso per le professioni di magistrato e di avvocato. Viene inoltre espressa la necessità che esso non si risolva in una preparazione di natura accademica, sia pure elevata, ma
si rivolga al ragionamento giuridico concreto, vale a dire alla pratica del giudizio, prevedendo
uno studio approfondito del “diritto vivente” e la stesura di atti giudiziari.
46
ra del 9 gennaio 1997, che, muovendo dalla constatata insufficienza
del sistema concorsuale allora vigente per l’accesso alla magistratura,
ha affrontato con compiutezza e lucidità la tematica di fondo relativa alla formazione preconcorsuale. L’obiettivo conclamato è stato
quello di lavorare alla realizzazione di uno strumento di formazione
comune dei giovani aspiranti alle professioni legali, non limitate a
quella di magistrato o di avvocato, ma estesa anche all’avvocatura
dello Stato ed alle magistrature amministrative e, inoltre, alle stesse
carriere amministrative di alta specializzazione, al fine di promuovere una cultura della giurisdizione fondata su valori e principi omogenei e condivisi. Ciò posto, la scelta di fondo sintetizzabile nella alternativa tra il modello francese e quello tedesco, è stata chiaramente risolta in favore di quest’ultimo, in grado di meglio perseguire l’obiettivo sopraindicato e più aderente dell’altro al principio costituzionale
di nomina dei magistrati per concorso, atteso che la devoluzione alla
Scuola della magistratura dei compiti di formazione in tale settore
sposterebbe la fase selettiva dei candidati dal momento concorsuale
a quello dei risultati della partecipazione alla scuola. Per contro è
stata ribadita l’idea che questa deve svolgere compiti di formazione
per i soli magistrati in servizio.
In data 9 ottobre 1997 e 25 giugno 1998 il Consiglio superiore
adottava poi due delibere, con cui esprimeva i pareri rispettivamente sullo schema del decreto legislativo predisposto in attuazione della delega contenuta nel comma 113 dell’art. 17 legge
15.5.1997 n. 127, e sullo schema del decreto interministeriale contemplato dal successivo comma 114, seconda parte. Nelle citate
delibere il C.S.M. ha sottolineato che la riforma presenta caratteri
di più radicale novità, e viene posto l’accento sui benefici effetti
della riforma in tema di gestione dei concorsi per uditore giudiziario.
E’ un dato incontestabile che la istituzione delle scuole post lauream condizionerà in maniera pressochè assoluta, una volta che la
riforma sarà entrata a regime, la stessa possibilità di accesso alla
prova concorsuale. Per partecipare al concorso per uditore giudiziario la strada primaria sarà quella del conseguimento di un diploma
di specializzazione a seguito del corso post-universitario biennale. In
tal modo, come si anticipava, dovrbbero essere assicurate due esigenze:
1) Elevazione degli standards di preparazione culturale, che sono
collegati all’obiettivo di una più elevata professionalità dei magistrati in generale, e determinano il miglior controllo in ordine alla sus-
47
sistenza, per ciascuno di essi, della preparazione più adeguata per
l’esercizio delle funzioni giudiziarie. La scelta operata dal legislatore
è quella di non fare esclusivamente riferimento alla formazione interna al corpo giudiziario, cui il C.S.M. dedica la sua attenzione, ed
agli strumenti di selezione negativa fondati sulla valutazione progressiva della professionalità, ma di perseguire i medesimi obiettivi
nahc emediante leve di selezione che assicurino l’ingresso in magistratura a persone che già posseggano alti livelli di preparazione culturale.
Lo scopo del corso di formazione biennale dovrebbe pertanto essere specificamente mirato ad impartire una preparazione di livello
superiore, e non ad insegnare le tecniche migliori per il superamento
del concorso.
2) Con l’istituzione delle scuole forensi si è creato un filtro per la
razionalizzazione del numero dei partecipanti al concorso, in modo da
far diminuire il rischio del verificarsi di fenomeni di “saturazione” con
possibili atteggiamenti mentali di frettolosità e disattenzione nei componenti della commissione esaminatrice.
3) La previsione di un biennio di formazione superiore comune ad
aspiranti magistrati e avvocati dovrebbe presentare tra i vari vantaggi
anche quello della formazione comune. Il raggiungimento di tale
obiettivo, peraltro, rischia di rimanere una mera dichiarazione d’intenti in considerazione della mancata modifica delle condizioni d’accesso alla professione di avvocato, che anzi, secondo alcune recentissime iniziative, per evitare le disparità di trattamento operate nei vari
distretti tra i concorrenti all’esame di avvocato, tenderebbe ad escludere completamente la necessità di un concorso per l’abilitazione all’esercizio della professione forense.
Deve essere data una valutazione positiva della configurazione del
diploma di specializzazione come titolo di studio universitario e requisito di ammissione al concorso, e non come segmento della procedura concorsuale. Ciò avrebbe comportato una competenza del C.S.M.
ex art. 105 Cost. , che verosimilmente non avrebbe potuto essere gestita e avrebbe poi precluso l’utilizzazione della scuola biennale anche
quale fase necessaria del percorso verso la professione forense. La previsione del diploma biennale non sembra in contrasto con l’art. 106
Cost. E quindi appare contro ogni ipotesi di discriminazione nella
scelta delle persone cui è consentito l’accesso in magistratura. Si pone
naturalmente un problema di uguaglianza sostanziale, ad esempio per
l’eliminazione delle disparità economiche tra gli eventuali aspiranti all’ammissione. Occorre su questo versante dare risalto concreto al di-
48
ritto allo studio consacrato dall’art. 34 Cost., attraverso la previsione
di un numero adeguato di borse di studio.
Un altro nodo rilevante del sistema è quello della previsione di una
forma di programmazione degli accessi alle scuole di specializzazione.
Si tratterà di verificare se un’eventuale numero programmato costituisca o meno una prima selezione positiva di coloro che sono destinati a diventare magistrati. In caso affermativo si verrebbe ad eludere
la disposizione costituzionale contenuta nell’art. 106 e l’attribuzione al
Consiglio della competenza in merito alla procedura concorsuale, trasferendo in capo alle Università non un potere di preparazione culturale, ma un potere di selezione, che non deve esercitato fuori della
sede concorsuale e senza che corrispondenti garanzie. Peraltro se si
interpreta l’art. 17 del d.lgs. 17 novembre 1997 n. 398, concernente le
norme transitorie e finali della nuova disciplina concorsuale, in modo
tale da ritenere che permanga, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero degli interessati, la previsione di quote da ammettere alla prove per il concorso da uditore con preselezione informatica, la regola ordinaria diverrebbe quella di una duplice possibilità
di accesso al concorso per uditore giudiziario, e verrebbero eliminati i
dubbi di costituzionalità del complesso di queste disposizioni. Il
C.S.M., nel parere espresso in data 18 novembre 1999 sullo schema di
regolamento interministeriale concernente la “Istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali”, si è
espreso a favore di quest’ultima interpretazione.
Deve aggiungersi che problemi di garanzia si pongono non solo
con riferimento all’accesso alle scuole, ma anche con riguardo alle
prove finali per il conseguimento del diploma, in quanto il grado di
selettività dovrà essere determinato sulla base delle esigenze culturali ( e quindi in modo aperto), e non parametrandolo sul numero
dei posti da ricoprire in magistratura, pena il rischio di trasformare nuovamente il biennio in un segmento della procedura concorsuale.
Notevole attenzione richiederanno poi la definizione dei criteri
per garantire la parità di trattamento tra le varie scuole per quanto riguarda la “valutazione della prova d’esame”, per l’accesso, le verifiche
intermedie e per il conseguimento del diploma, non potendo essere
sufficiente l’uniformità delle prove di accesso e finali su tutto il territorio nazionale.
Da parte sua il C.S.M ha provveduto a configurare il procedimento attraverso il quale saranno individuati i magistrati che faranno parte del Consiglio direttivo delle scuole, si occuperanno
49
della formazione dei discenti e faranno parte delle prove d’esame16. Occorre regolare i modi di una partecipazione prevista dalla
legge, culturalmente importante, e che però non ha un iter già regolato dalle disposizioni consiliari. Sarebbe opportuno che dopo
una prima applicazione in via d’urgenza, si prenda in considerazione, in sede di predisposizione di una compiuta disciplina procedimentale, il coinvolgimento dei Consigli giudiziari. Questo auspicio muove dalle riflessioni che il Consiglio superiore ha condotto nella risoluzione del 20 ottobre 1999 in tema di decentramento e di Consigli giudiziari, senza privilegiare a tempo indeterminato un modello accentrato di selezione dei magistrati da sottoporre alle scelte delle Università degli Studi per la formazione
dei consigli direttivi delle Scuole, come è avvenuto in sede di
prima applicazione.
1.I. Le nuove modalità di accesso alla funzione giudiziaria.
Come già si è avuto modo di accennare, il profilo professionale
del magistrato ordinario non può essere studiato, a qualunque fine
(ed a maggior ragione nel progetto dell’attività formativa) senza uno
sguardo alla preparazione preliminare che viene somministrata in favore di coloro che accedono al corpo giudiziario, e senza al tema
strettamente connesso della metodica di selezione dei magistrati
(anche considerando come per lungo tempo il meccanismo della selezione abbia rappresentato anche lo stimolo e la sede dell’unica
forma di preparazione post-universitaria, e cioè dello studio finalizzato al superamento delle prove). Molte sono le novità anche con riguardo ai meccenismi concorsuali, e comunque di selezione per l’accesso alla funzione giudiziaria.
1.I.1. La magistratura togata.
Nella XIII legislatura è stata varata una serie di provvedimenti
normativi che ha progressivamente e radicalmente modificato le modalità di accesso alla magistratura sia togata che onoraria. Alcuni di
16
Già nel parere espresso dal C.S.M. sul regolamento ministeriale, al di là del favore
per il modello di formazione pluralistica delle Scuole, si erano individuati alcuni momenti
problematici relativi alla partecipazione dei magistrati.
50
tali interventi, i più remoti, hanno inciso sulle modalità procedimentali e sulla strutturazione delle prove del concorso per uditore giudiziario , ferma restando comunque la sua caratterizzazione quale concorso di primo grado, utile per l’accesso alla qualifica iniziale di appartenenenza alla magistratura togata. Costituisce in tal senso una eccezione la L. 5 agosto 1998 n.303, con cui veniva data attuazione alla
disposizione costituzionale contenuta nell’art.106 Cost. (in merito v.
delibera C.S.M. pr.P-99-03499 del 18.2.1999). Ma per il resto l’accesso
alla magistratura professionale era caratterizzato, sino alla L 13 febbraio 2001 n.48, dall’irrilevanza di una precedente qualificazione professionale dell’aspirante, e dalla sufficienza tra i requisiti legittimanti
della sola formazione universitaria, rinviandosi una specifica preparazione al periodo del tirocinio professionale svolto durante l’uditorato.
Il legislatore ha operato su due fronti, da un lato ridisegnando i requisiti e le modalità di accesso alla magistratura , dall’altro fronteggiando, nel mentre la riforma iniziata veniva portata a termine, quelle difficoltà operative di gestione del concorso connesse al sempre
maggior numero di concorrenti , che incidevano negativamente sul
pronto espletamento delle procedure.
Così, con la L. 15 maggio 1997 n.127 (art. 17 c. 113), veniva data
delega al Governo per emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, sulla base di una serie di principi tra cui , quale condizione per
l’ammissione stessa al concorso, l’obbligo di conseguire il già noto diploma biennale di specializzazione forense. E’ interessante notare,
perché non senza riflessi sulla durata della scuola di specializzazione,
come disciplinata dalla L 48/2001, che con la L. 127/97 veniva avviata
anche la riforma dei cicli di studio, che ha portato a ridisegnare nel cosiddetto meccanismo del 3+2 la durata legale degli studi universitari.
In attuazione della delega veniva assunto il d.lgs. 17 novembre 1997
n.398 che modificava la struttura delle prove del concorso e delineava al
Scuola di Specializzazione per le professioni legali. Successivamente
era adottato il D.M. 21 dicembre 1999 n.537, contenete il regolamento
recante norme per l’istituzione e l’organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali. Attualmente le Scuole non sono ancora operative , ma è in corso il procedimento per la loro costituzione17.
17
Il d. lgs. 17 novembre 1997 n. 398 comprende tra gli altri gli artt. 1, 2, 6 e 17 i quali,
modificando rispettivamente gli artt. 123 e 124 R.D. 30.1.1941 n. 12, disciplinano i sistemi
di accesso al concorso in magistratura tanto nel periodo di transizione che successivamente. L’art. 1, 2° comma, lett. A) prevede un duplice sistema di accesso al concorso di uditore
51
Si è inteso in tal modo modificare i requisiti per l’acceso al concorso per uditore giudiziario, che come in precedenza e fino all’operativa funzionalità delle Scuole, richiederà, formalmente il conseguimento della sola laurea in giurisprudenza, anche se nei fatti , si palesa per i candidati, la necessità di un ulteriore periodo di studi post universitario. Alla luce delle modifiche introdotte dal d.lsg.398/97, se
da un lato quale requisito (a regime) per l’ammissione al concorso si
individuava il diploma di specializzazione, dall’altro, con effetti immediati, si introduceva tra le prove concorsuali la prova preliminare
diretta ad accertare il possesso di requisiti culturali, realizzata con
l’ausilio di sistemi informatizzati.
La prova preliminare informatica, come strutturata inizialmente
dal legislatore, ha dato luogo in relazione al concorso bandito con
D.M. 12/1998 ad una serie di contenziosi tutt’ora pendenti, per cui con
D.M. 4 agosto 2000 n.261 è stato modificato il decreto 1 giugno 1998
n. 228 del Ministero di giustizia, in tema di modalità per l’espletamento della prova preliminare informatica .
Quindi, sino alla L.48/ 2001 che ha radicalmente innovato la ratio
delle modalità di accesso alla magistratura ordinaria, si era inteso promuovere una formazione post-universitaria destinata a coloro che intendevano realizzare le proprie aspirazioni professionali nella magistratura, nel notariato e nell’esercizio della professione forense, con
una graduale scomparsa della prova preliminare informatica , che invece , in attesa dell’istituzione delle Scuole , avrebbe consentito una
prima selezione dei candidati. Con la L. 48/2001 è stato invece promosso, quale requisito per l’ammissione ad uno specifico concorso di
giudiziario, uno basato sul conseguimento del diploma di specializzazione e l’altro fondato
sul superamento della prova di pre-selezione informatica. L’art. 2, 5° comma, ribadisce tale
impostazione, prevedendo alla lett. D) che sono esonerati dalla prova preliminare e ammessi alla prova scritta coloro che hanno conseguito il diploma di specializzazione per le professioni legali, benché iscritti al corso di laurea in giurisprudenza prima dell’anno accademico 1998-1999. L’art. 6 del citato D. Lgs. stabilisce i criteri di ammissione al concorso di coloro che sono in possesso del diploma di specializzazione, nonostante la rubrica possa indurre a far ritenere che gli ammessi siano unicamente i diplomati della scuola. L’art. 17
(norme transitorie e finali) prevede, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero dei candidati da ammettere con pre-selezione informatica, la contemporanea presenza “a
regime” di una duplice possibilità di accesso al concorso per uditore giudiziario. Una diversa interpretazione del complesso di queste disposizioni non potrebbe sottrarsi a gravi sospetti sul piano della legittimità costituzionale con particolare riguardo agli artt. 3, 34, 51,
106 Costituzione. Sempre l’art.6 del D.Lgs. in esame impegna poi i Ministri competenti ad
assicurare “l’uniforme distribuzione sul territorio nazionale delle scuole“ e di prevedere adeguati sostegni economici agli iscritti capaci, meritevoli e privi di mezzi.
52
accesso diretto alla magistratura ordinaria nella qualifica di magistrato di tribunale, l’esercizio pregresso della professione forense , ed è
stata abolita la prova preselettiva per il concorso per uditore giudiziario, anche nell’ipotesi residuale considerata dal’art. 124 c. 3. Ciò in
vista della piena funzionalità delle Scuole, che anche in considerazione delle disposizioni particolari che regoleranno il reclutamento
straordinario di cui all’art. 18, presumibilmente potranno essere operative per i concorsi che si svolgeranno successivamente. D’altro canto
quelle esigenze di celerità connesse all’istituzione della prova preliminare informatica, sono soddisfatte ad avviso del legislatore dalla previsione di correttori esterni.
Quindi alla qualifica di magistrato di Tribunale potranno accedere o gli uditori giudiziari con funzioni in possesso dei necessari requisiti, all’esito di valutazione operata dal C.S.M., oppure, tramite concorso, gli avvocati che abbiano cinque anni di effettivo esercizio della
professione o che abbiano esercitato funzioni giudiziarie onorarie per
almeno un quinquennio .
La diversificazione dei concorsi per l’accesso alla magistratura e la
diversità dei requisiti richiamano per alcuni versi l’esperienza francese, che prevede accanto a le recrutement direct disciplinato dall’ordonnance n. 58-1270 del 22 dicembre 1958 in cui l’accesso all’ENM avviene mediante un concorso, “étudiant”, un concorso “fonctionnaire”, un
concorso “professionnel”, un “recrutement latéral”, “définitif” o “ temporaire” .
L’accesso diretto alla qualifica di magistrato di tribunale non
esclude tuttavia la previsione di un periodo di tirocinio che, andrà
strutturato con riguardo alle iniziative formative diversamente da
quello degli uditori giudiziari .
Nuove riflessioni si rendono opportune anche in ordine alle iniziative di contenuto formativo che concorrono ad integrare il complesso delle attività in cui si articola il tirocinio degli uditori giudiziari, in considerazione delle modifiche normative che stanno interessando le modalità di accesso alla magistratura e la prevista possibilità
di una riduzione del tempo dell’uditorato da 18 mesi ad un anno bilanciata dalla correlata previsione di specifiche attività formative nei
successivi cinque anni dall’assunzione delle funzioni.
Può essere sottolineata, in questa ipotesi, l’esigenza di una progettualità di lungo periodo, di modo che la formazione iniziale strettamente collegata al tirocinio e le ulteriori iniziative formative che si dovranno programmare per il quinquennio successivo all’assunzione
delle funzioni giurisdizionali, costituiscano espressione di un percor-
53
so unitario volto a consolidare la professionalità del magistrato nella
fase iniziale della propria attività.
Sembra inoltre importante sviluppare un’analisi sul ruolo che la
magistratura potrà svolgere per contribuire al progetto formativo sotteso alla realizzazione delle Scuole di Specializzazione; in questa prospettiva, infatti, la stessa formazione iniziale, riferiebile al periodo di
tirocinio, potrà essere strutturata in modo coerente e funzionale con il
progetto culturale sotteso alla realizzazione dellle Scuole di formazione comune nel senso di favorire un incremento dei rapporti di collaborazione con altri organismi , quali i Consigli notarili e i Consigli dell’Ordine.
1.I.2. La magistratura onoraria. In particolare, i giudici di pace.
Le riforme connesse alla introduzione di una competenza penale
del giudice di pace, cui già si sono fatti ripetuti riferimenti, hanno inciso anche, ed inevitabilmente, sul “modello” della preparazione utile
all’accesso nella funzione, nonchè sul vero e proprio meccanismo di
reclutamento, che ha assunto una matrice propriamente giudiziaria.
Dal primo punto di vista le modifiche risultano nel complesso ispirate dall’intento di aumentare la professionalità specifica delle persone
selezionate (cfr. supra). Sul secondo versante, per quanto ora soprattutto interessa, si è riprodotto l’intreccio formazione-valutazione che è
tipico, appunto, del reclutamento dei magistrati professionali. Oggi la
disciplina, grazie alle modifiche introdotte mediante la l. 468/99, tende
infatti ad emulare quella del reclutamento dei magistrati ordinari, immettendo gli aspiranti in una sequenza di tirocinio, caratterizzata
dalla doppia funzione di momento formativo e di strumento per la valutazione di idoneità all’ufficio. Dette modifiche sono state attuate modificando l’art. 4 della legge istitutiva, ormai destinato a regolare solo
l’accesso alla fase di tirocinio, ed introducendo nella legge stessa l’art.
4 bis, ove trova espressione la disciplina del tirocinio e quella del procedimento destinato a culminare con la scelta e la nomina dei giudici
di pace. L’esito positivo del tirocinio è prodromico solo all’ingresso in
una graduatoria di idonei, e per tale ragione la relativa ammissione riguarda un numero di persone eventualmente superiore a quello dei
posti da assegnare. Insomma, due distinte sequenze valgono a conseguire due diversi obiettivi: l’ammissione al “corso”, e poi la soggettività
passiva di una scelta che ben può escludere una parte di coloro che il
corso stesso abbiano praticato con successo.
54
Il procedimento si avvia con una fase di pubblicazione delle vacanze18,
e prosegue con la trasmissione delle domande al Consiglio giudiziario, che
nella specie opera in composizione integrata. Fino a questo punto non
sono state introdotte significative novità, ma è profondamente innovato,
alla fine, l’oggetto della proposta che il Consiglio giudiziario è chiamato a
deliberare. Tale proposta, infatti, non riguarda la nomina dell’aspirante
quale giudice di pace, ma solo la sua ammissione al tirocinio19. Le domande e le proposte di ammissione al tirocinio devono essere trasmesse
al Consiglio Superiore della Magistratura, che provvede a deliberare l’ammissione, e come accennato il numero degli ammessi può essere superiore (ma non oltre il doppio) a quello dei giudici di pace da nominare.
Lo svolgimento del tirocinio è regolato in parte dalla legge ed in parte
dalle determinazioni assunte dal Consiglio con due circolari. Secondo la
legge esso deve svolgersi presso il tribunale nel cui ambito territoriale è
compreso l’ufficio giurisdizionale di riferimento20. La sua durata è pari a sei
mesi, durante i quali il candidato, sotto la direzione del magistrato affidatario, affianca tanto giudici designati per affari penali che magistrati impegnati nella giurisdizione civile. Può trattarsi sia di componenti professionali del Tribunale nella cui circoscrizione insiste l’ufficio del giudice di pace
prescelto dal tirocinante, sia di giudici di pace già in servizio e particolarmente esperti. Il magistrato assegnatario viene richiesto di curare che l’interessato assista a tutte le attività del suo ufficio, e partecipi alla camera di
18
L’art. 8 del d.P.R. 198/2000 ha stabilito che i presidenti delle Corti di appello promuovano il procedimento con un anno di anticipo sulle vacanze programmate per scadenza del termine dell’incarico, confermando che per le altre gli adempimenti devono essere
compiuti “immediatamente”. Il raddoppio del tempo di anticipazione rispetto alla lettera invariata della norma di legge è considerato ammissibile da E. Sacchettini, Tirocinio: la “roulette” dei criteri di selezione, in Guida dir. 2000, 29, 25.
19
La legge non detta criteri analitici per la valutazione comparativa tra i richiedenti. La lacuna è stata colmata a livello regolamentare (art. 12 del d.P.R. 10 giugno 2000 n. 198), con la
previsione di titoli che rappresentano, con importanza progressivamente subordinata, criterio
di preferenza per la collocazione nella graduatoria per l’ammissione. Va premesso in via generale che, non risultando in ipotesi dirimente tra due o più posizioni il quadro dei fattori preferenziali in concreto ricorrenti (avuto riguardo anche alla durata delle esperienze che concretano il titolo preferenziale), la posizione privilegiata deve essere attribuita all’aspirante più giovane d’età (comma 3). Il primo titolo di preferenza è rappresentato dall’avere già svolto “positivamente”, per almeno un biennio, le funzioni di giudice di pace. Di seguito rilevano l’esercizio di
altre funzioni giudiziarie, anche onorarie, per un periodo di almeno due anni, l’esercizio almeno biennale della professione forense, l’esercizio di funzioni notarili, l’insegnamento di materie
giuridiche nelle università e, infine, l’esercizio di funzioni direttive nell’amministrazione giudiziaria (comma 1 in relazione al comma 3 dell’art. 13 dello stesso d.P.R. 198/2000).
20
Il Consiglio Superiore della Magistratura ha ribadito (punto 2 del par. II della circ.
19-24 luglio 2000) come la pratica debba essere svolta “presso gli uffici del Tribunale nel cui
circondario è compreso l’ufficio di destinazione”.
55
consiglio, provvedendo inoltre a redigere la minuta di parte almeno dei
provvedimenti deliberati. Si tratta insomma dell’addestramento alla gestione dell’udienza, alla valutazione della prova, alla redazione dei provvedimenti conclusivi del procedimento celebrato. Con la circolare 18 gennaio
2001 n. 1207, che pure è specificamente destinata a regolare il tirocinio
“speciale” per i giudici di pace già in servizio, il Consiglio ha fornito alcune
indicazioni che probabilmente assumeranno valore più generale. Nel ribadire infatti quasi testualmente il precetto normativo sull’oggetto della pratica giudiziaria (punto 1 del par. III), si è precisato come debbano comunque
essere privilegiati istituti comuni all’attività tipica del giudice di pace, e dunque essere escluse materie e procedimenti alla stessa estranei. Si è stabilito,
inoltre, che i magistrati assegnatari formalizzino una propria relazione sull’andamento del tirocinio, che ben potrà contenere valutazioni dirette sull’idoneità alle funzioni del candidato all’ufficio (par. X, che riprende spunti
espressi nella precedente circ. 19-24 luglio 2000, punto 5 del par. II)21.
Il piano del tirocinio è sostanzialmente predisposto dal magistrato affidatario, e viene sottoposto al Consiglio giudiziario per la sua
funzione di organizzazione e coordinamento della relativa attività
(punto 3 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000)22. La normazione secondaria ha introdotto anche le premesse per una embrionale distinzione tra tirocinio “ordinario” e tirocinio “mirato”, tipica del percorso
formativo degli uditori giudiziari. E’ prevista inoltre la partecipazione
a corsi teorico pratici, sui quali si avrà modo di tornare (cfr. par. 3.I).
In piena congruenza con la pertinenza essenziale dei corsi all’attività
di tirocinio, la assiduità e la qualità della partecipazione del tirocinante divengono elementi formali per la valutazione finale di idoneità
alle funzioni (punti 5 e 8 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000)23.
Nella pratica, seguendo e sviluppando una ratio di documentazione del percorso formativo per una più verificabile e seria attività di valutazione del candidato, è stato spesso ed
anche istituito un quaderno del tirocinio, che per gli uditori giudiziari è prescritto all’art. 6
del d.P.R. 17 luglio 1998.
22
Per il tirocinio penale dei giudici di pace già in servizio la circ. 18 gennaio 2001 n.
1207 prevede espressamente l’approvazione del piano da parte del Consiglio giudiziario
(punto 4 del par. IX).
23
Indicazioni ancora più dettagliate sono contenute nella circolare, ormai più volte citata, che regola la materia per il tirocinio della prima generazione di giudici di pace penali
(18 gennaio 2001), ed anche in questo caso è prevedibile una generalizzazione dei precetti.
In sintesi, si specifica che i corsi andranno frazionati, nelle grandi sedi, in modo da garantire un rapporto tendenziale di due relatori per ogni gruppo di 35 tirocinanti (punto 3 del
par. V). Si prescrive inoltre un taglio eminentemente pratico dei contributi, “auspicabilmente attraverso la simulazione di processi nonché l’esame di casi di scuola e l’elaborazione di schemi dei provvedimenti (punto 4 del par. V).
21
56
Come più volte rilevato, il tirocinio dell’aspirante giudice di pace
presenta la doppia funzione di prepararlo all’esercizio della giurisdizione e di consentire una documentata valutazione di idoneità, che costituisce il presupposto necessario, ma non sufficiente, per la nomina
dell’interessato. La legge (commi 6 e 7 dell’art. 4-bis) traccia i profili
essenziali del procedimento. Il magistrato affidatario, il quale come si
è visto si serve anche di relazioni e materiali provenienti dai magistrati
assegnatari, redige una relazione sull’andamento del tirocinio pratico24. Dal canto proprio il Consiglio giudiziario, in composizione integrata, affianca alla relazione i dati concernenti la partecipazione ai
corsi, e formula un giudizio di idoneità per ogni singolo aspirante. Lo
stesso Consiglio, infine, delinea una proposta di graduatoria fra tutti
coloro per i quali sia stata positivamente conclusa la valutazione di
idoneità.
Entrambi gli aspetti del procedimento sono stati integrati dalla
normazione secondaria del Consiglio Superiore. La relazione dell’affidatario ed i dati concernenti la partecipazione ai corsi non sono base
esclusiva per la valutazione di idoneità. Con una norma certamente riferibile anche alla procedura in esame è stato stabilito come lo stesso
Consiglio giudiziario (oltre al C.S.M.) abbia “potere di accertare in
qualsiasi momento ... la sussistenza dei requisiti per la nomina ...”
(par. IV della circ. citata da ultimo: la legittimazione della disciplina
secondaria sul punto deriva dall’art. 11 del d.P.R.198/2000). Il potere,
esercitato eventualmente d’ufficio (e necessariamente attivato se interviene richiesta del C.S.M.), si estrinseca in accertamenti condotti da
un componente delegato dal Consiglio, il quale non osserva formalità
ma cura comunque di sentire l’interessato. Un ruolo primario di collaborazione è assunto, specie ed evidentemente con riguardo alla fase
antecedente alla nomina (il procedimento è comunque attivato anche
per i giudici in servizio, ed in tal caso è mirato alla verifica di persi-
24
I contenuti della relazione dell’affidatario sono stati minuziosamente specificati
(punto 5 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000), al fine evidente di assicurare al Consiglio
giudiziario dati utili per una valutazione estesa dal terreno della preparazione tecnica a quello dell’equilibrio personale, delle condizioni di imparzialità. E’ interessante in particolare,
perchè si inserisce in un difficile dibattito che sta attraversando l’intero corpo giudiziario, il
riferimento alla “disponibilità al costante aggiornamento professionale” quale fattore direttamente rilevante in punto di idoneità e dunque, in buona sostanza, di valutazione della professionalità. La relazione costituisce, unitamente ai dati concernenti i corsi teorico-pratici
(che nel sistema sono gestiti direttamente dal Consiglio giudiziario attraverso propri delegati, ma di fatto hanno visto coinvolgere fin dall’avvio anche i magistrati affidatari ed i referenti distrettuali per la formazione), la base cognitiva per la valutazione di idoneità.
57
stenza dell’idoneità), dal magistrato affidatario per il tirocinio. I fattori di valutazione fin qui descritti costituiscono, per disposizione regolamentare (comma 1 dell’art. 13 del d.P.R. 198/2000), la base per l’attribuzione di un punteggio che potrebbe definirsi di merito, e che deve
essere espresso in trentesimi di punto25. Si considerano idonei i candidati che abbiano riportato un punteggio di almeno diciotto trentesimi
(comma 2 della norma citata).
Come anticipato, il Consiglio giudiziario inserisce tutti gli idonei
in una proposta di graduatoria, che viene trasmessa al Consiglio Superiore e che rappresenta lo strumento, una volta approvata, per individuare quali tra detti idonei debbano in effetti venire immessi nell’ufficio di giudice di pace.
La fase terminale del reclutamento concerne appunto la nomina
del giudice di pace, ed anche su questo piano la legge 468/99 ha introdotto rilevanti novità, tra le quali primeggia l’attribuzione al Ministro
della giustizia, e non più al Presidente della Repubblica, del compito
di sanzionare col decreto l’indicazione deliberata dal Consiglio Superiore della Magistratura (comma 1 dell’art. 4-bis l. 374/91). La novità
principale in materia di nomina, comunque, è data dal procedimento
necessario a selezionare gli interessati nell’ambito eventualmente più
vasto dei candidati risultati idonei all’esito del periodo di tirocinio. I
criteri di formulazione delle graduatorie sono stati fissati a livello regolamentare (art. 13 del d.P.R. 198/2000): il primo titolo di preferenza
è rappresentato dall’avere già svolto per almeno un biennio funzioni
giudiziarie, anche onorarie. Di seguito, ed in via progressivamente subordinata, rilevano l’esercizio almeno biennale della professione forense, l’esercizio di funzioni notarili, l’insegnamento di materie giuridiche nelle università e, infine, l’esercizio di funzioni direttive nell’amministrazione giudiziaria (comma 3). Una volta ordinata la graduatoria, sanno nominati ovviamente giudici in numero corrispondente alle vacanze pubblicate. Ad ogni modo l’inserimento nella graduatoria degli idonei non esaurisce la propria utilità quando la posizione nella graduatoria stessa, come approvata dal Consiglio Superiore, non implichi la nomina per uno dei posti messi a concorso presso
l’ufficio richiesto. Infatti è stabilito (comma 2 dell’art. 4-bis della l.
374/91) che gli idonei non nominati possano essere destinati, su loro
domanda, a sedi vacanti diverse da quelle messe a concorso. Ed è stato
25
La norma regolamentare attribuisce al C.S.M. anche il potere di prescrivere una prova
pratica di fine tirocinio, ma detta facoltà non è stata esercitata con le circolari attuative.
58
approntato, a livello regolamentare (art. 14 del citato d.P.R. 198/2000),
un meccanismo utile a sollecitare le domande per posti da coprire da
parte di soggetti già dichiarati idonei e non nominati, ed anzi a privilegiare la utilizzazione di tali soggetti quale strumento di copertura
delle vacanze (tanto che ne viene preclusa la pubblicazione quando le
domande di cui si tratta siano sufficienti, per numero, alla copertura
stessa)26.
Si tornerà sui dati appena illustrati ragionando sulla miglior
conformazione di un’offerta formativa adeguata alla nuova fisionomia
della magistratura onoraria e dei suoi compiti. Ma fin d’ora, e proprio
a questo scopo, vanno fissati alcuni tratti essenziali di tale fisionomia.
Si è visto come il procedimento per la selezione e per la valutazione
dei giudici di pace emuli ormai per vari aspetti quello riguardante i
magistrati ordinari, tra i quali emerge con nettezza la sequenza tirocinio – formazione – valutazione. La scelta dell’ordinamento è tanto più
comprensibile alla luce della rilevanza che la giurisdizione onoraria
assume, per la qualità e la portata dei suoi interventi e per i concomitanti riflessi organizzativi della sua gestione, nell’economia generale
della funzione giudiziaria. La spinta all’uniformità dei procedimenti è
inevitabile ed opportuna sotto vari profili, proprio allo scopo di assicurare che alcuni valori generali della giurisdizione siano ovunque garantiti (efficienza, adeguatezza dei singoli al compito assunto, trasparenza e funzionalità al servizio nei criteri di assegnazione degli affari,
garanzia dell’indipendenza, professionalità specifica per la funzione
direttiva, ecc.). Nel contempo va prevenuta ogni deriva burocratica,
ogni tendenza a fare della magistratura di pace una magistratura “professionale” (e burocratica, appunto) per affari ritenuti di minor portata, quasi a resuscitare una certa concenzione delle vecchie Preture. Il
carattere temporaneo ed onorario della funzione, la provenienza
ancor oggi possibile da esperienze professionali non giudiziarie, non
sono meri accessori organizzativi, ma premesse culturali e funzionali
di una giurisdizione “diversa”, la cui diversità è valore aggiunto e qualificante. La decisione secondo equità nel processo civile, e la sollecitazione verso soluzioni conciliative e riparatorie delle questioni penali, sono obiettivi di politica del diritto che non “subiscono” l’affidamento alle cure della magistratura onoraria (quasi si trattasse di un
26
La materia è regolata anche dal comma 2 dell’art. 10-ter della l. 374/91, come introdotto ex art. 10 l. 468/99, e dall’art. 15 del d.P.R. 10 giugno 2000 n. 198, al cui testo si deve
rinviare per brevità.
59
costo di semplificazione pagato sul piano dell’organizzazione giudiziara), ma contano sulla specificità culturale della magistratura onoraria quale condizione imprescindibile della loro realizzazione. Una
specificità che andrà dunque presupposta nel progettare l’attività di
formazione e tirocinio, in un complesso dosaggio di sollecitazioni utili
in vista di una cultura comune all’intera comunità degli operatori giudiziari e di offerte idonee a valorizzare ed affinare i dati peculiari della
“professionalità” tipica del magistrato onorario.
1.L. La modifica delle strutture consiliari.
1.L.1. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale
dei magistrati togati.
La stretta connessione tra formazione, professionalità, indipendenza e autonomia della magistratura, soggezione del magistrato solo
alla legge, induce fondatamente a ricondurre, anche se manca un
espresso riconoscimento normativo in merito, all’art. 105 della Costituzione, l’attività che il C.S.M. svolge nel settore della formazione dei
magistrati non solo togati ma anche onorari.
Sempre rimanendo nell’ambito delle disposizioni costituzionali si
può altresì osservare come la Relazione al parlamento per l’anno 1994,
rilevava come proprio la soggezione del giudice solo alla legge ex art.
101 Cost. in uno alla previsione dell’art. 107 Cost., secondo cui i giudici si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, facesse si che
il magistrato dovesse poter contare su una formazione permanente di
altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della interpretazione delle leggi ed assumendone la piena responsabilità.
Con la delibera C.S.M. del 26 novembre 1998 è poi chiara l’indicazione della formazione professionale come diritto-dovere del magistrato.
Un ruolo centrale nella formazione sia iniziale che permanente
della magistratura è oggi svolto dalla IX Commissione, che ai sensi
dell’art. 29 del Regolamento Interno, propone al Consiglio il programma annuale dei corsi di formazione, i temi, la sede e la durata degli incontri di studio, nonchè la scelta dei temi, della sede, della durata, dei
relatori e dei coordinatori esterni dei singoli incontri.
Nell’esaminare il ruolo svolto dal C.S.M. nella formazione dei magistrati sia in sede centrale che in sede decentrata e l’attuale articola-
60
zione delle strutture consiliari, occorre ricordare come un importante
innovazione nella determinazione delle competenze delle Commissioni chiamate ad occuparsi della formazione si è avuta con la delibera 9
luglio 1996, con cui nell’ambito di una generale revisione delle attribuzioni delle commissioni consiliari, è stata istituita la IX Commissione, Commissione per il tirocinio e la formazione professionale, a
cui, come oggi previsto dal Regolamento Interno, competono relazioni e proposte nelle seguenti materie:
a) regolamentazione, organizzazione e controllo del tirocinio degli
uditori giudiziari;
b) programmazione, istituzione, organizzazione, coordinamento e
supervisione dei corsi di formazione professionale per gli uditori giudiziari e dei corsi di aggiornamento professionale e di specializzazione per i magistrati;
c) designazione dei componenti del Comitato scientifico esterno
per lo studio e l’organizzazione delle attività di formazione professionale dei magistrati.
d) tutti i provvedimenti relativi al concorso per la nomina ad uditore giudiziario tranne l’indizione del concorso che compete al Ministero della Giustizia.
Detta delibera è stata il risultato di un lungo percorso che ha visto
altresì prendere consistenza, anche se per un breve arco di tempo, il
progetto della costituzione di una struttura permanente deputata alla
formazione.
Ed infatti la prima iniziativa del Consiglio in materia di formazione risale ad una delibera del 5 aprile 1973, con la quale veniva stabilito di “organizzare periodici incontri di studio tra magistrati, affinchè
dalla comune valutazione delle esperienze acquisite nell’esercizio delle
rispettive funzioni giurisdizionali possano scaturire utili indicazioni
per migliorare il funzionamento della giustizia ed approfondire la conoscenza dei problemi posti dalla evoluzione legislativa, dottrinale e
sociale.
Negli anni a seguire le iniziative consiliari si resero sempre più intense sino a giungere con la delibera 19.11.1992 all’approvazione di
una delibera in cui veniva programmata la formazione professionale
per tutto l’anno successivo, e veniva dato mandato di perseguire l’istituzione di una scuola della magistratura, ottica in cui furono prese
una serie di concrete iniziative, che tuttavia non poterono avere compiuta attuazione, tra cui assunse un importante ruolo la convenzione
stipulata il 23 settembre tra l’allora Ministero di Grazia e Giustizia e il
C.S.M..
61
La delibera 9 luglio 1996, oltre a rimodellare le strutture consiliari deputate alla formazione, opera un’attenta riflessione sulle ragioni
della formazione professionale del magistrato che si può racchiudere
nell’idea che solo un elevato livello di professionalità diffusa tra i magistrati consente all’intervento giudiziario di essere davvero indipendente ed autonomo.
Prima delle statuizioni adottate dalla delibera del 1996 le attività
inerenti alla formazione professionale dei magistrati che avessero già
assunto le funzioni giurisdizionali erano seguite dalla Commissione
Riforma, mentre le attività formative inerenti al tirocinio degli uditori giudiziari rientravano nella competenza della Commissione Speciale Uditori Giudiziari.
Con il confluire delle competenze in materia di formazione in
capo ad un’unica Commissione – il Consiglio ai sensi dell’art. 29 del
R.I., su proposta della Commissione per il tirocinio e la formazione
professionale, organizza incontri di aggiornamento professionale e incontri di studio per gli uditori giudiziari – si è potuto realizzare un migliore rilevamento dei bisogni formativi e una più funzionale gestione
e organizzazione delle risorse, nonché una programmazione più adeguata delle iniziative evitando sovrapposizioni. Di pari passo è infatti
andata maturando la consapevolezza della continuità tra formazione
iniziale e permanente.
Nell’attuazione dei propri compiti la IX Commissione , che si avvale dell’attività di collaborazione e assistenza di tre magistrati addetti alla Segreteria del C.S.M., ai sensi dell’art.10 del R.I., è coadiuvata
dall’opera del Comitato Scientifico (che è composto da 12 magistrati e
4 docenti universitari, e a cui sono addetti due magistrati dell’Ufficio
Studi e Documentazione del C.S.M..
Il Comitato Scientifico elabora e propone alla Commissione la sistematica rilevazione delle esigenze di formazione professionale, il
programma annuale dei corsi, i temi, le modalità didattiche e organizzative, i docenti e i coordinatori esterni, i criteri per l’individuazione dei destinatari dell’attività formativa e ogni altro elemento necessario per la definizione di ciascuna iniziativa formativa.
Pertanto la IX Commissione formula al Consiglio le proposte nella
materia della formazione di propria competenza, alla luce delle proposte effettuate dal Comitato Scientifico, sulla base dei piani annuali
di massima.
Alcune competenze in merito ad iniziative scientifiche competono
anche alla Sesta Commissione – Commissione per la riforma giudiziaria e l’amministrazione della giustizia. Ed infatti ai sensi del regola-
62
mento interno tra le attribuzioni della Commissione vi è l’organizzazione di incontri, anche a livello internazionale, sulle materie consiliare relative a studi di diritto comparato con particolare riguardo ai
paesi dell’unione europea e alle materie di ordinamento giudiziario e
di procedura penale e civile. Con la risoluzione 26 novembre 1998
sulla “Formazione decentrata dei magistrati” il Consiglio ha poi ravvisato la necessità di un approccio integrato tra interventi svolti a livello centrale e periferico, da erogarsi attraverso la creazione di una rete
di formatori a livello decentrato; in questa occasione è stata prevista
“una rete la cui esistenza valga nel contempo a rafforzare la struttura
deputata alla formazione e ad esaltarne ulteriormente, per l’allargamento delle risorse umane che la compongono, la funzione di garnzia
del pluralismo culturale”.
La successiva individuazione dei referenti distrettuali per la formazione, gli importanti momenti di approfondimento e confronto
rappresentati dai seminari per la “Formazione formatori” tenutisi nell’anno 1999 e nell’anno 2000 hanno quindi consentito alla rete di cominciare ad operare, attraverso la promozione, nei diversi distretti,
delle prime inziative formative che la IX Commissione sta seguendo e
monitorando con attenzione.
La realizzazione della attività di formazione anche in sede decentrata, di cui si parla diffusamente nel terzo capitolo, ha comportato
anche la necessità di adeguare sotto il profilo organizzativo, la normativa secondaria di settore da parte del C.S.M.; è in corso di elaborazione da parte della IX Commissione una circolare che servirà a disciplinare il rapporto tra formazione centrale e formazione locale e i
collegamenti delle strutture consiliari e del comitato scientifico con la
rete dei formatori.
1.L.2. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale
dei magistrati onorari.
Tra i compiti demandati alla Ottava Commissione del C.S.M. –
Commissione per i magistrati onorari – vi è la promozione delle attività di formazione professionale per i magistrati onorari. L’impegno
della Commissione in questo settore ha dato luogo ad una pluralità di
iniziative relative ai giudici di pace.
Occorre ricordare come con la delibera 20 luglio 1996, nell’immediateza dell’operatività della legge istitutiva del giudice di pace, a fronte di una serie di disposizioni normative che attribuivano compiti in
63
materia di formazione al Ministero della Giustizia e al C.S.M. nonché
a regime ai Consigli giudiziari, il C.S.M. intese ribadire e precisare il
ruolo propulsore del Consiglio ritenendo, quindi, come mentre ai
Consigli giudiziari spettava per legge una facoltà di iniziativa autonoma e responsabile per l’organizzazione dei corsi, al Consiglio spettava
luna funzione di direttiva generale, di impulso, di indirizzo, di collaborazione, che promanava analogamente a quanto ritenuto per la formazione professionale della magistratura togata dall’art. 105 della Costituzione.
Il recente d.lgs. 274/2000 che ha attribuito in attuazione della delega legislativa contenuta nella L. 468/99 la competenza penale al
g.d.p., ha dato luogo ad una serie di iniziative consiliari promosse
dalla VIII Commissione volte a indirizzare la necessaria attività di
formazione che i Consigli giudiziari sono chiamati a svolgere, al fine
di garantire. In particolare la delibera C.S.M. 9 novembre 2000 avente ad oggetto: “Formazione professionale della magistratura onoraria con particolare riguardo alle recenti innovazioni introdotte dalla
legge 24 novembre 1999 n. 468” ha sottolineato la necessità di assicurare un’omogeneità di indirizzo per la formazione penale di giudici di pace in tutto il territorio nazionale impartendo analitiche direttive.
1.M. Le circolari del Consiglio: la nuova disciplina del tirocinio e la formazione permanente decentrata.
La formazione sta spingendosi in modo lento ma costante dal centro verso i luoghi di servizio. Ciò avviene in ottemperanza a precise disposizioni normative che assegnano ruoli rilevantissimi ai Consigli
giudiziari come il nuovo D.P.R. 17 luglio 1998, sul tirocinio degli uditori e la legge 374/92 istitutiva del giudice di pace.
Anche se il decentramento non può costituire un’alternativa all’attuale assetto organizzativo della formazione in quanto non può essere
idoneo a realizzare quello scambio di esperienze, idee guida, prassi tra
colleghi operanti in diverse realtà sociali e giudiziarie, purtuttavia costituisce per l’immediato futuro uno degli snodi principali attraverso i
quali possono trovare soluzione problemi che ancora investono l’attività formativa.
I vantaggi connessi al decentramento consistono: a) nella possibilità di incoraggiare la partecipazione di magistrati che non sono in
grado di spostarsi dai propri luoghi di lavoro e di residenza; b) di rag-
64
giungere in un arco di tempo breve ed a costi minori un numero elevato di magistrati; c) di coinvolgere maggiormente nelle attività di formazione l’Avvocatura, le Università ed i rappresentanti delle istituzioni locali; d) di fornire risposte adattate ai bisogni di formazione dei
magistrati sul piano locale.
Il Consiglio Superiore ha adottato il 26 novembre 1998 una risoluzione che pone il decentramento quale vera svolta stategica della
formazione dei magistrati, all’interno di un progetto di integrazione
tra iniziative locali e perdurante attività della scuola centrale.
È stata ultimata la procedura di reclutamento dei referenti locali
per la formazione, sostanzialmente ispirata alla esperienza dei referenti per l’informatica.
In numero di due per ogni distretto e di quattro per i distretti principali i referenti locali per la formazione avranno compiti di rilevazione dei bisogni formativi, di preparazione di iniziative centrali e di diffusione dei risultati, di organizzazione di iniziative locali, si occuperanno della formazione dei giudici onorari.
Non bisogna infatti nascondersi le difficoltà di organizzare un’attività di formazione dei magistrati a livello locale ed anzi il pericolo
che la stessa, se introdotta in un quadro di improvvisazione didattica
e non assistita da interventi di facilitazione, e di collegamento funzionale con la struttura centrale possa trovare ostacoli seri nel perseguire e raggiungere l’obiettivi per cui è stata realizzata.
A tal fine sembra inevitabile che nell’organizzare la formazione in
sede decentrata i referenti per la formazione ricerchino la massima
collaborazione dei Consigli giudiziari.
In questo contesto appare importante che l’attività formativa evidenzi in ogni singolo passaggio la sua finalità tesa verso il rafforzamento di un magistrato autonomo e indipendente, consapevolmente
attrezzato per l’esercizio della sua professione, e quindi culturalmente idoneo a ricoprire il ruolo assegnatogli e a svolgere il servizio cui è
destinato; è sicuramente un compito non facile quello che investe i referenti per la formazione, ma è un compito fondamentale perché si
promette di avvicinare la formazione ai problemi organizzativi degli
uffici giudiziari, innovare i metodi didattici e il confronto con l’Università, potenziare gli strumenti di autoformazione dei magistrati, intensificando le occasioni di confronto con gli altri operatori della giustizia ed in primo luogo con i cancellieri e gli avvocati, creare un servizio a favore della magistratura onoraria, coinvolgendo i colleghi
collettivamente e senza dar luogo a possibili disparità nella formazione erogata.
65
1.M.1. Formazione decentrata e tirocinio degli uditori.
La nuova circolare sul tirocinio degli uditori giudiziari (D.P.R. 17
luglo 1998, mantiene sostanzialmente inalterata la struttura degli organi deputati alla formazione in sede distrettuale (Commissione distrettuale per gli uditori giudiziari, magistrati collaboratori, magistrati affidatari), ma ha fissato i presupposti, sulla scia della creazione
della Nona commissione, per un intervento formativo organico e programmato, che valorizzi il contributo dei consigli giudiziari e nel contempo faciliti l’abbandono “sia dell’improvvisazione e del dilettantismo,
sia della stereotipa ripetitività che in passato spesso caratterizzavano la
c.d. parte teorica del tirocinio”.
I dati essenziali della nuova disciplina consolidano acquisizione
progressive come:
a) una lunga durata del tirocinio, ben oltre il limite legale minimo
di sei mesi, portandolo fino a diciotto mesi, quasi netti (cioè con esclusione di lunghe assenze);
b) la scansione del tirocinio in una fase generica, individuando il
civile come il settore iniziale del tirocinio ordinario, ed una mirata con
riguardo al tipo di funzioni da ricoprire al primo incarico;
c) concentrazione in un numero limitato di esperienze giudiziarie
per favorite la trasmissione del metodo dell’approfondimento dei problemi e privilegiare la riflessione sull’organizzazione del lavoro;
d) irrigidimento della previsione per cui il dirigente dell’ufficio
giudiziario di destinazione deve indicare con precisione al C.G. le specifiche funzioni a cui l’uditore in tirocinio mirato sarà destinato;
e) l’introduzione di un “quaderno” o “diario” di tirocinio, nel quale
l’uditore dovrà annotare, con cadenza almeno settimanale, le attività
cui ha partecipatoe formulare le proprie osservazioni;
f) la attribuzione di un ruolo centrale al magistrato colaboratore,
che redige il piano di tirocinio e ne cura l’esecuzione e al magistrato
affidatario; la precisazione che i compiti del magistrato collaboratore
e del magistrato affidatario rientrano tra i doveri d’ufficio;
g) la responsabilità concomitante del C.S.M. e dei Consigli giudiziari per la formazione, da attuarsi attraverso un’opera di coordinamento tra iniziative locali e centrali;
h) la stretta connessione tra formazione e valutazione, determinata dal ruolo valutativo assegnato proprio ai formatori, che redigono relazioni in una sequenza procedimentalizzata e garantita dal nuovo regolamento, che culmina con il provvedimento positivo di assegnazione delle funzioni ad opera del C.S.M..
66
L’attuazione della delibera sulla formazione decentrata, insieme
allo spazio concesso a nuove metodologie di didattica attiva, con simulazioni e studio di casi e l’istituzione di un corso di ordinamento
giudiziario e deontologia, da svolgersi durante il tirocinio ordinario, a
livello centrale, possono assicurare un effettivo miglioramento della
formazione iniziale.
E’ importante a tal fine che sia coordinata la suddivisione tra le
iniziative a livello locale e quelle da adottare a livello centrale; sarà
necessario curare la qualità del rapporto tra uditore e magistrato affidatario in modo tale che l’uditore non svolga il suo tirocinio sentendosi marginalizzato rispetto all’attività dell’ufficio o comunque
viva la sua presenza in modo subalterno, finalizzata magari allo
smaltimento del lavoro dell’affidatario o come spettatore del lavoro
di quest’ultimo; deve sottolinearsi la necessità che il tirocinio assicuri in tutti i distretti standards qualitativi omogenei, magari anche
attraverso verifiche da operarsi ad opera della IX Commissione; sarà
necessario valorizzare le esperienze di confronto tra gli uditori in tirocinio nei vari distretti, magari limitrofi e il controllo da parte dei
Consigli giudiziari, attraverso la Commissione Uditori e da parte dei
referenti per la formazione del’attività dei magistrati collaboratori e
dei magistrati affidatari, che rischiano di essere l’anello debole della
catena formativa.
Fermo restando che attualmente il C.S.M. ha optato per una soluzione negativa rispetto a quest’ultima ipotesi, in quanto la stessa farebbe assumere alla attività di formazione l’improrio significato di un
esame, al contempo però ha iniziato una riflessione sulla necessità
della frequenza di corsi specifici per chi aspira a funzioni direttive o
semidirettive, per chi nel corso della sua vita professionale abbia subito l’accertamento di carenze che in qualche modo debbono essere
sanate, per chi intenda passare dall’esercizio di funzioni giurisdizionali civili a quelle penali, dall’esercizio di funzioni giudicanti a quelle
requirenti e viceversa (v. per una conferma i programmi dei corsi di
formazione per gli anni 2000 e 2001 e le delibere del 23 giugno 1999 e
del luglio 2000).
L’art. 3 del codice etico elaborato dall’Associazione nazionale dei
magistrati prevede che la formazione permanente è un dovere etico
del magistrato. Di sicuro può essere inserito nella categoria dei doveri professionali. Una risposta sul punto esige però anche la soluzione del problema all’accesso alle offerte formative, che spesso presentano un numero di disponibilità inferiore fino al 50% rispetto alle
richieste.
67
1.N. L’incremento qualitativo e quantitativo della formazione professionale dei magistrati.
L’ultimo triennio evidenzia, quale dato caratteristico e di immediata limpidezza, un costante incremento quantitativo ed una crescente diversificazione nell’offerta della formazione e dell’aggiornamento professionale per i magistrati, come dimostra anche la semplice comparazione su taluni dati significativi del periodo considerato.
Nel luglio del 1996, all’indomani di quella che ben può prospettarsi come l’autentica svolta nell’organizzazione della formazione professionale – e cioè le innovazioni regolamentari che portarono all’istituzione della Nona Commissione del Consiglio Superiore ed a quella, con
la novella dell’art. 29 del Regolamento interno, del Comitato scientifico –, il progettato programma di formazione, per il successivo anno
1997, contemplava 38 incontri di studi a livello centrale. Il modello organizzativo prescelto – che non prevedeva né il coinvolgimento dei magistrati italiani in iniziative di formazione della ‘rete’ europea, né attività in sede decentrata – risultava modulato su tematiche classiche dell’aggiornamento professionale e cadenzato secondo logiche, piuttosto
rigide, di ‘categorie’ di funzioni: così, nel programma di quell’anno,
erano previsti incontri di studio dedicati ai ‘pretori civili’, ai ‘giudici minorili (civile e penale)’, al ‘diritto del lavoro’ (nel suo complesso e da intendersi, quindi, come offerta diretta ai giudici del lavoro, in quanto
tali), ma anche, in prospettiva ordinamentale, ai ‘consigli giudiziari’ ed
ai ‘dirigenti degli uffici giudiziari (funzioni giudicanti e requirenti)’.
Colpisce, in tale metodologia formativa, un’offerta caratterizzata, per
così dire, da un principio di globalità: il programma del 1997 non prevedeva, infatti, sezioni separate ratione materiae ed appariva piuttosto
pensato quale offerta che, complessivamente, mira a ‘coprire’ bisogni di
conoscenza della magistratura rilevati, innanzitutto, per ambiti di appartenenza funzionale, in senso stretto: appunto, i pretori civili, i giudici del lavoro, i minorili, i magistrati della Corte di Cassazione, ecc..
A tali tipologie didattiche, si affiancavano poi i moduli ‘monografici’: tematiche, cioè, più specifiche rispetto a quelle individuate
solo ‘funzionalmente’, ma comunque connotate – anch’esse – da un
carattere di generalità. Così, ad esempio, l’ involucro formativo sulla
materia della prova (civile e penale) risultava costituito – in maniera
assai lineare e generale – da due incontri, dedicati – rispettivamente
al tema delle prove nel processo civile e nel dibattimento penale; l’intera materia dell’esecuzione penale ad un unico, omonimo incontro
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ed, egualmente, per quella delle misure di prevenzione, per il contenzioso con la P.A., per la tutela penale del lavoratore ecc. Si trattava, in breve, di una metodologia perfettamente coerente con i bisogni formativi rilevabili, all’epoca, presso la magistratura di merito e
del tutto proporzionata alla struttura organizzativa dell’epoca, assolutamente lodevole nell’aver pensato e realizzato, praticamente dal
nulla, un’attività sconosciuta fino a quell’epoca, conferendole forma
stabile e meditata.
Inevitabile, insomma, che il bisogno di aggiornamento, agli albori di tale sperimentazione culturale, si esprimesse, presso la magistratura italiana, in percorsi tematici fortemente aderenti alla ‘tecnica’
giudiziale ed, al tempo stesso, sufficientemente ‘generali’, in grado,
cioè, di soddisfare una esigenza iniziale di specializzazione, dai contorni ancora incerti, dagli esiti ancora non completamente chiari. Era
fortemente sentita, insomma, un’urgenza di riqualificazione professionale rigorosamente ancorata alla funzione, per migliorare il fare del
quotidiano giudiziale, fortemente cercato il confronto esclusivamente
‘interno’ alla medesima funzione e senza iniziali commistioni, di contraddittori, cioè, culturalmente più ampi e di contesti formativi cui, dinamicamente, contribuiscono magistrati con provenienze funzionali
diverse.
D’altra parte, a tale tipologia di bisogni sul versante della domanda, faceva da pendant, su quello dell’offerta, un’esigenza non dissimile. Una formazione ‘tecnica’ e ‘generale’ risultava, invero,un viatico quasi obbligato per affrontare,organizzativamente, la novità
della sperimentazione culturale, con le sue iniziali difficoltà: di ordine ideologico, per lo scetticismo, quasi inevitabile, connesso a tale
mutazione; di tipo logistico, perché, per la prima volta, il coordinamento esterno e la consulenza formativa si assestavano in una struttura stabile, embrione dei futuri organismi istituzionali, quali la IX
Commissione consiliare ed il Comitato Scientifico. Dunque: per
quanto lineare e (forse) esigua possa apparire, con gli occhi dell’oggi, l’offerta formativa all’inizio del triennio considerato, essa risultava, in realtà, pienamente sincronica con gli apporti organizzativi
possibili e, soprattutto, con le esigenze di aggiornamento appena
emerse nella loro sistematicità. Nondimeno, quel periodo, pur così
vicino, appare quasi sfumato nelle brume del tempo se lo si confronta con l’oggi. Non è solo una dimensione sensibilmente diversa della
‘quantità’ dell’offerta – 57 incontri di studi a livello centrale nell’anno 2000, oltre i corsi, divenuti stabili, a livello decentrato e le ulteriori iniziative formative di livello internazionale –, quanto una inu-
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sitata fisionomia metodologica a caratterizzare questa percettibile
evoluzione. Essa prospetta affinamenti culturali in sintonia sia con
l’affiorare di frontiere normative meno tradizionali ed assolutamente dirompenti, che con una mutata finalità, presso gli ‘utenti’ della
formazione, dello stesso accostarsi all’aggiornamento. A quest’ultimo non si chiede più, soltanto, di essere puntello di mera tecnica
giudiziaria,quanto,piuttosto,sistematica riflessione sui momenti
fondanti dell’attività giurisdizionale: arricchimento culturale complessivo, articolato non più (o non soltanto) nella sola dimensione
della ‘funzione’ esercitata, ma dialogante con i saperi ‘eccentrici’ alla
funzione stessa, quando non esterni – ma non certo estranei- ad essa.
Problematiche sociali nuove – basti pensare ai riflessi della multietnìa sociale sperimentata negli ultimi anni o ai profili della bioetica o a quelli della nuova pirateria informatica, tanto per citare solo
le epifanie di un catalogo lunghissimo- hanno quasi obbligato la formazione ad un dinamismo forzato, a lavorare su programmi idonei
quasi ad ‘anticipare’ i tempi della disciplina legislativa o del dibattito culturale su tematiche a cavallo, spesso, tra diritto e metadiritto.
Ne è nato quasi un gioco di ‘rincorsa’, a più elementi: tra un insieme
di materie problematicamente fresche, sotto l’aspetto culturale e sociale, ben oltre l’originale matrice e connotazione tecnica; una piattaforma di destinatari della formazione vieppiù ampia e con esigenze originali, comunque diverse rispetto a quelle di un passato anche
prossimo; una struttura organizzativa più stabile ed affinata e, quindi, in grado di esprimere pianificazioni di maggiore razionalità e
qualità, anche per il prestigio progressivamente acquisito dalle iniziative di formazione per magistrati presso il mondo accademico e le
istituzioni culturali in genere. Questa è la storia recentissima dell’evoluzione ‘qualitativa’ della formazione dei magistrati italiani: sviluppo cui non rendono merito neppure i dati statistici (pur significativamente cresciuti in modalità esponenziale: v. tabella statistica,
pag……),asettici nel rendere comprensibili i nuovi confini culturali
lambiti, le diverse metodologie proposte, le inedite interlocuzioni
proposte, ma anche lo sforzo organizzativo sotteso. In tale evoluzione – segnata anche da inevitabili mancanze, disguidi, talora da ingenuità sperimentali, come tutto ciò che è ‘in movimento’- ciò che è caratterizzante è, appunto, una crescita quantitativa della diffusività
della formazione senza pregiudizio per il suo dinamismo, per una
sua vivacità sperimentale.E’ noto, infatti, che il limite dei grandi numeri nelle attività di formazione è quello di una progressiva staticità:
la maggiore ampiezza di soggetti coinvolti nell’aggiornamento pro-
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fessionale costa in termini di tempestività dello stesso, di modulazione conformata alle effettive esigenze, in breve, di sacrificio di una
qualità complessiva. Tali esiti non pare abbiano caratterizzato la formazione dei magistrati, pur nella crescita – in valore assoluto e percentuale- dei suoi destinatari: la scansione per ‘settori’ culturali,
piuttosto che per ‘funzioni’ di appartenenza; la riserva aurea costituita da un’apposita sezione interdisciplinare dedicata a ‘società e
questioni contemporanee’; un dialogo sempre più intenso, negli incontri di studi,con il mondo dell’avvocatura e dell’accademia ed, in
generale, con universi istituzionali diversi da quello della giurisdizione; un’attenzione particolare alle iniziative di formazione di ambito europeo; una più intensa profondità nell’approccio alle tematiche tecniche, in senso stretto hanno costituito altrettanti fattori di
crescita qualitativa della formazione, in uno con il rafforzamento organizzativo. Certo, l’attuale mole raggiunta dalla formazione offerta
rende già in parte asfittiche e perfino superate strutture nate meno
di un lustro fa: ma la comparazione con le più avanzate esperienze
europee evidenzia come -pur in assenza di una soluzione legislativa
che strutturi la formazione in un assetto di ‘Scuola di formazione per
magistrati’- in pochi anni è stato recuperato un ritardo che rimonta
a decenni, considerando, ad esempio, che l’Ecole francese - ai cui livelli è ormai prossima l’esperienza italiana, sia in qualità di metodologia che in quantità di giornate di formazione- opera stabilmente,
quale struttura autonoma, fin dal 1958. Pur nelle difficoltà di tener
dietro, sotto il profilo organizzativo, ad un’attività pressoché raddoppiata rispetto a qualche anno fa, non è venuta meno, in sostanza, l’agilità e la passione della sperimentazione didattica: ne sono testimonianza le forme nuove dell’ ‘autoformazione’ professionale, ben
riuscite per i magistrati minorili e di sorveglianza o i workshop in videoconferenza o gli incontri di ‘approfondimento tematico’ delle tecniche di indagine, accanto all’affinamento della riflessione sui temi
classici del processo, civile e penale, della prova, del diritto sostanziale nei vari ambiti. E’ chiaro, tuttavia, che proprio una domanda
formativa sempre più estesa obbligherà a diversificazioni e scelte,
onde conservare e migliorare gli standard qualitativi molto dipenderà da un’oculata progettualità in tema di formazione decentrata,
altro dalle opzioni di metodi e di materie che occorrerà comunque
operare a livello di formazione centrale.
71
RICOGNIZIONE DELL’ATTIVITÀ DEL QUADRIENNIO
Premessa.
Si è ormai formata una generale e motivata consapevolezza sullo
strettissimo rapporto esistente tra capacità professionale del magistrato ed indipendenza dell’ordine giudiziario.
Per altro questo nesso assume oggi, forse come non mai, un significato istituzionale particolarmente rilevante e segnala la formazione dei magistrati come tema di riflessione e di proposta.
Da anni il C.S.M. ha avviato un serio approfondimento delle questioni concernenti la formazione professionale passando progressivamente da una formazione gestita su basi di “volontariato” (sia in chi
la fornisce, sia in chi la fruisce) ad una formazione sistematica e scientifica. Le analisi compiute hanno determinato un progressivo rafforzamento della struttura esistente. Dopo la costituzione della IX Commissione, del regolamento interno e del Comitato Scientifico un vero
e proprio salto di qualità è stato operato nel corso dell’anno 2000, allorchè la IX Commissione, ponendo le basi per la formazione del terzo
millennio, ha cominciato ad effettuare una rilevazione di dati statistici, monitorando sia la domanda sia l’offerta della formazione, e consentendo una radiografia dell’esistente la più fedele possibile.
Attraverso tale strumento la IX Commissione ha potuto verificare
le numerose problematiche irrisolte, formulare proposte migliorative,
impostare la programmazione futura, confrontare la formazione centralizzata con quella decentrata. Nel corso del presente capitolo ci si
propone di rendere conto della ricognizione effettuata sull’attività dell’ultimo quadriennio, stabilendo una comparazione con il triennio
precedente. L’analisi dei dati emersi consente sicuramente di offrire
una base per la valutazione dei complessivi (e complessi) aspetti della
formazione professionale. Quella rappresentata è tuttavia una prima
esposizione ragionata dei dati, che necessita di riflessioni e approfondimenti ulteriori, per non risultare incompleta o fuorviante.
Ad es., occorre considerare che la rilevazione di alcune tipologie
di dati è stata decisa ed impostata solo in tempi recenti (così, per quelli concernenti la mancata partecipazione ai corsi per motivi di famiglia), e che l’inserimento dei dati pregressi è avvenuto superando non
poche difficoltà operative.
Le metodiche e le tecniche di rilevazione non sempre sono state
75
uniformi nel tempo. Le stesse valutazioni dei partecipanti, ad es. in ordine all’interesse e alla bontà dei programmi offerti, non sempre sono
state espresse secondo le modalità suggerite dalle schede, e le stesse
schede, pure fondamentali ai fini della rilevazione dei flussi di partecipazione e del gradimento, sono redatte da una percentuale non sempre significativa dei partecipanti ai vari corsi.
In sostanza, si vuole evidenziare innanzi tutto la necessità di esplicitare, per quanto possibile, le tecniche e le modalità di acquisizione
dei dati, nonchè la base effettiva dei dati in rilevazione.
In secondo luogo, rappresentare che i dati rilevati risultano intelligibili solo se rapportati alle cornici in cui l’offerta formativa s’è contestualizzata. Così, ancora in via esemplificativa, se si effettua la comparazione della partecipazione maschile con quella femminile, occorre necessariamente tener conto del fatto che le donne sono entrate in
magistratura solo nel 1963 e che la loro presenza percentuale complessiva all’interno dell’ordine giudiziario, ove sganciata dalle varie
fasce di età, risulta sicuramente inferiore rispetto a quella dei magistrati di sesso maschile.
In base a tale chiave di lettura dei dati relativi alla partecipazione
femminile si può però concludere che, proporzionalmente, la loro partecipazione agli incontri non è inferiore a quella degli uomini, soprattutto nelle qualifiche relative alle carriere direttive dove, pure, apparentemente minore è la percentuale di partecipazione.
Analogamente, quando si prende in considerazione la partecipazione per fasce funzionali occorre tener presente che: a) la caduta di
partecipazione ai corsi di formazione da parte dei magistrati di tribunale deve essere necessariamente collegata ai tempi di immissione nell’ufficio degli uditori, nonché al recente minore afflusso degli stessi rispetto agli anni precedenti; b) la minore percentuale di partecipazione dei magistrati appartenenti alle carriere direttive rispetto alle altre
qualifiche deve essere rapportata al minor numero di magistrati appartenenti a quelle qualifiche.
Si tratta di precisazioni minime, e tuttavia indispensabili per leggere correttamente i dati raccolti.
La rilevazioni dei dati sulla partecipazione ai corsi ha peraltro
consentito alla Commissione di approfondire le procedure di ammissione agli incontri di studio, tenendo conto della provenienza dai vari
distretti, delle fasce di età, della precedente partecipazione quantitativa ai corsi, delle eventuali revoche, del sesso dei richiedenti.
Ciò ha consentito la elaborazione di un programma informatico
che, attraverso “griglie” successive, seleziona in modo automatico, con
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criteri predeterminati, le numerosissime domande di ammissione ai
corsi, garantendo tempestività, imparzialità e rispetto degli obiettivi
programmati.
Tuttavia, le griglie o le incompatibilità costituiscono un fattore occulto decisivo nell’orientare e condizionare la partecipazione, giacchè
influiscono sulla mancata ammissione ai corsi. E’ accaduto talvolta
che incontri di studio siano risultati poco richiesti; più frequentemente, si è dovuta rilevare un’alta percentuale di mancate ammissioni.
La selettività delle griglie è dovuta all’intendimento - in sé commendevole - di individuare preventivamente, nel modo più accurato,
la fascia dei possibili fruitori dei vari corsi, assicurando nel contempo
imparzialità ed equilibrio (geografico, per categorie professionali,
ecc…). E tuttavia, l’intento commendevole non attenua la valenza negativa del risultato: questo appare penalizzante sia per i destinatari
della formazione sia per la struttura, chiamata talvolta a sostenere
oneri finanziari in modo del tutto improduttivo.
Ciò ha indotto ad attenuare in modo significativo l’eccesso di dirigismo nell’elaborazione delle griglie relative alla programmazione dell’anno 2002 e quindi nella selezione dei destinatari dell’offerta formativa.
In chiusura di presentazione del capitolo, occorre sottolineare il
ruolo essenziale svolto dalla struttura della segreteria amministrativa,
che con grandi capacità e notevoli sacrifici ha reso possibili i risultati
sin qui conseguiti.
2.A. L’offerta formativa nel quadriennio 1997/2000.
L’analisi delle linee guida che hanno orientato l’offerta formativa
nel corso del quadriennio appena trascorso e che soprattutto illustri le
ragioni che hanno sorretto le proposte formulate si mostra come il
presupposto indispensabile per la futura azione del Consiglio nel settore della formazione professionale del magistrato nel momento in cui
si dà concretezza, accanto a quella tradizionale, alla formazione decentrata. Si tratta di approfondire l’analisi delle risposte che i magistrati hanno danno alla offerta formativa, nelle sue modificazioni propositive avvenute nel corso degli anni, per consentire la ulteriore crescita delle iniziative di aggiornamento professionale. La rilevazione, e
l’analisi comparativa tra il quadriennio 1997/2000 ed il triennio precedente, trova una sua prima giustificazione logica nella modifica rego-
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lamentare con la quale il Consiglio istituiva nel corso del 1996 il Comitato Scientifico, individuato come struttura qualificata e stabile di
supporto alla attività di formazione della IX Commissione. Dal 1997
veniva anche introdotto il sistema dell’interpello annuale per la acquisizione e gestione della domanda di formazione calendarizzata per un
intero anno1, che sia pure con le modifiche intercorse in questi anni
sul numero di domande di ammissione consentite a ciascun magistrato2, rende omogenei i dati e ne consente l’estrazione in ragione del criterio operativo utilizzato e l’analisi comparativa.
In proposito si è ritenuto di sottoporre ad analisi sia l’offerta formativa, nella sua evoluzione storica all’interno del quadriennio di riferimento e con il necessario raffronto con quanto accaduto in precedenza, sia la domanda di partecipazione sotto il profilo della distinzione soggettiva dei partecipanti e della tipologia di offerta distinta
per aree tematiche, così da fare risaltare le aree di mancata domanda
di partecipazione, le richieste formative rimaste insoddisfatte, le
nuove richieste formative desumibili dalla rilevazione delle schede di
partecipazione che ciascun partecipante agli incontri redige all’esito
degli stessi, e che vengono analizzate dai componenti del Comitato
Scientifico.
L’offerta formativa si è stabilmente attestata nel corso del quadriennio in misura superiore a quaranta corsi per anno (dai quarantuno del 1997 ai quarantanove del 1998, ai 46 del 1999, per giungere
ai cinquantasei per il 2000), ed all’interno di questa generale crescita,
ancor più evidente nel raffronto con il periodo precedente, si è passati dai quindici incontri nel settore civile del 1997 ai 20 del 1998, cosi
come dai 19 del settore penale nel 1997 ai 21 tenuti nel corso del 1998.
A questi si sono aggiunti quattro corsi nel biennio su temi ordinamentali e ben undici di tipo promiscuo. All’interno di tale offerta formativa, che tentava di “recuperare” alla formazione anche settori del
corpo giudiziario meno pronti a recepire le nuove forme di aggiornamento professionale (come con i corsi sul giudizio di cassazione nel
suo continuo oscillare tra legittimità e merito), risultano affrontate
anche tematiche generalmente ritenute marginali, ma di crescente interesse quali le misure di prevenzione e la esecuzione della pena. Il
tema “storico” della prova, e della sua valutazione, nel dibattimento,
1
La programmazione annuale era già stata introdotta nel 1996, ma senza interpello an-
nuale.
2
Nel 1997 era possibile esprimere 5 preferenze, ridotte a 4 negli anni 1998 e 1999, riportate a 5 per corsi del 2000.
78
argomento presente in più di un programma si ripropone ancor oggi,
come le modifiche legislative impongono e le richieste dei colleghi evidenziano, come indubbio argomento di confronto e di approfondimento, non solo sotto il profilo tecnico ma altresì per il suo approccio
dogmatico e filosofico. In campo civile oltre al necessario “punto” sul
nuovo rito risultano affrontate tematiche classiche, ma in continua
evoluzione, come quella del risarcimento del danno o dei procedimenti cautelari, accanto ad argomenti a maggiore specializzazione
come l’esame dei bilanci delle imprese, il diritto marittimo, senza trascurare l’analisi di settori di grande impatto sociale quale quello del diritto di famiglia.
Con il programma di formazione per il 1999 il Consiglio, pur nella
continuità con la precedente esperienza e con l’impegno a garantire i
livelli qualitativi e quantitativi dell’offerta della formazione raggiunti,
ha inteso marcare un progresso sul piano della chiarezza dell’offerta
dell’aggiornamento professionale anche quanto ai contenuti ed ai metodi. Da qui la scelta di presentare tutte le attività di formazione continua, fossero esse da realizzarsi in sede centrale, decentrata ovvero
presso istituzioni estere, non più secondo una meccanica divisione “civile-penale” ed un criterio meramente cronologico, bensì per aree tematiche che maggiormente esplicitassero gli ambiti dell’intervento
formativo ed i loro reciproci collegamenti, così da permettere ad ogni
magistrato di meglio calibrare le proprie richieste rispetto ai propri interessi ed alle proprie esigenze di formazione. Tale nuove suddivisione
dei corsi per aree tematiche, che è divenuta una costante negli anni
successivi in considerazione dell’apprezzamento riservato a tale forma
di ripartizione dai soggetti destinatari, ha consentito di fare risaltare
alcune importanti novità nei contenuti della formazione.
La prima riguarda il deciso aumento dei corsi interdisciplinari,
raccolti principalmente sotto il titolo “Società e questioni contemporanee” (ma non solo), con l’obiettivo di estendere l’area dell’approfondimento e del confronto oltre i confini, dimostratisi spesso decisamente angusti non solo dal punto di vista culturale ma anche da quello più direttamente operativo, tra diritto civile e diritto penale, nel tentativo di trovare un nuovo e più elevato equilibrio tra aggiornamento
tecnico giuridico, riflessione del magistrato sul proprio ruolo ed apertura della formazione su fenomeni sociali, realtà economiche e strutturali in continua e rapida evoluzione.
La seconda novità è stata rappresentata dalla creazione di un’area
della formazione, peraltro assai consistente per quantità e qualità dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e del diritto comu-
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nitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre
più rilevanti e complesse attività di cooperazione tra magistrati italiani e autorità giudiziarie straniere. In questa logica va visto il “Progetto globale di formazione dei magistrati addetti alle nuove forme di
cooperazione giudiziaria penale” approvato dalla Commissione europea nell’ambito del programma GROTIUS, così come la partecipazione dei magistrati italiani, in possesso di idonee e comprovate conoscenze linguistiche, ad iniziative di formazione presso i partners europei.
I programmi del biennio 1999/2000 hanno presentato un ulteriore
elemento di innovazione attraverso la individuazione di metodi didattici diversificati, applicabili alle differenti iniziative in funzione di bisogni formativi che queste erano destinate a soddisfare, con una metodologia che è andata oltre la tradizionale struttura seminariale degli
incontri di studio per individuare formule pedagogiche più flessibili
ed innovative, tra le quali va sottolineato il ruolo dei cd. laboratori, basati sull’autoformazione dei partecipanti, divisi in piccoli gruppi sotto
la guida di un esperto.
Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’attività di supporto formativo ai magistrati che nel corso dell’anno hanno cambiato
funzioni, attraverso la cd. formazione di riconversione, che non ha
percorso il vecchio itinerario di tipo generalista, orientandosi al contrario verso formule che tenessero conto delle esigenze relative alle
specifiche funzioni di nuova assegnazione, e che ha riscontrato largo
e ampiamente positivo apprezzamento da parte dei partecipanti, come
è dato ricavare dall’esame delle schede di valutazione redatte nell’occasione.
Il carattere di continuità del progetto di formazione del 2000 rispetto alle linee fondamentali che avevano caratterizzato l’azione dell’anno precedente è stato giustificato in primis con il successo che le
proposte 1999 avevano riscosso presso i destinatari, anche estranei all’ordine giudiziario, sia con riguardo ad incontri ad eminente contenuto tecnico e specifico, sia relativamente ad iniziative di maggiore
apertura verso le richiamate tematiche sociali o culturali a carattere
generale. Al contempo la riflessione sulle linee di sviluppo dell’offerta
formativa non si è arrestata, ne in relazione ai metodi né tantomeno a
proposito dei contenuti e degli obiettivi culturali da assicurare mediante la formazione. In questa ottica si è inteso sottolineare l’esigenza di prestare costante attenzione alle fonti del diritto europeo e quella di individuare, nell’ambito delle singole occasioni formative, spazi
dedicati alla definizione di moduli di lavoro e di tipicizzazione di prov-
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vedimenti che contribuissero ad accelerare i tempi di svolgimento dell’attività processuale.
L’offerta nel secondo biennio, il cui sistema di accorpamento
rende maggiormente comprensibile il raffronto comparativo, risulta
essersi attestata numericamente intorno a tredici appuntamenti a carattere interdisciplinare; di cui cinque inquadrati nell’area “società e
questioni contemporanee”, e nel resto riferentisi ai temi dell’ordinamento giudiziario o, come per il programma 2000, con una accentuazione delle questioni interdisciplinari processuali (come il rapporto tra illecito civile ed illecito penale, il ragionamento probatorio, o la
riflessione sulle dinamiche processuali analizzate con riferimento
alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo), senza dimenticare il
settore del diritto della famiglia e dei minori (cui risultano dedicati
complessivamente tre incontri interdisciplinari oltre ad uno a carattere specificamente civilistico). I corsi dedicati al diritto civile ed al
diritto processuale civile sono saliti da dieci a tredici, così come quelli con tematiche di diritto penale e processuale penale portati da tredici a quattordici. Tra i primi lo sforzo si è indirizzato in primo momento ad effettuare il punto sul nuovo rito civile ordinario, così come
ad affrontare il tema delle controversie con la pubblica amministrazione, per poi analizzare tematiche più specifiche quali l’appalto privato e pubblico, l’esecuzione forzata, l’espropriazione immobiliare
delegata, o temi di grande respiro come l’abuso del diritto. In campo
penale, accanto a proposte storiche quali quelle relative alla formazione sulla funzione inquirente e requirente (corsi Falcone e Borsellino) o sulle tecniche di indagine (corso Guido Galli), particolare attenzione ha richiesto il complesso delle riforme ordinamentali e processuali intercorse nell’ultimo periodo, a partire dalla riforma del giudice unico, attraverso le tappe progressive del D.L. 24 maggio 1999 n.
145, della legge Carotti, della riforma costituzionale dell’art. 111
Cost., della sua disciplina transitoria, sino alla legge sulle indagini difensive di fine 2000; ma accanto a ciò è stato possibile offrire una riflessione sul tema generale della tutela penale della persona o sulla figura della vittima del reato. Nei soli anni 1999/2000 l’offerta formativa in tema di diritto dell’economia si è sostanziata in ben nove incontri, tra cui quelli in tema di rapporti bancari, di bilanci delle imprese (riproposto in entrambi gli anni), di costituzione delle società e
dei contratti di impresa nell’ottica del mercato globale e della legislazione comunitaria.
Accanto alla riflessione sulla formazione centrale merita una
forte sottolineatura l’aumento delle iniziative di formazione su base
81
decentrata, secondo una linea di progressivo coinvolgimento delle
realtà giudiziarie locali nell’attività di formazione professionale dei
magistrati, e che ha portato alla individuazione di una rete di formatori locali, la cui distribuzione sul territorio è stata approvata di recente, ed alla quale è stato dedicato un notevole sforzo anche sotto il
profilo della loro formazione. In questo settore si sono mossi i corsi
proposti al finanziamento europeo nell’ambito del programma denominato SCHUMAN, e che hanno consentito il coinvolgimento delle
realtà locali, sia pure con il coordinamento dei componenti del Comitato scientifico, per una ampiamente soddisfacente resa in termini di interesse e risposta da parte di quei magistrati in altre occasioni riluttanti ad accogliere proposte formative distanti dalla sede di
servizio.
I livelli di partecipazione si sono finalmente allineati a quelli delle
più prestigiose istituzioni europee di formazione dei magistrati, con un
incremento di domande conclusesi con la effettiva partecipazione che
cresce dalle 2659 del 1997 alle 3740 del 1998, alle 3996 del 1999 per fissarsi a 3936 per il 2000, e che rapportate al numero dei magistrati in
servizio (8813 nel 2000) ci porta ad una percentuale vicina a quella
degli ammessi ai seminari dell’Ecole Nationale de la Magistrature, pari
al 57%, con la precisazione che tale indicazione percentuale tiene conto
anche della offerta di formazione decentrata, mentre i dati italiani si riferiscono alle sole proposte formative a carattere centrale; se infatti a
quanto si andrà nel prosieguo meglio dettagliando si aggiunge che nel
corso del prossimi anni la formazione decentrata raggiungerà anche da
noi un numero consistente di magistrati, come si ricava dalla programmazione per il 2001, ed ancor più dal lavoro di approfondimento
già in corso per la offerta formativa relativa al 2002, si ricava un dato
complessivo di offerta formativa che pone il nostro paese, e le istituzioni a questo preposte ai primi posti nel contesto europeo.
2.B. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo dell’offerta formativa.
Il fondamentale parametro di raffronto di quanto realizzato
negli anni 1997/2000 nel settore della formazione con la pregressa
offerta è costituito dalla relazione predisposta dai magistrati collaboratori che hanno operato sino al luglio del 1996 e relativa al periodo marzo 1994 – giugno 1995. Si tratta di una relazione organica ed ancora per larghi versi attuale, che contribuisce a fornire una
82
chiave di lettura dell’attività di formazione ancora oggi utile. Infatti nel periodo preso in esame nella precedente relazione risultavano
realizzati quarantasette incontri di studio, dato significativo già se
rapportato soltanto ai quarantuno incontri proposti nei quatto anni
precedenti. Se poi l’analisi si spinge ad esaminare l’oggetto degli incontri stessi gli elementi di valutazione assumono migliore e più accentuata consistenza. Infatti diciannove incontri hanno riguardato
il diritto e la procedura penale, e ventuno il diritto e la procedura civile, accanto a momenti di riflessione su temi specifici quali il diritto fallimentare e quello commerciale e societario. Già durante questo primo biennio i Corsi Falcone e Borsellino, che per la loro reiterazione ed estensione assumevano le attuali caratteristiche di corsi
base, avevano ricevuto sostanziali modifiche della impostazione iniziale, mirando ad affrontare, oltre che la generale inquadratura
delle tecniche di indagine, anche argomenti suggeriti di volta in
volta dall’interesse del momento consentendo così una espansione
della platea dei partecipanti, non più limitata ai soli pubblici ministeri.
