QUADERNI del Consiglio Superiore della Magistratura RELAZIONE QUADRIENNALE SULL’ATTIVITÀ DI FORMAZIONE PROFESSIONALE (gennaio 1997-dicembre 2000) QUADERNI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Anno 2001, Numero 119 Pubblicazione interna per l’Ordine giudiziario curata dall’Ufficio Studi e Documentazione A Carlo Verardi La Relazione quadriennale sull’attività di formazione non è soltanto una sintesi di quattro anni di attività consiliare in uno dei suoi settori più importanti e vitali, ma costituisce anche un bilancio della storia della formazione professionale dei magistrati italiani, quale si è andata dispiegando nel naturale evolversi delle funzioni di governo autonomo della magistratura. La storia della formazione è il frutto di un lavoro collettivo e di un progressivo coinvolgimento, che hanno visto diventare più netta nel tempo la consapevolezza del valore del dialogo e del confronto quale fattore di crescita professionale e di radicamento dell’indipendenza della magistratura. In quest’opera creativa e feconda si è segnalata in modo particolare l’attività di Carlo VERARDI, prematuramente scomparso. Il suo apporto, insieme a quello di altri magistrati, è stato determinante in quest’ultimo lavoro come lo è stato per l’avvio della formazione professionale, al cui sviluppo egli ha cooperato quale componente del comitato scientifico e, poi, quale referente per la formazione decentrata in molte forme; con le numerose relazioni agli incontri e seminari di studio cui ha preso parte; con gli scritti che hanno fornito contributi scientifici per importanti scelte consiliari (come quelle relative proprio alla “formazione decentrata”) con l’attività di formatore intensamente svolta anche nel quotidiano lavoro giudiziario, in particolare verso gli uditori. Anche nella realtà concreta degli uffici, infatti, Carlo VERARDI ha saputo porsi quale punto costante di riferimento, dentro e fuori la magistratura, contribuendo, con entusiasmo e con la sua straordinaria cultura giuridica, con la naturale disponibilità al dialogo e al confronto, con la sua capacità di cogliere i fermenti più nuovi nell’orizzonte giurisprudenziale, ad un profondo rinnovamento culturale delle prassi per l’affermazione dei diritti e l’effettività della giurisdizione nella vita di ogni giorno. A Carlo VERARDI, che pur così giovane con il suo esempio ha onorato la magistratura italiana segnando profondamente anche la storia della formazione professionale, il Consiglio intende dedicare questa Relazione, quale segno di gratitudine e di affetto. Seduta dell’Assemblea plenaria del 24 Ottobre 2001 3 NOTA INTRODUTTIVA Il tema della formazione è stato al centro dell’attività della Nona Commissione per l’importanza che questo aspetto riveste. In armonia con l’istituzione dei referenti distrettuali e, in una prospettiva più ampia, con il nuovo spirito europeo, questa relazione, che segue quella elaborata nel 1995 ed è stata approvata l’11.7.2001 dall’assemblea plenaria del CSM, si propone di promuovere una riflessione critica sulle molteplici valenze della formazione, quale presupposto per una rinnovata professionalità, stimolo ad una più efficiente e consapevole organizzazione giudiziaria, occasione di costante confronto con le realtà esterne alla magistratura. Un sincero ringraziamento, anche a nome degli altri componenti della Nona Commissione, professori Eligio Resta e Giuseppe Riccio, consiglieri Manuela Romei Pasetti, Paolo Angeli, Gianfranco Gilardi, deve essere rivolto ai professori Antonio Gambaro e Giorgio Spangher ed ai dottori Francesco Cassano, Domenico Chindemi, Maria Giuliana Civinini, Armando D’Alterio, Sergio Di Amato, Giovanni Diotallevi, Massimo Fabiani, Piero Gaeta, Antonio Laudati, Guglielmo Leo, Alberto Macchia, Nicola Mazzamuto, Stefano Mogini, Alfredo Montagna, Alessandro Pepe, Luca Pistorelli, Raffaele Sabato, Giuseppe Salmè, Irene Tricomi, Carlo Maria Verardi, che hanno contribuito a questo lavoro con entusiasmo, abnegazione ed encomiabile spirito collaborativo. Analogo sentito ringraziamento deve essere formulato ai magistrati segretari dottoresse Giuseppina Casella, Donatella Ferranti, Monica Garzia, al funzionario dirigente della segreteria della Nona Commissione, dott. Massimo Siepi, e a tutto il personale addetto alla stessa che, con infaticabile dedizione, hanno contribuito alla riuscita del lavoro. Roma, luglio 2001 IL PRESIDENTE DELLA NONA COMMISSIONE Margherita Cassano 5 INDICE CAPITOLO PRIMO IL CONTESTO E LE RAGIONI ATTUALI DELLA RIFLESSIONE SULLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 1.A. Formazione e fase evolutiva della giurisdizione . . . . . . 15 1.B. L’efficienza della giurisdizione quale bisogno prioritario della società civile e delle sue istituzioni . . . . . . . . . . . . 18 1.C. Ruolo e caratteri dell’organizzazione giudiziaria quali fattori di conformazione dello strumento formativo . . . 1.C.1. Le peculiarità dell’organizzazione giudiziaria e l’inesistenza di modelli di riferimento “esportabili” . . . . . . . . 1.C.2. La costruzione “dall’interno” di un modello di formazione per la magistratura italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 1.D. La nuova dimensione europea e internazionale dell’attività giudiziaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 23 23 1.E. La formazione nell’ordinamento interno . . . . . . . . . . . 1.E.1. Il dovere costituzionale di leale cooperazione fra poteri dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.E.2. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali . . . 1.E.3. Il confronto con gli altri operatori del diritto . . . . . . . . 30 30 32 33 1.F. Le modifiche ordinamentali e processuali . . . . . . . . . . 35 1.G. Il nuovo ruolo della magistratura onoraria . . . . . . . . . . 37 1.H. Le modifiche della formazione preliminare . . . . . . . . . 43 1.I. Le nuove modalità di accesso alla funzione giudiziaria . . 1.I.1. La magistratura togata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 50 7 1.I.2. La magistratura onoraria. In particolare, i giudici di pace . . 54 1.L. La modifica delle strutture consiliari . . . . . . . . . . . . . . 1.L.1. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati togati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.L.2. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati onorari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 60 63 1.M. Le circolari del Consiglio: la nuova disciplina del tirocinio e la formazione permanente decentrata . . . . . . . . 1.M.1. Formazione decentrata e tirocinio degli uditori . . . . . . 64 66 1.N. L’incremento qualitativo e quantitativo della formazione professionale dei magistrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 CAPITOLO SECONDO RICOGNIZIONE DELL’ATTIVITÀ DEL QUADRIENNIO Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 2.A. L’offerta formativa nel quadriennio 1997/2000 . . . . . . . 77 2.B. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo dell’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 2.C. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base soggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 2.D. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo della partecipazione ai corsi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 2.E. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base oggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 130 2.F. La valutazione statistica del gradimento per i corsi espresso su base oggettiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 146 2.G. La valutazione di impatto formativo per grandi aree tematiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 2.H. L’esame delle richieste formative desumibili dalle schede di partecipazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158 2.I. 8 Le prime esperienze di formazione decentrata e l’avvio della rete dei referenti distrettuali . . . . . . . . . . . . . . . . 176 CAPITOLO TERZO LINEE GUIDA E PROSPETTIVE FUTURE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 3.A. La formazione. Alcune premesse teoriche . . . . . . . . . . 3.A.1. Peculiarità della formazione del magistrato . . . . . . . . . 3.A.2. Che cos’è la formazione? Concezioni della formazione e evoluzioni dei contesti organizzativi e culturali . . . . . 3.A.3. Approcci diversi per acquisire competenze diverse . . . 3.B. La formazione decentrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.B.1. Le linee culturali e la “quantità” dell’offerta da erogare al centro. L’interazione tra attività formative a livello centrale e decentrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.B.2. La rete dei formatori locali. Profili organizzativi e strutturazione della rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.B.3. La sequenza di sviluppo della formazione decentrata . . 3.B.4. I contenuti ed i metodi della formazione decentrata . . 3.B.5. I profili organizzativi e di strutturazione della rete dei formatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.C. La formazione permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.C.1. L’evoluzione dei moduli formativi . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.C.2. La formazione permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.C.3. La scelta dei docenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.D. La formazione iniziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.D.1. La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari (d.p.r. 17 luglio 1998) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.D.2. La definizione delle finalità del tirocinio . . . . . . . . . . . 3.D.3. Gli organi della formazione: natura e compiti . . . . . . . 3.D.4. La durata del tirocinio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.D.5. La documentazione dell’attività di tirocinio . . . . . . . . . 3.D.6. Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio . . . . 3.D.7. Il tirocinio mirato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.D.8. Gli incontri di studio per gli uditori giudiziari . . . . . . . 3.D.9. I relatori degli incontri di formazione iniziale . . . . . . . 3.D.10. La valutazione dell’uditore nel tirocinio ordinario . . . . 3.D.11. La valutazione finale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 183 184 187 193 193 201 203 205 212 215 215 216 219 221 221 221 222 225 226 228 228 229 232 233 234 9 3.D.12. La valutazione nella fase di formazione complementare . . 3.D.13. Le soluzioni alla prova dei fatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.E. La sperimentazione: i laboratori di autoformazione . . . 3.E.1. I laboratori. Finalità e ragioni della sperimentazione . . 3.E.2. Organizzazione, strumenti operativi, contenuti del primo laboratorio per giudici e pubblici ministeri minorili e della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.E.3. Il corso sperimentale di “autoformazione” professionale per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.F. La formazione dei dirigenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.G. La formazione della magistratura onoraria . . . . . . . . . 3.H. Le prospettive future della formazione . . . . . . . . . . . . . 3.H.1. La formazione permanente. L’apertura alle culture non giuridiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.H.2. Il confronto con gli altri operatori del processo . . . . . . 3.H.3. Le iniziative con le Autorità indipendenti . . . . . . . . . . . 3.H.4. Il supporto alla specializzazione ed alla riconversione . . 3.H.5. Il supporto alla corretta fruizione degli strumenti informatici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.H.6. Le sinergie tra i percorsi collettivi ed individuali di formazione e l’organizzazione del lavoro . . . . . . . . . . . . . 3.H.7. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.H.8. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici: i contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.H.9. Le future prospettive metodologiche della formazione permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.I. La valutazione della formazione: un problema aperto . . 234 235 236 236 238 243 247 252 255 255 258 260 261 263 266 267 270 275 280 CAPITOLO QUARTO LA DIMENSIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 4.A. Verso lo spazio giudiziario europeo: un bisogno formativo centrale a fronte di un percorso contraddittorio e incompiuto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 289 4.B. La formazione come strumento per la legittimazione delle istituzioni giudiziarie nell’Europa dei cittadini e dei diritti umani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.C. La formazione internazionale ed europea del C.S.M. . . 4.C.1. I contenuti dell’offerta formativa . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.C.2. La rete europea di formazione giudiziaria . . . . . . . . . . 4.D. Questioni aperte e prospettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.D.1. Le strutture comunitarie e interne preposte alla formazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.D.2. Le strutture consiliari di fronte ai nuovi obiettivi europei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 306 312 314 318 318 321 CAPITOLO QUINTO STRUTTURE E ORGANIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA DI UN ASSETTO STABILE DELLA FORMAZIONE 5.A. Le risorse e la loro utilizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.B. I nodi organizzativi e progettuali della formazione . . . 5.C. Gli strumenti per assicurare il massimo grado di partecipazione dei magistrati alle attività di formazione . . . . . 5.D. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali del C.S.M. nelle attività di formazione . . . . . . . . . . . . . . . . 5.E. La prospettiva di un nuovo assetto organizzativo funzionale alla formazione professionale dei magistrati quale componente essenziale dell’autogoverno consapevole della magistratura e dell’esercizio responsabile della giurisdizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331 335 343 349 351 11 IL CONTESTO E LE RAGIONI ATTUALI DELLA RIFLESSIONE SULLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 1.A. Formazione e fase evolutiva della giurisdizione. Ci sono almeno tre buone ragioni, nella cernita tra molte, che impegnano ad una riflessione sulla formazione professionale in ambito giuridico e la sottraggono, quasi come un antidoto, ad una spendita di concetti banale o retorica. Si tratta di ragioni che riguardano la necessità in sé di uno sviluppo di aggiornamento, prescindendo anche dalle molte e buone ragioni che possano inerire ai suoi destinatari, e cioè i magistrati italiani. La prima di tali ragioni è rappresentata dal vortice del mutamento normativo. Se, ad esempio, ci si sforza di comparare la fissità della codificazione del secolo ormai passato con la normazione effusa dei tempi recenti, la sensazione è di uno iato ben più dilatato di pochi decenni. Come per una piccola, grande rivoluzione industriale, sono cambiati i ritmi e le modalità di produzione del diritto ed è mutato profondamente il metodo della conoscenza: anche qui il ricordo delle corpose riviste giuridiche del passato, in arretrato, quanto a tempi di pubblicazione, persino di anni, fa sorridere pensando all’on line, pratica ormai quotidiana del giurista moderno. E se l’aggiornamento di conoscenza ha un indubbia connotazione individuale, il rimpianto, rispetto al passato, è per ciò che ferma invece la riflessione: il proliferare delle norme reca con sé l’espansione dei commenti “a prima lettura”, necessariamente dinamici come le prime e tuttavia, proprio per questo, non meno frenetici, per cui si avverte spesso il bisogno di una meditazione, nel senso etimologico dell’espressione, di uno scambio comune per riprender fiato teorico. La seconda ragione dell’attualità stringente della formazione è l’ormai diffusa pluralità di piani nella produzione delle norme giuridiche. Quest’ultima è intensa e quasi frenetica – in contrasto con ogni spinta alla delegificazione - anche per il concorso di fonti diverse da quella nazionale, cui unicamente guardavano i giuristi di un trentennio fa. Le nuove geometrie giuridiche sovranazionali, unitamente alle nuove autonomie giuridiche infranazionali, implicano la necessità di una diversa conoscenza della produzione del diritto, con metodologie ed approcci che rendono obsolete quelle appena passate: ciò che prima era lusso culturale del riferimento comparatistico è, oggi, imprescindibile strumen- 15 to di lavoro; alla moltiplicazione delle fonti, d’altra parte, corrisponde una intensa necessità di incrementare conoscenza. Se il primo momento di cognizione da parte dell’operatore di diritto, come si accennava, è spesso individuale, segue la necessità di ricomporre il sistema con una riflessione di secondo momento e, soprattutto, comune. L’ultima ragione riguarda, anch’essa, una peculiarità dei tempi d’oggi del sistema giuridico. Il “confine conteso” tra diritto e non-diritto, tra l’ambizione del primo di disciplinare e formalizzare fenomeni dalla fisionomia ancora fluida ed incerta (perché assolutamente inediti nella storia della civiltà) ed una sorta di richiesta di autonomia da parte di altre scienze, che a quei fenomeni guardano con anticipo. Gli embrioni congelati, i cibi transgenici, l’inquinamento elettromagnetico, ma anche l’insider trading, la pirateria informatica, la pedofilia via internet e tutto ciò che, in generale, è sperimentato dalla scienza prima che il diritto appronti il proprio strumentario: tutto ciò modifica il lavoro del giurista, il quale era prima chiamato, essenzialmente, ad un’opera di sistemazione e razionalizzazione di categorie già note, ed oggi deve esprimere progettualità per le quali necessita di saperi intrecciati, deve compiere incursioni in ambiti che tradizionalmente non gli appartengono. Lo sforzo di una adeguata formazione professionale consiste nel coniugare queste ragioni generali a quelle istituzionali proprie della magistratura italiana: di cogliere, cioè, bisogni emergenti accanto a tipiche necessità formative inerenti la giurisdizione in quanto funzione essenziale dello Stato. In breve: le emergenze della contingenza storica si affiancano alle esigenze formative in qualche modo ‘costanti’, le quali trovano origine nella stessa collocazione funzionale assegnata dalla Carta costituzionale alla magistratura italiana e nella sperimentata attinenza tra professionalità e indipendenza del magistrato. La professionalità – espressione quasi inflazionata e, nondimeno, denotazione linguistica difficilmente sostituibile - riveste, per la magistratura italiana, un ruolo centrale per lo stesso dettato costituzionale: i giudici ordinari sono nominati per concorso (art. 106, 1° co.), amministrano la giustizia “in nome del popolo” (art. 101, 1° co.), sono “soggetti soltanto alla legge” (art. 101, 2° co.), “si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni” (art. 107, 3° co.). La professionalità emerge non solo quale criterio fondante la selezione (al di fuori di ogni considerazione di carattere politico, economico, sociale), ma anche quale strumento primo per la realizzazione della soggezione soltanto alla legge, il che costituisce la base della legittimazione democratica dei giudici e dei pubblici ministeri. 