Con il programma per il 1996 veniva introdotta la programmazione annuale, anche se senza la predisposizione di una richiesta unica
da parte degli interessati, con una offerta formativa globale di 42 corsi,
tra i quali sedici a carattere civilistico e diciannove sul versante penalistico. Tra i primi venivano analizzati i rapporti patrimoniali all’interno della famiglia legittima tra legge ed autonomia privata, la materia
del diritto industriale, mentre due corsi venivano dedicati al diritto del
lavoro ed altri al diritto minorile ed al diritto internazionale privato.
In ambito penalistico la rivoluzione sistematica in materia di reati
contro la libertà sessuale trovava immediato recepimento in un apposito incontro, così come il diritto penale emergente o le riflessioni su
una normativa ambientale da poco modificata (ma oggetto poi di ulteriori e radicali interventi), e ciò accanto al naturale sviluppo di argomenti “classici” del mondo sostanziale e processuale.
Il primo dato dal quale emerge la progressiva crescita della formazione è l’incremento dei soggetti partecipanti, che da 20963 nel
1994 saliva a 2412 nel 1995 ed a 2550 nel 1996, per poi raggiungere a
fine quadriennio 97/2000 il significativo risultato di 3427 ammessi, ed
all’interno dei quali va sottolineata la crescita di coloro che hanno ri-
3
Crescita che appare ancor più significativa se solo raffrontata con le 1240 partecipazioni del 1993 e le 539 del 1992.
83
chiesto di entrare tra i soggetti destinatari di una offerta formativa,
passati dai 3731 del 1997 ai 4897 del 1999, per poi fissarsi a 4628 nel
2000.
In proposito va analizzato il problema della mancata richiesta di
partecipazione da parte di colleghi che la pur diversificata offerta formativa non ha determinato alla proposizione di una domanda. Si tratta di un profilo non considerato nella precedente analoga relazione del
1995 cui si è fatto cenno. Dato che risulta particolarmente significativo per orientare la politica consiliare in materia di formazione, fondata sulla iniziativa del singolo magistrato e che può legittimamente
ascriversi a più ragioni, tra le quali assumono particolare rilievo l’assenza di bisogno formativo (recte la mancata consapevolezza di un bisogno formativo), una offerta formativa non rispondente al bisogno
formativo, una offerta formativa corrispondente al bisogno formativo,
ma inadeguata sul piano qualitativo (per ragioni di metodo o di contenuto), impossibilità di partecipazione per inconciliabilità delle date
previste con esigenze di ufficio e/o personali, altre cause (tra le quali
incide la calendarizzazione in prossimità del periodo feriale o delle festività natalizie). In proposito il monitoraggio sulle domande di formazione disposto dalla IX Commissione sarà strumento utile per la individuazione non solo in astratto delle cause della mancata partecipazione; che comunque si presenta come fenomeno in diminuzione fissato da ultimo in una percentuale inferiore al 40% (ma pure sempre
troppo elevata) rispetto al 54% di inizio quadriennio.
2.C. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base soggettiva.
Per una migliore comprensione dei dati statistici va evidenziato
che l’individuazione delle voci di rilevamento è stata elaborata nel luglio 2000, su proposta della IX Commissione, all’epoca presieduta dal
Cons. Ippolisto Parziale.
I dati statistici elaborati per gli incontri di studio effettuati nel
triennio 1997-2000 consentono una esauriente valutazione dell’andamento del settore della formazione nell’arco temporale considerato,
con particolare riferimento alla corrispondenza della domanda rispetto all’offerta formativa, all’effettiva partecipazione ai corsi, alla mancata partecipazione successiva all’ammissione, alla mancata domanda
di partecipazione, elementi utili per una proficua successiva programmazione della formazione nel triennio successivo.
84
Sono stati analizzati:
1. l’offerta e la domanda di partecipazione e i relativi dati gestionali;
2. l’effettiva partecipazione;
3. la mancata partecipazione, una volta disposta l’ammissione (le
cosiddette rinunce);
4. la mancata domanda di partecipazione.
Le elaborazioni sono state effettuate, facendo riferimento sia per
la scadenza delle domande pervenute che per la quantificazione di magistrati in servizio alle seguenti date: anno 1997: 16 novembre 1996;
anno 1998: 31 ottobre 1997; anno 1999: 28 novembre 1998, anno 2000,
30 novembre 1999.
Per ciascun anno sono stati oggetto di rilevamento:
1. domande di partecipazione pervenute per tutti gli “Incontri di
Studio” comprensivi anche dei corsi “fuori sacco”, definiti come tali i
corsi che sono stati organizzati nel corso dell’anno e inizialmente non
previsti;
2. magistrati in servizio (in ruolo e fuori ruolo).
Significativa appare l’analisi dei flussi di partecipazione con riferimento alla distinzione dei partecipanti per funzioni, età, qualifiche,
sesso e aree geografiche in quanto consentono una valutazione percentuale, in relazione alle varie tipologie di riferimento, dell’interesse
dei magistrati per la formazione professionale.
Domande di partecipazione.
Dal prospetto allegato emerge un progressivo aumento delle domande di partecipazione (n. 15.171 per il 1997, n. 16351 per il 1998,
n. 16.430 per il 1999 e n. 18.355 per il 2000), con un significativo aumento nel settore civile per il 1998 (n. 5.998 domande) e nel settore penale per il 2000 (n. 8.732 domande).
Il maggior interesse, deducibile dal flusso della domande, si registra nei settori del civile del penale e dell’interdisciplinare a cui spetta
la più alta media di incontri.
85
86
DOMANDE
Anno
CIVILE
1997
1998
1999
2000
5.020
5.998
5.567
3.464
COMUNITARIO
1998
1999
2000
15
20
18
12
4
311
1
ECON
574
287
361
INTERDISCIPLINARE
110
3.333
LAVORO
3
1
3
4.634
1
12
332
MINORENNI
134
16
8.732
PENALE
8.519
8.176
7.090
PROMISCUO
1.345
1.505
306
15.171
16.351
16.430
Totale complessivo
1997
493
COSTITUZIONALE
ORDINAMENTO
GIUDIZIARIO
N° INCONTRI
18.355
14
1
2
1
20
19
21
13
6
4
1
41
49
46
56
Anno
CIVILE
Media Incontri
1997
1998
1999
2000
334,7
299,9
309,3
288,7
COMUNITARIO
123,3
COSTITUZIONALE
ORDINAMENTO
GIUDIZIARIO
311,0
287,0
120,3
INTERDISCIPLINARE
277,8
331,0
67,0
16,0
331,0
LAVORO
MINORENNI
PENALE
448,4
389,3
545,4
PROMISCUO
224,2
376,3
306,0
Totale complessivo
370,0
333,7
357,2
327,8
Corsi suddivisi per qualifica e sesso dei richiedenti.
Va segnalato il costante aumento di richiesta formativa da parte
dei dirigenti, rilevandosi un incremento costante di richieste di partecipazione da parte dei magistrati di cassazione idonei ad ulteriore valutazione fds (n. 582 per il 1997, n. 790 per il 1998, n. 1037 per il 1999,
n. 1229 per il 2000).
Nell’ambito di tale qualifica è in costante aumento anche le richieste delle donne, il cui numero complessivo è notevolmente inferiore a quello degli uomini, per cui, in percentuale, le richieste sono
quasi pari a quelle degli uomini (n. 5 per il 1997, n. 41 per il 1998, n.
74 per il 1999, n.114 per il 2000).
In termini numerici il maggior numero di richieste si registra tra
i magistrati di tribunale, categoria anche percentualmente più numerosa rispetto alle altre ed ove, anche per la minore esperienza professionale, maggiore è l’esigenza formativa.
In tale categoria, considerata la percentuale di uomini e donne, sostanzialmente paritaria è la richiesta di partecipazione tra i due sessi.
Va anche evidenziata la maggiore richieste delle donne, percentualmente in leggera maggioranza rispetto agli uomini, tra gli uditori
giudiziari.
87
88
CORSI RICHIESTI PER IL 1997
Conteggio
di CORSO
SESSO
F
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
5
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
952
3993
40
216
418
5624
M
577
21
1674
4740
877
1155
503
9547
Totale
complessivo
582
21
2626
8733
917
1371
921
15171
CORSI RICHIESTI PER IL 1998
Conteggio
di CORSO
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
F
41
M
749
Totale
complessivo
790
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
919
4205
46
371
637
6219
16
1500
4989
797
1472
609
10132
16
2419
9194
843
1843
1246
16351
CORSI RICHIESTI PER IL 1999
Conteggio
di CORSO
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
F
74
M
963
1037
Totale
complessivo
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
709
4457
45
686
469
6440
8
1167
4917
782
1728
425
9990
8
1876
9374
827
2414
894
16430
CORSI RICHIESTI PER IL 2000
Conteggio
di CORSO
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
89
F
114
M
1115
Totale
complessivo
1229
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
1317
4819
33
551
670
7504
7
1868
5361
686
1321
493
10851
7
3185
10186
719
1872
1163
18361
Domande suddivise per qualifica e sesso dei richiedenti.
Percentualmente si registra lo stesso “trend” già rilevato per le richieste di partecipazione, avendo la maggior parte degli aspiranti
chiesto di partecipare al numero massimo previsto di corsi (5 nel 1997
e 4 negli anni successivi, per ciascun richiedente).
Il numero maggiore di domande, superiore al 50% delle domande
complessive, si registra tra i magistrati di tribunale, ove è sostanzialmente paritaria la percentuale maschile e femminile.
In costante aumento sono le domande dei cd direttivi per gli anni
1997-1999 (magistrati di cassazione idonei alla ulteriore valutazione
fds) (n. 157 per il 1997, n. 258 per il 1998, n. 376 per il 1999), stabilizzatesi nel 2000 (n. 312).
L’andamento delle domande degli uditori giudiziari è condizionata dai tempi di immissione in possesso, diversi nei vari periodi considerati.
90
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1997
Conteggio
di MATRICOLA
SESSO
F
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
2
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
240
948
14
54
113
1371
M
155
12
413
1099
222
324
135
2360
Totale
complessivo
157
12
653
2047
236
378
248
3731
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1998
Conteggio
di MATRICOLA
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
91
F
11
M
247
Totale
complessivo
258
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
269
1153
16
114
162
1725
6
439
1297
259
446
155
2849
6
708
2450
275
560
317
4574
92
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1999
Conteggio
di MATRICOLA
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
F
22
M
354
Totale
complessivo
376
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
288
1270
15
132
142
1869
3
474
1357
281
429
130
3028
3
762
2627
296
561
272
4897
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 2000
Conteggio
di MATRICOLA
SESSO
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne fds (pre 7.5.82)
F
24
M
288
Totale
complessivo
312
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
339
1218
11
152
130
1874
3
502
1261
199
396
104
2753
3
841
2479
210
548
234
4627
Domande suddivise per fasce di età e qualifiche dei richiedenti.
Il maggior numero di domande proviene dalle prime due fasce di
età (fino a 35 anni e da 35 a 46 anni) e, in termini assoluti, proviene
dai magistrati delle prime due fasce di età, percentualmente più numerosi rispetto alle altre fasce.
In costante aumento le domande dei magistrati delle fasce più
alte, peraltro percentualmente meno numerosi, passate da n. 157 nel
1997 a n. 312 nel 2000, indice di sempre maggiore attenzione, anche
tra i direttivi, alle esigenze formative.
93
94
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1997
Conteggio
di MATRICOLA
FASCE
D’ETA’
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne
(pre 7.5.82)
Mag.
di corte
d’appello
FINO A 35
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
1285
DA 36 A 45
485
752
163
10
DA 46 A 55
26
OLTRE 56
131
12
5
Totale
complessivo
157
12
653
4
2047
239
1524
9
1250
60
317
576
176
57
381
236
378
248
3731
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1998
Conteggio
di MATRICOLA
FASCE
D’ETA’
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne
(pre 7.5.82)
Mag.
di corte
d’appello
FINO A 35
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
1422
DA 36 A 45
561
1020
143
8
DA 46 A 55
47
OLTRE 56
211
6
4
Totale
complessivo
258
6
708
2450
37
306
1728
11
1629
28
458
684
247
65
533
275
560
317
4574
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1999
Conteggio
di MATRICOLA
FASCE
D’ETA’
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne
(pre 7.5.82)
Mag.
di corte
d’appello
DA 26 A 35
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
1444
DA 36 A 45
592
1172
168
11
DA 46 A 55
82
OLTRE 56
294
3
2
Totale
complessivo
376
3
762
33
2627
256
1700
16
1813
13
480
754
283
48
630
296
561
272
4897
DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 2000
Conteggio
di MATRICOLA
FASCE
D’ETA’
FINO A 35
DESCRIZ.
Mag. cass.
Mag.
idoneo
cassaz.
ulteriore idoneo fds
val.ne
(pre 7.5.82)
1
DA 36 A 45
Mag.
di corte
d’appello
Mag.
di
tribunale
Mag.
idoneo
ulteriore
val.ne
alle f.d.s.
Mag.
Uditore
Totale
idoneo
giudiziario complessivo
ulteriore
val.ne
cassazione
1
1324
691
1136
1
31
147
17
2
482
722
486
95
DA 46 A 55
74
OLTRE 56
237
3
2
2
207
35
Totale
complessivo
312
3
841
2480
210
548
223
1549
11
1870
234
4628
Rapporto tra richieste di partecipazione e aspiranti.
Le richieste totali di partecipazione vanno correlate al numero
degli aspiranti in quanto ciascun aspirante poteva presentare un massimo di 5 domande nel 1997 e solo 4 negli anni successivi.
Va segnalato, in particolare, il costante aumento degli aspiranti,
con una sola diminuzione, peraltro di lieve entità, nel solo anno 2000,
rispetto al 1999 (n. 3731 nel 1997, n. 4.574 nel 1998, n. 4897 nel 1999,
n. 4.627 nel 2000, con un incremento percentuale, rispetto al 1997, del
22,59% nel 1998, del 31,25% nel 1999 e del 24% nel 2000, anno in cui
si registra una lieve flessione quanto agli aspiranti ma con maggior
numero di domande rispetto al triennio precedente.
Per le motivazioni già evidenziate (possibilità di presentazione di
domande plurime da parte di ciascun aspirante) l’incremento percentuale delle domande è stato più contenuto nel triennio 97-99 (7,78%
per il 1997 e 8,30% per il 1999), mentre risulta più accentuato nel 2000
(+20,99%).
1997
1998
1999
2000
41
49
46
56
N. totale domande
15.171
16.351
16.430
18.355
N. totale aspiranti
3.731
4.574
4.897
4.627
4,1
3,6
3,4
3,9
N. totale incontri
Media domande per aspirante
Tabella relativa all’incremento percentuale delle domande e degli aspiranti
1997
1998
1999
2000
Domande
100
+ 7,78%
+ 8,30%
+20,99%
Aspiranti
100
+ 22,59%
+ 31,25%
+24%
Partecipazioni effettive.
Una percentuale considerevole di aspiranti, circa 1/3, non è stata
ammessa ai corsi richiesti per l’elevato numero di domande rispetto ai
posti disponibili.
Vi sono, infatti, corsi molto richiesti ed altri con domande insufficienti a coprire tutti i posti.
96
Ciò ha reso opportuno individuare delle apposite “griglie” che agevolino l’ammissione dei magistrati che negli ultimi due anni non
hanno partecipato ad alcun corso, attribuendo loro priorita’ assoluta
al corso indicato come prima preferenza nell’ambito della categoria di
appartenenza ove sono previste quote di partecipazione.
Ciò ha, tuttavia, condizionato la partecipazione effettiva dei magistrati, molti dei quali anche appartenenti alle fasce di età più alte, ed
alle qualifiche direttive, che sono stati esclusi dalla partecipazione ai
corsi in base ai criteri predeterminati delle “griglie” di ammissione,
specificati nel capitolo precedente.
È stato, inoltre, previsto, per l’anno 2000, per agevolare la maggiore partecipazione di aspiranti, che le quote riservate agli uditori
giudiziari in alcuni incontri non operino in diminuzione dei posti disponibili, con aumento, invece, dei relativi posti, previa diminuzione
di quelli derivanti dalle eventuali revoche da parte dei magistrati.
Ha, inoltre, influito sulla mancata partecipazione la distribuzione
dei posti disponibili in percentuale rispetto all’organico di ciascun distretto, criterio che corrisponde a valutazioni di equità ma che ha ristretto la partecipazione degli aspiranti dei distretti più piccoli.
1997
1998
1999
2000
Totale aspiranti
3.731
4.574
4.897
4.627
Totale partecipanti
2.290
3.086
3.294
3.177
Differenza
1.441
1.488
1.603
1.450
38,62%
32,53%
32,73%
31.3
1997
1998
1999
2000
Totale partecipazioni
2.659
3.740
3.996
3.936
Totale partecipanti
2.290
3.086
3.294
3.177
% di aspirazioni rimaste
insoddisfatte
Partecipazioni effettive
La diversità tra il totale delle partecipazioni ed il totale dei partecipanti è costituito dalle partecipazioni plurime, relative agli aspiranti che partecipano a più di un incontro di studi e che risulta in aumento, passando da 369 nel 1997, a 654 nel 1988 a 702 nel 1999 ed a
759 nel 2000.
Tale fenomeno è riferibile, prevalentemente, alla distribuzione del
numero di domande per corso, in quanto vi sono corsi per i quali il nu-
97
mero delle domande è inferiore al numero dei posti disponibili e risultano ammessi tutti gli aspiranti anche se partecipanti ad altri corsi.
In misura inferiore è attribuibile ai parametri predeterminati per
l’ammissione di ciascun partecipante allo specifico corso che tengono
conto degli obiettivi didattici fissati dal Comitato scientifico, delle
condizioni soggettive dell’aspirante, della quota di partecipazione attribuita al distretto cui appartiene ed è, quindi, correlata alla percentuale di domande complessive provenienti dal medesimo distretto.
Nel periodo 1991-1999, la percentuale dei magistrati che hanno
partecipato a più di tre corsi è trascurabile (solo lo 0,6%). La percentuale di partecipazione a tre incontri è inferiore al 2%, mentre aumenta considerevolmente il tasso di partecipazione a due incontri
(14,47%).
Nel triennio 1997-1999 la percentuale dei partecipanti a due incontri per anno è, sia pure in misura non rilevante, progressivamente
aumentata, passando dal 13,14 per il 1997, al 16,42 per il 1998, al
17,42 per il 1999.
DATI 1991 - 2000 PARTECIPAZIONI SINGOLE E PLURIME PER ANNO
NUMERO DI PARTECIPAZIONI
1
2
3
4
5
6
Totale
91
856
55
6
0
0
0
917
92
536
3
0
0
0
0
539
93
1116
113
10
1
0
0
1240
94
1745
306
40
5
0
0
2096
\95
1901
429
68
14
0
0
2412
96
2059
371
61
6
2
1
2500
97
1956
301
31
2
0
0
2290
98
2506
507
71
3
0
0
3087
99
2660
574
56
4
1
0
3295
2000
2848
496
77
6
0
0
3427
18183
3.155
420
41
3
1
21803
Totale
98
segue DATI 1991-2000 PARTECIPAZIONI SINGOLE E PLURIME PER ANNO
raffronto anni 97 – 2000 - valori assoluti
97
1956
301
31
2
0
0
2290
98
2506
507
71
3
0
0
3087
99
2660
574
56
4
1
0
3295
2000
2848
496
77
6
0
0
3427
Totale
9970
1878
235
15
1
0
12099
raffronto anni 97 – 2000 - in percentuale
97
85,41%
13,14%
1,35%
0,09%
0,00%
0,00%
98
81,18%
16,42%
2,30%
0,10%
0,00%
0,00%
99
80,73%
17,42%
1,70%
0,12%
0,03%
0,00%
2000
83,10%
14,47%
2,25%
0,18%
0,00%
0,00%
Totale
82,40%
15,52%
1,94%
0,12%
0,01%
0,00%
Rapporto tra posti disponibili e partecipazioni. Rinunce.
A fronte della mancata soddisfazione percentuale dell’attesa di
partecipazione si registra un tasso ancora considerevole di mancata
partecipazione sceso progressivamente dal 35,15 del 1997, al 23,67 del
1998, al 13,13 del 1999, ma salito in percentuale nell’anno 2000 (38,2).
In particolare va segnalato il fenomeno relativo al 1997, in cui
1441 posti su 4.100 disponibili sono rimasti scoperti.
Il numero delle rinunce è progressivamente aumentato passando
da 786 nel 1997, a 1.111 nel 1998, a 1215 nel 1999 ed a 2.137 nel 2000.
Le rinunce giustificate sono state 661 nel 1998, 1006 nel 1999, 873
nel 2000.
I dati sopra evidenziati inducono ad alcune riflessioni sulle cause
di detto fenomeno.
Essendo le ammissioni deliberate in un’unica soluzione, con cadenza annuale, esigenze sopravvenute riconducibili sia a motivi d’Ufficio, sia a situazioni familiari e personali, non consentono l’effettiva
partecipazione ai corsi di tutti gli ammessi.
La mancata partecipazione per ragioni di famiglia è stata rilevata
99
dal 20 ottobre 2000, mentre per il periodo precedente tale voce non è
stata oggetto di valutazione statistica ed i relativi dati non sono stati
estrapolati e fatti oggetto di rilevamento.
Le revoche per maternità o per esigenze di figli di età minore, fino
a 8 anni di età, pur non essendo, percentualmente, elevate (intorno al
5%), hanno, tuttavia, indotto il Consiglio a mettere a disposizione, in
via sperimentale, ed in aggiunta ai magistrati ammessi in via ordinaria, per ciascun incontro di studio, 5 posti destinati al recupero delle
mancate partecipazioni o mancate richieste di partecipazione, riconducibili alle cause di astensione obbligatoria e/o facoltativa per maternità e di congedo parentale.
Gli effetti conseguenti alla mancata copertura dei posti, appaiono
evidenti sia sotto il profilo dei risultati dell’intervento formativo che
sul piano economico per il pagamento delle prestazioni alberghiere
non erogate.
Si è parzialmente ovviato a tele inconveniente, sia ammettendo ai
corsi un numero superiore di aspiranti (generalmente 120) rispetto ai
posti disponibili (generalmente 100), tenendo conto della percentuale
presumibile di rinunce (circa 20), sia predisponendo un elenco di disponibili, in base all’ordine di graduatoria elaborato in base alle griglie
di ammissione, da ammettere in sostituzione dei rinuncianti, ove il
loro numero dovesse superare la maggiorazione del numero di ammessi.
Inoltre è stata introdotto un sistema di verifiche della mancata
partecipazione con conseguenze negative per l’aspirante nel caso di
non giustificata mancata partecipazione al corso.
Sono anche allo studio misure idonee a consentire il recupero da
parte del Consiglio di parte delle somme eventualmente erogate alle
strutture alberghiere.
100
Rapporto tra posti disponibili
e partecipazioni
1997
1998
1999
2000
N. totale incontri
41
49
46
56
Posti disponibili
(n. incontri * 100)
4.100
4.900
4.600
5600
Totale partecipazioni
2.659
3.740
3.996
3.936
Posti non coperti
1.441
1.160
604
401
35,15%
23,67%
13,13%
10,21%
1997
1998
1999
2000
692
333
28
5
8
37
3
5
% posti non coperti su
disponibili
Rinunce
Tipologia di rinunce
considerate
Revoca Ammissione
Revoca domanda
Revoca d’ufficio
2
Revoca Malattia Familiari
3
Revoca giustificata
661
Revoca ingiustificata
24
2
1006
873
28
Revoca lista d’attesa
742
Revoca partecipazione
obbligatoria
18
2
Rinuncia partecipazione
a Incontro
47
50
12
1
Rinuncia nei termini
1
0
164
481
Revoca ammissione
obbligatoria uditori
20
1
Revoca per maternità
N° totale delle rinunce
22
786
1.111
1.215
2.137
% Rinunce su posti
non coperti
54,55%
95,78%
201,16%
n.d.
% Rinunce su posti
disponibili
19,17%
22,67%
26,41%
38,2
101
Analisi delle domande di partecipazione.
Le domande di valutazioni sono state suddivise per qualifiche, per
età, per sesso, con suddivisione in assoluto e in valori percentuali.
Per qualifica.
La qualifica presa in esame è quella posseduta dagli aspiranti al
momento di scadenza della data di presentazione della domanda.
Nel quadriennio considerato (1997-2000) risulta un progressivo
aumento delle domande in quasi tutte le qualifiche, con sporadiche eccezioni, peraltro percentualmente poco rilevanti.
Il numero maggiore di domande (in media circa il 56%) riguarda
i giudici di Tribunale.
Il decremento delle domande dei giudici di Tribunale nel 2000, peraltro contenuto, va collegato alla sia al minor afflusso degli stessi rispetto agli anni precedenti, sia ai diversi tempi di immissione in possesso degli uditori.
Va segnalata l’aumentata richiesta di formazione da parte dei dirigenti, appartenenti alle diverse qualifiche.
102
ANALISI DELLE DOMANDE
Qualifica
N° DOMANDE
VALORI PERCENTUALI
1997
1998
1999
2000
Fds
1.497
1.630
1.859
1.812
Cassazione
1.502
1.537
1.779
Appello
2.523
2.737
Tribunale
8.728
Uditore
Totale complessivo
1997
1998
1999
2000
9,9%
10,0%
11,3%
9,9
1.991
9,9%
9,4%
10,8%
10,8
2.514
3.169
16,6%
16,7%
15,3%
17,3
9.196
9.348
10.135
57,5%
56,2%
56,9%
55,2
921
1.251
930
1.248
6,1%
7,7%
5,7%
6,8
15.171
16.351
16.430
18.355
100,0%
100,0%
100,0%
100%
103
Per età e sesso.
La distribuzione delle domande per età e sesso conferma il dato
relativo alla maggiore partecipazione percentuale dei magistrati di tribunale; infatti la maggiore percentuale di partecipanti si registra nella
fascia di età fino a 35 anni (anni 1997 e 1998), e da 36 a 45 anni (anni
1999 e 2000).
La percentuale di partecipanti con oltre 56 anni è più ridotta rispetto a quella delle prime due fasce anche in ragione del minor numero di magistrati appartenenti alle qualifiche superiori.
Occorre, inoltre, leggere con la dovuta attenzione il dato relativo
alla partecipazione femminile, influenzato dal fatto che le donne sono
entrate in magistratura dal 1963 e, pertanto, la loro percentuale di presenza, nelle fasce di età più elevate, è nettamente inferiore a quella dei
magistrati uomini. Così, relativamente alla qualifica di magistrati di
Cassazione idonei alle funzioni direttive superiori il numero delle
donne attualmente in servizio è di sole 77 unità a fronte delle 1055
unità maschili. In tale fascia la maggiore concentrazione femminile
spetta al distretto di Milano con 21 unità (a fronte di 74 uomini).
Tra i magistrati di Corte d’Appello la presenza femminile (648) pur
sempre ridotta rispetto a quella maschile (940), aumenta percentualmente rispetto alla qualifica superiore.
La presenza femminile è, invece, percentualmente superiore tra i
magistrati di tribunale (1601 donne a fronte di 1521 uomini).
Tenendo conto di tali dati,la partecipazione femminile relativa alle
qualifiche direttive non appare inferiore a quella degli uomini.
Il prospetto riepilogativo della presenza femminile e maschile,
utile ai fini di una corretta lettura della domanda di partecipazione,
suddiviso per distretti di Corte d’Appello è il seguente:
104
105
106
Appare anche utile, al fine di una corretta interpretazione delle
percentuali di partecipazione ai corsi, aver presente la distribuzione
dei magistrati, oltre che per sesso, anche per data di ingresso in magistratura:
107
* Tali dati risultano aggiornati dall’Ufficio statistica del C.S.M. dal
1985; è quindi, possibile che vi sia qualche non rilevante discrepanza
con i dati aggiornati dal 1965.
Va, segnalato che dal 1965 al 1978 la percentuale di donne che
hanno superato il concorso è molto bassa, anche per la minore percentuale di partecipazione alle prove d’esame, raggiungendo il picco
del 31% al concorso di cui al D.M. 27.6.1978 e solo negli anni successivi si è attestata su percentuali superiori, fino a raggiungere il 57%,
superando così la percentuale maschile, nel 1997.
Tali dati hanno influenzato la partecipazione ai corsi, riscontrandosi una maggiore partecipazione delle donne nella classe di età fino
a 35 anni, negli anni 1999 e 2000.
108
ANNO 1997
Età in classi
F
M
ANNO 1998
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
2.684
2.932
5.616
3.234
3.447
6.681
Da 36 a 45
2.439
3.160
5.599
2.470
3.340
5.810
Da 46 a 55
427
1.817
2.244
442
1.808
2.250
74
1.638
1.712
74
1.536
1.610
5.624
9.547
15.171
6.220
10.131
16.351
Oltre 56
Totale
complessivo
ANNO 1999
Età in classi
F
M
ANNO 2000
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
3.084
3.018
6.102
3.359
3.242
6.601
Da 36 a 45
2.668
3.548
6.216
3.269
4.169
7.438
Da 46 a 55
569
1.831
2.400
764
1.856
2.620
Oltre 56
119
1.593
1.712
111
1.585
1.696
6.440
9.990
16.430
7.503
10.852
18.355
Totale
complessivo
Valori percentuali
Per età e per sesso
ANNO 1997
Età in classi
ANNO 1998
F
M
Totale
complessivo
F
M
Totale
complessivo
Sino a 35
48%
52%
100%
48%
52%
100%
Da 36 a 45
44%
56%
100%
43%
57%
100%
Da 46 a 55
19%
81%
100%
20%
80%
100%
4%
96%
100%
5%
95%
100%
37%
63%
100%
38%
62%
100%
Oltre 56
Totale
complessivo
109
Valori percentuali
Per età e per sesso
ANNO 1999
Età in classi
ANNO 2000
F
M
Totale
complessivo
F
M
Totale
complessivo
Sino a 35
51%
49%
100%
51%
49%
100%
Da 36 a 45
43%
57%
100%
44%
56%
100%
Da 46 a 55
24%
76%
100%
29%
71%
100%
7%
93%
100%
7%
93%
100%
39%
61%
100%
41%
59%
100%
Oltre 56
Totale
complessivo
ANNO 1997
Età in classi
F
M
Sino a 35
48%
31%
Da 36 a 45
43%
Da 46 a 55
Oltre 56
Totale
complessivo
ANNO 1998
Totale
F
M
37%
52%
34%
41%
33%
37%
40%
33%
36%
8%
19%
15%
7%
18%
14%
1%
17%
11%
1%
15%
10%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
ANNO 1999
Età in classi
F
M
Sino a 35
48%
30%
Da 36 a 45
41%
Da 46 a 55
Oltre 56
Totale
complessivo
110
Totale
ANNO 2000
Totale
F
M
Totale
37%
45%
30%
36%
36%
38%
44%
38%
41%
9%
18%
15%
10%
17%
14%
2%
16%
10%
1%
15%
9%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
Domande con partecipazione effettiva.
Trattasi dell’analisi della partecipazione effettiva per singolo magistrato, che va distinta dalla effettiva partecipazione ai singoli corsi in
cui possono esservi partecipazioni plurime dello stesso magistrato
ammesso a due o più incontri.
In termini percentuali la maggiore partecipazione spetta ai magistrati di tribunale, anche perché percentualmente in numero maggiore,rispetto alle altre qualifiche (57,5% nel 1997, 51,4% nel 1998, 49,7%
nel 1999, 52% nel 2000), mentre minore è la partecipazione dei magistrati di Cassazione e di quelli con funzioni direttive superiori.
Domande concluse con partecipazione effettiva
Qualifica
1997
1998
1999
Fds
294
414
Cassazione
294
Appello
Tribunale
Uditore
Totale
complessivo
2000
1997
1998
1999
2000
582
360 11,1% 11,1% 14,6%
9,1%
363
462
449 11,1%
492
620
583
637 18,5% 16,6% 14,6% 16,7%
1.528
1.924
1.986
2.048 57,5% 51,4% 49,7% 52,0%
51
419
383
422
2.659
3.740
3.996
3.936
9,7% 11,6% 11,4%
1,9% 11,2%
100%
100%
9,6% 10,7%
100%
100%
111
1997
Età in classi
F
1998
M
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
402
447
849
741
794
1.535
Da 36 a 45
440
581
1.021
543
715
1.258
Da 46 a 55
94
381
475
104
435
539
Oltre 56
12
302
314
18
390
408
948
1.711
2.659
1.406
2.334
3.740
Totale
complessivo
1999
Età in classi
F
2000
M
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
703
725
1.428
722
746
1.468
Da 36 a 45
585
832
1.417
658
881
1.539
Da 46 a 55
136
466
602
170
421
591
30
519
549
18
320
338
1.454
2.542
3.996
1.568
2.368
3.936
Oltre 56
Totale
complessivo
Per età e per sesso, valori percentuali
1997
Età in classi
F
M
1998
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
47,3%
52,7%
100,0%
48,3%
51,7%
100,0%
Da 36 a 45
43,1%
56,9%
100,0%
43,2%
56,8%
100,0%
Da 46 a 55
19,8%
80,2%
100,0%
19,3%
80,7%
100,0%
3,8%
96,2%
100,0%
4,4%
95,6%
100,0%
35,7%
64,3%
100,0%
37,6%
62,4%
100,0%
Oltre 56
Totale
complessivo
112
Per età e per sesso, valori percentuali
1999
Età in classi
F
2000
M
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
49,2%
50,8%
100,0%
49,2%
50,8%
100,0%
Da 36 a 45
41,3%
58,7%
100,0%
42,8
57,2%
100,0%
Da 46 a 55
22,6%
77,4%
100,0%
28,8
71,2%
100,0%
5,5%
94,5%
100,0%
5,3
94,7%
100,0%
36,4%
63,6%
100,0%
39,8% 60,2%%
100,0%
Oltre 56
Totale
complessivo
Per età e per sesso, valori percentuali
1997
Età in classi
F
M
1998
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
42,4%
26,1%
31,9%
52,7%
34,0%
41,0%
Da 36 a 45
46,4%
34,0%
38,4%
38,6%
30,6%
33,6%
Da 46 a 55
9,9%
22,3%
17,9%
7,4%
18,6%
14,4%
Oltre 56
1,3%
17,7%
11,8%
1,3%
16,7%
10,9%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
Totale
complessivo
Per età e per sesso, valori percentuali
1999
Età in classi
F
M
2000
Totale
F
M
Totale
Sino a 35
48,3%
28,5%
35,7%
46,0%
31,5%
37,3%
Da 36 a 45
40,2%
32,7%
35,5%
42,0%
37,2%
39,1%
Da 46 a 55
9,4%
18,3%
15,1%
10,8%
17,8%
15,0%
Oltre 56
2,1%
20,4%
13,7%
1,1%
13,5%
8,6%
100%
100%
100%
100%
100%
100%
Totale
complessivo
113
Mancata richiesta di partecipazione.
Tale analisi consente di evidenziare la mancanza di interesse alle
iniziative formative o le difficoltà di conciliare il momento formativo
con altre esigenze, anche connesse allo spostamento dal luogo di residenza alla sede del corso.
Non sembra che la mancata richiesta di partecipazione possa essere posta in relazione con il numero di posti disponibili, nell’arco
temporale di riferimento (circa 5.600), a fronte di un numero di magistrati superiore a 8.000 unità.
Non appare, pertanto, utile, al riguardo, aumentare l’offerta formativa.
Le cause della mancata richiesta di partecipazione possono essere
così distinte:
1 assenza di bisogno formativo
2 offerta formativa non corrispondente al bisogno formativo
3 offerta formativa corrispondente al bisogno formativo, ma inadeguata sul piano
4 qualitativo (per metodo e/o per contenuti);
5 impossibilità di partecipazione per inconciliabilità delle date
previste con:
esigenze personali e familiari
6 esigenze di ufficio
7 altre cause:
7 a) incidenza negativa dei tempi totali di viaggio;
7 b) durata eccessiva del corso
7 c) collocamento del corso nei fine settimana con impegno di
lavoro anche in giorni non lavorativi
7 d) calendarizzazione del corso in prossimità del periodo feriale (subito prima o subito dopo)
7 e) calendarizzazione del corso in prossimità delle festività natalizie e pasquali
8 impegni familiari in presenza di figli
a. con età fino a 3 anni
b. con età > a 3 anni e fino a 8
c. con età superiore a 8 anni
9 impegni personali in presenza di familiari con situazione di salute significativamente apprezzabili.
Nel quadriennio di riferimento la maggiore percentuale della
mancata richiesta di partecipazione, in relazione alle funzioni effettivamente esercitate spetta ai Consiglieri della Corte di Cassazione con
114
percentuali del 92,3% per il 1997, del 90,4% per il 1998 e del 88,8% per
il 1999.
La minore percentuale e, quindi, la maggiore domanda di partecipazione, spetta ai giudici ed ai sostituti procuratori della Repubblica,
con percentuali inferiori, rispettivamente, nel biennio 1998, 1999, al
31% e 36%.
Tuttavia la percentuale dei magistrati che non hanno avanzato alcuna domanda di partecipazione, in progressiva diminuzione nel
triennio 1997-1999, essendo variata dal 54% nel 1997, al 41% nel 1999,
pur con un incremento dei magistrati in servizio di 126 unità rispetto
al 1997, ed è, invece, aumentata nel 2000, raggiungendo la percentuale complessiva del 48,2%.
Altro elemento da tenere presente è che la domanda dio partecipazione diminuisce con l’aumentare dell’età.
Oltre il 50% è la mancanza di richieste da parte dei semidirettivi e
del 66% è la percentuale di mancanza di domande dei Presidenti delle
sezioni lavoro.
Maggiore è, invece, la richiesta da parte dei dirigenti degli Uffici
con una percentuale di mancanza di domande del 27,6% nel 1999.
L’aumentata richiesta di formazione da parte dei dirigenti, rispetto ai colleghi con pari qualifica, va correlata con la sempre maggiore
esigenza di professionalità, anche manageriale, dei capi degli Uffici
Vi è un “trend” discendente di mancanza di richieste per le donne
(31,3% nel 1999), e per gli uomini (46,1%), nel triennio 1997-1999, è,
invece, aumentata per le donne, fino a raggiungere il 34,9% della percentuale di mancanza di richiesta complessiva,con un indice di mancanza di richiesta del 85,4% nella fascia di età da 36 a 45 anni.
115
ANALISI DELLA MANCATA RICHIESTA DI PARTECIPAZIONE
Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze
ANNO 1997
Età in classi
In
Non
carriera richiedenti
al
16/11/1996
ANNO 1998
%
In
Non
carriera richiedenti
al
31/10/1997
%
Sino a 35
2.497
978
39%
2.362
630
27%
Da 36 a 45
2.396
1.134
47%
2.582
954
37%
Da 46 a 55
1.586
1.019
64%
1.500
818
55%
Oltre 56
1.979
1.596
81%
1.995
1.463
73%
Totale
complessivo
8.458
4.727
56%
8.439
3.865
46%
Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze
ANNO 1999
Età in classi
In
Non
carriera richiedenti
al
28/11/1998
ANNO 2000
%
In
Non
carriera richiedenti
al
20/10/1999
%
Sino a 35
2.541
838
2.904
847
29,2%
Da 36 a 45
2.706
889
1.570
1.029
65,5%
Da 46 a 55
1.522
773
2.024
860
41,9%
Oltre 56
2.044
1.416
2.402
1.567
65,2%
Totale
complessivo
8.813
3.916
8.930
4.303
48,2%
116
ANALISI DELLA MANCATA RICHIESTA DI PARTECIPAZIONE
Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze
ANNO 1997
Età in classi
In
carriera
al
16/11/1996
Donne
ANNO 1998
%
In
carriera
al
31/10/1997
Donne
%
Sino a 35
2.497
548
22%
2.362
371
16%
Da 36 a 45
2.396
454
19%
2.582
408
16%
Da 46 a 55
1.586
155
10%
1.500
129
9%
Oltre 56
1.979
48
2%
1.995
54
3%
Totale
complessivo
8.458
1.205
14%
8.439
962
11%
Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze
ANNO 1999
Età in classi
In
carriera
al
28/11/1998
Donne
ANNO 2000
%
In
carriera
al
20/10/1999
Donne
%
Sino a 35
2.541
484
19%
2.904
1.292
44,5%
Da 36 a 45
2.706
420
16%
1.570
1.340
85,4%
Da 46 a 55
1.522
145
10%
2.054
366
17,8%
Oltre 56
2.044
73
4%
2.402
122
5,1%
Totale
complessivo
8.813
1.122
13%
8.930
3.120
34,9%
117
Per funzioni*
ANNO 1997
Funzione
In
Non
carriera richiedenti
al
16/11/1996
ANNO 1998
%
In
Non
carriera richiedenti
al
31/10/1997
%
Consigliere di
Corte di Appello
414
302
73%
384
269
70%
Consigliere di
Corte di
Cassazione
100
93
93%
86
79
92%
1664
884
53%
1609
726
45%
90
37
41%
83
38
46%
Magistrato di
Sorveglianza
116
46
40%
106
29
27%
Presidente
Sezione
di Tribunale
185
140
76%
166
100
60%
12
8
67%
11
7
64%
1796
866
48%
1880
733
39%
Sostituto
Procuratore
della Repubblica
684
332
49%
654
270
41%
Sostituto
Procuratore
della Repubblica
c/o la Pretura
667
251
38%
724
193
27%
Sostituto
Procuratore
Generale c/o Corte
di Cassazione
27
24
89%
23
20
87%
Sostituto
Procuratore
Generale presso la
Corte di Appello
115
66
57%
110
62
56%
Giudice
Giudice Tribunale
per i minorenni
Presidente
Sezione
Lavoro
Pretore
118
Per funzioni*
ANNO 1999
Funzione
Consigliere di
Corte di Appello
In
Non
carriera richiedenti
al
28/11/1998
%
361
239
66%
75
69
92%
1552
716
46%
81
27
33%
Magistrato di
Sorveglianza
5
3
60%
Presidente
Sezione
di Tribunale
16
16
100%
Presidente
Sezione
Lavoro
3
3
100%
Pretore
6
5
83%
Sostituto
Procuratore
della Repubblica
5
4
80%
Sostituto
Procuratore
della Repubblica
c/o la Pretura
631
255
40%
Sostituto
Procuratore
Generale c/o Corte
di Cassazione
786
191
24%
Sostituto
Procuratore
Generale presso la
Corte di Appello
20
15
75%
Consigliere di
Corte di
Cassazione
Giudice
Giudice Tribunale
per i minorenni
* Non sono ancora disponibili i dati relativi al 2000.
119
b) Per funzioni direttive, semidirettive e altro*
ANNO 1997
Macro
funzione
Funzioni Dir.
Superiori
In
Non
carriera richiedenti
al
16/11/1996
ANNO 1998
%
In
Non
carriera richiedenti
al
31/10/1997
%
79
72
91%
60
57
95%
Funzioni
direttive
203
159
78%
164
109
66%
Funzioni
Semi-Dir.
328
263
80%
261
174
67%
Altro
7848
4233
54%
7954
3525
44%
Totale
complessivo
8458
4727
56%
8439
3865
46%
b) Per funzioni direttive, semidirettive e altro*
ANNO 1999
Macro
funzione
Funzioni Dir.
Superiori
In
Non
carriera richiedenti
al
28/11/1998
ANNO 2000
%
In
Non
carriera richiedenti
al
21/10/1999
%
49
45
92%
97
76
78,4%
Funzioni
direttive
135
69
51%
404
279
69,1%
Funzioni
Semi-Dir.
223
125
56%
620
404
65,2%
Altro
8406
3677
44%
7.809
3.544
45,4%
Totale
complessivo
8813
3916
44%
8.930
4.303
48,2%
120
Per qualifiche
ANNO 1997
Qualifiche
In
Non
carriera richiedenti
al
16/11/1996
ANNO 1998
%
In
Non
carriera richiedenti
al
31/10/1997
%
Funzioni direttive
superiori
2005
1605
80%
1975
1441
73%
Magistrato di
cassazione
1119
736
66%
1110
641
58%
Magistrato di
appello
1473
821
56%
1440
637
44%
Magistrato
tribunale
3292
1245
38%
3370
919
27%%
569
320
56%
544
227
42%
8458
4727
56%
8439
3865
46%
Uditore
Totale
complessivo
Per qualifiche
ANNO 1999
Qualifiche
In
Non
carriera richiedenti
al
28/11/1998
ANNO 2000
%
In
Non
carriera richiedenti
al
21/10/1999
%
Funzioni direttive
superiori
2067
1396
68%
2.093
1.571
75,1%
Magistrato di
cassazione
1173
610
52%
1.270
722
56,9%
Magistrato di
appello
1304
543
42%
1.414
589
41,7%
Magistrato
tribunale
3472
854
25%
3.311
873
26,4%
797
513
64%
842
548
65,1%
8813
3916
44%
8.930
4.303
48,2%
Uditore
Totale
complessivo
121
Partecipazione per territorio.
La mancata richiesta di partecipazione si attesta, nel quadriennio
97-2000 sulla media del 47,8%.
La maggiore domanda di partecipazione proviene proprio da distretti di Corte d’appello più piccoli e da parte dei magistrati più giovani, che hanno, quindi, una percentuale minore di mancata richiesta,
quali Caltanissetta (32,95%), Reggio Calabria (35,8%), Potenza
(38,1%), Catanzaro (35,8%).
Tale dato va letto ed interpretato alla luce del maggior bisogno di
formazione dei giovani magistrati, generalmente alle prime esperienze, percentualmente superiori in tali distretti, e con la necessità di superare i “gap” formativi rispetto ai colleghi che prestano servizio nei
distretti più grandi, generalmente con maggiore anzianità di servizio
e, quindi, di esperienza, ed ove è più agevole lo scambio culturale ed
il confronto sulle varie tematiche.
122
Partecipazione per territorio (distretto)
ANNO 1997
Distretto
ANCONA
BARI
BOLOGNA
BRESCIA
CAGLIARI
CALTANISSETTA
CAMPOBASSO
CATANIA
CATANZARO
FIRENZE
GENOVA
L'AQUILA
LECCE
MESSINA
MILANO
NAPOLI
PALERMO
PERUGIA
POTENZA
REGGIO CALABRIA
ROMA
SALERNO
TORINO
TRENTO
TRIESTE
VENEZIA
Corte Suprema
di Cassazione
Ministero di
Grazia e Giustizia
Sez. distaccata
BOLZANO
Sez. distaccata
SASSARI
Sez. distaccata
TARANTO
Altro
Totale
complessivo
Totale
complessivo
Non
richiedenti
157
281
396
228
138
81
59
279
205
403
291
155
156
130
780
903
369
102
82
141
846
191
494
65
148
367
95
139
223
107
75
45
30
143
95
216
169
87
79
87
462
450
183
62
39
73
529
100
260
27
67
156
517
ANNO 1998
%
Totale
complessivo
Non
richiedenti
%
60,5%
49,5%
56,3%
46,9%
54,3%
55,6%
50,8%
51,3%
46,3%
53,6%
58,1%
56,1%
50,6%
66,9%
59,2%
49,8%
49,6%
60,8%
47,6%
51,8%
62,5%
52,4%
52,6%
41,5%
45,3%
42,5%
151
276
382
229
136
91
56
294
223
389
281
152
157
132
774
904
393
99
86
153
845
191
504
66
145
361
76
99
182
91
53
27
23
120
89
177
134
75
57
72
381
336
161
50
25
53
447
89
207
17
40
146
50,3%
35,9%
47,6%
39,7%
39,0%
29,7%
41,1%
40,8%
39,9%
45,5%
47,7%
49,3%
36,3%
54,5%
49,2%
37,2%
41,0%
50,5%
29,1%
34,6%
52,9%
46,6%
41,1%
25,8%
27,6%
40,4%
440
85,1%
481
404
84,0%
208
126
60,6%
208
123
59,1%
57
30
52,6%
56
17
30,4%
89
43
48,3%
93
38
40,9%
86
54
40
50
46,5%
92,6%
89
42
18
38
20,2%
90,5%
8.458
4.727
55,9%
8.439
3.865
45,8%
123
Partecipazione per territorio (distretto)
ANNO 1999
Distretto
ANCONA
BARI
BOLOGNA
BRESCIA
CAGLIARI
CALTANISSETTA
CAMPOBASSO
CATANIA
CATANZARO
FIRENZE
GENOVA
L'AQUILA
LECCE
MESSINA
MILANO
NAPOLI
PALERMO
PERUGIA
POTENZA
REGGIO CALABRIA
ROMA
SALERNO
TORINO
TRENTO
TRIESTE
VENEZIA
Corte Suprema
di Cassazione
Ministero di
Grazia e Giustizia
Sez.distaccata
BOLZANO
Sez.distaccata
SASSARI
Sez.distaccata
TARANTO
Altro
Totale
complessivo
124
Totale
complessivo
Non
richiedenti
140
274
372
223
134
97
55
295
238
370
272
152
154
135
770
867
409
89
93
162
809
194
505
63
148
338
62
92
157
76
47
24
19
104
64
163
110
61
58
58
318
302
116
39
33
39
434
78
194
20
44
107
451
ANNO 2000
%
Totale
complessivo
Non
richiedenti
%
44,3%
33,6%
42,2%
34,1%
35,1%
24,7%
34,5%
35,3%
26,9%
44,1%
40,4%
40,1%
37,7%
43%
41,3%
34,8%
28,4%
43,8%
35,5%
24,1%
53,8
40,2%
38,4%
31,7%
29,7%
31,7%
152
295
405
235
145
106
56
325
254
417
294
163
158
146
799
989
416
95
94
179
979
202
525
64
153
360
71
110
194
100
54
23
20
138
77
210
164
83
62
67
397
414
142
52
38
59
635
94
263
20
58
142
46,7%
37,3%
47,9%
42,6%
37,2%
21,7%
35,7%
42,5%
30,3%
50,4%
55,8%
50,9%
39,2%
45,9%
49,7%
41,9%
34,1%
54,7%
40,4%
33%
64,9%
46,5%
50,1%
31,3%
37,9%
39,4%
378
83,8%
437
358
81,9%
192
109
56,8%
209
141
67,5%
55
16
29,1%
56
14
25%
84
28
33,3%
93
35
37,6%
96
37
28
36
29,2%
97,3%
92
37
32
36
34,8%
97,3%
8.273
3.415
41,3%
8930
4.303
48,2%
2.D. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo della partecipazione ai corsi.
Variazione dei flussi di partecipazione.
Non si è in possesso, per il triennio 1994-1996, di tutti i parametri
di riferimento elaborati per il quadriennio successivo. Il confronto avverrà, quindi, con i dati omogenei dei quali si è ottenuta la disponibilità per ciascun periodo di riferimento.
Il confronto con il triennio precedente appare utile al fine di verificare il mutamento dei flussi di partecipazione dei magistrati ai corsi
di formazione, non solo in percentuale assoluta, ma anche con riferimento alle qualifiche, al sesso, al territorio
Nel triennio 1994-1996 si segnala un progressivo aumento dei partecipanti, passati da 2096 nel 1994 a 2500 nel 1996, che poi, con la sola
eccezione del 1997 (solo 2.290 partecipanti) è aumentato nel triennio
successivo, raggiungendo, nel 2000 n. 3177 unità.
Le partecipazioni plurime non subiscono, nei due periodo di riferimento, variazioni apprezzabili, anche se appaiono percentualmente
maggiori quelle relative ad una sola partecipazione nell’ultimoquadriennio, con una punta massima dell’85,41% nel 1997, rispetto al
massimo indice del 83,25 del 1994. In ciascuno dei periodi di riferimento, risultano inferiori all’1% le partecipazioni plurime superiori ai
tre corsi annuali per magistrato.
Numero di partecipazioni per magistrati
Triennio 1994-1996
Anno
1
2
3
4
5
6
Totale
94
1745
306
40
5
0
0
2096
95
1901
429
68
14
0
0
2412
96
2059
371
61
6
2
1
2500
125
Anno 1998 (offerta formativa).
dir. e proc
minori
dir. econ.
giud. e soc
1
1
1
1
1
2
1
1
1
2
In termini percentuali:
I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano:
dir. e proc
minori
dir. econ.
giud. e soc
685
161
365
607
311
996
300
161
365
907
dir. econ.
giud. e soc
1
1
1
1
1
1
In termini percentuali:
Anno 1999 (offerta formativa).
dir. e proc
minori
1
2
2
3
In termini percentuali:
143
I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano:
dir. e proc
minori
326
326
dir. econ.
giud. e soc
278
155
532
372
250
476
1060
1003
dir. econ.
giud. e soc
In termini percentuali:
Anno 2000 (offerta formativa).
dir. e proc
minori
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
7
144
1
3
In termini percentuali:
I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano:
dir. e proc
858
minori
420
478
dir. econ.
giud. e soc
459
338
132
849
222
96
484
3119
420
797
In termini percentuali:
145
2.F. La valutazione statistica del gradimento per i corsi espresso su base
oggettiva.
L’esame delle schede di valutazione redatte dai partecipanti ai
corsi conferma la sostanziale adesione dei destinatari alla proposta
formativa del Consiglio, e quindi il gradimento per l’attività prestata in
questi anni nel settore civile.
La formulazione dei giudizi sui corsi e sulle singole questioni affidate ai relatori all’interno di ciascun corso, nonché la formulazione di
proposte, di richieste e di suggerimenti per il futuro costituiscono allo
stato l’unico momento in cui i destinatari della formazione e dell’aggiornamento professionale possono interloquire attivamente, ed in
modo formale, sulle scelte operate dal Consiglio. Di qui, il rilievo dell’attività di ricognizione e valutazione delle schede redatte dai partecipanti ai corsi, al fine di appurare se ed in quale misura l’offerta formativa abbia corrisposto ai bisogni dei destinatari, e verso quali contenuti e con quali metodologie essa debba essere indirizzata per il futuro.
La valutazione su basi statistiche delle schede redatte in questi
anni sconta tuttavia alcuni fattori che limitano l’affidabilità dei risultati cui essa sembra condurre.
Si fa riferimento innanzi tutto al numero abbastanza limitato dei
corsi per i quali sono disponibili i risultati dello spoglio delle schede4.
Quindi, alle metodologie non uniformi con cui le schede sono state
esaminate nel corso del tempo, dal momento che raramente si è rite-
4
Per l’anno 1997: i titoli di credito; i bilanci delle imprese; i pretori civili; aggiornamento per l’esercizio delle funzioni civili. Per l’anno 1998: le prove nel processo civile; approfondimenti sull’attuazione del nuovo rito civile; il punto sul nuovo rito civile ordinario;
il contenzioso con la pubblica amministrazione; aggiornamento per l’esercizio di funzioni
civili; approfondimenti sull’attuazione del nuovo rito civile; questioni attuali di diritto assicurativo; le regole delle operazioni bancarie nell’erogazione del credito; l’attività bancaria e
la crisi dell’impresa; la responsabilità degli amministratori e dei sindaci; diritto del lavoro e
della previdenza sociale; il giudizio di impugnazione; il processo esecutivo civile: problemi
attuali e prospettive di riforma. Per l’anno 1999: il punto sul nuovo rito civile ordinario; la
tutela della persona nella famiglia e nella società; la tutela sommaria cautelare; il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; la cooperazione internazionale in materia civile; la tutela sommaria non cautelare: gli stranieri nella società multietnica; il procedimento per ingiunzione; possesso, proprietà, condominio; successioni, donazioni e scioglimento
delle comunioni; il diritto marittimo; appalto privato e pubblico; il diritto di famiglia; Per
l’anno 2000: il contenzioso in materia di lavoro e di previdenza sociale; la tutela sommaria
cautelare: il procedimento e l’ambito di attuazione con particolare riferimento ai provvedimenti d’urgenza in materia di diritto industriale; il punto sul nuovo rito civile ordinario; la
dichiarazione dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento: prassi, questioni dibattute, novità legislative; il contenzioso in tema di immissioni; nuove frontiere di tutela
146
nuto di evidenziare il numero complessivo di coloro che – per ciascun
corso – hanno redatto le schede valutative; senza contare che spesse
volte ci si è affidati a giudizi riassuntivi di natura sintetica e, talvolta,
meramente intuitiva anche in ordine ai gradimenti ed ai dissensi
espressi dai partecipanti per ciascun argomento proposto nei vari
corsi. Il che, all’evidenza, rende problematica la valutazione in termini statistici dell’espressione di gradimento per ciascun corso e per ciascuna area tematica. Da ultimo, deve considerarsi che non tutti i partecipanti ai corsi sono soliti redigere le schede loro affidate, chè – anzi
– la percentuale di quanti si danno carico del compito ammonta in
media a circa. la metà dei partecipanti. Ciò pone la questione dei termini di relazione rispetto ai quali l’indagine dev’essere operata, questione che è sembrato corretto risolvere ponendo in relazione esclusivamente i giudizi espressi, positivi e negativi che fossero, ed escludendo quindi che potesse attribuirsi un valore significante – positivo o negativo – all’omessa redazione delle schede. E tuttavia, non può essere
ignorata la maggiore propensione psicologica degli scontenti ad esternare la loro insoddisfazione, rispetto all’atteggiamento di chi ritiene
congrua e soddisfacente la partecipazione all’attività di aggiornamento professionale proposta.
Ciononostante, l’aggregazione dei giudizi disponibili relativi al
quadriennio 1997-2000 evidenzia per il settore civile un gradimento
medio altissimo, in termini quasi totalitari, dal momento che su ca.
10.000 giudizi espressi dai partecipanti sui vari temi ed argomenti di
ciascun corso civile preso in considerazione, soltanto 474 sono stati i
giudizi di assoluta inutilità. Il che, tradotto graficamente, implica:
della persona; la prova documentale; l’esecuzione forzata; tirocinio ordinario civile per uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (primo gruppo); tirocinio ordinario civile per
uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (secondo gruppo); tirocinio ordinario civile
per uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (terzo gruppo); questioni attuali in materia di condominio e locazioni.
147
Il dato appare tanto più significativo in quanto, ove si ponga
mente alle ragioni allegate solitamente da quanti si sono espressi in
termini negativi, emerge con chiarezza che spesse volte il giudizio sull’utilità degli argomenti proposti e, quindi, sull’utilità complessiva del
corso, è condizionato dal giudizio formatosi sui relatori, con una evidente propensione a ritenere inutile un tema o un argomento solo in
quanto trattato in modo asseritamente non adeguato. Il che, seppure
è comprensibile, dal momento che la riuscita ed il gradimento complessivo di un corso sono il risultato di una congerie complessa di fattori, finisce col porre sul medesimo piano problemi che hanno scaturigine diversa e che debbono trovare differenti soluzioni.
Tralasciando il dettaglio concernente l’anno 1997, per la scarsa significatività dei dati a disposizione5, può dirsi che per gli anni 1998,
1999 e 2000 il gradimento espresso per i vari temi trattati nei corsi si
presenta in modo stabile e non si riscontrano oscillazioni particolari.
Al di là di veri e propri fraintendimenti sull’oggetto del corso, peraltro non rari, può rilevarsi che le ragioni più di frequente poste a
base del giudizio negativo, sono ravvisabili nella scarsa attinenza
dell’argomento rispetto al lavoro in concreto svolto dai partecipanti e nel carattere troppo teorico dell’argomento. Il che sembra evidenziare l’apprezzamento per argomenti e temi per i quali possa individuarsi un nesso immediato e visibile con le funzioni esercitate. La
critica e talvolta l’insofferenza sembrano emergere, peraltro nelle limitatissime percentuali sopra riportate, anche quando all’interno di
uno stesso corso appaia evidente il tentativo di dosare e armonizzare
relazioni ed argomenti di carattere introduttivo e generale con altri
specificamente destinati a soddisfare esigenze di immediato carattere
tecnico-professionale.
Un ulteriore frequente motivo di perplessità nella valutazione dei
corsi è dato dall’eccessiva frammentazione degli argomenti e dal conseguente eccessivo numero di relazioni.
Il dato può forse essere letto quale sintomo di un disagio più profondo, che stenta ad essere chiaramente percepito ed esternato, verso didattiche che mirano anch’esse all’eccessivo approfondimento dei temi,
sotto profili squisitamente teorici, e che si svolgono con modalità che attribuiscono ai partecipanti un ruolo esclusivamente passivo.
5
Dati dai quali emergerebbe un gradimento per i temi trattati nei corsi addirittura pari
al 99% dei giudizi espressi.
148
Sotto questo profilo, non sembra casuale l’apprezzamento in genere manifestato per i corsi di taglio seminariale, per taluno dei quali
(si pensi in particolare all’incontro su Possesso, proprietà e condominio
o su Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti) non è dato riscontrare alcuna perplessità in ordine all’utilità di tutti quanti gli argomenti trattati e, quindi, dei corsi nella loro intierezza. Ed analogamente è a dirsi per quegli incontri di studio in cui è stata adottata una
didattica interattiva con i partecipanti, chiamati ad interloquire costantemente con i relatori sulle singole questioni volta per volta trattate6.
Richiamando le distinzioni operate a proposito dei flussi di partecipazione ai corsi, i dati concernenti il gradimento espresso dai partecipanti possono esser scomposti e riaggregati per aree tematiche che
tengano conto del carattere omogeneo delle materie oggetto dei vari
incontri di studio.
6
Si pensi, in via esclusivamente esemplificativa, al corso su Il punto sul nuovo rito ordinario-1999, per il quale l’area dei consensi raggiunge la percentuale del 98%. Non mancano tuttavia corsi tenuti con il metodo tradizionale delle relazioni seguite da dibattito, in cui
si sono conseguiti analoghi se non migliori risultati in termini di gradimento percentuale,
praticamente totalitario (si pensi, in via esemplificativa, al corso sulle Immissioni – 1999).
149
Risulta dall’operazione che l’area tematica che più di altra sembra
aver sofferto di un deficit di gradimento è quella del diritto del lavoro.
L’esame delle schede ha evidenziato in particolare un numero sensibile di doglianze concernenti il carattere astratto e lontano dai concreti
problemi applicativi dei temi e degli argomenti oggetto dei relativi
corsi. Va comunque precisato che la doglianza concerne in realtà i
corsi rientranti nell’area del diritto sostanziale, mentre ne appaiono in
larga parte esenti i corsi di diritto processuale espressamente destinati a quel rito, peraltro come si è detto rari.
2.G. La valutazione di impatto formativo per grandi aree tematiche.
La presentazione dell’offerta formativa per aree tematiche, introdotta con il programma del 1999, può essere utilizzata anche per rappresentare tutto il quadriennio 1997-2000 in quanto consente di evidenziare plasticamente gli ambiti dell’intervento formativo ed i loro
reciproci collegamenti.
Società e questioni contemporanee.
Questa offerta formativa si è proposta di stimolare l’approfondimento, sul piano giuridico e sociologico, di alcuni grandi problemi
150
della società contemporanea che hanno stretta attinenza con l’esercizio dell’attività giurisdizionale; a tal fine è stato spesso richiesto il contributo, rivelatosi proficuo, degli esperti di scienze mediche e sociali.
Nell’ambito di quest’area sono stati trattati, a partire dal 1998, i seguenti temi:
1998: Bioetica e tutela della persona. Magistratura e mass media.
1999: La tutela della persona nella famiglia e nella società. Conciliazione, mediazione e riparazione. Gli stranieri nella società multietnica. Biologia, biotecnologie e diritto. La tutela dell’ambiente tra diritto ed economia.
2000: L’infanzia abusata. Nuove frontiere di tutela della persona.
Diritto, processo e tempo. Gli stranieri in Italia. Tutela della “privacy”
e circolazione delle informazioni.
Diritto comunitario, internazionale e comparato.
Si tratta di un’area della formazione, assai consistente per quantità e qualità dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e
del diritto comunitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre più rilevanti e complesse attività di cooperazione
tra i magistrati italiani e le autorità giudiziarie straniere. In questo
quadro l’offerta formativa ha prestato costante attenzione alle fonti
del diritto europeo, seguendone con tempestività l’evoluzione.
1997: Diritto comunitario e cooperazione penale. Diritto comunitario e diritto internazionale privato. Ordinamento giudiziario comparato, con particolare riferimento all’obbligatorietà e discrezionalità
dell’azione e alla posizione ordinamentale del pubblico ministero. Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero (Italia - Spagna). Corso decentrato di diritto comunitario e internazionale.
1998: Corso decentrato di diritto comunitario e internazionale.
1999: Formazione dei formatori: il tirocinio degli uditori in Spagna e in Italia. La cooperazione internazionale in materia civile. Strategie di contrasto alla criminalità organizzata: modelli organizzativi e
prospettive di integrazione in ambito europeo. Formazione globale
per i magistrati addetti alle nuove forme di cooperazione giudiziaria
in materia penale. Corso decentrato di diritto comunitario. Garanzia
del “giusto processo” nei sistemi penali spagnolo e italiano. Evoluzione delle procedure penali in Europa. Il “référe” nell’ordinamento processuale civile francese.
151
2000: La fase esecutiva del processo penale in Europa. Le nuove
forme delle attività transfrontaliere di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti. Workshop in videoconferenza sulle audizioni a
distanza nei processi di criminalità organizzata: esperienze europee e
prospettive di cooperazione. Il trattato di Amsterdam e l’evoluzione
del diritto dell’Unione Europea. Accesso alla giustizia, assistenza legale ai non abbienti e strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti.
Ordinamento giudiziario.
Questa offerta ha avuto, quanto ai dirigenti, da un lato, lo scopo
di approfondire i temi della comunicazione verso l’utenza e verso le
altre pubbliche amministrazioni e, dall’altro, quello del monitoraggio
delle attività, della misurazione dei carichi di lavoro e della organizzazione degli uffici. Per i Consigli giudiziari lo scopo del confronto è
stato quello di favorire la maturazione di prassi omogenee e criteri
uniformi anche in relazione alle nuove competenze emerse nel corso
del quadriennio. Per i formatori la finalità di elaborare più affinati criteri per la gestione del tirocinio si è arricchita nel corso del quadriennio, con la nomina dei formatori locali, della finalità di sviluppare metodologie di formazione generalizzate sull’intero territorio.
1997: Formazione dei formatori. Incontro di studio per i dirigenti
di uffici giudiziari (funzioni giudicanti e requirenti). I Consigli giudiziari.
1998: Formazione dei formatori. I dirigenti degli uffici requirenti.
I dirigenti degli uffici giudicanti.
1999: L’imparzialità del giudice. Formazione dei formatori. I Consigli giudiziari. La Corte di cassazione.
2000: Formazione dei formatori.
Diritto e processo.
L’area tematica, introdotta formalmente nel 2000, ha inteso evidenziare l’interdisciplinarietà di alcuni temi, cogliendo, quando possibile, nell’ambito di una comune cultura della legalità, i nessi che intercorrono tra sistema penale e sistema civile.
1997: Il giudice e la Costituzione.
1998: Il giudice e la Costituzione. Il ragionamento probatorio. Diritto marittimo.
152
2000: Rapporti tra illecito civile e illecito penale: l’illecito contrattuale, i reati-contratto ed i reati in contratto. Il diritto nella società
informatica. Convenzione europea dei diritti dell’uomo e processo. Il
ragionamento probatorio. Il ricorso per cassazione nel sistema dei
mezzi di impugnazione.
Diritto civile e processuale civile.
Nell’ambito di quest’area tematica sono raggruppati i temi “classici” del diritto civile sostanziale e processuale nonché le iniziative di riconversione alle funzioni civili.
Quanto al diritto processuale un pilastro dell’offerta formativa
sono stati gli incontri che hanno avuto ad oggetto la riforma del processo civile e che sono stati proposti anzitutto nella formula della formazione di base e con taglio essenzialmente pratico (“Il punto sul
nuovo rito civile ordinario”). Questi incontri, svoltisi in numero di due
per ogni anno, si sono inseriti nel solco tracciato dall’attività di formazione del Consiglio dedicata alla riforma del processo civile fin dal
1995, perseguendo la finalità di consentire, pur tenendo conto dell’inquadramento teorico degli istituti, il più ampio scambio di idee, opinioni, esperienze applicative, soluzioni operative tra i colleghi.
Altri corsi “istituzionalizzati” sono stati quelli in tema di prove
(con cadenza annuale), esecuzione forzata (con cadenza biennale:
1998, 2000) e tutela sommaria cautelare (con cadenza annuale; nel
2000 il corso si è, peraltro, caratterizzato per il particolare riferimento ai provvedimenti d’urgenza in materia di diritto industriale).
A questi corsi istituzionali si sono affiancate altre iniziative dirette ad un maggiore approfondimento dei temi trattati, sempre con attenzione alle novità legislative; in quest’ambito si segnalano:
1997: I processi sommari non cautelari. La Cassazione civile tra
legittimità e merito. Le controversie con le pubbliche amministrazioni.
1998: Il giudizio d’impugnazione. Le controversie con le pubbliche
amministrazioni.
1999: La tutela sommaria non cautelare: il procedimento per ingiunzione. Le controversie con le pubbliche amministrazioni.
2000: La “volontaria giurisdizione “. L’espropriazione immobiliare
delegata ai sensi della legge 302 del 1998 (quattro giornate di analogo
contenuto organizzate su base interdistrettuale). La tutela sommaria
non cautelare (incontro avanzato di diritto processuale civile).
153
Quanto al diritto sostanziale, non sono stati istituzionalizzati corsi
e l’offerta formativa si è indirizzata verso i temi più frequentemente
oggetto di contenzioso, cercando di individuare le aree scoperte del bisogno formativo. In questo ambito si segnalano:
1997: La responsabilità contrattuale. Infortunistica, risarcimento
del danno, assicurazione.
1998: infortunistica stradale, assicurazione (prosecuzione ed approfondimento del corso svoltosi nel 1997).
1999: Successioni, donazioni e scioglimento delle comunioni.
Contratto e responsabilità civile: le attività professionali. Possesso,
proprietà e condominio.
2000: L’abuso del diritto. Il contenzioso in tema di immissioni.
Questioni attuali in materia di condominio e locazioni. L’appalto privato e pubblico.
Negli anni 1997 e 1998 si è tenuto anche un corso, marcatamente
interdisciplinare e di taglio eminentemente pratico, diretto ai pretori
civili (“Pretori civili”) e volto a favorire il confronto sulle questioni
processuali e sostanziali maggiormente controverse in sede applicativa nelle materie allora di competenza del pretore.
Infine, deve essere menzionato il corso, svoltosi annualmente, di
aggiornamento per le funzioni civili. Il corso, nato per fornire una
informazione di base sui temi di diritto sostanziale e processuale di
maggiore rilevanza e complessità, con sessioni tendenzialmente comuni a tutti i partecipanti, si è poi articolato, nell’arco del quadriennio
in esame, in una pluralità di autonome sezioni per rispondere alle differenti esigenze formative dei magistrati con funzioni di giudice civile,
giudice delegato ai fallimenti, giudice minorile e giudice del lavoro.
Diritto penale e processuale penale.
L’offerta formativa si è caratterizzata anzitutto per i corsi di aggiornamento sulle tecniche di indagine, intitolati alla memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino ed articolati su più settimane: i
primi, destinati ai magistrati con funzione di sostituti procuratori
della Repubblica presso il tribunale ed ai magistrati con funzioni di
giudici di tribunale ed i secondi ai magistrati con funzione di sostituti procuratori della Repubblica presso le preture ed ai magistrati con
funzioni di pretori. Nel 1998 i corsi hanno assunto in modo più accentuato la fisionomia di corsi di base ed entrambi sono stati articolati su due settimane (nel 1997, il corso “Falcone” era articolato su tre
154
settimane). Scopo dei corsi è stato quello di facilitare il più ampio confronto di esperienze e di stimolare una visione organica del processo
penale e delle relative problematiche.
Nel 1999 il carattere istituzionale dei corsi è divenuto ancora più
marcato, così come la sua destinazione alla formazione della magistratura requirente. L’istituzione del giudice unico ha suggerito, poi,
l’accorpamento dei corsi attraverso l’istituzione del corso “Falcone e
Borsellino”.
Nel 1998, contestualmente alla ricordata accentuazione del carattere di base dei corsi “Falcone” e “Borsellino”, l’offerta formativa si è
arricchita di due corsi istituzionalizzati di approfondimento tematico
sulle tecniche di indagine, intitolati alla memoria di Mario Amato e
Guido Galli. Gli argomenti sono stati i seguenti:
1998: Le condotte investigative d’infiltrazione, in tutti i risvolti sostanziali e processuali. La tutela del patrimonio artistico.
1999: Gestione dei flussi finanziari da parte della criminalità economica ed organizzata. Diritto penale del lavoro
2000: La direzione nazionale e le direzioni distrettuali antimafia:
profili istituzionali e problematiche processuali. La tutela penale dell’attività bancaria e del mercato mobiliare.
Nel complesso la formazione perseguita con gli altri corsi dell’area
“Diritto penale e processuale penale” si è caratterizzata per una accentuata ricerca dei profili di interdisciplinarietà tra diritto sostanziale e processo, tra discipline giuridiche ed extragiuridiche, nell’intento
di esaltare la varietà dei risvolti corrispondenti ai diversi punti di vista
e le affinità sottese ad istituti operanti in diversi settori.
Con questa premessa sul versante (tendenziale) del diritto processuale si devono segnalare:
1997: Le misure cautelari personali e reali e i procedimenti incidentali. Il giudizio di appello e la motivazione della sentenza. L’esecuzione penale della pena. Tecniche di argomentazione e di persuasione.
La prova nel dibattimento.
1998: l’interazione tra diritto penale e processo nei riti semplificati. Gli strumenti normativi di aggressione dei profitti da reato. La ricerca e la valutazione della prova nel dibattimento.
1999: Il procedimento di riesame e le impugnazioni cautelari. Problemi della connessione. La prova nel processo di primo grado. Il processo in appello. Funzione e poteri del giudice per le indagini preliminari.
2000: Linee di tendenza del processo penale alla luce d’oltre un decennio di sperimentazione. Testimonianza e chiamata di correo nel si-
155
stema penale delle prove. Istituti di garanzia delle parti ed esercizio
dei diritti della difesa nel processo penale. Corso sperimentale di “autoformazione” professionale per magistrati di sorveglianza ed altri
magistrati addetti alle funzioni penali.
Sul versante (tendenziale) del diritto sostanziale si devono segnalare:
1997: L’interpretazione della norma penale. Usura e disciplina penale del credito. La responsabilità penale per colpa professionale. I
reati omissivi. Concorso di persone nel reato e reati associativi. La tutela penale del lavoratore. La criminalità nei gruppi d’impresa: profili
sostanziali e processuali. Le misure di prevenzione.
1998: Forme di responsabilità giuridica nella società del rischio.
Giudice penale e pubblica amministrazione. La società commerciale
nel diritto penale. Causalità e responsabilità penale. Tutela penale del
mercato finanziario. Rilevanza sostanziale e riflessi processuali della
condotta susseguente al reato. Diritto penale del lavoro. La responsabilità penale a titolo di dolo.
1999: La condotta nel reato: tecniche di tutela e problemi di tipicità. La riforma del sistema sanzionatorio penale e penitenziario. Giudice penale e pubblica amministrazione.
2000: La responsabilità per colpa in diritto penale. La tutela penale della persona. Il diritto penale internazionale nella giurisdizione
italiana. Il ruolo della giurisprudenza nella evoluzione del diritto penale nei primi settanta anni del codice Rocco. La vittima del reato.
Infine, il corso di aggiornamento per l’assunzione di funzioni giudicanti penali, svoltosi annualmente e simile all’analoga attività del
settore civile, ha avuto di mira la formazione dei magistrati che esercitano funzioni di giudice penale da breve o brevissimo tempo, sia perché “giovani”, sia perché “convertiti” al processo penale con provenienza da uffici giudiziari civili, sia infine perché di recente assegnati
a nuove funzioni penali. I corsi sono stati concepiti con sessioni comuni e sessioni diversificate in relazione ai raggruppamenti funzionali presenti.
Diritto della famiglia e dei minori.
In questo comparto la formazione ha privilegiato lo scambio ed il
confronto di esperienze tra i magistrati, requirenti e giudicanti, operanti presso gli uffici ordinari e gli uffici minorili, focalizzando l’attenzione sui temi di maggiore delicatezza (adozione, affidamento dei
156
minori, rapporti patrimoniali nella famiglia) nei quali maggiore è l’esigenza di apertura culturale alle acquisizioni delle scienze psicologiche ed economiche.
1997: I rapporti di filiazione nei diversi modelli di famiglia. Incontro di studio per i giudici minorili.
1998: Diritto minorile.
1999: Diritto minorile. Temi attuali del diritto di famiglia. Corso
sperimentale di “autoformazione” professionale per giudici e pubblici
ministeri dell’area della famiglia e dei minori.
2000: Corso sperimentale di “autoformazione” professionale per
giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori.
Diritto dell’economia.
Per quest’area, caratterizzata dalla esigenza di una specifica formazione professionale per i magistrati chiamati a trattare procedimenti che richiedono un elevato grado di conoscenza nei settori economico e finanziario, non sono mancate iniziative su temi di grande
rilievo, che hanno preparato il terreno per istituzionalizzare, con il
programma del 2001, una offerta formativa sui temi generali del diritto delle imprese e delle società. Nel quadriennio, sui temi del diritto
fallimentare, del diritto bancario, del diritto societario e, più in generale sui temi del diritto commerciale, si segnalano:
1997: Titoli di credito. I bilanci delle imprese. Le azioni recuperatorie nei procedimenti concorsuali e le questioni processuali nei procedimenti di cognizione a sfondo concorsuale.
1998: Regole delle operazioni bancarie nell’erogazione del credito.
I bilanci delle imprese. L’attività bancaria e la crisi dell’impresa. La responsabilità degli amministratori e dei sindaci.
1999: Le misure di prevenzione patrimoniali. I bilanci delle imprese. Dalla disciplina delle concorrenza sleale alla disciplina della
concorrenza a tutela dei consumatori. Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti. Rapporti bancari: tipi legali e tipi sociali.
2000: I contratti di impresa tra legislatore comunitario e mercato
globale. La dichiarazione dello stato di insolvenza e la dichiarazione
di fallimento: prassi, questioni dibattute, novità legislative. Costituzione delle società e modificazioni dell’atto costitutivo. I bilanci delle imprese.
157
Diritto del lavoro.
L’offerta formativa in quest’area è stata costante, con attenzione
alle molteplici innovazioni normative, prima fra tutte l’attribuzione al
giudice ordinario della cognizione sulle controversie in materia di
pubblico impiego.
1997: Diritto del lavoro
1998: Diritto del lavoro e della previdenza sociale;
1999: Il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; Le
controversie nel pubblico impiego (quattro giornate di analogo contenuto organizzate su base interdistrettuale).
2000: Il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; Le
controversie nel pubblico impiego (quattro giornate di analogo contenuto organizzate su base interdistrettuale).
2.H. L’esame delle richieste formative desumibili dalle schede di partecipazione.
La formazione dei magistrati, per le sue peculiari caratteristiche,
indicate nel primo capitolo, è sempre più autogestita per rispondere
alle esigenze sul campo degli operatori.
Nel corso di questi anni la struttura della formazione dei magistrati – gestita dal Consiglio Superiore della Magistratura – è diventata progressivamente una casa comune dove vengono individuati i bisogni formativi, le modalità della didattica e la strutturazione dei
corsi.
La prima e più rilevante manifestazione di autogestione delle richieste formative è costituita proprio dalla composizione e dalle modalità di funzionamento del Comitato Scientifico attraverso l’art. 29
del Regolamento.
I magistrati che lo compongono sono selezionati in base alla loro
specifica preparazione ed attitudine con riguardo alle funzioni svolte,
alle esperienze professionali maturate, all’approfondimento specialistico di determinate materie.
Essi rimangono in carica per un periodo massimo di tre anni, durante i quali continuano a svolgere il loro lavoro ordinario, sia pure
con parziali riduzioni del carico.
Pertanto la stessa composizione e operatività del Comitato Scientifico costituisce una garanzia per rispondere alle esigenze formative
dei colleghi, in quanto i componenti del Comitato trasferiscono in
158
sede centrale le difficoltà e le esperienze che maturano negli Uffici
Giudiziari di appartenenza.
Una seconda importante occasione per monitorare le esigenze formative è costituita dalla stessa funzione di coordinamento di corsi.
Il coordinamento costituisce un requisito indispensabile per il
buon funzionamento di un corso di formazione e non si limita alla attività svolta in aula ma continua nel c.d. convegno di corridoio nel
quale i colleghi nelle pause del corso, testimoniano le loro valutazioni,
le impressioni e soprattutto i bisogni.
Lo scambio di informazioni e di valutazioni con i magistrati durante i tempi di interruzione del corso costituiscono una occasione importante per i componenti il Comitato Scientifico per verificare la riuscita del seminario, per raccogliere indicazioni, suggerimenti, critiche,
che saranno tenute presenti nello sviluppo dell’attività futura.
Il terzo e più importante momento della rilevazione dei bisogni
formativi è costituito dall’esame delle schede di partecipazione.
A tutti i partecipanti, da molti anni, viene consegnata una scheda
di valutazione del corso e delle relazioni che contiene anche un
“campo” dedicato alle richieste formative.
Lo strumento delle schede di partecipazione si è progressivamente sviluppato ed affinato nel corso di questi anni, fino a raggiungere la
attuale versione. Le schede, lungi dall’essere una sorta di pagella per i
relatori, costituiscono un meccanismo di valutazione sulla efficacia
complessiva del seminario, ed una occasione di dialogo con i partecipanti.
Al termine del corso i magistrati coordinatori del Comitato Scientifico provvedono a ritirarle dalla Segreteria, ad esaminarle ed a riassumerle in una relazione conclusiva del corso che viene trasmessa alla
IX Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura.
A titolo esemplificativo si riportano qui di seguito le sintesi, estrapolate dalle relazioni riassuntive e dalle schede di valutazione, delle richieste formative avanzate dai colleghi che hanno partecipato ad incontri di studio lungo il corso degli anni:
159
CORSO 309 - Richieste su corsi da programmare - Rogatorie
all’estero, reati fiscali, esecuzione penale, redazione dei provvedimenti giudiziali, il dibattimento, i collaboratori di giustizia, concorso nei reati plurisoggettivi, competenza per connessione e territoriale, misure di sicurezza, reati associativi in materia di stupefacenti.
CORSO 303 - Richieste su corsi da programmare - Analisi
anche degli aspetti organizzativi della funzione giudiziaria; esame
di precedenti giurisprudenziali.
CORSO 306 - Richieste su corsi da programmare - Relazione
sulla direzione del dibattimento rispetto alla modalità di assunzione della prova; relazioni su questioni pratiche attinenti alla formazione della prova in dibattimenti; gruppi di studio sui temi delle relazioni.
CORSO 310 - Richieste su corsi da programmare - Tutela penale del consumatore; La direzione del dibattimento; Colpa professionale medica; Disciplina urbanistica; La partecipazione della
parte civile nel processo penale; Tutela ambientale, con particolare
riferimento alla disciplina dei rifiuti; La valutazione della prova;
Esecuzione.
CORSO 318 - Richieste su corsi da programmare - Prosecuzione di incontri sull’esecuzione penale con partecipazione mista;
gli stranieri; le sanzioni sostitutive; la depenalizzazione; i riti alternativi; le prescrizioni della pena; l’art. 676 c.p.p.; l’effettibilità della
pena; ipertrofia di procedimenti; corsi specializzati solo per magistrati di sorveglianza.
CORSO 320 - Richieste su corsi da programmare - Organizzazione del lavoro nelle procure ‘unificate’; tecniche per la sicurezza psicologica del P.M.; tecniche dell’acquisizione della prova nella
fase dell’indagine preliminare; ‘veicoli ed illecito penale. Il traffico
illecito di autoveicoli’ la nozione di nomofilachia della Corte di
Cassazione; la fase presidenziale nella separazione e nel divorzio;
determinatezza della legge e discrezionalità del giudice: criteri e limiti dell’interpretazione delle norme; etica nella professione del
giudice.
160
CORSO 326 - Richieste su corsi da programmare. - Analisi
della normativa speciale; - Specificazione dei profili risarcitori assicurativi (obbligatori e privati); – Approfondimento interdisciplinare; – La responsabilità penale della persona giuridica; – Gestione
d’impresa e pubblicità: responsabilità dell’imprenditore in materia
di comunicazioni sociali (normativa comunitaria); – Tematiche utilistiche (imputazione soggettiva della responsabilità); – Valutazione
del rischio da parte del datore di lavoro; – Il rischio per l’ambiente
esterno e per la collettività; – La responsabilità penale in materia di
bancarotta nella “holding”; – Rischi da incidenti transnazionali e
settore ambientale; – La normativa CEE.
CORSO 328 - Richieste su corsi da programmare - valutazioni sulla prova nel giudizio abbreviato; nullità ed utilizzabilità degli
atti delle indagini preliminari; approfondimenti sugli altri riti alternativi.
CORSO 334 - Richieste su corsi da programmare - Giudice
unico; Sicurezza del lavoro; Rapporti tra p.m. e p.g.; Falso in bilancio; Usura; Cassazione e giudizio di rinvio (in penale); L’archiviazione .
CORSO 337 - Richieste su corsi da programmare - Uso e
abuso di istituti processuali; Organizzazione dell’ufficio giudiziario;
Incidente di legittimità costituzionale; Collegio per i reati ministeriali; Violenza sessuale; Deontologia del p.m.; Misure di prevenzione e criminalità organizzata.
CORSO 339 - Richieste su corsi da programmare - la tutela
della privacy; la tutela della riservatezza dei dati inerenti alla salute
ed alla vita sessuale dei cittadini; la procedura di urgenza per la tutela della pubblica salute: l’art. 700 c.p. e l’art. 32 Cost. tecniche di
riproduzione assistita ed implicazioni giuridiche: esame delle proposte di legge; ‘mestiere del giudice penale e giustizia come servizio’;
‘Diritto e genere (reati sessuali, maltrattamenti ecc)’; ‘Dogmatica penale e letteratura giuridica della differenza’; Tutela giuridica della
p.o. in tema di responsabilità medica; Centri antidolore e medicina
alternativa:prospettive giuridiche; Responsabilità medica dei ‘medici specialisti’; Ambiente e tutela sociale per rischi diffusivi:le patologie diffuse (malattie tropicali importate; AIDS); Medicina alterna-
161
tiva e non ufficiale; Consenso al trapianto di organi; Assenza del
consenso informato e responsabilità professionale del medico; Criminologia; criminologia forense; nuove forme di aggressione alla
persona (sfruttamento della prostituzione, tratta dei minori ecc.);
Giudice unico; Espropriazione- occupazione acquisitiva; Il giudizio
d’appello: caratteristiche; problematiche della riduzione della pena
in appello; riapertura dell’istruttoria dibattimentale; La pretesa punitiva dello Stato: attualità; Riforma dei reati contro la P.A. e riforma dell’abuso di ufficio.
CORSO 343 - Richieste su corsi da programmare - incontro
specifico sulla legge Simeone a distanza di 6 mesi per monitorare la
sua prima applicazione; sorveglianza e videoconferenze; 41-bis e detenuti ad alta pericolosità; affidamento al servizio sociale; misure di
sicurezza; incidenti d’esecuzione; irreperibilità del condannato;
riforma del codice penale; tutela della salute del condannato; rapporto tra p.m. e giudice di sorveglianza.
CORSO 349 - Richieste su corsi da programmare - riforma del
giudice unico e futuro del Tribunale dei Minori; ordinamento penitenziario; adottabilità e semi abbandono; minori stranieri in stato di
abbandono in Italia; messa alla prova per reati di elevata gravità; incompatibilità G.I.P./ G.U.P. in ambito minorile; sanzioni sostitutive;
sottrazione di minori (art. 574 c.p.) con particolare riferimento all’autore genitore extracomunitario, tutela del minore e del genitore
deprivato; tutela del minore parte offesa; consulente e perito di ufficio: criteri di scelta; presupposti per la dichiarazione di adottabilità; rapporti con autorità nazionali in caso di procedimento di adottabilità di minore straniero; diritto internazionale privato; tecnica di
reazione del decreto sul proc.civ. sul controllo della paternità dei
genitori; conversione della pena pecuniaria riguardante persone
condannate irreperibile; sequestro penale per veicoli ex art. 116,
comma 18 Cod. Strad.; custodia presso terzi; confisca; spese; udienza preliminare; fase dibattimentale e sua rilevanza in ottica di recupero del minore; apporto dei servizi sociali; applicazione delle sanzioni sostitutive; indagini preliminari a carico di indagato minorenne ed inserimento del minore nelle strutture delle associazioni di
stampo mafioso. Prevenzione e prospettive di recupero; sorveglianza e relativi procedimenti contro minorenni; il procedimento amministrativo ex L. 241/90 nell’attività dei servizi sociali e garanzie di
162
tutela del cittadino; istituto della messa alla prova; misure cautelari; misure di sicurezza; la legge applicabile al minore straniero, con
particolare riferimento all’applicazione degli ordinamenti islamici;
l’appartenenza del minore figlio di ‘matrimoni misti’ le incidenze
dell’intervento della A.G. minorile sulla famiglia straniera e le ripercussioni sulla cultura di appartenenza di tale famiglia; minore straniero: espulsione e rimpatrio.
CORSO 352 - Richieste su corsi da programmare - Disciplina
degli scarichi e dei rifiuti; Urbanistica; Reati finanziari.
CORSO 361 - Richieste su corsi da programmare - Giudice
unico; Motivazione della sentenza di merito e controllo di legittimità; Processo del lavoro e pubblico impiego; Processo cautelare civile; Processo tributario; Diritto internazionale privato; Diritto comunitario e diritto nazionale; L’udienza penale; C.S.M.: natura e
funzioni; L’abuso dei rimedi processuali.
CORSO 385 - Richieste su corsi da programmare - Valutazione della prova anche in fase cautelare; - misure di prevenzione patrimoniali; - reati sessuali; - diritto penale dell’ambiente e del territorio; - reati societari; - impugnazioni; - imputabilità, - beni artistici ed ambientali.
CORSO 389 - Richieste su corsi da programmare - Giudice
unico. Esecuzione penale. Procedure esecutive immobiliari. Reati in
materia sessuale. Psicologia forense e criminologia. Impugnazioni
cautelari. Responsabilità civile. Condominio. Bancarotta e reati finanziari. Magistratura di Sorveglianza. Sezioni specializzate agrarie.
CORSO 394 - Richieste su corsi da programmare - Diritto penale e processuale comparato. Esecuzione penale. Misure di prevenzione patrimoniali. Preparazione professionale dei magistrati.
La prova scientifica. Valutazione della prova. Poteri di vigilanza
della Procura generale. Disciplina degli stupefacenti. Le Corti di assise. Disciplina della partecipazione a distanza. Gratuito patrocinio.
Astensione e ricusazione del giudice. Reati colposi nell’esercizio di
attività professionale. Abusi del diritto nel processo penale e garanzia per la vittima del reato.
163
CORSO 402 - Richieste su corsi da programmare - il ruolo del
p.m. nell’esecuzione; cumulo; incidenti d’esecuzione e pene accessorie; legge Simeone; misure alternative; reati ex art. 4-bis e criminalità organizzata; tutela della salute del condannato; temi di medicina legale; rapporti tra la cognizione e l’esecuzione; riforma del
giudice unico; sistemi sanzionatori europei ed extraeuropei; temi di
diritto comparato; misure di sicurezza; misure alternative e programmi terapeutici per tossicodipendenti; effettività della pena; il
dibattimento; le condizioni obiettive di punibilità; le circostanze del
reato; l’imputabilità; le indagini difensive.
CORSO 404 - Richieste su corsi da programmare - Disciplina
giuridica di espianto organi; Morte e diritto; Ovodonazione; Profili
costituzionali della genitorialità sociale (autonomia e responsabilità
dell’individuo e della coppia; diritto all’identità genetica del figlio;
favor veritatis nella filiazione; modelli familiari; diritto del minore
alla doppia figura genitoriale); Problematiche sociologiche e profili
psicologici legati al tema della sterilità nella coppia ed alle varie soluzioni adottate nel campo della fecondazione assistita; Problematiche psicologiche del nascituro (con interventi di magistrati minorili); Internet per giuristi; Responsabilità per colpa medica; ambiente
ed edilizia; igiene ed alimenti; misure cautelari reali; Livello di costituzionalizzazione internazionale dei diritti delle persone (aspetti
comparativi); Trapianti ed eutanasia; Problematiche giuridiche dell’eugenetica ‘dolce’; tests genetici ed interventi sul genoma umano,
con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali e della privacy.
CORSO 406 - Richieste su corsi da programmare - Valutazione della prova anche in fase cautelare; - misure di prevenzione patrimoniali; - reati sessuali; - diritto penale dell’ambiente e del territorio; - reati societari; - impugnazioni; - imputabilità; - beni artistici ed ambientali.
CORSO 410 - Richieste su corsi da programmare - Colpa professionale medica; Tutela ambientale in genere; Disciplina dei rifiuti e degli scarichi; Legislazione sul diritto di autore, con riferimento
alle Convenzioni internazionali; Disciplina degli alimenti; Esecuzione; Usura e tecniche di indagine; Compiti della polizia giudiziaria e
raccordo con il P.M.; Reati di falso; L’assunzione della prova, tecniche di escussione; Tutela del patrimonio artistico e culturale.
164
CORSO 419 - Richieste su corsi da programmare - La prova
del maltrattamento e dell’abuso sessuale nel dibattimento penale;
La C.T.U. nel processo minorile civile: chi paga ? Diritto alla salute
ed alla qualità della vita per il minore. Criteri di scelta dei trattamenti terapeutici e minore età; Diritto internazionale privato alla
luce delle recenti riforme; La riforma del giusto processo nei suoi riflessi sul processo minorile; Diritto penale minorile, compresa la
fase dell’esecuzione; Famiglia multietnica: modelli di riferimento;
Adottabilità; Rapporti tra Tribunale per i Minorenni e Tribunale Ordinario; Omologazione delle prassi civili e penali dei Tribunali per i
Minorenni; Obbligo dell’azione penale in relazione all’esito positivo
della messa alla prova ed alla sentenza di n.d.p. per irrilevanza penale del fatto.
CORSO 426 - Richieste su corsi da programmare - reati tributari; - responsabilità disciplinare del magistrato; - reati contro la
pubblica amministrazione; - reati ambientali e del territorio; -ordinamento giudiziario; - deontologia; - diritto penale del lavoro; - incidenza dell’informatica sui processi valutativi e motivazionali; reati di falso; - tecniche di assunzione della prova orale; - criteri di
valutazione della prova; - esecuzione penale; - diritto processuale e
penale in proiezione internazionale; - rapporti tra autorità e polizia
giudiziaria; - misure di prevenzione.
CORSO 433 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, reati tributari (riferimento molto ripetuto), reati in materia informatica, reati societari
(riferimento ripetuto), diritto penale del lavoro (riferimento ripetuto), armi (riferimento ripetuto), prostituzione, bioetica, urbanistica
e ambiente (riferimento ripetuto), delitti di falso, ricettazione e riciclaggio, usura, reati associativi, stupefacenti. Solo qualche cenno
a temi di parte generale, come il concorso di reati. Si invoca comunque un taglio casistico e pratico nella esposizione, specie ed appunto per il diritto sostanziale. Secondo alcuni l’offerta per il tirocinio ordinario dovrebbe riguardare solo o quasi solo argomenti
processuali. Tra questi, in ogni caso, vengono segnalati: fase esecutiva (riferimento ripetuto), tecniche d’indagine, indagini preliminari, sanzioni processuali, riti speciali, valutazione della prova (riferimento ripetuto), assunzione della prova dibattimentale, tecnica
della motivazione, misure di prevenzione. In alcuni casi sono stati
165
proposti temi relativi all’indagine scientifica (specie per la medicina legale)
Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato tecniche di indagine, anche con riferimento a particolari tipologie
di reati; argomenti vari della procedura penale, con espliciti riferimenti alla prospettiva allora imminente della riforma, e con prevalenza della istruzione dibattimentale, della valutazione della prova,
del collegamento tra uffici del p.m. e uffici di p.g., delle intercettazioni e sequestri, della consulenza tecnica e dell’incidente probatorio, dei riti speciali, delle rogatorie e dell’estradizione, dei collaboratori di giustizia, della tecnica di redazione dei provvedimenti, dei
problemi generali del trattamento sanzionatorio, della esecuzione e
della sorveglianza. In materia sostanziale, con inviti generali ed
espliciti a privilegiare la legislazione speciale, sono citati espressamente: reati dell’ambiente e del territorio (molto ricorrente), reati
societari e fallimentari (molto reiterato), reati tributari (riferimento
molto ripetuto), diritto penale del lavoro (ripetuto), misure di prevenzione (riferimento reiterato), concorso di norme e reati, reati associativi, armi, ricettazione e riciclaggio, usura, violenza sessuale,
colpa professionale, stupefacenti, reati contro la pubblica fede, regole di organizzazione del lavoro, normativa di matrice comunitaria.
Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati informatici, reati societari – tributari – fallimentari
(riferimento ripetuto), reati in materia di immigrazione, reati ambientali e del territorio, diritto penale del lavoro, colpa professionale, armi, reati di falso. In parte generale, trattamento sanzionatorio,
normativa di matrice comunitaria.
Sul piano processuale: intercettazioni e sequestri, indagini difensive, estradizione e rogatorie (ripetuto), assunzione e valutazione della prova, rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria,
teleconferenze, riti speciali, misure di prevenzione, esecuzione e
sorveglianza (ripetuto).
CORSO 434 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, urbanistica e ambiente
(riferimento ripetuto), colpa professionale, usura, truffa, stupefa-
166
centi, problemi della immigrazione. Secondo parecchi uditori l’offerta per il tirocinio ordinario dovrebbe riguardare solo o quasi solo
argomenti processuali (ma v’è anche una voce in senso opposto).
Tra questi, in ogni caso, vengono segnalati: fase esecutiva e di sorveglianza, mezzi di ricerca della prova, indagini difensive, organizzazione della polizia giudiziaria, rapporti tra p.m. e p.g., intercettazioni telefoniche, misure cautelari, sanzioni processuali, notificazioni, riti speciali (riferimento ripetuto), valutazione della prova, assunzione della prova dibattimentale (riferimento ripetuto), tecnica
della motivazione (riferimento ripetuto), misure di prevenzione e sicurezza.
Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato tecniche di indagine, anche con riferimento a particolari tipologie
di reati; argomenti vari della procedura penale, con espliciti riferimenti alla prospettiva allora imminente della riforma, e con prevalenza della istruzione dibattimentale, della valutazione della prova,
del collegamento tra uffici del p.m. e uffici di p.g. (molto reiterato),
della organizzazione della polizia giudiziaria, delle intercettazioni e
sequestri, delle tecniche di indagine anche con riguardo a categorie
particolari di reati, misure cautelari (riferimento ripetuto), della
consulenza tecnica, dei riti speciali (riferimento molto ripetuto),
delle rogatorie e dell’estradizione, dei collaboratori di giustizia,
della tecnica di redazione dei provvedimenti (sentenze ma anche
imputazioni), dei problemi generali del trattamento sanzionatorio,
della esecuzione e della sorveglianza (riferimento ripetuto), delle
misure di prevenzione.
In materia sostanziale, con inviti generali ed espliciti a privilegiare la legislazione speciale, sono citati espressamente: reati dell’ambiente e del territorio (molto ricorrente), reati societari e fallimentari (molto reiterato), reati tributari (riferimento molto ripetuto), misure di prevenzione, concorso di norme e reati, reati associativi, armi (riferimento ripetuto), usura ed estorsione (riferimento ripetuto), reati connessi alla immigrazione, computer crimes, violenza sessuale, colpa professionale, stupefacenti, trattamento sanzionatorio, normativa di matrice comunitaria.
Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati informatici, reati societari – tributari – fallimentari
167
(riferimento molto ripetuto), reati ambientali e del territorio (riferimento ripetuto), diritto penale del lavoro, riciclaggio. In parte generale, depenalizzazione, trattamento sanzionatorio.
Sul piano processuale: intercettazioni e sequestri, indagini difensive, competenza penale del giudice di pace, estradizione e rogatorie (ripetuto), assunzione e valutazione della prova, udienza preliminare, rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, riti
speciali, sanzioni processuali, tecnica di redazione dei provvedimenti, misure di prevenzione, esecuzione e sorveglianza .
Di nuovo, organizzazione degli uffici e sistema tabellare, responsabilità disciplinare.
CORSO 440 - Richieste su corsi da programmare - Legge sulla
privacy; - Atti irrepetibili e garanzie difensive; - Reati contro la P.A.;
- Reati sessuali e contro i minori; - L. 624/99 e suoi aspetti procedurali; - Le tematiche investigative; - Le recenti riforme legislative; - La
professionalità del prodotto industriale (tutela del consumatore); Etica della professione del giudice; - Reati ambientali; - Reati tributari; - Usura; - Responsabilità penale e intermediazione finanziaria;
- Rogatorie.
CORSO 442 - Richieste su corsi da programmare - organizzazione degli uffici, tabelle giudiziarie, ordinamento giudiziario, tecnica di assunzione delle prove, gestione maxi-processi, reati Pubblica Amministrazione, reati in materia ambientale e urbanistica,
nuovi reati tributari. In un parere è evidenziata la necessità di prevedere maggior spazio per il dibattito, magari diminuendo il numero delle relazioni.
CORSO 443 - Richieste su corsi da programmare - abuso legato alla violazione degli artt. 388 cpv. e 574 c.p.; problematiche di
coordinamento tra T.M. e T.O. in relazione alla modifica delle condizioni di separazione; problematiche internazionali connesse alla
violazione dell’art. 574 c.p.in ipotesi di genitore extracomunitario;
rapporti fra A.G. e mezzi di informazione; coordinamento tra A.G.
e garanzie della privacy in ambito minorile; le ‘prassi’ a confronto
dei T.d.M., con specifico riferimento agli aspetti procedurali; la riparazione del legame familiare dopo l’abuso ed il maltrattamento; la
168
valutazione della prova in sede di dibattimento penale minorile; i
saperi tecnici del giudice minorile e le ‘deleghe di conoscenza’ ai
consulenti tecnici; abuso sessuale sul piano internazionale e nuove
forme di criminalità organizzata; l’ascolto del minore in sede di incidente probatorio; valutazione della prova nei processi per abusi ai
minori; associazioni ‘non profit’ e magistratura; la vittma nel processo penale: aspetti normativi, sociali e psicologici; allontanamento del minore dalla famiglia di origine; i nuovi problemi dell’adozione internazionale; la pedofilia in dimensione internazionale
(anche attraverso la diffusione con nuovi strumenti, es. INTERNET); Le attuali emergenze della criminalità minorile ed i modelli
di intervento; Compatibilità delle recenti riforme sul giusto processo e diritti della parte offesa: profili di legittimità costituzionale; Riduzione in schiavitù e circonvenzione di minori; Prassi applicative
della L. 479/99 ed ‘adattamento’ all’art. 111 Cost.: riflessi sul processo minorile; I nuovi profili dei reati tributari;
Le metodiche psico-diagnostiche in sede di consulenza tecnica;
I procedimenti civili davanti al Tribunale per i Minorenni: prassi e
regole processuali; L’adozione e l’affidamento familiare; Questioni
di staus; Procedimenti camerali e modelli di procedure: rapporti e
collegamenti tra i giudici della famiglia; La sorte dei figli nelle separazioni dei genitori coniugati e non; Lo sviluppo psicologico e sociale del minore; La consulenza medico-legale sul minore; Maltrattamento ed abuso nel dibattimento penale (questione probatoria,
commisurazione della pena, pene accessorie); Società multietnica e
tutela penale dei soggetti deboli (donne e minori); Reclamabilità dei
provvedimenti provvisori: istruttoria, diritto di difesa, opposizione,
allontanamento coattivo; Privacy e ricaduta sull’attività giudiziaria;
Ruolo della difesa nel processo penale minorile.
CORSO 446 - Richieste su corsi da programmare - pochissime le schede compilate. Viene indicata la Corte di giustizia dell’U.E., diritto comunitario e diritto comparato.
CORSO 459 - Richieste su corsi da programmare - Incidenza
sulla salute del cittadino e del consumatore delle nuove forme di inquinamento (onde elettromagnetiche, elettrosmog) e dell’introduzione di alimenti geneticamente modificati; Onde elettromagnetiche, stato delle conoscenze sui danni alla salute e tutela della per-
169
sona: esperienza giurisprudenziali e progetti legislativi; Diritto alla
salute e sua tutela; Terapia genica, coltivazione di cellule e clonazione Nascita e fine della vita:approfondimento delle problematiche
giuridiche; Fondamento e gerarchia costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo, Disponibilità ed indisponibilità del diritto alla vita;
Procedimenti per reati di violenza sessuale ed i collegamenti tra gli
uffici giudiziari; Problematiche mediche e giuridiche dell’accertamento di morte; Rapporto tra i mezzi di contrasto della criminalità
organizzata e di contrasto della stessa e sicurezza dei cittadini; La
sicurezza sul lavoro; Il lavoro interinale e la flessibilità del lavoro;
L’integrazione nella società multietnica; Qualsiasi tema purchè ‘non
trattato in modo troppo accademico’; Processo del lavoro in relazione al pubblico impiego; Problemi della società informatica; Trattamenti sanitari obbligatori; interruzione della gravidanza; suicidio;
Paternità e maternità biologica ed affettiva; problemi della responsabilità genitoriale; disciplina dell’adozione; Trattamenti sanitari
per motivi estetici; Reati ambientali; La determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità; Diffamazione attraverso
mezzi di comunicazione di massa; Storia e funzione dei Comitati di
bioetica; Tutela penale nel conflitto familiare,in generale; La tutela
della famiglia di fatto nella giurisprudenza italiana a negli altri sistemi giuridici; Il nuovo rito del lavoro; Linee guida della responsabilità medica; Il rapporto di causalità in medicina; Questioni etiche
e giuridiche in tema di test genetici; La legge sull’interruzione della
gravidanza: bilancio dell’applicazione; Responsabilità medica per
attività professionale (soprattutto nella chirurgia estetica); Aspetti
psicologici della fecondazione artificiale.
CORSO 461 - Richieste su corsi da programmare - processo
monocratico, riforma del dibattimento penale, riforma del giusto
processo e prova orale (più volte), valutazione della prova, magistratura e mass media, reati fallimentari, criminalità organizzata,
sistematica processuale penale, misure cautelari e giudice del dibattimento, udienza preliminare, riti speciali, misurazione di efficacia dell’azione giudiziale penale (anche in una prospettiva di monitoraggio), diritto penale speciale, diritto penale dell’economia,
reati finanziari, misure di prevenzione, problematiche del requirente.
CORSO 499 - Richieste su corsi da programmare in relazio-
170
ne al tirocinio mirato - Tecniche di indagine (sull’esempio delle
esercitazioni svolte nel presente corso in materia di accertamenti
bancari ed omicidio; misure cautelari; esercitazioni dal taglio pratico operativo estremamente utile e precedute da approfondite relazioni sull’argomento); Misure di prevenzione; Tecniche di indagine; Preparazione sui reati di competenza D.D.A.; Protocolli di indagine; Necessità di ripensare i corsi di informatica, da svolgere costantemente durante tutto l’uditorato, senza relegarli in una settimana alla fine dello stesso; Quadro sinottico delle diverse tecniche
e strategie investigative in relazione alle diverse tipologie di reato;
Riforma del processo penale; esegesi delle recenti novelle del processo penale; problemi applicativi dell’art. 111 Cost.; L’attività di
udienza ed, in particolare, i problemi legati all’assunzione delle
prove dichiarative; Modifica dei reati tributari; Nozioni di medicina legale d’ordine generale; Letture dibattimentali; Esecuzione
della pena; Materia edilizia; Reati contro la P.A.; Colpa medica; Tecniche di indagine in tema di reati informatici; Il diritto penale comunitario; La collaborazione giudiziaria internazionale; Modalità
di interrogatorio e tecniche di comunicazione; Tecniche di sopralluogo; Reati ambientali; Infortunistica sul lavoro; Tecniche di indagini in tema di reati sessuali; Modalità di conduzione dell’esame
testimoniale e dell’imputato; Ecologia reati ambientali) e capitolati di indagine; Tecniche di indagine in materie di armi; Stupefacenti; Reati finanziari; Colpa medica; Tecniche ed organizzazione
della requisitoria; Istituti processuali di nuova introduzione; Il P.M.
nella fase dibattimentale; Infortuni sul lavoro; Risarcimento del
danno biologico (civile); Risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo (civile); Ordinanze ex art. 186 bis,ter, quater c.p. (civile);
Delitti contro il patrimonio commessi mediante frode; Delitti in
materia di stupefacenti; La prova testimoniale e la sua valutazione;
Principio del libero convincimento del giudice; Artt. 54 quater e
415 bis c.p.p.; Struttura dell’udienza preliminare; Competenze del
P.M. in materia dia tti dello stato civile; Esame del perito nel dibattimento penale.
CORSO 501 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, secondo alcuni, dovrebbe essere privilegiata la legislazione speciale (ambiente, territorio, protezione dei lavoratori, ecc.); secondo altri, all’opposto,
dovrebbero essere ripresi temi della parte generale, demandando
171
al tirocinio mirato l’approfondimento di singole fattispecie, ancora una volta della legislazione speciale (molti riferimenti alle materie appena citate). Alcuni riserverebbero il diritto sostanziale
alla sola fase del tirocinio mirato. Tra le proposte spicciole di parte
speciale: usura, reati informatici. In parte generale: determinazione della pena (riferimento ricorrente), legislazione penitenziaria,
bene giuridico, tentativo e reato impossibile. Nozioni di psicologia
e medicina legale. Nozioni di ordinamento giudiziario e sullo status giuridico del magistrato. L’incompatibilità del giudice, la magistratura di sorveglianza. In procedura, il tema cautelare, i rapporti con la p.g.
Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato argomenti vari della procedura penale (con prevalenza della istruzione dibattimentale, delle indagini preliminari, intercettazioni e
sequestri, dei rapporti con la p.g., dei riti speciali e della udienza
preliminare, delle misure cautelari), tecnica di redazione dei provvedimenti (indicazione molto ricorrente), problemi generali del
trattamento sanzionatorio, della esecuzione e della sorveglianza
(riferimento molto ricorrente), reati dell’ambiente e del territorio
(ricorrente), reati societari e fallimentari (molto reiterato), diritto
penale e processuale dei minori, misure di prevenzione (riferimento reiterato), concorso di norme e reati, armi, ricettazione,
psichiatria forense, stupefacenti, reati contro la pubblica amministrazione, reati urbanistici, regole deontologiche e disciplinari di
comportamento, regole di organizzazione del lavoro.
Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati tributari, responsabilità disciplinare del magistrato, reati contro la pubblica amministrazione, reati ambientali e del
territorio, ordinamento giudiziario, deontologia, diritto penale del
lavoro, incidenza dell’informatica sui processi valutativi e motivazionali, reati di falso, tecniche di assunzione della prova orale, criteri di valutazione della prova, esecuzione penale, diritto processuale e penale in proiezione internazionale, rapporti tra autorità e
polizia giudiziaria, misure di prevenzione;
172
PRIMA SETTIMANA DI STUDIO RELATIVA AL TIROCINIO
ORDINARIO NEL SETTORE PENALE (riservata agli uditori giudiziari nominati con D.M. 23.12.1997) - Richieste su corsi da
programmare - reati economici e reati ambientali (in genere diffusa richiesta di trattazione della legislazione penale speciale), processo minorile, rapporti con la polizia giudiziaria, ordinamento giudiziario, reati contro l’ordine pubblico, misure di prevenzione, esecuzione della pena, notificazioni, rapporti con il personale amministrativo, reati in materia di stupefacenti, mezzi di assunzione della
prova, riti speciali, tecniche di redazione della motivazione dei
provvedimenti giudiziari.
CORSO 471 - Richieste su corsi da programmare - L’imparzialità del giudice; Le incompatibilità; Le tabelle; L’influenza del diritto
comunitario nel processo penale; Temi di diritto penale sostanziale;
Le misure cautelari; incontri periodici sull’esecuzione penale e la
sorveglianza; Le riforme processuali in incontri decentrati; Reati
contro la P.A.; Temi di psicologia giudiziaria; Diritto penale dell’impresa; Direzione del Dibattimento e redazione dei provvedimenti; Incontri di studio con la costituzione di piccoli gruppi seminariali.
CORSO 454 - Richieste su corsi da programmare - art. 111
Cost.; dovere di motivazione e tecnica di redazione dei provvedimenti giurisdizionali; diritto penale dell’ambiente; l’udienza preliminare: tra 111 Cost. e l. 479/99; nuova legislazione tributaria; schemi epistemologici di riferimento della decisione giudiziaria; diritto
penale comunitario; nesso di causalità; l’incidente probatorio; il
procedimento per decreto ed i riti speciali; rapporti tra avvocatura
e magistratura; rapporti tra giurisdizione ordinaria e speciale (militare); prescrizione; tutela della persona offesa; processo penale europeo (abolizione delle rogatorie); razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie; p.m. ed indagini preliminari; tecniche di indagine
per specifici reati; il giudizio d’appello e quello di Cassazione; cooperazione penale internazionale; involuzione della normativa penale internazionale; i riti alternativi; la tutela penale dell’ambiente; la
depenalizzazione fiscale; udienza preliminare (sia ordinaria, sia minorile); breve incontro in tema di chiamata di correo con taglio pratico; corsi di riconversione tra giudici collegiali e monocratici.
173
In conclusione può affermarsi che l’analisi delle schede di partecipazione, ha costituito in questi anni uno strumento importante per lo
sviluppo della formazione.
La valutazione di sintesi delle schede e delle richieste, confrontate con i programmi annuali di predisposizione dei corsi di formazione, consente di affermare che esse sono state debitamente tenute in
considerazione al momento della programmazione annuale ed anche
nella articolazione dei singoli seminari.
Può anche affermarsi, in via generale, che è stato registrato un apprezzamento della maggioranza dei partecipanti per la scelta e per la
articolazione dei temi trattati nei vari incontri di studio.
Così come deve essere sottolineato che la consegna delle schede di
valutazione si è progressivamente sviluppata in quanto nei corsi effettuati negli anni 1997 e 1998 la presenza di schede riguardava una sparuta minoranza dei partecipanti, mentre nei corsi del 2000 ed anche in
quelli del 2001 le schede di valutazione costituiscono, sia dal punto di
vista numerico che da quello qualitativo, una cospicua parte del materiale raccolto al termine dei seminari.
Si può pertanto affermare che le richieste formative desumibili
dalle schede di partecipazione costituiscono, oramai, un importante
strumento di comunicazione fra i magistrati partecipanti al corso e le
strutture della formazione per la gestione della “casa comune” della
formazione.
Conviene ricordare quanto già si è accennato, e cioè che lo strumento appena citato non è stato nel tempo l’unico utilizzato a fini di
programmazione dell’attività formativa. La presenza agli incontri
degli stessi componenti della 9^ Commissione consiliare, e dei coordinatori del Comitato scientifico, ha determinato la stratificazione di
suggerimenti, proposte, critiche che hanno a loro volta orientato le
scelte del Consiglio in materia di formazione.
Se si deve tentare una ricostruzione di sintesi dei segnali raccolti
attraverso i canali fin qui elencati, i flussi di gradimento concreto per
le varie metodiche, o per il taglio contenutistico attribuito alle singole
iniziative di formazione, dimostrano che negli anni è progressivamente aumentata la percentuale di coloro i quali sollecitano proposte formative pertinenti a determinate aree funzionali o tematiche. Si allude
in particolare a corsi che raggruppino magistrati che esercitino le stesse funzioni in uffici territorialmente diversi, o per converso magistrati che esercitino funzioni diverse in aree circoscritte della giurisdizione (diritto minorile, diritto della esecuzione penale, giudizi di impugnazione, ecc.). Il segno unificante di tali tendenze sembra risiedere
174
nella pertinenza più immediata degli argomenti alla situazioni professionali in concreto gestite nelle sedi di provenienza. Il dato sembra
confermato dal gradimento che, in proporzione diretta, si manifesta
per metodiche non tradizionali, fondate sull’esame di casi pratici
quale strumento per la ricostruzione delle linee di sistema, caratterizzate dal lavoro in gruppi ristretti o comunque da grandi possibilità di
interlocuzione diretta dei partecipanti. Nello stesso segno dell’ambizione a momenti formativi di immediata fruibilità nel lavoro professionale si colloca il gradimento espresso per iniziative strettamente
collegate all’attualità normativa, che una attenta programmazione ha
reso in questi ultimi anni numerose e, molto spesso, assai tempestive.
Analogamente può dirsi per gli incontri che hanno saputo intervenire,
in senso logico e cronologico, con grande prossimità a passaggi evolutivi essenziali della giurisprudenza. Altro profilo dell’offerta formativa
assai apprezzato, sempre nella stessa logica, è stato quello di approccio a discipline tecniche o scientifiche di frequente utilizzazione nell’ambito dell’attività giurisdizionale, al fine di rendere il magistrato
sempre più consapevole, anche quando agisce attraverso la mediazione del consulente tecnico. Ad esempio particolarmente apprezzate
sono state le informazioni in varie sedi offerte a proposito della tecnica di redazione dei bilanci, delle risorse investigative connesse allo sviluppo della tecnologia della comunicazione (intercettazioni telefoniche, ecc.) o delle scienze biologiche e mediche (ricerca del DNA, ecc.).
Una tendenza culturale e metodologica progressivamente affermatasi
è poi quella del confronto con altre categorie professionali, prima fra
tutte quella degli avvocati, che da una fase iniziale di sperimentazione
(non sempre ben accolta) si è trasformata progressivamente in una
metodica, da tutti come tale percepita, per la crescita del dibattito e
dunque per l’arricchimento professionale dei magistrati. Nello stesso
senso vanno citate le esperienze, anche in questo caso condotte sia attraverso la designazione di relatori che con la selezione dei partecipanti alle iniziative, di una formazione che coinvolgesse appartenenti
ad altre giurisdizioni, su tematiche di comune interesse. Un esempio
per tutti è quello del coinvolgimento di magistrati contabili nella trattazione di materie concernenti la responsabilità erariali.
Andrebbe comunque corretta, se mai si formasse, la sensazione di
sollecitazioni esclusivamente rivolte a momenti di aggiornamento, di
mera informazione o scambio di esperienze concrete tra partecipanti.
Se questi sono momenti essenziali, altrettanto essenziale per la maggior parte dei magistrati è l’esistenza di momenti di confronto su temi
generali, proprio per la frammentazione che la produzione normativa
175
incessante e l’evoluzione frenetica della società determinano nella
comprensione del sistema. E’ ampiamente diffusa la consapevolezza
che le ricadute professionali di tale comprensione sono importanti
tanto quanto il confronto sulle singole prassi o su specifici testi normativi. Le sollecitazioni dunque non possono essere banalizzate in
una alternativa inattendibile tra “convegno” e “seminario di pratica
professionale”, tra argomenti “teorici” ed argomenti “pratici”. Si tratta piuttosto di affinare gli strumenti di rilevazione dei bisogni, di progettazione delle iniziative (anche e ad esempio nella composizione
della platea dei partecipanti), di elaborazione delle metodiche, perchè
sempre più adeguata sia la coniugazione dei temi, anche i più generali, alle necessità della formazione professionale dei magistrati.
2.I. Le prime esperienze di formazione decentrata e l’avvio della rete dei
referenti distrettuali.
Le prime esperienze di formazione decentrata risultano già sollecitate nella relazione dei magistrati collaboratori ex art. 20 reg. int.,
approvata dal CSM nella seduta dell’11 ottobre 1995, in cui si prevedeva l’organizzazione di corsi in sede distrettuale e la creazione di una
rete di formatori: in relazione al primo tema, si proponeva il decentramento di alcuni incontri onde ampliare la partecipazione dei magistrati, in relazione al secondo si suggeriva di creare, sul modello francese, una rete di corrispondenti periferici per l’attività di formazione,
chiamati a rilevare i bisogni formativi, elaborare ed organizzare iniziative decentrate di formazione continua, collaborare all’attività formativa svolta a livello centrale.
La prima concreta esperienza di formazione a livello locale è poi
avvenuta coi corsi di diritto comunitario, finanziati con un contributo
dell’UE, svoltisi nei distretti di Bologna, Cagliari, Sassari, Firenze,
Trieste, Campobasso, Roma, Lecce, Bari, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Reggio Calabria e Messina. Si trattò di una forma molto attenuata di decentramento, in quanto i temi da discutere e la struttura didattica furono decisi a livello centrale e l’attività di coordinamento fu
svolta dai componenti del Comitato Scientifico, anche se in collaborazione con magistrati collaboratori scelti dai rispettivi Consigli Giudiziari fra i magistrati del distretto che avevano partecipato ai corsi
aventi ad oggetto la formazione dei formatori svoltisi negli anni 19961997. Ad ogni modo, i corsi decentrati di diritto comunitario realizzarono gli obiettivi prefissati dal CSM, facilitando l’accesso alla forma-
176
zione dei magistrati non disponibili ad intervenire ai corsi nazionali,
sperimentando una formazione comune con gli avvocati (chiamati a
partecipare ai corsi), migliorando il rapporto tra risorse economiche
impiegate e numero dei partecipanti, stimolando ancora di più il contributo delle locali Università (intervenute alle iniziative con un qualificato corpo docente). D’altro canto, le iniziative decentrate, nonostante il successo ottenuto, evidenziarono anche difficoltà organizzative e di coordinamento, che resero ancora più sentita l’esigenza di
istituzionalizzare la figura del referente a livello distrettuale, anche
perché, in prospettiva, vi era il progetto di ripetere i corsi negli altri distretti e, per l’anno 1999, erano previsti altri progetti di formazione decentrata, quale il corso sperimentale di autoformazione dei giudici e
pubblici ministeri dell’area minorile e della famiglia, da svolgersi in
cinque distretti con la collaborazione di uno o due referenti locali,
nonchè le giornate di studio sulle controversie del pubblico impiego,
da tenersi in quattro sedi e da organizzare a livello interdistrettuale.
Un’ulteriore spinta all’istituzionalizzazione della figura del referente distrettuale si è avuta a seguito dell’emanazione del D.P.R. 17 luglio 1998, recante il “Regolamento per il tirocinio degli uditori giudiziari”, Regolamento prevedente la competenza concorrente sulla formazione degli uditori da parte dei Consigli Giudiziari e, in specie,
delle Commissioni Distrettuali degli uditori, formate da tre componenti dei Consigli Giudiziari e dai magistrati collaboratori (art. 1 e 9).
La sussistenza di questa competenza locale affidata ad un organo
composto da un numero elevato di soggetti comportava il chiaro pericolo di un difficile rapporto centro-periferia e, per ovviare a tale inconveniente e facilitare tali rapporti, apparve quanto più opportuna la
presenza di un referente locale; ciò fu evidenziato dagli stessi partecipanti al corso “Formazione dei formatori” tenutosi nel febbraio 1998.
Si è giunti così alla fondamentale tappa della delibera consiliare
del 26 novembre 1998, con la quale sono state indicate le caratteristiche essenziali della formazione decentrata e si è individuata per grandi linee la struttura organizzativa della rete dei referenti distrettuali
per la formazione, definendone altresì le funzioni e compiti (sul contenuto della risoluzione si rinvia al par. “l” del cap. I).
Detta risoluzione, naturalmente, abbisognava di una successiva
fase attuativa, in primo luogo la designazione effettiva dei referenti e
in secondo luogo l’indicazione di cornici operative più concrete.
Nelle more del complesso procedimento di selezione dei referenti,
che presupponeva anche una nuova valutazione delle reali esigenze
numeriche dei formatori nei grandi distretti (ed infatti già nell’inter-
177
pello del 25.5.1999 proposto dalla IX Commissione si prevedeva un
ampliamento a 4 del numero dei referenti per i grandi uffici giudiziari), vi è stato l’intervento dell’Assemblea Plenaria della Corte di Cassazione, la quale, col documento approvato il 23.4.1999, ha auspicato la
designazione di referenti nell’ambito della Suprema Corte, chiamati a
contribuire alle continue istanze di formazione dei giudici di legittimità nonché a favorire il continuo dialogo tra detti giudici e i giudici
di merito. Tali esigenze sono state ribadite da più parti durante l’importante appuntamento del seminario Formazione dei formatori del
giugno 1999 e il C.S.M., con l’interpello del 28 luglio 1999, ha deliberato l’istituzione di un apposito ufficio dei referenti anche all’interno
della Corte di Cassazione.
Oltre a questa novità, il seminario Formazione dei formatori è
stato il naturale luogo di discussione del nuovo progetto della rete, di
cui si sono segnalate le potenzialità in merito alla sperimentazione di
nuovi metodi didattici (quali l’autoformazione) e all’ampliamento dei
rapporti con le altre istituzioni a base territoriale (in particolare gli organismi forensi, le Università e gli ordini notarili); d’altra parte, si è
anche discusso del problema risorse economiche, prospettandosi da
parte di alcuni la necessità di specifici stanziamenti assegnati ai Consigli Giudiziari e gestiti personalmente dai referenti e negandosi da
altri l’adottabilità di provvedimenti di carattere generale sul punto. Ad
ogni modo, l’argomento centrale del seminario è stato quello dei rapporti dei referenti con gli altri organi, centrali e locali, competenti in
materia di formazione professionale; dal dibattito è emersa con chiarezza l’idea del referente quale articolazione consiliare, che promana
cioè dalla struttura centrale di governo e che, come tale, ad essa è subordinata e da essa deve essere nominata; al contempo, il referente è
stato subito individuato dai partecipanti quale elemento centrale, se
non indefettibile, della mediazione tra C.S.M. e Consigli Giudiziari
nell’attività formativa, il tutto nella chiara prospettiva del ruolo dei
Consigli Giudiziari nella gestione della formazione decentrata. Al di là
di queste affermazioni di principio, però, il seminario ha costituito il
luogo di scontro di due contrapposte visioni dei rapporti C.S.M. – Consigli Giudiziari – referenti, nel senso che da un lato vi è chi ha accentuato la posizione del referente quale organo della struttura centrale,
strettamente collegato a quest’ultima, dall’altro vi è chi ha visto il referente in stretta correlazione coi Consigli Giudiziari ed ha indicato in
questi ultimi i reali ed effettivi motori dell’attività formativa locale, al
di fuori di qualsivoglia subordinazione gerarchica col centro e senza
alcun controllo preventivo da parte del C.S.M.; quasi in un’ottica di
178
mediazione, nel documento di sintesi del seminario, redatto da un
componente del Comitato Scientifico, si segnala la necessità di attendere la concreta prassi operativa per verificare in concreto atteggiarsi
dei rapporti C.S.M. – Consigli Giudiziari – referenti, ipotizzandosi un
meccanismo flessibile, funzionale alle diverse esigenze formative incombenti sul formatore locale.
Il procedimento di selezione dei referenti è diventato operativo
con la risoluzione del Plenum del 28 luglio 1999, ove si sono ribadite
le linee direttive della delibera del 26 novembre 1998, si è recepita la
sollecitazione dell’Assemblea generale della Corte di Cassazione sulla
creazione di un ufficio dei referenti presso la Suprema Corte e, soprattutto, si sono indicati i criteri guida per la designazione dei referenti locali, sia sotto il profilo numerico per singoli distretti (distinti,
salve eventuali eccezioni per Roma, Napoli e Milano, in tre fasce, con
4, 3 o 2 unità, a seconda che si tratti di distretti con più di 400 magistrati, meno di 400 magistrati e meno di 250 magistrati), che sotto il
profilo dei requisiti oggettivi richiesti per la nomina.
Nel frattempo, con delibera del 20 ottobre 1999 il Consiglio ha approvato la risoluzione sul decentramento dell’attività di autogoverno
in favore dei Consigli Giudiziari e, naturalmente, tale decisione, sotto
il profilo politico, ha significato un’ulteriore spinta verso il decentramento della formazione professionale, rendendo ancora più attuale la
necessità dell’effettiva partenza del progetto formativo della rete dei
referenti distrettuali.
Sempre nelle more della nomina dei formatori locali, nell’estate
1999 sono state realizzate le iniziative formative distrettuali in materia di pubblico impiego e si sono programmate per l’anno successivo
altre giornate di studio locali in materia di diritto comunitario, iniziative queste ultime concretamente attuate nell’estate del 2000, col già
collaudato strumento della collaborazione tra componenti del Comitato Scientifico e magistrati collaboratori scelti dai singoli Consigli
Giudiziari.
Solo in data 13 settembre 2000, col Plenum di pari data, si è completata la procedura di nomina dei referenti distrettuali per la formazione decentrata, designati nel numero di sei per i grandi distretti di
Roma, Napoli e Napoli.
A questo punto, il progetto contenuto nella risoluzione del 24 novembre 1998 era formalmente in grado di partire e il Consiglio, per
consentire ciò, ha indetto per i giorni 4-6 dicembre 2000 il seminario
Formazione dei formatori, appuntamento già previsto nel programma
dei corsi per l’anno 2000 e volto a realizzare una prima effettiva sede
179
di confronto tra i referenti sui principali problemi legati all’organizzazione della struttura e ai contenuti e metodi della formazione decentrata, il tutto nell’ottica di quel bisogno di formazione, o meglio e tendenzialmente di autoformazione, dei referenti locali, chiamati a “riflettere sul proprio ruolo e sulle modalità attraverso le quali attuare
quel ruolo” (così si legge nel programma di presentazione del seminario per l’anno 2000).
Sotto tutti i profili, il seminario ha costituito la naturale linea di
sviluppo di idee già presenti nella delibera-base del 26 novembre 1998
e nel precedente seminario del giugno 1999 (sui risultati del seminario, nell’ambito del quale sono stati formati tre gruppi di lavoro che
hanno redatto documenti di sintesi sugli aspetti dell’“organizzazione”
della rete nonché dei contenuti e metodi della formazione decentrata,
si rinvia al par. “b” del cap. III).
Le indicazioni provenienti dal seminario del dicembre 2000, proprio perché provenienti dai diretti protagonisti della futura esperienza
formativa locale, dovranno essere tenute in debito conto nella prima
fase di partenza dell’attività della rete. Naturalmente, come già preannunciato durante l’incontro nonché nello stesso libretto del programma per l’anno 2001, sono previsti altri seminari Formazione dei formatori, ove si discuteranno le medesime tematiche e si approfondiranno problemi solo accennati nell’appuntamento del dicembre 2000
(come ad esempio i contenuti e i metodi della formazione iniziale dei
magistrati togati e di quelli onorari, ovvero il tema dell’eventuale parziale esonero dei referenti dall’ordinario lavoro giurisdizionale); analogamente, sono ipotizzabili altri interventi consiliari in materia, per
rimediare ad eventuali errori e/o omissioni ovvero al fine di modificare le impostazioni e gli indirizzi originari. Tuttavia, è indiscutibile che
oggi, dopo la risoluzione del 26 novembre 1998, la nomina dei referenti e gli approfondimenti di cui ai seminari Formazione dei formatori del giugno 1999 e del dicembre 2000, vi siano le concrete condizioni per una effettiva partenza del progetto formativo della rete dei
referenti locali, i quali, quindi, già dal 2001 (anno nel quale sono già
state programmate dal C.S.M. delle giornate di studio distrettuali sul
pubblico impiego e il completamento delle iniziative locali di diritto
comunitario finanziate dall’UE), saranno in grado di inserirsi concretamente nel circuito formativo, integrando ed aiutando l’attività formativa svolta a livello centrale.
180
Numero di partecipazioni per magistrati
Quadriennio 1997-2000
Anno
1
2
3
4
5
6
Totale
97
1956
301
31
2
0
0
2290
98
2506
507
71
3
0
0
3087
99
2660
574
56
4
1
0
3295
2000
2848
496
77
6
0
0
3427
Percentuali di partecipazioni per magistrati
Triennio 1994-1996*
Anno
1
2
3
4
5
6
94
83,25%
14,60%
1,91%
0,24%
0,00%
0,00%
95
78,81%
17,79%
2,82%
0,58%
0,00%
0,00%
96
82,36%
14,84%
2,44%
0,24%
0,08%
0,04%
Percentuali di partecipazioni per magistrati
Quadriennio 1997-2000
Anno
1
2
3
4
5
6
97
85,41%
13,14%
1,35%
0,09%
0,00%
0,00%
98
81,18%
16,42%
2,30%
0,10%
0,00%
0,00%
99
80,73%
17,42%
1,70%
0,12%
0,03%
0,00%
2000
83,11%
14,46%
2,25%
0,18
0.00%
0,00%
Analisi comparata della mancata richiesta di partecipazione.
Il raffronto tra i due periodi di riferimento sarà condotto analizzando comparativamente solamente alcuni dei dati complessivi, non
essendo stati elaborati, nel triennio precedente, tutti i dati omogenei,
già esaminati, per il quadriennio 1997-2000.
126
Tale raffronto, tuttavia, appare utile al fine di verificare l’andamento dei flussi di partecipazione con particolare riferimento all’età,
alle funzioni ed al territorio.
Occorre, tuttavia, considerare, l’aumento del numero dei magistrati nel secondo quadriennio che, ovviamente, incide, sulle percentuali di riferimento.
Mancata richiesta di partecipazione per qualifica (percentuale dei non
partecipanti).
Tenendo conto dell’aumento del numero dei magistrati in servizio
nel quadriennio 97- 2000, un primo raffronto tra i dati relativi ai due
periodi di riferimento evidenzia un aumento percentuale della mancata partecipazione per tutte le qualifiche.
L’aumento della percentuale di mancata partecipazione rivela un
andamento costante in percentuale in tutte le qualifiche (+ 13,1% per
le FDS, + 14% per la Cassazione, + 14,4% per l’Appello, +10% per il Tribunale).
Si evidenzia ancora, al fine di una corretta lettura dei dati, che
l’aumento della percentuale della mancata partecipazione dei magistrati di tribunale va rapportata alla diversità temporale della immissione in possesso degli uditori, il cui afflusso è sensibilmente diminuito rispetto agli anni precedenti.
Non è stato effettuato il raffronto per gli Uditori, stante la variabilità del loro numero nei due periodi di riferimento e non costituendo,
quindi, valida base statistica di raffronto.
Qualifica
Triennio
94-96
Quadriennio
97-2000
Variazione
percentuale
Fds
60,8%
73,9%
+13,1%
Cassazione
43,6%
57,6%
+14%
Appello
31,2%
45,6%
+14,4%
Tribunale
19%
29%
+10%
127
Mancata richiesta di partecipazione per età (percentuale dei non partecipanti).
Si evidenzia un decremento nella partecipazione, nel secondo periodo di riferimento, per i magistrati delle prime tre fasce (fino a 35
anni e da 36 a 45 anni e da 46 a 55 anni), mentre aumenta la partecipazione dei magistrati più anziani, grazie anche ai diverso meccanismo di ammissione ai corsi (cd. griglie), pur risultando ancora percentualmente alta la percentuale di mancata partecipazione (72,1%)
L’aumento della percentuale media di mancata partecipazione nell’ultimo quadriennio, nonostante l’aumento dei corsi, è, in parte, attribuibile all’aumento del numero dei magistrati nel periodo corrispondente.
ETÀ
Triennio
94-96
Quadriennio
97-2000
Variazione
percentuale
Sino a 35 anni
14,6%
24,3%
+ 9,7%
Da 36 a 45 anni
23,9%
45,5%
+21.6%
Da 46 a 55 anni
41,8%
52,8%
+11%
Oltre i 56 anni
80,2%
72,1%
- 8,1%
Mancata richiesta di partecipazione per territorio (percentuale dei non
partecipanti).
Un aumento della percentuale dei partecipanti si registra, nel qudriennio 97-2000, solamente nei distretti di Campobasso (dal 43,3% al
40,5% non partecipanti) e Trento (dal 47,4% al 32,5% non partecipanti).
In tutti gli altri distretti, anche per l’incremento percentuale dei
magistrati nel quadriennio 97-2000 è proporzionalmente diminuita,
rispetto al triennio 94-96 la percentuale dei non partecipanti pur registrandosi un incremento del numero dei corsi.
Il maggiore incremento percentuale dei non partecipanti si registra nei distretti di Torino (+17,7%), Firenze (+13,2%) e Lecce
(+13,4%).
Il minore incremento, con una tasso tendenzialmente stabile di
mancata partecipazione si è verificato nei distretti di Catanzaro
(+0,3%), Bolzano (+1,7) e Cagliari (+2,2%).
128
DISTRETTO
Triennio
94-96
Quadriennio
97-2000
%
ANCONA
41,9%
50,4%
+ 8,5%
BARI
33,3%
39%
+5,7%
BOLOGNA
35,9%
48,%
+12,1%
BRESCIA
32,8%
40,2%
+7,4%
CAGLIARI
39,2%
41,4%
+2,2%
CALTANISSETTA
23,5%
32,9%
+9,4%
CAMPOBASSO
43,3%
40,5%
-2,8%
CATANIA
36,2%
42,4%
+6,2%
CATANZARO
35,5%
35,8%
+0,3%
FIRENZE
35,2%
48,4%
+13,2%
GENOVA
43,1%
50,6%
+7,5%
L’AQUILA
41,2%
49,1%
+7,9%
LECCE
27,5%
40,9%
+13,4%
MESSINA
44,8%
52,5%
+7,7%
MILANO
42,4%
49,8%
+7,4%
NAPOLI
33,6%
40,9%
+7,3%
PALERMO
31,8%
38,2%
+6,4%
PERUGIA
43,3%
52,4%
+9,1%
POTENZA
27,6%
38,1%
+10,5%
REGGIO CALABRIA
25,6%
35,8%
+10,2%
ROMA
46,4%
58,5%
+12,1%
SALERNO
39,5%
46,4%
+6,9%
TORINO
27,8%
45,5%
+17,7%
TRENTO
47,4%
32,5%
-14,9%
TRIESTE
28,8%
35,1%
+6,3%
VENEZIA
33%
38,5%
+5,5%
BOLZANO
32,5%
34,2%
+1,7%
SASSARI
34%
40%
+6%
TARANTO
27,1%
32,6%
+5,5%
Corte di Cassazione
83,7%
Ministero Giustizia
61%
129
2.E. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base oggettiva.
A partire dal 1997, si registra l’aumento costante del numero dei
corsi, passati dai 41 di quell’anno ai 56 del 2000. Solo nel 1999 è riscontrabile una lieve contrazione del numero complessivo, passato a
46 corsi rispetto ai 49 dell’anno precedente.
Quanto alle aree tematiche dell’offerta formativa, sino al 1998 essa
si concentra nei settori tradizionali del civile, sostanziale e processuale, e del penale, sostanziale e processuale, con qualche limitato numero di corsi destinati al diritto comunitario ed al diritto costituzionale.
A partire dal 1999, il quadro si arricchisce con l’introduzione dell’area
c.d. interdisciplinare, che si sviluppa in particolare nell’anno successivo.
In dettaglio, l’offerta formativa per aree tematiche a partire dal
1997 può riassumersi come segue:
civile comun. costit
1997
15
1998
20
1999
18
2000
12
econ. ord.giud Interd lavoro minor. penale prom.
1
1
19
6
3
21
4
2
13
1
1
20
12
4
3
1
14
1
I grafici che seguono, evidenziano le modificazioni in percentuale
della distribuzione dei corsi per aree tematiche, e la progressiva differenziazione dell’offerta formativa:
130
Peraltro, come già rilevato, l’area interdisciplinare ingloba in sé alcuni corsi inquadrabili nell’area “società e questioni contemporanee”,
altri riferentisi ai temi dell’ordinamento giudiziario o a questioni interdisciplinari processuali (come il rapporto tra illecito civile ed illecito penale, il ragionamento probatorio, o la riflessione sulle dinamiche
processuali analizzate con riferimento alla Convenzione europea dei
diritti dell’uomo), o ancora al settore del diritto della famiglia e dei minori, e quindi a temi rientranti in aree che negli anni 97-98 erano considerate autonomamente.
E’ possibile disaggregare i dati sopra evidenziati al fine di meglio
acquisire i tratti salienti dell’offerta formativa nel quadriennio.
In particolare, si può tentare di cogliere l’oggetto effettivo dell’offerta formativa per ciascuna delle più rilevanti aree tematiche, al fine
di vagliare quale “accoglienza” essa abbia ricevuto e come si sia indirizzata la risposta da parte dei destinatari dell’offerta.
Il procedimento, che implica la riaggregazione dei dati per temi
ricorrenti e in vario modo omogenei all’interno della stessa area, implica talune inevitabili forzature. In particolare, per il settore penale
si può tenere conto di una prima ampia distinzione tra i corsi aventi ad oggetto il diritto sostanziale e quelli aventi ad oggetto il diritto
processuale, pur essendosi evidenziato in altra parte della relazione
come la metodologia seguita in questi anni abbia tentato di correlare i due aspetti in misura la più ampia possibile, evidenziando – ad
es. – i nessi tra il tipo di reato considerato ed i profili dell’accertamento probatorio del fatto e della valutazione alla stessa correlata.
Ulteriori possibili aggregazione dei dati, che ad es. seguano l’iter tipico del procedimento penale, e che distinguano quindi i corsi con
riguardo alla fase delle indagini preliminari, del dibattimento, delle
impugnazioni e dell’esecuzione della pena non tengono conto di quei
131
temi di confine o che attraversano, per così dire, in modo trasversale tutto quanto il processo penale, in quanto tipici dell’attività del conoscere e del giudicare (si pensi al tema della formazione e della valutazione della prova), e non sono quindi sussumibili in alcuna delle
aggregazioni indicate. S’è proposta pertanto un’ulteriore aggregazione, quella dei temi appunto trasversali, nell’ambito della quale si
sono fatti rientrare anche quei corsi destinati a contenere tematiche
particolari, affrontate fonditus negli aspetti tanto di diritto sostanziale quanto di diritto processuale.
Alla stregua di tali premesse, si evince che l’offerta formativa nel
macrosettore penale, per il triennio 1997-1999, tenuto conto dell’oggetto dei corsi, può essere scomposta nel seguente modo:
Sostanziale preliminare
dibattim.
impugnaz.
esecuz.
trasversali
1
2
5
2
4
1
5
1997
3
4
4
1998
9
3
3
1999
2
4
1
I dati evidenziano in particolare come dopo il 1997, anno in cui
si registra una sostanziale omogeneità numerica tra i vari settori in
cui è stata divisa l’area tematica del penale, nel 1998 i corsi di diritto penale sostanziale siano aumentati di numero in modo considerevole, per poi riassestarsi nella precedente proporzione nel successivo anno 1999. In sostanza, nel corso del 1998 si è assistito al
riequilibrio di un’offerta formativa decisamente più accentuata sul
piano del processo rispetto a quella propria del diritto penale sostanziale.
Il processo delineato s’è peraltro immediatamente interrotto ed
è sembrato sostituito dalla crescita contemporanea dei corsi di carattere trasversale, che potenzialmente consentono un approccio
culturale più ampio e sembrano intercettare più facilmente, per la
molteplicità degli aspetti e delle questioni anche di diritto sostanziale trattate al loro interno, l’interesse ed i bisogni della platea dei destinatari.
I due concomitanti aspetti sono bene evidenziati, sotto l’aspetto
della crescita percentuale, dai seguenti grafici:
132
All’offerta formativa così atteggiata ha fatto ovviamente riscontro
la domanda dei partecipanti, evidentemente condizionata dai contenuti dall’offerta formativa.
In particolare, nel triennio considerato le domande di partecipazione ai corsi si sono indirizzate in modo preponderante verso le aree
di tipo processuale.
Sostanz.
ind. prel.
dibattim.
impugnaz.
esecuz.
1997
1815
1386
3201
526
360
886
1998
3384
1133
2170
639
1617
1297
1712
1576
246
6496
4231
6947
772
1999
trasvers.
1091
999
3594
In termini percentuali, ciò implica:
La scomposizione del dato evidenzia in particolare, per l’anno
1997, che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente modo:
Sostanz.
prelim.
dibattim
impugnaz
esecuz.
trasvers
1815
1386
3201
526
360
886
133
In termini percentuali:
Il raffronto tra i due grafici sembra evidenziare in particolare un
surplus di domanda, che l’offerta formativa già in origine non avrebbe
potuto comunque soddisfare, con riguardo ai corsi di diritto sostanziale; ed analogamente è a dirsi, con riguardo ai corsi destinati al dibattimento penale.
Il che sembra evidenziare la correttezza della scelta operata nell’anno successivo, con l’incremento dei corsi destinati all’area di diritto sostanziale.
In particolare, la scomposizione del dato globale relativo all’anno
1998 evidenzia che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi
si è indirizzato nel seguente modo:
sostanz
ind. prel.
dibattim
3384
1133
2170
impugnaz
esecuz.
trasvers
639
1617
In termini percentuali:
Ed il raffronto tra i due grafici sembra evidenziare per l’anno 1998
una maggiore armonia complessiva tra l’offerta formativa ed i bisogni
evidenziati dal flusso delle domande di partecipazione.
134
Quanto all’anno 1999, la scomposizione del dato globale evidenzia
che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato
nel seguente modo:
sostanz
ind. prel.
dibattim
impugnaz
1297
1712
1576
246
esecuz.
trasvers
1091
In termini percentuali:
Il raffronto tra i grafici sembra evidenziare un certo squilibrio tra
le domande ed i vari settori di aree tematiche del penale, in particolare per ciò che attiene al diritto sostanziale ed alla fase dibattimentale
del processo, settori per i quali può cogliersi un flusso di domande destinato a rimanere inevaso per il limitato numero di corsi previsto,
probabilmente solo in parte compensato dai corsi c.d. trasversali.
L’offerta formativa per l’anno 2000 sembra prendere atto della situazione ed accentua il numero dei corsi destinati al diritto sostanziale nonché, nell’ambito del settore penale, alla fase dibattimentale del
processo. Ne risulta un rinnovato equilibrio complessivo dell’offerta,
mentre sempre crescente gradimento, sul piano questa volta della domanda di partecipazione, sembrano avere i corsi c.d. trasversali (in
particolare quelli destinati all’istituzione del giudice unico e quello alla
chiamata di correo nel sistema delle prove).
Quanto al settore civile, la scomposizione e la riaggregazione dei
dati per temi ricorrenti e più o meno omogenei all’interno della stessa
area tematica, è stata anch’essa effettuata tenendo conto di una prima
ampia distinzione tra i corsi aventi ad oggetto il diritto sostanziale e
quelli aventi ad oggetto il diritto processuale, pur con l’avvertenza già
compiuta su quanto di opinabile ha tale distinzione ove si ponga
mente alla metodologia seguita in questi anni. La sostanziale omoge-
135
neità e ripetitività nel tempo dei corsi di diritto processuale civile (cfr.,
“Il punto sul nuovo rito civile”, “I pretori civili”, “Il processo esecutivo
civile”…), ha indotto a differenziare la ricerca statistica soprattutto
con riguardo all’area macrotematica del diritto sostanziale civile,
scomposta e riaggregata per microsettori, facenti capo al diritto delle
persone, della famiglia, alla proprietà ed ai diritti reali in genere, ai
contratti, alla responsabilità civile, al diritto del lavoro.
Alla stregua di tali premesse, si evince che l’offerta formativa nel
macrosettore civile, per il triennio 1997-1999, tenuto conto dell’oggetto dei corsi, può essere scomposta nel seguente modo:
Process.
8
famiglia
persone
1
9
5
1
1
22
2
1
contratti
resp. civ.
lavoro
1
1
1
1997
4
1
1
1998
2
1
1
1999
2
3
3
5
dir. reali
In termini percentuali ciò implica:
La preponderanza assegnata a temi e questioni di diritto processuale è netta e trova le sue ragioni, da un lato, nella necessità di far
fronte ai bisogni di approfondimento dei contenuti normativi della novella del processo civile e di confronto delle diverse prassi interpretative conseguentemente scaturite; dall’altro, in una chiara ispirazione
che vuole l’affinamento delle tecniche del giurista in funzione della tutela delle garanzie interne al processo.
La suddetta preponderanza, particolarmente sensibile negli anni
1997 e 1998, sino a sfiorare il 70% del numero complessivo dei corsi,
è andata col tempo riducendosi, sì da consentire una concomitante,
136
parziale, crescita dei temi di diritto sostanziale. Risulta peraltro evidente la contenuta offerta di aggiornamento professionale destinata ai
magistrati che svolgono funzioni di giudici del lavoro, estranei ai corsi
di diritto processuale, per la peculiarità del rito, e destinatari di un numero ridottissimo di corsi di diritto sostanziale.
I grafici che seguono dimostrano l’andamento delle aree tematiche del settore civile nel triennio:
All’offerta formativa così atteggiata ha fatto ovviamente riscontro
la domanda dei partecipanti, anche in questo caso condizionata dai
contenuti dall’offerta formativa.
In particolare, nel triennio considerato le domande di partecipazione ai corsi si sono indirizzate in modo preponderante verso le aree
di tipo processuale.
Process.
famiglia
persone
1997
2875
149
1998
3090
1999
1833
218
250
7798
367
250
contratti
dir. reali
resp. civ.
lavoro
419
395
325
751
334
340
710
223
389
710
952
1054
1170
137
Il grafico che segue offre la rappresentazione in percentuale della
domanda nel triennio:
Il raffronto tra i grafici sembra deporre per l’esattezza della scelta
consiliare in favore dei corsi di diritto processuale, dal momento che
il flusso delle domande nel triennio si è orientato, addirittura in misura eccedente rispetto all’offerta, appunto verso quei corsi.
Ovviamente, questione affatto diversa è quella concernente la discrasia tra il numero delle domande di ammissione ed il numero degli
ammessi ai corsi, discrasia che in termini assoluti è destinata a riflettersi maggiormente sulle aspettative di quanti hanno chiesto l’ammissione ai corsi di diritto sostanziale.
La scomposizione del dato globale concernente le domande di
partecipazione evidenzia in particolare, per l’anno 1997, che il flusso
delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente
modo:
Process.
2875
famiglia
persone
149
In termini percentuali:
138
contratti
419
dir. reali
resp. civ.
lavoro
395
325
Se ne desume una quasi perfetta coincidenza tra la percentuale
delle varie aree tematiche costituenti l’offerta formativa ed il flusso
delle domande di partecipazione ai corsi.
Ed analogamente può dirsi per il successivo anno 1998:
Non altrettanto sembra potersi dire già a far data dal successivo
anno 1999, in cui si riscontrano le seguenti domande di partecipazione:
Process.
1833
famiglia
persone
218
250
contratti
dir. reali
resp. civ.
lavoro
710
223
389
In termini percentuali:
Il raffronto tra i grafici sembra infatti evidenziare per talune microaree (si vd., ad es., quello dei diritti reali) un eccesso del flusso della
domanda rispetto alla percentuale dei corsi offerti, probabilmente sintomo di una più ampia esigenza di corsi di diritto sostanziale, che
stenta ancora a trovare adeguato riconoscimento.
L’osservazione sembra suffragata dall’andamento del rapporto tra
la percentuale dei corsi offerti per aree tematiche nell’anno 2000 e la
percentuale dei relativi flussi di domande: l’aumento dei corsi desti-
139
nati ai settori di diritto sostanziale, peraltro limitato alla materia negoziale, non sembra aver soddisfatto pienamente l’aspettativa numerica di partecipazione a quei corsi, come si può desumere dai grafici sottostanti, mentre per la prima volta si assiste ad una contrazione in
percentuale del flusso delle domande di partecipazione rispetto alla
percentuale di offerta dei corsi di diritto processuale.
I corsi interdisciplinari, la cui natura e funzione si è descritta in
altra parte della relazione, hanno avuto il maggiore incremento numerico nel quadriennio; alcuni di essi hanno conseguito un numero
altissimo di richieste di partecipazione (cfr., ad es., “Il ragionamento
probatorio”; “Il giudice nella società multiecnica”; ecc…).
L’offerta complessiva dei corsi per sottoaree tematiche è evidenziato dalla seguente tabella
dir. e processo
dir. minor
dir. econom.
giud. e società
1997
2
1
2
1998
2
1
1
1
1999
2
2
3
2000
7
1
13
3
140
3
5
7
In termini percentuali:
All’incremento dell’offerta formativa ha fatto riscontro nel quadriennio la crescita dei flussi delle domande di partecipazione:
dir. e proc.
minori
dir. econ.
giud. e soc.
1997
428
166
745
1998
966
161
365
907
1999
326
1060
1003
2000
3119
420
4839
747
797
2170
2707
In termini percentuali:
la disaggregazione dei dati anno per anno evidenzia il seguente
andamento:
141
Anno 1997 (offerta formativa).
dir. e proc
minori
dir. econ.
1
1
1
1
2
giud. e soc
1
1
2
In termini percentuali:
I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano:
dir. e proc
minori
dir. econ.
140
166
340
288
428
405
166
In termini percentuali:
142
745
giud. e soc
LINEE GUIDA E PROSPETTIVE FUTURE
DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI
3.A. La formazione. Alcune premesse teoriche.
3.A.1. Peculiarità della formazione del magistrato.
Abbiamo fin qui illustrato la “storia” della formazione dei magistrati in Italia, inseguendone le linee evolutive negli atti consiliari,
nella attività formativa in concreto realizzata, nella sua progressiva
strutturazione organizzativa secondo un percorso che va dal centro
alla periferia (dall’accentramento degli esordi all’attuale decentramento in sede distrettuale).
E’ ora il momento di affrontare in modo più diretto il tema dei
contenuti e dei metodi - in termini scolastici, dei programmi e della didattica -, al fine di scrutinare quali siano state le scelte compiute e di
chiarire il perché di queste scelte.
Come è stato osservato nel Primo Capitolo:
- la formazione del magistrato non è lo strumento attraverso il quale
il “datore di lavoro” fa acquisire professionalità al lavoratore per ottenere maggiore produttività e un risultato che risponda a determinati
standard qualitativi né può avere per obbiettivo quello di costruire (e far
apprendere) percorsi decisionali precostituiti; seppure il problema dell’efficienza non è (e non può essere alla luce dei gravi ritardi della giustizia italiana) estraneo all’esercizio della giurisdizione - di modo che il
tema dell’organizzazione del lavoro del giudice rientra a pieno titolo tra
le materia di “studio” e approfondimento -, la formazione del magistrato tende in primo luogo a fornirgli gli strumenti (la <<cassetta degli attrezzi>>) per trovare (da solo) le soluzioni sostanziali corrette ed adeguate e i percorsi processuali più garantisti, efficaci ed efficienti;
- per individuare obbiettivi, contenuti e metodi della formazione
deve operarsi una distinzione tra (formazione diretta alla) attività giurisdizionale e (formazione diretta alla) attività di organizzazione e direzione degli uffici; per la seconda è possibile mutuare (valutandone i
risultati e adeguandole) tecniche di formazione già sperimentate, in
particolare nel settore della gestione pubblica e privata dei servizi (scolastici e socio-sanitari); per la prima è necessaria un’attività “creativa”
dall’interno, la quale ha peraltro necessità dell’apporto di esperti, che
colmino le lacune conoscitive della struttura consiliare di formazione;
183
- una ulteriore distinzione deve essere operata tra (formazione diretta alla) attività di gestione del processo e attività di sussunzione
della fattispecie concreta nella fattispecie astratta; la seconda, implicando la formulazione di un giudizio di diritto e presupponendo essenzialmente conoscenze teoriche di diritto sostanziale, si adatta, almeno in parte, a forme tradizionali di insegnamento; la prima, presupponendo l’acquisizione di capacità di gestione degli strumenti processuali in relazione ai fini perseguiti di volta in volta e richiedendo
non solo la padronanza dei fondamenti teorici del diritto processuale
civile e penale ma anche la capacità di utilizzarli in concreto operando le scelte, in particolare istruttorie, più adeguate alla fattispecie.
3.A.2. Che cos’è la formazione? Concezioni della formazione e evoluzioni
dei contesti organizzativi e culturali1.
Prima di scendere nello specifico dell’attività formativa realizzata,
è opportuno porsi una domanda: che cosa intendiamo per “formazione”? Il termine è così largamente usato che la domanda può sembrare
ovvia o retorica, ma non lo è (in particolare, quando si tratta di onfigurare e realizzare concretamente delle iniziative che coinvolgono diversi soggetti). Infatti, questa domanda, banale in apparenza, permette
di sottolineare che la parola, per la sua stessa ampia diffusione, non è
traducibile in una definizione solida e univoca e comprende una pluralità di significati che rimandano a diverse concezioni dell’organizzazione e del lavoro, dei rapporti che gli individui hanno con la conoscenza e i saperi, dei rapporti tra conoscenza e azione, dell’evoluzione
del pensiero scientifico e anche dello sviluppo di comunicazioni e interazioni tra individui e gruppi. Ognuno ha una propria idea di formazione, probabilmente collegata al contesto sociale e lavorativo di cui fa
parte e alle esperienze che hanno marcato la sua storia professionale e
personale: idea che spesso è implicita anche se costituisce un riferimento centrale per orientare apprezzamenti e scelte e che è comunque
riconducibile ad alcuni filoni di significati predominanti.
Nella nostra società italiana della fine degli anni ’90 appare ri-
1
Nel presente paragrafo e nel successivo si utilizzano le osservazioni ed elaborazioni di
F. Olivetti Manoukian, metodologa del laboratorio sperimentale per giudici minorili e della
famiglia; gli esiti di questa esperienza formativa saranno sunteggiati nel prosieguo e costituiscono oggetto di una specifica relazione pubblicata (in corso di pubblicazione) in Quaderni del C.S.M., 2001.
184
corrente una concezione della formazione (che nei suoi punti cardine
è quella inscritta nel sistema scolastico, ambito formativo basilare e
dominante) come processo che fornisce ai singoli delle capacità rispetto all’esercizio di ruoli e compiti richiesti e non pienamente e adeguatamente padroneggiati. Si ipotizza, cioè, che capacità carenti o
inesistenti possano essere acquisite attraverso la trasmissione di contenuti specifici da chi li possiede a chi non li possiede, dall’esperto all’inesperto, attraverso una sorta di travaso che riempie le lacune e
porta alla interiorizzazione. I risultati non saranno uniformi e nemmeno sempre garantiti perché sono chiamate in causa le doti soggettive dei docenti e discenti, ma è questa la strada da percorrere, anche
con ritorni e ripetizioni, se gli esiti sono molto lontani da quelli attesi.
Questa idea della formazione presuppone l’esistenza di organizzazioni lavorative funzionanti in modo molto razionale, guidate
da finalità chiare e condivise, suscettibili di scomposizioni nette e precise, pronte a ricomposizioni lineari e ordinate, organizzazioni studiate scientificamente che pre-definiscono e pre-scrivono le posizioni
dei singoli e le rispettive competenze, le regole di condotta, i modi di
comunicazione e di decisione, di risoluzione dei conflitti. Il funzionamento ottimale dell’organizzazione sarà il risultato della messa in pratica, da parte dei singoli, di quanto è stato fissato, nel modo più pedissequo e impersonale. Viene quindi anche supposta - o postulata –
negli individui una sostanziale disposizione ad aderire in modo razionale a quanto viene loro richiesto, ad adempiere a quanto gli esperti
hanno valutato corretto e necessario, secondo criteri sperimentati.
Va detto che questo modo di intendere la formazione è stato per
molti decenni predominante, anche perché intrinsecamente legato all’organizzazione del lavoro tradizionalmente adottata nella produzione industriale e teorizzata da F.W.Taylor (“inventore” dello scientific
management, che individuando one best way - un solo modo ottimaleper ottenere i risultati attesi, richiede anche che ci sia the right man to
the right place – l’uomo giusto al posto giusto).
L’organizzazione meccanicistica d’altra parte si è progressivamente affermata anche nel sistema della pubblica amministrazione: il
prefissare a priori con criteri impersonali e scientificamente fondati
ciò che a ciascuno spetta e compete e il richiederne l’adempimento
puntuale sine ira et studio porta a ridurre possibilità e ambiti di arbitrio e a garantire uniformità di comportamenti. L’organizzazione
scientifica viene vista come supporto ad una amministrazione pubblica di uno stato che afferma e persegue uguaglianza tra i cittadini e parità di diritti. Da essa può derivare la certezza della esecuzione omo-
185
genea dei compiti assegnati, che assicura rapporti ordinati e imparziali all’interno dell’organizzazione e con l’esterno.
In sostanza nell’accezione schematicamente richiamata la formazione appare come procedimento funzionale all’adeguamento dei singoli alle richieste di competenze operative che via via si manifestano
nell’organizzazione: procedimento che fa leva sull’erogazione di contenuti che fissano che cosa e come si deve fare (secondo gli schemi più
razionali ed aggiornati) e sulla conseguente acquisizione di corrispondenti comportamenti razionali ed efficienti.
E’ questa una visione ottimistica che è stata messa in crisi negli ultimi trent’anni, sia da un punto di vista operativo che da un punto di
vista teorico. Nel funzionamento delle organizzazioni industriali si è
constatato come sforzi continui di razionalizzazione indirizzati a raggiungere un assetto teoricamente adeguato non portino a miglioramenti effettivi e a risultati soddisfacenti, come siano molto costosi e
come la stessa adozione di modelli e principii in sé e per sé razionali
rischi di indurre staticità e inerzie rispetto alle necessità di risposte
adattive e flessibili, ad un ambiente che muta rapidamente. Diversi
studiosi dei fenomeni organizzativi hanno condotto ricerche, in particolare negli Stati Uniti, per comprendere come potessero sopravvivere e avere successo delle organizzazioni alquanto distanti dalle strutture e dai modelli teoricamente prescritti, spostando anche l’interesse
dalla definizione astratta di ciò che un’organizzazione deve essere e da
ciò che in un’organizzazione si deve fare a ciò che nella realtà permette all’organizzazione di svilupparsi e di cambiare, di acquisire risorse, di produrre in modo soddisfacente e apprezzato.
E’ stato così messo in discussione anche il tradizionale modello di
formazione come trasmissione di prescrizioni e di saperi costituiti da
mettere in pratica e si è fatta strada una visione dell’organizzazione
come realtà complessa in cui coesistono diverse finalità e diversi interessi, diverse razionalità di cui singoli e gruppi sono attivamente portatori e non necessariamente secondo linee convergenti. Questo nuovo
approccio ha trovato anche supporti e radicamenti nell’emergere
(dagli inizi del novecento) di una nuova epistemologia che rompe con
l’edificazione di conoscenze per accumulazioni e sistematizzazioni
progressive verso omogeneizzazioni e sintesi “oggettive”, distanziate
dal soggetto, alla ricerca di fissare regole e leggi, di arrivare a verità
sempre più indiscutibili. E’ venuta meno la fede nel progresso e nella
linearità della conoscenza scientifica, si sono moltiplicati i punti di
vista, riconosciuti diversi sguardi possibili, comunque tra loro compatibili, suggeriti da percorsi casuali, da combinazioni provvisorie e
186
anche effimere: i soggetti immersi nella realtà conoscono anche attraverso l’auto-osservazione; creano, costruiscono delle versioni del
mondo, delle rappresentazioni sulla base delle quali agiscono e interagiscono tra vincoli e possibilità che sono tali appunto a seconda di
come sono visti, che hanno significati parziali, non definitivi, non del
tutto padroneggiabili.
Nell’ambito delle scienze sociali si vanno sviluppando delle correnti di pensiero che tendono a considerare il soggetto più che come
individuo centrale e indipendente, in grado di dominare la natura e
l’ambiente che lo circonda con la forza della ragione e della volontà,
come individuo in interazione con una società in cui è sempre aperta
la sfida su come e quanto si possano conoscere e governare dei fenomeni che continuamente attraversano la convivenza sociale e che sempre più appaiono come irriducibili: le ipotesi a lungo accarezzate di
poter pianificare e indirizzare dei cambiamenti per costruire assetti
economici e sociali più equilibrati sembrano ridimensionate e confrontate con riflessioni che sottolineano come si abbia sempre a che
fare con modificazioni e permanenze, come i mutamenti vadano spesso verso esiti non attesi, come i mutamenti forse più significativi in
una società siano conosciuti e compresi soltanto a posteriori.
Tutto questo porta a vedere la formazione come processo più mobile e incerto, rivolto a promuovere nei singoli capacità di lettura e
comprensione delle situazioni lavorative in cui sono collocati, capacità
che possono svilupparsi soprattutto attraverso l’apertura e l’alleggerimento delle conoscenze sedimentate e cristallizzate, inerti e ripetitive,
con un’implicazione attiva dei singoli nella ricerca di rappresentazioni
“diverse” di ciò che incontrano nella realtà. Attraverso la formazione si
raggiunge una forma che non è proposta o imposta dall’esterno secondo un modello prefissato, ma è piuttosto un prendere da parte di ciascuno una forma che emerge dal distaccarsi dai propri bagagli precostituiti, dal rivedere le proprie posizioni e chiusure, dall’interrogare e
scavare le proprie credenze, dall’affinare ascolto e osservazione e che si
costruisce in un continuo interattivo dialogo con il contesto.
3.A.3. Approcci diversi per acquisire competenze diverse.
Nella realizzazione di attività formative non possiamo staccarci
radicalmente dal modello razionale tradizionale. Tutta la vita nella nostra società è largamente dominata dal ricorso ad una razionalità strumentale che ci permette di far fronte a una pluralità di problemi; non
187
possiamo fare piazza pulita di modi di pensare e di agire che sono inscritti nella nostra quotidianità.
Nel funzionamento delle organizzazioni e nell’agire lavorativo dei
singoli si continuano a prendere decisioni e a definire linee di condotta dettate da criteri generali di ordine e di efficienza, seguendo delle
logiche collaudate che indichino che cosa si deve fare per ottenere il
meglio e il massimo in riferimento ai fini istituzionali: si continua ad
aspettarsi che i singoli si comportino in modo razionale e seguano
quanto viene fissato e prescritto per produrre e gestire attività. Ad
esempio, nelle imprese si chiama in causa la logica del mercato che richiede ristrutturazioni e tagli di organico, come l’unica strada che
consente di sopravvivere o nella pubblica amministrazione si definisce
l’<aziendalizzazione> come la via più adeguata per recuperare efficienza. Queste soluzioni “razionali” rispondono ad esigenze effettive
ed hanno molte ragioni per essere proposte. Rischiano tuttavia di mettere l’accento soltanto su una faccia dei problemi che intendono affrontare e soprattutto possono far pensare che questo è ciò che è indicato dalla scienza e dalla tecnica in modo ineluttabile e non abbiamo
altra scelta che quella di sottometterci alle procedure e alle strumentazioni che per questa via ci vengono offerte. Si pensi a ciò che accade nel campo della medicina dove l’elevato sviluppo tecnologico che è
stato raggiunto mette in luce in modo particolarmente evidente come
la sottomissione alla razionalità strumentale possa estendersi quasi
senza limiti, fino al punto da arrivare a considerare come comunque
positive le sue applicazioni, anche se non danno gli esiti a cui sono
specificamente finalizzate: l’operazione è andata bene, ma il paziente
è morto! Sembra che ogni sorta di problema possa essere trattato e eliminato attraverso l’applicazione di una terapia appropriata e si finisce
per investire soprattutto sull’affinamento delle terapie, dei rimedi, sul
come fare. Se questo ha effetti positivi per problemi semplici e circoscritti, in molti casi appare un approccio fragile e incongruente. Quando si ha a che fare con problemi complessi in cui sono implicati diversi interessi non immediatamente coincidenti (ad esempio interessi
del singolo e interessi dell’organizzazione, o interessi di lavoratori anziani e di giovani in cerca di lavoro, ecc.), in cui sono intrecciate diverse dimensioni (ad esempio quella del reddito e quella della salute o
quella della libertà individuale e della sicurezza nella convivenza sociale o quella del controllo di un’attività e del potere di chi esercita il
controllo) ricorrere in modo quasi automatico alla scansione “diagnosi-terapia-guarigione”, porta ad appiattirsi su una strumentalità che
dà l’impressione di andare a risolvere il problema mentre spesso non
188
riesce neppure ad affrontarlo nella sua articolazione specifica per la limitatezza e l’incongruenza degli strumenti di analisi e di conoscenza
che si è in grado di mettere in campo. La centratura sul che cosa e
come fare prende il sopravvento sulla ricerca per la comprensione di
ciò che è effettivamente in gioco.
Per la formazione si tratta allora di tener conto dell’importanza e
della necessità che i singoli acquisiscano competenze diverse in modi
diversi a seconda dei contesti organizzativi e dei problemi con cui
sono chiamati a misurarsi. Saranno assunti diversi orientamenti formativi che troveranno specifiche declinazioni. Se per una pluralità di
abilità e conoscenze sarà indispensabile e inevitabile impostare attività formative che forniscano in modo sistematico contenuti e strumentazioni codificate, procedure operative collaudate, che diano regole di azione ben definite, per altre conoscenze e capacità sarà importante ricorrere a modelli formativi più aperti che permettano di attivare ascolto, riflessione, ricerca. Teoricamente si potrebbe ipotizzare
che l’impostazione tradizionale della formazione sia più congruente
per l’acquisizione di conoscenze tecniche specifiche (ad esempio l’uso
del computer, l’esecuzione di ricerche utilizzando strumenti informatici, l’effettuazione di indagini tecnico-scientifiche, ma anche la realizzazione di un intervento chirurgico o la redazione di un bilancio) e
possa trovare più ampio spazio nella formazione di base; per la formazione di chi ha anni di esperienza professionale e per lo sviluppo di
competenze su attività complesse come il gestire dei sottosistemi organizzativi (gestire persone e risorse), promuovere innovazioni, sostenere collaborazioni e comunicazioni, prendere decisioni è probabilmente consigliabile un’impostazione orientata al secondo tipo sopra
ricordato.
Il ricorso ad un orientamento di formazione o all’altro non è così
immediato perché ciascuno di essi implica riferimenti diversi che
sono interiorizzati. Solitamente nei contesti organizzativi e istituzionali in cui i singoli sono collocati esistono declinazioni consolidate del
primo tipo di formazione che non sono frutto di particolari scelte e
che non sono neppure concettualmente identificate nelle loro premesse e nelle loro applicazioni: vengono praticate perché fanno parte della
cultura dominante, sono incorporate nei modi di pensare e di agire.