16 Da tali caratteri discende, in primo luogo, che nel nostro ordinamento intercorre una relazione biunivoca tra professionalità e garanzia di indipendenza del magistrato. Ancora, poiché indipendenza significa innanzitutto soggezione del giudice soltanto alla legge, e poiché una delle modalità organizzative previste dalla Costituzione a garanzia della indipendenza ed autonomia dei singoli giudici è quella indicata dall’art. 107, 3° co. (secondo cui “i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni”) ne consegue, ancora, “che non possono essere suggeriti ai giudici indirizzi od orientamenti circa l’interpretazione delle leggi da alcun organo e da alcuna autorità dello Stato, né da poteri esterni né dallo stesso potere giudiziario; e che pertanto il giudice, il quale si trova solo di fronte alla legge che deve interpretare senza alcun ausilio esterno, ha bisogno, più che ogni altro funzionario dello Stato, di una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della interpretazione delle leggi, ed assumersene la piena responsabilità”1. Uno dei principali riflessi della complessità che segna la relazione tra indipendenza e costante adeguatezza professionale del magistrato consiste dunque nella doverosità dell’aggiornamento, nella sua pertinenza ai doveri più essenziali degli appartenenti all’ordine giudiziario, quale strumento imprescindibile della loro diligenza professionale. Non è un caso che tale consapevolezza sia maturata tra i magistrati riflettendo sui profili più incisivi della propria funzione nelle istituzioni e nella società, e cioè elaborando in sede associativa un codice etico per i propri comportamenti professionali2. E naturalmente non è concepibile che, per quanto attinente ai doveri individuali, un aspetto essenziale e non discrezionale dell’attività professionale del magistrato rimanga privo di riflessi istituzionali ed ordinamentali, sotto il profilo della garanzia di assolvimento così come per l’assicurazione delle condizioni e degli strumenti per l’assicurazione di una crescita professionale il più possibile diffusa ed adeguata. La complessità del fenomeno, propria di diverse ed eterogenee esigenze, si è inevitabilmente riverberata, in questi ultimi anni, sulla stessa attività di formazione dei magistrati italiani, che si è dovuta strutturare nel farsi, con una meditazione in corso d’opera su metodi, oggetto, organizzazione. Ne è scaturito un cammino a volte non lineare, su sentieri spesso accidentati, 1 Così la Relazione del C.S.M. al Parlamento sullo stato della giustizia per il 1994, Reclutamento e formazione professionale dei magistrati, in Quaderni del C.S.M., n. 68, 1994. 2 Si veda in particolare l’art. 3 del Codice etico approvato dall’A.N.M., sul quale si avrà modo di tornare anche in seguito. 17 che talvolta hanno implicato sforzi di comprensione tra chi progettava la formazione e chi ne fruiva. Ma si è trattato anche di un percorso estremamente fecondo, segnato da stimoli intellettuali intensi, da elaborazioni anche complesse, in un circuito - tra formatori e destinatari della formazione – sempre biunivoco e mai unidirezionale. L’interazione progressivamente più consapevole (e da ultimo più consapevolmente analizzata) tra i poli del circuito formativo ha rappresentato fin qui, e tra l’altro, l’unico strumento, essenziale ma non sufficiente, per una valutazione di qualità dell’offerta progettata e dell’offerta attuata nei confronti dei magistrati ordinari (e degli altri soggetti, sempre più numerosi, coinvolti nell’attività consiliare). L’importanza di tale valutazione, e dunque quella dell’affinamento degli strumenti cognizione e rilevazione relativi, non risiede semplicemente nei principi di buona amministrazione (che per inciso impongono una misurazione dei risultati in rapporto ai costi sostenuti per produrli) o nell’ambizione comprensibile della struttura per un prodotto gradito dai suoi destinatari. Si è appena detto che l’attività formativa rappresenta il riflesso istituzionale della doverosità di un costante ed adeguato aggiornamento professionale dei magistrati. Una formazione di qualità, dunque, non rappresenta l’obiettivo gradito ma “aggiuntivo” di una attività più o meno burocratica della struttura amministrativa che sorregge la funzione giurisdizionale, quanto piuttosto una necessità istituzionale per la Magistratura e per i suoi organi d’autogoverno. Si tratta allora di compiere una riflessione lungo più tracce, che colga le linee essenziali dell’esperienza formativa fino ad oggi maturata e nel contempo misuri (nei limiti del possibile) l’evoluzione e le relazioni reciproche dei parametri che segnano i compiti istituzionali della formazione dei magistrati. Dovrebbe scaturirne, quanto meno in una prima e perfettibile approssimazione, la base per studiare e discutere le linee possibili di una progressione non burocratica, non ripetitiva, non recessiva dell’attività di formazione. 1.B. L’efficienza della giurisdizione quale bisogno prioritario della società civile e delle sue istituzioni. In questi ultimi tempi sono emersi prepotentemente, anche per l’effetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e per i costanti richiami del Presidente della Repubblica, i problemi legati all’efficienza della giustizia. La ragionevole durata del processo è diventata, dopo la modifica dell’art. 111 della Costituzione, una delle 18 finalità necessarie e specifiche della legislazione, ed una norma d’azione per gli uffici giudiziari e per ogni magistrato. La magistratura ha ormai acquisito consapevolezza che efficienza e professionalità dell’intervento giudiziario sono due componenti essenziali e imprescindibili della funzione di garanzia che è chiamata a svolgere. E tuttavia, maggiore diviene la crisi di gestione della macchina giudiziaria, maggiore diviene il rischio che il sistema si chiuda alle reali esigenze della società, si legittimi in apparenza con momenti di sostanziale autoreferenzialità. Con la conseguenza tendenziale, su queste premesse, che una vasta congerie di interessi “deboli” non arrivi neppure più a sollecitare la tutela giurisdizionale, e nel contempo che vengano sottratte alla giurisdizione ordinaria le controversie di maggiore rilievo e quelle politicamente più sensibili. Anche il sempre maggiore spazio concesso alle autorità indipendenti conduce a momenti di riflessione sull’attuale ruolo della magistratura ordinaria. Perché dunque l’istituzione giudiziaria possa far emergere tutti i bisogni di tutela che sono attualmente respinti o frustrati dai ridotti livelli di efficienza che caratterizzano nel suo complesso il servizio giustizia, occorre fornire una risposta che si muova su due piani: uno concernente l’organizzazione ordinamentale, che preveda un giudice dotato di adeguata professionalità, ed un altro processuale, dove il rito sia maggiormente adeguato all’obiettivo da raggiungere. Sul piano dell’organizzazione e della sua capacità di rispondere alle legittime istanze dei cittadini il sistema si è confrontato con la riforma del giudice unico di primo grado, con l’istituzione dei tribunali metropolitani, con l’istituzione delle sezioni stralcio, con la realizzazione della competenza penale dei giudici di pace. Sul piano delle procedure, oggetto di particolare attenzione per il rito penale ma in generale interessate dal processo di riforma focalizzato tra l’altro sul nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, si è registrata una successione dall’impatto poderoso, specie ed appunto sul piano penalistico, con la c.d. Legge Carotti, con gli interventi quasi immediati di sua riforma, con le recentissime leggi sulla prova, sulle indagini difensive, sulla difesa d’ufficio, sul trattamento sostanziale e processuale dei reati di cosiddetta microcriminalità, per ricordare solo gli interventi più importanti del legislatore. Ecco dunque che, in questo momento di riforme procedurali ed organizzative, deve essere trovato un collegamento sempre più stretto tra formazione e contesto organizzativo in cui la stessa è chiamata ad inserirsi. La formazione è sicuramente un bisogno indotto dal cambiamento, ma può anche assumere la funzione di produttore del cambiamento stesso: occorre individuare i modi 19 in cui sia possibile governare nel modo più utile questa opportunità, analizzando le logiche e gli strumenti dell’innovazione e il ruolo svolto dai singoli soggetti chiamati a realizzare le riforme mirate ad assicurare garanzie ed efficienza insieme. Ciò anche considerando come i notevoli mutamenti di cui l’organizzazione giudiziaria è stata oggetto non siano stati sempre coordinati, e siano anzi talora apparsi in contraddizione proprio riguardo all’obiettivo di un servizio giustizia in cui le condizioni dell’efficacia e dell’efficienza possano essere utilmente coniugate con quelle della legalità del procedere. Esiste certamente, come sarà più volte notato nel corso di questa analisi, un rapporto interattivo tra formazione professionale e organizzazione. I cambiamenti introdotti hanno inciso sicuramente sulla professionalità richiesta ai magistrati e sui modi del loro operare. Basti pensare ai diversi lineamenti assunti dalla figura del presidente di sezione od alla diversa competenza attribuita al giudice monocratico sia nel settore civile che nel settore penale. Basti pensare ancora, e sul piano squisitamente ordinamentale, agli sbarramenti posti per l’esercizio di funzioni monocratiche agli uditori con funzioni e per l’esercizio della giurisdizione preliminare nel processo penale. Basti pensare infine, nella materia civile ed in chiave prospettica, alle implicazioni della cd riforma Mirone per quanto riguarda il diritto societario, od ai progetti di modifica delle esecuzioni mobiliari e delle procedure concorsuali. In alcuni settori, come ad esempio quello concernente i magistrati che si occupano dei minori, oppure all’interno della magistratura di sorveglianza, questa esigenza “specializzata” di cambiamento è stata percepita in anticipo. E’ stato così sviluppato in modo positivo il circuito organizzazione/professionalità/cambiamento, anche se occorre prevenire l’eventualità che una differenziazione troppo accentuata isoli il fenomeno e la sua evoluzione all’interno di compartimenti non comunicanti, in contrasto con l’esigenza di un dibattito che investa l’intera organizzazione giudiziaria. Del resto il modello del giudice “generalista”, cioè del giudice territorialmente ripartito ma con competenza generale, sembra inevitabilmente entrato in crisi. Di fatto lo stesso legislatore ha abbandonato il mito del magistrato onnisciente, per avvicinarsi ad un giudice che, per determinati settori, si caratterizza per una capacità professionale qualificata (si pensi ai già ricordati tribunale per i minori, ai tribunali di sorveglianza, alle sezioni lavorio, alle Direzioni distrettuali antimafia, alla stessa Direzione Nazionale Antimafia). Il Consiglio Superiore, in sede di normazione secondaria, ha percepito la necessità che sempre più spesso, ai percorsi di cambiamento della struttura organizzativa giudiziaria, faccia riscontro il supporto ad una 20 cultura della giurisdizione specifica, e quindi la necessità di una nuova formazione professionale. Si pensi ad esempio alla disciplina introdotta per la copertura di posti della magistratura di sorveglianza e dei minori, per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi in questi settori, per la copertura di posti apicali nelle Procure della Repubblica ove abbiano sede le Direzioni distrettuali antimafia. A livello tabellare, negli uffici giudicanti sono state individuate specifiche modalità di assegnazione per materia sia negli affari civili che in quelli penali, mentre in molti uffici di Procura sono stati costitutiti gruppi di lavoro specializzati per determinati reati. In questo contesto la formazione professionale del magistrato, e, in uno stadio successivo, la sua valutazione, dovrebbero costituire uno dei principali obiettivi cui finalizzare l’organizzazione del sistema giustizia. Per la verità conviene notare fin d’ora che nella specializzazione possono insinuarsi, oltre agli innegabili aspetti positivi (l’economicità dell’assetto organizzativo dell’ufficio, i tempi minori per la decisione, una tendenziale uniformità della decisione per casi analoghi, una sensibilità specifica per la questione sottoposta ad esame), anche aspetti negativi, come il rischio di una cristallizzazione giurisprudenziale, la resistenza alle innovazioni, l’appannamento dell’imparzialità conseguente alla costante prossimità agli interessi oggetto della decisione. Questi rischi tuttavia possono essere evitati se si persegue l’obiettivo di conciliare l’idea della specializzazione con quella di una ragionevole temporaneità delle funzioni, in cui le competenze acquisite non vadano disperse, ma possano essere utilizzate in settori contigui ove vengano affrontati problemi giurisdizionali affini. Ecco dunque riemergere il ruolo essenziale della sinergia tra organizzazione e formazione, e dunque della sinergia tra formazione ed efficienza della giurisdizione. L’efficienza è non solo un obiettivo costituzionalmente garantito, anche attraverso il principio sulla ragionevole durata del processo, ma una delle condizioni per la legittimazione democratica del principio di indipendenza del giudice. Occorre pero chiarire come, per l’organizzazione giudiziaria, vada definito con molta attenzione lo stesso concetto di efficienza. I misuratori prevalenti, ad esempio a livello di analisi politica o mediatica del problema, sono certamente essenziali e pertinenti, ma non esaustivi. Se è chiaro ad esempio che non possono accettarsi valutazioni emotive del pubblico, specie se riferite alla qualità delle decisioni assunte (a ondate, con riguardo alla durezza delle pene inflitte, o talvolta in riferimento alle condanne piuttosto che alle assoluzioni), gli stessi misuratori della durata del processo, o della quantità delle decisioni assunte, vanno ponderati con sufficiente fi- 21 nezza. Questi parametri, se isolatamente considerati, nascondono la peculiarità del lavoro giudiziario, che richiede che la decisione sia assunta secondo le regole (che ad esempio spesso configurano anche un tempo minimo a garanzia delle parti), sul presupposto che quelle regole siano la strada migliore, fatti salvi gli incidenti di legittimità costituzionale, per una decisione corretta. Allo stesso tempo il magistrato deve trovarsi nella condizione di assumere la decisione in condizione di capacità professionale - il che significa in primo luogo in condizione di comprensione culturale del fenomeno oggetto del suo giudizio - in modo da evitare, per quanto possibile l’errore ed il soggettivismo o la casualità e agire in modo autonomo e indipendente, e cioè mantenendo ben riconoscibile la separatezza delle sue prospettive personali rispetto al merito della sua decisione da un lato, e confermando l’indipendenza istituzionale del corpo giudiziario rispetto alle altre istituzioni all’esterno. Dunque la professionalità del magistrato, e la stessa sua indipendenza, sono misuratori di efficienza del sistema altrettanto importanti che altri. In altre parole, la professionalità del magistrato rappresenta un requisito che condiziona la sua indipendenza, la quale a sua volta condiziona la legittimazione del giudice. La giurisdizione è dunque un fattore di democrazia condizionata dalla presenza di un giudice autonomo da ogni potere, che possa utilizzare un percorso processuale idoneo a rendere giustizia in tempi ragionevoli, e quindi professionalmente qualificato, in particolare in quei settori dove la complessità della materia richieda una conoscenza specifica anche di saperi extragiuridici. Il sistema sarà efficiente nel momento in cui anche il confronto all’interno degli uffici su criteri organizzativi, prassi e d orientamenti giurisprudenziali sarà sentito come valore, come dovere deontologico. Un richiamo a questa esigenza proviene dalle stesse recenti riforme legislative che hanno investito l’art. 47 dell’ordinamento giudiziario, con il d.lgs n. 51/98. Se il sistema giudiziario è un sistema di potere diffuso, occorre riflettere anche sulle modalità dell’esercizio di questo potere e confrontarsi sulle aspettative dei cittadini. Non si tratta di perseguire una omogeneità giurisprudenziale sulle scelte culturali di fondo, in cui la presenza di giurisprudenze diverse ha sicuramente aspetti positivi, una volta che si presenti come scelta consapevole ed informata rispetto all’alternativa esistente. La cultura dell’organizzazione del servizio giustizia deve però avere ricadute sull’impegno per realizzare all’interno delle varie sedi giudiziarie moduli organizzativi comuni rivolti alla funzionalità del servizio; in assoluto, ma in particolare nella gestione della quotidianità solo dal confronto non occasionale, abbandonando logiche di separatezza potranno esserci rispo- 22 ste positive allo sforzo per una certezza del diritto possibile, che , allo stesso tempo, sia capace di fornire risposte effettive ed accettabili anche rispetto a domande di tutela nuove e sempre più ampie, in modo da garantire il più ampio numero di soggetti interessati. 1.C. Ruolo e caratteri dell’organizzazione giudiziaria quali fattori di conformazione dello strumento formativo. Nei paragrafi precedenti si è evocato, con la sommarietà consentita dal fine della mera loro enunciazione, il quadro dei compiti della magistratura italiana nel contesto sociale, normativo, istituzionale, costituzionale in cui vive ed opera, ed è già emersa la fondamentale importanza della formazione. Per un’esatta comprensione degli obbiettivi e dei contenuti della formazione medesima, nonché delle scelte che in concreto negli anni sono state operate (per scrutinarne anche criticamente le ragioni e per operare in vista di miglioramenti), è opportuno richiamare l’attenzione su alcuni elementi, la cui esatta valutazione risulta imprescindibile perchè si tratta di fattori che “conformano” il modello formativo utile per i magistrati. Si tratta in particolare di porre le premesse per una formazione che: a) non prescinda nè possa imboccare percorsi che prescindano dalla posizione ordinamentale del magistrato italiano; b) sia rispettosa dei caratteri dell’organizzazione giudiziaria, c) prenda atto dell’inesistenza di modelli di riferimento “esportabili” e dunque si organizzi per una costruzione “dall’interno” di un modello per la magistratura italiana d) corrisponda alla “doppia faccia” dell’attività giurisdizionale, che si fonda su saperi sostanziali e richiede la gestione tecnica delle regole per pervenire alla decisione. 1.C.1. Le peculiarità dell’organizzazione giudiziaria e l’inesistenza di modelli di riferimento “esportabili”. L’organizzazione giudiziaria presenta caratteristiche peculiari, che la differenziano sia dall’impresa privata che da altri settori della pubblica amministrazione (anche da quelli che, come la giustizia, garantiscono servizi essenziali per la collettività, come scuola e sanità). Si tratta infatti di “una struttura prevalentemente rigida, perché regolata in ogni suo momento da norme formali”, che “non è propriamente strutturata in vista del raggiungimento di fini”, che “non opera in situazione di concorrenza”, che non presenta alcuna “divaricazione tra 23 vertici - committenti della FP e base - destinataria della medesima”3. Le particolarità del soggetto destinatario della formazione, da un lato, e del contesto organizzativo-funzionale in cui si colloca, dall’altro, fanno sì che non si rinvengano modelli di formazione esportabili, sic et simpliciter, in ambito giudiziario. In proposito, deve operarsi una distinzione di fondo tra la formazione che ha per riferimento l’esercizio della giurisdizione e quella che punta al miglioramento dei profili organizzativo-gestionali del lavoro giudiziario e che si rivolge, in primo luogo, ai dirigenti degli uffici. L’attività di questi ultimi non si differenzia, sotto molti profili, da quella di un dirigente amministrativo (se non per l’oggetto che richiede un’attività improntata ad un rafforzamento delle garanzie che va ben al di là degli ordinari criteri di buon andamento della pubblica amministrazione) e anzi da tempo, sotto la bandiera dell’efficienza, si parla di aziendalizzazione, come chiave di soluzione dei problemi del “pubblico”, anche per la giustizia. Se per la formazione dei dirigenti possono mutuarsi, con gli opportuni adattamenti, moduli formativi già sperimentati in altri contesti di produzione di servizi, ciò non è possibile per l’esercizio della giurisdizione. Come è noto, l’esigenza (e quindi l’organizzazione) della formazione fonda le sue origini nell’industria, dove costituisce uno strumento predisposto, conformato e promanato dall’alto per conseguire un miglioramento della efficienza e della qualità del sistema produttivo, attraverso l’aumento della competenza professionale e dell’orizzonte informativo di cui dispone il lavoratore, nonché attraverso la diminuzione del suo senso di estraneazione dall’impresa. Nei contesti produttivi, infatti, la prestazione lavorativa “motivata”, caratterizzata da una maggiore capacità e libertà di autodeterminazione, inserita in un sistema diffuso dei flussi informativi, è funzionale ad un maggior controllo dei risultati del lavoro, che deve garantire una qualità data. Come è stato osservato da esperti della formazione (con riferimento alla produzione di servizi sanitari e sociali), nel modello “industria” si “crede di poter individuare culture, saperi, strumenti e regole di riferimento per <<mettere ordine>>. Regole precise e ripetute garantiranno la prestazione ottimale; l’oggetto di lavoro sembra pensato all’interno di saperi che orientano gli operatori verso una sorta di ingegnerizzazione della cura. Rientrano in questo modello tutte le pratiche dei processi di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dei servizi o l’idea del manager come colui che deve definire esattamente i diversi livelli 3 24 Si veda la Relazione del C.S.M. al Parlamento, citata alla nota che precede. di gerarchia e responsabilità. In questo senso non può non venire in mente la fabbrica tayloristica, nella quale i processi lavorativi sono razionalizzati in modo da consentire a ciascun operatore di sapere che cosa deve fare, come e in quanto tempo. Nelle culture classiche dell’organizzazione non importa se si producono vernici o si aiuta un adolescente a riprogettare la sua esistenza dopo un periodo di depressione, quel che conta è avere chiara la distribuzione del lavoro, la sequenza delle prestazioni e i tempi per le singole azioni”. Infatti l’idea della aziendalizzazione “fonda il ragionamento per cui, se è possibile definire le procedure e gli standard con cui costruire le macchine, è altrettanto possibile definire le procedure e gli standard per risolvere situazioni di sofferenza o di dolore. In questo modo decontestualizza l’oggetto di lavoro, nel senso che presuppone che produrre benessere [produrre giustizia, potremmo dire noi] sia la stessa cosa che produrre vernici …”. 1.C.2. La costruzione “dall’interno” di un modello di formazione per la magistratura italiana. Se il modello “industria” non può applicarsi alla giurisdizione, neppure le Scuole straniere della magistratura (e in primo luogo l’Ecole National de la Magistrature) possono costituire un punto di riferimento esaustivo, per le caratteristiche di indipendenza interna ed esterna che connotano fortemente il magistrato italiano, e che sono assenti o affievolite altrove. Del resto non esistono studi ed elaborazioni di rilievo sui metodi più idonei per la formazione dei magistrati, e non è mai stato approfondito, nell’ambito proprio delle scienze sociali, un modello formativo per la magistratura, che vada al di là della semplice e scolastica impartizione di lezioni di diritto. E’ noto oltretutto come il lavoro del magistrato sia sempre duplice, consistendo (in varia misura a seconda della funzione svolta) in un’attività di conduzione del processo e in un’attività di qualificazione giuridica delle fattispecie. A queste si accompagna poi quella specialissima attività che è la decisione. Le “abilità” che entrano in gioco in queste attività sono diverse e, se per quanto concerne la conoscenza del diritto sostanziale possono proporsi forme tradizionali di insegnamento e apprendimento, imparare a condurre un processo e a decidere implica l’acquisizione di tutta una serie di capacità per le quali è stato (ed è tuttora) necessario inventare un nuovo lessico formativo. Al fine appena indicato ben difficilmente potrebbero essere chia- 25 mati, in chiave esclusiva e risolutiva, esperti e tecnici esterni alla magistratura, poichè costoro non sarebbero in grado di cogliere e analizzare tutte le peculiarità della funzione, mentre l’ “appalto” di una tale ricerca porrebbe in ogni caso delicati problemi di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. La struttura di formazione si è, pertanto, trovata di fronte al non semplice problema di individuare l’oggetto, il contenuto, l’obbiettivo, il metodo della formazione per i magistrati, raccogliendo la sfida della necessità di preparare la nostra “cassetta degli attrezzi”. Per giungere a tale risultato, o meglio ad alcuni risultati intermedi da rivedere e migliorare, è stato necessario valutare quello che le teoriche tradizionali sulla formazione proponevano e cercar di capire quali suggerimenti potevano venire da esperienze pilota nel settore dei servizi. Soprattutto è stato necessario “imparare sbagliando”, apprendendo dai risultati degli incontri di studio cosa doveva essere eliminato, cosa rafforzato o migliorato Quest’opera, tuttora in fieri, è stata condotta in modo per lo più autodidatta e solo per alcune attività sperimentali (i laboratori per il giudice ed il p.m. nel procedimento minorile e della famiglia, e per i magistrati di sorveglianza) ai magistrati è stata affiancata un’assistenza esterna, di carattere esclusivamente metodologico, ad opera parte di professionisti della formazione, resa indispensabile dalla carenza di competenze professionali e culturali specifiche all’interno della magistratura. Si tratta naturalmente di comprendere, a questo punto, in che senso l’esperienza e le caratteristiche del corpo giudiziario debbano orientare il modello formativo. 1.D. La nuova dimensione europea e internazionale dell’attività giudiziaria. “Accanto agli adempimenti della XII Legislatura repubblicana ci sono davanti a noi anche gli adempimenti della nuova Legislatura europea che sta per cominciare. Di questa Legislatura, il programma centrale è lo “spazio europeo di libertà, sicurezza e cooperazione giudiziaria”, un programma quinquennale che impegnerà in egual misura il Parlamento europeo e i Parlamenti nazionali. Il nostro ordinamento avrà nell’attuazione progressiva di questo programma un parametro sicuro di riferimento a quello “standard” giudiziario europeo, che è condizione primaria perché i cittadini e le imprese possano godere di un’effettiva cittadinanza europea e usufruire di una concreta 26 garanzia di pienezza della tutela giurisdizionale. Sono certo che il Consiglio Superiore della Magistratura presterà la massima attenzione alle fasi di attuazione di tale “spazio” di diritto comune europeo, dando anche qui il suo contributo in termini di consiglio e di proposta. Non è lontano, inoltre, il momento nel quale potrà parlarsi di una formazione professionale comune dei magistrati europei. La diffusione di una cultura della giurisdizione comune fra i magistrati europei è premessa e strumento della promozione di forme sempre più tempestive e incisive di cooperazione giudiziaria”. Con queste parole, pronunciate in occasione del suo discorso di insediamento dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura, il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi indicava nella maniera più precisa e solenne il nesso necessario tra gli scenari istituzionali e normativi dell’Unione Europea in materia di giustizia e l’esigenza di favorire, attraverso la formazione, l’emergenza di una comune cultura dei magistrati europei. Non v’è dubbio che il peculiare rilievo assunto dall’applicazione giurisprudenziale del diritto comunitario e la crescente importanza dei profili internazionali dell’attività giudiziaria sono tra i fattori che, negli ultimi anni, più hanno contribuito al cambiamento del ruolo istituzionale e delle pratiche professionali dei magistrati. Il carattere sempre più spesso transnazionale di situazioni e fenomeni oggetto di regolazione per via giudiziaria e l’incidenza profonda di fonti comunitarie o di origine pattizia negli ordinamenti giuridici interni, disegnano un contesto nel quale la necessità di adeguare saperi e capacità dei magistrati europei - la loro cultura, o, se si vuole, la loro “cassetta degli attrezzi” - appare impellente. Se ci si volge indietro e si tenta di condurre la riflessione in una prospettiva storica, ci si accorge che l’elemento caratterizzante di tale nuovo contesto è forse, più di altri, la recente, fortissima accelerazione del processo che lo ha determinato. L’integrazione, talvolta la vera e propria “scalata”, del diritto comunitario e dei principi posti a tutela dei diritti umani nel sistema delle fonti è fenomeno che negli ultimi anni ha toccato ordinamenti tra i più refrattari ad influenze esterne, mentre la cooperazione giudiziaria internazionale è stata recentemente oggetto, almeno a livello europeo, di mutamenti profondi. Sviluppatasi negli anni cinquanta ai margini di trattati di natura essenzialmente economica, la cooperazione giudiziaria, centrata sull’attività penale, è stata per lungo tempo in Europa una specie di necessario prolungamento, di appendice, della cooperazione tra polizie, già allora ancorata a modelli e strutture operative (per tutte, Interpol) larga- 27 mente esorbitanti l’ambito europeo e non a caso espressamente citate nelle convenzioni di più generale applicazione. Nonostante il concetto di “spazio giudiziario europeo “ fosse stato enunciato fin dal Consiglio europeo di Bruxelles del dicembre 1977, i tentativi di declinarlo nella realtà si sono per anni tradotti in altrettanti fallimenti. L’Accordo di Schengen del 1985 e l’Atto unico europeo del 1986, stipulati al dichiarato scopo di stabilire nello spazio europeo, anche mediante l’adozione di specifiche misure di accompagnamento dell’abolizione delle frontiere interne, la libera circolazione delle persone quale condizione per la migliore realizzazione del mercato unico, non avevano fatto uscire la cooperazione giudiziaria dal quadro intergovernativo che le era sempre stato proprio. E’ stato il Trattato di Maastricht, entrato in vigore nel 1993, a segnare l’istituzionalizzazione della cooperazione giudiziaria e la creazione di un Terzo Pilastro dedicato alla Giustizia ed agli Affari Interni : pur restando nell’ambito intergovernativo, le istituzioni comunitarie (Parlamento, Consiglio, Commissione) si vedono riconosciute competenze proprie in materia di cooperazione giudiziaria. Si innesta così una dinamica, certo non priva di contraddizioni ma reale, di integrazione della cooperazione giudiziaria al diritto comunitario. Dinamica che, pur con i limiti e le insufficienze connaturati ai processi politicoistituzionali complessi, non ha a tutt’oggi conosciuto inversioni di tendenza. Al contrario. Con la firma del Trattato di Amsterdam alla data del 2 ottobre 1997, l’Unione europea si è data per la prima volta come obiettivo quello della “creazione progressiva di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’ambito del quale è assicurata la libera circolazione delle persone”. Si tratta di un obiettivo generale, “interpilastri “: la giustizia entra a far parte a pieno titolo delle politiche dell’Unione. L’estensione del settore comunitario alla cooperazione giudiziaria in materia civile e la riforma del Terzo Pilastro4, pure operati dal Trat- Ormai limitato alla cooperazione di polizia ed a quella giudiziaria in materia penale, il Terzo pilastro vede tra l’altro, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, il riconoscimento alla Commissione di poteri di iniziativa nel processo di produzione normativa fin qui riservati agli Stati membri, nuove prerogative e nuovi compiti per il Parlamento europeo e per la Corte di Giustizia, la possibilità di realizzare forme più avanzate di cooperazione tra un numero ridotto di Stati membri, l’inizio del superamento del principio dell’unanimità, la previsione di un’armonizzazione dei diversi diritti penali europei, un riferimento preciso al rispetto dei diritti umani (artt. 6 e 49 TUE) garantito da un meccanismo sanzionatorio nei confronti dello Stato membro che si rendesse responsabile della loro violazione (art. 7 TUE). 