Altre ipotesi possono essere introdotte per accostamenti con altre culture e le aperture sono possibili se persone e gruppi possono intraprendere delle “di-versioni” dalle versioni abituali, ovvero dalle modalità conoscitive consolidate con cui si collocano e si orientano nel
microcontesto sociale, modalità che sostengono comportamenti, eser-
189
cizio di ruoli e interazioni tra ruoli, strategie di comunicazione e decisione, considerazione di obiettivi e risultati, che sono indispensabili
per l’azione e che sono radicate nelle stratificazioni culturali dell’organizzazione a cui si appartiene e nelle matrici professionali da cui si
proviene.
Si tratta probabilmente di intraprendere dei percorsi di ri-conoscimento su vari fronti e forse anche rispetto alla stessa formazione a
cui a diverso titolo si è partecipato.
Può essere interessante in questo senso richiamare in uno schema
sintetico specificità e differenze che caratterizzano diverse culture
della formazione. Gli schemi sono inevitabilmente semplificanti e possono costituire strumenti troppo rozzi se sono finalizzati a sistematizzare compiutamente: qui viene piuttosto suggerita un’intelaiatura che
mette in risalto delle distinzioni e che ciascuno può articolare, arricchire e ispessire o dilatare con il proprio repertorio di esperienze e di
saperi.
Viene delineata una tipologia ovvero vengono ricostruiti due tipi
di approcci alla formazione che non corrispondono esattamente a nessuna realizzazione concreta: sono composti dall’assunzione di alcune
ipotesi (ad esempio che nella formazione convergano sistemi di pensiero, strutture di relazione tra soggetti e strategie di azione) e dall’osservazione empirica di una molteplicità di elementi ricorrenti che accostati ed elaborati si coagulano in rappresentazioni che possono
orientare nella lettura di quanto accade nella realtà organizzativa e sociale.
I due approcci si ricollegano ad orientamenti più generali con cui
si accostano le questioni del governo dei fenomeni sociali e dei cambiamenti/miglioramenti che si intendono introdurre in un particolare
contesto. La formazione è spesso considerata e auspicata “leva” importante per la promozione e il sostegno di evoluzioni positive e qui
viene indicato come diverse posizioni e direzioni si traducano in diversi “modelli” (il termine è usato nell’accezione dell’antropologia culturale) di pensiero, di relazione e di azione.
190
MODELLI
DOMINANTI
SCHEMA SUI TIPI DI APPROCCI ALLA FORMAZIONE
APPROCCI ALLA
FORMAZIONE
Modelli di pensiero
Modelli di relazione
Modelli di azione
“sanitario”
Riferimento fondamentale alla forza
della ragione di cui è dotato l’uomo,
che può dominare l’universo; da qui
razionalità forte e univoca che regoli il
funzionamento degli organismi individuale e sociali, scoperta e messa a
punto attraverso la ricerca empirica.
Tutto può trovare soluzione attraverso
investimento di risorse (tempo e denaro) in una ricerca sistematica. Vengono definite le regole (leggi, procedure,
protocolli..) con cui va affrontato ogni
problema: esiste un solo modo corretto per interpretare la situazione e
agire. Con la formazione si trasmettono questi contenuti
Tutte le relazioni tra individui e gruppi sono riconducibili a relazioni duali
e disimmetriche tra chi sa e chi non
sa, tra chi possiede i saperi adeguati e
chi ne è carente . Relazioni di dipendenza che ci si aspetta che siano ben
accettate (che siano prive di ambivalenza) perché chi sa opera per il bene
di chi non sa. Da qui anche strutturazione di comunicazioni a una via
(spiegare e interrogare) e valutazioni
separate e finali
L’azione formativa prevede una
“diagnosi” di quello che i destinatari della formazione non conoscono (diagnosi sommarie perché singoli considerati come categoria, es.
nuovi assunti, capi intermedi..), l’erogazione di contenuti mirati, sistematicamente esposti secondo programmi coerenti, che riempiano lacune e deficienze (“terapia”), il raggiungimento di conoscenze e competenze(“guarigione”). Se non si
hanno gli effetti voluti si “ripete”.
Ogni situazione problematica può essere letta da diversi punti di vista.
Esistono tante forme di conoscenza,
nessuna delle quali è portatrice di verità assolute, ma tutte sono legittime
e tutte portatrici di diverse ragioni:
possono essere messe in comunicazione entro specifici contesti, non garantiscono certezze e la padronanza
dei fenomeni è comunque parziale.
Le soluzioni predisposte per alcuni
problemi hanno risultati non attesi e
non voluti; per molti problemi non si
hanno nemmeno soluzioni. Con la
formazione si cerca di sviluppare capacità di ascolto e ricerca intorno ai
modi con cui si rappresentano i pb.
Le relazioni tra i soggetti implicati
nelle attività formative sono sempre
multiple e plurali in quanto esistono
diversi punti di vista (anche se impliciti o distanziati) che inter-agiscono
in modo potenzialmente divergente e
conflittuale. Ognuna ha una sua propria “verità” su come vanno e devono
andare le cose.
Relazioni cariche di ambivalenza: chi
insegna è positivo, ma evidenzia inadeguatezza . Reazioni destinatari non
sempre favorevoli e prevedibili
L’azione formativa è costituita da un
modo “inabituale” di porsi rispetto
ai problemi, che porta a prendere
delle iniziative nei confronti di destinatari, perché essi stessi “ri-conoscano” ciò che avviene nelle situaz.
Organizzative e lavorative Le iniziative permettono di riconoscere altri
soggetti e altri aspetti dei problemi
Si sviluppa un processo circolare tra
apprendimento e riconoscimento
“sociale”
191
Il primo approccio alla formazione viene convenzionalmente denominato “sanitario”, perché, nella cultura della nostra società, è ricollegabile all’affermazione e alla diffusione della medicina che si è
candidata e che è stata legittimata come scienza capace di migliorare
le condizioni di vita a livello individuale e collettivo; integra un modello che tende ad assumere in modo lineare scopi generali e obiettivi
specifici, a concentrare l’attenzione sui contenuti da trasmettere (si investe sulla trattazione ben congegnata dei diversi aspetti del tema,
nella esposizione di concetti e definizioni affidandola a esperti, nella
comunicazione a una via tra docente e discente …), a prevedere delle
scansioni preordinate dal propedeutico al progredito, a fornire indicazioni dettagliate per la messa in pratica, a presupporre partecipazioni
disciplinate, a riprodurre o a non tenere in considerazione dimensioni relazionali e di potere: i processi formativi vengono allestiti e confezionati (si parla in gergo di “pacchetti” formativi) in ambiti esterni e
distanziati da chi direttamente partecipa, che viene visto come categoria professionale, come ruolo organizzativo, come portatore di carenze che vanno colmate.
L’altro approccio - convenzionalmente denominato “sociale” per
sottolinearne il radicamento nei contributi dati dalle “nuove” scienze
sociali tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento - tende, invece, a realizzare attività formative partendo da conoscenze e contatti
con i diversi soggetti coinvolti, a ridefinire gli obiettivi a seguito di una
ricognizione preliminare, a promuovere un coinvolgimento attivo
creando le condizioni perché i singoli investano nel rivedere le rappresentazioni dei problemi e valorizzino riletture delle loro esperienze: si dà importanza allo sviluppo di processi di cooperazione conoscitiva (che richiede anche di affrontare blocchi e conflitti) tra soggetti collocati in diverse posizioni e portatori di conoscenze maturate attraverso sguardi, elaborazioni, linguaggi diversi.
Passando dal livello generale a quello più specifico, e di nostro interesse, della preparazione professionale dei magistrati, può ritenersi
l’utilità di avvalersi di ambedue gli approcci.
Al primo, quello “sanitario”, potrà farsi ricorso per la messa a
punto di una pratica professionale, per l’acquisizione di una dotazione
di strumentazioni operative e la fissazione di alune routines cognitive
(indispensabili per operare in contesti molto variegati e su problemi
complicati e multiformi). Com’è evidente in base a quanto abbiamo
detto sui caratteri peculiari dell’attività giurisdizionale, questo tipo di
formazione troverà valido impiego essenzialmente in relazione alle attività (in senso lato) gestionali che concorrono a far parte del lavoro del
192
giudice (ad esempio, gestione del ruolo e dell’udienza; individuazione
di prassi diversificate di direzione e trattazione di categorie di controversie; impostazione delle relazioni con i vari soggetti che interagiscono col magistrato - non solo gli altri operatori del processo, ma anche
e soprattutto polizia giudiziaria, servizi sociali, istituzioni …; acquisizione di conoscenze extragiuridiche necessarie, ad es., per eseguire validamente ricerche informatiche, per “leggere” un bilancio, per avvalersi efficacemente dell’attività di consulenti e periti sapendo cosa si
può chiedere cosa ci si può aspettare e come deve essere valutato …),
mentre non può essere assunto con riferimento alla formazione più immediatamente indirizzata all’affinamento delle capacità di decisione
(al giudice può indicarsi come acquisire ritualmente una certa conoscenza, di un fatto o di una norma o di una tecnica di valutazione di un
fatto, ma non come utilizzarla nella decisione del caso concreto).
Il secondo approccio, quello “sociale”, sarà utile per fornire al destinatario della formazione gli strumenti necessari per una corretta
analisi della realtà (la fattispecie sostanziale e processuale che gli
viene sottoposta) e per trovare la soluzione (al problema sostanziale o
al problema processuale) non solo astrattamente corretta ma anche
“adeguata” al caso concreto, per individuare i problemi reali e risolverli, andando oltre il repertorio di prassi (di protocolli di lavoro, di
soluzioni standardizzate “codificate” sulla base delle esperienze lavorative pregresse) che ognuno ha consolidato, promuovendo così dei
mutamenti (delle di-versioni, come si accennava più sopra) nei percorsi cognitivi/operativi, un arricchimento e infine un miglioramento.
3.B. La formazione decentrata.
3.B.1. Le linee culturali e la “quantità” dell’offerta da erogare al centro.
L’interazione tra attività formative a livello centrale e decentrato.
Una ricognizione delle linee evolutive della formazione per i magistrati non può che svilupparsi immediatamente lungo il crinale del
rapporto tra la struttura ed il servizio esistenti presso la sede consiliare ed il complesso dei soggetti e delle attività che nel corso degli ultimi anni si è radicato negli uffici giudiziari e presso gli organismi dell’autogoverno locale. La svolta verso un deciso decentramento dell’azione formativa rappresenta il segno forse più qualificante della storia
recente del fenomeno, ed esercita dunque una influenza determinante
sulla riflessione circa gli orientamenti futuri del sistema.
193
Si è trattato di un processo consapevole e largamente meditato,
perché ab initio la Risoluzione sul decentramento (su cui retro, par. 2/i)
è stata concepita in funzione dell’obiettivo, nel breve periodo, di avviare a soluzione i nodi irrisolti individuati all’esito del primo quadriennio di vita della struttura di formazione2, e per il medio periodo
al fine di realizzare, anche in Italia, le condizioni per una vera Scuola
della magistratura3.
Attraverso la creazione di una rete di formatori presso i distretti si
mirava e si mira a trasformare profondamente l’attività, fino ad oggi
articolata principalmente attraverso l’organizzazione di incontri di
studio, in un servizio di carattere permanente, idoneo a sorreggere con
continuità e presso il luogo di lavoro le esigenze professionali del magistrato.
Deve immediatamente sottolinearsi come il decentramento non
sia mai stato concepito in senso burocratico, quale mero strumento
per alleggerire il carico di lavoro della struttura centrale, né semplicemente quale moltiplicatore di attività comunque concepite ed organizzate presso la sede consiliare. Anche le prime riflessioni in proposito, per quanto presentassero una struttura ancora embrionale, esprimevano l’ambizione ad un progetto integrato di sviluppo della formazione4 ma il dibattito successivo ed il concreto avvio dell’esperienza
hanno reso manifesta ciò che potrebbe definirsi la ineluttabilità concettuale del decentramento.
La formazione dei magistrati, per i suoi agenti ma anche per una
fascia sempre più vasta dei suoi fruitori, è ormai questione ben lontana da una logica di aggiornamento, perché investe l’essenza stessa del
modello professionale, sorreggendone i connotati di efficienza e indi-
2
E tra questi, principalmente, l’ampliamento della platea dei destinatari, il perfezionamento delle attività di formazione dei dirigenti, dei magistrati specializzati, dei mutanti funzione, dei magistrati onorari.
3
Cfr. Risoluzione cit., pp. 2-3. Anche nella Risoluzione approvata il 22 luglio 1999, sulla
quale si tornerà tra breve, si rileva dal Consiglio come resti inappagata la “esigenza di istituzione della Scuola per la magistratura
4
La relazione dei magistrati collaboratori (ex art. 20 reg. int.), approvata dal Consiglio
superiore nella seduta dell’11 ottobre 1995 (Quaderni del CSM, n. 88, maggio 1996, pp. 3234), già delineava due aspetti essenziali di un progetto formativo su scala decentrata: l’organizzazione di corsi in sede distrettuale e la creazione di una rete di formatori. In relazione
al primo tema veniva prospettato il decentramento dell’organizzazione di alcuni incontri, al
fine di coinvolgere in un arco di tempo relativamente breve un elevato numero di magistrati: ma era significativo, appunto, il rilievo che la scelta del decentramento dovesse essere intesa come necessario completamento delle iniziative svolte a livello centrale, e non quale
creazione di alternative.
194
pendenza, nonché di sensibilità alle tendenze del corpo sociale. In
questa dimensione l’attività formativa non può essere episodica, per la
contraddizione che non lo consente. Del pari, risulta sempre meno
concepibile una attività formativa priva di interazione immediata con
l’attività professionale, i suoi moduli organizzativi e la gestione delle
sue risorse: non più concepibile, alla fine, una attività che non coinvolga tutti i fattori che concretamente condizionano il lavoro giudiziario del destinatario, e non sia direttamente sorretta dalla relativa
struttura di supporto. Come è stato osservato in più sedi, riprendendo
del resto concetti ormai acquisiti con riguardo ad ogni tipo di struttura produttiva, la formazione continua ambisce a trasformare l’organizzazione, condizionandola tra l’altro ed appunto a produrre formazione. Si tratta di un approccio ben più ambizioso, ad esempio, di
quello seguito in Francia, dove l’attività c.d. di “formazione continua
decentrata” presenta essenzialmente la funzione di sopperire alle necessità formative dei magistrati impossibilitati a partecipare alle attività centrali, nonché ad integrare queste ultime con riferimento ai
temi d’interesse locale5. In Italia, almeno nel progetto delineato dal
Consiglio, la formazione decentrata, se mantiene una funzione integrativa degli interventi svolti a livello centrale, rappresenta potenzialmente il principale sussidio alla professionalità dei magistrati6.
In questa prospettiva il coinvolgimento nel luogo di lavoro di un
numero progressivamente più ampio di soggetti della giurisdizione
non è solo la soluzione di problemi economici o di onerosità personale ed organizzativa dei trasferimenti al centro. Del pari, l’evoluzione
del metodo verso forme marcate di interazione ed autogestione non è
5
Nell’ambito delle iniziative facenti capo all’Ecole Nationale de la Magistrature
(E.N.M.), nel 1990 è stata istituita l’attività di “formazione continua decentrata”, imperniata sulla designazione presso ciascuna Corte d’Appello di un “magistrato delegato alla formazione” (M.D.F.), che propone ad un “Consiglio di formazione” presieduto dai capi di corte
un programma annuale destinato ai magistrati del distretto. Il programma viene sottoposto
all’E.N.M., che delibera sul finanziamento di ciascuna iniziativa contenuta nel programma.
Le iniziative approvate sono successivamente realizzate dal M.D.F. Le attività decentrate
hanno finalità essenzialmente complementare, riguardano allo stato 2000 magistrati l’anno
e si discute della loro utilità. Salvo che per quanto previsto per i magistrati impediti dal partecipare alle attività centrali, è poi evidente l’ambito esclusivamente localistico dei contenuti delle attività formative. Quanto alla formazione iniziale, pur essendo previsto lo svolgimento da parte degli uditori giudiziari di attività formative su base locale, queste ultime
sono organizzate direttamente o indirettamente da parte dell’E.N.M.
6
La Rete dei formatori locali è infatti, almeno sulla carta, struttura erogatrice di una
formazione a tutto tondo, con estensione anche alla ricerca ed alla sperimentazione metodologica.
195
solo espediente didattico, ma condizione del perseguimento degli
obiettivi. La rilevanza di ruolo delle strutture decentrate nella rilevazione dei bisogni, ancora, non è solo metodo più sensibile di orientamento dell’azione, quanto piuttosto premessa affinché l’organizzazione recepisca con immediatezza e favore, così sostenendola e incentivandola, la proposta formativa7.
Per esprimere con nettezza questa linea potrebbe dirsi che il decentramento della formazione dovrebbe essere attuato quand’anche,
in un mondo per la verità immaginario, la struttura centrale fosse in
grado di coinvolgere tutti i magistrati in attività diversificate e sufficientemente continuative. Le implicazioni di questi concetti in tema di
organizzazione del decentramento, nonché di contenuti e metodi della
formazione decentrata, saranno riprese tra breve, trattando delle prospettive di sviluppo della rete dei formatori distrettuali. Qui premeva
e preme soprattutto porre in luce la logica della doppia linea di sviluppo che sta delineandosi per il futuro della formazione dei magistrati italiani.
Doppia linea di sviluppo vuol dire anche, e necessariamente, che
va preservata ed anzi moltiplicata la vitalità dell’azione formativa centrale, pur dovendo quest’ultima segnare, a sua volta, una propria e
netta evoluzione. Anche in questo senso la Risoluzione del 1998 in materia di decentramento si era caratterizzata per una opzione meditata
e consapevole, fondata su considerazioni ancor oggi pienamente attuali. Vanno almeno ricordati, senza riprodurli per ragioni di sintesi, i
riferimenti determinanti alla qualità particolare del corpo docente disponibile per iniziative di portata nazionale, al livello massimo della
garanzia di pluralismo culturale per l’offerta, soprattutto al ruolo insostituibile delle iniziative centrali per lo scambio culturale ed operativo tra realtà giudiziarie diverse e per la diffusione sul territorio delle
soluzioni organizzative ed interpretative che lo meritassero. Di più, si
può dire oggi senza alcun compiacimento e senza alcuna disattenzio-
7
Sembra meritare citazione uno dei passaggi qualificanti della Risoluzione citata, allorquando viene osservato:”Una formazione che voglia realmente essere continua, ed idonea a sostenere un corpo giudiziario caratterizzato da elevata mobilità territoriale e di funzioni, deve realizzarsi non più soltanto a latere dell’ordinaria attività lavorativa, ma avvicinarsi, quanto ai tempi ed ai luoghi della fruizione da parte di ogni singolo soggetto, a quelli della concreta attività di lavoro. Il che appunto rende più vicino l’obiettivo che la formazione permei fortemente la qualità dell’organizzazione degli uffici, in relazione all’esigenza
dei singoli quale strumento di assicurazione della funzionalità collettiva. In questa prospettiva la locuzione “formazione decentrata” non è tale solo per il luogo ed il tempo della sua
somministrazione, ma diviene sinonimo di formazione continua”.
196
ne per le carenze non trascurabili del servizio offerto negli ultimi anni,
che gli incontri di studio organizzati dal Consiglio, attraverso le attività preparatorie e la loro concreta attuazione, hanno rappresentato
nel complesso un motore per l’intera ricerca italiana sulle scienze giuridiche e sull’ordinamento giudiziario, per il grande impegno e contributo dei magistrati e grazie anche alle sempre maggiori sollecitazioni
rivolte al mondo accademico ed a quello delle professioni8. Ciò si nota,
in questa sede, al fine di evidenziare che una seria contrazione dell’offerta centrale sarebbe concepibile solo a prezzo di una riduzione del
livello complessivamente proprio della formazione che l’autogoverno
ha procurato per il corpo giudiziario. Altra questione naturalmente,
come del resto si è appena accennato, è quella del necessario adeguamento delle sue caratteristiche ai mutamenti della giurisdizione e
della stessa riorganizzazione delle strutture di formazione.
Il biennio sostanzialmente trascorso dall’epoca in cui il progetto del
decentramento è stato formalizzato ha confermato ed avvalorato la scelta di una evoluzione non concorrenziale delle due linee di azione. E’
certo vero che i tempi della complessa selezione dei formatori distrettuali, ai quali si sono ovviamente aggiunti quelli necessari per l’organizzazione delle loro strutture e l’avvio della loro attività, solo recentemente hanno dato luogo (e non ovunque) ad una effettiva contestualità delle
esperienze e delle offerte. E’ significativo tuttavia che la stessa riflessione collettiva dei formatori locali, che per sua natura avrebbe in astratto
potuto caratterizzarsi in senso opposto, abbia in concreto ribadito l’importanza delle sinergie con un centro propulsivo ed attivo su tutti i fronti, pur naturalmente evidenziando ed in qualche misura rivendicando
l’autonomia culturale ed organizzativa del lavoro decentrato.
Il seminario “Formazione dei formatori” svoltosi nel dicembre
2000 (che ha costituito una sorta di congresso di fondazione della rete
distrettuale, e che per altro aveva trovato significative anticipazioni
nella corrispondente iniziativa del 19999), ha registrato una significativa assonanza delle logiche sottese alle soluzioni elaborate ed il criterio essenziale di coesistenza e sinergia tra i due livelli della formazione (cfr. supra, par. 2/i, e infra, par. 3/b).
8
Basti considerare, a questo proposito, la frequenza elevatissima con la quale le riviste
giuridiche pubblicano, nel testo originario o con modificazioni non strutturali, elaborati
predisposti dagli Autori nell’ambito della programmazione dei singoli incontri di studio.
9
A tale iniziativa, dedicata in larga misura allo studio del decentramento ma svolta
prima della selezione dei referenti, avevano partecipato molti magistrati già impegnati nelle
attività formativa e dunque successivamente designati quali formatori locali.
197
Il Consiglio superiore, dal canto proprio, ha confermato in più
sedi e contesti l’opzione strategica per lo sviluppo parallelo delle strutture formative. Così ad esempio nella risoluzione del 22 luglio 1999,
approvata unanimemente dall’assemblea plenaria e concepita per
puntualizzare una fase del dibattito in continua evoluzione sull’attività
in questione, si è ribadito il concetto di una “... struttura di formazione decentrata, destinata ad affiancare ed integrare l’ineliminabile momento del confronto in sede centrale tra esperienze professionali diverse, in una visione unitaria e non localistica dei compiti connessi all’esercizio della giurisdizione”10. Di fatto la programmazione del 2000
ha visto la proposta iniziale di 51 iniziative di formazione (due delle
quali da realizzarsi su base distrettuale od interdistrettuale, proseguendo nella particolare ed all’epoca esclusiva attuazione del decentramento che vede realizzare in periferia, sia pure con margini elevati
di autonomia scientifica ed organizzativa, cosi essenzialmente concepiti al centro), divenute poi più numerose sia per il carattere reiterato
di talune delle iniziative11, sia per l’attuazione di corsi deliberati in via
straordinaria12.
Analogamente la programmazione per il 2001, maturata nel contesto della effettiva costituzione della rete per il decentramento, ha
conservato sostanzialmente inalterata la struttura e la quantità dell’offerta formativa centrale: 50 iniziative, una delle quali di carattere
decentrato, ed altre da reiterarsi in più occasioni, espressamente studiate per accostarsi a quelle che sarebbero maturate, e stanno in effetti
maturando, nei singoli distretti13.
La sommaria ricognizione appena compiuta documenta come,
nelle intenzioni ma anche nelle prassi (e pur restando più che mai attuale un impegno di ristrutturazione della spesa e delle risorse organizzative), il progetto culturale di una formazione integrata e non recessiva in alcuno dei suoi aspetti abbia manifestato una sufficiente vitalità.
10
Il testo della Risoluzione è riprodotto anche nella presentazione del programma dei
corsi del 2000, in Quaderni del CSM, n. 107, 1999, pp. 13-23
11
Ad esempio ben quattro edizioni della giornata di studio su Giudice unico e riforme
processuali, sul versante penalistico, hanno consentito ad oltre quattrocento magistrati di
discutere l’attuazione delle riforme del 1999 nella fase essenziale della prima applicazione.
12
E’ il caso de La funzione giudiziale preliminare, programmato in via straordinaria e
tenuto a Frascati nel 2000.
13
Nella presentazione del programma, pubblicato in Quaderni del CSM, n. 114, 2000,
si legge tra l’altro: “ ... tenuto conto della formazione da erogarsi in sede decentrata, il Consiglio intende far sì che la sommatoria di attività si presenti comunque in crescita”.
198
Analoghe riflessioni possono essere sviluppate guardando ad un
diverso aspetto del decentramento formativo, che solo parzialmente
attinge il tema dei rapporti tra il Consiglio superiore e la “sua” rete di
formatori dislocati sul territorio, e riguarda piuttosto l’attività gestita
nei vari distretti dai Consigli giudiziari. Tali ultimi organismi, come altrove si è avuto modo di notare, sono stati coinvolti in iniziative di formazione secondo una linea di cauto decentramento promossa dall’Istituzione consiliare, con particolare riguardo al coinvolgimento nell’organizzazione di corsi di diritto comunitario. E’ questo un aspetto
del possibile rapporto tra Organismi collegiali, sul quale per altro potrebbe incidere, in senso riduttivo, proprio la effettiva istituzione dei
referenti distrettuali, ai quali il Consiglio potrebbe “delegare” anche la
gestione delle iniziative pianificate su base nazionale. Anche per tale
ragione l’aspetto più importante ed innovativo riguarda le competenze “proprie” dei Consigli giudiziari, attribuite direttamente da fonti di
normazione primaria, competenze per le quali il tema del rapporto tra
centro e periferia si atteggia in modo affatto diverso, e per certi versi
speculare, rispetto a quanto non sia stato per l’esperienza fino ad oggi
maturata. Si allude qui ai compiti di formazione riguardanti i giudici
di pace, che la legge fin dal 1991 attribuisce appunto ai Consigli giudiziari, e che le recenti riforme connesse all’avvio della giurisdizione
penale onoraria (legge 468/99) hanno dilatato e reso più stringenti. E
si allude, naturalmente, anche ai compiti delineati per la formazione
degli uditori giudiziari nel vigente Decreto presidenziale in materia
(cfr. infra, par. 3 D.).
Con riguardo a questi versanti dell’azione formativa si pone la
questione, comune su un piano più generale ad ognuna delle competenze tipiche dei Consigli giudiziari, del ruolo di coordinamento ed
impulso del Consiglio superiore, e della sua portata14. Qui conviene limitarsi a notare, con riguardo all’esperienza concreta e recentissima
del tirocinio per i giudici di pace, che il Consiglio superiore è intervenuto con due circolari15, espressamente funzionali ad impartire “diret-
14
Qui rileva naturalmente, e soprattutto, la delibera su decentramento e Consigli giudiziari approvata dal Consiglio Superiore della magistratura il 20 ottobre 1999. Il documento contiene specifici riferimenti al tema della formazione, ed ai rapporti tra 9^ Commissione consiliare e strutture del decentramento, anche se il tema appare chiaramente impostato
con un rinvio a contesti futuri di riflessione specificamente finalizzata al tema stesso. Va ricordato che già con la circolare consiliare 15/1/1990 n. 505 alcune funzioni organizzative
erano state delegate ai Consigli Giudiziari.
15
Si tratta della circ. n. 16167 del 24 luglio 2000 e della circ. n. 1207 del 18 gennaio 2001.
199
tive” per gli organismi distrettuali, e per la verità davvero essenziali, in
un quadro normativo di ridotta articolazione, e nell’assenza di prassi
suscettibili di qualche generalizzazione. Sembra importante porre in
evidenza il metodo seguito per questa attività di regolazione, e cioè
quello di uno sforzo di coordinamento ed interazione tra i soggetti istituzionalmente preposti alla formazione. In particolare l’intervento più
recente ha fatto seguito ad un momento di matrice congressuale, organizzato dal Consiglio con il coinvolgimento di molti tra i principali
protagonisti del tirocinio (rappresentanti dei Consigli giudiziari, magistrati affidatari, referenti distrettuali, coordinatori degli uffici del
giudice di pace, ecc.)16, dal quale sono scaturite linee di regolazione
opportunamente ispirate dall’esperienza e dal dibattito.
Si tratta di prassi certamente destinate ad influenzare le linee future del complesso rapporto tra i soggetti della formazione. Un rapporto la cui concreta fisionomia molto dipende da scelte di politica
istituzionale che trascendono il tema della formazione e la portata
delle riflessioni qui sviluppate, e del quale tuttavia emergono ineluttabili alcuni tratti: la circolarità, la continuità, il costante coordinamento.
Riportando allora l’attenzione al centro, e cioè al Consiglio superiore quale massima espressione della logica di autogoverno che fonda
le competenze formative, si vede bene come una parte progressivamente più importante dell’attività centrale consisterà in servizi di supporto e coordinamento delle attività svolte in ambiti territoriali più ristretti, sia per iniziativa delle stesse strutture consiliari sia in un contesto, auspicabilmente sempre più sviluppato, di iniziative dei Consigli giudiziari, dei capi degli uffici, di gruppi spontanei, ecc.
In questo scenario la formazione concepita e dispensata in sede
centrale si svilupperà progressivamente secondo la propria vocazione,
seguendo le sue utilità esclusive. Dunque sarà una formazione di alto
livello culturale, destinata a convogliare riflessioni su aspetti fondanti
del sistema giudiziario e della sua evoluzione; ad assicurare per tutti i
magistrati italiani la possibilità di partecipare a confronti ed iniziative di adeguato livello scientifico; a favorire il confronto interno ad
aree di elevata specializzazione dal punto di vista sostanziale (ad
esempio diritto fallimentare, societario, del lavoro, dell’ambiente, penitenziario) e/o dal punto di vista funzionale (giudici minorili, pubbli-
16
L’incontro nazionale, organizzato dalla 8^ Commissione consiliare, si è tenuto in
Roma il 16 dicembre 2000.
200
ci ministeri, giudici per le indagini preliminari, ecc.); a favorire il confronto tra esperienze giudiziarie maturate in ambiti territoriali diversi; a sperimentare forme particolarmente avanzate di didattica ed autoformazione; ad organizzare la convergenza, e non si tratta dell’ultima osservazione in ordine di importanza, degli esiti di iniziative assunte su temi analoghi in più sedi territoriali.
Sarà importante, in questo contesto, verificare quanto tempo
sarà necessario affinché trovi realizzazione compiuta una delle
linee di sviluppo più rilevanti tra quelle immaginate nell’ambito
delle più recenti riflessioni sulla formazione, e cioè l’adozione di
procedure organizzative che assicurino una interazione sempre più
stretta tra la programmazione annuale del Consiglio superiore e
quella, di respiro più o meno analogo, delle sedi distrettuali e, in
prospettiva, degli stessi Consigli giudiziari. Non si tratta solo di assicurare l’esigenza, comunque indefettibile, di evitare sovrapposizioni, duplicazioni dell’offerta, sequenze non funzionali tra iniziative destinate a settori omologhi o riguardanti argomenti collegati. La
diffusione dell’attività ideativa non potrà che arricchire i contenuti
della formazione anche riguardo ai singoli versanti del suo assetto
organizzativo, creando le sole premesse credibili per una circolarità
che rischia, altrimenti, di restare un obiettivo culturalmente condiviso ma concretamente inattuato della struttura formativa dei magistrati italiani.
3.B.2. La rete dei formatori locali. Profili organizzativi e strutturazione
della rete.
Il fronte sul quale è più attuale ed effervescente lo sviluppo si identifica, senza ombra di dubbio, nella strutturazione della rete dei referenti distrettuali e nel concreto avvio della sua attività.
Pei i referenti, la Risoluzione istitutiva della rete ha prefigurato
una importante serie di “compiti”, distinguendo il campo della formazione permanente da quello della formazione iniziale, il settore
della formazione complementare e di supporto al mutamento delle
funzioni da quello della formazione per i magistrati onorari, ed ha assegnato un ruolo propulsivo di particolare importanza per la instaurazione e gestione di rapporti con realtà territoriali esterne alla magistratura.
Per ognuno dei suddetti àmbiti l’offerta formativa viene progettata secondo le seguenti caratteristiche: a) agevole accesso per tutti i ma-
201
gistrati; b) duttilità nelle metodologie e vocazione alla sperimentazione ed al confronto con gli operatori esterni alla magistratura e con le
altre culture e sensibilità professionali; c) capacità di valorizzare i contributi dei destinatari realizzando l’effettiva circolarità del circuito formatori-formandi.
Ebbene, il processo di strutturazione della rete sta sviluppandosi
secondo un ragionevole criterio di gradualità, che del resto era ampiamente prefigurato nella Risoluzione istitutiva, la quale prevedeva
una piena espansione dell’attività a livello distrettuale solo dopo un
biennio dall’avvio dell’esperienza17.
La delibera del Consiglio superiore della magistratura in data 28
luglio 1999 per il reclutamento dei referenti distrettuali ha individuato comunque i compiti più immediati dei referenti, riassumibili in attività di:
1) organizzazione di: 1a) - incontri di studio decentrati sulla base
dei programmi elaborati dal Consiglio; 1b) - iniziative decentrate ulteriori, anche riservate a fasce specializzate di magistrati (giudici delegati, giudici per i minorenni, G.I.P., magistrati di sorveglianza); 1c) - incontri per seguire, anche sotto il profilo organizzativo ed ordinamentale, l’attuazione della riforma del giudice unico di primo
grado; 1d) - incontri per dibattere le novità legislative o giurisprudenziali, al fine di favorire la formazione dei primi orientamenti interpretativi;
2) promozione e divulgazione, quali: 2a) - diffusione del materiale di studio e dei contributi forniti dai relatori nei singoli incontri; 2b)
- divulgazione delle iniziative centrali e distrettuali;
3) elaborazione di un progetto formativo in relazione ai magistrati onorari;
4) raccordo tra il centro ed il distretto per quanto concerne la formazione iniziale, complementare e di supporto al mutamento delle
funzioni.
17
La Risoluzione del 1998 non escludeva “a priori” che lo spettro degli interventi formativi locali potesse essere suscettibile di ampliamento rispetto alla mera attività di “in-formazione”; con la cennata deliberazione, il C.S.M. suggeriva per il futuro quale “criterio empirico di orientamento quello per cui, se non militino in contrario serie ragioni di carattere
didattico o logistico, non dovrebbe tendenzialmente escludersi dall’ambito della formazione
locale alcuna tipologia di iniziativa. Peraltro, - proseguiva la Risoluzione - in concreto un siffatto ampliamento di iniziative non dovrebbe potersi realizzare prima di un sufficiente “rodaggio” della rete formativa territoriale, preferibilmente limitando inizialmente l’attività
della stessa, nel settore della formazione permanente, alle iniziative” di in-formazione e a
quelle in materia organizzativa.
202
3.B.3. La sequenza di sviluppo della formazione decentrata.
Come affermano gli esperti di settore18, ogni processo formativo
può essere diviso quattro tappe omogenee al loro interno (sia per finalità da raggiungere che per i soggetti che ne sono protagonisti e responsabili), le prime due di tipo politico-organizzativo e le altre di natura tecnico-professionale:
a) la rilevazione ed analisi dei bisogni formativi, nel corso della
quale i formatori, sentiti i destinatari (o un loro campione di rappresentanza), definiscono i bisogni realisticamente appagabili con azioni
formative e dunque gli obiettivi generali dell’attività;
b) la progettazione formativa, in cui i responsabili della formazione prefigurano il modello di intervento che più si adatta a tradurre in
termini di risultati le necessità emerse in fase di analisi dei bisogni,
programmando gli aspetti organizzativi e logistici nonché le metodologie didattiche;
c) l’attuazione della formazione, in cui il progetto formativo viene
messo in pratica, con gli adattamenti necessari a consentire l’effettivo
raggiungimento degli obiettivi;
d) la valutazione dei risultati, volta a verificare l’effettivo conseguimento dell’obiettivo prefisso.
In ordine agli strumenti di rilevazione dei bisogni, essi sono normalmente identificati19: 1) nell’osservazione diretta; 2) nell’intervista
(individuale o di gruppo); 3) nel questionario o in altri analoghi strumenti che si basano sulla compilazione di uno scritto.
Nel corso del recente seminario sulla formazione dei formatori,
pur senza escludere gli altri sistemi, si è manifestata una preferenza
verso l’utilizzo di un questionario, di facile lettura e compilazione, da
proporre periodicamente a tutti i magistrati presso le loro sedi di appartenenza, attraverso i canali istituzionali ad anche in via informale20. La rilevazione dei bisogni, in ogni caso, va concepita come attività
permanente e continuativa che deve accompagnare l’intero percorso
Cfr. AA.VV., Professione formazione, Milano, 1998, Angeli, pp. 153-154.
Cfr. G.P. Quaglino, G.P. Carozzi, Il processo di formazione, Milano, Angeli, 1981,
pp. 83-91.
20
Sebbene sia lo strumento di più frequente utilizzo e di più vasto consenso, il questionario, come mezzo di rilievo dei bisogni, soffre il limite dell’eccessiva distanza tra
il ricercatore e l’oggetto dell’indagine (specie di fronte ad un pubblico ampio) e della eccessiva genericità dei dati, considerate la necessità di limitare le domande e la difficoltà
di formulazione di interrogativi che non diano luogo a risposte standard.
18
19
203
ed i vari momenti della formazione decentrata, anche al fine di intercettare quei bisogni formativi inespressi o inconsapevoli e comunque
non rilevabili attraverso risposte formali e standardizzate21.
Con riferimento alle necessità di promozione della formazione decentrata, si è ritenuto che il modo migliore per suscitare curiosità, sensibilità ed interesse tra i colleghi sia quello di offrire ed assicurare, già
nella fase di avvio della struttura, una serie di servizi formativi di qualità e di utilità immediatamente percepibili ed incidenti nella sfera lavorativa, nonché promuovere una rete capillare di contatti e rapporti
personali coinvolgenti e motivanti. In tale ottica si è discusso della
possibilità della creazione progressiva di una rete informale di collaboratori a livello distrettuale della struttura o sub-referenti, dislocati
nelle varie sedi periferiche del distretto e naturalmente selezionati in
ragione del grado di interesse, partecipazione e coinvolgimento mostrato per l’attività di formazione decentrata, con funzioni di: informazione e stimolo alla partecipazione dei magistrati, rilievo dei bisogni, raccolta del materiale utile alle attività formative22.
Nella fase di progettazione, già in corso in molti distretti, occorre
tradurre i bisogni formativi in obiettivi didattici, in riferimento alle diverse aree qualitative di apprendimento cui si riferiscono i bisogni23.
Al fine di consentire un confronto sulle linee seguite nei vari distretti e di favorire l’interazione con le attività progettate a livello centrale, ciascun ufficio del referente redigerà un programma di formazione, di durata tendenzialmente semestrale (salva restando la possibilità di scelte per un maggior periodo). La programmazione delle attività potrà favorire la partecipazione dei magistrati ed accrescere l’au-
21
Si è ravvisata l’opportunità, in una fase immediatamente successiva, di presentare ed
esplicare il questionario mediante appositi incontri in ambito circondariale, compatibilmente con le dimensioni e le distanze che caratterizzano ciascun distretto. Si è ritenuto inoltre particolarmente indicato, al fine di sensibilizzare e mobilitare l’interesse dei colleghi
sulla formazione decentrata, accompagnare il lancio del questionario con altre iniziative formative di immediata utilità.
22
Si è, inoltre, esaminata la possibilità di suscitare l’interesse dei colleghi verso la formazione decentrata, attraverso un sistema di incentivi quali, a titolo esemplificativo, la valorizzazione, in sede di relazioni e autorelazioni, dell’impegno mostrato nelle attività formative.
23
La scienza della formazione distingue l’area delle logiche (gli approcci ed i valori di
fondo che sottendono un oggetto dell’apprendimento), quella delle metodiche (i modelli operativi ed i processi mentali stabilizzati con i quali è possibile affrontare operativamente l’oggetto di apprendimento) e quella delle tecnologie (l’apprendimento d’uso degli strumenti tecnologici a disposizione per gestire l’oggetto dell’apprendimento); cfr. R.F. Mager, Gli obiettivi didattici, Rocca di S. Casciano, 1982.
204
torevolezza dell’ufficio del referente nella fase nevralgica di esordio
della struttura decentrata; bisognerà peraltro evitare i rischi di irrigidimento dell’azione formativa, che dovrà conservare capacità di pronta reazione ai bisogni di improvvisa maturazione (es. in riferimento all’approvazione di riforme legislative).
3.B.4. I contenuti ed i metodi della formazione decentrata.
Si è detto poco sopra che la riflessione sui compiti della formazione decentrata, e dunque dei formatori distrettuali, aveva segnato
uno sviluppo notevole già in fase di progettazione. Ma proprio in quella fase si era prefigurato quanto del resto è ovvio, e cioè che l’impulso
decisivo alla strutturazione del progetto sarebbe venuto grazie alla
partecipazione di tutti i magistrati interessati, sollecitati nel corso di
assemblee distrettuali promosse dal Consiglio e del seminario sulla
formazione dei formatori svoltosi nell’estate del 1999. Successivamente alla nomina dei referenti, il confronto si è ulteriormente arricchito
nel corso del seminario “Formazione formatori” del dicembre 2000,
aperto anche alla partecipazione dei Presidenti delle corti d’appello,
nel corso del quale si sono registrate importanti linee comuni su contenuti, metodi, organizzazione della rete.
I risultati raggiunti dai gruppi di lavoro sui temi della progettazione dei contenuti (ossia cosa trattare in sede decentrata) e della metodologia dell’attività formativa (come impostare gli interventi formativi)24 possono sintetizzarsi come segue.
- Con riferimento alle metodologie e ai percorsi didattici e formativi, si è rilevata l’esigenza di una “sapienza metodologica” nella scelta dei metodi più appropriati, nella capacità di far dialogare le persone, nell’osservanza delle regole e dei tempi dell’esperienza formativa e
si è indicato nei “gruppi di lavoro” il sistema da privilegiare in sede decentrata. Tutti i referenti, pur precisando come la formula didattica sia
da stabilirsi caso per caso, hanno concordato sul fatto che sia da pre-
24
I due temi dei contenuti e dei metodi sono profondamente correlati e non possono
non essere visti in parallelo; cfr. M. Buscaglioni e V. Olivieri, La progettazione dell’attività
formativa, in AA.VV., Professione formazione, cit., p. 186, secondo cui: <<la progettazione
dei contenuti e della loro sequenza risponde ..a logiche “razionali” nell’ambito della disciplina cui i contenuti si riferiscono; la progettazione delle metodologie è invece fortemente
legata alla “soggettività” delle persone cui i contenuti sono destinati, alle contingenze organizzative…>>.
205
ferire tendenzialmente il modello delle giornate di studio con carattere seminariale, al fine di favorire il coinvolgimento del più ampio numero di magistrati, riservando a casi eccezionali il modello congressuale, e ciò anche per differenziare l’approccio da quello dei corsi promossi a livello centrale; su problemi di particolare rilievo pratico o che
abbiano suscitato significativi contrasti in dottrina ed in giurisprudenza, è stato ipotizzato l’utilizzo di relazioni incrociate con dibattito
che preveda una serie di interventi dei sostenitori di ciascuna delle tesi
contrapposte.
- Le iniziative di formazione decentrata possono avere ad oggetto
qualsiasi contenuto funzionale alle proprie finalità, a prescindere dal
fatto che il medesimo sia stato trattato in sede di formazione centrale.
Pertanto, senza che siano possibili limitazioni “a priori”, le relative
scelte dovranno operarsi soltanto sulla base della rilevazione dei bisogni formativi e delle possibilità organizzative Si possono individuare
alcune linee guida in materia di contenuti della formazione decentrata, che possano formare oggetto di iniziative cadenzate nel tempo, così
indicandosi anche una sorta di ordine di priorità. Vengono in primo
luogo in evidenza le iniziative formative aventi ad oggetto la c.d. “informazione”, che risponde ad esigenze particolarmente sentite nei:
a) settori del sapere giuridico di applicazione meno frequente (ad
es. diritto comunitario, i cui corsi andrebbero ripresi con modalità
idonee a coinvolgere l’attenzione dei colleghi);
b) settori del sapere giuridico oggetto di recenti interventi legislativi e di recenti significative evoluzioni giurisprudenziali (ad es. pubblico impiego, sistema sanzionatorio penale e penitenziario, investigazioni difensive, riti alternativi, corruzione e frode comunitaria, il
contenzioso con le banche). A livello metodologico sono stati suggeriti incontri snelli di una giornata in cui dibattere questioni interpretative d’attualità ed anche questioni organizzative correlate. Si è altresì
evidenziata l’esigenza di un servizio formativo di “pronto soccorso” in
presenza di repentini mutamenti normativi e giurisprudenziali e si è
prospettata in tal senso la possibilità di creare con il concorso dei referenti locali una struttura permanente di magistrati esperti nei vari
settori. Non si è ritenuto opportuno promuovere, a livello locale, incontri su tematiche generali non collegati a evoluzioni normative o
giurisprudenziali ovvero ad esigenze di carattere locale; ciò anche alla
luce della necessità di un uso razionale delle risorse di formazione,
evidentemente non illimitate, da non disperdere in attività di più appropriata rilevanza centrale. Analoghe ragioni, unite a quelle della
cautela connessa ai relativi temi, consigliano di non impegnare, allo
206
stato, la rete locale in attività aventi per contenuto la deontologia professionale;
c) settori del sapere extra-giuridico di spiccato interesse per l’operatività giudiziaria (es.: contabilità e bilanci, tecnica bancaria e commerciale riferita anche agli adempimenti fiscali, medicina, psicologia
e psichiatria, cinematica stradale, balistica, topografia ed estimo, tossicologia, urbanistica, scienza dell’amministrazione, l’urbanistica, la
scienza dell’amministrazione). Nell’ambito dell’in-formazione extragiuridica, particolare menzione meritano l’informatica d’utente e le
tecnica di ricerca della documentazione giuridica nelle banche dati del
CED della Cassazione e, più, in generale, in quelle disponibili attraverso Internet; le relative iniziative potranno essere realizzate in raccordo con i referenti per l’informatica. A riguardo è da segnalare che,
con la delibera del 7 giugno 2000 in materia di referenti informatici, il
Consiglio ha già formalizzato uno stabile rapporto tra i referenti della
formazione e quelli informatici, non solo per il supporto alla conoscenza dell’informatica, ma anche per la istituzione e la gestione di
banche dati concernenti la giurisprudenza.
- A far tempo dal programma dei corsi di formazione per il 199925, il
C.S.M. ha posto in rilievo come sia necessario che su certi versanti la formazione avvenga in sede decentrata, giacché ivi è possibile l’interazione
tra formazione e scelte organizzative. Il riferimento contenutistico veniva
operato ai “settori più strettamente operativi dell’organizzazione giudiziaria”, nei quali le iniziative formative, “se “calate” nell’ambiente in cui le
scelte organizzative vengono messe in opera, potranno risultare ad un
tempo meglio calibrate ai bisogni dei fruitori e idonee a sorreggere confronti di opinioni e verifiche di funzionalità applicate ai casi concreti26”. In
pratica, si pensava ai temi dell’organizzazione del lavoro del giudice
(“agenda”, rapporto con il personale, ecc.), dell’informatizzazione degli
uffici, dei servizi di cancelleria, dell’esecuzione civile e penale, ecc., settori da aprire agli apporti anche delle categorie estranee alla magistratura,
ed in particolare delle cancellerie (che sui medesimi temi vanno incentrando parte delle proprie attività formative decentrate) e dell’avvocatura.
L’attribuzione alla Rete locale di iniziative formative con i contenuti di cui
innanzi è già stata valutata favorevolmente dal C.S.M. con la Risoluzione
del 1998, e ciò in una prospettiva temporale immediata27. Con immedia-
25
26
27
Cfr. Quaderni C.S.M., n. 101/1998, p. 18.
Cfr. Risoluzione cit., § 5.2.
Cfr. Risoluzione cit., § 5.3.
207
tezza potrebbero realizzarsi laboratori di formazione in tema di organizzazione degli uffici, da promuoversi anche in collaborazione con le strutture di formazione periferiche del Ministero, che dovrebbero essere aperte alla partecipazione di esperti in scienza dell’organizzazione (ma sul
punto si rinvia al paragrafo sulla formazione dei dirigenti). Le prime iniziative potrebbero riguardare i rapporti con la cancelleria, l’avvocatura, la
disciplina tabellare.
- La risoluzione del 1998, nell’ottica di progressività degli interventi
di cui si è già fatto cenno, ipotizzava che alla fase sperimentale iniziale
di limitazione dei contenuti a quelli “in-formativi” e di organizzazione,
della durata di circa sei mesi - un anno, potesse seguire a fase successiva
di sperimentazione, essenzialmente riferita alla formazione c.d. “di riconversione” (id est: aggiornamento per il mutamento di funzioni)28. Il riferimento era operato, in particolare, alla riconversione per mutamento
di funzioni dal settore penale al civile e viceversa, con esclusione - vuoi
per ragioni connesse ai numeri più limitati dei magistrati coinvolti, vuoi
per la natura spesso assai specialistica delle funzioni - di mutamento di
funzioni verso settori particolari29. In tale ambito, i formatori locali dovrebbero rilevare, sostanzialmente ad personam, i bisogni formativi, nonché programmare e gestire i relativi percorsi formativi [in una sorta di
uditorato part-time] (sulla base di “protocolli formativi” di riferimento,
da aggiornare periodicamente e da personalizzare a cura dei referenti locali). Nel corso del seminario di dicembre 2000 si è ritenuto che tale area
di intervento formativo riguardi non solo coloro che hanno già cambiato funzione (dal penale al civile o viceversa, da una funzione generalista
ad una funzione specializzata), ma anche chi vorrebbe mutare funzione
ed ha difficoltà a farlo proprio per la mancanza di una adeguata formazione di supporto. Dovrebbero inoltre essere previste attività di riconversione specialistica anche nei confronti dei magistrati che accedono alla
Corte di Cassazione30. In tale ottica è necessario che i Consigli GiudiziaCfr. Risoluzione cit., § 5.3.
La Risoluzione prevede la necessità di un “respiro nazionale” per la riconversione in
riferimento soprattutto a taluni mutamenti di funzioni che coinvolgono annualmente un ristretto numero di magistrati (minori, sorveglianza, fallimentare). Può in proposito sottolinearsi come nell’esperienza formativa a noi più vicina, quella francese, il supporto al mutamento di funzioni si realizzi in sede accentrata (Bordeaux o, per i consiglieri di Corte d’Appello, Parigi) attraverso sessioni teoriche di 5 giorni eventualmente seguite da “stages” pratici di altri cinque giorni presso un magistrato già in possesso delle funzioni.
30
Si sono, altresì, affrontati i problemi dei mutamenti temporanei di funzioni (dovuti
ad esempio ad estemporanee applicazioni presidenziali per coprire l’udienza) e dei problemi di coloro che, senza mutare funzioni, approdano a nuovi uffici con prassi lavorative e organizzative diverse dall’ufficio di provenienza.
28
29
208
ri ed i Presidenti di Corte comunichino sistematicamente ai referenti distrettuali per la formazione tutti i casi di mutamenti di funzioni verificatisi nel Distretto31.
- E’ oltremodo adatta alla sede distrettuale la trattazione di contenuti di interesse locale. Così, le condizioni socio-ambientali di determinati territori, ovvero le connotazioni di specifiche realtà socioeconomiche impongono che in sede distrettuale si svolgano attività
formative, sia di carattere giuridico che di carattere extragiuridico
(soprattutto nel settore delle scienze economiche e sociali, ma anche
tecniche) che non troverebbero adeguato riscontro a livello nazionale (ad es. diritto marittimo, particolari forme di criminalità). Nell’ambito dei contenuti di interesse locale deve inserirsi a pieno titolo
il confronto sulle esperienze giurisprudenziali di carattere processuale e sostanziale proprie di uno stesso ufficio o di uffici che trattano
nel distretto la stessa materia o presuppongono professionalità contigue. Iniziative di questo tipo, da realizzarsi con riunioni periodiche
(eventualmente da coordinarsi con quelle fissate dai presidenti di sezione) ma anche attraverso la circolazione di massime o provvedimenti preferibilmente su supporti informatici o on-line (con l’ausilio
dei referenti informatici), avrebbero la finalità, che non può essere
estranea agli obiettivi della rete, di assicurare una tendenziale autoformazione in sede locale, attraverso la mutualizzazione delle informazioni e la consapevolezza dell’eventuale diversità delle soluzioni
interpretative ed applicative32.
- Sempre con riferimento ai contenuti, la formazione locale può
articolarsi anche per relationem, in riferimento ai temi trattati in sede
31
I referenti hanno ritenuto che, come previsto dalla risoluzione del 1998, la realizzazione di iniziative a contenuto di riconversione non dovrebbe aversi se non dopo una fase di
sperimentazione della funzionalità della rete; tale differimento di operatività si rende necessario onde consentire i congrui interventi organizzativi che permettano ai referenti di conoscere per tempo i futuri tramutamenti.
32
Alcune voci hanno sollevato il dubbio che attività della specie, di per sé delicate in
quanto suscettibili di incidere sull’attività giurisdizionale, debbano spettare ai dirigenti degli
uffici. Altri ha al contrario affermato che il collegamento ed il confronto tra i magistrati del
distretto che esercitano le medesime funzioni dovrebbe costituire obiettivo essenziale della
Rete, sì da darsi vita ad un “laboratorio permanente delle prassi”, favorendosi il confronto
anche con l’avvocatura e con i magistrati aventi diverse funzioni (ad es. pubblici ministeri e
giudici; giudici di primo grado e di appello). La finalità di tali iniziative sarebbe quella di divulgare le migliori prassi operative o comunque - come rilevano i referenti di Trieste - prassi processuali “condivise” in funzione di un obiettivo di prevedibilità della giurisprudenza,
salva l’autonomia dei singoli magistrati. Il gruppo ha ritenuto possibile l’organizzazione d’iniziative con i contenuti ora accennati sin dalla fase di avvio dell’operatività della rete.
209
centrale, in una duplice prospettiva: a) quella della diffusione capillare in sede locale delle risultanze degli incontri di studio tenuti in sede
centrale, eventualmente mediante apposite relazioni informative di alcuni magistrati del distretto partecipanti ai corsi centrali o comunque
attraverso la distribuzione di copia del materiale informatico realizzato a livello centrale; b) quella della preventiva preparazione dei partecipanti del distretto sui temi da trattare in sede centrale. Avuta la disponibilità dei nominativi degli ammessi ai diversi corsi centrali, i referenti possono assumere opportuni contatti per individuare i colleghi
maggiormente adatti e disponibili a riversare in sede locale, con le modalità più congrue (brevi riunioni o brevi relazioni), i contenuti dell’offerta formativa centralizzata; in ogni caso, avvalendosi anche del
supporto informatico, i referenti, avuta la disponibilità dei materiali,
potranno curarne la diffusione. Queste iniziative di formazione, proseguendo ed estendendo un modulo già sperimentato in riferimento ai
corsi per uditori giudiziari, potrebbero avere ad oggetto anche la preparazione dei corsi centralizzati (“cassa di risonanza bidirezionale”).
A conclusione delle attività in questione, i referenti potrebbero redigere un breve resoconto da inviare al C.S.M..
- Nel momento in cui l’ordinamento sempre più si apre ai rapporti con ordinamenti stranieri, l’in-formazione al di fuori del campo giuridico deve indirizzarsi anche alle iniziative in tema di linguaggi giuridici e lingue straniere in generale con un’offerta proporzionata ai diversi livelli di abilità individuali33; specifico supporto finanziario andrebbe reperito a tal fine, in linea con analoghe iniziative assunte nel
comparto del pubblico impiego.
33
Si propone di programmare corsi di lingua inglese da svolgersi preso la sede giudiziaria centrale o nei singoli tribunali, con moduli differenziati a seconda delle esigenze lavorative di ciascuno: lezioni individuali o lezioni in piccoli gruppi, suddivisi per livelli di conoscenza della , corsi avanzati; corsi on line. L’attenzione per la formazione linguistica dei
professionisti del comparto legale è priorità dell’U.E. che nell’ambito dell’Azione Comune
96/636/GAI - c.d. azione Grotius - ha incentivato la “formazione nei linguaggi professionali
e nel diritto comparato” (cfr. ad es. bando per il 2000, punto 3). Ai sensi dell’art. 3, co. 2 della
Carta della “Rete Europea di Formazione Giudiziaria” (alla quale sta per aderire il C.S.M.),
inoltre, rientra tra le priorità delle attività dei responsabili europei per la formazione dei magistrati quella di realizzare attività coordinate miranti alla promozione delle abilità linguistiche. La crescente “attrazione” della formazione linguistica dall’area del bagaglio culturale personale a quella del bagaglio professionale (per il quale ultimo sussiste un diritto-dovere di adeguamento in base a formazione erogata dall’amministrazione) è, poi, testimoniata
dalla previsione delle conoscenze linguistiche quale requisito per l’accesso a molte pubbliche funzioni (ciò che vale anche per i futuri accessi in magistratura) nonché dalla frequente contrattualizzazione di un diritto del pubblico impiegato a fruire di una formazione linguistica con il contributo finanziario dell’amministrazione.
210
- Con riferimento agli strumenti della formazione decentrata, si è
ritenuto indispensabile il pieno utilizzo delle più moderne tecnologie
informatiche e telematiche, sfruttando al riguardo le potenzialità già
esistenti, in raccordo organico con il Ministero di giustizia, le sue
strutture periferiche (CISIA) e la rete dei referenti informatici. Coniugando adeguatamente, infatti, la formazione decentrata con le strutture informatiche già esistenti e di possibile ed immediato accesso
(RUG, RUPA), si potrà offrire ai colleghi, anche in una naturale prospettiva di futura evoluzione tecnologica, un servizio rapido ed efficace nella sua capillarità e diffusività. Vi è inoltre l’esigenza di sfruttare
le nuove risorse tecnologiche informatiche per favorire una agile conduzione di rapporti tra la struttura e il corpo di magistrati operanti nel
distretto34.
- Particolare trattazione, nell’ambito dei lavori del gruppo del seminario di dicembre 2000, ha ricevuto la formazione dei magistrati
della Corte di Cassazione e della relativa Procura Generale, per la
quale sono stati nominati referenti facenti parte ad ogni effetto della
rete. In relazione all’elevato grado di professionalità e conoscenze specialistiche di tali destinatari, il gruppo ha ritenuto congruo rivolgere
ad essi iniziative aventi contenuto riferito a tematiche sottese all’operare quotidiano, nonché ai rapporti con i magistrati di merito, quali ad
esempio le tecniche di redazione dei provvedimenti, dal confronto con
i quali (all’interno del quale i cassazionisti potrebbero svolgere un
34
Interessante a riguardo la proposta dei referenti del distretto milanese, articolata secondo il seguente schema: - individuazione di tutti i magistrati del Distretto con il loro recapito professionale e personale; richiesta di fornire numeri telefonici, di fax e in particolare di indirizzo e-mail; previsione della costituzione di un indirizzo di posta elettronica “centrale” dove opera la struttura; previsione di effettuazione delle comunicazioni per posta elettronica (preferibilmente) e per fax; istituzione di una mailing list aperta a tutti i magistrati
del Distretto: questa lista consentirà a tutti i magistrati di chiedere informazioni ed al contempo di porre quesiti sia di tipo organizzativo che di tipo interpretativo; si tratta di uno
strumento volto a fornire aiuto immediato ai colleghi che chiedano consiglio (lo strumento
ha già dato risultati positivi in altre liste “giudiziarie”); istituzione di un sito internet nel
quale dovrebbero confluire i provvedimenti più interessanti che i magistrati volessero inviare per darne diffusione; il sito dovrebbe essere organizzato in modo tale da consentire un inserimento automatico nei links contenenti alcune “grandi voci”. I referenti del distretto di
Napoli hanno segnalato l’opportunità di un incontro dedicato all’illustrazione delle tecniche
di utilizzazione della rete Internet da parte del magistrato, da organizzare in collaborazione
coni referenti distrettuali per l’informatica. Nonostante la navigazione in rete si vada diffondendo tra i magistrati, non sempre l’uso dello strumento informatico viene adeguatamente
finalizzato all’ampliamento delle conoscenze tecniche ed all’aggiornamento professionale.
L’uso della rete telematica potrebbe essere guidato e incentivato anche mediante la diffusione e l’illustrazione di una <guida> consistente nella raccolta ragionata di tutti i <links> utili
per l’approfondimento dei vari settori di interesse.
211
ruolo di protagonisti, ma anche misurarsi con le specificità del lavoro
dei colleghi di merito) deriverebbe beneficio formativo per tutti i partecipanti. Con analoghe finalità, al di là dell’organizzazione di specifiche giornate di studio, la Cassazione potrebbe organizzare iniziative
formative ricevendo presso di sé magistrati di merito da far assistere
alle camere di consiglio; verrebbe valorizzato in tal modo l’inserimento della Suprema Corte nella rete locale, esaltandone il ruolo ad un
tempo di offerente e destinataria del nuovo prodotto formativo (formazione bi-direzionale). Il gruppo ha auspicato che i referenti della
S.C. non si occupino direttamente di iniziative afferenti i contrasti di
giurisprudenza, il cui superamento è affidato agli organi competenti
della Corte stessa.
3.B.5. I profili organizzativi e di strutturazione della rete dei formatori.
Il procedimento più efficace per individuare i profili operativi
della rete non consiste tanto in una discussione di taglio astratto sul
modello del decentramento; si tratta piuttosto di immaginare una
forma organizzativa le cui caratteristiche siano congrue, funzionalmente, al perseguimento degli obiettivi alla rete medesima assegnati.
E’ quanto si è tentato di fare nel corso del più volte menzionato seminario sulla formazione dei formatori del dicembre 2000, da cui sono
emerse le seguenti linee-guida.
L’attività dei referenti si ispira ad un principio di marcata autonomia, nel senso che non esiste una regola di approvazione centrale delle
iniziative programmate, ferma restando la possibilità per il Consiglio
superiore di intervenire sulla base delle informazioni acquisite.
I Consigli giudiziari costituiscono il supporto organizzativo
principale della formazione decentrata: se il flusso informativo provocherà discussione al loro interno sulle singole iniziative di formazione, ciò non potrà che aumentare le garanzie di qualità e trasparenza dell’azione formativa. E’ quanto mai opportuno un raccordo
istituzionale e di collaborazione dei referenti con i Consigli giudiziari in relazione alle attività formative, non solo degli uditori giudiziari, che non dovrebbe risolversi nel mero obbligo di comunicazione delle iniziative (senza necessità di approvazione), ma anche
nella partecipazione di uno o più referenti alle riunioni del Consiglio giudiziario che riguardino la formazione. Coordinamento e collaborazione in nessun caso possono passare attraverso la delega di
funzioni proprie dei consigli all’ufficio distrettuale. Se responsabi-
212
lizzazione diretta vi può essere, ciò dipenderà appunto dalla concertazione e dagli accordi raggiunti in proposito. Un’ attività di concertazione analoga dovrà maturare con riguardo ai rapporti tra
Consiglio consultivo della Corte Suprema di Cassazione e referenti
dell’Ufficio relativo.
In ordine alle modalità di organizzazione del lavoro dei referenti, si è optato per un modello flessibile di collegialità che dovrebbe
interessare le linee programmatiche comuni e le attività interdisciplinari, con deleghe individuali, del tutto informali (e quindi non riduttive di un principio di responsabilità collegiale per il complesso
dell’azione formativa), in relazione alle singole iniziative e in relazione agli specifici settori del civile e del penale. Non è sembrata necessaria la nomina di coordinatori per il settore civile e per il settore penale, salva restando la possibilità di decisioni contrarie in singole realtà territoriali.
Secondo la valutazione concorde dei partecipanti al gruppo di lavoro, la qualità e la quantità dei compiti loro assegnati impone una
sollecita considerazione del problema di una riduzione del carico di
lavoro giudiziario dei referenti distrettuali.
E’ stata auspicata la collaborazione tra i referenti dei diversi distretti attraverso la realizzazione di una banca dati di carattere nazionale ed iniziative comuni tra più distretti, da concertare con il vaglio
del C.S.M.
Inoltre si è sottolineata la necessità di un collegamento della struttura con tutti gli Enti ed Organismi pubblici (Università, Scuole di formazione, Consigli dell’Ordine, Camere di Commercio, Enti territoriali, etc.), con piena libertà di programmazione anche concertata con
tali Enti. Vi è comunque la possibilità che i referenti, in casi particolari, chiedano la collaborazione di “soggetti” privati di particolare rilevanza sociale e/o scientifica e/o culturale.
Si è convenuto sulla necessità di costituzione di un autonomo ufficio dei referenti, costituito presso le Corti di appello (e presso la
Corte di cassazione), dotato delle indispensabili risorse (idonei locali,
telefono, fax, computer, stampante, fotocopiatrice). Nella sua componente amministrativa, l’ufficio dovrebbe essere composto da almeno
un dipendente, addetto full-time all’ufficio stesso, ed abile all’impiego
dello strumento informatico.
Ha ricevuto consensi l’idea di organizzare il flusso delle informazioni relative alla formazione in via informatica, mediante la realizzazione di una banca dati della documentazione, da mettere a disposizione dei colleghi del distretto e la creazione di un sito internet dei re-
213
ferenti35. Dal gennaio 2001 è operativa una mailing list dei referenti distrettuali, allo scopo di facilitare la circolazione delle informazioni e la
collaborazione tra i diversi uffici.
Appare comune la necessità di poter usufruire di una biblioteca
che possa essere fornita di riviste, libri, documentazione consiliare,
quale ausilio per la realizzazione dei corsi. A tal fine si è prospettata
la possibilità dell’utilizzazione delle biblioteche ubicate presso le
Corti di Appello ovvero la creazione di una biblioteca ex novo specificamente destinata alla formazione a livello circondariale o distrettuale. La biblioteca dovrebbe avere anche funzione di raccolta, conservazione e riproduzione del materiale di studio predisposto dal Comitato scientifico e delle relazioni depositate ai seminari organizzati
a livello centrale. Inoltre, sulla base di specifiche segnalazioni dei referenti distrettuali potrebbero essere attivati abbonamenti a rivista
specializzate.
Si è proposto di costituire un servizio di informazione periodica,
con scadenza prefissata (al più quadrimestrale), per i magistrati del distretto riguardanti le iniziative della Rete, gli incontri di studio organizzati a livello centrale dal CSM (ed anche analoghe attività svolte,
nel distretto, dagli organismi dell’avvocatura e dalle Università)36.
In ordine alle risorse economiche, si è operata una distinzione
tra le iniziative programmate in sede centrale o comunque finanziate dal C.S.M. (che devono essere gestite da quest’ultimo), e quelle riservate all’autonomia dei referenti, da realizzarsi attraverso un meccanismo di spesa decentralizzato, che assicuri nella massima misura
35
L’attività dei referenti si ispira ad un principio di marcata autonomia, nel senso
che non esiste una regola di approvazione centrale delle iniziative programmate, ferma
restando l’ovvia possibilità per l’Istituzione consiliare di intervenire sulla base delle
informazioni acquisite. In armonia con le regole afferenti alle procedure di spesa, gli
Uffici che procedano ad attuare corsi deliberati e finanziati a livello centrale seguiranno gli adempimenti tipici dell’erogazione consiliare, sottoponendo programmi e preventivi ad approvazione ed a successiva valutazione consuntiva. Al di là delle regole del
protocollo contabile i referenti operano fuori da un regime di autorizzazione od approvazione.
36
L’informazione sui temi affrontati in questi incontri dovrà essere strutturata in
forma particolarmente sintetica ed essenziale e quindi riversata in una relazione redatta dai componenti del Comitato scientifico, e/o dai partecipanti al corso per ciascun
distretto (eventualmente attraverso una preventiva individuazione del magistrato cui
affidare la stesura della relazione informativa). Ciò al fine di mettere in condizione ciascun magistrato di capire facilmente il contenuto più dettagliato dei temi affrontati nel
corso di studio e quindi avere un utile strumento di consultazione per il suo aggiornamento.
214
possibile una gestione diretta degli stanziamenti ad opera degli uffici dei referenti37.
3.C. La formazione permanente.
3.C.1. L’evoluzione dei moduli formativi.
Come abbiamo già ampiamente visto nel Primo Capitolo, per
lungo tempo l’unico tipo di formazione erogato dal Consiglio con continuità è stata la formazione iniziale per gli uditori giudiziali; l’attività
di formazione permanente è iniziata nel 1973 ed è andata avanti fino
ai primi anni ‘90 in modo episodico, per lo più in coincidenza con modifiche legislative di rilievo che ponevano esigenze, prima ancora che
di formazione, di vera e propria informazione (riforma del processo
del lavoro e del processo penale, l. n. 330/88, istituzione delle preture
circondariali, riforma penitenziaria), e solo nei primi anni ‘90 sono
state elaborate in modo organico le linee di politica giudiziaria in
tema di formazione professionale.
Il punto di partenza è stata l’esperienza dei corsi sulle tecniche di
indagine per i magistrati di Procura presso i Tribunali e per quelli
presso le Preture. Fino a quel momento gli incontri di studio erano
stati realizzati secondo un modello d’insegnamento a impostazione
dogmatica <<tradizionale>> sia nei metodi che nei contenuti: i corsi si
articolavano in un numero standard di relazioni (per lo più, due o tre
per sessione) su temi istituzionali di diritto sostanziale o processuale,
il relatore esponeva l’argomento ad una platea passiva di discenti, che
all’esito potevano fare brevi interventi o porre domande al relatore cui
erano demandate delle conclusioni. Il nuovo codice di procedura penale, col suo sogno accusatorio, richiedeva un nuovo pubblico ministero (ed un nuovo giudice) ed i corsi di tecnica d’indagine (denominati poi corso Falcone e corso Borsellino) nascono proprio per favorire l’acquisizione delle nuove professionalità: vengono proposti conte-
37
Una soluzione prospettata consiste nell’ accredito semestrale sul bilancio delle Corti
di Appello in cui singoli uffici dei referenti” sono inseriti; si richiede altresì che gli eventuali “ spostamenti” necessari per lo svolgimento dell’attività di referente locale (ad esempio
viaggi nell’ambito distrettuale per verificare singole realtà locali od organizzare incontri di
studio) vengano autorizzati dai Presidenti di Corte o dai Procuratori Generali, con la normale procedura prevista per le autorizzazioni relative alle attività di servizio. Si ritiene che
eventuali contributi di spesa per la realizzazione di attività formative possano pervenire
anche da Enti ed Organismi Pubblici, ma mai da soggetti privati.
215
nuti innovativi (metodiche d’indagine per tipologie di reati) e positivamente sperimentati metodi di didattica attiva (lavoro seminariale,
dibattito guidato). In seguito, la creazione di una struttura che si occupa stabilmente di formazione e la realizzazione di programmi annuali sempre più ambiziosi (vedi Secondo Capitolo) hanno consentito
di sistematizzare l’esperienza, di valutarla criticamente, di formulare
progetti di miglioramento e iniziare sperimentazioni, nell’intento di
fornire uno strumento formativo, una <<cassetta degli arnesi>> veramente utile per l’esercizio quotidiano della giurisdizione.
3.C.2. La formazione permanente.
Nella programmazione degli incontri di studio di formazione permanente, è stata fin dall’inizio chiara la necessità di dedicare spazio,
sia nel settore civile che in quello penale che nell’area interdisciplinare, ai temi di diritto sostanziale e al diritto processuale, accentuando
per il secondo l’impostazione degli incontri in senso teorico-pratico.
La riflessione sull’andamento e la riuscita degli incontri, sulla tipologia dei partecipanti, sul coinvolgimento degli stessi nell’attività didattica ha progressivamente portato all’emersione di alcuni dati:
- gli incontri ad impostazione decisamente teorica e dogmatica
rinvengono la loro “platea” naturale, oltre che nei colleghi che per formazione o attività collaterale universitaria coltivano un interesse proprio, nei colleghi con maggior anzianità di servizio svolgenti funzioni
di legittimità o di appello;
- l’interesse prevalente nei partecipanti è per le questioni di contenuto pratico-applicativo mentre le questioni teoriche e di inquadramento sistematico interessano nella misura in cui costituiscono il necessario supporto per la risoluzione delle prime;
- la partecipazione attiva è tanto più intensa quanto più i temi trattati hanno attinenza con l’esercizio quotidiano della giurisdizione.
Questi dati - che possono creare sconcerto in chi ipotizza una funzione “alta” della formazione - rinvengono fondamento in due ragioni:
- il magistrato medio, compreso l’uditore con funzioni (grazie alla
freschezza degli studi universitari e concorsuali), è fornito di una cultura giuridica di tipo teorico elevata ed ha di per sé gli strumenti (studi
di base, approfondimenti, conoscenza dei metodi di ricerca giuridica
anche informatica) per inquadrare, studiare e risolvere un problema
teorico di diritto sostanziale o processuale;
- l’università italiana non fornisce strumenti professionali, non in-
216
segna a gestire un processo (e il concorso in magistratura, nonostante
le recenti modifiche, continua a non prevedere prove scritte di diritto
processuale, che pur poi sarà applicato per tutte la vita dal magistrato) e a risolvere casi pratici e la relativa professionalità è tutta da acquisire sul campo.
Sembra allora naturale che un settore quantitativamente rilevante della magistratura veda come obbiettivo primario della formazione
quello di acquisire le capacità per gestire i processi, per individuare i
problemi (sostanziali e processuali) e per imparare a risolverli, per acquisire le chiavi di accesso alle soluzioni.
Per rispondere a questa esigenza e, al contempo, soddisfare le
aspirazioni di approfondimento teorico di problematiche di specifico
interesse giudiziale (si pensi al settore, importantissimo, dell’accertamento del fatto e del ragionamento del giudice), il sistema più congruo
è apparso quello della diversificazione delle tipologie di incontri di
studio (teorici, pratici, teorico- pratici) - per consentire un’autoselezione dei partecipanti in relazione agli specifici interessi (ed evitare
tendenzialmente l’insoddisfazione che deriva dall’aver partecipato ad
un’attività formativa - per di più a discapito di quella, sempre pressante, di ufficio - non rispondente alle proprie esigenze) -, delle tecniche e delle metodologie didattiche.
I metodi attualmente adottati sono:
a) la relazione:
il docente incaricato illustra il tema assegnatogli - generalmente
adottando una tecnica espositiva che passa per la ricostruzione dell’istituto, l’illustrazione delle posizioni di dottrina e giurisprudenza succedutesi nel tempo, la prospettazione dei temi controversi, eventualmente la proposta di soluzioni; alla relazione, che occupa da 30 a 45
minuti di tempo, segue il dibattito tra i partecipanti con replica o risposta alle domande del relatore;
è un metodo tradizionale, adottato per lo più allorquando si perseguono finalità di insegnamento ovvero di informazione, e quindi allorquando la materia trattata presenta profili dogmatici di rilevante
impegno (ed allora è sovente affidata ad un docente universitario o a
colleghi che hanno compiuto studi specifici) ovvero si tratta di illustrare tematiche nuove (come nel caso di riforme legislative o di svolte giurisprudenziali);
b) il dibattito guidato:
il docente incaricato, cui è stata affidata la trattazione di un tema
suddiviso in un numero variabile di questioni - in genere otto/dieci tra le più rilevanti e/o controverse, illustra per circa dieci minuti la
217
prima questione prospettando in modo sintetico lo stato della medesima, segue il dibattito tra i partecipanti (cui le questioni sono state preventivamente comunicate affinché possano giungere all’incontro preparati) che si svolge in modo rapido e informale attraverso interventi
“dal posto” (si utilizza, quando è disponibile, un microfono volante)
nei quali emergono prassi, orientamenti, esperienze, idee, interpretazioni;
è un metodo che si presta in modo particolare alla materia del
processo ma che viene sperimentato con risultati altamente positivi in
ogni settore; dato il carattere degli interventi, si realizza la massima
partecipazione favorendo una circolazione delle idee che, per quantità
e qualità, non è prodotta da nessun’altra tecnica ed una riflessione corale sulle proprie scelte interpretative e sui modi della loro attuazione,
un approccio critico al proprio essere magistrati;
è un metodo che, esaltando il ruolo del partecipante e riducendo
quello del relatore a semplice conduttore, risulta particolarmente gradito ai colleghi, che possono giocare un ruolo attivo, mettere sul
campo i problemi reali da cui sono afflitti quotidianamente (senza affrontare i timori connessi ad un intervento formale che segue una relazione onnicomprensiva), confrontare le soluzioni; la riuscita dipende, ovviamente, anche dalla buona selezione delle questioni per il dibattito, al che contribuisce il fatto che il metodo è adottato in prevalenza in corsi di base (processo civile, tutela sommaria cautelare e
non cautelare, processi di separazione e divorzio, procedimenti minorili …) che vengono riproposti periodicamente di modo che l’esperienza dell’uno (verifica delle questioni che maggiormente appassionano i partecipanti, di quelle che appaiono ormai pacificamente risolte, di quelle che si affacciano per la prima volta in collegamento a
casi particolari) viene utilizzata nella preparazione di quello successivo e così via.
c) il lavoro di gruppo:
il docente incaricato (sovente si tratta di docente incaricato di tenere anche una relazione o un dibattito guidato) conduce il lavoro approfondendo alcuni dei temi più problematici o che hanno suscitato
maggiore interesse tra quelli affrontati nella relazione; i risultati del lavoro di gruppo in genere vengono riportati in sessione plenaria e una
relazione di sintesi conclude il lavoro raccogliendo gli spunti più interessanti;
si tratta di una modalità di lavoro utilizzata con successo nei corsi
interdisciplinari per consentire l’approfondimento sia delle tematiche
comuni (ad es. a civilisti e penalisti, a giudici minorili e magistrati di
218
sorveglianza …) che di quelle settoriali e per far emergere attraverso
le relazioni dei coordinatori dei gruppi e la sintesi le linee unitarie dell’ordinamento giuridico;
è un metodo assai utile per i corsi dedicati a magistrati che svolgono funzioni che prevedono l’utilizzo da parte del giudice di poteri
discrezionali particolarmente ampi o che richiedono l’impiego di conoscenze extragiuridiche;
d) lo studio dei casi e le simulazioni:
costituisce una tipologia di lavoro di gruppo, che si caratterizza
per il fatto che il coordinatore del gruppo guida l’attività di questo attraverso lo studio di un caso, talvolta con il supporto di un fascicolo
processuale (simulato), di cui viene studiato lo sviluppo in modo cadenzato e articolato in fasi: esame del fascicolo ad opera dei partecipanti, illustrazione di momenti topici dello svolgimento processuale
simulato con approfondimento teorico degli istituti, stesura di provvedimenti, simulazione di attività processuale;
si tratta di una tecnica sperimentata con risultati molto positivi
nei corsi per gli uditori giudiziari.
3.C.3. La scelta dei docenti.
Momento di rilievo nella strutturazione di un’attività di formazione è costituito dalla scelta dei formatori. Per la formazione dei magistrati italiani la scelta è stata quella di un corpo docente non stabile
ma variabile, che desse soprattutto garanzia di pluralismo. Infatti, in
relazione alle caratteristiche che rendono peculiare la formazione permanente dei magistrati ed al livello di preparazione e di immedesimazione nel ruolo dei destinatari della formazione, è stata preferita la
circolazione delle idee che promana da un corpo docente vario nella
sua composizione e per lo più intercambiabile alla sistematicità (ma
anche omogeneità e forse omogeneizzazione) che promana da un
corpo docente stabilizzato.
Il grande “serbatoio” da cui attingere i relatori è l’intera magistratura, essendo in primo luogo la formazione dei magistrati una formazione fatta da magistrati per altri magistrati in un processo di osmosi
e comunicazione continua.
Ai magistrati si aggiungono i docenti universitari, gli Avvocati
dello Stato, gli avvocati, i notai; la partecipazione dei rappresentanti
del mondo accademico e delle professioni giuridiche ai nostri incontri di studio è importantissimo, in quanto realizza un proficuo con-
219
fronto tra diversi operatori del diritto favorendo il formarsi di una
cultura comune (di cui sono espressione anche le scuole di preparazione alle professioni giuridiche, la cui entrata in unzione è ormai
prossima). Per l’individuazione dei professori universitari di fondamentale ausilio è l’apporto di conoscenza (e di conoscenze) dei professori e dei professori-avvocati che fanno parte del Comitato Scientifico; sono di guida in ogni caso i loro scritti e di grande utilità i proficui contatti, forieri anche di utili consigli e indicazioni, stabiliti in
occasione degli incontri di studio cui i rappresentanti del mondo accademico partecipano con entusiasmo e dedizione. Assai più difficile
è individuare (in numero significativo) avvocati e notai che, per interesse personale alle varie materie e capacità didattiche, possono utilmente partecipare agli incontri di studio; un grande contributo per
conoscere le infinite potenzialità di queste categorie verrà senz’altro
dai formatori distrettuali.
Per quanto concerne i relatori magistrati la loro selezione avviene sulla base di una serie di indici che si combinano variamente tra di loro: titoli scientifici (pubblicazioni), titoli professionali
(ad es. provvedimenti pubblicati ma anche particolari esperienze di
vita giudiziaria, come la conduzione di indagini o di processi penali in materie particolarmente complesse in fatto o in diritto o la
gestione di un contenzioso specializzato), esperienza didattica in
altri settori (ad es. esperienza didattica con gli uditori giudiziari in
sede distrettuale; insegnamento anche occasionale in corsi universitari, nelle scuole di notariato, nei seminari di applicazione forense e nelle scuole forensi, nelle scuole delle forze di polizia, etc.);
l’individuazione avviene per canali diversi: in primo luogo, indicazione da parte dei formatori distrettuali ma anche conoscenza attraverso i titoli, conoscenza attraverso informazioni acquisite dai
colleghi, conoscenza in occasione di incontri di studio (interventi
svolti), autopromozione (i partecipanti agli incontri di studio possono indicare nell’apposita scheda se intendono assumere la funzione di relatore e per quali materie, indicando titoli e/o motivi che
sostengono la richiesta; ogni magistrato può chiedere, inviando
un’autorelazione, di essere inserito tra i possibili relatori). Nell’individuazione dei relatori magistrati per i singoli corsi si tiene conto
altresì di esigenze di rotazione e, nei limiti del possibile, di rappresentanza geografica e per sessi; questo sistema di selezione è piuttosto empirico ma si è rivelato finora estremamente efficace e ha
fatto emergere le mille e una capacità e professionalità che la magistratura ha in sé.
220
3.D. La formazione iniziale.
3.D.1. La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari (d.p.r. 17
luglio 1998).
Con delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 11
giugno 1998 è stato varato il nuovo regolamento per il tirocinio degli
uditori giudiziari, recepito - secondo una prassi remota che non immuta la natura “consiliare” della disciplina - nel D.P.R. 17 luglio
199838, pubblicato in G.U., s.g. 24 luglio 1998, n. 171. L’entrata in vigore della disciplina è stata fatta coincidere con l’inizio, avutosi nel
settembre 1999, del tirocinio degli uditori del concorso indetto con decreto ministeriale 16 gennaio 1997.
Il D.P.R. ha formato oggetto di confronti tra i magistrati interessati
alle tematiche formative nell’ambito del seminario di pratica professionale organizzato dal C.S.M. sul tema “Formazione dei Formatori”, tenutosi a Roma dal 21 al 23 giugno 1999. All’esito del confronto svoltosi in
tale consesso, il C.S.M. emanava la circolare n. 152452 del 30 luglio 1999
avente ad oggetto Direttive relative al tirocinio degli uditori giudiziari vincitori del concorso indetto con D.M. 16.1.1997; detta circolare fornisce
utili indicazioni interpretative in merito al nuovo regolamento per il tirocinio, rinviando a successiva circolare per quanto attiene agli aspetti
della nuova normativa afferenti la valutazione dell’uditore (il riferimento
è all’art. 14 del D.P.R.), che pongono i maggiori problemi applicativi.
3.D.2. La definizione delle finalità del tirocinio.
Il nuovo regolamento non mira a sovvertire l’impianto della precedente disciplina, risalente al 1988, il quale, nel solco spesso di una
tradizione più risalente, si era rivelato sostanzialmente all’altezza dei
38
Significativo in tal senso è il dato per cui il regolamento è stato adottato dal Presidente della Repubblica nella sua veste di Presidente del Consiglio Superiore. Sul piano normativo, va tenuto conto che se la potestà in argomento veniva originariamente conferita dall’art. 129, co. 2 dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 al Ministro
di Grazia e Giustizia , l’art. 48 del D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 - attuando l’art. 105 della
Costituzione repubblicana e la legge istitutiva del C.S.M. n. 195 del 24 marzo 1958 - prevedeva che “le norme per il tirocinio degli uditori, previste dall’art. 129, ultimo comma, dell’ordinamento giudiziario sono determinate dal Consiglio superiore sentito il Ministro”.
L’oggetto di detta potestà regolamentare non subisce dalla legge limitazioni, se non per
quanto attiene alla determinazione della durata minima del tirocinio (fissata per legge in sei
mesi dall’art. unico della legge 30 maggio 1965, n. 579).