4 28 tato di Amsterdam, sono state seguite, secondo cadenze prima sconosciute, da altri passaggi importanti, che consegnano al terzo millennio un quadro istituzionale e normativo in rapida evoluzione. Si pensi alle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, tenutosi il 15 e 16 ottobre 1999, primo vertice dei Capi di Stato e di Governo consacrato alla Giustizia e agli Affari interni, che si è pronunciato espressamente per la realizzazione di “un vero e proprio spazio europeo di giustizia”, fondato su tre capitoli fondamentali : un miglioramento delle condizioni di accesso alla giustizia, il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie (definito come la “chiave di volta “della cooperazione giudiziaria, tanto in materia civile che penale) e una più forte convergenza nel campo del diritto civile per gli affari a carattere transfrontaliero. Priorità è data nelle Conclusioni di Tampere alla lotta contro la criminalità organizzata, con indicazioni specifiche concernenti il riciclaggio dei profitti criminali. Si pensi ancora alla creazione, nel mese di settembre del 2000, dell’Unità Provvisoria Eurojust, costituita al fine di favorire il migliore coordinamento tra le autorità giudiziarie europee nella lotta alle forme gravi di criminalità organizzata, od agli esiti della Conferenza Intergovernativa di Nizza, che hanno prodotto l’inserimento di Eurojust nei Trattati. Si pensi, infine, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che, proclamata in occasione del Consiglio europeo di Biarritz e firmata a Nizza nel dicembre scorso, costituisce un’altra tappa del tentativo di ancorare l’Europa dei cittadini a principi e valori comuni. Una facile previsione si impone nel contesto fin qui descritto. Quali che siano le difficoltà dei processi di integrazione politicoistituzionale in Europa, la tendenza di fondo all’accelerazione, insieme quantitativa e qualitativa, della trasformazione della cooperazione giudiziaria si troverà amplificata nei prossimi anni. La progettazione della formazione professionale dispensata dal Consiglio Superiore ai magistrati italiani si è posta e deve porsi con attenzione crescente l’obiettivo di accompagnare tali mutamenti e di integrare queste nuove dimensioni dell’attività giudiziaria. Proprio dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea emerge una nuova prospettiva culturale per quanto riguarda i contenuti della formazione; a ciò è collegata una dimensione collettiva per quanto riguarda l’ individuazione dei suoi destinatari; dallo stesso Consiglio d’Europa è stata infatti sottolineata recentemente l’ obbligatorietà della formazione non solo per i magistrati giudicanti, ma anche per i magistrati del p.m. 29 1.E. La formazione nell’ordinamento interno. 1.E.1. Il dovere costituzionale di leale cooperazione fra poteri dello Stato. Come è stato già sottolineato nella precedente relazione5, la competenza del Consiglio Superiore in materia di formazione dei magistrati, per quanto non espressamente indicata nell’art. 105 della Costituzione, è ormai unanimemente riconosciuta nell’ordinamento e nel mondo istituzionale6. All’indicazione delle norme che espressamente prevedono tale funzione del Consiglio, contenuta nella predetta relazione, possono aggiungersi: l’art. 4-bis della legge 21 novembre 1991, n. 374, che ha istituito il giudice di pace, inserito con l’art. 2 della legge 24 novembre 1999, n. 468; l’art. 11, quinto comma, della legge 13 febbraio 2001, n. 48, sull’aumento del ruolo organico e la disciplina dell’accesso in magistratura, nella parte in cui, in caso di riduzione della durata del tirocinio degli uditori giudiziari, prevede l’obbligo di partecipazione per i cinque anni successivi all’assunzione delle funzioni e per due mesi l’anno, agli “incontri di studio sulla formazione professionale, organizzati, fino all’istituzione della scuola della magistratura, dal Consiglio superiore della magistratura”; l’art. 16 della stessa legge, che, per il tirocinio degli avvocati vincitori del concorso per magistrato di tribunale di cui all’art. 14, richiama la disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari dettata con il d.p.r. 17 luglio 1988. Recentemente, inoltre, l’attività di formazione dei magistrati ha avuto il positivo apprezzamento del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nell’intervento svolto davanti all’Assemblea plenaria del Consiglio il 5 marzo 20017. 5 BONETTO, CARCANO, CASSANO, CIAMPOLI, FABIANI, MORELLI, OBERTO, VERARDI, La formazione professionale del magistrato – Relazione e considerazioni sull’attività svolta (marzo 1994 – giugno 1995), s.d. ma Roma 1996, pag. 18, 6 Nella citata Relazione al Parlamento, pag. 98 e seg., si ricorda che la prima iniziativa consiliare in tema di formazione risale alla delibera 5 aprile 1973, cui seguì nello stesso anno l’organizzazione di sei incontri della durata di una settimana, a ciascuno dei quali parteciparono cinquanta magistrati. 7 Il Presidente, in tema di formazione dei magistrati ha espressamente dichiarato: “E’ molto importante anche in questo campo il ruolo del Consiglio Superiore, il quale conosce bene la problematica in esame e già si è adoperato e si adopera per studiare soluzioni e fare proposte. Questo sforzo deve essere intensificato, poiché sì tratta di un problema la cui mancata o inadeguata soluzione rischia di travolgere qualsiasi processo riformatore. E bisogna porre mente al fatto che, come ho avuto altre volte modo di affermare, la formazione non è soltanto qualcosa di propedeutico all’iniziale esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma è essenziale lungo l’intero arco della vita professionale del magistrato, sotto forma di aggiornamento culturale e di ragionata rivisitazione delle esperienze accumulate nelle diverse articolazioni della propria attività professionale di magistrato, sia come requirente, sia come giudicante.” 30 La formazione dei magistrati, pur rientrando nelle attribuzioni del Consiglio, pone comunque anche un problema di adempimento del dovere di leale collaborazione con altri poteri dello Stato8. Tale dovere, ribadito e puntualizzato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 379 del 1992, ha certamente una portata che va al di là dello specifico oggetto (rapporti tra C.S.M. e Ministro in tema di concerto per la nomina dei titolari di uffici direttivi), potendo estendersi a ogni ipotesi in cui le norme prevedano il concorso di organi e soggetti distinti nell’esercizio di una funzione pubblica di rilievo costituzionale. In tal caso, secondo la Corte costituzionale, le istituzioni concorrenti sono tenute a comportarsi secondo i principi della correttezza nei loro rapporti reciproci e nel rispetto sostanziale dell’autonomia di ciascuna di esse. In via del tutto semplificativa si possono ricordare, come ipotesi di concorso del Consiglio con altri poteri dello Stato in materia di formazione, l’organizzazione dei corsi di specializzazione per i giudici di pace, prevista, in via transitoria, dall’art. 6, comma 5-ter della legge n. 374 del 1991, che aveva appunto assegnato tale compito al Ministero ed al Consiglio stesso. Ma, ancor prima della formazione vera e propria, per l’evidente rapporto esistente tra il piano della formazione finalizzata all’esercizio delle funzioni giurisdizionali e quello della preparazione al concorso, la legge prevede un’attività del Consiglio concorrente con quella del Ministro dell’università e del Ministro della giustizia in materia di scuole di specializzazione per le professioni legali (art. 16 del d.lgs. 398 del 1997), nelle quali si deve realizzare la formazione comune dei laureati in giurisprudenza al fine di accedere alla magistratura ordinaria o di esercitare le professioni di avvocato o notaio. Le scuole, come previsto dall’art. art. 17, commi 113 e 114, della legge n. 127 del 1997 sono istituite presso le Università, con provvedimenti del Ministro dell’università di concerto con il Ministro della giustizia, sentito il Consiglio, al quale poi compete indicare la rosa dei magistrati tra i quali vengono scelti quelli che compongono il consiglio direttivo (d.m. n. 509 del 1999). Rientra poi nell’ordinaria competenza consiliare l’au8 Sulla qualificazione del C.S.M. come “potere dello Stato” v. già Corte cost. n. 168 del 1963 e, successivamente, ex professo, l’ordinanza n. 184 del 1992 e la sentenza n. 279 dello stesso anno di cui al testo. La stessa commissione “Paladin” (Giur cost. 1991, 986), che pure ha adottato un orientamento abbastanza restrittivo in tema di qualificazioni sul piano costituzionale delle funzioni e della natura del C.S.M., ha espressamente affermato la legittimazione del Consiglio a sollevare conflitto di attribuzioni ai sensi dell’art. 134 Cost., a tutela delle sue “attribuzioni costituzionalmente rilevanti”. 31 torizzazione ad accettare l’incarico di componente del corpo docente e delle commissioni d’esame per l’accesso e per il conseguimento del diploma. Un ulteriore ipotesi di concorso di attività può infine prospettarsi in materia di formazione dei magistrati dirigenti e di quelli titolari di funzioni di collaborazione direttiva, di cui si tratterà specificamente in seguito, in relazione al rilievo che tali magistrati sono chiamati a svolgere, oltre a funzioni giurisdizionali e di amministrazione della giurisdizione, anche compiti attinenti al funzionamento dei servizi, che rientra nelle attribuzioni costituzionali del Ministro. Tra l’altro significativa evoluzione ha conosciuto negli ultimi tempi anche la formazione del personale amministrativo del dipartimento di giustizia, attraverso lo sviluppo delle “scuole”, il cui numero va rapidamente aumentando sul territorio nazionale e le quali vanno seguite con grande interesse, vantando un ottimo modello strutturale e rilevanti risorse organizzative. Del resto la collaborazione con la struttura destinata a formare i collaboratori del giudice e del pubblico ministero è impegno la cui utilità risulta di palmare evidenza. Non può tralasciarsi il rilievo che in concreto il Consiglio ha già dato spontaneamente prova di ispirare la sua azione, in materia, al principio di leale collaborazione, sottoscrivendo la convenzione 23 settembre 1993, con la quale, in via sperimentale e in attesa dell’istituzione in via legislativa della Scuola, si prevedeva la creazione di una struttura comune, composta da rappresentanti del Ministero e del Consiglio. Come è noto la convenzione non ha poi avuto effetti per il diniego di registrazione da parte della Corte dei conti. 1.E.2. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali. Nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un progressivo incremento dell’interazione tra il Consiglio ed altri enti in materia di formazione. Tuttavia va registrata una certa difficoltà di natura strutturale nel recepire le offerte provenienti da soggetti esterni o nel pianificare progetti da proporre all’esterno, imputabile in larga parte ai limiti intrinseci dell’attuale assetto organizzativo. Superando le attuali difficoltà operative si è comunque iniziato a prendere contatto con alcuni enti per l’adozione di iniziative comuni. Nel dicembre del 2000 si è così perfezionata un’iniziativa formativa presso la CONSOB (v. l’incontro di studio, organizzato nelle due sessioni del 18 dicembre 2000 e del 15 gennaio 2001), che ha avuto notevole successo tra i parteci- 32 panti. Sono state altresì realizzate altre positive iniziative in collaborazione con la Banca d’Italia (v. l’incontro di studio del 4-6 giugno 2001) e l’Agenzia nazionale per il volo (v. l’incontro di studio del 18 maggio 2001). La crescente importanza dell’attività di agenzie e autorities, istituzionalmente preposte alla funzione di controllo su rilevanti settori della vita economica e sociale, impone l’approfondimento dei rapporti già avviati, nel recente passato, con tali istituzioni. Risulta infatti essenziale, per la completa ed efficace attuazione delle normative speciali, realizzare effettive sinergie operative con queste autorità –le cui competenze sempre più spesso si intersecano con quelle della magistratura-, innanzi tutto promovendo la conoscenza delle reciproche potenzialità ed esigenze. In proposito, affidarsi a iniziative autonome, pur realizzabili, appare insufficiente, risultando certamente più proficuo attingere direttamente all’esperienza che la maggior parte di questi enti hanno maturato nella formazione del proprio personale. In conclusione va comunque sottolineato come la formazione “integrata” non possa andare a scapito delle iniziative gestite in completa autonomia dal Consiglio. In altri termini, la collaborazione in materia di formazione deve divenire un valido e irrinunciabile complemento dell’attività tradizionale, ma non può sostituirla. Sotto altro profilo deve invece rilevarsi l’opportunità che il progetto di una attività formativa in collaborazione si conformi per larga parte mediante l’attività della rete di formazione decentrata, coinvolgendo – quantomeno in alcune iniziative – il maggior numero possibile di magistrati, ai quali fornire in questo modo importanti occasioni di confronto e di apertura culturale. 1.E.3. Il confronto con gli altri operatori del diritto. L’esigenza di aggiornamento professionale su saperi extragiuridici, finalizzata a diffondere fra i magistrati conoscenze relative a settori scientifici complementari ma sempre più attuali (tra cui economia, contabilità, psicologia, balistica, stupefacenti, medicina, psichiatria, chimica in tema di sofisticazioni alimentari, ecologia, urbanistica, scienza dell’amministrazione, tecnica bancaria, scienze sociali), ha accentuato il progressivo coinvolgimento degli altri operatori del diritto, sia esterni alla magistratura, sia provenienti da altre magistrature (onoraria, amministrativa, militare) quali relatori, o partecipanti ai corsi di formazione che hanno per oggetto tematiche comuni. 33 In effetti la sempre maggiore complessità dei fenomeni sociali, la multiculturalità della società contemporanea, la globalizzazione dei mercati, fenomeni tutti che comportano un inevitabile riflesso sul piano giuridico, impongono di valutare e ponderare i diversi saperi, soprattutto in tema di tutela interdisciplinare della persona, della famiglia e dei minori, nonché sulle problematiche attinenti il mondo del lavoro. L’offerta formativa relativa ai settori specifici dei diritti bancario e commerciale (comprendente al suo interno il diritto societario, industriale, fallimentare) per il settore civile, ed il contenuto specialistico della legislazione penale oggetto dei vari incontri di studio, così come gli aspetti complessi della devianza criminale, hanno reso indifferibile l’apporto di conoscenze ed esperienze multidisciplinari. A tale apporto si connette la possibilità di un immediato confronto sulle varie tematiche oggetto degli incontri di studio, con la prospettazione delle relative posizioni e orientamenti, anche antitetici, che consentono una ponderata valutazione dei rispettivi punti di vista al fine di ricercare soluzioni, sia comuni che differenziate, in un’ottica di effettiva dialettica. E’ evidente come tale confronto sviluppi la comprensione tra logiche e ruoli diversi, ma complementari, e costituisca strumento di crescita professionale dei magistrati, mezzo di affinamento nell’esercizio della funzione, contribuendo ad una maggiore efficienza complessiva dei sistema. Proprio in tale ottica di collaborazione e confronto produttivo, da qualche anno, il Comitato scientifico, nel redigere il programma annuale dei corsi di formazione ed di aggiornamento professionale da sottoporre per l’approvazione al Consiglio, individua le ulteriori categorie dei destinatari delle varie offerte formative e la percentuale di partecipazione alle medesime. Per il 2001 è stata prevista la partecipazione a singole iniziative di rappresentanti delle forze di Polizia, specializzati nella lotta alla immigrazione clandestina ed alla tratta degli esseri umani9, di avvocati e appartenenti alla magistratura amministrativa e militare10, Incontro di studi su “Fenomeni migratori, minoranze e razzismo”. Incontri su “Ricostruzione del fatto e prova scientifica”, “Libertà della persona e provvedimenti prescrittivi del giudice”, “Rapporto tra illecito civile e illecito penale”, “La discrezionalità nell’attività giurisdizionale”, “Questioni attuali in materia di contratto”, “Il contenzioso con le banche”, “Il punto sul nuovo rito civile ordinario”, “Le prove nel processo civile”, “L’istruttoria sommaria atipica”, “Le impugnazioni civili”, “I processi soggetti al rito del lavoro”, “La tutela cautelare d’urgenza”, “Modelli e dinamiche del processo e della pena”, “Le recenti riforme del processo penale”, “Il nuovo diritto penale tributario”, “Dalla notizia di reato all’avviso di conclusione: funzione e struttura delle indagini preliminari”, 9 10 34 di notai11. Occorre incentivare ulteriormente la partecipazione, anche quali relatori, di esperti nelle specifiche materie della famiglia, dei minori e del lavoro, per l’utile e specifico contributo all’approfondimento e risoluzione delle relative questioni specialistiche. 1.F. Le modifiche ordinamentali e processuali. Dopo la stagione delle nuove codificazioni e degli interventi di assestamento che, come era prevedibile, sono scaturiti da riforme di così ampio respiro, sembrava forse legittimo preconizzare l’avvio di una fase di stasi nella produzione novellistica, così da permettere una adeguata “metabolizzazione” dei nuovi modelli e delle diverse culture che essi presupponevano. Al contrario, gli ultimi anni hanno fatto registrare, nei più variegati settori, interventi normativi tanto numerosi e di così elevata valenza (non soltanto sul piano dei sistemi, quanto anche, e forse soprattutto, su quello degli assetti ordinamentali e delle strutture) da non presentare l’eguale nei tempi precedenti. Il ritmo delle riforme è stato intenso ed ha richiesto, di volta in volta ed in relazione all’assetto novellistico, particolare impegno e prontezza sia per ricalibrare l’organizzazione del lavoro in funzione delle esigenze normative prospettate, sia per registrare, sul piano operativo, i profondi mutamenti che venivano a subire – sotto il profilo ordinamentale – ruoli e funzioni dei giudici. È chiaro infatti che la ridefinizione di assetti e dinamiche processuali quasi ineluttabilmente comporta una nuova collocazione (e, dunque, una nuova “figura”) per il giudice, sicché, a prescindere da qualsiasi formale riverbero sul versante dell’ordinamento giudiziario o della struttura ed organizzazione degli uffici giudiziari, è proprio la configurazione delle attribuzioni giurisdizionali a “percepire” in prima battuta i segnali del cambiamento. Un fe- “Legittimità e merito, la dialettica tra i giudici”, “Giustizia penale negoziata, poteri dispositivi delle parti e funzione del giudice”, “La riforma dell’art. 111 della Costituzione nei suoi riflessi sul processo penale”, “La tutela penale del processo”, “La funzione giudiziale preliminare”, “I rapporti patrimoniali della famiglia”, “L’adozione nazionale e internazionale”, “Giudice penale e giudice minorile di fronte all’abuso sessuale”, “L’affidamento del minore”, “Accertamento del passivo nel fallimento: questioni dibattute e prassi”, “Il contenzioso in materia di previdenza ed assistenza”, “Le controversie in materia di pubblico impiego: profili sostanziali”. 11 Incontri su “Interposizione e simulazione nel negozio giuridico”, “I rapporti patrimoniali della famiglia”. 35 nomeno, questo, evidentemente di portata tanto più ampia quanto maggiore è l’area della giurisdizione interessata dalle varie riforme. Ebbene, basterà poco per avvedersi di quali e quante siano state le novità introdotte nel “comparto” giustizia da un legislatore animato, negli ultimi tempi, da una intensa volontà di riforma, specie nel settore penale. E’ sufficiente considerare, in primo luogo, la modifica costituzionale dell’art. 111, che, introducendo il principio della ‘ragionevole durata del processo’ quale indefettibile canone di un processo ‘giusto’, chiama all’impegno, in chiave costituzionale, per una razionalizzazione organizzativa abbinata al migliore standard di qualità professionale. Ancora: basti pensare, tra gli interventi più significativi della normativa ordinaria, alla istituzione del giudice unico di primo grado, alla attribuzione di competenze penali al giudice di pace, ai mutamenti processuali ed ordinamentali introdotti dalla cosiddetta legge Carotti e dalle successive norme modificative, alle innovazioni apportate al codice di procedura penale ed all’ordinamento penitenziario dalla cosiddetta legge Simeone, alla recente disciplina sulle indagini difensive ed a quelle, ancora più recenti, in materia di acquisizione e valutazione della prova e di assicurazione della difesa d’ufficio. Sono sintomi, tutti, di un fermento normativo che sembra confidare nella capacità del sistema di recepire nuovi bisogni e nuove soluzioni per la giustizia, e di adeguarsi agli strumenti approntati a questo scopo. Peraltro, tale dinamismo normativo è sovente foriero di esigenze – e dunque di sollecitazioni – diverse. Traspaiono, così, necessità di specializzazione ma, anche, di tendenziale “separatezza” di ruoli – come nel caso della distinzione sempre più accentuata e forse destinata a radicalizzarsi tra giudice per le indagini preliminari e giudice della udienza preliminare. Si affermano anche nelle fonti primarie di regolazione dell’ordinamento, più in generale, linee volte a circoscrivere temporalmente l’esercizio di determinate funzioni. Insomma, alla pluralità delle “dinamiche funzionali” non può non corrispondere anche (e soprattutto) una configurazione per così dire “modulare” del ruolo del giudice: le attribuzioni si specificano, infatti, e con esse si specifica anche la “cultura” del giudice chiamato ad esercitarle. Le implicazioni di un fenomeno siffatto sul piano della formazione saranno a lungo studiate, e per molti versi sono già evidenti. Alla pluralità (ed eterogeneità) delle innovazioni legislative si è infatti dovuto e si deve far fronte con una offerta formativa anch’essa “modulare” e flessibile. Da un lato, infatti, è indispensabile attrezzare piani di intervento di rapida attuazione, atti a soddisfare, con 36 la massima tempestività e diffusione, l’urgente bisogno informativo (prima ancora che formativo) derivante dalle novelle. Di qui soprattutto la scelta, avviata nel 2000 e riproposta per il 2001, di prefigurare brevi e concentrati incontri di studio, ripetuti periodicamente, così da permettere un (idealmente doveroso) aggiornamento professionale, sulla base di standards qualitativi omogenei ed elevati. Sotto altro profilo, l’offerta non può trascurare strumenti atti a stimolare una riflessione, per così dire, di secondo livello, così da verificare, al di là della gestione operativa delle novità, i riflessi di sistema e le eventuali zone d’ombra emerse, anche, alla luce della prima fase di applicazione delle nuove norme. Un terzo aspetto della proposta formativa è implicato da un dato di forte rilievo scaturito dalle più recenti riforme: si allude alla tendenza, sempre più accentuata, verso l’esercizio individuale della giurisdizione, come stanno a testimoniare le estese e delicate attribuzioni devolute al tribunale in composizione monocratica, le competenze civili e penali del giudice di pace, la individuazione del giudice per le indagini preliminare come giudice dei riti alternativi, e dunque dei procedimenti chiamati a ridurre il carico dibattimentale secondo una incidenza quantitativa in forte aumento. Ciò comporta, come è evidente, non tanto uno sforzo formativo di riconversione, quanto piuttosto l’offerta di modelli culturali diversificati, che tengano in particolare conto dei peculiari livelli di impegno e responsabilità connessi all’esercizio di funzioni monocratiche, oltre che degli specifici bisogni formativi che possono sottendere ai singoli e differenziati ruoli giurisdizionali. 1.G. Il nuovo ruolo della magistratura onoraria. Un altro degli scenari che rapidamente stanno mutando sul terreno della giurisdizione, condizionandone la fisionomia, è quello relativo alla magistratura onoraria. Alcuni aspetti del fenomeno, per altro mai valorizzati nella riflessione sulle necessità formative del corpo giudiziario, sono rilevanti ma non presentano carattere di novità. Si allude qui, ad esempio, al ruolo dei componenti non togati della Magistratura minorile o di quella di sorveglianza. Gli stessi giudici onorari di tribunale, la cui figura presenta evidenti analogie (per quanto segnata, alla luce della riforma del giudice unico di primo grado, da competenze rafforzate) con quella del vice pretore, rappresentano un dato metabolizzato dell’organizzazione giudiziaria (così come la strut- 37 tura, più recente e diversamente conformata, dei membri onorari degli uffici di procura). I profili dunque di maggior novità sul terreno in esame riguardano la giurisdizione di pace, che del resto, per numero degli addetti e importanza dei compiti, rappresenta ormai di gran lunga la componente più rilevante della magistratura onoraria12. E’ appena necessario ricordare come gli uffici del giudice di pace siano stati istituiti all’inizio dello scorso decennio (legge 21 novembre 1991 n. 374), secondo un progetto che ne prevedeva la competenza tanto per il settore civile che per quello penale, e come la loro attività, nel solo settore civile, si sia sostanzialmente avviata nel 1995, una volta ultimato il procedimento di selezione della prima generazione di giudici onorari. Di fatto, l’operatività dei nuovi uffici giudiziari ha quasi coinciso con la piena applicazione della legge 353/1990 (riforma del processo civile) e l’introduzione della figura del giudice istruttore, nel giudizio di cognizione dinanzi al tribunale, in funzione di giudice unico della decisione. Ma a loro volta tali riforme si iscrivevano in un progetto più ampio, ispirato dall’esigenza di un nuovo magistrato onorario che, integrando l’azione ormai ridotta del conciliatore, fosse in grado di contribuire alla deflazione del contenzioso civile mediante l’assunzione di competenze già pretorili, ma rappresentasse anche una nuova concezione dell’amministrare giustizia, in una prospettiva sempre più coesistenziale e sempre meno contenziosa. L’esperienza di oltre un quinquennio, sviluppatasi come accennato nel solo settore civile perchè il Governo dell’epoca aveva lasciato scadere la delega parlamentare in punto di competenza penale senza esercitarla, ha certamente rivelato una tendenza all’accrescimento dei compiti della magistratura di pace, anche solo in termini quantitativi e con una schietta destinazione allo smaltimento dell’arretrato (si pensi all’attribuzione delle cause di “vecchio rito”, operata mediante gli artt. 1-4 della l. 16 dicembre 1999 n. 479, e per altro verso alla recente istituzione della competenza per il giudizio d’opposizione alla ordinanza-ingiunzione collegata agli illeciti depenalizzati)13. Alla data del 22 marzo 20001 il ruolo organico dei giudici di pace prevede 4700 unità, suddivise per distretto di Corte di Appello come segue: Ancona 111; Bari 187; Bologna 246; Brescia 123; Cagliari 159; Caltanissetta 67; Campobasso 51, Catania 170; Catanzaro 179; Firenze 246; Genova 164; L’Aquila 130; Lecce 138; Messina 75; Milano 372; Napoli 692; Palermo 231; Perugia 58; Potenza 83; Reggio Calabria 85; Roma 370; Salerno 101; Torino 324; Trento 73; Trieste 72; Venezia 193. Tuttavia non tutti i posti previsti dal ruolo organico sono allo stato coperti , ed infatti solo per 2588 sono state completate le procedure di conferma o nomina , mentre risultano ancora vacanti, alla stessa data del 22 marzo 2001, 2112 posti. 13 Art. 22-bis della legge 24 novembre 1981 n. 689, come introdotto ex art. 98 del d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507). 12 38 Ma tutto ciò non implica che la figura del giudice di pace, a parte il persistente carattere onorario della sua funzione, si sia strutturata in senso per così dire ordinario, quale mero strumento di gestione della fascia più bassa di controversie civili. La matrice culturale dell’istituto è rimasta quella elaborata durante il dibattito degli anni ’70, influenzata dall’esperienza del conciliatore ma suggestionata anche dalle esperienze dei Paesi anglosassoni. E’ una concezione del giudice come magistrato di prossimità, legata all’idea di una composizione dei conflitti favorita attraverso un contenuto utilizzo della tecnica giuridica, se non mediante il ricorso all’equità, secondo criteri di minor lacerazione dei rapporti tra i cittadini, attuati da persone munite di saggezza e di una autorevolezza loro riconosciuta da una comunità territorialmente circoscritta, e dal forte legame coi suoi giudici di pace. Pur non dovendosi semplificare un fenomeno storicamente complesso, si può dire che tra le ragioni del ritardo di quasi un decennio nella istituzione della giudicatura penale di pace si annovera anche la tensione tra le caratteristiche per così dire genetiche del giudice onorario e principi strutturali del diritto penale e processuale (regolazione tecnica del processo in funzione di garanzia, carattere indisponibile dei beni coinvolti nel processo, connotato di obbligatorietà dell’azione, principio di tassatività delle fattispecie e delle sanzioni). Per altro verso una concezione solo deflattiva del riparto di competenze tra magistratura professionale e magistratura ordinaria complicava le opzioni legislative, determinando una sorta di concorrenza con la direttiva della depenalizzazione, poi recentemente attuata con esiti da più parti giudicati insoddisfacenti (d. lgs. 30 dicembre 1999 n. 507). Alla fine si è affermata comunque l’idea di un giudice di pace chiamato ad intervenire non con riguardo ad un diritto penale inutile, quanto piuttosto su un diritto penale diverso, e per molti versi dichiaratamente sperimentale. Un diritto penale con un ruolo affatto speciale della vittima, come documentano le fattispecie sostanziali concepite per “costringere” il reo alla riparazione ed alla eliminazione delle conseguenze del reato (art. 35, e per certi versi art. 34 del d. lgs. 28 agosto 2000 n. 274), e documentano altresì le fattispecie processuali congegnate al fine di consentire un accesso tempestivo ed immediato della stessa vittima alla sede giudiziale (artt. 21 e seguenti del citato d. lgs. 274/2000). Nel contempo, un diritto penale della mediazione e della conciliazione, prima e preferibilmente rispetto alla comminazione della pena, come ancora una volta si evince dalle regole processuali congegnate per favorire la riparazione o per indurre, appunto, la conciliazione (ancora art. 35 e art. 29 comma 5° del d. lgs. ci- 39 tato). Non a caso la normativa che il Governo ha adottato quando il Parlamento ha nuovamente conferito la delega per la configurazione di competenze penali per il giudice di pace (legge 24 novembre 1999 n. 468), e cioè il decreto legislativo che contiene tra l’altro le disposizioni appena evocate, comprende anche una sorta di norma – manifesto, di carattere enunciativo e quasi pedagogico: “nel corso del procedimento, il giudice di pace deve favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti”. Il precetto è così centrale, nell’economia della riforma, che la parte processuale della disciplina contiene una novità metodologica finora sperimentata solo nel processo minorile, e cioè la possibilità del ricorso a tecnici di strutture pubbliche o private presenti sul territorio per gestire il processo di mediazione tra le parti (art. 29 comma 4° del d. lgs. cit.). Non a caso il Consiglio superiore, nel riprendere indicazioni della stessa normazione primaria (comma 4 dell’art. 4-bis della l. 374/91), ha stabilito che i programmi di formazione per i giudici di pace comprendano anche l’approfondimento di tecniche e conoscenze finalizzate all’obiettivo della conciliazione tra le parti (circ. 19-24 luglio 2000. Cfr. anche infra, 3i). L’ambizione del progetto culturale e sperimentale che sottende alla legislazione in discorso ha comportato, per altro, la strutturazione di un corpo normativo complesso, che per molti versi non sostituisce ma integra il corpo codicistico e la legislazione penale speciale, implicando necessità di formazione molto complesse (con tutto ciò che ne consegue in termini di risorse investite al proposito), e in certo senso contraddicendo l’ambizione ad un giudice poco tecnico e molto pragmatico, un giudice “di vicinanza” esperto più nella conciliazione che nella tecnica di ricostruzione ed applicazione delle fattispecie. Non a caso proprio la legge espressiva della delega in punto di competenza penale ha anche completamente modificato i criteri di accesso alla funzione, introducendo una vera e propria rivoluzione in ciò che potrebbe definirsi la morfologia del giudice di pace. Il fenomeno merita particolare attenzione, anche dall’osservatorio dell’attività formativa, per varie ragioni. Anzitutto è chiaro che le caratteristiche effettive del giudice di pace devono orientare nella progettazione del suo percorso formativo, tanto nella fase del tirocinio che in sede di formazione permanente. D’altra parte l’impetuosa dilatazione di ruolo della magistratura onoraria nell’economia generale della attività di giurisdizione, dal punto di vista delle proporzioni tra organico professionale e giudici di pace, e dal punto di vista della quantità degli affari che l’ordinamento distribuisce tra le due componenti, implica ricadute certe, anche se non facilmente stimabili nella 40 loro effettiva portata, sull’evoluzione culturale professionale dei magistrati di carriera. Oltretutto, e più banalmente, la funzione d’accusa nella giurisdizione penale per gli appartenenti alle procure della Repubblica, il ruolo di giudici dell’appello riservato ai componenti dei Tribunali, le disposizioni sulla applicabilità di molti istituti speciali anche nell’ambito di giudizi celebrati per ragioni di connessione da magistrati professionali, comportano immediate necessità formative nel settore penale anche per i giudici ordinari. Si pensi allora, su queste premesse, alle caratteristiche iniziali del giudice di pace italiano. Si trattava di un laureato in giurisprudenza disponibile ad una esperienza non molto significativa nel tempo, visto che l’eventuale designazione per un secondo quadriennio equivaleva in tutto e per tutto ad una nuova designazione (in concorrenza con nuovi aspiranti), molto legato al territorio in cui amministrava la sua funzione (il reclutamento interveniva su base esclusivamente distrettuale), non necessariamente munito di esperienza giudiziaria. Era quest’ultima la sua caratteristica più vistosa (poteva trattarsi di professori di scuola media superiore, di dirigenti di amministrazioni diverse da quella giudiziaria, ecc.), perchè il sistema accettava la sua esperienza di