221
problemi posti dal tirocinio iniziale dei magistrati, soprattutto per
quanto attiene all’articolazione prevalentemente decentrata del tirocinio, alla sua distinzione in una fase ordinaria ed in una fase mirata alle
funzioni da svolgersi dall’uditore (fasi connotate da diverse impostazioni dell’azione formativa), all’individuazione dei soggetti preposti all’attività formativa, alle modalità dell’attività stessa39.
Si ponevano tuttavia esigenze di razionalizzazione, cui il nuovo regolamento tende ad ovviare, in rapporto alla precedente inattuazione di
alcune norme, nonché alle incoerenze generate dalla nuova organizzazione consiliare che, come già sappiamo, a far tempo dal 1996,40 deputava alla IX Commissione, coadiuvata dal comitato scientifico, la funzione formativa sia per i magistrati in carriera che per gli uditori.
L’esigenza più sentita, peraltro, si ricollegava alla definizione delle finalità valutative del tirocinio degli uditori, nonché alla conseguente procedimentalizzazione della fase valutativa medesima, stante la consapevolezza dell’insufficienza - più sul piano della concreta prassi che dell’idoneità
astratta - dello strumentario apprestato dalla regolamentazione previgente
per la valutazione di idoneità dell’uditore, incentrato soprattutto sulle relazioni scritte redatte dai magistrati formatori (essendo rimaste disapplicate
le norme che prevedevano, ad es., autorelazioni e lavori di gruppo degli
uditori). Sul piano formale, d’altro canto, si poneva la necessità di assicurare anche all’uditore, quale magistrato a tutti gli effetti, le garanzie di difesa previste dall’art. 107 Cost. per l’ipotesi di giudizio di inidoneità che dovesse condurre alla cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario.
E’ particolarmente significativo, dunque, che l’art. 1 del D.P.R. 17
luglio 1998 introduca, per la prima volta, una esplicita definizione
delle finalità del tirocinio, ad un tempo formative e valutative, affermandosi che “funzioni del tirocinio sono la formazione professionale
degli uditori giudiziari e la verifica della loro idoneità all’esercizio
delle funzioni giudiziarie”.
3.D.3. Gli organi della formazione: natura e compiti.
L’art. 1 D.P.R. cit. riconosce altresì il ruolo di sovraordinazione del
Consiglio superiore a tutti gli altri organi del tirocinio, riconoscimen-
39
Così la Proposta della IX Commissione sottoposta all’Assemblea plenaria del C.S.M.
in data 11.6.1998, riprodotta nel verbale, p. 4.
40
Cfr. delibera del C.S.M. del 13 luglio 1996.
222
to che non esclude che l’attività degli altri soggetti di cui il Consiglio
superiore si avvale (consigli giudiziari, commissioni distrettuali per gli
uditori, magistrati collaboratori ed affidatari, comitato scientifico) sia
connotata da una notevole autonomia nella scelta dei modi e dei
mezzi più adatti, anche in relazione alle diverse situazioni locali, per
perseguire gli obiettivi fissati41.
Quanto al profilo formativo del tirocinio, se il Consiglio superiore, anche attraverso il comitato scientifico di nuova istituzione, dirige
e coordina l’attività formativa a livello centrale, è il consiglio giudiziario che organizza, su proposta della commissione distrettuale per gli
uditori ed in relazione al coordinamento assicurato dal C.S.M., incontri di studio ed altre iniziative di formazione professionale a livello locale. Il ruolo dei formatori locali è già stato ampiamente illustrato
sopra (par. 3B).
Se, poi, le attribuzioni della commissione uditori, quasi tutte di
natura propositiva e strumentale, rimangono sostanzialmente le medesime rispetto a quanto precedentemente previsto, un’importante innovazione viene apportata dal nuovo decreto alla composizione della
commissione. Mentre, infatti, si ribadisce che essa è composta da tre
magistrati designati dal consiglio giudiziario fra i propri componenti,
anche supplenti, e dai magistrati collaboratori42 (di cui si dirà in prosieguo), viene previsto per la prima volta che la commissione stessa
debba essere integrata - ovviamente solo quando essa debba pronunciarsi in merito al tirocinio degli uditori che abbiano iniziato il tirocinio stesso sedente il precedente consiglio giudiziario - dai “magistrati
designati … dai consigli giudiziari precedenti, fino al termine del tirocinio degli uditori che hanno iniziato il tirocinio stessi mentre essi
erano componenti del consiglio giudiziario”. La norma è stata introdotta per venire incontro ad evidenti esigenze di continuità della cura
Così la Proposta cit., 9.
Può qui notarsi che il D.P.R. ribadisce la natura della commissione distrettuale quale
organo collegiale (comprendente sia i 3 componenti del consiglio giudiziario sia i magistrati collaboratori) che, come tale, deve seguire per la sua operatività le regole che l’ordinamento detta per la funzionalità dei collegi della specie. Nella prassi di alcuni consigli giudiziari, come si è avuto modo di rilevare nell’ambito degli incontri “Formazione formatori”
promossi dal C.S.M., si è in passato attribuita una sorta di autonoma capacità operativa ai
soli tre componenti designati dal consiglio giudiziario, che soltanto per gli atti più importanti allargavano le proprie adunanze ai magistrati collaboratori. Trattasi di una prassi da
riguardarsi come illegittima, atteso che il D.P.R. individua come “commissione” solo l’organo formato dai tre consiglieri integrato dai magistrati collaboratori (ed oggi integrato altresì dai componenti del consiglio giudiziario uscente, per gli atti concernenti il tirocinio di
uditori che fosse iniziato durante la loro carica).
41
42
223
del tirocinio, a fronte della durata in carica solo biennale dei consigli
giudiziari, che ha sinora imposto un avvicendamento di componenti
della commissione distrettuale (restando invece in carica i magistrati
collaboratori).
Per l’organizzazione del tirocinio, il consiglio giudiziario continua
ad avvalersi di magistrati collaboratori, la cui nomina è soggetta - giusta una innovativa disposizione del D.P.R. - all’approvazione del Consiglio superiore. Si tratta di figure ormai tradizionali di tutors43, designati in numero di due (uno con competenza per il settore civile, l’altro per il settore penale) per ciascun gruppo di uditori in tirocinio ordinario, composto di regola di non più di cinque elementi;44 per il tirocinio mirato ad ufficio esclusivamente civile o penale, le funzioni di
collaboratore sono svolte unicamente da quello, fra i due magistrati,
che abbia specifica competenza nel settore.
Permane altresì la figura dei magistrati affidatari, affidatario essendo definito il magistrato che, nominato dalla commissione distrettuale per gli uditori, “cura che l’uditore assista a tutte le attività
giudiziarie, compresa la partecipazione alle camere di consiglio”
(art. 11, co. 2), assegna e verifica la redazione di minute di provvedimenti.
La funzione formativa è espressamente qualificata come “dovere
d’ufficio” e non come attività opzionale; i magistrati affidatari e collaboratori debbono possedere determinati requisiti di professionalità ed
onorabilità.
Una nuova figura di magistrato collaboratore è stata istituita dall’art. 15, co. 3 del D.P.R. 1998; a differenza dei magistrati collaboratori di cui si è detto innanzi, incaricati dell’assistenza a gruppi di uditori in tirocinio, “i magistrati collaboratori di cui al[l’art. 15,] comma 3
hanno il compito … di assistere l’uditore giudiziario” cui già sono state
conferite le funzioni giurisdizionali, “di collaborare con lui ai fini del
superamento delle difficoltà e dei problemi connessi con l’inizio della
professione e di orientarlo verso l’approfondimento e il completamento della sua cultura professionale, nonché il compito di accertare, verificare e rappresentare ogni elemento utile per la valutazione della
sua idoneità professionale” (art. 15, co. 5).
43
Così la Proposta, cit., 18; i collaboratori erano denominati “direttori di gruppo” dal
D.P.R. del 1962 e sono tutt’oggi definiti nel linguaggio corrente, meno burocraticamente,
“capigruppo”.
44
La precedente disciplina ammetteva la formazione di gruppi di uditori pari nel massimo a 10 elementi (art. 13 D.P.R. del 1988).
224
Ogni uditore con funzioni è seguito da due magistrati collaboratori ex art. 15 co. 3, ciascuno avente il compito di seguire l’attività di
non più di tre uditori giudiziari con funzioni (art. 15, co. 4). I collaboratori sono scelti secondo i criteri previsti per la nomina dei collaboratori per il tirocinio; la scelta, tuttavia, viene operata tra i magistrati
del distretto in cui l’uditore viene a prestare servizio dopo il conferimento delle funzioni, ad opera del consiglio giudiziario sedente nel capoluogo di detto distretto.
I magistrati collaboratori predetti “redigono ciascuno una relazione in cui riferiscono in modo specifico al consiglio giudiziario le attività svolte dall’uditore nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, dando conto analiticamente di ogni elemento concreto rilevante ai fini di una completa valutazione dell’uditore” sotto i diversi profili; relazione di cui “il consiglio giudiziario tiene conto ai
fini della redazione del parere previsto dall’art. 1 della legge 2
aprile 1979, n. 97”.
La cennata disciplina formalizza una funzione di assistenza a favore dei magistrati più giovani che, seppure a livello spontaneistico,
vanta una consolidata tradizione. Il D.P.R. si preoccupa di affermare
comunque (con disposizione inserita a seguito delle osservazioni,
assai critiche, sollevate sullo schema di decreto da parte del Presidente della Repubblica e del Ministro) il principio secondo cui il compito
di assistenza dell’uditore con funzioni va svolto dai collaboratori “nel
rispetto dell’autonomia di cui l’uditore giudiziario è pienamente titolare nell’esercizio delle funzioni giudiziarie al medesimo affidate” (art.
15, co. 5).
La primaria finalità della norma, comunque, è quella di introdurre un ulteriore meccanismo di valutazione, attraverso le relazioni dei
predetti collaboratori, dell’uditore.
3.D.4. La durata del tirocinio.
L’art. 3 co. 1 del D.P.R. del 1998 ha altresì innalzato la durata minima del tirocinio, che “è determinata per ciascun concorso dal Consiglio superiore della magistratura e non può, di regola, essere inferiore a diciotto mesi”, a fronte dei precedenti quindici, oltre la sospensione prevista per “i periodi feriali dei magistrati di cui all’art. 90
dell’ordinamento giudiziario, anche se l’uditore abbia goduto di ferie
di durata inferiore”, nonché per talune altre assenze dal servizio dell’uditore.
225
L’avere il D.P.R. ribadito, a fronte dell’innalzamento tendenziale (“di
regola”) della durata del tirocinio, che compete al C.S.M. di fissare in
concreto, per ciascun concorso, l’effettiva durata dello stesso conferisce
alla disciplina carattere di opportuna flessibilità, usufruendo della quale
il C.S.M. potrebbe in futuro determinare che il tirocinio abbia durata inferiore ai diciotto mesi non solo in relazione ad esigenze eccezionali, ma
anche in conseguenza della realizzazione delle significative innovazioni
previste in materia di requisiti culturali per l’accesso al concorso in magistratura, laddove riscontri che i “curricula” delle istituende scuole
“post-laurea” assicurino parzialmente - seppure nel diverso momento
preparatorio al concorso, e non in sede di “on-the-job training” - il soddisfacimento dei bisogni formativi sinora assicurato dal tirocinio ordinario.
3.D.5. La documentazione dell’attività di tirocinio.
Un aspetto in riferimento al quale il regolamento del 1998 in tema
di formazione degli uditori giudiziari ha apportato tra le più rilevanti
innovazioni è quello della disciplina della documentazione delle attività di tirocinio.
La precedente regolamentazione aveva subito nella prassi parziali disapplicazioni (quanto alla prevista redazione e valutazione di elaborati e relazioni, anche collegiali, redatti dagli uditori), nonché adattamenti in relazione all’adozione generalizzata del procedimento “alternativo” per il conferimento delle funzioni di cui alla L. n. 579 del
1965, necessitato per consentire l’assegnazione della sede prima della
fine del tirocinio; la nuova disciplina opera dunque talune razionalizzazioni, integrando la documentazione considerata rappresentativa
delle attività afferenti il tirocinio.
Del tutto innovativa è, in particolare, la previsione secondo cui nel
fascicolo dell’uditore va inserito un documento denominato quaderno
del tirocinio,45 redatto durante il tirocinio dall’uditore medesimo, che
vi deve annotare “le attività svolte e quelle alle quali ha partecipato o
assistito, formulando le proprie eventuali osservazioni ed indicando
ogni altro elemento utile a dar conto dell’esperienza formativa in
45
La previsione riecheggia, sul piano nominalistico, quanto disposto, nel diverso settore del tirocinio dei praticanti avvocati, dall’art. 6, istitutivo del libretto della pratica, del
D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, recante il nuovo “Regolamento relativo alla pratica forense per
l’ammissione all’esame di procuratore legale”.
226
corso”. Il quaderno è vistato dal magistrato affidatario “che vi riporta
le proprie osservazioni e le proprie indicazioni anche sugli ulteriori
sviluppi dell’esperienza formativa”. “Al termine dei diversi segmenti
del tirocinio - è poi prescritto dal co. 3 - il quaderno è consegnato ai
magistrati collaboratori insieme ad una relazione complessiva dell’uditore sul tirocinio svolto.”
Come emerge dai lavori preparatori, l’istituzione anche per il tirocinio degli uditori, come dei praticanti avvocati,46 di un diario o quaderno, nel quale siano annotate le attività svolte, è diretta ad una pluralità di obiettivi: da un lato, la descrizione analitica delle attività favorirebbe nei magistrati affidatari e collaboratori una maggiore consapevolezza del programma di formazione, indirizzando verso la completezza dello stesso; da altro punto di vista, la rappresentazione delle
attività espletate costituirebbe fattore di controllo sull’operato sia dell’uditore che dei formatori; infine, dal quaderno potrebbero essere ricavati elementi valutativi, al pari dell’altra documentazione costituita
dai provvedimenti redatti e dalle autorelazioni.47 L’istituzione del quaderno veniva ritenuta dal C.S.M., in sede di approvazione del regolamento, un’innovazione positiva, a condizione di non interpretarla
come un inutile appesantimento burocratico.
Il D.P.R. del 1998 ha anche prescritto come obbligatoria l’inclusione nel fascicolo “di tutti i provvedimenti redatti dall’uditore, con le
modifiche ad essi eventualmente apportate dai magistrati affidatari”.48
E’ altresì previsto che l’uditore sottoponga al collaboratore, al termine di ciascun segmento di tirocinio, un’autorelazione, in funzione di
sintesi delle annotazioni, sussunte in un quadro di complessiva valutazione da parte dell’uditore dell’esperienza formativa svolta.
46
Il “libretto della pratica” di avvocato, non calibrato sulle medesime finalità assegnate al “quaderno” dell’uditore, è in effetti costituito da un’agile ed assai succinta elencazione
di “udienze” cui il praticante ha assistito in riferimento a determinate “cause”, nonché di
“atti” alla cui predisposizione lo stesso ha partecipato; sia dell’oggetto di ciascuna udienza
che di ciascun atto altro non viene indicato che una succinta descrizione; per ciascun semestre di pratica si richiede poi al praticante avvocato - ancora una volta in un’ottica meramente ricognitiva - di dar conto delle questioni giuridiche di maggior interesse tra quelle affrontate.
47
Così, la relazione del consigliere relatore, dr. Pivetti, nella seduta del C.S.M. del
17.9.97, p. 18 del resoconto.
48
Cfr. sul punto l’art. 7 del D.P.R. Cfr. altresì l’art. 11 co. 3 che chiarisce che l’inserimento concerne in effetti anche “ogni altro elaborato redatto … nel corso del tirocinio”: si
pensi ad es. agli appunti per la relazione in camera di consiglio, alle ricerche di legislazione,
dottrina o giurisprudenza, ecc.
227
3.D.6. Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio.
Circa gli aspetti metodologici del tirocinio, per la fase ordinaria
viene disposto che i piani relativi assicurino, “specialmente negli uffici di grandi dimensioni, che il praticantato, pur consentendo all’uditore di acquisire conoscenza dei vari campi in cui si esplica la funzione giudiziaria, non subisca frazionamenti eccessivi, ma si concentri,
approfondendole adeguatamente, su un numero limitato di esperienze significative.”
Trattasi, con ogni evidenza, di una scelta a favore dell’acquisizione da parte dell’uditore di un patrimonio conoscitivo ampio e tendenzialmente despecializzato, e non di conoscenze specialistiche che dati i limiti temporali del tirocinio - non potrebbero essere approfondite in maniera accettabile; prescrivendosi che, a fronte della necessità
di assegnare l’uditore a settori specializzati, il collaboratore selezioni
un numero limitato di materie significative che - a mo’ di test - l’uditore possa sondare, sì da acquisire lo strumentario necessario per appropriarsi in autonomia di materie in cui il praticantato non si possa
espletare. Alla disciplina in parola è sotteso altresì il perseguimento
dell’obiettivo, espressamente enunciato, che il tirocinio non subisca
frazionamenti eccessivi, ossia che non si articoli in un numero eccessivo di “segmenti”. Nel corso del tirocinio ordinario dovrà erogarsi in
forma seminariale la formazione relativa alle funzioni specializzate,
riservandosi poi l’assegnazione ad affidatari di un determinato settore
specialistico solo agli uditori che mostrino uno specifico interesse al
riguardo. Assai importante è, ai fini di detta programmazione, l’interpello degli uditori in merito alle preferenze che gli stessi intendessero
esprimere.49
3.D.7. Il tirocinio mirato.
Per quanto attiene all’espletamento del tirocinio mirato, va segnalato che una particolare procedura è stata divisata per assicurare la
tempestiva conoscenza da parte dei formatori e dello stesso uditore
delle specifiche funzioni assegnategli, nonché per garantire l’effettiva
49
Si è appena visto che l’art. 4, co. 3 attribuisce rilevanza all’istanza dell’uditore quanto alla previsione di affidamenti a settori specializzati. Si richiama altresì che l’art. 11, co. 1
impone di tenere conto delle preferenze dell’uditore per l’individuazione dei magistrati affidatari.
228
corrispondenza tra funzioni assegnate e quelle che saranno in concreto svolte presso l’ufficio di destinazione. La “ratio” sottostante a tale
disciplina è evidente: se il tirocinio mirato è rivolto all’avvio dell’operatività in determinate funzioni, una successiva assegnazione a funzioni diverse vanifica le finalità stesse del tirocinio e consente che l’uditore esplichi le sue funzioni senza sufficiente pratica specifica, in
danno dell’utenza.
3.D.8. Gli incontri di studio per gli uditori giudiziari.
Durante la fase ordinaria del tirocinio, viene previsto con regolamentazione più dettagliata di quella previgente che il Consiglio superiore della magistratura ha il compito di organizzare incontri di studio e altre iniziative formative in sede nazionale, avvalendosi del comitato scientifico istituito dall’art. 29 del regolamento interno del
Consiglio stesso, sui seguenti temi: diritto sostanziale e processuale,
ordinamento giudiziario, deontologia professionale, organizzazione e
gestione degli uffici e del lavoro giudiziario.
Il consiglio giudiziario, su proposta della commissione distrettuale per gli uditori, organizza poi incontri di studio ed altre iniziative di
formazione professionale a livello locale, che sono coordinate da componenti della medesima commissione, previa adozione da parte del
consiglio giudiziario delle opportune intese con le istituzioni universitarie, gli organismi forensi e le altre entità della vita sociale.
Gli incontri decentrati hanno funzione integrativa e preparatoria
rispetto agli incontri organizzati in sede nazionale.
E’ evidente che nella formazione iniziale degli uditori giudiziari in
tirocinio il ruolo fondamentale è giocato dalla formazione in sede decentrata; gli incontri di studio centrali hanno la funzione di fornire
una <<cassetta degli attrezzi>> minima e uguale per tutti e di porre i
giovani colleghi, che spesso si legano in modo profondo agli affidatari che svolgono il delicato ruolo del maestro da imitare (del maestro
da cui si apprende anche per imitazione), di fronte a modi diversi di
lavorare consentendo loro di sviluppare senso critico.
Il neomagistrato ha di regola una forte motivazione personale rispetto alla professione scelta, di cui ha una propria rappresentazione
ideale, ed è molto determinato nel cercare di acquisire i valori e gli obbiettivi dell’istituzione di cui entra a far parte; ciò nonostante, il momento dell’ “iniziazione” alla nuova professione è certamente assai delicato, in quanto involge l’assunzione del ruolo e perciò è destinato ad
229
avere una grande influenza sull’evoluzione futura del soggetto e sul suo
modo di essere giudice o pubblico ministero. Per tale motivo un’importanza particolare assumono nella formazione degli uditori giudiziari i temi della deontologia, dell’organizzazione e dell’ordinamento giudiziario, temi che implicano una trasmissione di valori sui contenuti
della giurisdizione. E’ un terreno che, coinvolgendo i valori dell’indipendenza interna ed esterna, richiede cautela e ponderazione; peraltro,
si può oggi iniziare un confronto, se non sui contenuti della giurisdizione, almeno sui modi con cui è esercitata, rendendo la formazione
professionale uno strumento di meditazione collettiva su vari profili
della deontologia e del “saper essere”, quali ad esempio: il problema dei
condizionamenti culturali e morali del magistrato (rilevante soprattutto nella trattazione di reati sessuali, di reati economici, nella materia
minorile, nella cause di separazione e divorzio, ...); i doveri di comportamento; il saper fare udienza; il saper “trattare” con gli avvocati, con
le parti, con il personale amministrativo, acquisendo coscienza dei loro
compiti, dell’importanza della loro funzione, del loro valore; la gestione del contatto col pubblico; i rapporti con i mezzi di informazione;
l’assunzione delle prove (la gestione dell’interrogatorio libero nel processo civile e dell’esame incrociato nel processo penale, l’assunzione
della testimonianza, i rapporti con gli interrogati e con i testimoni); il
ragionamento di fatto, le tecniche e le modalità di formazione del giudizio e le tecniche di motivazione; la gestione dei rapporti con i giudici popolari nelle corti d’assise, e l’elenco potrebbe continuare.
L’uditore giudiziario, fresco di studi teorici universitari e concorsuali, necessita in modo particolare di acquisire le capacità necessarie
per la corretta e proficua gestione di un processo. Per questo gli incontri di diritto civile e penale del tirocinio ordinario hanno ad oggetto soprattutto il processo, mentre nel corso del tirocinio mirato sono
affrontati temi sia di diritto sostanziale che di diritto processuale in
un’ottica incentrata essenzialmente sulla metodologia e sulla trasmissione del “saper fare”: gestione del processo e delle scelte fondamentali che il processo pone, corretto esercizio dei poteri del giudice, gestione dell’attività istruttoria, educazione ad un ragionamento probatorio corretto, ad una ricostruzione del fatto rigorosa, ad una sussunzione del fatto nella fattispecie astratta sorretta da adeguata preparazione, tecniche di motivazione. L’attività didattica si articola in insegnamento, discussione e simulazione su casi concreti, si ispira a criteri di pluralismo rifuggendo da qualsiasi omologazione, cercando di
educare alla critica, al dubbio, alla dialettica costruttiva con gli altri
soggetti del processo e dell’organizzazione giudiziaria.
230
Più in particolare per quanto concerne i metodi didattici, un momento importante nell’evoluzione della formazione iniziale si è avuto
con l’introduzione dei processi simulati. Si è pervenuti a tale scelta in
base a due elementi: l’esigenza di istruire alla gestione del processo, la
necessità di condurre chi si incammina sulla via di esercitare la giurisdizione a riflettere in modo analitico e critico sui profili deontologici
e comportamentali della funzione.
Così, ad esempio, nel corso del tirocinio ordinario civile nell’arco
di tre (o quattro, secondo i moduli operativi) giornate viene simulato
un processo civile ordinario dall’iscrizione a ruolo alla emanazione
della sentenza; a tal fine viene utilizzato materiale didattico appositamente predisposto e che consiste nella riproduzione di un fascicolo
processuale in ogni sua parte: nota di iscrizione a ruolo, atto di citazione, notifiche, comparsa di risposta, memorie di trattazione e istruttorie, comparse conclusionali; tale materiale viene distribuito ai partecipanti secondo l’andamento dell’attività. Il fascicolo è realizzato su
un caso di studio, cioè su una fattispecie relativamente semplice sul
piano del diritto sostanziale e caratterizzata dalla presenta di una serie
di difficoltà che pongono l’uditore davanti a problemi processuali tipici da risolvere (nullità della notifica, nullità della citazione, rilievo e
decisione su eccezioni, decisioni istruttorie, gestione del processo)
nonché da una certa ricchezza fattuale che consenta l’espletamento
delle attività connesse all’interrogatorio libero, alle prove testimoniali,
a una consulenza. Quanto allo svolgimento, nella prima mattina si
tengono relazioni sull’instaurazione del processo, prima udienza di
comparizione e prima udienza di trattazione ed al pomeriggio viene
simulato lo svolgimento delle dette udienze con svolgimento dell’ interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione in role playing; il secondo giorno si affronta il tema dell’attività istruttoria e al pomeriggio
viene simulata la fase delle decisioni istruttorie e dell’assunzione delle
prove (con escussione di testi in role playing; talvolta questa fase si
prolunga su due giornate accompagnata da approfondimenti teorici
sui singoli mezzi di prova); il terzo giorno si illustrano le tecniche di
motivazione dei provvedimenti giudiziari ed infine viene decisa la
causa e fatta la sentenza.
Nelle fasi di didattica attiva viene ricreata la situazione dell’aula di
giustizia, con il giudice, il cancelliere, le parti, gli avvocati; ognuno “interpreta” il suo ruolo e l’attività di ognuno è poi discussa collettivamente dai componenti del gruppo che non hanno partecipato alla
drammatizzazione in modo attivo ma come spettatori. Discutendo
collettivamente il modo in cui si chiedono chiarimenti ai difensori o si
231
interrogano le parti o si esamina un teste (le domande che vengono
poste, il modo in cui vengono poste, l’atteggiamento assunto dal giudice, la verbalizzazione) o approfondendo la condotta del giudice nell’esperire il tentativo di conciliazione (il suo impegno, la partecipazione, le frasi pronunciate per indurre le parti a conciliare, le motivazione addotte, la proposta conciliativa) i giovani magistrati hanno l’opportunità di riflettere su cosa significhi in concreto fare il giudice, su
quali comportamenti siano e non siano ammessi, quali siano i limiti
invisibili entro i quali devono svolgersi le attività di rilievo contestazione conciliazione.
In questo modo si persegue la finalità di far diventare il caso da
semplice “storia” a “palestra di percorsi tecnico-pratici-assiologici, atti
a soddisfare sia il bisogno di “sapere”, sia quello di “saper fare” che
quello del “saper essere”. (cfr. Relazione al Parlamento del 1994).
3.D.9. I relatori degli incontri di formazione iniziale.
Svolgere funzioni di docente in un incontro per uditori giudiziari è attività particolarmente delicata; infatti, la tipologia di destinatari della formazione (uditori e non magistrati con una propria esperienza professionale e quindi non ancora pienamente capaci di filtrare criticamente le informazioni trasmesse), i metodi didattici, il
rilievo dei profili deontologico e relazionale, rendono il compito del
docente assai complesso e impegnativo. Di regola è svolto da magistrati di esperienza, che hanno già svolto positivamente attività didattiche in corsi di formazione permanente, mentre si tende ad
escludere da questa funzione gli avvocati (per l’inopportunità dell’instaurazione di una relazione docente-discente tra un giovane magistrato ed un avvocato che può, a funzioni assunte, esercitare innanzi a lui) e i professori universitari (per i contenuti particolari, da
un lato teorico-pratici, dall’altro innervati di deontologia, di questa
formazione).
Quanto ai compiti dei relatori, sono state elaborate alcune linee
guida alla loro attività, sottoposte alla discussione nel corso degli
incontri di studio per i formatori del 1998: l’attività del relatore per
i corsi uditori non può essere una libera attività di elaborazione
scientifica, genericamente indirizzata a stimolare un dibattito, ma,
tenuto conto della qualità dei destinatari della formazione iniziale e
delle sue finalità, l’attività del relatore deve essere orientata in modo
preciso, riducendo gli spazi di discrezionalità (ovviamente al di
232
fuori di quella che è la parte scientifica in senso proprio); pertanto,
il relatore deve attenersi al tema assegnatogli e trattarlo in tutte le
parti indicategli (data la connessione tra momento dell’insegnamento e momento della didattica attiva su casi pratici, un “fuori
tema” può turbare gravemente lo schema didattico ideato); deve altresì fornire un quadro delle questioni che dia conto dello stato
della elaborazione dottrinale e delle soluzioni giurisprudenziali di
merito e di legittimità, evitando di presentare orientamenti “originali” o propri di singoli uffici come se fossero soluzioni generalmente applicate, o proporre prassi proprie di singoli uffici, soprattutto se contra legem.
Attualmente compito dei relatori è anche la predisposizione, in
collegamento con il comitato scientifico, del materiale didattico utilizzato per le simulazioni (predisposizione del fascicolo). Ciò ha comportato finora una certa discontinuità di contributi e sarebbe opportuno che fosse il solo comitato scientifico a farsi carico di tale opera;
ciò, peraltro, presuppone, oltre ad una disponibilità ideale e materiale attualmente inesigibile, una collaborazione con i formatori distrettuali per creare una sorta di banca-dati, per selezionare casi reali, attraverso l’invio di copie di fascicoli, dai quali trarre attraverso opportuna elaborazione, fascicoli simulati.
3.D.10. La valutazione dell’uditore nel tirocinio ordinario.
Completamente rivista, come già accennato, è la disciplina degli
aspetti valutativi del tirocinio ordinario, imperniata, quanto alla
fase coincidente con il termine del tirocinio ordinario, su una relazione ed una proposta di parere, “prodromico a quello di cui all’art.
129 dell’ordinamento giudiziario” formulata dalla commissione distrettuale sull’idoneità dell’uditore all’esercizio delle funzioni giudiziarie.
La relazione ed il parere vengono comunicati all’uditore giudiziario, il quale ha facoltà di formulare proprie osservazioni che vengono
allegate al fascicolo. Gli atti vengono quindi trasmessi, unitamente al
fascicolo dell’uditore, al Consiglio superiore della magistratura. Pervenuti gli atti, la competente commissione del C.S.M. accerta in base ad
essi quali siano i settori per i quali eventualmente l’uditore abbia dimostrato maggiori attitudini ed esprime in particolare la propria valutazione sulla sussistenza di specifiche attitudini all’esercizio delle
funzioni inquirenti.
233
Se ritiene completato positivamente il tirocinio ordinario, la
commissione propone al Consiglio, che delibera sul punto, la destinazione dell’uditore ad un ufficio per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, al termine del tirocinio mirato che l’uditore immediatamente
avvia.
L’individuazione e l’assegnazione delle sedi e degli uffici ai quali
destinare gli uditori avviene secondo criteri predeterminati, su proposta della commissione competente. Tali criteri dovranno garantire l’esclusione dell’esercizio delle funzioni inquirenti, in ipotesi di insufficiente valutazione circa l’idoneità specifica alle stesse, e dovranno, se
possibile, tenere conto delle indicazioni circa i settori di maggior attitudine accertati.
Un diverso e ovviamente più complesso iter si ha qualora non si
possa pervenire, da parte del C.S.M., alla valutazione positiva circa l’espletamento del tirocinio ordinario, disciplinandosi le ipotesi di prosecuzione del tirocinio stesso onde procedere ad ulteriore verifica, le
contestazioni dell’interessato, il diritto di difesa nell’ipotesi di valutazione di inidoneità suscettibile di condurre alla cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario.
3.D.11. La valutazione finale.
Quanto alla fase valutativa finale del tirocinio, all’esito del tirocinio mirato, e più precisamente un mese prima del termine dello stesso, il magistrato collaboratore trasmette alla commissione distrettuale una relazione definitiva sulle attitudini e le capacità dei singoli uditori e sulla idoneità dei medesimi all’esercizio delle funzioni giudiziarie, redatta sulla base degli elementi di valutazione previsti per il tirocinio ordinario, integrati con gli analoghi elementi di valutazione riferiti al tirocinio mirato.
Si avvia a questo punto un procedimento di valutazione definitivo
del tutto identico a quello già esaminato in riferimento al tirocinio ordinario.
3.D.12. La valutazione nella fase di formazione complementare.
La nuova disciplina perfeziona il meccanismo di valutazione predisposto dalla L. n. 97/1979 anche quanto alla fase della formazione
complementare, incrementando attraverso le relazioni dei collabora-
234
tori ex art. 15 D.P.R. il materiale documentale idoneo a fornire notizie
ai fini della valutazione dell’uditore.50
3.D.13. Le soluzioni alla prova dei fatti.
Ad una valutazione dell’efficacia e funzionalità del nuovo assetto
regolamentare in riferimento agli obiettivi fissati dal Consiglio Superiore potrà pervenirsi solo dopo un congruo periodo di sperimentazione del nuovo schema di tirocinio.
In via provvisoria può comunque essere sin d’ora riconosciuto al
regolamento il merito di aver sistematizzato la complessa materia,
conferendo un assetto stabile a quegli istituti-cardine della formazione iniziale dei magistrati che già la prassi precedente aveva contribuito ad affinare.
Sussistono peraltro difficoltà interpretative ed applicative poste
da alcune norme, soprattutto ovviamente di carattere innovativo e,
specificamente, da quelle afferenti gli aspetti valutativi.
Potrà essere valutata in prosieguo, sulla base della ricognizione
del lavoro svolto dagli uditori della tornata concorsuale che nel 2001
assumerà le funzioni, quale sia stato l’impatto della nuova disciplina
della documentazione del tirocinio, e soprattutto l’utilità del quaderno
come strumento di accompagnamento dell’iter formativo.
Andrà altresì esaminato se sussistano possibilità, soprattutto sul
piano della didattica in sede decentrata e centrale, per attuare le disposizioni del regolamento che prevedono momenti collettivi di formazione, rimaste inattuate in riferimento alla precedente disciplina.
Al riguardo, possono richiamarsi le esperienze svolte nel distretto di Bologna, nel quale si sono sperimentati momenti di formazione collettiva improntati ad ampi spazi di autogestione degli
uditori, che hanno messo in comune gli apprendimenti individuali
50
La circolare sui pareri n. 1275 del 22 maggio 1985 prevedeva, come principale fonte di conoscenza per l’espressione del parere valutativo del consiglio giudiziario, il rapporto del dirigente dell’ufficio cui l’uditore è addetto. Con la nuova disciplina si introduce una concorrente fonte di conoscenza costituita dalle relazioni dei collaboratori, non a caso previsti nella misura di due, sì da garantire una maggiore garanzia di correttezza e serietà della valutazione. Tenuto conto del fatto che le fonti in
parola sono equi-ordinate in base agli artt. 2 e 4 della L. n. 97 del 1979, non può accedersi all’avviso formulato nel parere del Ministero del Tesoro sullo schema di D.P.R.
(allegato B, p. 10, alla Proposta cit.) secondo cui le valutazioni del capo dell’ufficio
“dovrebbero pur sempre conservare rilievo primario”.
235
attraverso schede sintetiche (denominate “Quaderno collettivo di
autoformazione”, così da porre l’elaborato in continuità con l’esperienza del “Quaderno” previsto dal regolamento) ordinate secondo
griglie rappresentative dei bisogni formativi e redatte in modo tale
da essere a tutti facilmente comprensibili. All’obiettivo iniziale di
favorire la socializzazione professionale e di garantire una certa
omogeneità di impostazione nel tirocinio, si è aggiunto il valore
dato dalla consapevolezza di partecipare ad un progetto comune,
con crescita dell’abitudine ad approfondire con rigore ogni questione rilevata nella pratica professionale e della volontà di trasmettere
le proprie esperienze ai colleghi. Gli appunti relativi all’esperienza
sono stati inseriti in un CD-ROM che consente a ciascuno di personalizzare il testo, di aggiornarlo e di ampliarlo; il nuovo Quaderno
– sottoposto al C.S.M. per le valutazioni di competenza – si propone così, in prospettiva, come un manuale di formazione dei giovani
magistrati.
Le questioni relative al “quaderno dell’uditore”, quale previsto dal
D.P.R., nonché l’iniziativa bolognese hanno formato oggetto di un parere dell’Ufficio Studi del C.S.M., che ha sottolineato la diversità dell’ambito in cui si colloca l’esperienza di formazione collettiva, concentrata soprattutto all’interno del tirocinio ordinario, rispetto al “quaderno” in senso proprio, quale disciplinato dal C.S.M. come strumento di supporto personalizzato per il singolo uditore che consente la ricostruzione del percorso formativo individuale facilitando le eventuali verifiche successive.
3.E. La sperimentazione: i laboratori di autoformazione.
3.E.1. I laboratori. Finalità e ragioni della sperimentazione.
Nell’evoluzione dei metodi di formazione un momento di spicco è
rappresentato dai laboratori per giudici minorili e della famiglia e per
magistrati di sorveglianza.
Il corso per giudici minorili, giudici onorari dei tribunali per i minorenni, pubblici ministeri presso i tribunali per i minorenni, giudici
ordinari che svolgono in via esclusiva o prevalente funzioni civili in
materia di famiglia e status, pubblici ministeri che si occupano in via
esclusiva o prevalente di reati sessuali e di reati che hanno per parte
offesa un minore – che ha coinvolto nel 1999 i distretti di Torino, Venezia, Napoli, Bari e Palermo – ha rappresentato la prima esperienza
236
di attività di formazione autodidatta con assistenza metodologica organizzata dal Consiglio Superiore51.
Si tratta di un’attività formativa sperimentale destinata a piccoli
gruppi di lavoro che, sotto la guida di un esperto metodologo, analizzano singoli campi dell’esperienza giuridica rilevando e studiando i
nodi critici dell’attività del magistrato per elaborare criteri ed orientamenti per la loro gestione. La denominazione <<laboratorio>> riservata a questo genere di corsi sta ad indicare in modo immediato sia la
loro natura sperimentale sia che la finalità principale dei medesimi è
quella di favorire la capacità d’iniziativa, la riflessione sulla propria
esperienza giurisdizionale e soprattutto la produzione di nuove conoscenze da parte dei magistrati che vi partecipano, e non l’assimilazione di conoscenze e in genere di informazioni trasmesse da altri come
avviene nei moduli formativi tradizionali.
Le ragioni per cui il Consiglio Superiore ha avvertito l’esigenza di
introdurre questo modulo altamente innovativo risiedono in più fattori, di tipo sia strutturale che funzionale: a) l’esperienza degli ultimi
anni di <<Scuola della Magistratura>> indica: aa) la formazione incentrata sulla trasmissione e accumulazione di informazioni e sulla
circolazione e interscambio di idee è ormai ampiamente sperimentata
e quindi stabilizzata nelle sue linee-base; ab) in relazione alle peculiarità della funzione del magistrato è necessario affiancare alla formazione per trasmissione di saperi (cui corrisponde un apprendimento
per accumulazione) una formazione che, partendo dalla concreta
esperienza di lavoro e rielaborandola, dia al magistrato gli strumenti
per riconoscere le proprie difficoltà e per risolverle (c.d. apprendimento per rielaborazione); b) non esistono uno studio ed una elaborazione su metodi non tradizionali di formazione per magistrati ed è
necessario (per imparare ad imparare, per impadronirsi della <<cassetta degli attrezzi>>) realizzare una formazione autodidatta, che veda
come protagonisti attivi i magistrati, con assistenza esclusivamente
metodologica da parte di professionisti della formazione.
Data la novità della metodologia, il corso si è proposto come sperimentazione al fine di verificare validità e risultati e saggiare la possibilità di un’estensione a tutti i settori e a tutti i magistrati interessati.
Il Consiglio Superiore ha scelto come settore di intervento della
51
I risultati del laboratorio sono condensati nella Relazione pubblicata in Quaderni del C.S.M., 2001, n. 117.
237
prima sperimentazione quello della giustizia minorile e familiare in
senso lato. I motivi di tale scelta sono molteplici; in primo luogo i magistrati addetti agli uffici giudiziari minorili (ma anche in generale addetti a trattare materie attinenti il diritto minorile e le problematiche
della famiglia) hanno una esigenza di formazione - intesa come
<<saper essere>> e <<saper fare>> - elevatissima in relazione alle particolari complessità della funzione, date: dal compito di individuare,
anche e soprattutto in base a conoscenze non giuridiche e in assenza
di norme procedimentali sufficientemente precise, i bisogni di tutela
del minore ed i mezzi per attuarla; dalla struttura organizzativa del lavoro che realizza una collaborazione tra magistrato e altre istituzioni
e servizi (servizi sociali e psicologici in particolare), dalla risonanza
emotiva del lavoro per il continuo contatto con il dolore e la sofferenza dei minori e delle persone che si occupano o dovrebbero occuparsi
di loro. In secondo luogo la elaborazione del progetto su cui si fonda
il corso è dovuta in buona parte al fondamentale apporto della Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, che ha
studiato e compiuto una elaborazione in tema di bisogni formativi
della magistratura minorile e della famiglia; si aggiunga che in materia è stato possibile avvalersi dei risultati di una precedente sperimentazione, dedicata a “Stili di comunicazione tra magistratura e Servizi”
e curata dalla Scuola di formazione del personale della Giustizia minorile di Castiglione delle Stiviere.
3.E.2. Organizzazione, strumenti operativi, contenuti del primo laboratorio per giudici e pubblici ministeri minorili e della famiglia.
Il modulo organizzativo del laboratorio si è articolato in cinque
gruppi periferici localizzati in sede distrettuale e nel gruppo di monitoraggio composto dai cinque referenti di ciascun gruppo periferico, dal consulente e da un componente del Comitato scientifico. Gli
elementi caratterizzanti il laboratorio sul piano strutturale si individuano:
- nella interrelazione tra gruppo di monitoraggio (GM) e gruppi
periferici (GD) e tra gruppi periferici per il tramite del gruppo di monitoraggio, di modo che l’attività formativa si svolge come segue: il
GM imposta il lavoro iniziale per i gruppi in modo diversificato ma
coordinato; i singoli referenti propongono ai GD le indicazioni di lavoro provenienti dal GM e raccolgono i risultati parziali del lavoro, le
riflessioni, valutazioni critiche e richieste dei gruppi, proponendoli
238
quindi al GM che, sulla base del confronto tra le diverse esperienza individua le modalità di prosecuzione del lavoro più adeguate;
- nella procedimentalizzazione del percorso formativo, cioè nella
predisposizione di un calendario dei lavori in cui si alternano, con previsione di obiettivi parziali, le riunioni del GM a una o più riunioni dei
GD cadenzate a seconda del lavoro da svolgere e nella previsione di un
seminario finale con la partecipazione di tutti i gruppi;
- nella flessibilità del modulo, che significa adattabilità da un lato
alle esigenze formative espresse dai gruppi, cioè possibilità di modificare l’andamento dei lavori a seconda delle esigenze emerse, nel rispetto dei contenuti e dell’obbiettivo formativo, dall’altro alla specificità del gruppo, cioè alla partecipazione dei suoi componenti, al tipo
di impegno dagli stessi profuso, ai vincoli strutturali dovuti ai carichi
di lavoro, alla dislocazione geografica dei partecipanti etc.
L’idea della sperimentalità che sta alla base del laboratorio non è
né quella dell’esperimento secondo un criterio scientifico empirico ed
organicistico né quella del “si può fare ciò che si vuole” con libertà di
errore; significa svolgimento di un lavoro che viene continuamente
messo sotto osservazione controllando ciò che accade e verificando i
risultati; in ciò al GM compete un ruolo di conduzione dell’intero percorso nelle sue diverse articolazioni e il GD non opera come gruppo a
sé stante ma è inserito in una più complessa organizzazione in cui
vengono in rilievo i paritari e contemporanei lavori di altri gruppi; per
questo al referente è attribuito essenzialmente un ruolo di: garantire
la centratura del lavoro del GD sull’obbiettivo evitando facili dispersioni o deviazioni dai temi assegnati; organizzazione del gruppo; raccordo tra GM e GD; facilitazione della comunicazione nelle riunioni
nel GD, attraverso richiami agli obiettivi e interventi che scandiscano
le discussioni e le elaborazioni delle problematiche; mantenere la continuità del lavoro del GD nel tempo.
La previsione degli esposti compiti al GM e al referente non implica che gli stessi assumano una posizione in qualche modo autoritaria, in quanto si tratta di un mero espediente funzionale per consentire il conseguimento degli scopi, mentre l’attenzione alle esigenze
espresse dai singoli GD è garantita sia dalla periodica verifica degli
obiettivi e degli strumenti in sede centrale sia dal seminario finale.
Quanto ai contenuti, l’idea-guida è che una formazione che vuole
partire dall’esperienza per analizzarla e migliorare la realtà operativa
deve avere ad oggetto temi circoscritti, limitati e trasversali, che da un
lato evitino la radicalizzazione del dibattito e lo scontro ideologico
sulle grosse questioni di fondo (ad es. la funzione del giudice minori-
239
le, il ruolo dell’interesse del minore, i “diritti” dei genitori, puerocentrismo o valorizzazione della genitorialità…), dall’altro consentano
un’analisi veramente approfondita; quanto allo specifico argomento,
deve presentare elementi di interesse comune alle varie aree di professionalità rappresentate nei gruppi e la sua scelta deve essere giustificata dall’intenso collegamento con la realtà operativa (nel senso che
deve esprimere una problematica reale e non teorica o “scolastica” o
marginale).
Il mezzo per conoscere la realtà è stato individuato nell’analisi del
lavoro svolto nell’ambito di ciascun distretto in riferimento allo specifico tema prescelto, acquisendo ed esaminando fascicoli relativi a procedimenti conclusi. Poiché i processi di lavoro del magistrato si possono scomporre nelle fasi della conoscenza dei fatti (acquisizione ed
elaborazione delle informazioni), della definizione del problema, della
decisione e della valutazione della decisione, lo strumento attraverso
il quale considerare quello spicchio di realtà operativa eletta a oggetto d’indagine è stato individuato nelle “griglie” che, costruite per permettere una scomposizione puntuale della realtà, applicate ai casi
concreti selezionati, rilevano degli elementi ricorrenti e facilitano l’analisi .
Sulla base di queste premesse operative, il gruppo di monitoraggio ha scelto come tema del laboratorio quello della <<tutela del minore maltrattato>>, che, all’esito nella discussione nei gruppi distrettuali è stato articolato nei sottotemi del: maltrattamento psicologico
(scelto dal distretto di Bari), ascolto diretto del minore (Distretto di
Venezia), ascolto indiretto (distretto di Palermo), esecuzione dei provvedimenti (Distretto di Napoli), allontanamento del minore (Distretto
di Venezia). Sono state quindi elaborate le griglie, sono stati esaminati più casi (circa venti per distretto) sulla base della traccia costituita
dalla griglia e, schematizzati e riassunti i dati finali, ogni gruppo ne ha
operato una elaborazione. Il lavoro è stato infine discusso in un seminario finale cui hanno partecipato tutti i componenti dei gruppi ed al
centro del quale sono state poste le criticità emerse in modo trasversale nel lavoro distrettuale.
L’attività svolta e i suoi risultati sono stati profusi in un’ampia relazione (pubblicata in Quaderni del C.S.M., 2001), che così conclude: “Il
laboratorio ha rappresentato un esperimento formativo di grande valore ed è certamente importante continuare questo percorso estendendolo sia ad altri distretti sia ad altre funzioni. In quest’ottica è opportuno
sottolineare alcuni fattori particolarmente importanti che possono essere facilmente migliorati e elementi di criticità da superare.
240
DATI IMPORTANTI:
1) La composizione del gruppo distrettuale (ed in genere decentrato) è l’elemento base per garantire la riuscita del laboratorio; allorquando si affrontano temi che incidono su più settori della giurisdizione il gruppo deve rispecchiarli tutti in modo equilibrato sia come
aree professionali sia come dislocazione sul territorio; infatti, l’apporto di magistrati che svolgono funzioni diverse consente che le singole
questioni siano affrontate in modo non settoriale ma sotto i diversi
punti di vista che l’ordinamento offre. Nel caso del nostro laboratorio
è stato possibile discutere, ad esempio, la tematica della violenza psicologica tra giudici ordinari, minorili, pubblici ministeri e componenti privati anche di diversi gradi, rivelando come gli stessi fatti possano
essere oggetto di letture e valutazioni anche fortemente difformi e facendo emergere l’esigenza forte di affrontare in modo più unitario le
diverse problematiche, non solo in sede formativa ma anche operativa
con strumenti istituzionali (quali protocolli, intese, iniziative e direttive del C.S.M.). È emerso in modo netto che ove la composizione dei
GD era maggiormente diversificata, il lavoro si è svolto con maggiore
entusiasmo e più utile approfondimento mentre dove la composizione
era più omogenea si sono presentate difficoltà di comunicazione riconducibili anche alle dinamiche interne dell’ufficio; importante si è,
inoltre, rivelata (dove c’è stata) la diversa provenienza territoriale dei
partecipanti, in quanto il laboratorio ha consentito il confronto tra le
prassi dei diversi uffici ed ha dato luogo alla creazione di una vera e
propria “rete” di rapporti sul territorio, assai proficua nell’operatività
e in prospettiva. Per il futuro, risulta pertanto particolarmente importante che: a) al momento del bando per l’ammissione al corso si prevedano quote tendenzialmente rigide di partecipazione che tengano
conto delle diverse professionalità interessate al tema del laboratorio;
b) che, al fine di incentivare la partecipazione al laboratorio anche di
colleghi provenienti da uffici periferici del distretto, sia previsto quanto meno il rimborso delle spese di viaggio.
2) Il lavoro del laboratorio, rispetto alle attività tradizionali di formazione, è lungo e faticoso; nel caso di specie è durato circa dieci mesi
con cinque seminari residenziali del GM, circa dieci riunioni dei GD
oltre alle sedute di lavoro individuali o per sottogruppi, un seminario
finale in seduta plenaria con esame di un centinaio di procedimenti
(articolati anche in più gradi di giudizio); il lavoro ha sofferto della
pausa estiva, sia per motivi logistici (i tempi diversi delle ferie) sia perché ha creato stanchezza e un abbassamento della motivazione che è
stato faticoso recuperare. Il fattore tempo è pertanto importante e,
241
nell’organizzare nuovi laboratori, si deve prevedere che i lavori inizino nell’autunno e finiscano entro giugno dell’anno successivo.
3) Sotto il profilo metodologico, una risposta alla difficoltà, avvertita da più parti, di comprendere esattamente e fin dall’inizio “dove si
sta andando”, può essere data – qualora si intenda proseguire con continuità in questa esperienza formativa – collegando la fine di un laboratorio con l’inizio di quello successivo; ciò può essere attuato facendo sì che al seminario finale partecipino i referenti del nuovo laboratorio. D’altra parte tuttavia l’esperienza richiede anche una motivazione ad intraprendere qualche cosa che ha dei risultati non del tutto previsti in partenza e che dipendono anche dall’investimento e dalle capacità che si riescono a mobilitare da parte dei gruppi. Implica pertanto affrontare una piccola dose di rischio fidando su se stessi e sui
colleghi, oltre che sulle sperimentazioni già attuate e sulle competenze metodologiche messe a disposizione, per la costruzione di esiti positivi.
4) Particolarmente delicato è il tema del rapporto tra il referente e
il gruppo distrettuale; abbiamo già riferito sopra (cap. II) su ruolo,
compiti, funzione del referente e sui rischi (noti in tutti i settori in cui
si faccia formazione) connessi alle dinamiche relazionali interne al
gruppo. La selezione del referente deve pertanto tenere conto delle sue
capacità didattiche e relazionali, da valutarsi anche in relazione alla
composizione del gruppo. Non va dimenticato che nei diversi gruppi
tendono ad essere portati e riprodotti i rapporti e le interazioni esistenti nel funzionamento abituale degli uffici, con le facilità e difficoltà di comunicazione che lo caratterizzano, in particolare con chi
occupa ruoli di autorità. Non si può pensare che conflitti e chiusure
sedimentate restino al di fuori del gruppo formativo o che il referente
o il metodologo possano risolverli: si tratta piuttosto di trovare di volta
in volta degli aggiustamenti che consentano di realizzare iniziative di
questo genere pur in presenza di blocchi di questo tipo.
5) Importante per la buona riuscita del lavoro è la scelta dei casi
da esaminare; oltre ai criteri fissati nel corso del laboratorio e che si
sono rivelati utili (procedimenti definiti con provvedimento anche
provvisorio; che abbiano coinvolto più autorità giudiziarie; relativi ad
un’ipotesi di maltrattamento; che abbiano interessato minori di diverse età; mediamente rappresentativi del lavoro degli uffici.), è opportuno selezionare fattispecie che, pur inquadrandosi nel grande tema prescelto, presentino diversità di oggetto e di gravità, anche per verificare
l’eventuale mutamento di strategie. Per il buon funzionamento del lavoro è opportuno che il C.S.M., al momento dell’inizio del laboratorio,
242
dia indicazioni agli uffici per la messa a disposizione dei fascicoli (in
originale o in copia) di cui il Referente faccia richiesta
Proprio per l’intensità e la durata del lavoro che viene svolto mediante il laboratorio, oltre al risultato direttamente perseguito, si consegue un effetto ulteriore e cioè l’acquisizione di una competenza formativa sia nel referente che nei partecipanti; il primo, infatti, apprende una tecnica di conduzione del lavoro di gruppo e tutti, comunque,
si interrogano sul percorso da seguire più utile per raggiungere l’obbiettivo formativo esaminando e selezionando le diverse opzioni. Si
tratta di una professionalità che non deve essere dispersa ma anzi valorizzata e arricchita. Già ora, alcuni sono intervenuti come relatori o
conduttori di gruppi in corsi di formazione iniziale e permanente …
riversando anche i risultati del laboratorio (trattando dei temi dell’ascolto, l’esecuzione dei provvedimenti, i protocolli tra uffici giudiziari,
la consulenza …) e la metodologia è autonomamente utilizzata in
esperienze distrettuali di studio su specifici argomenti”.
3.E.3. Il corso sperimentale di “autoformazione” professionale per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali.
Il corso per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti
alle funzioni penali ha costituito la seconda esperienza di laboratorio
di autoformazione, collocandosi nel solco sperimentale del primo laboratorio inaugurato nel 1999 per i giudici e i pubblici ministeri della
area della famiglia e dei minori, mutuandone, con i necessari adattamenti, l’impostazione metodologica e formativa e, similmente alla genesi del primo, è il frutto di una elaborazione “endogena”, scaturendo
dall’indicazione di un documento della Commissione Mista del C.S.M.
per i problemi della Magistratura di Sorveglianza del 7 Giugno 1999
contenente analisi e proposte in tema di formazione professionale.
Il corso, annunziato nelle sue linee essenziali nel programma generale dei corsi del 2000, si è rivolto prevalentemente ai magistrati di
sorveglianza, quale offerta formativa specializzata, e, tuttavia, ha visto
la presenza significativa, seppure in quota ridotta, di pubblici ministeri, giudici di cognizione e magistrati minorili, nonché la partecipazione di un certo numero di giudici onorari esperti dei tribunali di sorveglianza, realizzando una proficua circolazione di idee, culture ed
esperienze giudiziarie diverse in un ottica interfunzionale e multidisciplinare Il laboratorio ha avuto una fase d’avvio in cui insieme al metodologo si è costituito il gruppo dei referenti individuati nei magi-
243
strati di sorveglianza componenti della Commissione mista del C.S.M.
e attraverso una serie di incontri preparatori si è predisposto il setting
di lavoro, ossia lo strumento di progettazione generale del percorso
formativo. In tale documento si è affrontato il problema cruciale di
come tenere uniti in un faticoso cammino sperimentale magistrati diversi per funzione e provenienza territoriale, orientandoli verso obiettivi comuni .
A tal fine si è focalizzata una cornice di senso in cui l’immagine reciproca dei magistrati di sorveglianza e degli altri magistrati addetti
alle funzioni penali potesse costituire lo stimolo per una loro diversa
rappresentazione e per la realizzazione di migliori livelli di integrazione tra le diverse figure professionali e tra i diversi momenti processuali.
Si sono in tal senso prefigurati i risultati attesi del percorso formativo, individuandoli nella promozione e nel sostegno di una cultura cooperativa tra i magistrati e di un sentimento più forte dell’unità
della giurisdizione, nella fortificazione delle identità e dei ruoli professionali, acquisendo maggiore consapevolezza dei principi e dei valori costituzionali nell’uso della discrezionalità, nelle funzioni e finalità della pena, nel fenomeno sanzionatorio visto nella sua unità e processualità e conseguendo miglioramenti nell’adeguatezza, tempestività, effettività ed efficacia delle sanzioni penali.
Si sono, altresì, prospettate le metodologie dell’autoformazione,
intesa come costruzione dialogica, valorizzazione dell’esperienza, atteggiamento di ricerca, sviluppo della curiosità per l’agire ed il pensare degli altri, individuazione di problemi sufficientemente condivisi,
evidenziazione e valorizzazione dei diversi punti di vista e delle diverse ragioni e rappresentazioni, individuazione delle criticità, nonché
costruzione e sperimentazione di ipotesi di miglioramento.
In tale ottica si è individuato un quadro metodologico e grafico
entro cui collocare e analizzare i vari problemi generali e particolari,
costituito da due assi: un asse verticale rappresentativo della dimensione normativa e istituzionale dell’attività giudiziaria ed un asse orizzontale significativo delle condizioni concrete e operative in cui tale
attività si svolge e dei fenomeni reali con cui essa è chiamata a misurarsi.
Si sono altresì prospettati gli strumenti metodologici del lavoro
formativo individuandoli principalmente nelle griglie intese come
mezzi per organizzare la lettura dei casi e l’analisi dei problemi e nella
verbalizzazione della discussione di gruppo.
Si sono poi definiti il ruolo e i compiti dei referenti sia nel gruppo
244
centrale di monitoraggio sia nella conduzione del lavoro dei gruppi in
sede decentrata
Il laboratorio ha avuto il suo varo ufficiale nel maggio del 2000
con un seminario centrale cui hanno partecipato un centinaio tra magistrati togati e onorari selezionati e ammessi in base ad apposito interpello, nonché una serie di esperti invitati a collaborare alla realizzazione del progetto.
In tale seminario si è dedicato ampio spazio all’illustrazione dello
spirito e del significato culturale dell’autoformazione ed alla presentazione del progetto del laboratorio nelle sue finalità essenziali.
Si è poi proceduto alla scelta dei temi, alla formazione dei gruppi
di lavoro di circa venticinque partecipanti in quattro aree interdistrettuali, alla programmazione degli incontri decentrati ed alla loro articolazione per fasi metodologicamente orientate.
Su proposta del gruppo dei referenti, alla luce delle specificità
giudiziarie e territoriali di ciascuna area, il gruppo interdistrettuale
del Nord (Corti d’appello di Torino, Milano, Brescia, Trento, Trieste,
Venezia e Genova) ha scelto il tema del trattamento sanzionatorio e
penitenziario degli stranieri e dei cd. colletti bianchi, il gruppo del
Centro (Corti d’appello di Bologna, Firenze, Perugia, Ancona, L’Aquila e Roma cui si sono aggregate per ragioni logistiche le Corti di Cagliari e Sassari) quello relativo agli stranieri, il gruppo del Sud (Corti
d’appello di Campobasso, Napoli, Salerno, Bari e Lecce) ha scelto il
trattamento sanzionatorio e penitenziario dei tossicodipendenti, il
gruppo delle Isole (Corte d’appello di Palermo, Catania, Caltanissetta,
Messina, cui si sono aggregate le Corti di Potenza, Catanzaro e Reggio Calabria) quello relativo ai soggetti appartenenti alla criminalità
organizzata.
Si sono poi programmati gli incontri decentrati in numero di
quattro per ciascuna area,secondo una scansione metodologica “per
fasi” che rispecchia alcuni momenti fondamentali del concreto processo lavorativo: 1) la rappresentazione dei problemi, 2) l’acquisizione
e l’elaborazione dei dati e delle informazioni, 3) la presa delle decisioni, 4) la valutazione dei risultati.
Parallelamente e progressivamente nelle quattro aree si è così dedicato un incontro a ciascuna fase.
Nonostante le difficoltà iniziali dovute alla “novità” del metodo, ai
tempi della sua assimilazione ed al necessario collaudo degli aspetti
logistici e operativi e nonostante gli inevitabili problemi in corso d’opera dovuti sia ai contestuali impegni professionali dei partecipanti,
sia alla difficoltà di tenere alto il livello di tensione, impegno e coin-
245
volgimento di tutti, cionondimeno può affermarsi che il lavoro in seno
ai gruppi interdistrettuali, guidati dai referenti e con la presenza saltuaria del metodologo, si è sviluppato progressivamente, migliorando
il livello di empatia, circolarità ed osmosi tra i vari soggetti, individuando una serie di nodi critici dell’attività giudiziaria nelle varie fasi
processuali, analizzando a livelli più profondi le ragioni di taluni atteggiamenti e di talune scelte, ricercando nuove soluzioni in termini di
cooperazione sinergica tra le diverse figure professionali. Tra una
tappa e l’altra degli incontri decentrati, il gruppo dei referenti si è riunito per verificare e discutere impressioni, problemi e risultati dell’incontro precedente e per progettare l’incontro successivo attraverso la
predisposizione di griglie e di altri sussidi metodologici.
Al momento della redazione della presente relazione si è conclusa
la fase decentrata del laboratorio ed è in preparazione la fase finale
che culminerà con un seminario centrale nel mese di maggio del 2001
e con la pubblicazione di un apposito Quaderno del C.S.M.
Nonostante il suo carattere provvisorio e parziale, il bilancio del
laboratorio è sicuramente di segno positivo. In particolare meritano di
essere sottolineati i seguenti aspetti:
- la “tenuta” dei partecipanti, la maggior parte dei quali ha condotto fino in fondo un percorso formativo lungo e faticoso e, tuttavia,
ricco di esperienze e risultati positivi;
- il carattere interfunzionale e multidisplinare del laboratorio, che ha
raggiunto i suoi risultati migliori laddove si è riusciti ad accentuare e
valorizzare tale carattere attraverso scambi osmotici di esperienze, visioni poliprospettiche e integrate dei problemi, soluzioni interattive e
sinergiche;
- le positive forme di collaborazione realizzate, sia in fase centrale,
sia in fase decentrata, con il Ministero della Giustizia,in particolare con
l’Ufficio del Casellario Giudiziale e con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria;
- la dimensione nazionale e interdistrettuale del corso, in linea con
la tendenza verso un modello di formazione integrata che coniughi
momenti formativi decentrati in ambiti territoriali omogenei con momenti di confronto e di scambio in sede centrale.
Alla luce di tali aspetti, con la consapevolezza degli errori e dei limiti derivanti dal carattere “sperimentale” del percorso compiuto e
con la convinzione degli ampi margini di miglioramento, traendo insegnamento dall’esperienza fatta per correggere se necessario il tiro ed
in futuro meglio orientare la rotta, può affermarsi che la strada dei “laboratori di autoformazione” merita di essere sempre più intensamen-
246
te e consapevolmente percorsa,anche in settori diversi da quelli che ne
hanno visto la prima sperimentazione.
3.F. La formazione dei dirigenti.
Non da oggi, ma certamente oggi - dopo il formale inserimento
nella Costituzione della garanzia del processo giusto e di durata ragionevole - più che in precedenza, si pone con urgenza all’attenzione
di tutti gli operatori del diritto la necessità di pensare la giurisdizione
non solo e non tanto come esercizio di un potere statuale sovrano, ma
anche e soprattutto come servizio per i cittadini. L’arricchimento di
prospettiva pone in luce problemi e aspetti a lungo tenuti in secondo
piano: i temi cioè dell’equilibrio tra garanzie ed efficienza del servizio,
in primo luogo della durata del processo, e quindi, inevitabilmente,
quello dell’organizzazione degli uffici.
Anzi, una diretta conseguenza dell’approvazione dell’art. 111 Cost.
dovrebbe essere costituito dal superamento di una visione meramente
tecnica o tecnologica dell ‘organizzazione e dalla costruzione, piuttosto, di una vera e propria “cultura dell’organizzazione”, che, in quanto tale, non può essere solo come un aspetto della specifica professionalità del dirigente, ma deve diffondersi tra tutti i magistrati. Potrebbe persino dirsi che la specifica professionalità del magistrato si può
misurare proprio nella sua capacità di diffondere tra tutti i magistrati
dell’ufficio questa cultura suscitandone la partecipazione e il coinvolgimento nelle scelte, nella consapevolezza che gli obbiettivi e le scelte
condivise hanno certamente la maggiore probabilità di essere tradotte in realtà operative.
Tra l’altro, l’attuale momento vede, accanto al sorgere e al diffondersi di questi mutamenti di cultura istituzionale, anche l’avvio di importanti processi di rinnovamento delle strutture della giurisdizione
(basti pensare al giudice unico e al diffondersi del modello della giurisdizione onoraria), che seguono una stagione di rilevanti riforme della
disciplina processuale civile e penale, caratterizzata sì da innovazioni
ma anche, soprattutto (ma non solo: si pensi al fatto che la novella e le
leggi successive non ha toccato, se non marginalmente, il sistema dei
mezzi d’impugnazione e il processo esecutivo) in penale, dalla forte diminuzione, se non proprio dalla perdita, dei caratteri della sistematicità.
Ora, come è noto, l’innovazione pone immediatamente e con urgenza il problema della formazione dei soggetti chiamati ad attuare i
nuovi modelli, ad applicare i nuovi strumenti e le nuove regole. L’im-
247
pegno di analisi e di proposta di soluzione riguarda tutto l’universo
degli operatori del diritto (dai magistrati, al personale amministrativo,
agli avvocati) e ancor prima le istituzioni interessate (Csm, Ministero,
Ordini professionali), che debbono predisporre le condizioni strutturali e organizzative che consentano l’avvio di processi di formazione
adeguati. A tal fine le istituzioni hanno già iniziato a porsi il problema
di dotarsi di strumenti culturali e di professionalità nuove (si pensi
alla presenza di statistici e analisti di organizzazione nello staff del Ministero) che consentano di cogliere quei profili della giurisdizioni se
non assolutamente nuovi, certamente poco studiati.
E’ perfino banale rilevare che nell’ambito del processo di innovazione che molto schematicamente si è delineato un ruolo fondamentale sono chiamati a svolgere i dirigenti degli uffici giudiziari.
Peraltro la riflessione sul ruolo dei dirigenti ha avuto inizio solo in
un periodo relativamente recente della nostra storia culturale (sostanzialmente dall’inizio degli anni settanta) e non può certo dirsi che sia
avviata a conclusione, anche se alcuni risultati largamente accettati
sono stati raggiunti.
Può ritenersi acquisito, innanzi tutto, il carattere per così dire polimorfo della funzione del dirigente. Accanto a funzioni di natura
schiettamente giurisdizionali, sono state individuate una funzione di
amministrazione della giurisdizione e una funzione di gestione dei
servizi. Come è noto, l’una, che vede il suo nucleo centrale nel sistema
tabellare, fa capo al Csm e si inserisce nel circuito dell’autogoverno,
l’altra, caratterizzata più specificamente (ma non esclusivamente, se è
vero che la “tabella” è il progetto organizzativo dell’ufficio) dalle competenze organizzative, ha come punto di riferimento di vertice il Ministro e fa parte della rete dell’amministrazione della giustizia.
Già questo polimorfismo della funzione dirigenziale pone un
primo problema riguardo alla formazione del dirigente, problema che
è stato trattato, nei suoi aspetti generali, nel paragrafo relativo ai rapporti di leale collaborazione tra poteri statuali. La necessità di coordinare gli interventi oltre all’esigenza di realizzare anche momenti di recupero delle risorse finanziarie e umane, dovrebbero spingere a una
sinergia delle attività formative erogate da Ministro e Csm, che, senza
sacrificare gli aspetti specifici delle competenze di ciascuna delle istituzioni, eviti duplicazioni o anche contrasti e contraddizioni.
Un secondo profilo sul quale dovrebbe esserci una larga convergenza di vedute è quello che attiene alla collocazione istituzionale del dirigente. Come è reso evidente dalle stesse modificazioni
del linguaggio (il termine “dirigente” va prendendo sempre più il
248
posto della vecchia denominazione “capo dell’ufficio”) il dirigente
sempre meno si percepisce ed è percepito come chi, giunto al vertice del cursus honorum, è posto a capo di una struttura burocratica di tipo gerarchico, nella quale esercita poteri senza responsabilità. Sempre più il magistrato dirigente si percepisce e viene percepito come titolare di funzioni specifiche (di amministrazione
della giurisdizione e organizzative), inserito in un sistema (circuito o rete che dir si voglia) nel quale tali funzioni sono (e, comunque, dovrebbero), essere svolte, con competenze e responsabilità
diverse, da altri soggetti (presidenti di sezione, magistrati, funzionari amministrativi). Alla struttura gerarchica dell’ufficio giudiziario, rispondente a modelli organizzativi ormai anacronistici e,
comunque, disfunzionali secondo le unanimi valutazioni degli
scienziati dell’organizzazione, si dovrebbe sostituire una struttura
articolata in momenti di autonomia funzionale il cui coordinamento costituisce proprio il compito precipuo del dirigente, le cui
qualità sono tanto maggiori quanto più ampio e fruttuoso è il
coinvolgimento di tutti i soggetti dell’ufficio che egli riesce a produrre.
La formazione dei magistrati dirigenti è sempre stata oggetto di
una specifica considerazione52. Dopo una prima fase in cui l’attenzione era rivolta prevalentemente agli aspetti ed ai problemi ordinamentali, è maturato la consapevolezza dell’importanza del momento organizzativo. Infatti, a partire dal 1994, e successivamente
con cadenza annuale, fino al 1999, sono state organizzati incontri di
studio nei quali alcuni grandi temi della scienza dell’organizzazione
sono stati affidati ad esperti della materia. Ne è risultato uno schema degli incontri che, accanto ai tradizionali temi di ordinamento
giudiziario (sistema dell’autogoverno e tabellare; deontologìa) e ad
alcune problematiche legate all’entrata in vigore delle riforme delle
sezioni stralcio e del giudice unico o comunque in precedenza trascurate (contrattazione decentrata, sicurezza sui luoghi di lavoro,
informatizzazíone) si è cercato di richiamare l’attenzione dei dirigenti anche sui problemi più schiettamente legati all’organizzazione generale dell’ufficio. Tuttavia al rinnovamento dei contenuti del-
52
Per restare ai tempi più recenti v. Relazione annuale al Parlamento sullo stato della
giustizia in Italia: ‘L’attuazione della VII disposizione transitoria della Costituzione:orientamenti per la riforma dell’ordinamento giudiziario “, Roma1991, 119; Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 1994, Reclutamento e formazione professionale
dei magistrati, Roma 1994, 86.
249
l’offerta formativa non ha corrisposto né il gradimento dei destinatari né risultati, sia pure in puri termini di formazione, soddisfacenti.
Alla base di quello che, con franchezza, deve essere considerato un
vero e proprio insuccesso della formazione certamente ci sono molte
cause. Alcune, probabilmente, di natura culturale, altre legate al mancato rinnovamento della disciplina ordinamentale relativa alla selezione e allo status dei dirigenti e alle verifiche dell’attività dirigenziale. L’importante sembra che sia prendere innanzi tutto atto della realtà
e individuare le possibili strade per il superamento dell’attuale situazione di difficoltà.
A questo fine, sulla base di un primo documento elaborato dal
comitato scientifico nel gennaio 2000, che, nella sostanza proponeva, almeno in via sperimentale, di adottare la metodologia formativa del “laboratorio”, che aveva cominciato a dare buoni risultati
nella formazione dei giudici dei minori e della famiglia, è iniziata,
su incarico della nona commissione, un’attività del comitato avente
ad oggetto lo studio preliminare della problematica insieme ad
esperti di scienza dell’organizzazione e di formazione manageriale.
Nel frattempo è stata sospesa l’attuazione del tradizionale incontro
di studio annuale
Nel corso di tali studi preliminari si è constatato che il problema
fondamentale della formazione dei dirigenti sta in ciò che le tradizionali offerte formative, per la metodologia formativa prescelta, e quindi indipendentemente dai contenuti, sono risultate inidonee a suscitare reali motivazioni per un effettivo impegno attivo dei destinatari di
tali offerte.
Nel maggio del 2000 è stato quindi messo a punto un progetto di
massima di “laboratorio”, che dovrà essere esaminato dalla nona commissione e dal Consiglio.
Tale progetto prende le mosse dal rilievo che chi lavora all’interno
di un’organizzazione rispetto alle disfunzioni, alle incongruenze, alle
carenze, ai conflitti che punteggiano la realtà quotidiana tende a fare
ricorso a spiegazioni derivanti da rappresentazioni cristallizzate, da
schemi cognitivi che per lo più implicitamente si costruiscono e si sedimentano nel tempo, a partire dalla preparazione professionale, dalle
collocazioni istituzionali, da orientamenti culturali e inclinazioni soggettive. Perseguire degli obiettivi di miglioramento dell’organizzazione degli uffici giudiziari richiede invece ai dirigenti di riconoscere in
modo articolato i problemi, ovvero di vederli, rilevarli, identificarli, affrontarli con rappresentazioni diverse rispetto a quelle collaudate ma
250
anche statiche e inefficaci. Tali nuove rappresentazioni possono emergere solo discostandosi dai tracciati abituali, considerando ciò che
normalmente viene tralasciato come irrilevante, cogliendo connessioni che non si supponevano, ripensando all’influenza di alcuni fattori,
rileggendo i comportamenti organizzativi e attribuendo loro nuovi significati. Dall’approccio a nuovi modi di conoscere e riconoscere il
funzionamento organizzativo degli uffici si possono sviluppare proposte e interventi di miglioramento che affrontino realisticamente disfunzioni e difficoltà.
Si è dunque ipotizzato un percorso di ricerca articolato in tre
fasi (“ricognizione dell’esistente”, “individuazione di criticità”, “costruzione di ipotesi migliorative “) agganciato ad alcune aree problematiche ritenute rilevanti53, che si snodano i tre riunioni per ciascuna fase, nell’arco complessivo di sette o otto mesi. Al laboratorio
dovrebbero partecipare non più di quindici persone. Il gruppo, nella
fase sperimentale iniziale, dovrebbe essere composto da magistrati
provenienti da uffici di dimensioni medie della stessa area geografica o di aree contigue ed essere costituito da dirigenti, “semidirigenti” e magistrati che aspirano a svolgere funzioni direttive con adeguata esperienza e permanenza negli uffici di provenienza. Il percorso dovrebbe essere seguito da uno staff composto da un componente del comitato scientifico, da un sociologo dell’organizzazione
e da un metodologo.
Al di là degli aspetti particolari della proposta e quindi della valutazione che il consiglio ne darà è certo che sul tema della formazione
dei dirigenti il Consiglio, in “leale collaborazione” con il Ministero,
dovrà dedicare il massimo impegno nell’analisi dei problemi della formazione dei dirigenti, la cui funzione, come ha ricordato da ultimo
anche il Capo dello Stato nell’intervento al plenum del 5 marzo scorso, opportunamente ripensata e rinnovata, è essenziale per un recupero di efficienza non disgiunto dal corretto e regolare andamento degli
affari giudiziari.
53
Il comitato scientifico ha proposto i seguenti temi: tempi delle indagini e tempi del
processo, assegnazione degli affari e formazione dei ruoli, rapporti con la dirigenza amministrativa, rapporti con l’avvocatura, competenze e responsabilità sugli aspetti deontologici,
la gestione del personale, il dirigente come “datore di lavoro”, organizzazione e produttività
dell’ufficio rispetto ai cambiamenti normativi, “prevedibilità” delle decisioni.
E’ naturale che un effetto indiretto della metodologia formativa di cui si parla è anche
quello della diffusione delle esperienze organizzative “virtuose”, oltre che l’elaborazione di ipotesi migliorative di quelle meno positive.
251
3.G. La formazione della magistratura onoraria.
E’ ragionevole attendersi che l’effettivo sviluppo delle attività formative pertinenti al tirocinio ed alla valutazione iniziale dei giudici di
pace, già in atto da qualche mese in vista dell’assegnazione di funzioni penali, ed in fase di avvio secondo la nuova disciplina con riguardo ai magistrati onorari di ultima generazione, sortirà anche l’effetto
di sollecitare una migliore e più diffusa attuazione delle iniziative riguardanti i giudici già insediati negli uffici. In verità proprio la legge
istitutiva del giudice di pace (l. 21 novembre 1991 n. 374) si era caratterizzata, per quanto interessa in questa sede, per avere formalizzato disposizioni riguardanti la c.d. formazione permanente degli appartenenti ad un corpo giudiziario, evidentemente dando rilevanza
normativa ad un dibattito che negli stessi anni già si stava sviluppando nell’ambito della magistratura ordinaria. Come si vedrà anche in
seguito, non si tratta del solo caso in cui la disciplina di aspetti ordinamentali della magistratura onoraria ha registrato con tempestività
maggiore che in altri settori le tendenze evolutive del fenomeno della
formazione. Basti pensare fin d’ora come, per quanto ovviamente
suggerita dalla base territoriale del reclutamento e dalla consistenza
quantitativa dei soggetti interessati, la scelta di una responsabilizzazione diretta dei Consigli giudiziari per la formazione permanente dei
giudici di pace avesse di fatto costituito una anticipazione di soluzioni poi reiterate per gli uditori giudiziari (si allude al D.P.R. 17 luglio
1998, più volte citato), e di scelte di politica della formazione maturate, più in generale, nella discussione consiliare (qui si allude naturalmente, e soprattutto, alla risoluzione più volte citata sul decentramento).
L’art. 6 della legge 374/91, nella formulazione originaria, prevedeva che le assemblee distrettuali potessero organizzare corsi di “aggiornamento professionale”, avvalendosi di magistrati e dirigenti di
cancelleria, di avvocati e docenti universitari, e progettando i corsi a
livello circondariale. La norma aveva subito alcune modifiche nel
1994, prevalentemente allo scopo di adeguarne la portata agli interventi urgenti che in quel contesto venivano compiuti per gestire la fase
operativa della riforma (d.l. 7 ottobre 1994 n. 571). Va però subito rilevato come, nonostante gli interventi propulsivi del Consiglio (ad es.
con una risoluzione del 20 luglio 1996), la realizzazione dei corsi fosse
stata discontinua, e soprattutto disomogenea nelle varie porzioni del
territorio nazionale, così concretando un rischio insito in ogni forma
non controllata di decentramento della formazione, e cioè la difforme
252
garanzia di professionalità del giudice per i cittadini che accedono alla
giustizia.
Ad ogni modo, come anticipato, l’impulso di coordinamento e sviluppo che le circolari dell’8^ Commissione consiliare (verificare che
già siano state citate) hanno somministrato ai Consigli giudiziari, che
dovranno comunque gestire la formazione iniziale, non dovrebbe
mancare di efficacia neppure sul terreno che qui interessa. Del resto
l’unico ritocco che la recente riforma ha introdotto quanto all’art. 6
della legge istitutiva, se si esclude un intervento di coordinamento con
il nuovo istituto del tirocinio a monte delle funzioni, riguarda proprio
il carattere obbligatorio del servizio di formazione permanente assegnato ai Consigli giudiziari, ciascuno dei quali ormai non “può organizzare” ma senz’altro “organizza” i corsi di aggiornamento professionale (art. 4 della l. 468/99).
Il complesso delle regole dettate per la realizzazione delle iniziative è rimasto invariato, ma certo assume un senso nuovo alla luce dell’attuazione necessaria delle iniziative stesse. Dal tenore della disposizione si desume che i corsi debbano avere cadenza almeno annuale
(ma ciò non può significare la preclusione di corsi in numero superiore ad uno per anno), ed è prescritto che ciascun corso abbia durata non superiore ai venti giorni, anche non consecutivi. La legge stabilisce, ulteriormente, che i corsi siano tenuti da tre docenti, in linea
di massima prescelti tra persone che prestino servizio e comunque
svolgano l’attività che le qualifica nel circondario del tribunale
(comma 3).
In effetti, al fine evidente di favorire la connotazione pratica ed
una relazione particolarmente intensa tra i contenuti della programmazione e la concreta esperienza giudiziaria dei destinatari della formazione, la legge prescrive che le iniziative siano organizzate su base
circondariale (comma 1).
E’ rimasta invariata, purtroppo, anche la disposizione riguardante il compenso per i docenti dei corsi, fissato in trentamila lire per
giornata, e dunque in termini così lontani da una logica di retribuzione del lavoro intellettuale e materiale richiesto che la formazione dei
giudici di pace può considerarsi sostanzialmente affidata, ancora una
volta, al senso di volontariato dei soggetti interessati. Senza con questo estendere a piani diversi rilievi che pure presentano una qualche
valenza generale, occorre ben dire che l’aspettativa di uno sviluppo del
servizio formativo a costo zero è velleitaria e dunque sostanzialmente
contraddittoria rispetto agli obiettivi fissati dalla legge. Il tirocinio organizzato in vista dell’avvio della giurisdizione penale di pace alla data
253
del 4 aprile 2001 ha registrato fenomeni di grande senso del servizio
da parte dei magistrati e dei docenti di altra provenienza, ma presenta il connotato evidente dello sforzo eccezionale per un evento eccezionale ed irripetibile. Se il lavoro per la formazione può considerarsi
un dovere di ufficio per gli appartenenti all’ordine giudiziario (ma qui
rileva la questione, ben più generale, del suo carattere aggiuntivo rispetto al lavoro giudiziario), altrettanto non può dirsi per gli appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche (prima fra tutte le Università, che secondo il punto 18 del § II della circ. 19-24 luglio 2000 possono essere chiamate dai Consigli giudiziari ad un rapporto di collaborazione), od agli ordini professionali. D’altra parte è proprio la
legge, che qui codifica acquisizioni ormai indiscusse della formazione
giudiziaria come il connotato irrinunciabile del contributo della dottrina giuridica e delle figure professionali non appartenenti all’amministrazione, ad impedire che possano imporsi soluzioni “interne” al
corpo giudiziario per l’effetto di una politica di sviluppo non finanziato. Oltretutto, proprio con specifico riguardo alla magistratura onoraria, la cui disciplina registra ancora una volta la prima rilevazione di
tendenze mature nel sistema ma ancora lontane da una organica sistemazione positiva, il legislatore ha recentemente formalizzato il concetto che la formazione è una investimento funzionale alla crescita
qualitativa e quantitativa del servizio giudiziario, e come tale deve essere finanziato: si allude al disposto del recentissimo art. 24 bis del d.l.
24 novembre 2000 n. 341, come introdotto dalla legge di conversione
(l. 19 gennaio 2001 n. 4), che nel riformare l’intero quadro delle indennità corrisposte ai giudici di pace introduce l’innovazione di una
indennità fissa di cinquecentomila lire mensili, riferendola ai “servizi
generali di istituto” e, assimilandole, alle attività di “formazione” e
“aggiornamento”. A prescindere da rilievi più generali, ed altrove sviluppati, sulla evoluzione evidentemente in atto del concetto di professionalità del giudice, sui contenuti minimi del suo dovere di diligenza,
resta chiara la contraddizione di un sistema disposto a finanziare il
tempo-lavoro dei fruitori della formazione ma non quello degli agenti
della medesima. Dovendo guardare all’immediato, la soluzione del
problema potrebbe essere avviata nel quadro più generale di un parziale trasferimento ai Consigli giudiziari delle risorse che il Consiglio
Superiore destina alla formazione, con la decisione politica di comprendere il servizio destinato ai giudici di pace in servizio tra quelli finanziati nell’ottica del decentramento formativo. Ma resta chiaro,
anche su questo specifico terreno, che i tempi sono ormai maturi per
un superamento della logica che pure, fino ad oggi, ha consentito lo
254
sviluppo della formazione secondo sentieri segnati da generosità ed
entusiasmo, ma non ulteriormente credibili quali percorsi capaci di
realizzare l’evoluzione doverosa del fenomeno.
Dal punto di vista organizzativo, la competenza attribuita ex lege
ai Consigli giudiziari non può certo escludere un ruolo qualificante, e
per molti versi doveroso, del Consiglio Superiore. Secondo una logica
di garanzia dell’eguale ed armonioso sviluppo delle realtà distrettuali,
che segna del resto in generale la risoluzione consiliare sul decentramento, il Consiglio è già intervenuto con due circolari nella fase concitata del tirocinio per la prima assegnazione delle funzioni penali, ed
appare forse fin d’ora opportuna una analoga iniziativa che, giovandosi del resto delle molte soluzioni già individuate per le iniziative di
formazione iniziale, si concentri direttamente sulla formazione permanente. E’ fin troppo ovvio che l’autonomia dei singoli Consigli giudiziari, la loro insostituibile sensibilità alle esigenze ed alle potenzialità territoriali della formazione, rappresentano una risorsa incoercibile per la qualità del servizio. L’intervento consiliare dovrà dunque
conformarsi sulle sue stesse finalità, consentendo anzitutto una funzione di stimolo che assicuri una ragionevole uniformità dell’offerta
sul territorio nazionale (sotto il profilo dei livelli quantitativi e qualitativi minimi, naturalmente, e non certo sotto il profilo di metodi e
contenuti), e dunque garantendo un costante monitoraggio della situazione presso i vari distretti. Una continua circolazione delle informazioni relative – ma è questa una linea di sviluppo più generale – costituirà vero e proprio supporto allo sviluppo delle autonomie, diffondendo idee e prassi virtuose. Dovrà essere assicurata ai Consigli giudiziari anche una sede di confronto e discussione sulle soluzioni dei
problemi che lo sviluppo del fenomeno porterà alla luce, problemi che
spetterà ai Consigli stessi risolvere, attraverso un servizio di coordinamento tra i componenti delegati alla gestione del tema, ed eventualmente mediante l’organizzazione di incontri nazionali organizzati allo
scopo.