vita quale percorso formativo sostanzialmente equivalente all’esercizio di funzioni in qualche modo connesse al mondo giudiziario. Il quadro si è di fatto ribaltato, per ognuno dei profili indicati, con le modifiche che la legge 468/99 ha introdotto nelle norme di riferimento della legislazione istitutiva (la già citata legge 374/91). Le esperienze formative abilitanti all’accesso nella magistratura di pace sono complessivamente molto più specifiche, richiedendosi almeno l’intervenuta abilitazione all’esercizio della professione forense od in alternativa l’esercizio pregresso di funzioni giudiziarie qualificanti (con la sola parziale eccezione dei titolari di cattedre universitarie in materie giuridiche). E non basta, perchè lo stesso meccanismo del reclutamento –fondato sulla istituzione di un corsoconcorso che semplicemente consente l’ingresso in una graduatoria di idoneità – condurrà alla selezione in via esclusiva di persone che abbiano superato con successo un semestre di tirocinio pratico, esercitato senza funzioni ed in via continuativa. Per inciso, il meccanismo in questione è posto alla base, per evidenti ragioni di economia, del tendenziale superamento del criterio di territorialità, essendo previsto che gli idonei non chiamati alla funzione nel distretto di riferimento possano essere direttamente designati quali giudici di pace in altri distretti, il che può rappresentare in embrione una 41 dilatazione verso la scala nazionale dell’intera attività di reclutamento. Anche la nuova disciplina in materia di durata della funzione orienta la giudicatura di pace verso connotati di franca professionalità: il criterio di tendenziale equiparazione della conferma alla prima nomina è stato ribaltato, attraverso la creazione d’un passaggio di semplice verifica della persistente idoneità alla funzione, con conseguente prelazione dei giudici in servizio riguardo alla vacanza pubblicata per la scadenza del loro primo quadriennio. In altre parole i giudici in servizio non partecipano alla procedura prevista per il reclutamento, ed i posti vacanti devono essere destinati a loro prima che a nuovi aspiranti eventualmente più titolati. Insomma, il “mestiere” del giudice di pace sarà esercitato normalmente per otto anni (anche più, con una interruzione dopo i primi due quadrienni), ed anzi per i magistrati reclutati nel 1995 la legge ha già previsto la possibilità di un terzo ciclo, della durata di un biennio, che porterà a ben dieci anni (col fine evidente di non disperdere lo sforzo formativo in vista delle funzioni penali) la loro esperienza. Nel contempo l’organizzazione degli uffici diviene più complessa, con una ristrutturazione dei compiti dei coordinatori, una maggiore complessità delle disposizioni tabellari, un rapporto del giudice con la struttura ed il suo funzionamento complessivo più assimilabile a quello che ormai caratterizza gli uffici ordinari. Un segnale molto suggestivo di tutti i fenomeni evocati è dato dalla recentissima ristrutturazione dei compensi dovuti al giudice di pace, che per la prima volta percepisce una “indennità” (di valore contenuto ma non simbolico) che si collega ai compiti generali di istituto, e non alla attività tenuta in un singolo procedimento. Tutto ciò rende evidente che la magistratura onoraria non può più essere considerata, dal punto di vista istituzionale ed ordinamentale, un fenomeno secondario, una appendice della giurisdizione di scarso significato qualitativo, ininfluente quando si tratti di conformare le regole per l’esercizio dell’autogoverno (almeno un cenno deve farsi qui alla riforma dei Consigli giudiziari, la cui composizione si specializza proprio per la gestione della giudicatura di pace), quando si tratti di programmare il funzionamento degli uffici, quando occorra riflettere –ed è quanto specificamente interessa in questa sede- sia sulle inopinate necessità di formazione che l’ordinamento genera per una parte significativa del proprio apparato giurisdizionale, sia sull’incidenza che queste necessità eserciteranno quanto all’evoluzione generale dell’azione formativa. 42 1.H. Le modifiche della formazione preliminare. L’esame dei problemi della formazione iniziale consente un collegamento anche con le caratteristiche del percorso formativo per l’accesso alla professione di magistrato e alle altre professioni forensi. Le modifiche introdotte alla disciplina del concorso per uditore giudiziario, con l’introduzione della scuole di specializzazione per le professioni legali, secondo il disposto dei commi 113 e 114 dell’art. 17 della l. 15 maggio 1997, n. 127, investono due campi distinti. Il il primo è costituito da una serie di norme intese a razionalizzare ed accelerare la procedura concorsuale, mentre il secondo introduce una radicale modifica dei requisiti per l’ammissione al concorso in magistratura. Per motivi di precedenza logica occorre partire da quest’ultimo punto. Va subito precisato che nell’impianto normativo della legge la nozione di “scuola di specializzazione” chiaramente non è assunta nel significato, impiegato ad esempio per le scuole successive alla laurea in medicina, di corso postuniversitario volto all’approfondimento scientifico di un singolo settore. Si tratta piuttosto di scuole destinate a completare la preparazione universitaria in funzione esclusiva degli sbocchi professionali della magistratura, della avvocatura e del notariato. I commi 113 e 114 non erano contenuti nel disegno di legge originario e sono stati inseriti a seguito di un emendamento presentato alla Camera dei deputati ed accolto dal Governo, che vi ha posto anche la questione di fiducia. Le ragioni che hanno portato alla loro introduzione ed approvazione vanno certamente ricercate nel vivo dibattito che, muovendo da alcune considerazioni unanimemente condivise circa l’insufficienza del sistema selettivo attuale per l’accesso alla magistratura, ha portato alla formulazione di proposte concrete e suggerimenti sul tema della formazione degli aspiranti magistrati. Il richiamo a tale scambio di idee e proposte, che ha visto la partecipazione dello stesso C.S.M., di alcuni dei suoi componenti, di magistrati, professori universitari, avvocati e studiosi del diritto, rende almeno in parte ragione della circostanza che la istituzione delle Scuole di specializzazione post-universitaria sia stata prevista nel testo normativo sopra indicato e, in particolare, nell’ambito delle disposizioni mirate a semplificare le modalità di svolgimento del concorso per uditore giudiziario, configurando le future Scuole di specializzazione come strumento preselettivo per gli aspiranti magistrati. Per tale motivo è utile ripercorrere, sia pure per linee generali, la 43 riflessione culminata con la riforma del sistema precedente. Uno dei principali limiti di efficienza del sistema stesso era stato individuato nella inidoneità della preparazione universitaria di base con riguardo alla specifica finalità del reclutamento. Ma naturalmente erano stati focalizzati anche profili quali il nunmero eccessivo di partecipanti al concorso, la farraginosità e complessità dei lavori della Commissione esaminatrice, nella impreparazione dimostrata (appunto) da un’ampia porzione degli aspiranti. A fronte di tale situazione, che dilata i tempi di attuazione della procedura concorsuale dando luogo ad un grave scollamento temporale tra l’individuazione dei posti vacanti e la loro copertura e non sembra garantire appieno la congruenza dei risultati, sono state profilate due possibili opzioni di fondo, tra loro in alternativa, l’una risalente al modello francese e l’altra a quello tedesco. La prima è fondata sull’idea di una formazione post-universitaria finalizzata specificamente alla preparazione dell’attività del magistrato, e prevede pertanto una scuola di formazione – in Francia l’Ecole nationale de la magistrature - che conforma le proprie caratteristiche in tema di accesso e di programmi all’esercizio futuro delle funzioni giurisdizionali. La seconda è incentrata, invece, sul progetto di creare una specializzazione allargata e non orientata esclusivamente all’esercizio della professione del magistrato, quindi comune agli operatori di giustizia, magistrati, avvocati e notai. Per quanto il modello francese sia stato utilizzato in Italia per la formazione dei dirigenti pubblici, attraverso l’istituzione della Scuola superiore della Pubblica Amministrazione, la scelta del legislatore del 1997 è caduta inequivocabilmente sul modello tedesco, prevedendosi una formazione post-universitaria comune ed omogenea per le diverse professioni legali. Tale scelta di fondo ha comportato due importanti corollari: il primo consiste nella netta collocazione del periodo di formazione post-universitario in una fase extraconcorsuale, quale antecedente esterno allo svolgimento della procedura concorsuale in senso proprio; il secondo è relativo alla individuazione del soggetto cui demandare in concreto l’organizzazione e la gestione delle Scuole, indicato nelle Università, sedi delle facoltà di giurisprudenza, quali depositarie per così dire naturali della formazione scientifica. La soluzione accolta ha ricevuto un pressoché unanime consenso, sembrando ai più che l’ulteriore specializzazione orientata verso una determinata professione ben potesse maturare in un periodo successivo, e che costituisse un valore, in un periodo di contrasti e contrapposizioni, una formazione comune tra i diversi operatori del diritto. L’innovazione legislativa, valorizzando il ruolo e l’autonomia delle Uni- 44 versità, costituisce una significativa e positiva evoluzione rispetto ai lavori della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, che nel licenziare, nel novembre del 1997, le proprie proposte di revisione costituzionale, aveva inserito (nell’art.128 della nuova Costituzione), tra le competenze del Ministro della giustizia, quella di promuovere “la comune formazione propedeutica all’esercizio delle professioni giudiziarie e forensi”. Nel comma 114, viene precisato, nella prima parte, che il diploma di specializzazione costituisce titolo valutabile ai fini del compimento della pratica legale richiesta per l’accesso alla professione di avvocato e di notaio, demandando ad un decreto interministeriale del Ministro della Giustizia e di quello della Università e Ricerca scientifica e tecnologica l’indicazione delle condizioni necessarie a tal fine. Nella seconda parte la legge, invece, delega ad un decreto interministeriale nella composizione sopra indicata la definizione dei criteri per la istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione, precisando che a tal fine vadano sentiti i competenti ordini professionali. Sembra opportuno sottolineare, in primo luogo, che la valenza del diploma di specializzazione ai fini del compimento della pratica legale richiesta per l’esame di abilitazione alla avvocatura non rappresenta affatto una novità, risultando essa già prevista, sia pure senza carattere di generalità14. In secondo luogo meritano rilievo le critiche sollevate da più parti circa la soluzione di compromesso adottata dalla legge a proposito della rilevanza del diploma di specializzazione per l’esercizio delle professioni legali libere, essendosi, invece, rappresentata l’opportunità che il diploma stesso costituisse la condizione necessaria ma non sufficiente per l’accesso a dette professioni (in modo non dissimile da quanto previsto dal comma 113 per l’ammissione al concorso per la magistratura ordinaria). Con riferimento invece al decreto interministeriale relativo alla istituzione ed organizzazione della Scuola, il comma 114 indica, come si è visto, tra i soggetti che debbono essere consultati ai fini della sua redazione ed approvazione i soli ordini professionali competenti. Tale disposizione va però integrata alla luce del D.Lgs. 17 novembre 1997 n.398, emanato in attuazione della delega contenuta nel comma 113, che nell’art.16, comma 8, dispone che il predetto de- 14 Può citarsi al riguardo l’Istituto forense “E. Redenti“, istituito con r.d. 13. 10. 1927 e riconosciuto con d.m. 7. 2. 1998, che nel suo statuto conferisce alla frequenza con profitto, debitamente certificata, il valore di un anno di pratica forense. 45 creto sia emanato “sentito il Consiglio superiore della magistratura“. La legge, facendo anzitutto richiamo all’autonomia didattica degli istituti universitari riconosciuta dall’art. 17 comma 95 della L. 15 maggio 1997 n. 127, al terzo comma dell’art. 16 precisava che le scuole sono istituite presso le Università, anche sulla base di accordi e convenzioni tra le stesse. La ratio era ed è quella di avviare, sulla base di modelli didattici omogenei, la formazione comune dei laureati in giurisprudenza mediante l’approfondimento teorico, integrato da esperienze pratiche, finalizzato all’assunzione dell’impiego di magistrato ordinario ovvero all’esercizio delle professioni di avvocato o notaio (art. 16 cit. 2 comma), formazione resa possibile dalla previsione del numero chiuso dei laureati da ammettere alle Scuole e, di conseguenza, ai concorsi. Le esigenze sopra evidenziate, in verità, erano già state in parte rilevate e poste dal Cosnsiglio superiore a fondamento di diverse iniziative nell’ultimo decennio15. In questo contesto si colloca la delibe- 15 Una delle prime risoluzioni sul punto è rinvenibile nella Relazione annuale sullo stato della giustizia per l’anno 1991 che, dopo aver ricordato un progetto del 1970 che contemplava modifiche al sistema di ingresso nella magistratura, comprendenti, tra l’altro, l’istituzione di un Centro nazionale di studi giuridici presso il Ministero di Grazia e Giustizia, rappresentava a chiare lettere la necessità di una Scuola della Magistratura, con compiti, tra gli altri, di intervenire come strumento di selezione degli aspiranti magistrati e quindi con funzioni formative nella stessa fase di accesso alla magistratura (pagg.64, 106 e seguenti, 131 e seguente). Occorre dire che le linee argomentative e propositive ivi tracciate risentivano in misura significativa dei risultati della c.d. Commissione ministeriale Mirabelli, istituita con d.m. 19.5.1982, che conteneva la proposta di una riforma organica dell’ordinamento giudiziario. Nella relazione conclusiva la Commissione optava sul tema, proponendo l’istituzione di una Scuola della magistratura cui si accedesse per concorso e destinata quindi a formare i futuri magistrati (pagg. 55 e segg.). Negli anni successivi è prevalsa tuttavia la convinzione della necessità di divaricare le strade dell’attività di formazione, distinguendo quella rivolta al momento preconcorsuale da quella destinata invece ai magistrati in servizio, distinguendo nell’ambito di quest’ultima la formazione rivolta agli uditori e quella c.d. permanente. Nella Relazione annuale sullo stato della giustizia per l’anno 1994, dedicata al reclutamento e formazione professionale dei magistrati e più volte citata, tale dicotomia appare lucidamente esposta, sottolineandosi la necessità ineliminabile che le iniziative riguardanti la formazione preconcorsuale abbiano la loro fonte in norme di legge. Si sottolinea inoltre l’esigenza culturale che la preparazione preconcorsuale rimanga sottratta alle competenze della Scuola della magistratura e quindi del C.S.M. per venire affidata alle Università. Ciò precisato è importante notare che nella citata Relazione si rinvengono idee e proposte analoghe, se non identiche, a quelle che poi hanno trovato corpo nella L. n.127 del 1997. La Relazione, in particolare, proponeva l’istituzione di un corso di specializzazione post-universitario, in analogia a quelli previsti dall’art.4 della L.341 del 1990, per l’esercizio della professione di magistrato, il cui diploma avrebbe poi costituito titolo per l’accesso alla magistratura, suggerendo, come la soluzione migliore, quella di unificare tale corso per le professioni di magistrato e di avvocato. Viene inoltre espressa la necessità che esso non si risolva in una preparazione di natura accademica, sia pure elevata, ma si rivolga al ragionamento giuridico concreto, vale a dire alla pratica del giudizio, prevedendo uno studio approfondito del “diritto vivente” e la stesura di atti giudiziari. 46 ra del 9 gennaio 1997, che, muovendo dalla constatata insufficienza del sistema concorsuale allora vigente per l’accesso alla magistratura, ha affrontato con compiutezza e lucidità la tematica di fondo relativa alla formazione preconcorsuale. L’obiettivo conclamato è stato quello di lavorare alla realizzazione di uno strumento di formazione comune dei giovani aspiranti alle professioni legali, non limitate a quella di magistrato o di avvocato, ma estesa anche all’avvocatura dello Stato ed alle magistrature amministrative e, inoltre, alle stesse carriere amministrative di alta specializzazione, al fine di promuovere una cultura della giurisdizione fondata su valori e principi omogenei e condivisi. Ciò posto, la scelta di fondo sintetizzabile nella alternativa tra il modello francese e quello tedesco, è stata chiaramente risolta in favore di quest’ultimo, in grado di meglio perseguire l’obiettivo sopraindicato e più aderente dell’altro al principio costituzionale di nomina dei magistrati per concorso, atteso che la devoluzione alla Scuola della magistratura dei compiti di formazione in tale settore sposterebbe la fase selettiva dei candidati dal momento concorsuale a quello dei risultati della partecipazione alla scuola. Per contro è stata ribadita l’idea che questa deve svolgere compiti di formazione per i soli magistrati in servizio. In data 9 ottobre 1997 e 25 giugno 1998 il Consiglio superiore adottava poi due delibere, con cui esprimeva i pareri rispettivamente sullo schema del decreto legislativo predisposto in attuazione della delega contenuta nel comma 113 dell’art. 17 legge 15.5.1997 n. 127, e sullo schema del decreto interministeriale contemplato dal successivo comma 114, seconda parte. Nelle citate delibere il C.S.M. ha sottolineato che la riforma presenta caratteri di più radicale novità, e viene posto l’accento sui benefici effetti della riforma in tema di gestione dei concorsi per uditore giudiziario. E’ un dato incontestabile che la istituzione delle scuole post lauream condizionerà in maniera pressochè assoluta, una volta che la riforma sarà entrata a regime, la stessa possibilità di accesso alla prova concorsuale. Per partecipare al concorso per uditore giudiziario la strada primaria sarà quella del conseguimento di un diploma di specializzazione a seguito del corso post-universitario biennale. In tal modo, come si anticipava, dovrbbero essere assicurate due esigenze: 1) Elevazione degli standards di preparazione culturale, che sono collegati all’obiettivo di una più elevata professionalità dei magistrati in generale, e determinano il miglior controllo in ordine alla sus- 47 sistenza, per ciascuno di essi, della preparazione più adeguata per l’esercizio delle funzioni giudiziarie. La scelta operata dal legislatore è quella di non fare esclusivamente riferimento alla formazione interna al corpo giudiziario, cui il C.S.M. dedica la sua attenzione, ed agli strumenti di selezione negativa fondati sulla valutazione progressiva della professionalità, ma di perseguire i medesimi obiettivi nahc emediante leve di selezione che assicurino l’ingresso in magistratura a persone che già posseggano alti livelli di preparazione culturale. Lo scopo del corso di formazione biennale dovrebbe pertanto essere specificamente mirato ad impartire una preparazione di livello superiore, e non ad insegnare le tecniche migliori per il superamento del concorso. 2) Con l’istituzione delle scuole forensi si è creato un filtro per la razionalizzazione del numero dei partecipanti al concorso, in modo da far diminuire il rischio del verificarsi di fenomeni di “saturazione” con possibili atteggiamenti mentali di frettolosità e disattenzione nei componenti della commissione esaminatrice. 3) La previsione di un biennio di formazione superiore comune ad aspiranti magistrati e avvocati dovrebbe presentare tra i vari vantaggi anche quello della formazione comune. Il raggiungimento di tale obiettivo, peraltro, rischia di rimanere una mera dichiarazione d’intenti in considerazione della mancata modifica delle condizioni d’accesso alla professione di avvocato, che anzi, secondo alcune recentissime iniziative, per evitare le disparità di trattamento operate nei vari distretti tra i concorrenti all’esame di avvocato, tenderebbe ad escludere completamente la necessità di un concorso per l’abilitazione all’esercizio della professione forense. Deve essere data una valutazione positiva della configurazione del diploma di specializzazione come titolo di studio universitario e requisito di ammissione al concorso, e non come segmento della procedura concorsuale. Ciò avrebbe comportato una competenza del C.S.M. ex art. 105 Cost. , che verosimilmente non avrebbe potuto essere gestita e avrebbe poi precluso l’utilizzazione della scuola biennale anche quale fase necessaria del percorso verso la professione forense. La previsione del diploma biennale non sembra in contrasto con l’art. 106 Cost. E quindi appare contro ogni ipotesi di discriminazione nella scelta delle persone cui è consentito l’accesso in magistratura. Si pone naturalmente un problema di uguaglianza sostanziale, ad esempio per l’eliminazione delle disparità economiche tra gli eventuali aspiranti all’ammissione. Occorre su questo versante dare risalto concreto al di- 48 ritto allo studio consacrato dall’art. 34 Cost., attraverso la previsione di un numero adeguato di borse di studio. Un altro nodo rilevante del sistema è quello della previsione di una forma di programmazione degli accessi alle scuole di specializzazione. Si tratterà di verificare se un’eventuale numero programmato costituisca o meno una prima selezione positiva di coloro che sono destinati a diventare magistrati. In caso affermativo si verrebbe ad eludere la disposizione costituzionale contenuta nell’art. 106 e l’attribuzione al Consiglio della competenza in merito alla procedura concorsuale, trasferendo in capo alle Università non un potere di preparazione culturale, ma un potere di selezione, che non deve esercitato fuori della sede concorsuale e senza che corrispondenti garanzie. Peraltro se si interpreta l’art. 17 del d.lgs. 17 novembre 1997 n. 398, concernente le norme transitorie e finali della nuova disciplina concorsuale, in modo tale da ritenere che permanga, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero degli interessati, la previsione di quote da ammettere alla prove per il concorso da uditore con preselezione informatica, la regola ordinaria diverrebbe quella di una duplice possibilità di accesso al concorso per uditore giudiziario, e verrebbero eliminati i dubbi di costituzionalità del complesso di queste disposizioni. Il C.S.M., nel parere espresso in data 18 novembre 1999 sullo schema di regolamento interministeriale concernente la “Istituzione ed organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali”, si è espreso a favore di quest’ultima interpretazione. Deve aggiungersi che problemi di garanzia si pongono non solo con riferimento all’accesso alle scuole, ma anche con riguardo alle prove finali per il conseguimento del diploma, in quanto il grado di selettività dovrà essere determinato sulla base delle esigenze culturali ( e quindi in modo aperto), e non parametrandolo sul numero dei posti da ricoprire in magistratura, pena il rischio di trasformare nuovamente il biennio in un segmento della procedura concorsuale. Notevole attenzione richiederanno poi la definizione dei criteri per garantire la parità di trattamento tra le varie scuole per quanto riguarda la “valutazione della prova d’esame”, per l’accesso, le verifiche intermedie e per il conseguimento del diploma, non potendo essere sufficiente l’uniformità delle prove di accesso e finali su tutto il territorio nazionale. Da parte sua il C.S.M ha provveduto a configurare il procedimento attraverso il quale saranno individuati i magistrati che faranno parte del Consiglio direttivo delle scuole, si occuperanno 49 della formazione dei discenti e faranno parte delle prove d’esame16. Occorre regolare i modi di una partecipazione prevista dalla legge, culturalmente importante, e che però non ha un iter già regolato dalle disposizioni consiliari. Sarebbe opportuno che dopo una prima applicazione in via d’urgenza, si prenda in considerazione, in sede di predisposizione di una compiuta disciplina procedimentale, il coinvolgimento dei Consigli giudiziari. Questo auspicio muove dalle riflessioni che il Consiglio superiore ha condotto nella risoluzione del 20 ottobre 1999 in tema di decentramento e di Consigli giudiziari, senza privilegiare a tempo indeterminato un modello accentrato di selezione dei magistrati da sottoporre alle scelte delle Università degli Studi per la formazione dei consigli direttivi delle Scuole, come è avvenuto in sede di prima applicazione. 1.I. Le nuove modalità di accesso alla funzione giudiziaria. Come già si è avuto modo di accennare, il profilo professionale del magistrato ordinario non può essere studiato, a qualunque fine (ed a maggior ragione nel progetto dell’attività formativa) senza uno sguardo alla preparazione preliminare che viene somministrata in favore di coloro che accedono al corpo giudiziario, e senza al tema strettamente connesso della metodica di selezione dei magistrati (anche considerando come per lungo tempo il meccanismo della selezione abbia rappresentato anche lo stimolo e la sede dell’unica forma di preparazione post-universitaria, e cioè dello studio finalizzato al superamento delle prove). Molte sono le novità anche con riguardo ai meccenismi concorsuali, e comunque di selezione per l’accesso alla funzione giudiziaria. 1.I.1. La magistratura togata. Nella XIII legislatura è stata varata una serie di provvedimenti normativi che ha progressivamente e radicalmente modificato le modalità di accesso alla magistratura sia togata che onoraria. Alcuni di 16 Già nel parere espresso dal C.S.M. sul regolamento ministeriale, al di là del favore per il modello di formazione pluralistica delle Scuole, si erano individuati alcuni momenti problematici relativi alla partecipazione dei magistrati. 50 tali interventi, i più remoti, hanno inciso sulle modalità procedimentali e sulla strutturazione delle prove del concorso per uditore giudiziario , ferma restando comunque la sua caratterizzazione quale concorso di primo grado, utile per l’accesso alla qualifica iniziale di appartenenenza alla magistratura togata. Costituisce in tal senso una eccezione la L. 5 agosto 1998 n.303, con cui veniva data attuazione alla disposizione costituzionale contenuta nell’art.106 Cost. (in merito v. delibera C.S.M. pr.P-99-03499 del 18.2.1999). Ma per il resto l’accesso alla magistratura professionale era caratterizzato, sino alla L 13 febbraio 2001 n.48, dall’irrilevanza di una precedente qualificazione professionale dell’aspirante, e dalla sufficienza tra i requisiti legittimanti della sola formazione universitaria, rinviandosi una specifica preparazione al periodo del tirocinio professionale svolto durante l’uditorato. Il legislatore ha operato su due fronti, da un lato ridisegnando i requisiti e le modalità di accesso alla magistratura , dall’altro fronteggiando, nel mentre la riforma iniziata veniva portata a termine, quelle difficoltà operative di gestione del concorso connesse al sempre maggior numero di concorrenti , che incidevano negativamente sul pronto espletamento delle procedure. Così, con la L. 15 maggio 1997 n.127 (art. 17 c. 113), veniva data delega al Governo per emanare uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina del concorso per l’accesso alla magistratura ordinaria, sulla base di una serie di principi tra cui , quale condizione per l’ammissione stessa al concorso, l’obbligo di conseguire il già noto diploma biennale di specializzazione forense. E’ interessante notare, perché non senza riflessi sulla durata della scuola di specializzazione, come disciplinata dalla L 48/2001, che con la L. 127/97 veniva avviata anche la riforma dei cicli di studio, che ha portato a ridisegnare nel cosiddetto meccanismo del 3+2 la durata legale degli studi universitari. In attuazione della delega veniva assunto il d.lgs. 17 novembre 1997 n.398 che modificava la struttura delle prove del concorso e delineava al Scuola di Specializzazione per le professioni legali. Successivamente era adottato il D.M. 21 dicembre 1999 n.537, contenete il regolamento recante norme per l’istituzione e l’organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali. Attualmente le Scuole non sono ancora operative , ma è in corso il procedimento per la loro costituzione17. 17 Il d. lgs. 17 novembre 1997 n. 398 comprende tra gli altri gli artt. 1, 2, 6 e 17 i quali, modificando rispettivamente gli artt. 123 e 124 R.D. 30.1.1941 n. 12, disciplinano i sistemi di accesso al concorso in magistratura tanto nel periodo di transizione che successivamente. L’art. 1, 2° comma, lett. A) prevede un duplice sistema di accesso al concorso di uditore 51 Si è inteso in tal modo modificare i requisiti per l’acceso al concorso per uditore giudiziario, che come in precedenza e fino all’operativa funzionalità delle Scuole, richiederà, formalmente il conseguimento della sola laurea in giurisprudenza, anche se nei fatti , si palesa per i candidati, la necessità di un ulteriore periodo di studi post universitario. Alla luce delle modifiche introdotte dal d.lsg.398/97, se da un lato quale requisito (a regime) per l’ammissione al concorso si individuava il diploma di specializzazione, dall’altro, con effetti immediati, si introduceva tra le prove concorsuali la prova preliminare diretta ad accertare il possesso di requisiti culturali, realizzata con l’ausilio di sistemi informatizzati. La prova preliminare informatica, come strutturata inizialmente dal legislatore, ha dato luogo in relazione al concorso bandito con D.M. 12/1998 ad una serie di contenziosi tutt’ora pendenti, per cui con D.M. 4 agosto 2000 n.261 è stato modificato il decreto 1 giugno 1998 n. 228 del Ministero di giustizia, in tema di modalità per l’espletamento della prova preliminare informatica . Quindi, sino alla L.48/ 2001 che ha radicalmente innovato la ratio delle modalità di accesso alla magistratura ordinaria, si era inteso promuovere una formazione post-universitaria destinata a coloro che intendevano realizzare le proprie aspirazioni professionali nella magistratura, nel notariato e nell’esercizio della professione forense, con una graduale scomparsa della prova preliminare informatica , che invece , in attesa dell’istituzione delle Scuole , avrebbe consentito una prima selezione dei candidati. Con la L. 48/2001 è stato invece promosso, quale requisito per l’ammissione ad uno specifico concorso di giudiziario, uno basato sul conseguimento del diploma di specializzazione e l’altro fondato sul superamento della prova di pre-selezione informatica. L’art. 2, 5° comma, ribadisce tale impostazione, prevedendo alla lett. D) che sono esonerati dalla prova preliminare e ammessi alla prova scritta coloro che hanno conseguito il diploma di specializzazione per le professioni legali, benché iscritti al corso di laurea in giurisprudenza prima dell’anno accademico 1998-1999. L’art. 6 del citato D. Lgs. stabilisce i criteri di ammissione al concorso di coloro che sono in possesso del diploma di specializzazione, nonostante la rubrica possa indurre a far ritenere che gli ammessi siano unicamente i diplomati della scuola. L’art. 17 (norme transitorie e finali) prevede, pur nell’ambito di una progressiva riduzione del numero dei candidati da ammettere con pre-selezione informatica, la contemporanea presenza “a regime” di una duplice possibilità di accesso al concorso per uditore giudiziario. Una diversa interpretazione del complesso di queste disposizioni non potrebbe sottrarsi a gravi sospetti sul piano della legittimità costituzionale con particolare riguardo agli artt. 3, 34, 51, 106 Costituzione. Sempre l’art.6 del D.Lgs. in esame impegna poi i Ministri competenti ad assicurare “l’uniforme distribuzione sul territorio nazionale delle scuole“ e di prevedere adeguati sostegni economici agli iscritti capaci, meritevoli e privi di mezzi. 52 accesso diretto alla magistratura ordinaria nella qualifica di magistrato di tribunale, l’esercizio pregresso della professione forense , ed è stata abolita la prova preselettiva per il concorso per uditore giudiziario, anche nell’ipotesi residuale considerata dal’art. 124 c. 3. Ciò in vista della piena funzionalità delle Scuole, che anche in considerazione delle disposizioni particolari che regoleranno il reclutamento straordinario di cui all’art. 18, presumibilmente potranno essere operative per i concorsi che si svolgeranno successivamente. D’altro canto quelle esigenze di celerità connesse all’istituzione della prova preliminare informatica, sono soddisfatte ad avviso del legislatore dalla previsione di correttori esterni. Quindi alla qualifica di magistrato di Tribunale potranno accedere o gli uditori giudiziari con funzioni in possesso dei necessari requisiti, all’esito di valutazione operata dal C.S.M., oppure, tramite concorso, gli avvocati che abbiano cinque anni di effettivo esercizio della professione o che abbiano esercitato funzioni giudiziarie onorarie per almeno un quinquennio . La diversificazione dei concorsi per l’accesso alla magistratura e la diversità dei requisiti richiamano per alcuni versi l’esperienza francese, che prevede accanto a le recrutement direct disciplinato dall’ordonnance n. 58-1270 del 22 dicembre 1958 in cui l’accesso all’ENM avviene mediante un concorso, “étudiant”, un concorso “fonctionnaire”, un concorso “professionnel”, un “recrutement latéral”, “définitif” o “ temporaire” . L’accesso diretto alla qualifica di magistrato di tribunale non esclude tuttavia la previsione di un periodo di tirocinio che, andrà strutturato con riguardo alle iniziative formative diversamente da quello degli uditori giudiziari . Nuove riflessioni si rendono opportune anche in ordine alle iniziative di contenuto formativo che concorrono ad integrare il complesso delle attività in cui si articola il tirocinio degli uditori giudiziari, in considerazione delle modifiche normative che stanno interessando le modalità di accesso alla magistratura e la prevista possibilità di una riduzione del tempo dell’uditorato da 18 mesi ad un anno bilanciata dalla correlata previsione di specifiche attività formative nei successivi cinque anni dall’assunzione delle funzioni. Può essere sottolineata, in questa ipotesi, l’esigenza di una progettualità di lungo periodo, di modo che la formazione iniziale strettamente collegata al tirocinio e le ulteriori iniziative formative che si dovranno programmare per il quinquennio successivo all’assunzione delle funzioni giurisdizionali, costituiscano espressione di un percor- 53 so unitario volto a consolidare la professionalità del magistrato nella fase iniziale della propria attività. Sembra inoltre importante sviluppare un’analisi sul ruolo che la magistratura potrà svolgere per contribuire al progetto formativo sotteso alla realizzazione delle Scuole di Specializzazione; in questa prospettiva, infatti, la stessa formazione iniziale, riferiebile al periodo di tirocinio, potrà essere strutturata in modo coerente e funzionale con il progetto culturale sotteso alla realizzazione dellle Scuole di formazione comune nel senso di favorire un incremento dei rapporti di collaborazione con altri organismi , quali i Consigli notarili e i Consigli dell’Ordine. 