3.H. Le prospettive future della formazione.
3.H.1. La formazione permanente. L’apertura alle culture non giuridiche.
Sempre più crescente è l’esigenza che la formazione del giudice
non sia solo formazione su materie giuridiche, ma sia anche conoscenza ed approfondimento di temi extra-giuridici, che interessano e
255
coinvolgono l’attività giurisdizionale, condizionando addirittura le
stesse decisioni (si pensi ad esempio alla contabilità e ai bilanci, alla
tecnica bancaria e commerciale, alla medicina, alla psicologia e psichiatria, alla cinematica stradale, alla balistica, alla topografia ed estimo, alla tossicologia, all’urbanistica). Si é già accennato in precedenza (parr. 2. I. e 3.B.) al fatto che la sede decentrata è il luogo ideale per
quest’attività formativa per così dire “integrativa”, ampliante il bagaglio di conoscenze dei magistrati al di là dei limitati confini del diritto processuale e/o sostanziale, onde fornire agli stessi i necessari strumenti di comprensione di una realtà fattuale sempre più complessa e
difficile, nella quale le valutazioni giuridiche sono sempre più spesso
collegate a valutazioni di ordine economico, sociale, psicologico, etc.
(si pensi ad esempio alla materia minorile e familiare, al campo del diritto bancario, industriale e commerciale, ai problemi della devianza
criminale). Comunque, è in sede centrale che si realizza il massimo livello di “apertura alle culture non giuridiche”, visto che, secondo le
scelte della risoluzione del 26 novembre 1998, ribadite durante il recente seminario “Formazione dei formatori” del dicembre 2000, soltanto a livello centrale, per la delicatezza ed attualità dei temi affrontati, sono ipotizzabili: a) iniziative in materia di “deontologia professionale”, finalizzate ad accrescere sempre più quella coscienza del
“dover essere” che soprattutto al giorno d’oggi deve permeare l’attività
del giudice, in una società così complessa e in un quadro istituzionale contraddistinto dal rischio di un continuo conflitto tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello stato; b) corsi “interdisciplinari” e/o di
“società e questioni contemporanee”, ove si affrontano in un’ottica
unitaria temi particolari, in una prospettiva culturale più ampia, investente profili di ordine sociale-economico, etico e/o anche filosofico (si
pensi ad esempio a corsi come quelli sulla “bioetica”, sul “diritto, processo, tempo”, su “immigrazione e razzismo”, su “libertà della persona e provvedimenti prescrittivi del giudice”); ed è proprio attraverso
tali corsi “interdisciplinari”, per loro natura aperti al contributo di
scienze extra-giuridiche, che si tende a perseguire il fine ultimo dell’attività formativa, non limitata ad una mera opera di aggiornamento
professionale, ma tesa a migliorare in senso più ampio la sensibilità
culturale dei magistrati, al fine di un’elevazione del loro grado di autonomia ed indipendenza e, in definitiva, di un più proficuo svolgimento delle loro funzioni.
Vi sono altri campi non giuridici da esplorare nella prospettiva di
migliorare le qualità e le potenzialità dei magistrati, ad esempio la materia “linguistica”, in particolare le lingue dell’Unione Europea rap-
256
presentate dall’inglese e francesce, nonché le materie dell’“organizzazione del lavoro giudiziario” e dell’“informatica”, intesa quest’ultima
quale strumento per una più facile rapida e gestione del lavoro, chiaramente facilitato dall’uso del computer e dall’accesso alle varie banche-dati presenti in rete e su CD. Ed anche per questi specifici settori
si è già visto che la sede preferenziale è quella della formazione decentrata, ove potranno essere facilmente organizzate iniziative formative su questi aspetti, eventualmente in collaborazione coi referenti
per l’informatica per quanto concerne appunto lo specifico tema dell’informatica giudiziaria (sull’informatica e l’organizzazione del lavoro vedi anche infra).
Per finire, il contributo delle scienze extra-giuridiche alla formazione dei magistrati può essere visto anche su un altro piano, cioè
quello metodologico, nel senso della partecipazione di metodologi,
sociologi, psicologi agli incontri di studi, per meglio organizzare e
coordinare i lavori e, in definitiva, per ottenere risultati più efficaci
sotto il profilo del coinvolgimento dei partecipanti. L’ausilio di detti
professionisti, è evidente, appare quanto mai utile in relazione ad attività formative relative a specifiche funzioni giurisdizionali, che più
delle altre impongono capacità di dialogo e confronto ed implicano
riflessioni di natura psicologica e/o sociologica; ci si riferisce in particolare ai giudici minorili e della famiglia ovvero ai giudici di sorveglianza, categorie per le cui esigenze formative è già stato sperimentato il contributo delle citate figure professionali, in specie in occasione delle significative esperienze dei “laboratori di autoformazione”, esperienze che, per i loro esiti positivi, saranno ripetute in futuro.
Allo stesso tempo, deve essere segnalato il fondamentale ruolo da
attribuire a queste figure professionali in relazione alla c.d. “Formazione dei Formatori”, cioè nel settore destinato alla formazione dei
magistrati interessati all’attività formativa, soggetti che, proprio per
l’incarico che sono chiamati a ricoprire, oltre alle capacità tecnico-giuridiche, devono necessariamente avere attitudini al confronto, all’organizzazione e al contatto coi terzi; ed invero, le esperienze dei pregressi seminari “Formazione dei formatori”, in cui più volte sono intervenuti sociologi, psicologi e metodologi per coordinare gruppi di lavoro, hanno dimostrato in modo chiaro l’importanza del contributo di
detti operatori.
Per finire, anche la formazione in tema di “organizzazione del
lavoro giudiziario” presuppone il coinvolgimento di esperti delle
scienze dell’organizzazione e di sociologi, portatori di conoscenze
257
extra-giuridiche funzionali ad una migliore resa complessiva del
servizio giustizia; ed è auspicabile che nei futuri seminari sulla “formazione dei dirigenti degli uffici”, ovvero nei “laboratori di autoformazione” di detti dirigenti, sia prevista la partecipazione di
questi esperti, in modo che anche lo specifico settore della formazione dei soggetti chiamati a gestire le – più o meno - grandi macchine organizzative degli uffici giudiziari possa utilizzare le migliori professionalità sui temi dell’organizzazione degli uffici e della gestione per personale.
3.H.2. Il confronto con gli altri operatori del processo.
L’“apertura all’esterno” della formazione professionale dei magistrati si realizza anche in un’altra direzione, nel senso di un sempre
più marcato coinvolgimento nell’attività formativa degli altri operatori del processo, e in particolare gli avvocati. Ed infatti, da sempre i
corsi a livello centrale hanno ricevuto il fondamentale contributo
scientifico di professori universitari, notai ed avvocati, chiamati a
svolgere il ruolo di relatori su singoli temi e, quindi, portatori delle
loro conoscenze ed esperienze, nel quadro di un tendenziale raccordo
tra esigenza di ricostruzione dommatico-teorica (in genere effettuata
dai professori) e necessità di analisi pratica delle singole questioni
(questo è il compito di solito affidato agli avvocati relatori). Al contempo, è noto che, da vario tempo, quasi tutti i corsi a livello centrale
prevedono la partecipazione quali discenti di rappresentanti dell’avvocatura, designati dal Consiglio Nazionale Forense, così come alcuni
corsi particolari, riguardanti materie che interessano anche il notariato, sono aperti alla partecipazione di notai, anch’essi designati dall’organo nazionale di categoria (nel 2001 vedi i corsi “I rapporti patrimoniali della famiglia” ed “Interposizione e simulazione nel negozio giuridico”). Analogamente, vi è sempre un maggiore coinvolgimento nelle
iniziative formative, sia quali docenti che quali discenti, di avvocati
dello stato e di magistrati amministrativi, contabili e militari; la presenza degli avvocati dello stato, è chiaro, rientra sempre nell’ottica di
quel continuo contatto e scambio di idee fra operatori del processo,
mentre leggermente diversa è l’esigenza sottesa alla partecipazione dei
componenti delle giurisdizioni speciali, coinvolti in un circolo virtuoso finalizzato al miglioramento complessivo della “cultura della giurisdizione” di tutti i magistrati, in primis di quelli ordinari.
Si noti che, anche per questa seconda forma di “apertura all’ester-
258
no” dell’attività formativa, la sede decentrata costituisce un luogo
ideale, essendo più semplice realizzare a livello periferico un efficace
coinvolgimento dei terzi nella formazione dei magistrati, come insegna la stessa pluriennale esperienza locale degli “Osservatori per la
giustizia” ovvero di strutture associative, composte da magistrati e avvocati, agenti a livello locale; i referenti distrettuali, insomma, avranno maggiore facilità di instaurare contatti col mondo accademico locale nonché con gli organismi forensi e notarili del luogo, ed avranno
la concreta occasione di organizzare in accordo con le istituzioni forensi giornate di studio aperte indifferentemente a magistrati ed avvocati, nell’ottica di quel coordinamento auspicato nella risoluzione del
26 novembre 1998 e in tutti i successivi interventi consiliari, anche con
riguardo alla formazione dei giudici onorari (vedi il par. “3e”); peraltro, uno specifico campo di stretta interelazione tra formazione locale dei magistrati e degli avvocati sarà quello relativo alla formazione
iniziale degli uditori e dei giovani avvocati, nella prospettiva di realizzare una linea di continuità con la formazione di base comune prevista nel futuro per le professioni legali (ci si riferisce alle istituende
scuole di specializzazione post-universitaria).
Oltre agli avvocati, vi sono poi altri “operatori del processo” interessati all’attività formativa del Consiglio. Ci si riferisce ai funzionari di cancelleria, la cui attività, evidentemente, è indispensabile
per la stessa funzionalità del processo e che, quindi, in prospettiva,
dovranno sempre più essere coinvolti in specifiche iniziative formative, centrali e locali, chiaramente anche attraverso la mediazione
delle istituite ed istituende “Scuole di formazione del personale amministrativo giudiziario”, i cui docenti potranno pure essere impiegati quali relatori in corsi organizzati dal Consiglio ovvero dai referenti distrettuali.
In senso lato, altri “operatori del processo” da coinvolgere in attività formative sono gli appartenenti alle forze di Polizia, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza, da invitare quali discenti in specifici incontri di studio, ad esempio in materia di indagini investigative, di
reati tributari o, comunque, di temi di loro interesse (si noti che, per
il 2001, è stata prevista la partecipazione delle forze di Polizia all’incontro su “ Fenomeni migratori, minoranze e razzismo”)
Per finire, non si possono dimenticare gli “ausiliari del giudice”, e
cioè professionisti quali architetti, ingegneri, medici-legali, commercialisti, spesso chiamati ad adiuvare il giudice attraverso perizie e
CTU; al riguardo, in linea con quanto indicato nella risoluzione consiliare del 26 novembre 1998, è auspicabile un concreto coinvolgimento
259
di tali professionisti in iniziative di loro interesse organizzate a livello
locale (per esempio, le modalità di espletamento delle operazioni peritali, le modalità di calcolo dei compensi, la procedura di opposizione alla liquidazione).
3.H.3. Le iniziative con le Autorità indipendenti.
Con le delibere 26.10.2000, 11.4.2001 e 10.5.2001, il Consiglio ha
per la prima volta previsto iniziative formative progettate e gestite in
stretta collaborazione con Autorità amministrative indipendenti quali
la Consob, la Banca d’Italia e l’Agenzia Nazionale per il volo; e per il
futuro sono state già programmate iniziative analoghe con altre enti
dello steso tipo, in particolare con l’ISVAP, l’Autorità Antitrust, l’Autorità per le comunicazioni, l’Autorità garante per la privacy.
Trattasi di una novità nel quadro dell’esperienza formativa del
C.S.M., che non aveva mai organizzato incontri di studio co-gestiti con
simili enti, limitandosi in alcuni casi ad avvalersi di singoli esponenti
di tali organismi quali relatori su specifiche tematiche legate alle attività degli enti di pertinenza (si pensi ad esempio agli incontri di studio sulla “privacy” e sul “Contenzioso con le banche”, ove sono intervenuti come relatori rappresentanti dell’Autorità garante per la privacy e della Banca d’Italia).
L’esigenza di queste iniziative comuni è nata dalla constatazione
della crescente interazione tra l’esercizio dei poteri di spettanza dell’Autorità giudiziaria e quelli delle predette “Authorities”, circostanza
che ha reso di per sé intuitiva la necessità di stabilire, tra i magistrati
e gli esponenti delle “Authorities”, modalità di condivisione degli strumenti di analisi e di intervento su fenomeni spesso connotati da elevato tecnicismo; il modello sinora utilizzato è stato quello di una organizzazione concordata dei seminari, aperti ai magistrati ma sempre
svoltisi presso le “Authorities” e con relatori sempre scelti all’interno
di questi ultimi; in prospettiva futura, appare utile una tendenziale
istituzionalizzazione di questo tipo di collaborazioni, con la precisazione che, rispetto al modello sinora utilizzato, si potranno anche prevedere incontri concordati rientranti nella programmazione ordinaria
del C.S.M. ed aperti contestualmente ai magistrati e ai funzionari di
detti enti (analizzando la programmazione 2002, si potrebbe immaginare la partecipazione di funzionari della Banca d’Italia e della Consob al corso “Il mercato dei valori mobiliari tra regole e controlli, nonché la partecipazione di rappresentanti delle Autorità delle comunica-
260
zioni e della privacy al corso “Libertà di manifestazione del pensiero e
tutela della persona”).
3.H.4. Il supporto alla specializzazione ed alla riconversione.
La tendenza delle società e degli ordinamenti giuridici contemporanei verso forme accentuate di specializzazione si riflette in modo
pressante nel campo delle attività giudiziarie, sia involgendo la questione essenziale del rapporto tra l’unità della giurisdizione e la pluralità delle giurisdizioni nei vari settori specialistici, sia interpellando il
sistema formativo affinché, per un verso, eroghi servizi e fornisca strumenti di supporto ai percorsi professionali specializzati e, per altro
verso, mantenga tali percorsi nell’alveo comune della cultura del diritto, del processo e della giurisdizione.
In tale ottica la formazione si rivela quale elemento fondamentale
di un sistema complesso teso a realizzare il difficile equilibrio tra la
specializzazione del magistrato con l’acquisizione e l’accumulo delle
necessarie competenze specialistiche, la comunicabilità di tali saperi
specialistici attraverso la loro immissione e diffusione nei diversi circuiti formativi, il mantenimento e radicamento dei magistrati specializzati nella cultura comune della giurisdizione e nelle tematiche d’ordine generale, la tendenziale temporaneità delle funzioni giudiziarie
con particolare riguardo a quelle specialistiche ed i percorsi formativi
di riconversione nei confronti dei magistrati che vogliono o debbono
mutare funzione. Il supporto formativo ai percorsi professionali specializzati (si pensi ai magistrati minorili, ai magistrati di sorveglianza,
ai giudici della famiglia, ai giudici del lavoro, ai giudici fallimentari) si
potrà svolgere attraverso una rete articolata che preveda sia periodici
incontri distrettuali e interdistrettuali tra nuclei di magistrati addetti
alle medesime funzioni, sia seminari centrali di alta specializzazione,
aperti anche a quelle figure professionali esterne che quotidianamente interagiscono e collaborano con la magistratura (si pensi,agli assistenti sociali minorili, agli educatori e assistenti sociali penitenziari, ai
consulenti psicologi, ai periti medici, ai curatori fallimentari), la cui
presenza corrobora la formazione specializzata e la collega ai reali
contesti lavorativi e ambientali.
Tali circuiti formativi devono garantire lo sviluppo progressivo
di un patrimonio di esperienze e conoscenze specialistiche da condividere e far circolare attraverso canali comunicativi stabili, avvalendosi anche delle moderne tecnologie informatiche e telematiche.
261
Tale patrimonio deve circolare e diffondersi non solo all’interno
degli ambiti formativi specializzati ma anche nel circuito formativo
generale, inserendo le tematiche specialistiche ed i risultati delle ricerche settoriali in contesti tematici e formativi più ampi, al fine di cogliere meglio i nessi fra le varie parti dell’ordinamento e favorire così
le ricostruzioni sistematiche, arricchendone i quadri d’insieme.
Nel contempo, al fine di prevenire i rischi della fossilizzazione e
dell’autoreferenzialità, ai magistrati che esercitano funzioni specialistiche devono rivolgersi offerte formative sui temi generali del diritto e del processo e si devono favorire gli incontri interfunzionali e
multidisciplinari in cui esaltare il volto comune della giurisdizione,
evidenziandone sia i profili unitari, sia i tratti differenziali. Tali antidoti formativi si collocano in un contesto ordinamentale in cui va affermandosi il principio della tendenziale temporaneità delle funzioni giudiziarie con particolare riguardo a quelle specialistiche, sia attraverso la regolamentazione para-normativa di fonte consiliare, sia
mediante disposizioni legislative che prevedono con riferimento a talune funzioni (si pensi ai giudici per le indagini preliminari) speciali limiti temporali.
La mobilità “imposta” conseguente alla temporaneità della funzione, unitamente alla mobilità “volontaria” dei trasferimenti a richiesta, pone il problema cruciale dei meccanismi formativi di riconversione nel passaggio tra le varie funzioni. La “riconversione”,
specie se avviene tra funzioni molto distanti tra loro e nei confronti
di un magistrato che non ha mai svolto (ovvero ha svolto in tempi
lontani) le funzioni di nuova destinazione, è un momento assai delicato che esige particolare attenzione e speciali supporti dal sistema
formativo.
Il rischio che il costo della riqualificazione professionale del magistrato si trasferisca sull’utente della giustizia può e deve essere prevenuto attraverso la tempestività dell’intervento formativo e la scelta
di modalità appropriate che lo innervino nei momenti cruciali del
mutamento di funzioni. Occorre che la riconversione sia e diventi
uno degli assi portanti del sistema formativo una sorta di crocevia e
di valvola pluridirezionale attraverso cui passano e si incrociano le
strade che conducono alle diverse funzioni (dal settore civile al settore penale o viceversa, dalle funzioni generaliste alle funzioni specializzate o viceversa, dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti o viceversa). Occorre che nella riconversione siano impiegate le
migliori e più appropriate competenze formative, utilizzando ad
esempio i magistrati specializzati, quelli che da poco tempo hanno
262
lasciato le funzioni specializzate ovvero che le coltivano per consuetudine di studi. In tale ottica la formazione di riconversione è chiamata ad essere uno strumento fondamentale di circolazione e condivisione dei diversi saperi e delle diverse esperienze giudiziarie, di garanzia dell’unità e pluralità della giurisdizione, di tutela e promozione della professionalità del magistrato a servizio del cittadino, attraverso un’attività di informazione e di assistenza che consenta ai magistrati interessati di acquisire o riacquisire le necessarie competenze per lo svolgimento della nuova funzione loro assegnata; e tale attività, da svolgersi in via pressochè esclusiva a livello locale (vedi in
particolare il par. “3.B.4”), richiederà l’impiego delle migliori e più
appropriate competenze formative, utilizzando ad esempio i magistrati specializzati o quelli che coltivano le specifiche materie per
consuetudine di studi.
3.H.5. Il supporto alla corretta fruizione degli strumenti informatici.
Sembra perfino superfluo soffermarsi sulle ragioni che impongono specifiche attività di formazione in materia informatica (se ne è
già parlato, tra l’altro, al punto del presente par.). I crescenti investimenti profusi nel dotare il sistema nel suo complesso di strumenti
informatici adeguati, hanno rapidamente mutato –e continuano a
mutare- in maniera irreversibile le stesse abitudini lavorative dei magistrati ed è quindi scontato che la loro formazione debba essere calibrata anche con riguardo a questo aspetto della loro professione.
Non può peraltro negarsi che la rapidità di questi mutamenti ha colto
impreparata la comunità giudiziaria, non solo –o non tanto- sotto il
profilo dell’acquisizione delle conoscenze necessarie a fruire dei
mezzi informatici, ma, soprattutto, sotto quello della gestione complessiva dell’impatto dell’accelerazione del progresso tecnologico
sulla macchina giudiziaria. Una corretta e fruttuosa assimilazione
della “rivoluzione” informatica, infatti, non implica semplicemente
“l’addestramento passivo” dei magistrati all’uso di macchine e sistemi, ma altresì una approfondita analisi delle ricadute anche culturali sull’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Ciò premesso va rilevato che l’attuale impegno formativo in materia informatica deve essere ripensato. Se si fa eccezione per i corsi dedicati alla conoscenza delle banche dati gestite dal CED della Cassazione (corsi frequentati oramai pressoché esclusivamente dagli uditori in tirocinio) e per alcune iniziative di alfabetizzazione elettronica
263
organizzate dal Ministero di Giustizia nelle varie sedi in occasione
della fornitura di macchinari, la formazione informatica del magistrato è sostanzialmente stata sinora rimessa all’iniziativa individuale. Ciò
ovviamente ha comportato e comporta inevitabili disomogeneità nelle
conoscenze e discontinuità nell’aggiornamento, ma quel che più importa, crea le condizioni perché gli strumenti messi a disposizione
vengano sottoutilizzati. In proposito va evidenziato che i più recenti
progetti di informatizzazione degli uffici giudiziari comportano un
utilizzo sempre più avanzato dei macchinari e dei sistemi in dotazione: infatti, da una iniziale fase in cui ci si è limitati alla fornitura di
personal computer destinati prevalentemente all’utilizzo di programmi di videoscrittura (supporti essenzialmente funzionali alla redazione dei provvedimenti giudiziari), si è oramai transitati ad una fase successiva, in cui attraverso lo strumento informatico il magistrato è
messo nelle condizioni di accedere ad un numero crescente di banche
dati (di vario contenuto: raccolte di giurisprudenza, registri e archivi
di pubbliche amministrazioni, ecc.), mentre diversi uffici (con particolare riguardo a quelli di Procura) sono stati organizzati sulla base di
reti informatiche e nell’immediato futuro si prospetta la diffusione di
programmi informatici (già sperimentati con successo da singoli uffici, che li hanno acquisiti attraverso l’impegno delle proprie e autonome risorse finanziarie) finalizzati all’archiviazione e alla gestione del
materiale processuale (a tutto ciò devono poi aggiungersi i progetti di
completa informatizzazione dei procedimenti giudiziari - già in fase di
concreta sperimentazione con riguardo al settore civile -, l’oramai
avanzata informatizzazione dei registri giudiziari e la diffusione dell’accesso a reti informatiche dedicate o ad Internet, diffusione che a
sua volta moltiplica le possibilità di interazione tra il magistrato e il
computer).
Appare dunque necessario, innanzi tutto, incrementare l’apprendimento di conoscenze in materia informatica, idonee a consentire lo
sfruttamento adeguato degli strumenti via via messi a disposizione. E’
poi evidente come bisognerà garantire che ciò avvenga in modo omogeneo e diffuso tra tutti i magistrati (non solo per arginare il rischio
che si creino elites culturali legate al possesso in via esclusiva di professionalità sofisticate in materia informatica, bensì anche per rendere più agile e meno onerosa la formazione dei magistrati che mutano
funzioni, accedendo a quelle che strutturalmente comportano un
maggior impiego di mezzi informatici rispetto ad altre). Ma non meno
importante è assicurare il costante aggiornamento delle conoscenze,
stante la rapidità dell’evoluzione tecnologica nel settore informatico.
264
Questa attività di “divulgazione” dell’informatica deve necessariamente coinvolgere la struttura di formazione a tutti i livelli, pur apparendo preferibile attribuire alla rete locale in collaborazione con i referenti informatici il ruolo principale (vedi i parr. “2.i” e “3.b”). Non di
meno è di tutta evidenza che sia necessario istituzionalizzare un coordinamento tra le iniziative consiliari e quelle eventualmente promosse dal Ministero di Giustizia, preposto alla fornitura delle attrezzature
e all’adozione dei sistemi e dei programmi informatici. In prospettiva
l’obiettivo deve anzi ritenersi quello di creare un collegamento organico e stabile in materia, affinché sempre più il Ministero possa orientare i propri investimenti dopo aver concretamente sondato le esigenze dell’utenza in tutte le sue articolazioni.
Come accennato in precedenza, il problema dell’addestramento
“tecnico” dei magistrati ad una corretta e completa fruizione degli
strumenti informatici è solo uno degli aspetti che interessano la formazione in questo campo. Infatti, la tendenza ad incrementare l’automazione dell’attività giudiziaria, se per un verso ne aumenta celerità
ed efficienza, dall’altro impone una riflessione approfondita sulle ripercussioni che ciò comporta sulla concreta amministrazione della
giustizia e, più in particolare, sugli eventuali rischi per la natura stessa delle funzioni del magistrato. Infatti una adesione incondizionata
alle opportunità che l’informatica indubbiamente offre può nascondere non poche insidie. Si pensi, ad esempio, alla pericolosa tendenza all’eccessiva uniformazione delle motivazioni dei provvedimenti giudiziari, conseguenza della possibilità di innestare facilmente motivazioni precostituite e standardizzate in una serie indefinita di atti consimili. O ancora al rischio di inibire la capacità evolutiva della giurisprudenza nel suo complesso, che l’accesso sistematico agli oramai innumerevoli archivi di decisioni giudiziarie renderebbe assai concreto,
qualora la facilità di consultazione di tali archivi finisse per deprimere lo stimolo a sviluppare continuamente la ricerca. E non va qui dimenticata la sempre più diffusa abitudine di informatizzare gli atti
processuali, per trasfonderne il contenuto nei provvedimenti giudiziari, che divengono dunque sempre più voluminosi, ma che rischiano di
risultare carenti sotto il profilo dell’analisi critica del materiale probatorio posto alla base della decisione. Deve dunque garantirsi una adeguata formazione al magistrato, nel corso dell’intero arco della sua
carriera, perché egli possa utilizzare in modo consapevole le potenzialità dell’informatica, evitando cioè che gli strumenti messigli a disposizione finiscano per svilire i contenuti della sua alta funzione, trasformandola in un tralaticio assemblamento di formule preconfezio-
265
nate. Ma soprattutto egli deve essere periodicamente sollecitato ad interrogarsi sull’effettiva capacità di “dominare” i mezzi elettronici e
non di “delegare” a questi ultimi il proprio compito intellettuale.
3.H.6. Le sinergie tra i percorsi collettivi ed individuali di formazione e
l’organizzazione del lavoro.
E’ di immediata evidenza (ed è stato sottolineato più volte nel
corso della presente relazione) come l’attività di formazione influisca
sulla crescita professionale del magistrato e, in ultima analisi, ne garantisca l’indipendenza e l’autonomia. Ed è indubbio che per il passato ciò ha rappresentato, ad un tempo, motore e obiettivo della formazione, orientata prevalentemente verso un incremento diffuso delle
professionalità individuali. Deve invece ancora maturare una adeguata consapevolezza dell’interazione tra formazione ed organizzazione
del lavoro: della possibilità cioè di accrescere l’efficienza del lavoro individuale e dei singoli uffici attraverso adeguati interventi formativi.
Infatti, se indubbiamente il supporto di aggiornamento e accrescimento professionale realizzato con riguardo al “sapere giuridico” del
magistrato ha inevitabilmente avuto una ricaduta in termini di efficienza del servizio che questi rende, non può negarsi che ancora oggi
non gli è garantito analogo e specifico sostegno in materia di organizzazione del lavoro e ottimizzazione delle risorse. E’ perfino superfluo
sottolineare come la crescente complessità e onerosità dell’attività giudiziaria richieda di aumentare l’attenzione verso i temi dell’organizzazione del lavoro e certamente un intervento proficuo in materia è possibile realizzarlo attraverso lo strumento della formazione, anche perché la crescente domanda di una maggior efficienza del sistema giudiziario venga soddisfatta in maniera equilibrata, con il coinvolgimento diretto e consapevole dei magistrati e non a scapito della loro
autonomia e indipendenza, ma anzi costituendo i presupposti per la
loro completa realizzazione.
E’ chiaro che l’intervento formativo in questo campo non può che
essere articolato e diversificato, uscendo dagli schemi tradizionali (soprattutto sotto il profilo metodologico). Pertanto si prospetta l’esigenza di una forte compenetrazione tra iniziative adottate in sede centrale e in sede decentrata. Ma ancor di più si manifesta la necessità di
promuovere (istituzionalizzando esperienze già maturate in molte
sedi) momenti collegiali di individuazione e discussione dei problemi
organizzativi dei singoli uffici, nonché occasioni di confronto tra uffi-
266
ci diversi di una stessa sede giudiziaria, tesi alla individuazione e alla
razionalizzazione delle soluzioni da adottare nei reciproci rapporti in
materia organizzativa. In proposito va certamente rafforzata l’attività
di promozione, già da tempo svolta dal Consiglio, della partecipazione dei singoli magistrati all’elaborazione e alla discussione dell’organizzazione tabellare, ma deve pensarsi anche a forme di sollecitazione
del confronto stabile sui problemi organizzativi all’interno degli uffici,
al fine di favorire forme di “autoformazione operativa” idonee a corrispondere alle specifiche concrete esigenze ed a valorizzare le risorse
esistenti nei medesimi.
E’ poi oltremodo opportuno che il prodotto di eventuali iniziative
organizzate sull’argomento in sede centrale venga fatto circolare,
anche e soprattutto ricorrendo all’attività della rete dei formatori locali, in tutto il territorio. Certamente un ottimo punto di partenza in
proposito può essere costituito dalle attività inerenti la formazione
informatica, di cui si è in precedenza suggerito l’energico potenziamento e il cui oggetto riguarda molto da vicino la materia dell’organizzazione del lavoro. Ciò peraltro non toglie che l’obiettivo da perseguire in sede centrale non sia quello della configurazione di standards
organizzativi da esportare nelle varie sedi, bensì quello del confronto
fra i diversi problemi e dello scambio di esperienze e soluzioni. Il che
rende evidente come rivesta primaria importanza sviluppare le iniziative di autoformazione dei dirigenti degli uffici, mai realmente decollate finora. E in proposito appare realmente necessario che le esperienze organizzative con cui questi ultimi verranno chiamati a confrontarsi non siano limitate a quelle maturate in altri uffici, bensì
anche in ambienti esterni alla magistratura.
Un cenno a parte merita la questione relativa alla formazione individuale dei magistrati in materia di organizzazione del lavoro. La
peculiarità e la varietà delle funzioni che sono loro attribuite certamente non consente di mutuare agevolmente le soluzioni maturate in
altri campi dell’agire umano e le conseguenti scelte in materia di formazione. V’è anche da aggiungere che quello dell’organizzazione del
lavoro individuale è un campo dove è necessario muoversi con estrema cautela, per le delicate implicazioni in materia di indipendenza del
singolo magistrato che comporta. E’ necessario, in altri termini, evitare che l’attività di formazione si trasformi –magari anche oltre la stessa volontà- in uno strumento di “imposizione” di moduli organizzativi forzatamente uniformi, attraverso cui rischi di instaurarsi un unico
modello culturale del magistrato, stravolgendo così il valore strumentale dell’obiettivo di efficienza perseguito. E’ dunque difficile immagi-
267
nare strumenti di intervento in questo settore, al di fuori di una maggior attenzione al profilo dell’organizzazione del lavoro individuale in
sede di formazione primaria (nelle sue varie forme) e di riconversione.
In realtà, ancora una volta, gli spazi più concreti si aprono in occasione dell’accesso all’informatica da parte del magistrato, che implica
inevitabilmente standard organizzativi del lavoro individuale abbastanza rigorosi. Il che peraltro non esclude che sia doveroso sensibilizzare i magistrati sui temi dell’efficienza della loro organizzazione di
lavoro. Invero, la recente riforma dell’art. 111 Cost. e la conseguente
“costituzionalizzazione” del principio della ragionevole durata del
processo, forniscono l’opportuna occasione perché venga posta al centro dell’attenzione dell’utenza la questione relativa alla necessaria verifica dell’efficienza dei modelli organizzativi individuali (con riguardo, ad esempio, all’ottimizzazione dei tempi d’udienza, all’utilizzo del
personale ausiliario, alle diseconomie nella gestione dei carichi di lavoro ecc.). Non si tratta di proporre le soluzioni organizzative come
strumento “miracoloso” di accelerazione dei tempi processuali (la cui
realtà ha cause diverse e complesse e solo in parte legate alle metodologie di lavoro), né, come già illustrato, di imporre moduli organizzativi rigidamente uniformi. Molto più semplicemente i magistrati
vanno resi consapevoli dell’effettivo rilievo che assumono questi temi
per l’efficienza generale del servizio e per la resa del loro lavoro individuale. L’intervento formativo in merito va dunque calibrato preferibilmente in termini di promozione della conoscenza dei problemi e di
supporto nell’individuazione delle soluzioni, anche attraverso il confronto diretto delle esperienze. Queste sono le esigenze primarie nello
specifico settore e, proprio per tali ragioni, è auspicabile quanto già
evidenziato in precedenza (vedi la parte iniziale del presente par. nonché i par. “2.i” e “3.b”), che cioè l’attività formativa in materia venga
svolta attraverso il diretto coinvolgimento della rete formativa locale,
che con maggiore efficacia è in grado di rilevare le concrete problematiche di cui i singoli magistrati sono portatori, nonché le più serie
disfunzioni che le metodologie di lavoro adottate ingenerano.
3.H.7. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici.
La progressiva accelerazione della produzione legislativa nel corso
degli ultimi anni e soprattutto il frequente ricambio di normative
“strategiche”, come quelle processuali, che in passato presentavano un
maggior tasso di stabilità, hanno maggiormente evidenziato negli ulti-
268
mi anni l’urgenza di una questione spesso trascurata in passato o coltivata solo spontaneamente e sporadicamente nei singoli uffici, al di
fuori, quindi, di un progetto organico unitario: il bisogno di una
“(in)formazione di primo intervento”, che consenta ai singoli magistrati e agli uffici nel loro complesso di garantire la funzionalità del lavoro mediante il tempestivo accesso alla conoscenza delle novità legislative e giurisprudenziali di maggior rilievo. Questo tipo di esigenze
sono state inevitabilmente deluse dai limiti impliciti all’attuale assetto
della struttura formativa, che, anche qualora è riuscita in tempi ragionevoli a confezionare offerte idonee a soddisfare in astratto il bisogno
(ad esempio, si pensi, nel recente passato, alle giornate di studio dedicate alla l.n.479/99, programmate in via straordinaria nel corso del
2000, contestualmente alla entrata in vigore della legge), non ha potuto comunque raggiungere attraverso di esse un grado sufficiente di diffusione delle conoscenze. Né sembra potersi ovviare al problema semplicemente incrementando la circolazione del materiale prodotto nel
corso di queste iniziative (e ciò anche a prescindere dagli attuali limiti in merito all’effettiva diffusione di tale materiale). Infatti, la questione non è semplicemente quella di garantire in qualche modo e in
tempi brevi l’effettiva conoscenza di testi normativi e orientamenti
giurisprudenziali, bensì quella di configurare strumenti che consentano ai magistrati di un medesimo ufficio di confrontarsi su di essi, per
trovare, laddove possibile, risposte efficaci e soluzioni immediatamente perative agli interrogativi suscitati da questi eventi. Più in generale si tratta di istituzionalizzare strumenti agili di supporto al lavoro dei magistrati, a cui gli stessi possano accedere facilmente all’occorrenza o anche in maniera continuativa.
In proposito un progetto organico deve poter prevedere un ventaglio di soluzioni sufficientemente ampio da configurare un vero e
proprio sistema di “formazione di primo intervento” sufficientemente flessibile da consentire la soddisfazione di bisogni diversi e anche
eccezionali. E’ dunque necessario pensare, per poter raggiungere l’obiettivo formativo tratteggiato, ad una serie di iniziative caratterizzate inevitabilmente dalla elevata tempestività, dal massimo grado di
diffusività, dalla contenuta elaborazione scientifica e dal forte interscambio tra i soggetti coinvolti. Come emerge in modo chiaro, trattasi di uno degli obiettivi primari della “rete di formazione decentrata”, in grado di corrispondere con maggiore prontezza alla variegata natura delle esigenze prospettabili (vedi i parr. “2.i” e “3.b”). Naturalmente, non è possibile individuare in astratto tutte le possibili
forme di simili interventi formativi (giacchè sarebbe perfino con-
269
traddittorio, con le premesse date, elaborare schemi rigidi e predefiniti), ma comunque si possono immaginare iniziative, quali ad esempio: giornate di studio in sede locale in occasione dell’emanazione di
provvedimenti legislativi o di pronunzie del giudice delle leggi o di
quello di legittimità di particolare rilevanza; raccolta e diffusione
delle giurisprudenze infradistrettuali e incontri di confronto tra magistrati che all’interno del distretto svolgono funzioni omologhe; ulteriore sollecitazione e istituzionalizzazione di riunioni periodiche
dei magistrati dei singoli uffici in occasione degli eventi sopra ricordati.
3.H.8. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici:
i contenuti.
Da tempo è consolidata la prassi di suddividere la programmazione dei corsi in aree tematiche, riguardanti in linea generale il “diritto
comunitario internazionale e comparato”, l’“ordinamento giudiziario”, il “diritto e il processo”, più specificamente il “diritto civile e processuale civile” e il “diritto penale e processuale penale”, il “diritto
della famiglia e dei minori”, il “diritto dell’economia”, il “diritto del lavoro”, la “società e questioni temporanee” (vedi il programma del
2001).
Nell’ottica del costante processo di “europeizzazione” dell’Italia e
del diritto italiano, sempre maggiore importanza hanno assunto ed assumeranno i corsi di diritto comunitario ed internazionale, costituenti i temi principali affidati e da affidare alla formazione decentrata.
Sul punto, va ricordato che è in corso il completamento del progetto
Schuman, relativo all’ordinamento comunitario e da realizzare con incontri distrettuali, così come saranno richiesti nuovi finanziamenti
per uno Schuman 2, diretto alla disamina, sempre in sede locale, delle
principali novità legislative comunitarie di esecuzione del Trattato di
Amsterdam. Sempre nell’ambito comunitario, la riproposizione del
programma Odysseus, accompagnato da un incremento del numero
dei partners, e il previsto Grotius Linguistico, in grado di offrire un’occasione di formazione linguistica ad un numero sia pur limitato di
magistrati (eventualmente da impiegare in futuro nell’ambito di eventuali analoghe iniziative che il Consiglio potrebbe promuovere autonomamente), si mostrano come ulteriori momenti di approfondimento in linea con gli obiettivi già individuati dal Consiglio in questi anni.
La ulteriore direzione internazionalista nella quale poi muovere è
270
quella di stimolare la consapevolezza dei magistrati della continua integrazione del nostro sistema giuridico a seguito dei princìpi e delle
regole posti dalla Convenzione dei diritti dell’uomo e dalle pronunce
della Corte Europea, princìpi e regole rimasti per lo più a livello di affermazioni teoriche senza o con scarsa incidenza nei concreti contenuti della giurisdizione
Analogamente, grande rilevanza nell’offerta formativa va riservata
alla materia dell’ordinamento giudiziario, di grandissima attualità alla
luce delle recenti modifiche ordinamentali sul giudice unico, della
stessa istituzionalizzazione della rete dei formatori locali (ci si riferisce al seminario “Formazione dei formatori”, luogo destinato alla discussione delle tematiche relative alla nascita della “rete locale”), nonché delle sempre più sentite esigenze di organizzazione razionale del
lavoro giudiziario e di formazione dei dirigenti degli uffici (a questi è
riservato, nel programma 2001, il “Seminario – Laboratorio di autoformazione per magistrati con funzioni direttive e semidirettive
negli uffici giudiziari”).
Sotto altro profilo, nella prospettiva cui si è fatto riferimento al
paragrafo precedente, deve essere assegnato un ruolo sempre più centrale ai corsi “interdisciplinari”, ove si discutono materie di rilevanza
generale, investenti sia il diritto civile che penale o il diritto processuale in genere, e dove l’impostazione non è prettamente giuridica, ma
risente anche di inquadramenti di carattere storico, filosofico, sociologico, psicologico, etc. (vedi corsi, organizzati per il 2001, quali la “discrezionalità nell’attività giurisdizionale”, “ricostruzione del fatto e
prova scientifica”, “libertà della persona e provvedimenti prescrittivi
del giudice”). Invero, si è già precisato che la “formazione interdisciplinare” costituisce un fondamentale settore della formazione permanente, intesa quest’ultima quale strumento di miglioramento del livello culturale dei magistrati più che di mero aggiornamento professionale; e, come visto in precedenza (vedi parr. 2.I. e 3.B.), la delicatezza
di tale attività formativa impone che la stessa sia realizzata a livello
centrale e non demandata ai formatori locali, i quali preferibilmente
devono occuparsi, integrando i corsi nazionali, dell’opera di aggiornamento professionale dei magistrati, della riconversione a funzioni civili, penali o specialistiche, ed infine della divulgazione delle conoscenze su temi tecnici extra-giuridici di diretta rilevanza per l’attività
quotidiana.
Ciò posto, passando ai concreti contenuti della “formazione permanente” in sede civile, la linea di tendenza degli ultimi anni, senz’altro da confermare per il futuro, è quella di aggiungere a corsi standard
271
di mero aggiornamento professionale (si pensi al classico corso “Il
punto sul nuovo rito civile”), altri corsi di aggiornamento professionale non standard ma ripetuti ciclicamente, perché interessanti materie
di costante interesse (si pensi a corsi processuali quali la “tutela cautelare d’urgenza” ovvero a corsi sostanziali quali la “responsabilità in
materia di circolazione stradale”, in materia di “proprietà e diritti
reali”, in materia di “locazione”, in materia di “contratti”, etc.). Vi è poi
la programmazione di carattere per così dire contingente, legata a
temi specifici di strettissima attualità (si pensi ad esempio al corso del
2001 “Il contenzioso con le banche”), e vi sono poi i corsi dedicati a
grandi temi pressochè mai esplorati (si pensi al corso “La volontaria
giurisdizione” del 2000) oppure da ricomporre e riesaminare in un’ottica unitaria (si pensi al corso “L’abuso del diritto” del 2000 e al corso
“L’autotutela nel diritto privato” in via di studio per l’anno 2002).
Questo per quel che concerne la programmazione sui temi generali, poiché, come già accennato all’inizio allorquando si è parlato
della suddivisione della programmazione per aree tematiche, vi sono
anche corsi di carattere specialistico, ossia rivolti a magistrati svolgenti specifiche funzioni, in particolare quelle di giudici minorili e
della famiglia, di giudici del fallimento e di giudici del lavoro: una
serie di iniziative, invero, è dedicata a tale soggetti, onde consentire
agli stessi quel continuo confronto a livello nazionale utile per un sempre maggiore accrescimento professionale (esaminando il programma
per l’anno 2001, vedi i corsi “L’adozione nazionale ed internazionale”
e “L’affidamento dei minori” per quanto riguarda i giudici minorili e
della famiglia”, i corsi “L’accertamento del passivo nel fallimento: questioni dibattute e prassi”, “Primo corso di formazione di diritto commerciale” e “I bilanci delle imprese” per quanto riguarda i giudici fallimentari, e i corsi “Il contenzioso in materia di previdenza ed assistenza” e “Le controversie in materia di pubblico impiego: profili sostanziali” per quanto riguarda i giudici del lavoro).
Peraltro, al di là questi esigui corsi specialistici, per loro natura rivolti a magistrati svolgenti specifiche funzioni, l’idea di massima è
quella di una programmazione aperta indifferentemente a tutti i magistrati civili, nel senso che, nell’ultimo anno, al di là di pochissime eccezioni (si ricordi il corso “Interposizione e simulazione nel negozio
giuridico”, riservato per il 20 % ai giudici del lavoro, interessati a conoscere i fenomeni interpositori e simulatori per le loro ripercussioni
in materia di diritto del lavoro), si è abbandonata la regola di riservare per ogni corso rigide percentuali a categorie di magistrati addetti a
specifiche funzioni, ma si è seguita la regola opposta di non indicare
272
alcuna percentuale, al precipuo fine di realizzare una formazione il
meno possibile settoriale, idonea ad accrescere in modo omogeneo il
livello di tutti i magistrati civili, indipendentemente dalle specifiche
funzioni esercitate. Questa impostazione di fondo, oltretutto, sembra
da preferire anche in previsione della futura ripartizione formazione
centrale-formazione locale, in quanto, se quest’ultima avrà un fondamentale compito nell’aggiornamento relativo alle funzioni specialistiche, a maggior ragione la formazione centrale dovrà essere il più possibile aperta indifferentemente a tutti i magistrati civili, a meno di non
volere far retrocedere l’attività formativa ad una mera opera di aggiornamento professionale.
Un ultimo aspetto merita di essere segnalato, ed è quello della
stretta interrelazione tra la crescente europeizzazione dei diritto italiano e tutti gli incontri di studi civilistici, anche quelli non concernenti in modo precipuo il diritto comunitario ed internazionale. In effetti, in tutti gli incontri di studi sempre maggiore attenzione dovrà essere dedicata a questioni quali la giurisdizione del giudice italiano in
relazione ai singoli rapporti in contestazione (trattasi di un aspetto
fondamentale nel diritto dei contratti e delle obbligazioni), ovvero il riconoscimento dei provvedimenti di giudici stranieri in Italia (trattasi
di una questione che concerne tutto il diritto civile in genere, ma che
interessa in modo particolare il diritto della famiglia e dei minori). In
sostanza, molti incontri di studio dovranno tenere conto della nuova
prospettiva transfrontaliera del diritto e della giurisdizione e, sul
punto, occorre un nuovo ed approfondito sforzo formativo, eventualmente anche con l’ausilio delle iniziative finanziate dall’UE ovvero
programmando incontri di studio concordati con organismi di formazione di altri paesi europei (quali la Francia, la Germania, la Spagna,
etc.), il tutto nell’ottica del nuovo concetto del “giudice europeo”.
Le precisazioni sinora fatte meritano alcuni approfondimenti allorquando si passa al settore penale, ove l’offerta formativa è stata tradizionalmente caratterizzata da un forte impegno nelle materie penalistiche specifiche o comunque riservate a determinate categorie di
magistrati; trattasi peraltro di una linea di tendenza che è stata parzialmente abbandonata nell’ultimo biennio, periodo nel quale hanno
assunto sempre maggior rilievo i temi processuali, cui è stata riservata particolare attenzione a causa dei richiamati e molteplici interventi legislativi, anche a livello costituzionale, che hanno rimodellato i
princìpi e le vicende del procedimento penale e che hanno imposto ed
imporranno per il futuro un forte sforzo formativo in questo settore,
senza tuttavia alcun pregiudizio dell’impegno formativo, anche in sede
273
locale (vedi sopra), sulle materie specialistiche (ad esempio i nuovi
reati fallimentari, i reati informatici, la tutela penale del territorio, i
reati in materia di alimenti, l’high tech crime.
Ad ogni modo, è innegabile che anche per il settore penale deve essere assegnato un ruolo primario all’offerta formativa a carattere interdisciplinare e multidisciplinare, con una progressiva apertura a
nuove conoscenze, che sempre più spesso ed in modo penetrante si intrecciano con le vie dell’attività giurisdizionale penale, e con una rinnovata sensibilità rispetto al tema dell’unitarietà della “cultura della
giurisdizione”, costituente un valore uguale per tutti, a prescindere
dalle effettive funzioni, requirenti o giudicanti, espletate; tutto ciò implica che l’offerta formativa, al di là dei citati corsi specialistici, deve
consentire e stimolare il continuo confronto tra i diversi ruoli professionali del settore penale e, in questo ambito, si spiega la ragione per
la quale, nell’ultimo anno, anche per il settore penale si è ridotto l’impiego di percentuali rigide al fine di regolare la partecipazione ai singoli corsi di varie categorie di magistrati (vedi la programmazione del
2001).
Con le debite differenze, i discorsi fatti per il settore civile sul
tipo di programmazione dell’attività formativa possono essere ripetuti con riguardo al settore penalistico Anche in campo penale l’attività di formazione segue degli schemi classici, nel senso che esistono
alcuni corsi standard, ripetuti ciclicamente (si tratta degli incontri su
temi soliti, come la prova, il nuovo procedimento penale, etc., e a
questi incontri si accompagnano i tradizionali corsi Falcone, Borsellino, Amato, Galli, che tuttavia iniziano a mostrare l’esaurimento
della spinta propositiva che li ha resi un momento fondamentale
della formazione professionale, si accompagnano altri), vi sono poi
corsi di natura contingente, in cui si affrontano le tematiche, sostanziali e/o processuali, di più stretta attualità (si pensi, nella programmazione 2001, al corso “Il nuovo diritto penale tributario” e, nella
programmazione 2002, ai corsi ipotizzati su “Il nuovo diritto di proprietà intellettuale” e su “Il mercato bancario e mobiliare”), ed infine
vi sono incontri di più ampio respiro, diretti ad affrontare in termini
più generali tematiche di sicuro rilievo ed interesse (si pensi, nella
programmazione 2001, all’incontro di studi “La riforma dell’art. 111
Cost. nei suoi riflessi sul processo penale” e, nella programmazione
2002, all’ipotizzato corso su “I rapporti tra diritto penale ed amministrativo”).
Qualche ultimo accenno sugli incontri penalistici di diritto internazionale. In particolare, sul piano internazionalitico, continuano e
274
continueranno le riflessioni su grandi problemi di stretta attualità e,
dopo gli incontri sulle nuove forme delle attività transfrontaliere di
contrasto al traffico internazionale di stupefacenti, sulle audizioni a
distanza nei processi di criminalità organizzata nella prospettiva di
una sempre più fattiva cooperazione internazionale, verranno in gioco
i temi connessi all’oggetto della Convenzione de L’Aja (rogatorie internazionali e indagini internazionali).
3.H.9. Le future prospettive metodologiche della formazione permanente.
Qualsivoglia discorso, specie se di prospettiva, intorno al metodo
anzi ai metodi della formazione deve collocarsi entro una cornice di
senso che sottragga la riflessione metodologica ad un approccio asettico di mera descrizione di tecniche e la inquadri nella dimensione finalistica e assiologica della esperienza formativa.
Se il metodo può definirsi come l’insieme delle prescrizioni (negative e positive) e delle procedure che regolano lo svolgimento di una
determinata attività rivolta al raggiungimento di un fine, il metodo di
una attività formativa, che si prefigge la triplice finalità del sapere (dimensione cognitiva), del saper fare (dimensione tecnica) e del saper
essere (dimensione valoriale) nell’esercizio della giurisdizione, non
può che correlarsi e funzionalizzarsi a tali finalità.
Occorre in tal senso muovere dalla consapevolezza del legame
profondo e del nesso funzionale tra le scelte metodologiche e le finalità formative.
La scelta del metodo non è neutrale, non costituisce una variabile
indipendente, sibbene dipende da una pluralità di fattori: la tipologia
e la finalità dell’intervento formativo, la tipologia e la qualità dei suoi
destinatari, le risorse disponibili (umane, materiali, logistiche, finanziarie, temporali etc.).
In tale ottica il sistema formativo dovrà costantemente tendere a
realizzare, nel suo complesso e nelle singole iniziative, un continuum
il più possibile armonico tra le strutture, i contenuti, i metodi e le finalità della formazione.
Tale consapevolezza della “relazionalità” e “funzionalità” del metodo non deve sminuire anzi deve rafforzare la considerazione della
sua necessità.
Il metodo è un necessario antidoto all’improvvisazione, allo spontaneismo ed al pressappochismo dell’azione formativa.
In tal senso si dovrà rifuggire dal pregiudizio antimetodologico e
275
ricercare proprio nel rigore del metodo la garanzia della serietà e della
produttività del discorso formativo.
Necessità del metodo non significa naturalmente sua unicità, essendo acquisita la consapevolezza del pluralismo metodologico ossia
della varietà delle opzioni metodologiche a seconda dei diversi contesti e delle diverse finalità della formazione.
Necessità del metodo non significa neppure sua rigidità e assoluta indefettibilità, giacchè il metodo appartiene nella sua relatività al
novero dei mezzi ed il raggiungimento del fine formativo può esigere
l’adattamento e la modifica o, a seconda dei casi, l’abbandono temporaneo o definitivo del modulo metodologico preordinato.
In tale ottica necessità e rigore del metodo e sua elasticità ed adattabilità debbono coniugarsi in un sano pragmatismo metodologico finalisticamente orientato.
Premesse tali considerazioni, il discorso sulle prospettive metodologiche può approfondirsi ed articolarsi nelle sue diverse partizioni.
In tale quadro si esamineranno:
a) i metodi generali della formazione, comprensivi dei profili di
metodologia organizzativa del sistema formativo;
b) i metodi formativi in senso stretto, comprendenti le formule
didattiche e gli stili comunicativi;
c) i metodi (giuridici, deontologici, professionali, lavorativi) che
costituiscono oggetto dell’attività formativa.
Sub a) si deve sottolineare l’importanza fondamentale del metodo
della programmazione.
Tale metodo, che premunisce dallo spontaneismo, dal volontarismo e dal soggettivismo delle iniziative formative, è necessario per
coordinare i tempi della formazione con i tempi del lavoro giudiziario.
Senza tale coordinazione temporale garantita dalla programmazione, la formazione non riesce a legittimarsi adeguatamente nel sistema giudiziario ed il lavoro professionale rischia di ricavare pregiudizio dalle assenze non preventivate di magistrati a causa della loro
partecipazione ad incontri di studio.
La programmazione è, altresì, funzionale al metodo del contratto
formativo e dell’alleanza formativa.
Invero, senza la conoscenza previa dell’offerta formativa garantita
dalla programmazione - offerta che sia chiara nei suoi presupposti,
contenuti, finalità, metodi e cadenze temporali – non è possibile la stipula consapevole del contratto formativo inteso come patto sinallagmatico tra chi offre e chi riceve l’offerta in cui si definiscano le aspettative, i risultati prefigurati e promessi, gli impegni e i ruoli di ciascu-
276
no e si promuova l’alleanza formativa intesa come rapporto di fiducia
e di collaborazione in una sorta di feeling formativo.
Tale metodo, che dovrà incentivarsi attraverso i vari strumenti
della programmazione generale e particolare (dalla miglior cura del
“libretto verde” annuale alla comunicazione tempestiva dei singoli
programmi ai partecipanti), involge un concetto essenziale di responsabilità formativa che vede il fruitore della formazione come soggetto
attivo e non passivo e che costituisce una via feconda per il superamento dell’irrisolto dualismo tra un modello “volontaristico” e un modello “sanzionatorio” della partecipazione formativa.
In tale contesto si dovrà sempre più affermare il metodo della programmazione congiunta che coinvolga il continuum tra il Plenum del
C.S.M., la Nona Commissione, il Comitato Scientifico, la rete dei Referenti distrettuali e l’intero corpo dei Magistrati e che si avvalga della
collaborazione organica di vari soggetti, sia interni - come i Consigli
giudiziari - sia esterni alla Magistratura – come le Università, gli Ordini professionali e gli altri enti culturali ed istituzionali che possono
cooperare nel processo formativo.
Una programmazione congiunta che sappia allocare le attività formative tra il centro e la periferia del sistema, secondo un principio di
sussidiarietà che realizzi prossimità all’utenza, sinergie ed economie
di risorse e coniughi autonomia e creatività di iniziative, controlli di
conformità e compatibilità ed interventi di stimolo e di sostegno, rifuggendo sia dal centralismo dirigistico sia dall’autonomismo autarchico.
In tale quadro si dovrà ricercare un equilibrio tra le varie dimensioni della formazione, secondo una scala di grandezze che vada dall’ambito locale e distrettuale, alle aggregazioni interdistrettuali fino al
livello centrale, adeguando la dimensione territoriale, da un lato, alla
comunanza e omogeneità degli interessi e delle problematiche, dall’altro lato, all’esigenza della circolazione e dello scambio delle diverse
esperienze nei diversi contesti giudiziari ed ambientali.
Inoltre, la programmazione, se non vuole essere verticistica o cerebrina, dovrà coniugarsi con una capacità di interpretazione delle
varie istanze formative, con una maieutica dei bisogni formativi,
anche se inespressi o inconsapevoli, con una capacità di rilevazione sistematica delle tendenze, degli interessi e dei problemi reali che attraversano la giurisdizione e caratterizzano l’evoluzione dell’ordinamento giuridico.
Si osservi, altresì, che la programmazione dovrà essere flessibile,
adattandosi ai processi in fieri e alle situazioni sopravvenute, preve-
277
dendo moduli elastici capaci di recepire tempestivamente le novità
normative e giurisprudenziali e di captare l’emersione di nuovi bisogni legati ad emergenze o comunque non preventivamente programmabili.
Ancora, la programmazione, per non ingessare e burocratizzare
l’azione formativa, dovrà restare aperta alle iniziative spontanee, ai
movimenti “dal basso” che a volte, con più aderenza alla realtà e con
maggiore tempestività, individuano la formula migliore per soddisfare determinate istanze formative (si pensi in sede di formazione decentrata alla costituzione spontanea di gruppi di studio per affrontare
questioni normative o giurisprudenziali di scottante attualità).
Infine, la programmazione dovrà “apprendere dall’esperienza”, rivedendo costantemente se stessa, attraverso meccanismi sempre più
adeguati di rilevazione del gradimento e di valutazione degli esiti delle
attività formative.
Sub b) la dimensione metodologica, didattica e, lato sensu, antropologico-culturale della formazione richiederà nel prossimo futuro
più attente riflessioni, più approfondite analisi e più coraggiose sperimentazioni.
E’, in qualche misura, connaturale al carattere permanente della
formazione il suo essere “sperimentale”, in stato di continuo affinamento e di costante ricerca dei suoi percorsi e dei suoi metodi.
In tale prospettiva, che dovrà coniugare rigore d’analisi e slancio
di fantasia, si può già intravedere, anche alla luce delle esperienze maturate negli ultimi anni, una direttrice metodologica fondamentale nel
metodo della contaminazione: contaminazione tra metodi, saperi, linguaggi, culture, figure professionali e soggetti di provenienze diverse.
Con riferimento alle metodologie didattiche si può rilevare la tendenza, nell’ambito dei diversi moduli formativi, all’alternarsi ed al fondersi delle varie formule didattiche (relazioni interattive, dibattiti guidati, lavori di gruppo, studio dei casi, simulazioni di processo: cfr.
supra pag.),nella ricerca dell’equilibrio e della sintesi tra teoria e pratica, tra dommatica e casistica.
Con riguardo ai saperi ed ai linguaggi diversi, la formazione permanente non potrà non percorrere con sempre maggiore consapevolezza i sentieri difficili e straordinariamente fecondi dell’ interdisciplinarietà, dell’interfunzionalità e della intercomunicabilità.
Tale prospettiva comporta la necessità di una apertura coraggiosa
e prudente verso il mondo esterno, di un confronto ragionato e senza
pregiudizi con altre culture giuridiche e non, con altre figure professionali e soggetti di provenienze diverse (dal mondo accademico, dal
278
ceto forense, dalle altre magistrature, dalle istituzioni non giudiziarie,
dal privato sociale, dall’associazionismo, dal volontariato etc.).
Tale dimensione della formazione offrirà l’humus fecondo per una
rinnovata e approfondita riflessione sul ruolo del magistrato nella società odierna e sul livello di rispondenza dell’attività giudiziaria alla
domanda di giustizia dei cittadini, riflessione che è parte essenziale
del discorso formativo.
Altra direttrice metodologica fondamentale che chiaramente si delinea negli scenari della formazione è l’uso sempre più massiccio ed
avanzato delle tecnologie informatiche e telematiche, che esige un continuo aggiornamento ed una costante verifica della adeguatezza dello
strumento tecnologico alle finalità formative.
In tal senso si ravvisa l’esigenza di un training dei formatori per
acquisire la padronanza delle tecniche multimediali e del loro sapiente impiego in una didattica integrata della parola e dell’immagine (si
pensi, nel corso delle relazioni o dei lavori di gruppo, all’uso degli
schemi sequenziali, dei lucidi, delle diapositive, del computer e dei
collegamenti video via Internet).
Il discorso sulla multimedialità dell’azione formativa, che si rivolge ad una pluralità di sensi recettori, introduce ad una più profonda
dimensione antropologico-culturale della formazione come sistema di
valori, messaggi e stili comunicativi centrati sulla persona nella varietà e complessità delle sue percezioni e delle sue funzioni.
In tale ottica occorrerà che la formazione sia una formazione personalizzata, capace di coinvolgere la persona nelle sue varie dimensioni (principi, valori, motivazioni, interessi, affettività, emozioni etc) e
di realizzare una intersoggettività autentica orientata alla crescita
umana, culturale e professionale.
Tale metodo del coinvolgimento personale eviterà che la formazione sia meramente cerebrale, algida, noiosa e, come tale, povera di
autentici risultati ed a basso indice di gradimento.
Occorrerà, altresì, che la formazione, nella sua duplice dimensione individuale e comunitaria, sia fortemente ancorata agli interessi professionali dei magistrati, profondamente innervata nei processi lavorativi e, come tale, percepita sia come utile individuale, sia
come risorsa fondamentale e valore aggiunto della organizzazione
giudiziaria.
In tale prospettiva la formazione è destinata sempre più ad essere
“autoformazione” personale e comunitaria, in cui ciascun magistrato
si sente ed è, insieme agli altri, soggetto attivo, responsabile e protagonista del suo percorso formativo e professionale.
279
In tale direzione e verso tali mete incoraggiano gli esiti promettenti dei “laboratori di autoformazione”(cfr. supra), esperienze di formazione circolare e pluridirezionale, centrata sulla ricostruzione delle
routine cognitive e operative, sulla rielaborazione dei problemi e dei
processi lavorativi, sulla individuazione dei nodi critici e sulla elaborazione, sperimentazione e verifica di ipotesi migliorative.
Sono esperienze ancora in fase di sperimentazione, come tali, bisognevoli di ulteriori approfondimenti e conferme, di cui tuttavia
può prevedersi e predicarsi fin da ora che rappresenteranno la nuova
frontiera metodologica e culturale della formazione professionale
dei magistrati ed i nuovi cantieri del lavoro formativo dei prossimi
anni.
Sub c) i metodi costituiscono l’oggetto stesso l’attività formativa.
Attraverso la formazione si apprendono e si insegnano sia metodi giuridici e giudiziali (si pensi al circolo ermeneutico tra il fatto e
la norma, alla sussunzione del fatto nella fattispecie, all’uso sapiente della discrezionalità, all’analogia, alla ricostruzione sistematica
dei principi dell’ordinamento, ai giudizi sulla costituzionalità delle
norme etc.) sia metodi deontologici (si pensi all’importanza di offrire, nel contatto formativo diretto, validi modelli deontologici attraverso la testimonianza concreta di figure professionali “esemplari”
nei loro rapporti con le parti processuali, con i colleghi, con il personale d’ufficio, con i mass-media etc.) sia metodi professionali e lavorativi (si pensi alle tecniche di conduzione del processo, di gestione dei ruoli, di redazione dei provvedimenti, alla tenuta della c.d.
agenda del giudice etc.).
Tale è e sempre più dovrà essere il cuore dell’attività formativa, il
cui compito essenziale è quello di gelosamente conservare, costantemente apprendere e incessantemente trasmettere, nella continuità
delle generazioni, il difficile mestiere del magistrato e la nobile arte del
giudizio, a servizio dei cittadini e della tutela dei loro diritti.
3.I. La valutazione della formazione: un problema aperto.
Il risultato, in termini qualitativi, dell’attività di formazione svolta
dal C.S.M. è stato fino ad oggi “misurato” mediante due strumenti,
piuttosto empirici: la relazione del coordinatore dell’incontro e le
“schede di valutazione” redatte dai partecipanti ai singoli incontri di
studio.
La relazione, pur essendo un utile rendiconto del lavoro svolto,
280
degli eventuali problemi e delle soluzioni adottate, presenta alcuni limiti intrinseci, che ne fanno uno strumento meramente sussidiario;
infatti, un’utile valutazione del corso può essere data solo se il coordinatore è lo stesso per tutta la sua durata (e ciò non sempre è possibile
in relazione agli impegni di ufficio dei componenti del Comitato
Scientifici) e, soprattutto, non possono efficacemente cumularsi negli
stessi soggetti i compiti di organizzazione del corso e valutazione/controllo sui suoi risultati.
Più utili si sono rivelate le schede di valutazione; si tratta di più
schede strutturate sul modulo del questionario - una per l’organizzazione logistica dell’incontro, una per l’organizzazione contenutisticometolodogica, una dedicata a ciascun relatore - che vengono distribuite ai partecipanti e da questi riconsegnate alla fine del corso e attraverso le quali si tende ad ottenere una valutazione sulla bontà della
scelta (in generale e con particolare riferimento alle funzioni espletate) del tema generale dell’incontro e degli argomenti specifici delle singole relazioni, sull’utilità del materiale di studio predisposto, sulle
qualità didattiche, espositive e contenutistiche dei relatori; una scheda finale è destinata, poi, a raccogliere richieste e suggerimenti, tanto
per i metodi che per i contenuti, sulla programmazione futura nonché
a sollecitare l’autocandidatura dei partecipanti al compito di relatore
o coordinatore di un gruppo di lavoro.
Il carattere <circolare> dell’attività di formazione professionale
dei magistrati – che, come noto, si caratterizza per la coincidenza tra
committenti ed utenti del servizio – indubbiamente conferisce particolare significato al giudizio ed ai suggerimenti dei partecipanti e,
pertanto, delle risultanze delle schede è stato tenuto ampio conto per
verificare la rispondenza delle iniziative promosse alle aspettative dei
destinatari, per individuare i temi cui dedicare gli incontri di studio
nella programmazione annuale e per adeguare la struttura degli incontri alle esigenze concrete dei partecipanti. Si tratta di uno strumento che, puntando sul coinvolgimento e l’interazione tra formati e
formatori, è ricco, se sfruttato a pieno, di potenzialità; in tale prospettiva si potrebbe pensare da un lato ad una maggiore specificazione ed articolazione del questionario (invitando il partecipante a indicare le sue aspettative e le sue esigenze professionali) dall’altro all’istituzionalizzazione di momenti di confronto all’interno del comitato
scientifico per una riflessione critica e autocritica sulle valutazioni ed
i suggerimenti contenuti nelle schede (ad esempio, sulle ragioni professionali e le esigenze formative che stanno alla base della costante
richiesta di incontri di studio di tipo “pratico”, di metodi che consen-
281
tano il confronto sulle prassi professionali e si articolino per problemi circoscritti e su casi concreti). Potrebbe altresì farsi ricorso ad ulteriori metodi di coinvolgimento dei partecipanti, utilizzando sia la
rete dei formatori distrettuali che le nuove e ormai diffuse tecniche di
comunicazione (in primo luogo la posta elettronica); in particolare,
come già si è detto (supra), i partecipanti dei vari distretti, singolarmente o in gruppo, potrebbero, oltre che fare un’opera di restituzione
per i colleghi che non hanno potuto partecipare all’incontro a livello
centrale, riassumere in un breve scritto le loro valutazioni sul corso
approfondendo in particolare la relazione intercorrente tra i contenuti del corso e le funzioni svolte (se e perché il corso e le sue articolazioni interne sono – o non sono – stati funzionali al lavoro giurisdizionale; se ha dato risposta ad alcuno dei problemi quotidianamente
affrontati; come potrebbe essere migliorata la ricaduta dell’incontro
sull’attività giurisdizionale). Di grande utilità sarebbe altresì richiedere ai partecipanti – che come sappiamo sono individuati con grande
anticipo –, tramite posta elettronica, un contributo, nei limiti dei temi
previamente individuati nel programma generale, al momento della
elaborazione del programma di dettaglio; allo stesso modo, o tramite
i referenti distrettuali, potrebbero altresì raccogliersi, su temi in cui le
prassi dei vari uffici sono particolarmente importanti o su questioni
nuove o in campi che presentano ampi spazi di discrezionalità riservata al giudice, provvedimenti da porre tempestivamente a disposizione dei relatori e coordinatori dei gruppi di lavoro e da inserire nei
materiali di studio.
Il problema non è, tuttavia, solo quello di misurare il gradimento
delle singole iniziative; a più di un lustro dall’inizio della programmazione dell’attività di formazione del Consiglio è forse il caso di interrogarsi anche su quale sia l’impatto complessivo dell’attività formativa sulla professionalità dei magistrati. Se la formazione è attività rivolta, per sua natura, al mutamento, occorre chiedersi cioè se vi siano
stati effettivamente cambiamenti e se siano avvenuti nella direzione
auspicata.
Si tratta, come è facile vedere, di un problema cui può solo accennarsi in questa sede e che involge aspetti di grande delicatezza
in ragione delle particolarità della attività giurisdizionale, il cui fine
è la tutela imparziale dei diritti, e delle garanzie di autonomia e indipendenza dei magistrati. Come affermato dal Consiglio, “la formazione professionale dei magistrati… non è, e non deve essere, rivolta alla conformazione dei magistrati e della loro attività ad un
unico modello imposto dall’alto e dall’esterno e neppure dallo stes-
282
so C.S.M.. Essa è invece diretta, oltre che all’acquisizione delle necessarie capacità tecniche, anche a suscitare consapevolezza dei termini culturali dei problemi, dei valori sottesi ad ogni scelta operativa, al libero confronto ed al reciproco approfondimento tra i rispettivi orientamenti, proprio al fine di rendere consapevole... l’esercizio dell’autonomia di ciascuno”.
Si può oggi dire che i magistrati – ed in particolare quelli che
negli ultimi anni hanno usufruito della formazione erogata dal Consiglio – abbiano mediamente incrementato le proprie capacità tecniche, maturato maggiore consapevolezza culturale dei problemi e
dei valori, siano maggiormente disponibili che in passato a confrontare i propri orientamenti? come individuare attendibili indicatori di questi cambiamenti, che il Consiglio ha fissato come obiettivi di massima e che devono ispirare la progettazione e l’attuazione
dell’attività, a livello centrale e decentrato? e come specificare gli
obiettivi, progettare strumenti per il loro perseguimento, verificarne l’attuazione concreta senza incidere sulla fondamentale garanzia
di indipendenza del magistrato e sulla sua soggezione soltanto alla
legge?
Si è già detto che nell’attività del magistrato, qualunque sia la
funzione da lui svolta, può distinguersi un’attività di gestione del
processo ed un’attività di decisione; la prima, procedimentalizzata,
è il terreno delle garanzie; la seconda, che giunge a conclusione di
quel delicato processo che è la ricostruzione del fatto e della sua
sussunzione nella fattispecie astratta descritta dalla norma, costituisce l’espressione massima dell’attività giurisdizionale; se il giudice è, e deve essere, solo e scevro da qualunque condizionamento
(sine metus ac spe) nel momento della decisione (e nessuna attività
formativa potrebbe mai porsi come obbiettivo quello di conformare le decisioni giudiziali, di dire al giudice come decidere nel caso
concreto), certamente quello del processo, della gestione delle sue
fasi, della conduzione dell’istruttoria, delle tecniche di motivazione
sono settori in cui l’acquisizione di certe capacità (ad es. saper condurre un interrogatorio libero, saper escutere un testimone, saper
gestire un’udienza, saper gestire il ruolo, avere le capacità che consentono il controllo delle attività dei consulenti tecnici ed in genere il controllo sull’introduzione del sapere scientifico nel processo
…) è un obiettivo non solo possibile e legittimo ma anche decisamente opportuno. In relazione a tali settori, del resto, la crescita
qualitativa legata alla partecipazione alle sessioni di formazioni è
piuttosto evidente ed è indirettamente confermata dalla crescita di
283
interesse dei magistrati verso le iniziative e dai riconoscimenti dell’avvocatura.
Ma la questione si pone, sia pure con grande problematicità,
anche in relazione alla sfera deontologica (il <<saper essere>>). Alcuni esempi possono chiarire: gli interventi formativi svolti nell’ultimo quinquennio in materia di procedura civile (specie sulla novella
del c.p.c.) sono stati rivolti non solo ad approfondire lo studio degli
istituti processuali ma anche a promuovere un più intenso impegno
del giudice nella direzione del processo, nello studio preventivo dei
fascicoli, nella effettuazione del tentativo di conciliazione, nella valorizzazione del principio del contraddittorio, ed a stimolare i magistrati al confronto sulle prassi organizzative ed interpretative all’interno degli uffici. Gli incontri di formazione complementare per i
pubblici ministeri hanno avuto come chiaro obiettivo quello di affiancare l’approfondimento delle tecniche dell’investigazione alla affermazione della cultura delle garanzie. O ancora: nel corso degli incontri di formazione effettuati al momento dell’entrata in vigore
della legge sul giudice unico è emersa chiaramente l’importanza
degli aspetti organizzativi e l’esigenza di un ruolo dinamico dei presidenti di sezione e dei dirigenti degli uffici, nel senso indicato dalla
riforma.
Il problema maggiore è come verificare se ed in che misura questi
obiettivi sono stati raggiunti.
Data la complessità dell’attività giurisdizionale ed i tempi fisiologicamente lunghi che la caratterizzano è forse impossibile una verifica immediata o comunque in tempi brevi delle ricadute della formazione sul lavoro ordinario (imparare a gestire il ruolo, l’udienza,
il processo non è come imparare a ottimizzare i tempi e modi di lavoro nell’industria dove il riferimento immediato è ai parametri della
produttività e della qualità del prodotto e alla verifica del loro incremento). Ciò vale in particolare per la formazione tradizionale irrogata a livello centrale. L’esperienza dei laboratori (minorile e della
sorveglianza) insegna chiaramente che, allorquando il lavoro formativo è svolto in gruppi ristretti, con obbiettivi di lavoro ben circoscritti, con l’utilizzo di strumenti e metodi che prevedono la rivisitazione critica del lavoro svolto, è possibile individuare quali sono i
nodi problematici, è possibile elaborare ipotesi migliorative e può,
successivamente, scrutinarsi se siano intervenute modifiche nei
modi di gestione dei processi (ad es., con riferimento al processo minorile e della famiglia, è certamente verificabile se sono state modificate le prassi sulla segretazione degli atti, quale ruolo sia garantito
284
al difensore, quale uso sia fatto della consulenza tecnica, se sia aumentato l’utilizzo dell’audizione del minore, se siano state instaurate prassi di coordinamento delle iniziative degli uffici giudiziari che
si occupano delle vicende dello stesso minore e l’elenco potrebbe
continuare). Si tratta di un lavoro non facile né rapido, ma che può
costituire occasione di una nuova attività formativa e che certamente potrebbe essere gestita in modo ottimale dai referenti distrettuali
e dalla loro organizzazione.
285
LA DIMENSIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE
DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI
4.A. Verso lo spazio giudiziario europeo: un bisogno formativo centrale
a fronte di un percorso contraddittorio e incompiuto.
Esaminate sinteticamente nel primo capitolo le dinamiche che
hanno portato all’attuale quadro istituzionale e normativo della cooperazione giudiziaria ed all’incidenza delle fonti di origine comunitaria e pattizia nell’ordinamento interno, la riflessione va ora indirizzata con maggior precisione sui riflessi che tale nuovo contesto induce
sulla quotidiana attività professionale dei magistrati.
L’analisi delle prassi, e dei loro limiti, condotta con particolare riferimento all’ambito della cooperazione giudiziaria internazionale,
consente di individuare nuovi e importanti bisogni formativi.
Si è visto come la costruzione di uno spazio giudiziario comune
sia ormai da tempo una necessità ineludibile e, insieme, una questione istituzionale decisiva per il futuro dell’Unione europea.
Nell’epoca di Internet e delle nuove tecnologie, dei mercati globali
e dei flussi migratori di massa, la nuova dimensione dell’Europa, caratterizzata dall’abolizione delle frontiere interne e dalla libera circolazione delle persone, moltiplica e amplia, sia nel campo della giustizia
civile che di quella penale, i settori dell’intervento giudiziario chiamati
a regolare avvenimenti e fenomeni per loro natura transnazionali.
Le attività che ne conseguono, e che solo fino a pochi anni fa interessavano una quota marginale di magistrati, spesso in servizio presso
gli uffici di maggior dimensione, costituiscono oggi l’oggetto dell’impegno quotidiano di un numero sempre crescente di giudici e pubblici ministeri, nei campi più disparati. Il ricorso alla cooperazione giudiziaria
internazionale si rende così necessario non solo, nel campo penale, per
il contrasto alle forme più pericolose di criminalità organizzata o di delinquenza economico-finanziaria, ma anche per la cognizione di fattireato meno complessi o, tanto per fare solo alcuni degli esempi possibili nel campo civile, per la trattazione del contenzioso conseguente alla
crisi di coppie miste o alla conclusione di contratti on line.
Di più, la comunitarizzazione della cooperazione in materia civile
operata dal Trattato di Amsterdam ha già prodotto, ed ancor più produrrà in futuro, l’adozione, in ambiti rientranti nella comune esperienza giudiziaria, di norme europee direttamente applicabili negli or-
289
dinamenti nazionali. Basti al riguardo pensare ai tre Regolamenti del
29 maggio 2000, relativi rispettivamente alla notifica degli atti giudiziari, alle procedure di insolvenza ed al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, per rendersi conto della
assoluta centralità che il ruolo di giudice dei Trattati va assumendo
nelle competenze dei magistrati europei1.
Esiste peraltro uno iato evidente tra la prospettiva di un’Europa
come “spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia”, pure enunciata solennemente nel Trattato di Amsterdam e assunta come obiettivo
politico prioritario dal Consiglio europeo straordinario di Tampere2, e
la realtà attuale della cooperazione giudiziaria, che, anche a livello europeo, resta spesso lenta, complicata, aleatoria.
Le cause di questa situazione sono complesse e tra loro eterogenee.
Alla difficoltà degli Stati-Nazione ad operare reali cessioni di sovranità in un settore, quello della giustizia e specialmente della giustizia penale, che di quella sovranità costituisce un tradizionale fondamento, si
accompagnano i limiti evidenti degli strumenti internazionali, alcuni dei
quali chiaramente inadeguati alle nuove emergenze criminali così come
alle esigenze quotidiane di certezza e legalità nei rapporti tra i privati.
La pesantezza dei procedimenti decisionali e normativi, tanto a livello dell’Unione che interni ai vari Stati membri, rende inoltre difficile un tempestivo adattamento dei diversi sistemi, spostando nel
medio-lungo periodo l’efficacia degli interventi legislativi pure necessari per consentire una concreta incidenza dell’attività giudiziaria su
realtà in continua e rapidissima evoluzione.
Se questi sono i fattori più spesso evocati per spiegare la distanza
che ancora separa le giustizie europee dall’idea di un vero e proprio
1
Merita di essere menzionato al proposito anche il Regolamento adottato il 22 dicembre 2000 e relativo alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale. Questo regolamento “comunitarizza” la Convenzione detta
“Bruxelles I” del 1968, come successivamente modificata, e riprende le conclusioni raggiunte ad esito dei lavori di revisione delle Convenzioni di Bruxelles e Lugano terminati nel maggio 1999.
2
Il 15 e 16 ottobre 1999 il Consiglio europeo riunitosi a Tampere, sotto Presidenza finlandese, ha consacrato per la prima volta i suoi lavori alla creazione di uno spazio di libertà,
di sicurezza e di giustizia nell’Unione europea. Nelle Conclusioni della Presidenza, si legge
tra l’altro: “Il Consiglio europeo è determinato a fare dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia utilizzando appieno le possibilità offerte dal Trattato di Amsterdam. Il Consiglio europeo riafferma l’importanza di quest’obiettivo con un messaggio politico forte e ha
raggiunto un accordo su un certo numero di orientamenti e priorità politiche che faranno
rapidamente di questo spazio una realtà”.
290
spazio comune, ridurre i problemi che affliggono la cooperazione giudiziaria all’insufficienza del diritto internazionale positivo sarebbe
sbagliato e fuorviante.
L’esperienza quotidiana degli ordinari rapporti di cooperazione
giudiziaria tra le autorità degli Stati europei dimostra, infatti, che le
frontiere da superare non sono solo quelle disegnate dal testo delle
convenzioni applicabili, ma anche quelle, non meno dannose per la rapidità e l’efficacia dell’attività giudiziaria, che, strettamente connesse
alla diversità tra i sistemi giuridici positivi nazionali, permangono
nella cultura dei diversi attori.
Non si tratta dunque tanto della scarsa conoscenza degli strumenti internazionali che regolano la materia, quanto della difficoltà a
far comunicare tra loro, sulla base di ordinamenti giuridici che restano distinti, magistrati che sono a loro agio solo allorché sono chiamati ad applicare il proprio diritto nazionale, vale a dire norme, concetti
e categorie ben conosciuti e per ciò stesso rassicuranti.
Alla mancata armonizzazione delle norme, sostanziali e processuali, corrisponde una simmetrica resistenza dei magistrati europei ad
esplorare tutte le possibilità offerte dai rispettivi sistemi giuridici per
tentare di risolvere i problemi di comprensione reciproca che rallentano e rendono poco efficace la cooperazione giudiziaria; tutto ciò allorché nell’ambito dell’Unione essa dovrebbe fondarsi sulla fiducia di
tutti gli operatori in ordine all’esistenza di standards comuni di garanzia dei diritti fondamentali.
I risultati pratici della cooperazione giudiziaria vengono così a dipendere più dalla qualità dei diversi attori e dalla loro capacità di comunicare tra loro che da veri e propri impedimenti giuridici.
Appare necessario, dunque, individuare con maggior precisione
quali siano gli ostacoli fattuali che si frappongono ad una più fluida
comunicazione tra autorità giudiziarie dei paesi membri.
Al riguardo, si deve precisare che le barriere che si frappongono alla
comunicazione tra operatori del diritto di diversa nazionalità, lingua e
cultura, sono di varia natura e che solo alcune di esse chiamano in causa
la formazione linguistica dei magistrati (su cui vedi supra, cap. 3).
La molteplicità delle lingue parlate in Europa, pone indubbiamente problemi di traduzione da una lingua nazionale all’altra. Sino
ad oggi in seno alla Comunità Europea si è privilegiato il principio
della pari dignità di tutte le lingue con la conseguente necessità di attivazione di un imponente servizio di traduzioni in seno alla struttura
amministrativa della Commissione e del Consiglio d’Europa.
In futuro si potrà pensare ad un più largo ricorso a lingue veico-
291
lari comuni che riducono gli oneri del servizio traduzioni. Già oggi le
lingue inglese e francese godono di uno status preminente, essendo
quelle in cui vengono originariamente redatti i testi normativi ed i documenti europei.
In ogni caso, la molteplicità delle lingue parlate in Europa ed il
principio della loro pari dignità, se frappone sicuramente una barriera
alla comunicazione tra parlanti lingue comuni diverse, non sollecita interventi formativi generalizzati, essendo evidentemente inimmaginabile dotare tutti i magistrati di tutte le conoscenze linguistiche necessarie
a comunicare in tutta Europa. Piuttosto, una visione pragmatica del
problema, potrebbe suggerire una formazione linguistica mirata sia
perché rivolta ad alcuni magistrati, sia perché prevalentemente diretta
alla padronanza di alcune lingue europee particolarmente diffuse.
Accanto alle barriere linguistiche proprie del linguaggio comune,
si pongono però le barriere linguistiche del linguaggio settoriale giuridico. In tutte le tradizioni giuridiche europee infatti i giuristi utilizzano accanto alla lingua comune, un linguaggio tecnico giuridico che si
discosta, in misura più o meno accentuata, dal linguaggio comune, sia
perché ricorre a vocaboli specialistici, sia perché denota alcune parole presenti anche nel linguaggio comune con un significato tecnico
specifico. Ma ciò che rileva é che, all’interno di tale linguaggio settoriale, i termini giuridici svolgono la funzione di evocare categorie giuridiche, le quali, a loro volta, svolgono la solita funzione di tutte le categorie ordinanti che consiste nel delimitare un insieme comprendendo in esso una serie di regole o di figure giuridiche, e, soprattutto,
escludendo dall’insieme così designato altre figure e regole. Nel contesto dei linguaggi giuridici europei ciò pone un duplice problema. Da
un lato infatti termini che pure possono apparire sinonimi, in realtà
designano categorie giuridiche non coincidenti; dall’altro lato il linguaggio tecnico giuridico diviene l’espressione di una mentalità giuridica che si è radicata a livello nazionale3.
Per superare questa barriera occorre pensare ad un programma
formativo che addestri al dialogo tra giuristi appartenenti a culture
3
Circa il primo problema cui si fa cenno nel testo, si pensi al fatto che se il termine inglese “contract” può apparire facilmente traducibile con il termine francese “contrat” e con
il termine italiano “contratto”, in realtà designa una categoria giuridica che non comprende
né le donazioni né gli atti di trasferimento immobiliare. Circa il secondo problema, sia qui
sufficiente ricordare come è comunemente accettato che il termine contract esprima nella
mentalità giuridica inglese l’idea di una scambio piuttosto che l’idea di un accordo di cooperazione. Va da sé che questi esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito.
292
giuridiche diverse. Posto infatti che la creazione di uno spazio europeo di giustizia esige la comunicazione diretta di atti giudiziari i quali
sono per loro natura documenti giuridici, occorre che il soggetto scrivente acquisti consapevolezza che il soggetto recettore intenderà il significato di ciascun termine giuridico utilizzato nel quadro semantico
predisposto dalla sua mentalità giuridica. Conoscere il significato che
una parola assume nella mentalità del recettore è dunque un prerequisito essenziale di ogni comunicazione transfrontaliera. I bisogni di
formazione che ciò comporta non hanno bisogno di essere sottolineati, né di essere enfatizzati, essendo evidente la complessità del problema che si deve affrontare. Sempre in una visione pragmatica si può
solo accennare che, se il problema in oggetto fa parte della tematica
generale afferente alla formazione linguistica dei magistrati, tuttavia
la complessità e le peculiarità dei contenuti da affrontare suggerisce
almeno un avvio in sede centrale.
Un terzo tipo di barriera si frappone alla comunicazione di documenti giuridici nel contesto europeo, ed è dato dalle differenze di stile
redazionale dei documenti stessi.
Le differenze di stili redazionali sono ben note a livello di redazione delle sentenze; parimenti è nota la diversità di stile redazionale
dei testi normativi4. L’adozione di particolari cautele nella redazione di
documenti destinati ad essere diretti ad interlocutori europei si impone pertanto come un’altra necessità connessa alla comunicazione di
documenti giudiziari di cui è opportuno acquisire consapevolezza5.
La risposta delle istituzioni europee e nazionali non può, dunque,
prescindere da una complessiva opera tesa a favorire una vera e pro-
4
Si ricorda che esiste anche uno stile amministrativo, che il alcuni paesi, ad esempio
in Francia, è rigorosamente osservato anche nella redazione di documenti giudiziari. Simile stile comporta un vincolo di vocabolario, di strutturazione della frase e di forma del documento che appare connaturato nella mentalità dell’operatore nazionale, il quale lo adotta
per abitudine e facilmente si smarrisce a fronte di documenti redatti secondo uno stile diverso.
5
Ovviamente è inimmaginabile che il singolo magistrato nazionale si impratichisca di
tutti gli stili redazionali attualmente presenti in Europa, piuttosto si tratterà di comprendere fino in fondo come sia altamente improbabile che lo stile linguistico nazionale possa corrispondere ad alcunché di significativo in una altra area culturale; sicché è altamente opportuno adottare uno stile redazionale che sia il più aderente possibile al linguaggio fattuale, che è meglio suscettibile di ricevere una traduzione significativa nella lingua del recettore. Anche in questo caso appare evidente come l’apertura di uno spazio giuridico europeo
comporti bisogni specifici di formazione e di addestramento alla redazione di documenti
che siano destinati ad essere tradotti in una altra lingua europea e capiti da colleghi immersi
nella mentalità di cui tale lingua è espressione.
293
pria evoluzione culturale tra i magistrati europei o, meglio, l’emersione di una loro comune cultura della cooperazione.
Tale sforzo, nel quale all’evidenza la formazione professionale assume un ruolo centrale, appare ancor più necessario in un sistema,
come quello esistente tra i Paesi dell’area Schengen, fondato sulla corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie6.
Ormai emancipati dalla “tutela” esercitata dalle autorità centrali
nella fase di trasmissione delle domande di assistenza, i magistrati europei stentano ad appropriarsi pienamente delle possibilità offerte dai
nuovi strumenti di fronte a problemi pratici (si è detto della poca padronanza delle lingue straniere e si potrebbe aggiungere, solo a titolo di
esempio, la difficoltà di individuare correttamente l’autorità destinataria), ovvero legati alla complessità degli esercizi di diritto comparato indotta dalla diversità dei sistemi giuridici e delle strutture processuali.
Non è perciò casuale che le statistiche disponibili mostrino il permanere di una generale sottoutilizzazione del sistema di trasmissione
diretta Schengen.
Ed è interessante notare che, poiché la qualità della comunicazione tra i differenti attori della cooperazione giudiziaria è fattore decisivo per l’efficacia di quest’ultima, allorché manchi, per qualsiasi motivo, un flusso continuo e completo di informazioni tra l’autorità richiedente e quella richiesta, non solo si registrano risultati inferiori
alle attese, ma è anche difficile per gli interessati individuare le cause
di ritardi e lacune, facendo loro difetto una visione completa ed un
reale controllo dell’intero processo di assistenza.
Tutto ciò fa sì che ogni magistrato ha tendenza a reiterare i comportamenti della cui improduttività non abbia avuto percezione, contribuendo a provocare uno stallo del sistema complessivo di cooperazione giudiziaria che appare difficilmente superabile affidandosi unicamente ad interventi di carattere normativo.
Del resto, le difficoltà operative alle quali si è fatto cenno sono destinate ad aumentare, ancora una volta in modo solo apparentemente
6
L’art. 53 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, alla quale l’Italia ha aderito mediante il Protocollo del 27 novembre 1990, ratificato, in una con la Convenzione, con legge 30 settembre 1993, n. 388, prevede come è noto la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie quale mezzo ordinario di trasmissione delle domande di assistenza. In precedenza, tale forma di trasmissione costituiva un’eccezione, prevista per i casi
di urgenza dall’art. 15, secondo comma, della Convenzione europea di mutua assistenza in
materia penale (C.E.A.G.) conclusa a Strasburgo il 20 aprile 1959, rispetto al meccanismo
normale di corrispondenza tra autorità di governo.
294
paradossale, in corrispondenza del progressivo affinarsi delle forme
dell’assistenza giudiziaria.
Basti pensare alla futura applicazione dell’art. 4 dell’Accordo concluso il 29 maggio 2000 dai quindici Stati membri dell’Unione Europea e diretto a completare ed innovare diversi, qualificanti aspetti
della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959. Tale
norma convenzionale prevede infatti, ribaltando sostanzialmente la
disciplina dettata dal vigente art. 3 della Convenzione europea, che
l’autorità giudiziaria dello Stato richiesto osservi nell’eseguire la domanda d’assistenza “le formalità e le procedure espressamente indicate dallo Stato membro richiedente”.
Ne conseguiranno, con ogni probabilità, formulazioni più dettagliate ed esigenti delle domande, forse anche al di là delle effettive esigenze di utilizzabilità processuale degli atti richiesti, nonché difficoltà
supplementari per il magistrato incaricato della relativa esecuzione,
chiamato a confrontarsi, e non solo dal punto di vista teorico, con le
regole di procedura proprie di un altro sistema.
Nasce da queste considerazioni la consapevolezza che, per innalzare la qualità della cooperazione giudiziaria, alle iniziative di carattere normativo sul piano internazionale debbano accompagnarsi interventi coerenti a diversi livelli.
Innanzitutto la creazione di canali istituzionali che, favorendo la
comunicazione ed il coordinamento, anche informale, tra le autorità
giudiziarie dei diversi Stati membri, incidano, migliorandole, sulle
prassi, anche a diritto invariato.
Particolarmente importanti appaiono al riguardo gli strumenti
tendenti a fornire alle autorità giudiziarie, in un contesto caratterizzato dalla natura interstatuale della cooperazione, la possibilità di sviluppare in concreto, attraverso l’intervento istituzionale e la collaborazione di soggetti a ciò specificamente preposti, la loro capacità di diretta e utile corrispondenza con le omologhe autorità straniere: magistrati di collegamento, Rete giudiziaria europea e, da ultimo, Unità
provvisoria Eurojust7 rispondono, con funzioni e prerogative diverse,
a quest’esigenza.
7
Estremamente tempestiva rispetto alla sua prima embrionale previsione (avvenuta al
cennato Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999) è stata infatti l’istituzione (avvenuta il 14 dicembre 2000), da parte del Consiglio dell’Unione Europea, dell’Unità provvisoria di cooperazione giudiziaria denominata “Eurojust”, composta da magistrati o funzionari distaccati da ogni stato membro con il compito di agevolare il coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, prestando assistenza nelle indagini riguardan-
295
Addirittura decisiva, poi, si rivela una rinnovata attenzione alla
formazione professionale dei magistrati rispetto alla specifica dimensione della cooperazione giudiziaria internazionale. Non più vista
come un optional di lusso dell’attività giudiziaria, bensì come una condizione necessaria perché la giurisdizione possa utilmente esercitarsi
nei settori cruciali della vita civile di società complesse e interdipendenti.
4.B. La formazione come strumento per la legittimazione delle istituzioni giudiziarie nell’Europa dei cittadini e dei diritti umani.
L’apertura della formazione dei magistrati a prospettive (quantomeno) europee appare fondamentale anche sotto un altro aspetto.
Una riflessione consapevole sui sistemi giudiziari e processuali
nazionali, sulle loro concrete modalità di funzionamento, sui loro reali
esiti in termini di servizio reso alla collettività non può prescindere
oggi da una lettura condotta attraverso il prisma delle “Carte” dei diritti umani, con particolare riferimento, per l’esistenza di disposizioni
self executing direttamente azionabili mediante ricorsi individuali dinanzi alla Corte di Strasburgo, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed ai suoi
Protocolli, nonché, per il suo valore politico e simbolico, alla Carta europea dei diritti fondamentali che, ancorché non integrata nei Trattati dell’Unione, è stata adottata nel dicembre 2000 dalla Conferenza Intergovernativa di Nizza.
Al riguardo, va rilevato innanzitutto che il diritto vivente alimentato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani reagisce ed incide sui sistemi nazionali, proponendosi non solo come guida
dell’attività interpretativa ma anche come misura per una valutazione
critica del funzionamento concreto degli ordinamenti e per un confronto sulla dimensione etica dell’attività giudiziaria.
ti la criminalità organizzata, cooperando in particolare con Europol e la rete giudiziaria europea dei “Punti di contatto”, anche al fine di semplificare l’esecuzione delle rogatorie. Tempestivamente, altresì, il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha, in data
8.2.2001, conferito il proprio concerto al Ministro di Grazia e Giustizia per la nomina del
magistrato italiano rappresentante lo Stato nell’unità provvisoria. Lo stato di attuazione dell’istituto prevede peraltro l’adozione dello statuto di Eurojust entro la fine del 2001. Peraltro, con rapidità normativa pari a quella attuativa, Eurojust ha trovato collocazione, a seguito del Consiglio Europeo di Nizza, anche all’interno del Trattato sull’Unione Europea
(T.U.E.) all’interno del titolo VI del trattato.
296
La vicenda dei principi del “giusto processo”, oggi declinati nella
recente novella dell’art. 111 della Costituzione, appare al riguardo
esemplare: disegnando un nuovo rapporto tra efficienza e garanzie,
frutto di un delicato equilibrio nel quale il primo termine del binomio
può diventare talvolta condizione del secondo, essa indica la necessità
di una formazione che, per raggiungere e in qualche modo, se possibile, anticipare, obiettivi di diffuso miglioramento dei risultati del sistema giudiziario, deve far leva su una rigorosa considerazione dell’intero sistema delle fonti e, insieme, sull’analisi di ordinamenti ed
esperienze diversi da quelli nazionali.
Sviluppo del diritto comunitario, nuove forme della cooperazione
giudiziaria internazionale, centralità dei sistemi di protezione dei diritti umani, nei quali si integrano del resto le esperienze di numerose
giurisdizioni internazionali, costituiscono in definitiva altrettanti, decisivi fattori che rendono necessaria l’emersione di una dimensione
realmente europea e internazionale della formazione dei magistrati.
Ancora problematica appare l’individuazione dei parametri cui
ancorare la progettazione della formazione dei magistrati italiani
sotto i profili evidenziati.
Una rassegna delle linee vettoriali in questo senso – già in concreto abbozzata nell’elaborazione delle opzioni formative del C.S.M. degli
ultimi anni (come si avrà modo di dir meglio nel prosieguo) – può e
deve, comunque, essere tentata.
Una prima costatazione della problematicità di un tale impegno
di progettazione formativa può fondarsi sulla circostanza che, come
già accennato, in chiusura del 2000 la Conferenza intergovernativa
dei Paesi dell’U.E. ha approvato la c.d. Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea,8 senza tuttavia che alla stessa sia stato attribuito valore vincolante. La posizione degli Stati membri che, come
l’Italia, avrebbero voluto che la Carta assumesse un carattere giuridico vincolante mediante l’inserzione nei Trattati Comunitari, non ha,
come ampiamente riportato anche dagli organi di informazione, ottenuto avallo nell’ambito del Consiglio Europeo di Nizza dello scorso
dicembre.
La Carta resta pertanto, allo stato, come una solenne ed autorevo-
8
La Carta è stata varata nel rispetto delle tappe attuative previste dal Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, nonché dei principi del Consiglio Europeo di Colonia, del 3-4 giugno 1999, che dava origine al primo documento base per la redazione della
Carta stessa.
297
le dichiarazione di principi e segna solo un debole cenno verso l’ipotesi di una futura costituzione europea.
È già peraltro molto più rispetto alla laconicità, in tema di diritti
umani, del Trattato di Amsterdam, privo di una enucleazione dei diritti fondamentali riconosciuti a favore dei cittadini europei, materia
sulla quale si pronuncia soltanto l’art. 6, per cui “L’unione si fonda sui
principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni
agli stati membri”, senza tuttavia concretizzare il contenuto degli
stessi.
D’altra parte, l’Unione ormai spazia tra obiettivi di ampiezza notevole quali, oltre a quelli assai ampi in materia economico-finanziaria, quelli coinvolgenti opzioni concretamente politiche come, ad
esempio, il perseguimento di più elevati livelli di occupazione, il
rafforzamento della coesione economica e sociale, l’affermazione dell’identità europea sulla scena internazionale, l’attribuzione di una cittadinanza dell’Unione (art. 2 T.U.E.), l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune (art. 11 T.U.E-), la cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale (artt. 29 e segg. TUE); la protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità della vita.
In tale contesto, il problema che, alcuni Paesi pongono, connesso
al quesito se un potere provvisto di una sì ampia gamma di obiettivi
debba incontrare limiti giuridici ulteriori rispetto alla semplice delineazione delle competenze, effettuata nell’ambito dei Trattati, ovvero
se sia necessaria una vera Costituzione, appare di persistente attualità.
D’altro canto, non va dimenticata la tesi, autorevolmente sostenuta (parere n. 1/1991 della Corte di giustizia comunitaria) per cui: “…il
Trattato CEE … costituisce la carta costituzionale di una comunità di
diritto….”, avendo instaurato “un ordinamento giuridico di nuovo genere, a favore del quale gli stati hanno rinunciato, in settori sempre
più ampi, ai loro poteri sovrani e che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”, sancendo “ la sua
preminenza sui diritti degli Stati membri e l’efficacia diretta di tutta
una serie di norme che si applicano ai cittadini di tali Stati nonché agli
Stati stessi”.
E tuttavia tale tesi sembra contraddetta non solo dalla già evidenziata inadeguatezza dei Trattati sotto il profilo dei diritti umani, ma
anche e soprattutto da considerazioni di tipo giuridico e politico.
Solo a titolo puramente esemplificativo, si possono considerare
come indicatori di contrario segno rispetto all’esistenza, già allo stato,
298
di un vera e propria Costituzione Europea: la normativa di revisione
dell’assetto dell’Unione (che prevede la competenza di una conferenza
intergovernativa, interagente con la ratifica degli Stati membri); la eterogeneità dei regimi, fra i tre pilastri di cui l’Unione è composta; quindi la stessa portata limitata della cittadinanza europea nonché il “deficit democratico” connesso alla condivisione di poteri normativi fra
Commissione e Parlamento; infine, l’assenza di un atto costituente del
popolo europeo.
A tale funzione, non solo per la sua natura non vincolante, non
potrà assolvere nemmeno la recente “ Carta dei diritti”; e ciò, sia perché essa non aspira a gettare le basi di una effettiva Unione politica,
sia perché, su diverso versante, accanto ai diritti dell’individuo, non ne
disciplina ad esempio i doveri; né ciò meraviglia, dal momento che
questi ultimi non possono marciare troppo separatamente dall’unificazione politica.
Ed infatti, i sette capi in cui la Carta si articola (dopo un preambolo che afferma la funzionalità della stessa alla tutela dei diritti risultanti, oltre che dal trattato sull’Unione Europea e dai trattati comunitari, anche dalla CEDU) disciplinano soltanto le seguenti materie, quali elementi costitutivi dei diritti fondamentali: Dignità (capo I),
Libertà (capo II), Uguaglianza (capo III), Solidarietà (capo IV), Cittadinanza (capo V), Giustizia (capo VI), oltre alle Disposizioni generali
(capo VII).
Particolarmente importanti, ai fini che qui interessano, le disposizioni in materia di giustizia (capo VI, da articolo 46 a 50), nonché i richiami diretti alle disposizioni della CEDU (artt. 52 e 53) ed indiretti
a principi (art. 54 sull’abuso del diritto).
Senza per questo svalutare il grande valore etico-politico della
Carta in sé, non può non rimarcarsi la limitatezza degli obiettivi che
può in concreto perseguire anche nell’ambito dei limitati settori in cui
opera.
La stessa Giunta per gli affari delle Comunità Europee del Senato
ha auspicato, ad esempio, maggiore attenzione verso i nuovi diritti legati al progresso scientifico, adottando una risoluzione che auspica
l’adozione di una clausola evolutiva che consenta l’adeguamento dei
diritti sanciti nella Carta in relazione alle mutate esigenze dovute allo
sviluppo delle biotecnologie, dell’informatica, dei nuovi fattori di pericolo per la salute umana e l’equilibrio ambientale.
La riflessione sull’ancoraggio della giurisdizione, anche in termini valoriali, a nuovi parametri “europei” cui indirizzare l’attività
formativa e, prima ancora, una vera e propria rinnovata legittima-
299
zione di tutte le istanze giudiziarie dei Paesi membri dell’U.E., sarebbe tuttavia incompleta – arrestandosi ai dubbi connessi alla valenza
della “Carta” - ove non si tenesse in debito conto il fatto che, come già
anticipato, i fondamenti etico-politici della Carta medesima avevano
incontrato un momento di importante enucleazione nell’ambito delle
“Conclusioni” della Presidenza del Consiglio Europeo di Tampere dell’ottobre 1999, che a loro volta traevano anche ispirazione dall’attività
di contrasto internazionale delle violazioni dei diritti umani da parte
dell’Unione Europea. E’ questo un aspetto che non va sottaciuto, se si
apprezza l’immagine di un’“Europa dei diritti” che non sia soltanto attenta a quanto avviene, sotto tale profilo, all’interno della sua giurisdizione domestica.
È quindi importante ricordare, sul punto dei diritti umani, e sulla
più ampia legittimazione che ne deriva ai magistrati europei, come
l’Unione sia sensibile anche alle esigenze di tutela di posizioni esterne
alle Unione stessa.
Il punto 3 delle citate Conclusioni di Tampere, nel demandare infatti all’Unione l’elaborazione di politiche comuni in materia di asilo e
immigrazione ed il controllo delle frontiere esterne per arrestare l’immigrazione clandestina e combattere coloro che la organizzano, commettendo i reati internazionali ad essa collegati, nel contempo sollecita l’adozione di garanzie per coloro che cercano protezione o accesso
all’Unione europea.
Di pari importanza le disposizioni relative al perseguimento del
partenariato con i paesi di origine dei flussi migratori (nn. 11 e 12), al
regime europeo comune in materia di asilo (nn. 13-17), all’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi (nn. 18-21, disposizioni nelle quali
spicca l’individuazione dell’obbiettivo di contrasto nel razzismo e nella
xenofobia) e le disposizioni inerenti alla gestione dei flussi migratori
(nn. 22-27) nell’ambito delle quali particolare rilievo presentano le
problematiche dell’immigrazione illegale, della tratta di esseri umani
e dello sfruttamento economico dei migranti, nonché della tutela delle
donne e dei minori.
Fondamentale ai fini rimarcati è l’approccio in termini solidaristici al fenomeno delle migrazione, (nn. 11 e 26) nell’ambito di un ordinamento comunitario, in cui già il trattatto CE, all’art. 6, sancisce il divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità; divieto poi sviluppato nelle disposizioni di cui agli artt. 48 (libera circolazione dei lavoratori subordinati) 52 (libertà di stabilimento) e 59 (libera prestazione dei servizi).
Del tutto in linea con quello che può considerarsi un vero e pro-
300
prio nucleo di principi fondanti dell’“Europa dei diritti”, intesi anche
come diritti riconosciuti ai soggetti estranei alla cittadinanza dell’Unione, è il fatto che il Trattato di Amsterdam ha proceduto alla comunitarizzazione delle politiche in materia di visti, asilo ed immigrazione (nuovo titolo IV del trattato di Roma); aumenteranno, per questo
motivo, le ipotesi che vedranno la competenza della Corte di giustizia
a pronunciarsi in materia di diritti di stranieri non comunitari. Va al
riguardo ricordato che si è trattato, fino ad ora, di casi relativi al trattamento di familiari di comunitari e di cittadinivc di Paesi terzi con
cui la U.E. ha stipulato accordi di associazione.
Le problematiche del “diritto anti-discriminazione” fra cittadini
ed immigrati costituiscono dunque un tema di rilevante attualità, non
solo con riferimento agli stranieri comunitari, ma anche a quelli non
comunitari; sul punto l’Europa si sta muovendo con notevole determinazione, sia a livello normativo che nel campo della tutela giudiziaria;9 ciò di cui non può non tenersi conto, ad un tempo, sia ai fini della
configurazione del magistrato europeo come garante, in base ai principi dell’Unione, dei diritti anche di chi all’Unione non appartiene, sia
ai fini dell’individuazione di nuove sfide formative10.
L’interazione fra l’“Europa dei Diritti” e l’“Europa della Giustizia”
non sarebbe compiutamente evidenziata se non si effettuasse un rapi-
9
Dato certo è ormai quello costituito dalla configurabilità, a favore dell’immigrato,
della doppia tutela promanante dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal diritto comunitario.
Sempre sotto il profilo dei rapporti fra i diversi orizzonti di tutela, va evidenziato altresì lo scarto - oggi forse colmato - fra l’art. 3 della Convenzione e la direttiva comunitaria
n. 64/21, dal momento che, mentre il primo (divieto di tortura) viene considerato dalla Corte
di Strasburgo quale fonte indiretta del divieto di espulsione di uno straniero quando vi siano
motivi seri per ritenere che nel paese di destinazione lo stesso possa correre un rischio reale
di essere sottoposto a trattamento inumano o degradante, per la seconda tale rischio è del
tutto irrilevante, in quanto l’espulsione viene fatta conseguire ad una valutazione del solo
comportamento dell’individuo. Mostra allora sul punto grande sensibilità la Carta Europea
dei diritti, allorchè, per la prima volta (senza vincolatività concreta, va ricordato), riafferma
la validità dello stesso principio anche nell’ambito dell’Unione, riducendo la forbice fra quest’ultima ed il sistema della CEDU.
10
Sfide formative pienamente raccolte anche da altri organismi di formazione giudiziaria: ad es., l’Ecole Nationale de la Magistrature francese realizza da anni, nel quadro delle
attività del suo Dipartimento internazionale, azioni formative finalizzate alla “riduzione”
degli atteggiamenti razzistici, consapevoli o meno, nell’azione giurisdizionale; un interessante seminario in argomento, finanziato nel quadro del progetto “Grotius”, è stato organizzato in data... dal Judicial Studies Board dell’Inghilterra e del Galles, con la partecipazione di un componente del C.S.M. e quattro magistrati italiani; il seminario ha costituito la
base per la pubblicazione del volume “Racism and the Courts”, finalizzato alla formazione
dei magistrati britannici in senso anti-discriminatorio.
301
do cenno ad ulteriori significativi momenti dell’azione europea, nell’ambito ed al di fuori dei confini dell’Unione, ai fini dell’enucleazione
di nuovi diritti protetti.
Un primo richiamo va operato alla Risoluzione del Parlamento
Europeo approvata a Strasburgo il 5.7.2000, sul progetto di decisione
della Commissione, relativa all’adeguatezza della protezione garantita
dagli U.S.A. al trattamento anche informatico dei dati personali. Essa
è di estrema importanza, al di là dello specifico oggetto pure assai rilevante, sul versante della connessione fra lo “status” del cittadino Europeo e la giustiziabilità dei suoi diritti, in quanto contiene un monito alla Commissione Europea, destinataria da parte dell Parlamento di
un invito a rivedere il giudizio positivo circa l’adeguatezza del sistema
U.S.A. in ordine alla protezione dei dati personali (c.d. “Safe Harbour”
o approdo sicuro dei dati personali), monito fondato non solo sulla
circostanza che il sistema legislativo statunitense non prevede alcuna
tutela dei dati di applicazione generale nel settore privato, ma anche
su quella che la quasi totalità dei dati è trattata senza specifiche garanzie di tutela giudiziaria.
Ne risulta esaltato, dunque, il ruolo del giudice, che trae dalla costruzione dell’”Europa della giustizia” nuovi “endorsements” del proprio “status”, da intendersi non come guarentigia personale, ma come
fondamentale momento di garanzia degli stessi diritti giustiziabili, ed
in definitiva come garanzia dello “status” del cittadino europeo (ed
anche di chi cittadino non è, ma si trova in Europa).
In materia di ruolo del giudice, non può omettersi un ulteriore richiamo alla Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa, che è forse la disciplina più importante tra
quelle adottate a Strasburgo in materia di giustizia. La Raccomandazione, che si indirizza anche alle giovani democrazie dell’Est europeo
che partecipano a pieno titolo al Consiglio, concerne com’è noto l’”Indipendenza, efficienza e ruolo dei giudici”, e sancisce la doverosità per
gli Stati della tutela dell’indipendenza (preferibilmente attraverso l’istituzione di organi indipendenti tratti dalle stesse magistrature competenti per le decisioni in materia di nomina e avanzamento di carriera); della conservazione dell’autorità e della dignità della funzione
anche attraverso il mantenimento di condizioni di lavoro adeguate,
nonché il diritto alla formazione professionale anche internazionale;
del riconoscimento della libertà associativa; della rispondenza delle
procedure tendenti al trasferimento, alla riduzione degli emolumenti
ed alla sospensione o destituzione ai requisiti del giusto processo ai
sensi della CEDU.
302
I principi della Raccomandazione sono sviluppati ulteriormente nella Carta Europea sullo statuto del giudice, adottata il
10.7.1998.
Nella ricerca dei parametri cui ancorare la progettazione in tema
di formazione internazionale dei magistrati, un ulteriore richiamo afferente all’indipendenza della magistratura, che impone una particolare tutela in caso di attacchi, ma anche ai suoi doveri di riservatezza,
va operato alla sentenza in data 24 febbraio 1997, con cui la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel pronunciarsi sulla compatibilità di
sanzioni adottate nei confronti di giornalisti con il diritto alla libertà
di espressione (caso De Haes e Gijsels contro Belgio relativo alle critiche di due giornalisti sulle modalità con cui la magistratura aveva trattato un delicato caso giudiziario), nel riconoscere il ruolo fondamentale e i diritti della stampa, ha affermato che gli organi giudiziari devono poter contare sulla fiducia del pubblico ed è di conseguenza opportuno proteggerli contro attacchi infondati, “tenuto conto soprattutto del fatto che il dovere di riservatezza impedisce ai magistrati di
reagire”; nello stesso senso, anche ulteriori sentenze pronunciate dalla
Corte con riferimento ad analoghe fattispecie (cfr. sent. 16 settembre
1999).
Ancora nell’ambito dei particolari aspetti dell’evoluzione dell’“Europa della Giustizia” afferenti l’individuazione di uno statuto del magistrato europeo, va ricordato che in data 6.10.2000, il Comitato dei
Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato una raccomandazione rivolta ai governi degli Stati Membri, che enuclea 39 principi ai quali invita ad ispirarsi nelle legislazioni e nelle prassi relative al ruolo del
Pubblico Ministero nell’ordinamento penale.
Tali principi affrontano in maniera unitaria ed organica il tema,
sotto numerosi ed importanti profili riguardanti le garanzie riconosciute al pubblico ministero per l’esercizio delle sua attività, le relazioni fra il pubblico ministero ed i poteri esecutivo e legislativo, le relazioni fra il P.M. ed i giudici, le relazioni fra il Pubblico Ministero e la
polizia, i doveri e le responsabilità del Pubblico Ministero nei confronti dei singoli giudicabili, la cooperazione internazionale.
Troppo complesso il contenuto delle disposizioni per analizzarle
tutte. Se ne rammentano solo alcune di particolare interesse, perché
delineano il nucleo minimo dello statuto embrionale del P.M. europeo
e dei suoi rapporti con altre componenti istituzionali, interne ed esterne alla magistratura, ed ad un tempo le linee lungo le quali può indirizzarsi una “formazione europea” dei magistrati del P.M.: gli Stati
debbono fare in modo che ai membri del Pubblico Ministero sia rico-
303
nosciuto un diritto effettivo alla libertà di espressione, di opinione, di
associazione e di riunione, con gli specifici corollari di tale diritto; la
formazione professionale è un dovere ed un diritto per i Pubblici Ministeri, sia prima dell’assunzione delle loro mansioni che in modo permanente; è individuato, fra i contenuti minimi di tale formazione, lo
studio dei diritti dell’uomo e delle libertà quali enunciate dalla CEDU,
con particolare riferimento agli artt. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e 6 (diritto ad un equo processo) della stessa.
L’art. 13 della Raccomandazione stabilisce poi che, nei paesi in cui
il PM è subordinato al governo, la natura e la portata di tale subordinazione siano definiti dalla legge, tutte le eventuali istruzioni di carattere generale del governo siano per iscritto e pubblicate secondo adeguate modalità e, ove a carattere specifico, siano accompagnate da
sufficienti garanzie di trasparenze ed di equità, oltre che essere adeguatamente motivate e precedute dalla richiesta di parere scritto da
parte del PM competente.
Infine, in tema di cooperazione internazionale, la raccomandazione impone la massima diffusione della documentazione, l’organizzazione di sedute di formazione professionale e di sensibilizzazione, l’insegnamento delle lingue straniere, la specializzazione nel settore della
cooperazione internazionale.
La “cerniera” tra i diritti emergenti a livello europeo, tra i quali
quello all’accesso ad un giudice autenticamente indipendente, e la loro
realizzazione è ovviamente costituita dal processo.
L’impegno in tema di formazione “europea” deve coinvolgere quello, strettamente connesso, riguardante l’efficienza del processo, sia civile che penale, a fronte dei parametri costituiti, in sede europea, dall’art. 6 CEDU e da altre disposizioni di origine internazionale.
A fronte della nota crisi dei tempi della giustizia nel nostro Paese,
il Consiglio Superiore della Magistratura – intendendo dare il proprio
contributo alla soluzione dei problemi – ha adottato, a distanza ravvicinata, due risoluzioni: la risoluzione del 15 settembre 1999, volta a
sensibilizzare i capi degli uffici giudiziari sulla tematica della ragionevole durata del processo; la risoluzione adottata il 6 luglio 2000, nella
quale si illustrano i passi avanti compiuti dal nostro Paese nell’anno.
Anche quello della gestione dei tempi processuali, come è ovvio, è
un tema che chiama in causa, direttamente, la formazione dei magistrati; ed è tema che assume rilevanza europea, se non altro, per le ripetute condanne riportate dall’Italia innanzi alla CEDU per violazione
del termine di ragionevole durata del processo, nonché per l’esigenza
che anche il nostro Paese proceda nel senso dell’accelerazione e della
304
semplificazione processuale, valori questi solennemente riaffermati a
Tampere nell’ottobre 1999.
Se è assolutamente indubbio che, sulla durata dei processi in Italia, una pesantissima ipoteca è stata imposta da deficienze di carattere normativo, strutturale e logistico, bisogna tuttavia ammettere che le
responsabilità degli operatori del sistema giustizia - quelle dei magistrati, ma anche quelle degli altri operatori, fra cui anche gli avvocati
- hanno avuto un loro peso.
È per questo che il C.S.M. - anche sulla base di un elaborato parere collegiale dell’Ufficio Studi, successivamente pubblicato in un
Quaderno del Consiglio stesso - ha adottato una serie di misure atte ad
incidere sui tempi dei processi, per quanto di competenza, tra l’altro
ollecitando con le citate risoluzioni i capi degli uffici ad evitare l’uso
dilatorio degli strumenti processuali, vietando tra l’altro le udienze di
mero rinvio, vigilando sui tempi assegnati ai consulenti tecnici d’ufficio, impedendo usi dilatori degli artt. 181 e 309 c.p.c., curando il tempestivo deposito dei provvedimenti e vigilando sui puntuali adempimenti delle cancellerie.
E ciò, non solo al fine di garantire il rispetto dei parametri europei, ma ancor prima, allo scopo di favorire, prima ancora che attraverso leggi di attuazione, il rispetto dei principi di cui all’art. 111 della
nostra Costituzione, quanto alla ragionevole durata dei processi.
Anche in tale ambito - sottolinea il C.S.M. - la formazione assume un
ruolo centrale; in questo senso, in ciascun incontro avente ad oggetto
tematiche processuali, i magistrati dovranno confrontarsi sulle esigenze poste dal rispetto della durata ragionevole del processo.
Per tracciare una provvisoria conclusione sui temi appena sfiorati nell’esposizione che precede, può affermarsi dell’“Europa dei cittadini” impone al magistrato europeo, come responsabile dell’evoluzione interpretativa ed applicativa del diritto, nel quadro dei limiti imposti dall’organizzazione del servizio-giustizia di spettanza del potere
esecutivo, di prendere atto, anzitutto, traendone le conseguente nel
momento della decisione giudiziaria, del rinnovato ambiente valoriale “europeo” in cui si inserisce l’azione del giudice, ambiente cui è connaturata una domanda di giustizia legittimata da norme non soltanto
interne, ma anche sopranazionali; di prendere atto, poi, del ruolo europeo assunto dalla stessa figura del magistrato, sia giudicante che del
pubblico ministero (quest’ultimo sempre più incline, anche negli altri
paesi, ad acquisire uno statuto di indipendenza ed una trasparenza di
azione prossimi a quelli anticipati dal Costituente italiano del 1946),
con la correlativa acquisizione di una cultura europea della giuri-
305
sdizione, fondata non soltanto sulle conoscenze giuridiche, ma anche
su nozioni (si pensi alle già richiamate disposizioni in tema di divieto
di discriminazione, di tutela dei soggetti deboli, di divieto dei trattamenti disumani) desunte dalla sociologia, dalla storia, dalla filosofica
e dalla psicologia, quali scienze affermatesi nello specifico ambiente
culturale europeo, che hanno contribuito a delineare il nascente diritto di cittadinanza d’Europa.
Per l’adeguamento della legittimazione della magistratura, e del
servizio-giustizia nel suo complesso, alle esigenze poste dall’”Europa
dei cittadini”, sì da potersi realizzare un’”Europa della giustizia” come
configurata dal Trattato di Amsterdam e dalle Conclusioni di Tampere, particolarmente importante è, dunque, il ruolo della formazione
europea dei magistrati, che quella cultura “europea” debbono poter
acquisire sia in sede di tirocinio iniziale, che in sede di formazione
continua, come del resto sancito dai richiamati atti internazionali.
4.C. La formazione internazionale ed europea del C.S.M..
La dimensione internazionale e, più specificamente, europea non
rivestiva sicuramente alcun rilievo prioritario nell’ambito dell’attività
di formazione dei magistrati italiani alla metà degli anni ‘90. Infatti,
con la relazione approvata dal Plenum del C.S.M. l’11.10.1995, nel
darsi atto che ancora in quell’anno si era tenuto un solo seminario di
diritto comunitario in riferimento al settore civile ed un altro solo seminario dedicato all’incidenza del diritto comunitario e internazionale sul processo penale, si auspicavano interventi tesi ad incrementare
l’attività di formazione nel comparto, anche attraverso la sperimentazione di corsi decentrati di base possibilmente sovvenuti a livello comunitario, riservando alla formazione centrale l’approfondimento di
tematiche particolari11.
Già nel 1995 si aveva, peraltro, l’avvio di qualche interessante
esperienza formativa in collaborazione con istituzioni straniere di formazione giudiziaria12.
Il periodo successivo ha conosciuto significative evoluzioni nel
11
“La formazione professionale del magistrato - Relazioni e considerazioni sull’attività
svolta”, in Quad. C.S.M. n. 88 del maggio 1996, pp. 105 ss.
12
Il riferimento è al seminario italo-francese sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero” tenutosi a Roma dal 23 al 25 ottobre 1995.
306
senso auspicato, attraverso impulsi, talora contestuali e talora successivi, verso la promozione di attività riconducibili a diverse tipologie
strutturali a seconda della utilizzazione o meno di “know how” formativo riveniente dalla collaborazione con istituzioni preposte alla
formazione giudiziaria di altri Paesi, sì da potersi distinguere tra:
(a) attività organizzate autonomamente dal C.S.M.;
(b) attività organizzate sulla base di cooperazioni bilaterali con
istituzioni responsabili della formazione dei magistrati in altri Paesi,
sia dell’Unione Europea che al di fuori dell’ambito comunitario;
(c) attività organizzate nell’ambito di un quadro stabile di cooperazione multilaterale tra tutte le strutture di formazione giudiziaria
dei Paesi dell’Unione europea.
Indipendentemente dalla struttura collaborativa adottata, sotto il
profilo finanziario le iniziative formative internazionali hanno talora
gravato esclusivamente sulle risorse proprie del C.S.M. (e di eventuali
organismi “partner”), talora hanno fruito di contributi da parte dell’Unione Europea nel quadro delle diverse azioni comunitarie tese a
favorire la formazione in determinati settori.
Sotto un profilo cronologico, l’impulso alla formazione internazionale e, soprattutto, europea dei magistrati italiani ha conosciuto
una prima fase, con avvio nel 1996 sulla scia di esperimenti precedenti, corrispondente alla realizzazione, in collaborazione bilaterale
con istituzioni straniere, di iniziative formative, a livello centrale, di
carattere comparatistico nel settore dell’ordinamento giudiziario,13
ovvero di approfondimento circa le tecniche di cooperazione giudiziaria14.
13
Cfr. l’incontro Italia-USA (in collaborazione con l’amministrazione statunitense, ma
al di fuori delle forme cooperative tipiche tra enti di formazione giudiziaria) sul tema “Giudici e Pubblico Ministero nel sistema penale americano”, tenutosi nel giugno-luglio 1996; il
seminario di studio italo-portoghese (organizzato dal C.S.M. con l’omologo Centro de Estudos Judiciàrios) sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento
al pubblico ministero”, del dicembre 1996; il seminario di studio italo-tedesco, organizzato
d’intesa con il Ministero competente per la formazione, sul tema “Ordinamento giudiziario
comparato con particolare riferimento al principio di obbligatorietà dell’azione penale”, dell’ottobre 1997; il seminario italo spagnolo, pur esso nel quadro della cooperazione con l’omologa istituzione spagnola, sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare
riferimento all’assetto della magistratura” del novembre 1997; gli ultimi due seminari venivano ammessi a contribuzione finanziaria da parte della Commissione europea nel quadro
del progetto “Grotius”.
14
Cfr. il seminario anglo-italiano del luglio 1998 sul tema “La cooperazione giudiziaria
tra Italia e Regno Unito per la repressione della criminalità organizzata”, ammesso a contributo finanziario nel quadro del progetto “Grotius”.
307
Le iniziative in parola, che dopo un periodo di rodaggio in autonomia, venivano sottoposte agli organi comunitari per l’ottenimento
di sovvenzioni, non mancavano peraltro di episodicità, collocandosi al
di fuori dell’ordinario programma di formazione e venendo rese note
ai magistrati fruitori di volta in volta, sì da non consentirsi una utile
individuazione dei destinatari in funzione dei bisogni formativi.
Parallelamente, solo in via occasionale, e sempre al di fuori della
programmazione ordinaria, venivano divulgate nei confronti della generalità dei magistrati le iniziative formative realizzate da istituzioni
straniere, cui veniva richiesta la partecipazione di magistrati italiani.
Una seconda fase dell’attività di formazione in questione, in sostanziale contestualità con la prima in quanto risalente ad una programmazione del 1996 ed ad una realizzazione avviata nel primo semestre del 1997 e continuata sino ad oggi, può ricollegarsi alle attività
di formazione di base, a livello interno decentrato, nel campo del diritto comunitario e, più in generale, della cooperazione giudiziaria civile e penale e del diritto internazionale privato.
La sperimentazione, iniziata con delibera del C.S.M. del
12.2.1997, si muoveva in parallelo con l’approvazione presso la Comunità europea dell’azione “Robert Schuman” volta ad ottenere una
sensibilizzazione degli operatori della giustizia al diritto comunitario;15 le iniziative formative in parola sono state infatti parzialmente finanziate a livello comunitario.
Il modulo formativo, sul tema “L’incidenza del diritto comunitario
e del diritto internazionale sul processo civile e sul processo penale”16,
si articolava su tre giornate di lavori in tre settimane consecutive, con
partecipazione obbligatoria degli uditori giudiziari e facoltativa dei
magistrati in servizio presso ciascun distretto di Corte di appello individuato per lo svolgimento dell’iniziativa, nonché con apertura agli avvocati e ai giudici di pace. I temi da trattare erano stati previamente
determinati a livello centrale, ove pure venivano predisposti i materiali di studio e consultazione, mentre sull’individuazione dei relatori e
15
Il progetto Robert Schuman è stato istituito dal Parlamento Europeo e dal Consiglio
della Comunità Europea con decisione n. 1496/98/CE del 22 giugno 1998; peraltro già nelle
more dell’approvazione della relativa proposta fu consentito sottoporre richieste di sussidio,
ciò cui provvide il C.S.M.
16
Il modulo veniva variato nel tempo, nel 1998 eliminandosi dal programma, in una
sua seconda versione (“Corsi di formazione in diritto comunitario: le istituzioni, la Corte di
Giustizia, il diritto sostanziale”), la presentazione delle novità in materia internazionalprivatistica, dato il trascorrere del tempo dall’entrata in vigore della nuova disciplina, ed introducendosi sessioni specialistiche di natura civilistica e penalistica.
308
sugli aspetti organizzativi veniva promossa una concertazione tra gli
organi centrali della formazione consiliare ed i consigli giudiziari, che
avrebbero provveduto al riguardo attraverso la designazione di “magistrati collaboratori”.
I corsi, realizzati nel 1997 in 8 sedi distrettuali ed interdistrettuali,17 raggiungevano 700 partecipanti circa.
Il medesimo modulo veniva seguito nel 1998, allorché ebbero a
fruire di corsi della specie circa 600 magistrati ed uditori in servizio in
7 distretti di Corte d’Appello18.
Nel 1999 veniva disposta l’organizzazione di altri 6 seminari del
medesimo tipo,19 mentre nel 2000 veniva disposta l’organizzazione di
13 seminari20, sì completandosi il progetto di effettuare un corso di
base sulle tematiche predette in tutti i distretti giudiziari italiani.
Sempre nel 1999, avvicinandosi il completamento dell’iniziativa di
base, il C.S.M. presentava alla Commissione europea, sempre nell’ambito dell’azione “Robert Schuman”, un ulteriore progetto formativo
stavolta finalizzato a portare un’offerta formativa specialistica, in un
periodo di due anni, ai magistrati di tutti i distretti giudiziari italiani;
il tema da trattare, di grande attualità, veniva individuato nel “Trattato di Amsterdam e l’evoluzione del diritto dell’Unione Europea”, con
sottolineatura dei rapporti tra i tre “pilastri” dell’U.E., dell’ampliamento dell’ambito comunitario, del ruolo della Corte di Giustizia e dei
diritti fondamentali.
Ammesso il progetto a finanziamento, nel 2000 venivano realizzati - sempre con il coinvolgimento delle strutture locali di autogoverno
- 13 seminari della durata di una giornata. Nel 2001 l’iniziativa formativa avrà luogo nei residui distretti di Corte d’Appello, nuovamente
realizzandosi l’obiettivo di un’offerta formativa estesa a tutto il territorio nazionale.
Nel marzo 2001 il Consiglio avanzava alla Commissione U.E. una
nuova istanza di sovvenzione “Schuman”, per la realizzazione in alcune sedi interdistrettuali, nel 2002, di seminari - da inserirsi a pieno titolo nell’ambito della formazione decentrata - aventi ad oggetto i re-
17
Venezia, Bologna e Trieste furono le sedi individuate in via sperimentale; seguirono
nell’anno Firenze, Reggio Calabria-Messina, Palermo, Napoli, Cagliari-Sassari.
18
Milano, Torino, Lecce, Bari, Roma, Campobasso, oltre Napoli (corso reiterato per la
presenza di domanda formativa insoddisfatta).
19
Salerno, Ancona, Genova, Perugia, Trento-Bolzano, Catania.
20
Roma, Napoli, Torino, Milano, Venezia, Firenze, Bari, Palermo, Reggio Calabria,
Trieste, Genova, Perugia e Salerno.
309
golamenti comunitari del maggio 2000 e del dicembre 2000 in materia di procedure di insolvenza, riconoscimento delle sentenze e decisioni in materia matrimoniale, notificazioni, nonché recepimento
della Convenzione di Bruxelles I.
La terza fase dell’impulso consiliare verso la formazione internazionale dei magistrati si ricollega all’integrazione dell’offerta formativa
(destinata ad essere attuata sia in Italia che all’estero) riveniente dalla
collaborazione bilaterale con organizzazioni “partners”, con l’autonoma offerta formativa consiliare sul piano interno, a livello sia centrale
che decentrato.
Soffermando per un momento l’attenzione sull’offerta centrale sul
piano interno, deve rilevarsi che nel 1996 e 1997, come già nel 1995,
venivano organizzati per ciascun anno - al di fuori di quanto già sopra
richiamato - due soli altri incontri di studi di tipologia internazionale
o europea;21 nel 1998 si soprassedeva del tutto da azioni in tale settore
stante il consolidarsi delle iniziative su base decentrata22.
Nel 1999 il Consiglio superiore della magistratura - anche in relazione alla contemporanea evoluzione verso un quadro stabile dei rapporti di collaborazione con gli altri organismi europei di formazione
giudiziaria - prendeva atto della necessità che, onde proseguire nell’offerta di corsi in materia internazionalistica e, soprattutto, europea
a livello centrale, la relativa programmazione tenesse conto dei livelli
di formazione erogati complessivamente sia attraverso le iniziative interne decentrate, sia attraverso le iniziative sulla base di cooperazioni
bilaterali (e, poi, multilaterali), indipendentemente dall’essere realizzate in concreto le iniziative stesse da parte del Consiglio ovvero di organismi “partners”. Veniva sottolineata, altresì, l’esigenza di trasparenza dell’offerta formativa nel settore, onde fugare impressioni negative talora associate soprattutto all’offerta di sessioni all’estero, ciò che
in astratto poteva rendere apprezzabili attività della specie per ragioni estranee all’intrinseco contenuto formativo.
21
Il riferimento è, per il 1996, all’incontro n. 4 sul tema “Diritto comunitario e internazionale privato” ed all’incontro n. 26 sul tema “Diritto comunitario e cooperazione penale”, nonché, per il 1997, all’incontro n. 296 su “Diritto comunitario e cooperazione penale”
ed al n. 307 su “Diritto comunitario e diritto internazionale privato”. Va peraltro segnalato
che in pari epoca, nel primo semestre del 1997, prende avvio il programma, di grande respiro, di formazione decentrata in diritto comunitario, cui sarà fatto cenno nel prosieguo del
testo.
22
Tale la motivazione espressa nelle “Considerazioni generali sulla programmazione
degli incontri di studio” in apertura del “Programma” relativo al 1998, in Quad. C.S.M. n. 97
del 1997, p. 15.
310
Si perveniva, conseguentemente, alla determinazione - nell’ambito
della sistemazione, operata a livello generale con il Programma del
1999, dell’offerta di corsi all’interno di “aree tematiche” tese ad evidenziare i diversi settori d’intervento formativo del C.S.M. - di creare una
specifica “area della formazione, assai consistente per quantità e qualità
dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e del diritto comunitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre
più rilevanti e complesse attività di cooperazione tra i magistrati italiani e le autorità giudiziarie straniere.” In detta area, denominata “Diritto
comunitario, internazionale e comparato”, nell’ambito del Programma
del 1999 venivano fatte rifluire e divulgate anticipatamente ben sette iniziative (di cui quattro da tenersi all’estero23), originate sia dalla cooperazione bilaterale con organismi stranieri di formazione dei magistrati,
sia dalla cooperazione all’interno di programmi di sostegno dell’U.E.,
sia dall’autonoma iniziativa consiliare, a livello centrale e decentrato,
eventualmente anche in questo caso con sostegno comunitario.
Il percorso individuato nel 1999 trovava feconda prosecuzione nel
2000 (con cinque corsi, tutti da tenersi in Italia, inseriti nell’area “internazionalistica” nel quadro del c.d. “libretto verde”, oltre altri corsi
offerti separatamente)24 e nel 2001 (con nove corsi, dei quali quattro
all’estero, inseriti nell’area “internazionalistica del c.d. “libretto
verde”, oltre altri corsi offerti separatamente)25.
23
Per il 1999 si aggiungeva ai corsi indicati nel programma altresì un Simposio organizzato dall’ERA sul tema “Verso uno spazio giudiziario europeo - la cooperazione giudiziaria in materia penale” in date 13-15 ottobre 1999, nonché l’annuale “stage” per magistrati
italiani presso la Corte di Giustizia delle C.E.
24
Non erano infatti noti, al momento della redazione del libretto verde, il corso presso
l’Ecole Nationale de la Magistrature a Parigi in date 25-29 settembre 2000 su “I référés nell’ordinamento processuale civile francese”, il corso organizzato dall’Escuela nella materia
penale ai quali tutti, sulla base della cooperazione bilaterale tra istituzioni formative, venivano ammessi magistrati italiani; magistrati italiani partecipavano altresì ad un corso organizzato a Londra dal Judicial Studies Board sul tema “Il contrasto al razzismo nell’amministrazione della giustizia”, ad un corso organizzato a Hjortviken in date 21-24 marzo 2000
dall’Amministrazione giudiziaria svedese sul diritto processuale in riferimento alla materia
minorile, ad un corso organizzato dal Centro di formazione e studi della magistratura dei
Paesi Bassi a Maastricht dal 24 al 25 maggio 2000 sul tema “La qualità della giustizia in una
prospettiva internazionale”; questi ultimi incontri di studi tutti sovvenuti dell’U.E: nell’ambito del progetto “Grotius”.
25
I quattro corsi all’estero erano costituiti dalle iniziative sul tema “I sistemi giudiziari
dei Paesi membri dell’Unione europea” programmati nel quadro delle attività della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (R.E.F.G.), realizzati dal novembre 2000 in poi da Belgio,
Spagna e Francia (avendo i Paesi Bassi, allo stato, soprasseduto dall’organizzazione) secondo uno schema analogo a quello seguito dal C.S.M. per l’organizzazione del corso n. 527 del
2001.
311
4.C.1. I contenuti dell’offerta formativa.
A fronte dell’offerta via via sempre più integrata, quanto alla tipologia organizzativa, di iniziative formative nel settore internazionalistico, si evolveva altresì il profilo contenutistico dell’offerta stessa, in
significativo parallelismo con gli stimoli provenienti dal contesto
esterno.
Quanto a quest’ultimo, va in particolare segnalato che il C.S.M. e
gli omologhi partners stranieri nel settore della formazione giudiziaria
ad un tempo seguivano gli stimoli provenienti dall’elaborazione in
sede comunitaria circa l’individuazione dei bisogni formativi degli
operatori della giustizia, che si concretavano nella predisposizione di
specifiche “azioni” comunitarie finalizzate a sostenere finanziariamente iniziative di formazione con determinati contenuti; e, allo stesso tempo, con le modalità cooperative di cui si farà cenno nel prosieguo e, se del caso, anche attraverso gli opportuni raccordi istituzionali con le autorità governative, assecondavano l’elaborazione delle relative linee-guida26.
In proposito, può richiamarsi che sotto il profilo contenutistico
l’Unione Europea, nel settore Giustizia ed Affari Interni, ha di tempo
in tempo incoraggiato attività formative, oltre che in generale in vista
della sensibilizzazione al diritto comunitario (attraverso l’azione “Robert Schuman” cui si è già fatto cenno), tendenti al perseguimento di
obiettivi formativi soprattutto nei settori:
a) della conoscenza reciproca dei sistemi giuridici e giudiziari degli
Stati membri e della promozione della cooperazione giudiziaria tra gli
Stati stessi nelle aree del diritto civile, del diritto penale ed in generale; tali obiettivi, già perseguiti da un unico programma rivolto a beneficio dei professionisti legali (tra i quali i magistrati), denominato
“Grotius” ed istituito con Azione Comune n. 636 del 1996, saranno
conseguiti, a far tempo dal 2001, da due programmi separati, il primo
adottato con Regolamento n. 290/2001 del Consiglio del 12 febbraio
2001 ed il secondo con strumento in corso di adozione, denominati rispettivamente “Grotius I” e “Grotius II”, avente ad oggetto il primo le
26
Può notarsi sin d’ora con soddisfazione, nel predetto quadro, come una delle importanti azioni comunitarie in questione, finalizzata alla formazione nel settore del contrasto
alla criminalità organizzata, sia intitolata al compianto magistrato italiano dr. Giovanni Falcone, per cui i relativi programmi vengono denominati nella pratica come afferenti al progetto “Falcone europeo”, per distinguerli dai corsi “Falcone” (poi divenuti “Falcone-Borsellino”) dedicati dal C.S.M. alla formazione sul piano interno nelle medesime materie.
312
tematiche civilistiche (ricadenti nell’ambito del Trattato istitutivo della
Comunità europea) ed il secondo quelle generali e penalistiche (ricadenti nell’ambito del Trattato istitutivo dell’Unione Europea);
b) del contrasto al traffico di esseri umani ed allo sfruttamento sessuale dei minori; trattasi di obiettivo perseguito in base all’Azione Comune n. 700 del 1996 istitutiva del programma “Stop”;
c) delle politiche dell’asilo, dell’immigrazione e dell’attraversamento
delle frontiere esterne; trattasi di obiettivo perseguito in base all’Azione
Comune n. 244 del 1998 istitutiva del programma “Odysseus”;
d) del contrasto alla criminalità organizzata; trattasi di obiettivo
perseguito in base all’Azione Comune n. 245 del 1998 istitutiva del
programma “Falcone”27.
Al riguardo, deve notarsi, anzitutto, come il C.S.M. abbia utilizzato sostanzialmente tutte le opportunità offerte dai predetti programmi
europei, tenuto conto della portata assai ampia del programma “Grotius” e dell’interesse rivestito dai contenuti proposti dai programmi
“Falcone” e, in parte, “Odysseus” e “Stop”28.
Indicazioni al riguardo possono desumersi dal prospetto di seguito riportato, nel quale sono indicati i progetti sovvenzionati:
- seminario in collaborazione con l’A.R.P.E., programma Falcone
1998, sul tema “Forme internazionali di corruzione” (ottobre 1999): contributo finanziario pari a 111.500 ECU;
- corso di “Formazione globale per i magistrati addetti alle nuove
forme di cooperazione giudiziaria penale” (novembre 1999): contributo
finanziario pari a 116.404 ECU – programma Grotius;
- seminario di formazione e scambio di esperienze operative tra autorità giudiziarie, di polizia e doganali di Italia, Francia e Spagna: Le
nuove forme delle attività transfrontaliere di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti” (in corso di svolgimento): contributo finanziario pari a 74.900 Euro - programma Falcone;
- “Workshop in video-conferenza sulle audizioni a distanza nei processi di criminalità organizzata. Esperienze europee e prospettive della
cooperazione giudiziaria”: contributo finanziario pari a 58.988 Euro programma Grotius;
27
Minore importanza rivestono, ai fini della formazione giudiziaria, programmi quali
l’”Oisin” (Azione Comune n. 12 del 1997), finalizzato alla promozione della cooperazione
tra forze di polizia, ed altri, pure gestiti dalla Commissione nel settore Giustizia e Affari interni.
28
In relazione al programma “Stop” soltanto, allo stato, non sono state avanzate istanze di finanziamento.
313
- “Seminario sulla fase esecutiva del processo penale in Europa”:
contributo finanziario pari a 73.800 Euro - programma Grotius;
- Seminario “Accesso alla giustizia, assistenza legale ai non abbienti e strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti”: contributo finanziario pari a 66.293 Euro - programma Grotius.
Nell’implementazione delle iniziative formative il C.S.M. ha avuto
presente come obiettivo – anche e soprattutto alla luce degli argomenti
selezionati - quello di effettuare un percorso nell’ambito dei principi e
delle concrete espressioni dei valori della giurisdizione dei Paesi dell’Unione, alla ricerca di punti di contatto, ravvisabili nell’esistente,
rappresentativi di una piattaforma comune di crescita, nonché dei
punti di riferimento utili al riempimento di lacune normative oltre che
al miglioramento delle prassi applicative29.
4.C.2. La rete europea di formazione giudiziaria.
Una quarta ed ultima fase, tuttora in corso, dell’impegno consiliare nel settore della formazione internazionale dei magistrati italiani si
ricollega alle evoluzioni istituzionali, dianzi cennate, in relazione alle
quali la formazione giudiziaria sembra, nel medio periodo, pur rimanendo tra le attribuzioni degli organismi nazionali - organismi di regola di emanazione maggioritaria delle stesse magistrature, a fini di
garanzia dell’indipendenza - destinata a costituire oggetto di interesse
sopranazionale, a fini di coordinamento per il perseguimento di determinati obiettivi.
Limitando la prospettiva agli ambiti connessi all’Unione Europea,
tenuto conto che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e
dopo il Consiglio europeo di Tampere del 1999 la creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia è divenuta una priorità dell’Unione Europea, è affermazione comune che il buon funzionamento
dello spazio giudiziario europeo implica la consapevolezza, da parte
dei magistrati, dei sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri,
29
Né è mancata la consapevolezza che l’azione dell’Unione debba svilupparsi lungo binari separati per la giustizia civile e quella penale. Mentre l’azione nel primo settore infatti,
grazie al Trattato di Amsterdam, procede nella corsia privilegiata del primo pilastro dell’Unione (agli organi della Comunità è quindi riconosciuta potestà normativa attraverso direttive e, soprattutto, regolamenti comunitari), quella nel secondo settore, inserita nel terzo pilastro (quello della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) resta affidata alle
azioni comuni ed alle convenzioni fra Stati membri.
314
nonché degli strumenti nazionali, europei ed internazionali della cooperazione giudiziaria, e che per la promozione di tale consapevolezza
la formazione dei magistrati rappresenta una risorsa essenziale.
Non potendo l’U.E. sostituirsi agli organismi preposti alla formazione negli Stati membri nell’organizzazione regolare di iniziative formative per i magistrati, volte a far emergere progressivamente le basi
di una comune cultura e identità giudiziaria europea, da un lato deve
affermarsi un ruolo degli organismi stessi, grazie alla propria esperienza a livello nazionale nel settore della formazione dei magistrati,
nel contribuire al processo di costruzione dello spazio giudiziario europeo attraverso il coordinamento delle rispettive iniziative formative,
la messa in comune di esperienze, nonché l’interlocuzione nei confronti della Commissione dell’U.E. e degli stessi governi sui temi d’interesse; dall’altro, deve riconoscersi all’U.E. l’opportunità di proseguire nell’impegno intrapreso nel sostenere iniziative formative finalizzate al raggiungimento degli obiettivi connessi alla realizzazione dello
spazio giudiziario europeo.
In questo quadro, va richiamato che i contatti tra le istituzioni
che, nei diversi Stati dell’Unione Europea, sono responsabili per la formazione dei magistrati facenti parte dell’ordine giudiziario si sono di
recente rafforzati.
Se, come accennato, a metà degli anni ‘90 le istituzioni stesse avevano avviato una cooperazione che era finalizzata a coordinare, per lo
più su basi bilaterali, l’attività da ciascuna di esse svolta, talora con il
sostegno finanziario dell’Unione Europea, nel periodo successivo la
cooperazione instaurata si è avviata verso un’evoluzione multilaterale,
finalizzata a realizzare attività formative più sofisticate e, contemporaneamente, a svolgere il ruolo trainante, nel senso dinanzi indicato,
verso la promozione, attraverso una formazione giudiziaria autenticamente europea, di una comune identità dei magistrati dell’Unione.
Nella prospettiva della creazione dello spazio giudiziario europeo,
gli organismi responsabili per le formazione giudiziaria europea si
riunivano quindi, in due sessioni plenarie in Roma il 4 ottobre 1999 e
in Treviri il 4.2.2000, oltre che in sessioni ristrette nell’ambito di gruppi di lavoro, onde porre le basi per una cooperazione in materia di
analisi ed identificazione dei bisogni di formazione, di scambio di
esperienze nel campo della formazione giudiziaria, di elaborazione di
programmi e di metodi collaborativi di formazione (in particolare
quanto al ricorso alle nuove tecnologie), di coordinamento dei programmi e delle attività dei diversi organismi (in particolare per ciò che
interessa le iniziative dell’Unione europea), nonché di messa a dispo-
315
sizione delle istituzioni europee e degli altri organismi nazionali ed internazionali della propria esperienza e del proprio saper fare, in particolare al fine di favorire l’adesione all’Unione dei Paesi candidati.
All’esito dei lavori della terza riunione plenaria di Bordeaux del
12-14 ottobre 2000, ai cui partecipavano altresì esponenti delle istituzioni di formazione giudiziaria dei Paesi candidati all’adesione
all’U.E., nonché esponenti della medesima U.E. e del Consiglio d’Europa, e che venivano conclusi da un intervento del Vice Presidente del
C.S.M. prof. Verde, veniva avviata la sottoscrizione della “Carta” della
Rete Europea di Formazione Giudiziaria (R.E.F.G.)30, quale dichiarazione di principi cui, anche sul piano organizzativo, i diversi organismi si sarebbero attenuti in futuro onde proseguire nella collaborazione instaurata, nell’attesa dell’adozione di uno strumento giuridico
dell’U.E. che riconoscesse la Rete stessa.
La Rete si è organizzata attraverso un Segretariato rotativo, da affidarsi ad una delle organizzazioni “partners”, da prescegliersi ad
opera dell’Assemblea, organo volitivo da convocarsi annualmente,
competente anche per la nomina di Commissioni di studio; tra una
riunione e l’altra dell’Assemblea le decisioni opportune vengono assunte da un Comitato di coordinamento, preposto ad affiancare il Segretariato.
Il sito Web della “Rete”, realizzato con il supporto del progetto
“Grotius”, allo stato in inglese e francese, risponde temporaneamente
all’indirizzo www.jsboard.co.uk/EJTN. Un dominio autonomo sarà registrato a breve; nel sito saranno immessi i progetti e le relazioni conclusive dei progetti “Grotius” sinora realizzati dagli organismi membri. Successivamente si esamineranno le modalità di alimentazione
del sito, che in prospettiva dovrebbe rappresentare utile strumento per
la formazione a distanza, soprattutto dei magistrati dei Paesi candidati all’adesione all’U.E.
Gli organi della Rete sono stati costituiti in occasione della prima
30
Nell’ambito dell’incontro di Bordeaux la Carta della REFG è stata sottoscritta dai rappresentanti della Scuola Giudiziaria della Spagna, dal Ministero del medesimo Paese (competente per la formazione dei pubblici ministeri), della Scuola giudiziaria portoghese e delle
Commissioni di studi giudiziari dell’Irlanda e della Scozia, per cui la stessa entrava in vigore essendosi raggiunto il numero sufficiente di adesioni.. Dopo l’incontro di Bordeaux sono
pervenute all’Accademia di Diritto Europeo di Treviri, depositaria degli originali sottoscritti
della REFG ai sensi della Carta, le sottoscrizioni del C.S.M. - il cui Vice Presidente aveva ritenuto di posporre la sottoscrizione all’esito di informativa da rendersi al Ministro della Giustizia - e di tutti gli altri organismi di formazione dei magistrati ordinari dei Paesi membri
dell’U.E.
316
Assemblea, convocata a Stoccolma in data 29-30 marzo 2001. In tale
ambito, il Consiglio Superiore della Magistratura è entrato a far parte
del Comitato di Coordinamento della Rete, nonché riveste la qualifica
di Presidente del Gruppo di lavoro sui “Programmi” della Rete stessa,
in coerenza con i contenuti di risoluzione dell’Assemblea plenaria del
Consiglio in data 21.3.2001 che evidenziava il particolare impulso dell’organo di formazione giudiziaria italiano verso l’evoluzione dei contenuti dell’attività della Rete medesima.
In data 10.11.2000, a seguito della riunione di Bordeaux, la Presidenza di turno francese dell’U.E., nell’intendimento di promuovere
quanto prima il riconoscimento della Rete, ha frattanto depositato
presso il Segretariato generale dell’Unione europea una proposta di
“Decisione che istituisce una rete europea di formazione giudiziaria”.
La proposta si connota per una sostanziale continuità rispetto alla
Carta di Bordeaux, soprattutto per quanto attiene alle finalità ed agli
obiettivi.
In particolare, giusta la richiamata proposta, un significativo
grado (peraltro suscettibile di miglioramenti) di indipendenza alla
“Rete - U.E.” (denominazione che viene utilizzata per distinguere l’iniziativa dalla precedente, che viene chiamata “Rete-Bordeaux”) verrebbe assicurata:
(a) riservandosi le relative decisioni fondamentali al Comitato direttivo (così ridenominandosi l’Assemblea della “Rete-Bordeaux”),
composto principalmente dalle istituzioni responsabili della formazione giudiziaria a livello nazionale, oltre che da rappresentanti dell’U.E. e del Consiglio d’Europa (così assicurandosi il coordinamento
con l’altra “Rete” ancora esistente nel settore, la c.d. “Rete” di Lisbona);
(b) prevedendosi che le scelte in materia di programmi siano assunte sulla base di proposte di un Comitato Scientifico;
(c) prevedendosi che al Segretariato della “Rete-U.E.”, le cui strutture verrebbero fornite dalla Commissione U.E., sia preposta una persona fisica designato dalla medesima Commissione, ma su proposta
del Comitato direttivo formulata operando la scelta tra i magistrati dei
Paesi membri;
(d) rimettendosi all’autonomia delle istituzioni di formazione giudiziaria la definizione delle modalità organizzative e di voto, attraverso la redazione di un regolamento interno.
Dall’esame della proposta francese emerge, peraltro, chiaramente
la sussistenza del limite, strettamente connesso al riparto delle competenze istituzionali degli organi dell’U.E. entro i noti tre “pilastri”,
317
per cui - dovendo la proposta di decisione necessariamente indirizzarsi ad uno solo dei due settori di attività formativa dei magistrati, civile o penale - si è previsto (attraverso un blando riferimento nei “consideranda”) che per un primo periodo la “Rete-U.E.” restringerà la propria attività al solo settore della cooperazione penale. Con ogni probabilità, una proposta normativa del tutto analoga di riconoscimento
della “Rete” potrà essere presentata in seguito, ma secondo le diverse
procedure previste per la cooperazione in materia civile, sì assicurandosi un’operatività a tutto tondo della “Rete-U.E.” del tutto sovrapponibile a quella della Rete-Bordeaux”.
Il prossimo stadio procedimentale è costituito dalla discussione
della proposta francese in sede di comitato di coordinamento di alti
funzionari ex art. 36 Trattato di Maastricht, incaricato di formulare un
parere per il Consiglio dell’U.E.
4.D. Questioni aperte e prospettive.
4.D.1. Le strutture comunitarie e interne preposte alla formazione.
L’apertura della formazione giudiziaria verso gli orizzonti internazionali e, più specificamente, europei è, dunque, e già da molti anni,
una significativa realtà. Tale apertura, feconda di prospettive evolutive, pone peraltro non poche difficoltà sul piano istituzionale, sia interno che sopranazionale e internazionale.
Volendo avviare la riflessione al livello dell’Unione Europea, non è
dubbio che, avendo - come si è avuto modo di richiamare in precedenza - il trattato di Maastricht sull’Unione europea dal 1° novembre
1993 integrato nella costruzione europea la nuova dimensione della
cooperazione in materia di giustizia ed affari interni (GAI), tale cooperazione - anche nell’ambito penale - sia stata recepita appieno nel
quadro di attività dell’Unione, pur rimandendo di natura intergovernativa; nell’ambito civile, poi, la cooperazione stessa è inserita a pieno
titolo tra le politiche comunitarie.
Se, infatti, la cooperazione in materia di giustizia e affari interni,
nel primo settore, non viene attuata come le politiche comunitarie, in
quanto data la grande sensibilità delle questioni riguardanti l’ordine
pubblico il Trattato ha conferito grandissima importanza agli Stati
membri e agli organi dell’Unione europea in cui essi partecipano direttamente, limitandosi i poteri della Commissione europea, del Parlamento europeo e della Corte di giustizia, con l’entrata in vigore del
318
Trattato di Amsterdam, le materie civili, l’asilo e l’immigrazione sono
state affidate alle istituzioni comunitarie (primo pilastro), mentre la
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale è restata sostanzialmente intergovernativa (terzo pilastro); ma anche in tale ambito si è previsto che - dovendo l’Unione fornire ai cittadini un livello
elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e
reprimendo il razzismo e la xenofobia - gli Stati membri si debbano
consultare reciprocamente, in seno al Consiglio, per coordinare la loro
azione, ed instaurare a tal fine una collaborazione tra i servizi competenti dello loro amministrazioni.
Su tali presupposti, vi è da chiedersi quale collocazione trovi, nell’ambito delle politiche comunitarie, la formazione giudiziaria, in riferimento sia agli organi (ed alle procedure) che in ambito europeo
siano da ritenersi deputati a trattarne, sia (e trattasi di profilo istituzionale, con implicazioni anche di diritto interno, cui si farà cenno in
prosieguo) alle istituzioni nazionali che siano legittimate ad interloquire con le istituzioni comunitarie.
Alla questione non può darsi, alla luce dell’attuale evoluzione del
quadro normativo europeo, una risposta sicura.
Quel che appare certo, infatti, è solo che il riparto di materie tra
“primo” e “terzo” pilastro dell’Unione europea non è adeguato ad
esprimere la sostanziale unitarietà della formazione giudiziaria, attività che in tutti i Paesi membri dell’U.E. si giova della fecondità insita
almeno nell’interdisciplinarità delle iniziative formative, quando non
della profonda connessione tra aspetti civilistici e aspetti penalistici
dell’attività giudiziaria, connessione dalla quale la formazione non
può prescindere.
I limiti insiti nel predetto riparto sono di recente divenuti più evidenti allorché, ad esempio, nel 2000, come si è accennato, onde
uniformare i programmi formativi al portato del Trattato di Amsterdam, il programma “Grotius”, nato proprio al dichiarato fine di favorire una formazione non compartimentalizzata, è stato suddiviso in
due separati programmi con vocazione “penalistica” e “civilistica”; i
medesimi limiti sono venuti in evidenza anche allorché la Presidenza
di turno francese dell’U.E., nel proporre una “decisione” tendente al riconoscimento dell’attività della Rete Europea di Formazione Giudiziaria, ha dovuto avviare, come si è detto, la relativa procedura necessariamente in uno dei due binari di cooperazione previsti (quello del
“terzo” pilastro), con la conseguenza che il riconoscimento dovrà ini-
319
zialmente riguardare la sola collaborazione formativa nel settore penale, salvo l’avvio di un’iniziativa parallela nel “primo” pilastro per la
cooperazione formativa civile.
E’ affidata, dunque, all’ulteriore affinamento del quadro normativo
comunitario l’individuazione di sedi e procedure idonee a tener conto
della complessità dell’attività di formazione giudiziaria che, se non può
essere oggetto di compartimentalizzazioni verso l’esterno (ad es. verso
le altre professioni, giuridiche e non, come si è accennato), neppure
può tollerare compartimentalizzazioni interne all’attività medesima
(tra cooperazione formativa civile e cooperazione formativa penale).
I programmi europei di sovvenzione all’attività formativa degli
operatori giudiziari, del resto, prevedono, per lo più, che la formazione non avvenga in maniera compartimentalizzata dal primo punto di
vista (prevedendosi forme di cooperazione formativa - ad es. nel programma “Falcone europeo” - nei confronti di giudici, pubblici ministeri, servizi di polizia e servizi doganali, funzionari, servizi pubblici
incaricati di questioni fiscali); deve auspicarsi quindi che anche dal secondo punto di vista si individuino idonee soluzioni interpretative o
normative31.
Non minori sono le problematiche che l’apertura internazionale
dell’attività formativa, sub specie di cooperazione internazionale, e soprattutto europea, nel settore della formazione giudiziaria pone sul
fronte dell’individuazione delle istituzioni nazionali che a tali attività
cooperative debbano partecipare.
Il principio indubitabile in argomento è che la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi con la propria struttura costituzionale fondamentale.
Fermo restando che di fronte agli organi sovranazionali si applica, quanto all’eventuale inadempimento di obblighi, il principio di integrale e unitaria responsabilità dello Stato anche di fronte a violazioni determinate da attività positive o omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale, sul piano dell’interlocuzione e della collabora31
Sul piano interpretativo, si potrebbe pensare che, stante l’inscindibilità della cooperazione penale da quella civile sul piano formativo, tutta la materia venga attratta al terzo
pilastro “penalistico”, le cui procedure risultano maggiormente garantire gli interessi nazionali; in tal senso va registrato il dato per cui è stato il programma “Grotius penale” ad incorporare anche le attività formative che, per non essere ricondicibili all’uno o all’altro settore, siano da qualificarsi “generali”. L’evoluzione della “proposta di decisione” francese per
il riconoscimento della Rete Europea di Formazione Giudiziaria consentirà, peraltro, di acquisire maggiore consapevolezza della problematica di cui al testo.
320
zione tra organi comunitari e organi nazionali vige la normale distribuzione delle competenze interne, salva la istituzionale funzione generale di rappresentanza del Ministero degli affari esteri con la connessa potestà di coordinamento dell’attività necessaria per l’esplicazione di una politica unitaria da parte di tutte le amministrazioni.
Atteso che della struttura costituzionale del nostro Paese fanno
parte, per quanto attiene al settore della giustizia, in relazione al riparto delle rispettive attribuzioni delineate dalla Costituzione (artt.
104 ss. e art. 110 Cost.), sia il Consiglio superiore della magistratura
sia il Ministero della Giustizia, appare evidente che le rispettive vocazioni istituzionali debbano integrarsi in leale collaborazione32 anche
sul piano comunitario; tanto più feconda e necessaria è una siffatta
cooperazione alle luce della consolidata esperienza del Ministero nel
settore internazionale (anche attraverso la costituzione, presso il Gabinetto del Ministro, di un Settore Coordinamento Affari Internazionali - SCAI), a fronte invece di un’attività consiliare internazionale limitata fino a recentemente ai soli rapporti istituzionali con omologhi
organismi di autogoverno delle magistrature di altri Paesi, ed amplificatasi negli ultimi anni proprio in riferimento alla cooperazione nel
settore della formazione, che rappresenta il comparto di competenza
consiliare maggiormente proiettato verso il confronto con l’estero. Significative, in tale senso, oltre alle attività direttamente espletate dal
C.S.M., sono le attività svolte su richiesta di organismi internazionali
diversi dall’U.E. ovvero di istituzioni governative o non governative
straniere.
4.D.2. Le strutture consiliari di fronte ai nuovi obiettivi europei.
In relazione al crescente coinvolgimento consiliare sul piano della
cooperazione internazionale in materia di formazione giudiziaria, ulteriore questione aperta è quella della verifica della rispondenza delle
strutture consiliari, quali attualmente configurate, alle sfide poste
dalle prevedibili evoluzioni, in termini di crescita delle attività e dei
magistrati coinvolti, dell’attività in tale comparto.
Le esperienze dei principali “partners” europei vanno nel senso
della “dipartimentalizzazione” della cooperazione internazionale in
32
E’ istituita, con risultati lusinghieri, a tale scopo una Commissione paritetica per lo
scambio di informazioni e la collaborazione circa le attività svolte a livello sopranazionale
nei campi di rispettiva pertinenza.
321
tema di formazione giudiziaria: tale cooperazione, infatti, è indicata
specificamente come obiettivo del “Judicial Studies Board” dell’Inghilterra e del Galles, e la materia è istituzionalmente trattata dai giudici facenti parte dei Comitati civile e penale del “Board”; una “Divisione affari internazionali” diretta da un magistrato è istituita presso
la Fondazione di Studi Giudiziari (SSR) dei Paesi Bassi; una significativa attività internazionale, soprattutto nelle relazioni ibero-americane, è svolta dalla Scuola Giudiziaria della Spagna; ciò senza voler
menzionare il Dipartimento per le relazioni internazionali dell’E.N.M.
francese, diretto da un Vice-direttore della scuola coadiuvato da altri
due magistrati, la cui attività sul piano internazionale trova sanzione
nella L. n. 631 dell’11.7.1975 e nel decreto n. 310 del 2.4.1976 ed ha
consentito dal 1960 ad oltre 3000 magistrati stranieri di usufruire di
“stages” presso l’istituto.
All’interno del Consiglio superiore della magistratura, le competenze attualmente ripartite tra la IX Commissione e la VI Commissione potrebbero formare oggetto di una ricomposizione nel senso dell’individuazione di un momento unitario di disamina delle attività di
cooperazione internazionale. Una siffatta revisione potrebbe favorire
un rapporto sinergico con i servizi del Ministero della Giustizia.
Sul piano operativo, all’interno delle strutture di Segreteria, sempre più chiamate all’interlocuzione con “partners” internazionali ed ad
un dialogo costante con essi anche attraverso l’utilizzo delle lingue
straniere e dei nuovi mezzi di comunicazione elettronica, potrebbe essere analogamente istituita una struttura comune, formata da personale qualificato dal punto di vista linguistico e specificamente motivato sul piano relazionale, su cui il Consiglio possa fare particolare affidamento.
5. Una revisione dell’assetto del C.S.M. in riferimento alle predette esigenze poste dall’apertura internazionale dell’attività formativa
potrebbe altresì costituire il volano per l’avvio dei programmi di formazione dei magistrati nelle lingue straniere, sia ad un livello di linguaggio base che di linguaggio giuridico, la cui attuazione, pur dovendosi realizzare prevalentemente in sede decentrata quanto al momento attuativo,33 necessita della predisposizione di un progetto formativo unitario - e verificabile nei risultati - secondo un “pacchetto”
predisposto in sede centrale, alla cui elaborazione ed al cui “follow up”
33
Cfr. par. contenuti form decentrata (VERARDI), ove sono pure cenni all’esigenza che
a sostenere i costi di una siffatta formazione intervengano i fruitori.
322
non può provvedersi da parte degli attuali organi della formazione
consiliare, prevalentemente vocati agli aspetti giuridici della formazione.
6. Ulteriore, non trascurabile, effetto indotto della creazione di un
“centro” visibile, all’interno del C.S.M., preposto alle attività di cooperazione internazionale potrebbe essere quello di rendere visibile il
Consiglio quale interlocutore istituzionale, nei limiti delle attibuzioni
istituzionali, per la collaborazione con le avvocature straniere, ed in
particolare con quelle degli Stati membri dell’U.E. aventi titolo alla libertà di prestazione di servizi e che, conseguentemente, possono avere
specifico interesse alla sottoposizione al Consiglio di esigenze connesse al libero esercizio del ministero defensionale.
Analoghe esigenze di creazione di una “interfaccia” sussiste in riferimento alle importanti istituzioni di ricerca europee nel settore dell’attività giurisdizionale, con le quali vanno rafforzati i rapporti già esistenti di collaborazione: si pensi all’Accademia di Diritto Europeo
(ERA) di Treviri, oppure all’Istituto Europeo di Pubblica Amministrazione (EIPA) di Maastricht-Lussemburgo.
Non obliterandosi il dato di fatto giuridico (inserimento della
cooperazione penale e di polizia giudiziaria nel terzo pilastro, anziché
nel primo) ma anzi, tenendone conto (ed a maggior ragione, in quanto le già illustrate difficoltà di approccio culturale e nazionalistico alla
cooperazione possono rischiare di enfatizzarne le conseguenze) si è ritenuto tuttavia, in sede di formazione, di scongiurare le prospettive di
acquiescenza ai limiti che da esso possono derivarne, ponendo una
maggiore attenzione verso le ricadute concrete delle iniziative di formazione.
In proposito si è partiti infatti dalla considerazione che la speditezza, specificità e vincolatività che caratterizza la normazione nell’ambito della giustizia civile implichi certamente una marcia superiore rispetto al cammino di unificazione della giustizia penale, sia dal
punto di vista quantitativo che – quel che più interessa - qualitativo,
ma che ciò non possa consentire di adagiarsi nella prospettiva che, in
campo penale, le iniziative di studio abbiano un impronta di carattere esclusivamente culturale, priva di immediato interesse nelle concrete applicazioni della cooperazione internazionale.
Tale convinzione è stata maturata, nella preparazione ed anche
nella concreta attuazione delle iniziative di formazione internazionale
del C.S.M., alla luce della considerazione di specifiche circostanze:
a) l’intensificarsi delle “Azioni comuni europee” in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale (programmi e dichiarazioni
323
di principio del Consiglio dell’Unione Europea prive in astratto di vincolatività giuridica ma impegnanti politicamente gli Stati Membri al
perseguimento di un comune obiettivo);
b) la “competizione” fra gli Stati nell’attuazione delle dette “Azioni”;
c) La rete di collegamenti – attraverso reciproco rinvio - che si
viene creando tra Convenzioni vincolanti e mere dichiarazioni di principio;
d) Il grado di libertà delle forme processuali che è ravvisabile in alcuni ordinamenti, ben più che nel nostro.
In ordine ai primi due aspetti, va rilevato che, a seguito del Trattato di Amsterdam, sembra che la massima autonomia riconosciuta
nel settore agli Stati, deprimendo l’attualità di gelosie a tutela della
sovranità statuale, ed esaltando contemporaneamente la competizione fra gli stessi quanto al grado di affidabilità europeistica, stia operando nel senso che dichiarazioni di principio, accompagnate da cadenze ben precise di attuazione, operino a favore della stipula di
convenzioni, liberamente assunte dagli Stati Membri, in tempi che
non si discostano eccessivamente dal ravvicinamento che, nel settore civile, possa realizzarsi attraverso l’esercizio dei poteri di normazione diretta da parte dell’Unione. Esempio recente è proprio la concreta fase di attuazione in cui sono entrati alcuni degli importanti
capisaldi delle citate Conclusioni di Tampere (vedasi il citato progetto EuroJust), nonché l’accelerazione che, rispetto al passato, è stata
data negli ultimi tempi anche al processo di attuazione delle convenzioni anticorruzione dell’Unione Europea (Bruxelles, 26 maggio
1997; Parigi, 17 dicembre 1997) attraverso la legge 29 settembre
2000 n. 300.
Da tali accelerazioni verso sempre più intensi ambiti di cooperazione anche nel settore penale, si è tratta la consapevolezza che le iniziative di studio e confronto, alla luce dei ritmi dell’evoluzione in
corso, appaiono provviste, in massima misura rispetto al passato, di
un’idoneità a sbocchi operativi che, coerentemente, ne hanno imposto
l’accentuazione del taglio pragmatico, modulato su concrete esigenze;
analogamente si è ritenuto, nella selezione dei relatori, di privilegiare
coloro che apparivano portatori di concrete e, talvolta, innovative ed
originali esperienze, rispetto ai portatori di impostazioni di carattere
eminentemente teorico, il cui apporto comunque continua ad apparire assolutamente irrinunciabile.
Non minore influenza, intesa anch’essa, di fatto, a ridurre l’ampiezza della forbice fra primo e terzo pilastro dell’Unione, presenta il
324
dato di fatto della tendenziale libertà di forme caratterizzante la giustizia in altri ordinamenti, pure sopra sottolineato.
In virtù di tale caratteristica si è infatti verificato che determinate
disposizioni derivanti da accordi internazionali – ad es. quelle riguardanti la videoconferenza giudiziaria (art. 10 della nuova Convenzione
Europea di assistenza giudiziaria, stipulata dagli Stati U.E. il 29 maggio 2000) - benchè ancor prive di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali, sono state già applicate in concrete esperienze giudiziarie
della Francia e della Spagna, anche in sede di cooperazione internazionale, sulla base delle esperienze svolte, ma “de iure condito”, da
altri Stati, fra cui l’Italia.
Ciò ha fatto sì che proprio a tali esperienze siano stati destinati
specifici e molteplici spunti di riflessione e confronto; in particolare,
proprio il tema della videoconferenza internazionale è stato oggetto di
due incontri di studio: nel corso del primo (“Workshop in videoconferenza nei processi di criminalità organizzata” programma parzialmente finanziato dall’U.E. nell’ambito del progetto “Falcone”, tenutosi il 28.11.2000) si è proceduto addirittura alla simulazione della raccolta della prova in rogatoria, attraverso una reale videoconferenza
con la Francia e la Germania (Stati nei quali hanno collaborato le
omologhe istituzioni competenti in materia di formazione dei magistrati); nel corso del secondo (“Acquisizione e valutazione della prova
nei paesi dell’Unione Europea”, programma parzialmente finanziato
dall’U.E. nell’ambito del progetto “Grotius”) il materiale filmato raccolto è stato esaminato e dibattuto con una platea composta da magistrati di sei Paesi dell’Unione (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna,
Olanda ed Italia) .
Venendo alle considerazioni circa la rete di collegamenti fra convenzioni vincolanti e dichiarazioni di principio, è agevole rilevare che
anche le solenni dichiarazioni di principio, dichiaratamente non vincolanti per gli Stati, possono assurgere a livelli di autorevolezza, prossimi e comunque propedeutici alla vincolatività formale, attraverso il
rinvio che esse stesse effettuano verso fonti vincolanti.
Il caso più recente è stato proprio quello dell’art. 52 co. 3 della
Carta dei diritti dell’Unione Europea, in base al quale, in caso di dubbio, la interpretazione di alcuna delle sue norme non potrà mai fornire, ai Diritti dell’Uomo, uno standard di garanzie inferiore a quelle tutelate dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Attraverso tale collegamento - che, si noti, si riferisce ad una fonte
(la CEDU) la cui vincolatività internazionale non può essere discussa
- è tutta la Carta che, sin dal suo sorgere, si presenta quantomeno
325
come autorevole canone interpretativo; si pongono così i presupposti
perché le norme della “Carta”, non vincolanti per gli Stati - che l’hanno sottoscritta come mera dichiarazione di principio - possano, in prospettiva, giungere a riverberarsi sul diritto degli Stati membri, anche
attraverso l’interazione con i principi costituzionali degli stessi.
E’ per questo che, nell’ambito degli incontri di studio di taglio internazionalistico, l’opzione formativa si è orientata verso le questioni
di costituzionalità nel procedimento penale, oltre che verso la giurisprudenza della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo in tema di
giusto processo nei confronti degli Stati membri; ciò, appunto, anche
al fine di verificare – nella prima concreta attuazione del taglio pragmatico di cui si è detto - se ed in che misura le une e l’altra possano
agire quali canali giurisdizionali idonei a supportare, in linea sostanziale, i valori delle fonti collegate. E’ appena il caso di ricordare che la
tematica ha coinvolto anche aspetti riguardanti le garanzie dell’imputato, rilevanti per il diritto interno di tutti gli Stati.
E’ proprio venendo a quest’ultimo profilo che si è ritenuto di non
poter lasciar cadere l’opportunità di una formazione europea del magistrato italiano addetto a funzioni penali, da cogliersi sul crinale comparativo.
L’assenza di una potestà normativa sovraordinata nel campo penale può infatti far sì che i diritti di libertà dell’individuo, le garanzie
dell’accusato, l’esigenza di tutela della collettività e delle persone offese, che sono al centro del processo penale, trovino una base comune,
costituita da una reale, comune condivisione di valori, e soluzioni di
equilibrio, non imposte in ambiti di legislazione sovranazionale, ma
reperite e consolidate in una prassi fecondata dal confronto delle diverse culture ed esperienze maturate nei singoli Stati.
L’obiettivo è stato quindi quello di un avvicinamento culturale che,
in una prossima normativa (pattizia, alla luce del sistema attuale), potrebbe trovare conferme più formali che sostanziali.
E’ per questo che si è ritenuto di attribuire particolare rilievo,
negli incontri di studio del settore penale internazionalistici, oltre che
in quelli di diritto interno, al contraddittorio nel processo penale, nella
certezza che norme e prassi maturate negli Stati dell’Unione – e non
solo nei paesi di Common Law - possano fornire validi punti di riferimento in relazione a questioni interpretative ed applicative di non
poco momento; fra esse, ad esempio, anche quelle riguardanti la normativa di attuazione recentemente approvata con riferimento all’art.
111 Cost. (ad es., spazio del diritto al silenzio a fronte del “privilege
against self incrimination”- art. 197 bis co. 4; condizioni di acquisi-
326
zione delle dichiarazioni raccolte senza contraddittorio, in relazione
alla comprovata subornazione della fonte).
Particolarmente interessante finisce, in particolare, per essere la
verifica della fondatezza o meno, in ambiti diversi da quello italiano,
delle tesi per cui il processo comporti la salvaguardia delle sole finalità di garanzia del processo e non anche quelle di accertamento della
verità.
Allo scopo, la strutturazione degli incontri di studio si è andata
man mano evolvendo.
Emblematici in proposito sono quattro incontri di studio, di seguito elencati, svoltisi fra il 1999 ed il 2001, nel corso dei quali la tesaurizzazione delle esperienze man mano acquisite, sia da parte della
struttura di formazione, sia da parte dei magistrati partecipanti, ha
consentito di abbandonare le prospettive iniziali di mera alfabetizzazione, per giungere all’approfondimento e confronto di specifiche
esperienze, attraverso anche il sussidio di mezzi audiovisivi e l’espletamento di seminari in relazione all’analisi di casi concreti, da parte di
gruppi di studio, ciascuno dei quali composto da esponenti di sei Stati
europei (ciò nel quarto degli incontri che si vanno a richiamare):
a) “Strategie di contrasto alla criminalità organizzata: modelli organizzativi e prospettive di integrazione in ambito europeo” (Frascati, 1820 ottobre 1999);
b) “Formazione globale per i magistrati addetti alle nuove forme di
cooperazione giudiziaria in materia penale” (Frascati, 25 - 27 novembre
1999);
c) “ Le nuove forme delle attività di contrasto transfrontaliero del
traffico internazionale di stupefacenti (Frascati, 22-24 maggio 2000)”.
d) “ Workshop in video-conferenza nei processi di criminalità organizzata” (Rebibbia, 28.5.2000);
e)“ Acquisizione e valutazione della prova nei paesi dell’Unione Europea” (Roma, 22-24 marzo 2001).
La risposta formativa alle esigenze di cooperazione internazionale, altamente specializzate, in particolare nel campo del contrasto
della criminalità organizzata ha così consentito il raggiungimento
progressivo di vari obiettivi. In particolare, con il primo degli incontri
citati si è approfondito “de iure condito” lo stato del contrasto sanzionatorio delle fattispecie di tipo associativo nonché gli istituti di contrasto, con particolare riferimento al coordinamento delle indagini;
con il secondo, si sono conseguiti obiettivi di carattere più generale,
essendosi spaziato dall’analisi degli aspetti sociali e criminologici della
criminalità transnazionale allo studio di strutture ed esperienze di or-
327
ganismi concretamente operanti contro il crimine internazionale (l’OLAF), fino alle esperienze dei magistrati di collegamento e dei punti di
contatto nell’ambito della Rete giudiziaria europea.
Con il terzo incontro sono state affrontate tematiche di più specifica portata operativa, nell’ambito del contrasto sovranazionale del
traffico di stupefacenti (di particolare interesse le tematiche dell’inseguimento, fermo ed arresto transfrontaliero, in adempimento dell’Accordo di Schengen, il coordinamento informativo posto in atto dall’unità antidroga di Europol ed il sistema europeo di cattura latitanti denominato “S.i.r.e.n.e.”).
L’incontro ha, così, costituito adempimento alla recente raccomandazione della U.E. del 6.10.1998, che sancisce (cfr. §15) l’essenzialità della formazione professionale nel contrasto del fenomeno, esigendo che “ogni nuovo metodo di lotta alla droga debba essere sviluppato da una buona formazione scientifica ed essere oggetto di una valutazione scientifica”. L’attenzione è stata quindi attentamente portata sulle legislazioni interne e le prassi internazionali che in linea concreta attuano, in adempimento delle specifiche direttive di Tampere, le
seguenti disposizioni della Nuova convenzione Europea di assistenza
giudiziaria: artt. 12 (consegne sorvegliate in ambiti internazionali), 13
(squadre investigative comuni), 14 (operazioni di infiltrazione).
Il quarto incontro ha poi, come già evidenziato, consentito di sperimentare, persino anticipatamente rispetto alla ratifica della Convenzione Europea di Assistenza giudiziaria sottoscritta il 29.5.2001, l’istituto della video-conferenza internazionale per la raccolta della prova
in rogatoria. L’incontro ha consentito di riesaminare le precedenti
esperienze formative alla luce della delicata tematica della formazione della prova nei Paesi dell’Unione Europea.
328
STRUTTURE E ORGANIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA
DI UN ASSETTO STABILE DELLA FORMAZIONE
5.A. Le risorse e la loro utilizzazione.
E’ già stato ampiamente illustrato, lungo il corso dell’analisi che si
avvia a conclusione, come l’attività della IX Commissione in materia
di formazione dei magistrati si articoli in un’ampia serie di interventi,
che impegnano com’è ovvio risorse variabili, e che giova nuovamente
schematizzare proprio nell’approccio al tema delle risorse:
– Incontri e seminari di studio in sede centrale
– tirocinio degli uditori giudiziari
– progettazione e realizzazione della formazione in sede decentrata
– formazione e aggiornamento professionale in ambito europeo e
internazionale
– progettazione e realizzazione di forme di integrazione tra formazione, aggiornamento professionale e nuove tecnologie applicate al
lavoro giudiziario
– rapporti con il comitato scientifico
– realizzazione e distribuzione e pubblicazione di atti e materiali
degli incontri di studio
L’attività della Commissione su questi terreni si è ampliata notevolmente e costantemente dopo la costituzione della Commissione
stessa, e da ultimo confermano questa linea di tendenza le delibere
consiliari del 23 giugno 1999 e del 22 luglio 1999, relative alla programmazione dell’attività del 2000, nonché la delibera del 25 luglio
2000, riguardante la programmazione del 2001. Sullo stesso terreno
appare indispensabile almeno una menzione della delibera del 26 novembre 1998, con la quale sono state approvate le linee maestre della
formazione decentrata, ulteriormente definite con il bando di selezione dei formatori in sede distrettuale (delibera del 28 luglio 1999).
Appare chiaro come l’attività di formazione sia stata identificata
dal Consiglio quale settore primario dell’impegno e della funzione di
autogoverno, e del resto alla valutazione istituzionale corrisponde, con
immediata chiarezza, il dato concernente le risorse finanziarie impegnate, in assoluto e nella loro incidenza percentuale, per l’attività in
questione. Qualche dato concernente l’esercizio del 2000 può essere
utilmente illustrato, sia quanto alle previsioni di bilancio che a livello di
331
effettiva utilizzazione delle risorse, per individuare alcune delle tendenze e dei nodi che segnano lo sviluppo della formazione in questa fase.
La somma stanziata per la formazione ammontava a lire
14.424.243.706, e corrispondeva al 26.02% delle risorse complessive di
bilancio (a fronte di una previsione iniziale che prospettava addirittura
la destinazione in discorso per il 30.7% dello stanziamento complessivo). Nel corso dell’anno di pertinenza, come già si è accennato, sono
stati organizzati e tenuti 47 incontri di studio destinati all’aggiornamento professionale, 18 iniziative a livello distrettuale con riferimento
al diritto comunitario, 8 corsi di informatica giuridica presso il C.E.D.
della Corte Suprema di Cassazione. Complessivamente sono stati coinvolti nelle iniziative 3981 magistrati con funzioni e 1126 uditori senza
funzioni (con riguardo ai corsi loro riservati), con l’aggiunta di 538 partecipazioni individuali ai corsi appena citati presso il C.E.D. di Roma.
Ebbene, a livello di consuntivo, si constata che per le imponenti
realizzazioni appena citate sono state effettivamente spese lire
7.287.659.478. Le ragioni dell’omessa utilizzazione di circa la metà
delle risorse finanziarie disponibili possono essere sinteticamente illustrate con riferimento al ritardo nella realizzazione delle iniziative
correlate alla formazione decentrata, ad un ridotto numero di incontri per gli uditori giudiziari, all’incompleta realizzazione della formazione a livello internazionale, al ridotto impegno per la formazione
della magistratura onoraria, alla mancata duplicazione di alcuni incontri di studio, ed alla contenuta pubblicazione degli atti degli incontri stessi, praticamente assente per il settore penale e non particolarmente significativa per il settore civile. Il dato comporta una riflessione di segno generale sulla possibilità di apportare interventi correttivi circa le modalità di organizzazione dell’attività, in modo tale che
gli obiettivi sottesi alle previsioni di bilancio possano trovare poi realizzazione. Non è in discussione la rilevanza in assoluto dello sforzo
compiuto dal C.S.M., sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello
quantitativo per l’attività di formazione dei magistrati. Non sembra
d’altra parte (si pensi solo al numero delle richieste di partecipazione
rimaste insoddisfatte, od al “mercato” che le relazioni redatte per
conto del Consiglio trovano sulle riviste giuridiche di ogni livello) che
il mancato impegno di tutte le risorse finanziarie possa essere ricondotto ad una saturazione della capacità di risposta dei destinatari della
formazione, sia per quanto riguarda il settore scientifico che per quello amministrativo. Occorre piuttosto prendere atto come tra i fattori
di resistenza al conseguimento di tutti gli obiettivi preventivati nel
2000 non sia stata la carente disponibilità delle risorse finanziarie. E
332
dunque, anche sulla base degli elementi in esame, l’attenzione deve
orientarsi sulle modalità di impiego delle risorse umane disponibili e
sui criteri organizzativi prescelti, rispetto agli obiettivi prefissati, per
verificare la possibilità di modulare diversamente l’impiego della
struttura di supporto utilizzabile, in tutto le sue potenzialità, per migliorare i risultati raggiunti.
Ora, per restare allo specifico terreno delle risorse finanziarie e
della loro destinazione, le conseguenze della riflessione avviata ed i
segni del cambiamento già traspaiono dal lavoro compiuto sulle previsioni di bilancio per l’anno 2001, per il quale il Consiglio ha modulato diversamente gli interventi di spesa rispetto agli obiettivi prefissati, con attenzione particolare (anche se non esclusiva) al potenziale
sviluppo delle iniziative in sede decentrata. Ciò ha comportato la necessità di riequilibrare il rapporto tra iniziative centrali e corsi decentrati, anche per ridurre i costi generali, pur nella prospettiva di un ampliamento del potenziale bacino d’utenza dei magistrati.
Dall’esame della previsione di bilancio per l’anno 2001 la spesa per
l’attività di formazione è risultata comunque essere pari a lire
16.829.183.640 lire, importo che copre circa il 34% dell’intero bilancio
del Consiglio. Va sottolineato per altro che in questa previsione sono
state comprese anche le spese per l’attività di formazione proposta
dalla VI Commissione con riguardo all’attività internazionale, dalla VII
Commissione per quanto concerne i profili organizzativi degli uffici, e
dalla VIII Commissione con riferimento al tirocinio dei giudici di pace.
Per quanto attiene a quest’ultima voce, nel corso della discussione
in Assemblea plenaria, è stato proposto e approvato un emendamento
che ha comportato lo stanziamento, per le necessità formative della
VIII Commissione, di lire ottocentomilioni. Nello stesso tempo è stato
ridotto lo stanziamento a favore della IX Commissione, sempre ai fini
della attività di formazione, per un importo pari a lire quattrocentoquarantamilioni. Particolare attenzione è stata riservata all’analisi delle
disfunzioni rilevate, con riguardo all’attività del 2000, in ragione della
mancata partecipazione agli incontri di studio da parte di magistrati
che avevano presentato inizialmente la relativa domanda. La nuova
convenzione stipulata con la struttura alberghiera di Villa Carpegna
consentirà di realizzare significativi risparmi proprio con riguardo alle
tardive disdette di partecipazione agli incontri. La necessità di ottimizzare le risorse ha consigliato infatti di configurare, per i partecipanti ai
corsi dell’anno 2001, l’obbligo di confermare la propria partecipazione,
in tempi tali da evitare inutili prenotazioni alberghiere.
Per l’anno 2001, con riferimento alla realizzazione dei cinquanta
333
corsi in sede centrale, è stata prevista una spesa complessiva di lire
6.749.734.600, mentre per i sei corsi centrali nell’ambito del tirocinio
degli uditori è stato previsto un costo totale stimato pari a lire
677.478.000. Per i corsi in sede decentrata è stata prevista una spesa
complessiva di lire 2.404.006.000. L’ampliamento dell’offerta formativa,
con i costi relativi, deve essere valutato anche con riferimento ai Corsi
aggiuntivi realizzati in collaborazione con le Autorità amministrative indipendenti, tra cui la Consob, la Banca d’Italia, l’ISVAP, l’Agenzia per la
Sicurezza del Volo, che hanno avuto positivo riscontro tra i colleghi.
Nella discussione svoltasi in Assemblea plenaria il 13 dicembre
2000, sul progetto di bilancio relativo all’esercizio finanziario 2001, è
emerso come per la redazione del progetto stesso siano stati considerati tutti i dati nuovi che avrebbero potuto incidere sui fattori a suo
tempo apprezzati per l’anno precedente. Ad esempio, la necessità di
rendere operativa l’attività di formazione decentrata ha comportato la
previsione della assegnazione di un fondo spese, proporzionale al numero dei referenti locali, in modo da consentire a tutti i distretti di
adottare le iniziative connesse alla realizzazione della formazione decentrata. Questo fondo infatti garantirà la predisposizione delle strutture minime indispensabili per consentire ai formatori locali l’inizio
delle attività previste dalla risoluzione sul decentramento dell’attività
formativa.
Altri investimenti, a volte modesti, sono il sintomo di un impegno
del Consiglio nella individuazione di moduli organizzativi che consentano il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel settore della
formazione attraverso una gestione razionale e consapevole delle risorse. Sotto questo profilo può essere sottolineata ad esempio la realizzazione di un archivio on line per il materiale di studio e per le relazioni tenute nei vari incontri, con un impegno di spesa pari a lire
14.515.000.
In merito ai materiali di studio predisposti in relazione alle tematiche affrontate nei diversi corsi, si può rilevare come il passaggio da
un sistema cartaceo ad un sistema che si avvale di cd-rom ha contribuito ad un significativo risparmio delle risorse finanziarie. Naturalmente affinchè tale risparmio economico non venga ad incidere in
modo sfavorevole sulla ricaduta formativa degli incontri, cui contribuisce anche il materiale di studio predisposto dal Consiglio, è opportuno promuovere una progettualità che tenda a far sì che la documentazione su cd-rom possa essere messa a disposizione dei partecipanti prima dell’inizio dei corsi, in modo da poter essere adeguatamente consultata, anche al fine di estrasse copia dei documenti più si-
334
gnificativi che ciascun partecipante riterrà utile avere a disposizione
durante l’incontro di studio.
Ulteriori risorse, pari a lire 45.000.000, sono state impegnate
anche per realizzare un archivio informatico dei relatori al fine di dotare il Comitato scientifico di uno strumento di lavoro agile e completo, che consenta di cogliere i dati essenziali, sia con riferimento a
chi ha già svolto questa attività sia con riferimento a chi intenda svolgerla.
Ancora. Si è già più volte accennato come anche a livello internazionale sia prevedibile un’espansione e un’intensificazione dell’attività
di formazione del C.S.M., in particolare sotto due aspetti:
a) l’avvio della rete europea di formazione giudiziaria, propedeutica al buon funzionamento dello spazio giuridico europeo;
b) la partecipazione ai progetti finanziati dall’U.E. e ad attività di
scambi reciproci in materia di formazione.
Ciò ha comportato anche il potenziamento e la riqualificazione
della struttura amministrativa. In particolare rileva qui la circostanza,
riconducibile proprio all’impegno nel campo della formazione internazionale, che il Consiglio abbia investito risorse, pari a lire ventimilioni, per fornire il personale della struttura delle necessarie competenze in campo linguistico.
5.B. I nodi organizzativi e progettuali della formazione.
Le pagine che precedono dovrebbero documentare, fuori da ogni
logica celebrativa, come – dopo la mancata realizzazione di una Scuola della magistratura nel 1994 – si sia comunque registrata una forte
affermazione del ruolo dell’autogoverno nel settore della formazione.
Pur senza il supporto di stabili strutture organizzative, l’offerta di formazione permanente anche in Italia si è attestata, sul piano quantitativo, su una percentuale di circa il 50% dei magistrati in servizio (è il
dato delle partecipazioni effettive per il 1999), raggiungendo il livello
delle più prestigiose istituzioni europee di formazione. Oltre che ad
un aumento quantitativo, l’attività di formazione è stata caratterizzata da un miglioramento qualitativo dei corsi, come emerge dalla lettura delle schede di valutazione; questo anche a seguito di una diversificazione delle metodologie didattiche, rappresentate ormai – oltre
che dalle tradizionali relazioni – da lavori di gruppo, dibattito guidato, studio di casi specifici, simulazioni, laboratori di autoformazione.
La qualità dell’offerta formativa ha avuto anche positivi riscontri da
335
gran parte dei rappresentanti del mondo accademico, che nella maggior parte dei casi hanno peraltro manifestato una larga disponibilità
a fornire una fattiva collaborazione attraverso qualificati contributi
didattici, valorizzando i contenuti e la qualità complessiva dei programmi presentati. L’apertura all’esterno ha avuto il suo momento
qualificante nella possibilità prevista per una quota di avvocati di partecipare ad alcuni dei corsi di formazione, che hanno manifestato un
notevole apprezzamento per la qualità dell’offerta formativa presentata. A ciò deve aggiungersi la collaborazione internazionale che il
C.S.M. ha instaurato con gli altri centri di formazione stranieri, aderendo anche al progetto volto alla creazione di una rete per le scuole
di formazione di magistrati operanti in uno spazio giuridico e giudiziario europeo.
Il numero crescente delle domande di partecipazione alle iniziative di formazione, e i dati rilevati dai coordinatori del Comitato scientifico presenti ai corsi, confermano che il corpo sociale dei magistrati
italiani apprezza l’attività svolta dal Consiglio sul terreno della formazione. Tuttavia sono ancora presenti ampi margini operativi per migliorare i livelli raggiunti. Ciò richiede innanzitutto una rilevazione
più scientifica dei risultati, anche per operare in modo consapevole le
scelte di nuovi metodi e nuovi contenuti formativi. Attualmente il Comitato scientifico ha raccolto una serie di dati estrapolati dalle schede
di valutazione la cui compilazione viene richiesta ai partecipanti ai
corsi, schede che potranno fornire utili indicazioni sulle scelte da
compiere. La relativa analisi può costituire infatti il necessario momento di passaggio per un consuntivo rispetto al passato e per una solida piattaforma di partenza per il futuro.
Ciò che appare chiaro è che gli strumenti di valutazione devono
essere articolati in modo complesso, anche perché la riuscita di un
corso dipende da più fattori, che vanno dall’equilibrio tra autoselezione dei partecipanti e dosaggio delle ammissioni per provenienze territoriali e funzionali, fino alla tensione tra l’aspettativa di strumenti ad
immediata efficacia operativa e l’offerta voluta per riflessioni dal più
ampio respiro sistematico su determinati argomenti. Dunque il livello
dell’apprezzamento espresso dai destinatari dell’offerta formativa, pur
costituendo strumento essenziale, non è chiave del tutto risolutiva per
valutare i risultati dell’offerta stessa. La scheda finale di una ragionata riflessione del coordinatore, specie se e nella misura in cui tale strumento di valutazione diverrà generalizzato, potrà dare utili elementi
per ricostruire l’andamento del corso, la vitalità del dibattito, l’efficacia dei relatori. Ma sarà importante anche mantenere l’apertura di una
336
o più finestre verso l’esterno, utilizzando un collegamento comparativo con altre scuole di formazione o attraverso la partecipazione mirata di esterni alla iniziative consiliari, come è avvenuto anche attraverso la realizazione del programma Grotius, finanziato con fondi dell’Unione Europea.
La struttura della formazione – articolata nel suo collegamento
funzionale tra Plenum, IX Commissione e Comitato scientifico – ha sicuramente dato prova di saper cogliere con prontezza le esigenze ed i
segnali di cambiamento, come è avvenuto con il progetto della formazione decentrata o per la rimodulazione delle offerte formative in favore degli uditori, anche perché è comunque ben manifesta l’esigenza
da parte dei magistrati italiani di una formazione autogovernata e non
eterodiretta, professionale e non occasionale.
Vi sono tuttavia difficoltà operative da superare, e svolte da compiere, in merito alle quali rilevano certo carenze nelle risorse disponibili (specie, come si è anticipato, dal punto di vista umano ed amministrativo), ma rileva anche la perdurante immanenza di nodi politici e organizzativi che attendono soluzione. In particolare occorre
individuare quale sia la soluzione più idonea per standardizzare un
tipo di offerta formativa qualificata sotto il profilo professionale (con
la capacità di riutilizzare il materiale didattico, di valorizzare le capacità formative oltre che scientifiche, ecc.), a fronte di una struttura
che per buona parte presenta carattere avventizio, che non ha una
stabile direzione organizzativa, che risente del carattere transitorio e
limitato nel tempo dell’incarico per componenti del Comitato scientifico, che non si giova si un vero e proprio corpo docente (ed anzi, per
scelta politica ed istituzionale del Consiglio, attua il principio della
rotazione per i relatori prescelti). Certo, alcune soluzioni evolutive
sono concepibili all’interno del quadro attuale, e sono in parte già discusse o parzialmente avviate. Ad esempio gli effetti della transitorietà degli incarichi, che rappresenta la chiave fino ad oggi utilizzata
per assicurare la pluralità degli apporti al lavoro di formazione ed un
accettabile collegamento tra i problemi effettivi degli uffici giudiziari
e la conduzione dell’attività formativa, sono in parte temperati dal
collegamento funzionale rappresentato dai due magistrati dell’Ufficio
studi inseriti nel Comitato scientifico, ed un coinvolgimento maggiore dell’Ufficio stesso, per numero dei suoi componenti e/o per qualità
dei suoi interventi (a titolo di esempio, in materia di pubblicazioni)
potrebbe garantire una qualche maggiore continuità progettuale
della struttura. Si avverte forte l’opportunità di elaborare consolidate
strategie di lungo periodo in materia di formazione, anche per tenta-
337
re di sciogliere quei nodi, ordinamentali e organizzativi, che in qualche modo limitano l’incisività delle iniziative della formazione.
Ma sembra evidente come soluzioni interne al modello attuale,
per quanto migliorative, non possano far luogo della decisione strategica sugli strumenti di garanzia della formazione continua per i magistrati italiani. In verità nessuno, in tempi recenti, ha posto in discussione che la formazione sia prerogativa del C.S.M., perché strettamente collegata a tutte le attività che l’art. 105 della Costituzione riserva all’organo di autogoverno. Anche il progetto elaborato dalla
Commissione Bicamerale aveva riservato in modo espresso al Consiglio, anzi ai due Consigli, l’attività di aggiornamento professionale dei
magistrati. Ed è stato già sottolineato come nella fase di partenza l’articolazione di una struttura tecnica al fianco di quella consiliare sia risultata particolarmente felice perché ha assicurato l’utile scansione e
la relativa separatezza tra la fase “politica” dell’impostazione dell’attività formativa e le concrete scelte attuative. Ma i limiti di crescita che
l’esperienza sta palesando, i quali hanno anche determinato valutazioni perplesse all’interno del Consiglio (costi della formazione in assoluto, paventato pericolo che la formazione costruisca un mezzo di
omologazione della magistratura), suggeriscono in modo netto l’idea
che la stabilizzazione della formazione possa passare esclusivamente
attraverso la creazione della Scuola della magistratura cui ha fatto riferimento anche il Presidente della Repubblica Ciampi nel suo primo
intervento sulla Giustizia dopo l’investitura.
Peraltro è ormai più di un decennio che la consapevolezza di una
formazione professionale di altissimo livello per gli appartenenti all’ordine giudiziario sollecita l’istituzione di una Scuola della Magistratura,
o Accademia o Centro Superiore di Studi giuridici. La necessità della
costituzione di una Scuola è presente nei lavori parlamentari che portarono all’approvazione della l. 12 aprile 1990, n. 74, recante Modifica
alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del C.S.M., e nei lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (seduta del 2 dicembre 1992). Nella XI legislatura fu presentata, in data 10
marzo 1993, una proposta di legge avente ad oggetto la “Istituzione del
Centro studi giudiziari e forensi e norme per la formazione dei magistrati ordinari e dei procuratori legali (atto Camera n. 2374). Successivamente alla Camera dei deputati è stata presentata, in data 24 maggio
1996, la proposta di legge n. 1208 e in data 17 ottobre 1996 la proposta
di legge n. 2500, le quali riproducono la proposta n. 2018 della XII legislatura, che aveva come oggetto sempre l’istituzione di una Scuola
della magistratura. Da ultimo con il disegno di legge n. 3079/S, in data
338
19 febbraio 1998 è stata riproposta l’“Istituzione di un centro superiore
di studi giuridici per la formazione professionale denominato Scuola nazionale della Magistratura e norme in materia di tirocinio”.
Problema centrale di una struttura come quella ipotizzata nei vari
disegni di legge è però la sua corretta collocazione nel quadro costituzionale esistente. Una considerazione preliminare non può esimersi
dal constatare che l’“ordinamento vivente” ha da tempo riconosciuto
al C.S.M. una competenza integrativa in materia di formazione professionale, cosicchè appare legittima la collocazione nell’orbita del
C.S.M. anche della struttura che provveda alla formazione iniziale,
permanente e complementare dei magistrati italiani. D’altra parte
anche il progetto di riforma costituzionale, elaborato dalla Commissione istituita dalla legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1 aveva riconosciuto da ultimo che al C.S.M. (v.art. 12) spettano le “funzioni amministrative riguardanti l’aggiornamento professionale”.
Sembra pertanto che una corretta collocazione istituzionale della
struttura Scuola debba essere necessariamente raccordata con il
C.S.M.; al contempo, nel momento della sua istituzione dovrebbero essere previste le competenze e le attribuzioni del Ministro per ciò che
concere l’aspetto organizzativo di un settore che può essere correttamente collocato nell’ambito di un “servizio relativo alla giustizia”.
Il ruolo del Consiglio Superiore nell’attività di formazione appare
dunque inevitabilmente centrale in questo quadro, Del resto, e proprio
per le ragioni anche da ultimo richiamate, il ruolo del Consiglio Superiore è inevitabilmente centrale anche in questa prospettiva. Meglio
ancora, resta centrale il circuito virtuoso che lo stesso Consiglio ha avviato e che passa anche attraverso i Consigli giudiziari, gli uffici, i
gruppi di lavoro, i singoli magistrati affidatari.
Quali possano essere poi le caratteristiche di una Scuola riconducibile al circuito del’autogoverno è questione a sua volta condizionata,
per l’evidente relazione tra forma e finalità di ogni struttura, dallo
scioglimento definitivo di altri nodi culturali, a partire dalla considerazione unanime ed accettata della formazione come funzione indispensabile di garanzia della giurisdizione e della sua indipendenza. Da
più parti si pone correttamente un problema di valutazione dei risultati dell’azione formativa, anche perché ad esso è direttamente collegato il problema della gestione delle risorse da destinare all’attività
medesima. Ebbene, la misurazione dell’attività formativa e dei suoi effetti appare oggettivamente difficoltosa, proprio perché essa è finalizzata all’aumento della professionalità e dell’indipendenza del magistrato: per un verso, quindi, a fattori di ben complessa e delicata valu-
339
tazione, e per l’altro con diretta connessione al tema della valutazione
della professionalità. E’ un tema che si prospetta impegnativo, anche
perché la sua discussione coivolgerà necessariamente l’aspetto delle
garanzie proprie della funzione giurisdizionale. Si tratterà insomma
di esplorare gli spazi costituzionalmente consentiti per giungere ad
una lettura dei concetti di indipendenza e di soggezione del magistrato alla legge che non crei, di fatto, contrapposizioni suggestive tra i valori della formazione e quello dell’adeguatezza professionale.
Può accettarsi come dato di fatto condiviso all’interno del Consiglio, pur nella diversità degli approcci culturali presenti nell’organo di
autogoverno, che la natura della attività giurisdizionale come potere
diffuso, riconducibile all’esercizio di ogni singolo magistrato, dovrebbe determinare un impegno collettivo in sede di formazione. In questo
modo, infatti, potranno essere affinati gli strumenti di conoscenze individuali, che possono costituire poi una certezza per il cittadino, il
quale ha diritto ad interloquire non con il giudice più bravo, ma con
un giudice all’altezza del compito affidatogli. Si vede bene, a questo
punto, un altro dei nodi che ancora ritardano in qualche modo l’azione del C.S.M. nel campo della formazione, e cioè se possa essere riconosciuto una sorta di diritto di resistenza culturale alla formazione,
ovvero se attività formative di carattere non individuale debbano in
qualche modo essere rese obbligatorie, con l’inserimento magari di
momenti valutativi all’interno dei corsi di formazione. Fermo restando che attualmente il Consiglio ha optato per una soluzione negativa
rispetto a quest’ultima ipotesi, in quanto la stessa farebbe assumere
alla attività di formazione l’improprio significato di un esame, al contempo però è iniziata una riflessione sulla necessità della frequenza di
corsi specifici per chi aspira a funzioni direttive o semidirettive, per
chi nel corso della sua vita professionale abbia palesato carenze professionali che in qualche modo debbano essere sanate, per chi intenda passare dall’esercizio di funzioni giurisdizionali civili a quelle penali, dall’esercizio di funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (v. per una conferma i programmi dei corsi di formazione per gli
anni 2000 e 2001 e le delibere del 23 giugno 1999 e del luglio 2000).
Un terreno particolarmente significativo per il dibattito su questi
temi è rappresentato, e sarà certamente rappresentato nel prossimo
futuro, dall’eventualità di istituire un rapporto tra partecipazione ad
attività formative e attribuzione delle qualifiche superiori, o nel momento del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi. Ad esempio, emerge obiettivamente dai dati in possesso del C.S.M. che la situazione di alcuni uffici giudiziari è caratterizzata da situazioni di
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inefficienza connesse a scelte organizzative inadeguate, dovute anche
ad oggettiva impreparazione sul piano specifico, a prescindere dalla
bontà dell’impegno comunque profuso, dei componenti della categoria dirigenziale. Non è sufficiente individuare nella loro specificità tali
situazioni, ma occorre confrontarsi, in tema di formazione, con la possibilità di offrire strumenti che consentano poi di misurare l’impatto
delle scelte organizzative e formative sulla efficienza degli uffici giudiziari e di valutare, anche sulla base di questi parametri, la qualità di
tali attività e la professionalità dei soggetti che ne sono responsabili.
In questa linea di ragionamento è maturata l’idea del corso previsto
per la autoformazione dei dirigenti, nell’anno 2001. L’obiettivo è quello di elaborare e trasmettere una cultura organizzativa e gestionale,
coinvolgendo i dirigenti in prima persona in un’azione formativa, in
modo da suscitare atteggiamenti attivi, in modo da superare quegli
aspetti residuali della concezione burocratica della figura del dirigente. Per tale obiettivo è congruo il progetto di un “laboratorio di formazione”, dove si prospetti l’urgenza di trasmettere ad altri le proprie
competenze, si diano informazioni sollecitandone una ricezione critica, venga stimolata una riflessione sul proprio ruolo. In questo caso la
formazione mira infatti a qualificare i capi degli uffici come appartenenti ad una organizzazione che deve produrre decisioni indipendenti ed autonome e non come, o soltanto, vertici di una sequenza gerarchica. L’iniziativa vede una gestazione faticosa, ma è certamente significativa di una linea di tendenza. E converrà specificare, per inciso,
che il Consiglio ha comunque adottato iniziative idonee a fornire
anche un tempestivo aggiornamento di competenze sulle riforme entrate in vigore, facilitando il confronto tra i dirigenti dei vari uffici giudiziari e quindi favorendo un’osmosi di esperienze, dubbi, interpretazioni ed approfondimenti, che hanno consentito, nei casi in cui sono
state realizzate, di diseggnare un quadro sufficientemente chiaro dello
stato di attuazione della riforma del giudice unico nei vari uffici giudiziari d’Italia (e di offrire poi, all’esito, una circolare esplicativa sulle
questioni maggiormente controverse concernenti le risposte più idonee da adottare rispetto all’organizzazione degli uffici: si veda la risoluzione del 20 aprile 2000 sulle problematiche applicative della circolare sulle tabelle del biennio 2000/2001, con le risposte ai quesiti posti
dagli uffici giudiziari nel corso dell’incontro con i dirigenti tenuto in
Roma il 29/30 gennaio 2000).
E’ emersa ormai la consapevolezza che agire sulla formazione dei
dirigenti degli uffici significa superare il mito dell’onniscienza e dell’onnicompetenza del magistrato. Per avere la capacità di combinare
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nel modo migliore le risorse disponibili, valorizzare le attitudini, scegliere le priorità dell’interevento, appare necessario agire dunque sulla
qualità della formazione, creare specializzazioni, avere la capacità di
modulare uffici con strutture diverse rispetto ai sevizi che vengono richiesti, in modo tale che possano essere colte in modo fruttuoso le occasioni fornite anche dalle recenti riforme per ripensare e rifondare il
funzionamento degli uffici giudiziari alla luce di nuovi criteri di funzionalità. Se la crescita di funzionalità del servizio giustizia non si
esaurisce sul piano della quantità (più magistrati, più investimenti,
più personale che pure servono), allora nessun aumento di organico,
né di personale amministrativo né di magistrati, potrà portare frutti
seri e duraturi se verrà calato in una realtà organizzativa inadeguata e
inefficiente. Affrontare il problema della corretta distribuzione delle
risorse sul territorio, della qualità delle stesse e di un programma organizzativo in cui inserirle, significa esaminare con consapevolezza la
questione organizzativa senza peraltro cedere ad un efficientismo
senza valori.
La prospettiva della ragionevole durata del processo, introdotta
con la riforma dell’art. 111 della Costituzione, se amministrata con intelligenza può rompere la tradizionale contrapposizione tra garanzia
ed efficienza proprio perchè tempo ragionevole significa garanzie per
il cittadino, garanzia per la collettività, efficienza del servizio nel suo
complesso.
In questa prospettiva appare prioritario pertanto un investimento
sulla qualità che possa liberare e valorizzare le sinergie collegate all’innovazione organizzativa, all’innovazione tecnologica e alla formazione.
L’attività di formazione si muove proprio con l’intento di qualificare e valorizzare la professionalità di tutti i magistrati; ma per i magistrati dirigenti degli uffici giudiziari deve contenere un “valore aggiunto” prioritario capace di qualificare l’attività dirigenziale sotto il
profilo della garanzia, del rispetto delle regole per la formazione del
prodotto giurisdizionale ma anche della qualità del servizio. E sotto
questo profilo l’individuazione degli obiettivi dell’attività dell’ufficio,
l’elaborazione delle strategie e l’attuazione delle scelte deve fare sì
capo al dirigente, ma attraverso un processo di coinvolgimento e di
osmosi dei contributi provenienti da tutti gli altri magistrati; il dirigente deve rappresentare un punto di riferimento capace di suscitare
in tutti i componenti dell’ufficio le motivazioni necessarie a renderli
partecipi all’attività dell’ufficio; appare evidente dunque come in questa prospettiva una buona organizzazione non possa prescindere da
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una forte professionalità basata sulla consapevolezza da parte di tutti
i magistrati della utilità di costanti ed aggiornati percorsi formativi.
Ora, l’art. 3 del codice etico approvato dall’Associazione Nazionale dei Magistrati prevede che la formazione permanente sia un dovere
etico del magistrato. Certamente, con le varie forme e modalità che
possono caratterizzarla, la formazione lungo il corso dell’intera carriera può essere considerata, tra gli altri, quale oggetto del dovere professionale. Già tale considerazione impone di fornire a qualunque magistrato ne faccia richiesta occasioni di confronto e di formazione che
non siano riducibili al pur doveroso aggiornamento individuale. Ma è
chiaro fin d’ora, ed ancora si dirà in seguito, che i compiti della struttura di formazione, e dunque dell’autogoverno, si fanno ancor più
complessi e pressanti in una prospettiva che ponga la partecipazione
dei singoli ad attività formative quale condizione rilevante per l’accesso a funzioni direttive, od a funzioni specialistiche, o comunque per
l’accoglimento di domande concernenti la vita professionale dei singoli. Si perviene qui alla dimensione, affatto innovativa e ricca di complesse implicazioni, della par condicio per l’accesso ad una offerta formativa, la quale già al momento, ed in linea generale, vede di fatto accolte le richieste in misura inferiore al 50%.
5.C. Gli strumenti per assicurare il massimo grado di partecipazione dei
magistrati alle attività di formazione.
Snodo fondamentale della formazione è dunque anche quello dell’accesso dei magistrati alla medesima. E’ osservazione banale quella
per cui l’obiettivo formativo può dirsi conseguito solo quando la relativa offerta è in grado di raggiungere la maggior porzione possibile
dell’utenza cui è destinata. Ma dietro questo assioma si agitano problematiche di non facile soluzione e, in alcuni casi, ancora irrisolte,
quando si discute di formazione dei magistrati.
Nell’ultimo quadriennio, come si è visto, anche e soprattutto grazie al potenziamento dell’offerta formativa a livello centrale, si è assistito ad un graduale e costante aumento delle richieste di partecipazione agli incontri di studio. Il dato (per la cui analisi di dettaglio si
rinvia al § 2c), comunque confortante, rivela però che quasi la metà
dei magistrati rinunzia ogni anno alla formazione, allo stato fondata
prevalentemente su base volontaria. Le ragioni di questa vistosa lacuna sono certamente molteplici e, pur in assenza di una effettiva indagine tesa ad accertarle (che peraltro appare irrinunciabile in futuro),
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queste possono essere presuntivamente ricavate da alcuni indicatori
come, ad esempio, le osservazioni contenute nelle schede di partecipazione o le comunicazioni di rinunzia agli incontri pervenute al Consiglio. Può dunque azzardarsi che tali ragioni vadano identificate principalmente: a) nello scarso interesse per la formazione in genere; b)
nella mancata corrispondenza dell’offerta con le esigenze formative
individuali; c) nella frustrazione determinata dall’esclusione, in occasione di precedenti domande, dagli incontri prescelti; d) nella difficoltà di assentarsi dalla sede di servizio per motivi di ordine professionale o familiare.
In proposito va subito osservato che ad alcuni di questi problemi
si è cercato di porre rimedio negli ultimi anni operando su più fronti
contemporaneamente. Anche al fine di superare gli impedimenti oggettivi legati alle ridotte dimensioni di molti uffici giudiziari o alle situazioni familiari dei singoli magistrati, vi sono stati anzitutto interventi sul modello degli incontri di studio, per un verso incrementando
il ricorso all’agile formula delle giornate di studio (magari ripetute più
volte nell’arco di un anno), per l’altro riducendo comunque la loro durata, che oramai si è attestata sul modulo delle due giornate e mezza,
con poche e qualificate eccezioni. Nel contempo si sono gradualmente introdotti nella fase della selezione accorgimenti finalizzati a suddividere i magistrati provenienti dallo stesso ufficio su incontri differenti, in modo da evitare la loro contemporanea assenza dalla sede del
servizio. Per contrastare il digiuno formativo “di ritorno”, dovuto alla
delusione per le ripetute esclusioni, si è progressivamente cercato di
introdurre un articolato sistema di selezione delle domande, caratterizzato dall’elaborazione di “criteri di priorità” e teso a privilegiare
quei magistrati che in passato hanno evidenziato interesse per la formazione, ma che ciò nonostante non vi hanno avuto accesso a causa
dei limiti di capienza dei singoli incontri. Allo strumento dei “criteri di
priorità” si è fatto altresì ricorso per equilibrare l’estrazione per fasce
d’anzianità dei partecipanti ai vari incontri, ovvero per facilitare l’accesso ad alcuni di essi di quei magistrati cui più specificatamente dovevano ritenersi dedicati in ragione delle funzioni esercitate, raggiungendo così l’obiettivo di avvicinare maggiormente l’utenza all’offerta
formativa.
Questi meccanismi sono stati nel tempo perfezionati o mutati a
seconda delle esigenze e degli obiettivi che di anno in anno il Consiglio si è prefisso, e certamente hanno contribuito a migliorare l’efficacia dell’offerta nel suo complesso. Non v’è dubbio che in futuro possano essere potenziati e migliorati, purchè si operi periodicamente una
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revisione della loro effettiva funzionalità rispetto agli scopi progressivamente maturati.
Nell’ultimo anno può tuttavia rilevarsi come si siano ridotte le
istanze di revoche.
L’analisi delle ragioni della non adesione di tutti i magistrati alla
pur diversificata offerta formativa,rispetto cui la IX Commissione ha
cercato di incidere positivamente anche mediante l’adozione di una
circolare che esamina la disciplina dei nuovi congedi parentali delineando meccanismi di compatibilità con le esigenze formative, ha dovuto confrontarsi con una difficoltà, sin’ora avvertita, di pervenire ad
una completa rilevazione di dati in merito. E’ però auspicabile e presumibile che tale oggettiva difficoltà di reperimento dei dati significativi in materia possa essere superata grazie all’apporto informativo di
dati che potrà provenire dalle iniziative formative effettuate in sede
decentrate.
Ciò che però preme evidenziare in questa sede è che, pur ricorrendo ai correttivi appena illustrati e pur registrandosi un progressivo
aumento delle domande di partecipazione alle iniziative formative, nel
tempo si sono evidenziati i limiti strutturali dell’assetto attuale della
formazione centralizzata. Infatti, il permanere di un elevato numero
di magistrati che rifiuta di fruire dell’offerta formativa tradizionale,
nonché il fatto che ogni anno, inevitabilmente, vengano comunque
esclusi dagli incontri richiesti molti altri magistrati, ben evidenziano
che probabilmente la curva di tale offerta sia oramai destinata irrimediabilmente a svilupparsi soltanto in orizzontale. Del resto è difficile
ipotizzare che alcune delle motivazioni individuate come cause (o
concause) del rifiuto possano essere effettivamente superate semplicemente ricorrendo a soluzioni contingenti, che rischiano di acquistare
nel tempo il sapore di meri espedienti. Ma è difficile immaginare
anche interventi strutturali idonei a conservare intatto l’attuale formato dell’offerta, anche perché questi interventi richiederebbero l’assorbimento di risorse, finanziarie ed umane, difficilmente disponibili.
Più correttamente va riconosciuto che il modello strutturale fin qui recepito ha rappresentato un veicolo straordinario per lo sviluppo della
cultura della formazione all’interno della magistratura, ma anche che
lo stesso deve necessariamente essere ridisegnato o quantomeno integrato nel prossimo futuro, in quanto insufficiente per raggiungere il
ben più ambizioso obiettivo di intercettare le esigenze di formazione
di tutti i magistrati.
Il ripensamento della struttura complessiva della formazione in
quest’ottica è del resto un processo già avviato dal Consiglio. L’esem-
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pio più eclatante è rappresentato indubbiamente dalla costituzione
della rete dei formatori locali, che, come si evince dalla relativa risoluzione consiliare, non solo comporta, in prospettiva, un ampliamento dell’offerta, ma consente altresì di programmare un prezioso e capillare progetto di rilevazione dei concreti bisogni formativi. Ed in effetti uno dei limiti strutturali che nel corso degli anni l’attuale struttura della formazione ha evidenziato va identificato proprio nella capacità non sempre piena di assicurare in maniera esaustiva, ed in ogni
caso con l’opportuna tempestività, le esigenze dell’utenza. Il che peraltro è limite genetico per un programma di formazione calibrato su
bisogni definiti in maniera generalistica, facendo cioè riferimento alle
ipotizzate necessità di categorie generali (i Pubblici Ministeri, i giudici fallimentari, i magistrati di sorveglianza, ecc.); né, mantenendo lo
stesso formato, potrebbe essere altrimenti, atteso che i corsi organizzati a livello centrale devono, nella maggior parte dei casi, conformarsi con riguardo a magistrati che operano in realtà territoriali assai eterogenee e nell’ambito di uffici giudiziari di dimensioni variabili, quando addirittura non vedono confluire magistrati che ricoprono funzioni non assimilabili. Se a questo limite “congenito” si aggiunge che, pur
essendosi impegnate nel tempo crescenti energie, non si sono raggiunti ancora soddisfacenti risultati nell’elaborazione di tecniche di rilevamento dei bisogni formativi (il ricorso alle schede di partecipazione –il cui schema è stato via via raffinato – rappresenta infatti uno
strumento indubbiamente utile all’uopo, ma altrettanto certamente
ancora insufficiente e comunque incapace di restituire l’ampia gamma
di dati necessari all’elaborazione di un programmazione di dettaglio),
non è difficile comprendere perché sia legittimo attendersi, sotto questo profilo, un netto progresso della formazione nel suo complesso,
una volta che la rete avrà superato il necessario periodo di rodaggio e
opererà a pieno regime.
Quanto fin qui illustrato consente dunque di ritenere che il coinvolgimento di un numero sempre crescente di magistrati nelle iniziative di formazione potrà essere raggiunto solo attraverso una maggiore diversificazione dell’offerta formativa, chiamata però a corrispondere sempre più intensamente al variegato spettro dei bisogni dell’utenza di riferimento. Potenziare e raffinare il sistema di rilevazione di
questi bisogni è dunque uno degli obiettivi in cui investire energie e risorse nell’immediato futuro. Se, come detto, in larga misura ci si attende che tale risultato venga conseguito attraverso la rete dei formatori locali, non va dimenticato che questa non può rappresentare l’unico strumento impiegato e che, comunque, la sua reale efficienza è
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legata alla garanzia di una idonea circolazione dalla periferia al centro delle informazioni raccolte.
Sotto quest’ultimo profilo, infatti, appare evidente che il sondaggio dei bisogni formativi eseguito in sede decentrata non può e non
deve rappresentare il presupposto per una elaborazione esclusivamente “locale” dei dati ma, al contrario, deve costituire il principale
strumento di rilevazione dei bisogni per l’intera struttura impegnata
nella formazione, in assoluta sintonia, tra l’altro, con la volontà consiliare di costituire i referenti locali quali veri e propri terminali territoriali del Consiglio in materia di formazione. Con riguardo al primo
profilo prospettato, invece, deve rilevarsi come in ogni caso debbano
essere potenziati gli strumenti tradizionali di rilevazione dei bisogni e
come debbano esserne sperimentati di nuovi (ad esempio moltiplicando le occasioni di sollecitazione individuale, senza confinare la comunicazione entro gli angusti limiti della scheda di partecipazione, il
cui contenuto va comunque arricchito proprio con riguardo alla parte
propositiva, più che a quella retrospettiva/valutativa).
Incremento dell’offerta formativa nel suo complesso e adeguamento della stessa alle esigenze dell’utenza, sono dunque obiettivi
prioritari dell’immediato futuro della formazione. Ma la meta finale,
quella, cioè, di coinvolgere la totalità dei magistrati nelle attività di
formazione, impone altresì una riflessione sull’attualità di alcune scelte fondamentali operate nel passato. Infatti, l’esperienza maturata
consente di affermare che la progressiva saturazione della domanda
sia soltanto uno dei problemi che richiedono una soluzione. Come già
evidenziato in precedenza, esiste tuttora una fetta significativa di magistrati che si sottrae alla formazione, più per disinteresse pregiudiziale, che per l’inadeguatezza dell’offerta. E’ necessario che una volta
raggiunto l’obiettivo di diversificare maggiormente l’offerta formativa
-sia nei contenuti che nelle metodologie – questo atteggiamento vada
sottoposto ad un vaglio critico. Ed è soprattutto necessario interrogarsi sulla possibilità di mantenere, a fronte dei rilevanti investimenti
che assorbe, una struttura della formazione fondata essenzialmente
sull’adesione volontaria. E’ giusto chiedersi, cioè, se non sia giunto il
momento di introdurre modelli di formazione obbligatoria o, quantomeno, onerosa.
Sull’argomento, che attraversa in realtà l’intera riflessione di questo capitolo, si tornerà anche nel paragrafo conclusivo. Ma in questa
sede è opportuno evidenziare come il potenziamento dell’offerta non
sia di per sé sufficiente a creare una domanda realmente diffusa, e
conseguentemente come, superata una certa soglia, non basti più
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“portare” formazione ai magistrati, bensì sia necessario “portare” questi ultimi alla formazione.
Lo slogan non è solo suggestivo. E’ necessario valutare quali rischi possano paventarsi nel caso la situazione attuale rimanga immutata. Non solo si rinuncerebbe al coinvolgimento dei colleghi refrattari (risultato da considerarsi di per sé negativo), bensì, a fronte
dell’auspicato potenziamento e affinamento delle iniziative, si creerebbero le premesse per la costituzione di un ampio fronte di magistrati che hanno saputo e potuto nel tempo sviluppare il proprio profilo professionale, contrapposto ad un numero tendenzialmente minoritario di magistrati (identificabili in un’area caratterizzata dall’assenza di contatti con le attività di formazione, ma in realtà profondamente disomogenea e frastagliata) destinato ad irrigidirsi nella propria scelta di autoesclusione, che finisce per essere ammantata di significati culturali e ideologici, in realtà ultronei e finalizzati semplicemente a mascherare un latente sentimento di condanna alla diversità o, addirittura, di inferiorità. In altri termini, il potenziamento
della struttura formativa deve necessariamente coinvolgere e raggiungere l’utenza nella sua globalità, perché inevitabilmente è in
grado, pur rispettando le diversità culturali di ognuno, di incrementare a tal punto la professionalità dei singoli da relegare gli eventuali
(auto)esclusi ai margini dell’ordine, creando sperequazioni inaccettabili tanto al suo interno che nell’ambiente esterno sul quale l’attività
della magistratura si ripercuote.
Ciò detto, nel più immediato futuro è ipotizzabile (ed auspicabile)
l’introduzione di iniziative di formazione destinate a settori ben definiti dell’utenza, con contestuale imposizione di un obbligo di adesione ovvero con previsione di incentivi collegati ai parametri di valutazione utilizzati in occasione degli avanzamenti di carriera o di altri
snodi del percorso professionale del singolo magistrato. In quest’ottica, e per riprendere spunti già anticipati nel paragrafo che precde, potrebbe ad esempio pensarsi all’obbligatorietà della partecipazione ad
attività di formazione nel caso di assunzione di funzioni diverse da
quelle precedentemente svolte (non limitatamente all’ipotesi di passaggio dal settore civile a quello penale o viceversa, bensì anche in
quella del transito da funzioni giudicanti a quelle requirenti o da quelle giudicanti di primo grado a quelle di grado d’appello o, infine, nel
caso dell’accesso per la prima volta ad incarichi di natura dirigenziale), o all’effettivo prolungamento della formazione primaria fino ad
abbracciare il primo quinquennio della vita professionale del magistrato.
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Indubbiamente modelli di formazione obbligatoria possono convivere con forme legate invece alla volontaria adesione del destinatario dell’offerta. L’integrazione dei due modelli è idonea a garantire un
grado di formazione “minimo”, considerato imprescindibile, e livelli
più qualificati, l’accesso ai quali è meramente eventuale. Probabilmente, però, la strada della formazione “onerosa” (cioè strumentale
all’acquisizione di titoli spendibili in tutte quelle occasioni in cui il
magistrato debba essere sottoposto ad una qualche valutazione o voglia accedere a qualche incarico di particolare natura) appare di più
facile attuazione e di meno traumatico impatto sull’utenza, anche se
l’effettiva differenza tra i due moduli tende a sfumare una volta che l’onerosità venga collegata ai tipici sviluppi di carriera del magistrato.
5.D. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali del C.S.M. nelle
attività di formazione.
Se nel corso degli ultimi anni si è registrato un progressivo incremento dell’interazione tra il Consiglio ed altri enti in materia di formazione, non può nascondersi che le iniziative realizzate in passato
siano state caratterizzate da un elevato coefficiente di estemporaneità.
Se, cioè, va riconosciuta una generica volontà di sviluppare la collaborazione con altri soggetti in materia di formazione, deve ammettersi che allo stato tale intenzione non si è ancora tradotta nell’elaborazione di un vero e proprio progetto organico. V’è da dire in proposito
che tale situazione non è il frutto di mera disattenzione o, peggio, di
scarsa fiducia in modelli di formazione sinergici, anche se non può negarsi che permanga in alcuni casi una certa qual pregiudiziale diffidenza verso la formazione “integrata”. Va registrata, piuttosto, una
certa difficoltà di natura strutturale nel recepire le offerte provenienti
da soggetti esterni o nel pianificare progetti da proporre all’esterno,
imputabile in larga parte ai limiti intrinseci dell’attuale assetto organizzativo. Cionostante, negli ultimi tempi si è assistito ad positivo sviluppo della progettualità in materia, attraverso la presa di contatto
con alcuni enti per l’adozione di iniziative comuni (proposito culminato nel dicembre del 2000 con l’organizzazione di due giornate di studio riservate a magistrati presso la CONSOB).
Peraltro lo sviluppo delle attività di formazione “integrata” appare oggi un obiettivo primario. Nel recente passato, infatti, il legislatore è intervenuto significativamente (con il d.lgs. 17.11.1997 n.398) in
materia di accesso alle professioni legali, attraverso la riforma dei
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corsi universitari e l’istituzione delle scuole di perfezionamento, destinate nel breve periodo ad assorbire una non marginale porzione
della formazione primaria di magistrati, notai e avvocati (per quanto
riguarda l’accesso alla magistratura, la frequentazione dei corsi postlaurea è già resa obbligatoria per gli aspiranti immatricolati nelle
facoltà di giurisprudenza a partire dall’anno accademico 1998-99). La
concreta attuazione delle nuove normative tarda peraltro ad entrare
nella definitiva fase operativa, attendendo l’emanazione dei previsti
decreti ministeriali di attuazione, il che ovviamente è fonte di non
poca incertezza circa l’effettiva futura configurazione del sistema immaginato dal legislatore. E tale ritardo, inevitabilmente, incide anche
sulla progettualità consiliare, posto che comunque non è possibile
ignorare l’incidenza che tali riforme avranno sull’assetto dell’attività
di formazione. Infatti, non solo è previsto il coinvolgimento di magistrati nelle attività didattiche progettate (il che di per sé merita una
riflessione), ma in ogni caso queste vere e proprie “scuole” di avviamento professionale post-universitarie imporranno a breve un generale ripensamento della formazione primaria del magistrato, se non
addirittura dello stesso assetto del tirocinio degli uditori. La “ristrutturazione” del cursus di accesso alle professioni legali, peraltro, rappresenta una ottima occasione per ripensare e incrementare i rapporti con l’avvocatura in materia di formazione, spingendosi oltre il
tradizionale coinvolgimento di singoli rappresentanti del ceto forense nelle iniziative organizzate autonomamente dal CSM. Quella dello
sviluppo dei rapporti con l’avvocatura è peraltro una questione concreta e di estrema urgenza: infatti, la compiuta attuazione dei principi costituzionalizzati attraverso la riforma dell’art. 111 Cost., e segnatamente quello della ragionevole durata del processo, non può (e
non deve) prescindere da un serio e articolato confronto culturale tra
avvocati e magistrati.
Significativa evoluzione ha conosciuto negli ultimi tempi anche la
formazione del personale amministrativo del dipartimento di giustizia, attraverso lo sviluppo delle “scuole”, il cui numero va rapidamente aumentando sul territorio nazionale e le quali vanno seguite con
grande interesse, vantando un ottimo modello strutturale e rilevanti
risorse organizzative. Del resto la collaborazione con la struttura destinata a formare i collaboratori del giudice e del pubblico ministero è
impegno la cui utilità risulta di palmare evidenza.
Per altro verso, la crescente importanza dell’attività di agenzie e
autorities istituzionalmente preposte alla funzione di controllo su rilevanti settori della vita economica e sociale, impone l’approfondimen-
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to dei rapporti già con esse avviati, come accennato, nel recente passato. Risulta infatti essenziale, per la completa ed efficace attuazione
delle normative speciali, realizzare effettive sinergie operative con
queste autorità – le cui competenze sempre più spesso si intersecano
con quelle della magistratura –, innanzi tutto promovendo la conoscenza delle reciproche potenzialità ed esigenze. In proposito affidarsi a iniziative autonome, pur realizzabili, appare insufficiente, risultando certamente più proficuo attingere direttamente all’esperienza
che la maggior parte di questi enti hanno maturato nella formazione
del proprio personale. In merito si è già ricordato come il Consiglio
abbia già realizzato alcune iniziative formative in collaborazione con
la CONSOB, la Banca d’Italia, l’Agenzia per la Sicurezza del Volo.
Un importante momento di confronto tra il C.S.M. e altre Istituzioni, Consiglio Nazionale Forense, Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Giurisprudenza, sui temi della formazione è stato poi attuato
con l’Incontro sul tema “ Università e professioni legali: reclutamento,
accesso e formazione”, che oltre all’approfondimento dei temi proposti, intende promuovere, nello spirito di una cultura pubblica delle
riforme, la costituzione di un osservatorio permanente che sia stimolo costante per interventi organici nei diversi ambiti d’interesse.
In conclusione va sottolineato come la formazione che qui si è definita “integrata” non deve andare a scapito delle iniziative gestite in
completa autonomia dal Consiglio. In altri termini, la collaborazione
in materia di formazione deve poter divenire un valido e irrinunciabile complemento dell’attività tradizionale, ma non può sostituirla.
Sotto altro profilo deve invece affermarsi l’opportunità che il progetto
contempli ampio spazio affinché questa collaborazione si possa sviluppare anche attraverso l’attività della rete di formazione decentrata,
coinvolgendo – quantomeno in alcune iniziative – il maggior numero
possibile di magistrati a cui fornire in questo modo importanti occasioni di confronto e di apertura culturale.
5.E. La prospettiva di un nuovo assetto organizzativo funzionale alla
formazione professionale dei magistrati quale componente essenziale dell’autogoverno consapevole della magistratura e dell’esercizio
responsabile della giurisdizione.
La tutela e la promozione dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, nel suo insieme e in ogni singolo magistrato, sia
nell’esercizio diretto che nelle attività di cosiddetta amministrazione
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della giurisdizione, esigono livelli sempre più adeguati di professionalità, di coscienza e di responsabiltà istituzionale.
E’ oggi diffusa la consapevolezza che i beni preziosi e irrinunciabili della autonomia e dell’indipendenza, valori costitutivi della giurisdizione e fondanti dello status costituzionale della magistratura, se
non vogliono degradare a privilegi corporativi e conservare il loro
orientamento funzionale al servizio dei cittadini e dei loro diritti, devono sorreggersi e coniugarsi con un impegno costante volto a conseguire, mantenere e accrescere la professionalità tecnico-giuridica e l’adeguatezza culturale e sociale dell’operato giudiziario.
In tale ottica le attività di formazione e autoformazione professionale dei magistrati si atteggiano sempre più come un fattore essenziale di crescente importanza nel complessivo sistema dell’autogoverno
della magistratura italiana. Può anzi affermarsi – senza tema di esaltazione retorica – che la formazione e l’autoformazione sono oggi
coessenziali all’autogoverno di cui costituiscono una delle espressioni
più significative e produttive.
A fronte della crescente complessità dell’ordinamento giuridico,
dei difficili compiti vecchi e nuovi e delle tensioni di vario genere che
gravano sulla giurisdizione, la formazione professionale si rivela, nel
contempo, come un bisogno fondamentale di ciascun magistrato che
vuol essere all’altezza dei tempi che viviamo, come un suo diritto-dovere istituzionale per rispondere adeguatamente alla domanda di giustizia del cittadino e come una risorsa indispensabile che il sistema
giudiziario deve saper tesaurizzare, razionalizzare e far fruttare.
Alla formazione come bisogno da rilevare e soddisfare, diritto-dovere da riconoscere e promuovere e risorsa da gestire e finalizzare,
l’autogoverno consiliare ha cercato di corrispondere, entro lo spazio
giuridico consentito e con gli strumenti fino ad ora disponibili, attraverso la progressiva costruzione di un sistema formativo complesso e
integrato, secondo un disegno istituzionale recentemente completatosi con il varo della rete dei referenti distrettuali.
Sembra per altro ormai chiaro, in fase finale dell’analisi, come tale
sistema, pur servito a realizzare livelli quantitativi e qualitativi dell’offerta tali da reggere il confronto con le migliori istituzioni europee,
poggia sopra basi fragili e precarie sotto il profilo strutturale e organizzativo. E’ di evidente costatazione l’insufficienza progressivamente
più marcata delle attuali strutture centrali, che sopportano un crescente carico di lavoro e di attività, contando essenzialmente sopra
l’apporto stabile dei componenti della Nona Commissione (tuttavia
contemporaneamente impegnati nelle altre attività consiliari), dei
352
componenti del Comitato scientifico (che, salvo limitati ed estemporanei esoneri, aggiungono a tale complessa attività il lavoro giudiziario ordinario), del personale amministrativo che, nonostante l’impegno ed il sacrificio dei singoli, si rivela insufficiente per fronteggiare la
massa delle incombenze. Il tutto, come pure si è avuto modo di accennare, in un quadro segnato dalla temporaneità degli incarichi di
programmazione e direzione scientifica (la quale ha provocato l’intero ricambio del Comitato scientifico dopo la sua istituzione, e l’avvicendarsi di varie generazioni successive di componenti, nell’arco di un
quinquennio circa), e da un riparto non ancora del tutto definitito di
compiti e competenza (ad esempio in materia di rapporti con enti
stranieri di formazione, o di gestione delle pubblicazioni, ecc.).
Tali debolezze strutturali e organizzative (la mancanza di personale
“dedicato”, le risorse temporali limitate e le insufficienti energie disponibili attinte più dall’impegno volontario dei singoli che dall’efficienza
strutturale dell’organizzazione), contestualmente all’apertura di nuovi
fronti di attività ed iniziative (si pensi proprio al varo della formazione
decentrata che, in quanto risorsa complementare e non sostitutiva,
comporta almeno nel primo periodo un aumento di lavoro nelle strutture centrali), ed alla continua crescita di alcuni settori (si pensi alla
“esplosione” delle attività internazionali ed al moltiplicarsi delle iniziative formative congiunte in collaborazione con altri enti), rendono oggi
concreto il rischio che il sistema, schiacciato da tale crescente massa di
impegni, possa involversi e deperire, riducendo il livello qualitativo delle
sue prestazioni e la sua complessiva capacità di rendimento.
A fronte di tale pericolo è necessario e urgente compiere uno sforzo corale per ridare nuovo slancio ed energia all’intero sistema formativo, per realizzare un vero salto di qualità che superi la fase “pioneristica” e “artigianale” della formazione professionale dei magistrati italiani ed apra una nuova stagione che, raccogliendo l’esperienza felice
e l’eredità preziosa di questi anni, si caratterizzi per criteri e dimensioni di maggiore sistematicità, scientificità e stabilità.
Tale necessità è già pressante oggi in un sistema che, ad eccezione
della formazione iniziale e complementare per gli uditori giudiziari,
conserva il carattere “volontario” della formazione permanente, giacchè come è evidente la qualità complessiva dell’offerta e dei servizi
formativi è fattore determinante per incentivare ed espandere le adesioni volontarie, ed è destinata ad essere ancora più pressante, ove si
accedesse in futuro alla prospettiva da più parti auspicata (cfr. supra)
di rendere “onerosa” se non “obbligatoria” la partecipazione alle attività formative.
353
Invero, in tale prospettiva, a più forte ragione si imporrebbero i
predetti caratteri di maggiore sistematicità, scientificità e stabilità dell’azione formativa proprio in quanto correlata e funzionalizzata istituzionalmente alle progressioni in carriera, alle valutazioni di professionalità, all’accesso a determinate funzioni ed agli incarichi direttivi o
semidirettivi.
Probabilmente i tempi sono maturi per porre mente alla creazione di un nuovo soggetto organizzatore ed erogatore delle attività formative con connotati di maggiore specializzazione e istituzionalizzazione, dotato di strutture stabili e dedicate, capace di interagire ai vari
livelli, di investire e gestire risorse, di realizzare sinergie con altri enti,
di fornire strumenti e servizi formativi sia ai singoli magistrati sia ad
altri soggetti erogatori nei diversi circuiti del sistema formativo.
Tale è l’auspicio conclusivo, nella convinzione profonda che la formazione è – e deve sempre più essere – una componente essenziale
dell’autogoverno consapevole della magistratura, e dell’esercizio responsabile della giurisdizione da parte di tutti i magistrati.
354
Volumi finora pubblicati nella collana
«QUADERNI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA»
n. 1
– Il giudice ordinario ed il controllo di leggittimità sugli atti della
Pubblica Amministrazione.
Tarquinia, 29 novembre – 1° dicembre 1984.
Fiuggi, 31 gennaio – 2 febbraio 1985.
n. 2
– La retribuzione.
Frascati, 7-10 ottobre 1985.
n. 3
– Incontro del C.S.M. con i magistrati di sorveglianza.
Frascati, 17-19 gennaio 1986.
n. 4
– Problemi attuali della prova nel procedimento penale.
Chianciano, 5-7 dicembre 1986.
n. 5
– I provvedimenti giurisdizionali in tema di affidamento dei minori.
Fiuggi, 2-4 ottobre 1986.
nn. 6-7 – Diritto d’informazione, libertà di stampa e diritti della persona.
Chianciano, 6-8 febbraio 1987.
nn. 8-9 – Legge, contrattazione collettiva e diritti individuali.
Milano, 6-7 marzo 1987.
n. 10
– Il diritto di difesa tra norme e prassi.
Fiuggi, 13-14 marzo 1987.
n. 11
– Diritto comunitario e diritto interno.
Chianciano, 23-24 aprile 1987.
n. 12
– Le misure di prevenzione.
Siracusa, 3-5 aprile 1987.
n. 13
– Problemi della libertà personale.
Chianciano, 5-7 giugno 1987.
n. 14
– Legge sulla dissociazione. Attuale fase del terrorismo; riflessioni e valutazioni.
Frascati, 15-16 maggio 1987.
n. 15
– Problemi applicativi della legge n. 663/86.
Frascati, 26-28 giugno 1987.
n. 16
– Problemi sostanziali e processuali del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato.
Roma, 26 settembre 1987.
n. 17
– Fallimento e fisco.
Fiuggi, 3 ottobre 1987.
n. 18
– Prevenzione e repressione nella sicurezza e igiene del lavoro.
Fiuggi, 9-11 ottobre 1987.
n. 19
– Metodologie e strumenti per le indagini bancarie e patrimoniali.
Trevi, 4-6 dicembre 1987.
n. 20
– Iniziative di aggiornamento professionale in relazione alla prossima entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale.
Trevi, 27-31 maggio 1988.
n. 20
– Codice di procedura penale e disposizioni complementari.
suppl.
n. 21
– Problemi attuali del diritto societario.
Fiuggi, 27-29 novembre 1987.
n. 22
– Problemi attuali dei procedimenti in tema di criminalità organizzata, anche in vista della riforma del C.P.P..
Tarquinia, 29-31 gennaio e 19-21 febbraio 1988.
n. 23
– Problemi attuali della Corte di Cassazione.
Trevi, 25-27 marzo 1988.
n. 24
– Norme e prassi in tema di direzione degli uffici giudiziari con
particolare riferimento ai procedimenti tabellari, ai pareri per la
progressione in carriera, ai poteri di vigilanza.
Trevi, 26-28 febbraio e 8-10 aprile 1988.
n. 25
– La tutela dei diritti soggettivi nelle procedure concorsuali.
Frascati, 1-3 luglio 1988.
n. 26
– Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice
di procedura penale e delle disposizioni complementari.
Decreti Legislativi 28 luglio 1989, n. 271, n. 272, n. 273.
n. 27
– Incontri di studio sul nuovo Codice di procedura penale. Relazioni e contributi – VOLUME PRIMO.
novembre 1988 – giugno 1989.
n. 28
– Incontri di studio sul nuovo Codice di procedura penale. Relazioni e contributi – VOLUME SECONDO.
novembre 1988 – giugno 1989.
n. 29
– Giurisdizione e responsabilità nei paesi della CEE e negli Stati
Uniti d’America.
Roma, 24-26 giugno 1987.
n. 30
– Problemi medico-legali nella giustizia penale.
Montegrotto Terme, 4-6 novembre 1988.
n. 31
– Problemi applicativi della Legge n. 330/88.
Trevi, 20-22 gennaio 1989.
n. 32
– Incontri di studio sulle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo Codice di procedura penale.
Relazioni e contributi.
Roma, 6-8 ottobre – 15-17 dicembre 1989.
n. 33
– Diritti della personalità emergenti: profili costituzionali e tutela
giurisdizionale.
Firenze, 18-20 novembre 1988.
n. 34
– Problemi attuali del Processo Civile.
Trevi, 11-13 dicembre 1987.
n. 35
– Tutela ambientale: Diritto nazionale e principi Comunitari.
Alghero, 29 aprile – 1° maggio 1988.
n. 36
– Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia - 1990.
n. 37
– Deliberazioni risoluzioni e pareri, aggiornati al 1990.
n. 38
– Provvedimenti organizzativi pareri e circolari, aggiornati al 1990.
n. 39
– Risoluzione 28 marzo 1990 in tema di provvedimenti urgenti sul
giudizio di cassazione.
n. 40
– Circolari del C.S.M., aggiornate al 1990.
n. 41
– Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del
danno.
Trevi, 30 giugno – 1° luglio 1989.
n. 42
– Reati contro la Pubblica Amministrazione, poteri del magistrato e discrezionalità amministrativa.
Trevi, 19-21 maggio 1989.
n. 43
– Reati tributari tra vecchio e nuovo rito.
Fiuggi, 1-3 dicembre 1989.
n. 44
– I procedimenti speciali nel nuovo C.P.P..
Roma, 20-22 ottobre 1989.
n. 45
– Normativa attuale e prospettiva di riforma in materia di brevetto europeo (Convenzione di Monaco 5-10-1983).
Fiuggi, 29-30 settembre 1989.
n. 46
– La magistratura di sorveglianza e il nuovo codice di procedura
penale.
Roma, 17-19 novembre 1989.
n. 47
– Nuove tipologie contrattuali.
Roma, 2-4 marzo 1990.
n. 48
– Problemi interpretativi ed applicativi del nuovo C.P.P. alla
luce dell’esperienza realizzata nel primo periodo di applicazione.
Roma, 30 marzo – 1° aprile 1990.
n. 49
– Tecnica dell’esame delle parti e dei testimoni nel dibattimento
penale.
Roma, 19-21 gennaio – 18-20 maggio 1990.
n. 50
– Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale.
Roma, 30 novembre – 2 dicembre 1990.
n. 51
– La pretura circondariale.
Roma, 8 aprile 1992.
n. 52
– Manuale dell’udienza disciplinare: Legislazione e massime della
sezione disciplinare aggiornate al dicembre 1990.
n. 53
– L’analisi del lavoro d’ufficio presso il Consiglio superiore della
magistratura.
n. 54
– Controllo giurisdizionale ed amministrativo sulle società.
Fiuggi, 9-11 febbraio 1990.
n. 55
– Relazione annuale sullo stato della giustizia 1991. L’attuazione
della VII disposizione della Costituzione. Orientamento per la
riforma dell’ordinamento giudiziario.
n. 56
– Procure circondariali: organizzazione del lavoro dei magistrati
e rapporto con la polizia giudiziaria.
Roma, 4-6 aprile 1991.
n. 57
– I dirigenti degli uffici giudiziari: compiti e responsabilità. In
particolare i problemi organizzativi posti dalla legge n. 353 del
26 novembre 1990.
Roma, 30 maggio – 1° giugno 1991.
n. 58
– Manuale dell’udienza disciplinare: massime della sezione disciplinare dal 1° gennaio al 31 dicembre 1991.
n. 59
– I delitti contro la Pubblica amministrazione dopo la legge n. 86/90.
Roma, 8-10 febbraio 1991.
n. 60
– La riforma del processo civile.
Roma, 2-5 maggio 1991.
n. 61
– Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Giovanni
Falcone”.
VOLUME
I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero
VOLUME II – Indagini e dibattimenti
VOLUME III – Tecniche di investigazione su particolari figure di
reato
VOLUME IV – Indagini bancarie e patrimoniali
VOLUME V – L’apporto delle scienze alle indagini.
n. 62
– Relazione riguardante uno studio sul possibile ampliamento
dell’organico della Magistratura.
Roma, 17 settembre 1992.
n. 63
– Codice di procedura penale e disposizioni complementari.
n. 64
– La riforma del processo civile.
Roma, 26-29 marzo 1992.
n. 65
– La riforma del processo civile.
Roma, 9-12 luglio 1992.
n. 66
– Il principio di precostituzione del giudice.
Roma, 14-15 febbraio 1992.
n. 67
– Nuovi profili del diritto commerciale.
Frascati, 15-19 marzo 1993.
n. 68
– Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno
1994. Reclutamento e formazione professionale dei magistrati.
n. 69
– Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di
indagine “Giovanni Falcone”.
VOLUME I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero.
n. 70
– Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di
indagine “Giovanni Falcone”.
VOLUME II – Le indagini sulla criminalità economica.
n. 71
– Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di
indagine “Giovanni Falcone”.
VOLUME III – Figure specifiche di reato. Problemi processuali.
n. 72
– La tutela della proprietà intellettuale e commercio clandestino
di videocassette e programmi per elaboratori.
Roma, 22-23 ottobre 1993.
n. 73
– La riforma del processo civile. VOLUME I.
n. 74
– La riforma del processo civile. VOLUME II.
n. 75
– La riforma del processo civile. VOLUME III.
n. 76
– Diritto di famiglia.
Frascati, 15-19 novembre 1993.
n. 77
– Diritto del lavoro.
Frascati, 5-9 luglio 1993, 29 novembre – 3 dicembre 1993.
n. 78
– Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Paolo Borsellino”.
VOLUME
I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero
– Reati contro la persona
– Reati contro il patrimonio, la fede pubblica e
l’economia.
Frascati, febbraio, marzo, aprile 1993 – gennaio, febbraio, marzo 1994.
n. 79
– Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Paolo Borsellino”.
VOLUME
II – Assetto del territorio - Reati ambientali.
Frascati, febbraio, marzo, aprile 1993 – gennaio, febbraio, marzo 1994.
n. 80
– La magistratura di sorveglianza.
Frascati, 16-20 febbraio 1993 – 2-6 maggio 1994.
n. 81
– Aggiornamento professionale per i giudici delle indagini preliminari.
Fiuggi, 18-20 ottobre 1993.
n. 82
– Programma dei corsi di formazione e aggiornamento professionale per i magistrati 1996.
n. 83
– Corsi di studio dedicati al diritto fallimentare.
VOLUME
I
Frascati, 22-26 novembre 1993 – 26-29 aprile, 20-24 giugno 1994.
n. 84
– Corsi di studio dedicati al diritto fallimentare.
VOLUME
II
Frascati, 22-26 novembre 1993 – 26-29 aprile, 20-24 giugno 1994.
n. 85
– Manuale dell’udienza disciplinare: Massime della sezione disciplinare depositate dal 1° gennaio 1992 al 31 dicembre
1995.
n. 86
– Il diritto penale tributario: aspetti sostanziali e processuali.
VOLUME
I
Frascati, 15-17 maggio 1995.
n. 87
– Il diritto penale tributario: aspetti sostanziali e processuali.
VOLUME
II
Frascati, 15-17 maggio 1995.
n. 88
– La formazione professionale del magistrato. Relazioni e considerazioni sull’attività svolta.
marzo 1994 – giugno 1995.
n. 89
– Settimane di formazione dedicate al diritto civile.
Frascati, 14-18 febbraio 1994 – Tivoli, 6-10 giugno 1994.
n. 90
– Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1997.
n. 91
– Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia (1996). Giudice unico di primo grado e revisione della geografia giudiziaria.
n. 92
– Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace
VOLUME I.
Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre
1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996.
– Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace
VOLUME II.
Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre
1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996.
– Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace
VOLUME III.
Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre
1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996.
– Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace
VOLUME IV.
Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre
1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996.
n. 93
– Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1998.
n. 94
– Settimane di formazione dedicate al diritto commerciale.
Frascati, 14-18 marzo 1994 – Fiuggi, 21-23 novembre 1994 – Bagni di Tivoli, 2628 gennaio 1995 – Ostia Lido, 18-20 maggio e 19-21 ottobre 1995.
n. 95
– Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento all’1
settembre 1997).
n. 96
– Settimane di formazione dedicate ai Pretori Civili.
VOLUME I.
Frascati, 17-21 ottobre 1994 - 13-16 marzo 1996 - 2-4 dicembre 1996.
– Settimane di formazione dedicate ai Pretori Civili.
VOLUME II.
Frascati, 17-21 ottobre 1994 - 13-16 maggio 1996 - 2-4 dicembre 1997.
n. 97
– Rapporto conclusivo sull’analisi delle informazioni raccolte a
mezzo questionario finalizzato all’attuazione delle pari opportunità in magistratura.
Giugno 1996/Settembre 1996.
n. 98
– La prova penale.
Frascati, 6-7 novembre 1995 – 23-25 giugno 1997 – 29 maggio-2 giugno 1995 –
3-7 giugno 1996 - 2-6 giugno 1997.
n. 99
– I delitti di criminalità organizzata.
VOLUME I
Frascati, 25-29 ottobre 1993 – 7-11 febbraio 1994 – 3-5 luglio 1995 – 13-17 maggio 1996 – 12-15 dicembre 1996.
– I delitti di criminalità organizzata.
VOLUME II
Frascati, 25-29 ottobre 1993 – 7-11 febbraio 1994 – 3-5 luglio 1995 – 13-17 maggio 1996 – 12-15 dicembre 1996.
n. 100 – Manuale dell’udienza disciplinare: massime della sezione disciplinare dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 1997.
n. 101 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1999.
n. 102 – Il diritto comunitario e la cooperazione penale.
Roma, 26 novembre-1° dicembre 1973 – Frascati, 4-8 luglio 1994 – 26-27 settembre 1996 – 14-16 aprile 1997 – 18-21 giugno 1997.
n. 103 – Settimane di formazione dedicate ai dirigenti degli uffici giudiziari.
Frascati, 18-22 aprile 1994 – Fiuggi, 17-21 ottobre 1994 – Frascati, 9-11 novembre 1995 – 5-7 febbraio 1996.
n. 104 – Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli
strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione.
Frascati, 18-20 dicembre 1997 – 12-14 febbraio 1998.
n. 105 – Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento al
30 settembre 1998).
n. 106 – La Tutela sommaria: la Tutela sommaria cautelare e la Tutela
sommaria non cautelare.
VOLUME I
Frascati, 19-21 settembre 1996 – 13-15 maggio 1997 – 29-31 maggio 1997 – 2527 settembre 1997 – 3-7 novembre 1997 – Roma, 13-17 ottobre 1997.
– La Tutela sommaria: la Tutela sommaria cautelare e la Tutela
sommaria non cautelare.
VOLUME II
Frascati, 19-21 settembre 1996 – 13-15 maggio 1997 – 29-31 maggio 1997 – 2527 settembre 1997 – 3-7 novembre 1997 – Roma, 13-17 ottobre 1997.
n. 107 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 2000.
n. 108 – La prova nel processo civile.
VOLUME I
Frascati, 12-14 giugno 1997 – 4-6 giugno 1998 – 8-12 maggio 1995 – 28-31 ottobre 1996, 3-7 novembre 1997 – Roma, 19-23 maggio 1997 – 16-20 febbraio 1998
– 23-27 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-27 giugno 1998 – 29 giugno, 3 luglio 1998 – 6-10 luglio 1998.
– La prova nel processo civile.
VOLUME II
Frascati, 12-14 giugno 1997 – 4-6 giugno 1998 – 8-12 maggio 1995 – 28-31 ottobre 1996, 3-7 novembre 1997 – Roma, 19-23 maggio 1997 – 16-20 febbraio 1998
– 23-27 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-27 giugno 1998 – 29 giugno, 3 luglio 1998 – 6-10 luglio 1998.
n. 109 – Il processo civile minorile.
Frascati, 22-24 giugno 1995 – 9-11 giugno 1996 – 9-11 giugno 1997 – 18-20 giugno 1998 – Roma, 29 settembre-3 ottobre 1997 – 13-17 ottobre 1997.
n. 110 – Il problema della criminalità organizzata all’attenzione del
C.S.M..
n. 111 – Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento dall’ottobre 1998 al settembre 1999).
n. 112 – Sezione disciplinare – Massimario delle decisioni. Anni 19981999.
n. 113 – La durata ragionevole del processo.
n. 114 – Programma. Corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati 2001.
n. 115 – Il processo civile dopo la riforma.
VOLUME I
Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre
1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 –
22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998 – 2-6 marzo 1997.
– Il processo civile dopo la riforma.
VOLUME II
Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre 1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6
marzo 1998 – 22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998
– 2-6 marzo 1997.
– Il processo civile dopo la riforma.
VOLUME III
Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre 1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6
marzo 1998 – 22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998
– 2-6 marzo 1997.
n. 116 – Circolari Risoluzioni e Delibere del Consiglio Superiore della
Magistratura (aggiornamento dall’ottobre 1999 al settembre
2000).
n. 117 – Laboratorio relativo al corso sperimentale di “autoformazione”
professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. Relazioni.
VOLUME I
– Laboratorio relativo al corso sperimentale di “autoformazione”
professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. Documentazioni.
VOLUME II
(Casaldelmarmo, aprile-dicembre 1999).
n. 118 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 2002.
Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily S.p.A.
Viale Enrico Ortolani, 149-151 – Roma – Tel. 06.521.69.299
Finito di stampare nel mese di Ottobre 2001