1.I.2. La magistratura onoraria. In particolare, i giudici di pace. Le riforme connesse alla introduzione di una competenza penale del giudice di pace, cui già si sono fatti ripetuti riferimenti, hanno inciso anche, ed inevitabilmente, sul “modello” della preparazione utile all’accesso nella funzione, nonchè sul vero e proprio meccanismo di reclutamento, che ha assunto una matrice propriamente giudiziaria. Dal primo punto di vista le modifiche risultano nel complesso ispirate dall’intento di aumentare la professionalità specifica delle persone selezionate (cfr. supra). Sul secondo versante, per quanto ora soprattutto interessa, si è riprodotto l’intreccio formazione-valutazione che è tipico, appunto, del reclutamento dei magistrati professionali. Oggi la disciplina, grazie alle modifiche introdotte mediante la l. 468/99, tende infatti ad emulare quella del reclutamento dei magistrati ordinari, immettendo gli aspiranti in una sequenza di tirocinio, caratterizzata dalla doppia funzione di momento formativo e di strumento per la valutazione di idoneità all’ufficio. Dette modifiche sono state attuate modificando l’art. 4 della legge istitutiva, ormai destinato a regolare solo l’accesso alla fase di tirocinio, ed introducendo nella legge stessa l’art. 4 bis, ove trova espressione la disciplina del tirocinio e quella del procedimento destinato a culminare con la scelta e la nomina dei giudici di pace. L’esito positivo del tirocinio è prodromico solo all’ingresso in una graduatoria di idonei, e per tale ragione la relativa ammissione riguarda un numero di persone eventualmente superiore a quello dei posti da assegnare. Insomma, due distinte sequenze valgono a conseguire due diversi obiettivi: l’ammissione al “corso”, e poi la soggettività passiva di una scelta che ben può escludere una parte di coloro che il corso stesso abbiano praticato con successo. 54 Il procedimento si avvia con una fase di pubblicazione delle vacanze18, e prosegue con la trasmissione delle domande al Consiglio giudiziario, che nella specie opera in composizione integrata. Fino a questo punto non sono state introdotte significative novità, ma è profondamente innovato, alla fine, l’oggetto della proposta che il Consiglio giudiziario è chiamato a deliberare. Tale proposta, infatti, non riguarda la nomina dell’aspirante quale giudice di pace, ma solo la sua ammissione al tirocinio19. Le domande e le proposte di ammissione al tirocinio devono essere trasmesse al Consiglio Superiore della Magistratura, che provvede a deliberare l’ammissione, e come accennato il numero degli ammessi può essere superiore (ma non oltre il doppio) a quello dei giudici di pace da nominare. Lo svolgimento del tirocinio è regolato in parte dalla legge ed in parte dalle determinazioni assunte dal Consiglio con due circolari. Secondo la legge esso deve svolgersi presso il tribunale nel cui ambito territoriale è compreso l’ufficio giurisdizionale di riferimento20. La sua durata è pari a sei mesi, durante i quali il candidato, sotto la direzione del magistrato affidatario, affianca tanto giudici designati per affari penali che magistrati impegnati nella giurisdizione civile. Può trattarsi sia di componenti professionali del Tribunale nella cui circoscrizione insiste l’ufficio del giudice di pace prescelto dal tirocinante, sia di giudici di pace già in servizio e particolarmente esperti. Il magistrato assegnatario viene richiesto di curare che l’interessato assista a tutte le attività del suo ufficio, e partecipi alla camera di 18 L’art. 8 del d.P.R. 198/2000 ha stabilito che i presidenti delle Corti di appello promuovano il procedimento con un anno di anticipo sulle vacanze programmate per scadenza del termine dell’incarico, confermando che per le altre gli adempimenti devono essere compiuti “immediatamente”. Il raddoppio del tempo di anticipazione rispetto alla lettera invariata della norma di legge è considerato ammissibile da E. Sacchettini, Tirocinio: la “roulette” dei criteri di selezione, in Guida dir. 2000, 29, 25. 19 La legge non detta criteri analitici per la valutazione comparativa tra i richiedenti. La lacuna è stata colmata a livello regolamentare (art. 12 del d.P.R. 10 giugno 2000 n. 198), con la previsione di titoli che rappresentano, con importanza progressivamente subordinata, criterio di preferenza per la collocazione nella graduatoria per l’ammissione. Va premesso in via generale che, non risultando in ipotesi dirimente tra due o più posizioni il quadro dei fattori preferenziali in concreto ricorrenti (avuto riguardo anche alla durata delle esperienze che concretano il titolo preferenziale), la posizione privilegiata deve essere attribuita all’aspirante più giovane d’età (comma 3). Il primo titolo di preferenza è rappresentato dall’avere già svolto “positivamente”, per almeno un biennio, le funzioni di giudice di pace. Di seguito rilevano l’esercizio di altre funzioni giudiziarie, anche onorarie, per un periodo di almeno due anni, l’esercizio almeno biennale della professione forense, l’esercizio di funzioni notarili, l’insegnamento di materie giuridiche nelle università e, infine, l’esercizio di funzioni direttive nell’amministrazione giudiziaria (comma 1 in relazione al comma 3 dell’art. 13 dello stesso d.P.R. 198/2000). 20 Il Consiglio Superiore della Magistratura ha ribadito (punto 2 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000) come la pratica debba essere svolta “presso gli uffici del Tribunale nel cui circondario è compreso l’ufficio di destinazione”. 55 consiglio, provvedendo inoltre a redigere la minuta di parte almeno dei provvedimenti deliberati. Si tratta insomma dell’addestramento alla gestione dell’udienza, alla valutazione della prova, alla redazione dei provvedimenti conclusivi del procedimento celebrato. Con la circolare 18 gennaio 2001 n. 1207, che pure è specificamente destinata a regolare il tirocinio “speciale” per i giudici di pace già in servizio, il Consiglio ha fornito alcune indicazioni che probabilmente assumeranno valore più generale. Nel ribadire infatti quasi testualmente il precetto normativo sull’oggetto della pratica giudiziaria (punto 1 del par. III), si è precisato come debbano comunque essere privilegiati istituti comuni all’attività tipica del giudice di pace, e dunque essere escluse materie e procedimenti alla stessa estranei. Si è stabilito, inoltre, che i magistrati assegnatari formalizzino una propria relazione sull’andamento del tirocinio, che ben potrà contenere valutazioni dirette sull’idoneità alle funzioni del candidato all’ufficio (par. X, che riprende spunti espressi nella precedente circ. 19-24 luglio 2000, punto 5 del par. II)21. Il piano del tirocinio è sostanzialmente predisposto dal magistrato affidatario, e viene sottoposto al Consiglio giudiziario per la sua funzione di organizzazione e coordinamento della relativa attività (punto 3 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000)22. La normazione secondaria ha introdotto anche le premesse per una embrionale distinzione tra tirocinio “ordinario” e tirocinio “mirato”, tipica del percorso formativo degli uditori giudiziari. E’ prevista inoltre la partecipazione a corsi teorico pratici, sui quali si avrà modo di tornare (cfr. par. 3.I). In piena congruenza con la pertinenza essenziale dei corsi all’attività di tirocinio, la assiduità e la qualità della partecipazione del tirocinante divengono elementi formali per la valutazione finale di idoneità alle funzioni (punti 5 e 8 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000)23. Nella pratica, seguendo e sviluppando una ratio di documentazione del percorso formativo per una più verificabile e seria attività di valutazione del candidato, è stato spesso ed anche istituito un quaderno del tirocinio, che per gli uditori giudiziari è prescritto all’art. 6 del d.P.R. 17 luglio 1998. 22 Per il tirocinio penale dei giudici di pace già in servizio la circ. 18 gennaio 2001 n. 1207 prevede espressamente l’approvazione del piano da parte del Consiglio giudiziario (punto 4 del par. IX). 23 Indicazioni ancora più dettagliate sono contenute nella circolare, ormai più volte citata, che regola la materia per il tirocinio della prima generazione di giudici di pace penali (18 gennaio 2001), ed anche in questo caso è prevedibile una generalizzazione dei precetti. In sintesi, si specifica che i corsi andranno frazionati, nelle grandi sedi, in modo da garantire un rapporto tendenziale di due relatori per ogni gruppo di 35 tirocinanti (punto 3 del par. V). Si prescrive inoltre un taglio eminentemente pratico dei contributi, “auspicabilmente attraverso la simulazione di processi nonché l’esame di casi di scuola e l’elaborazione di schemi dei provvedimenti (punto 4 del par. V). 21 56 Come più volte rilevato, il tirocinio dell’aspirante giudice di pace presenta la doppia funzione di prepararlo all’esercizio della giurisdizione e di consentire una documentata valutazione di idoneità, che costituisce il presupposto necessario, ma non sufficiente, per la nomina dell’interessato. La legge (commi 6 e 7 dell’art. 4-bis) traccia i profili essenziali del procedimento. Il magistrato affidatario, il quale come si è visto si serve anche di relazioni e materiali provenienti dai magistrati assegnatari, redige una relazione sull’andamento del tirocinio pratico24. Dal canto proprio il Consiglio giudiziario, in composizione integrata, affianca alla relazione i dati concernenti la partecipazione ai corsi, e formula un giudizio di idoneità per ogni singolo aspirante. Lo stesso Consiglio, infine, delinea una proposta di graduatoria fra tutti coloro per i quali sia stata positivamente conclusa la valutazione di idoneità. Entrambi gli aspetti del procedimento sono stati integrati dalla normazione secondaria del Consiglio Superiore. La relazione dell’affidatario ed i dati concernenti la partecipazione ai corsi non sono base esclusiva per la valutazione di idoneità. Con una norma certamente riferibile anche alla procedura in esame è stato stabilito come lo stesso Consiglio giudiziario (oltre al C.S.M.) abbia “potere di accertare in qualsiasi momento ... la sussistenza dei requisiti per la nomina ...” (par. IV della circ. citata da ultimo: la legittimazione della disciplina secondaria sul punto deriva dall’art. 11 del d.P.R.198/2000). Il potere, esercitato eventualmente d’ufficio (e necessariamente attivato se interviene richiesta del C.S.M.), si estrinseca in accertamenti condotti da un componente delegato dal Consiglio, il quale non osserva formalità ma cura comunque di sentire l’interessato. Un ruolo primario di collaborazione è assunto, specie ed evidentemente con riguardo alla fase antecedente alla nomina (il procedimento è comunque attivato anche per i giudici in servizio, ed in tal caso è mirato alla verifica di persi- 24 I contenuti della relazione dell’affidatario sono stati minuziosamente specificati (punto 5 del par. II della circ. 19-24 luglio 2000), al fine evidente di assicurare al Consiglio giudiziario dati utili per una valutazione estesa dal terreno della preparazione tecnica a quello dell’equilibrio personale, delle condizioni di imparzialità. E’ interessante in particolare, perchè si inserisce in un difficile dibattito che sta attraversando l’intero corpo giudiziario, il riferimento alla “disponibilità al costante aggiornamento professionale” quale fattore direttamente rilevante in punto di idoneità e dunque, in buona sostanza, di valutazione della professionalità. La relazione costituisce, unitamente ai dati concernenti i corsi teorico-pratici (che nel sistema sono gestiti direttamente dal Consiglio giudiziario attraverso propri delegati, ma di fatto hanno visto coinvolgere fin dall’avvio anche i magistrati affidatari ed i referenti distrettuali per la formazione), la base cognitiva per la valutazione di idoneità. 57 stenza dell’idoneità), dal magistrato affidatario per il tirocinio. I fattori di valutazione fin qui descritti costituiscono, per disposizione regolamentare (comma 1 dell’art. 13 del d.P.R. 198/2000), la base per l’attribuzione di un punteggio che potrebbe definirsi di merito, e che deve essere espresso in trentesimi di punto25. Si considerano idonei i candidati che abbiano riportato un punteggio di almeno diciotto trentesimi (comma 2 della norma citata). Come anticipato, il Consiglio giudiziario inserisce tutti gli idonei in una proposta di graduatoria, che viene trasmessa al Consiglio Superiore e che rappresenta lo strumento, una volta approvata, per individuare quali tra detti idonei debbano in effetti venire immessi nell’ufficio di giudice di pace. La fase terminale del reclutamento concerne appunto la nomina del giudice di pace, ed anche su questo piano la legge 468/99 ha introdotto rilevanti novità, tra le quali primeggia l’attribuzione al Ministro della giustizia, e non più al Presidente della Repubblica, del compito di sanzionare col decreto l’indicazione deliberata dal Consiglio Superiore della Magistratura (comma 1 dell’art. 4-bis l. 374/91). La novità principale in materia di nomina, comunque, è data dal procedimento necessario a selezionare gli interessati nell’ambito eventualmente più vasto dei candidati risultati idonei all’esito del periodo di tirocinio. I criteri di formulazione delle graduatorie sono stati fissati a livello regolamentare (art. 13 del d.P.R. 198/2000): il primo titolo di preferenza è rappresentato dall’avere già svolto per almeno un biennio funzioni giudiziarie, anche onorarie. Di seguito, ed in via progressivamente subordinata, rilevano l’esercizio almeno biennale della professione forense, l’esercizio di funzioni notarili, l’insegnamento di materie giuridiche nelle università e, infine, l’esercizio di funzioni direttive nell’amministrazione giudiziaria (comma 3). Una volta ordinata la graduatoria, sanno nominati ovviamente giudici in numero corrispondente alle vacanze pubblicate. Ad ogni modo l’inserimento nella graduatoria degli idonei non esaurisce la propria utilità quando la posizione nella graduatoria stessa, come approvata dal Consiglio Superiore, non implichi la nomina per uno dei posti messi a concorso presso l’ufficio richiesto. Infatti è stabilito (comma 2 dell’art. 4-bis della l. 374/91) che gli idonei non nominati possano essere destinati, su loro domanda, a sedi vacanti diverse da quelle messe a concorso. Ed è stato 25 La norma regolamentare attribuisce al C.S.M. anche il potere di prescrivere una prova pratica di fine tirocinio, ma detta facoltà non è stata esercitata con le circolari attuative. 58 approntato, a livello regolamentare (art. 14 del citato d.P.R. 198/2000), un meccanismo utile a sollecitare le domande per posti da coprire da parte di soggetti già dichiarati idonei e non nominati, ed anzi a privilegiare la utilizzazione di tali soggetti quale strumento di copertura delle vacanze (tanto che ne viene preclusa la pubblicazione quando le domande di cui si tratta siano sufficienti, per numero, alla copertura stessa)26. Si tornerà sui dati appena illustrati ragionando sulla miglior conformazione di un’offerta formativa adeguata alla nuova fisionomia della magistratura onoraria e dei suoi compiti. Ma fin d’ora, e proprio a questo scopo, vanno fissati alcuni tratti essenziali di tale fisionomia. Si è visto come il procedimento per la selezione e per la valutazione dei giudici di pace emuli ormai per vari aspetti quello riguardante i magistrati ordinari, tra i quali emerge con nettezza la sequenza tirocinio – formazione – valutazione. La scelta dell’ordinamento è tanto più comprensibile alla luce della rilevanza che la giurisdizione onoraria assume, per la qualità e la portata dei suoi interventi e per i concomitanti riflessi organizzativi della sua gestione, nell’economia generale della funzione giudiziaria. La spinta all’uniformità dei procedimenti è inevitabile ed opportuna sotto vari profili, proprio allo scopo di assicurare che alcuni valori generali della giurisdizione siano ovunque garantiti (efficienza, adeguatezza dei singoli al compito assunto, trasparenza e funzionalità al servizio nei criteri di assegnazione degli affari, garanzia dell’indipendenza, professionalità specifica per la funzione direttiva, ecc.). Nel contempo va prevenuta ogni deriva burocratica, ogni tendenza a fare della magistratura di pace una magistratura “professionale” (e burocratica, appunto) per affari ritenuti di minor portata, quasi a resuscitare una certa concenzione delle vecchie Preture. Il carattere temporaneo ed onorario della funzione, la provenienza ancor oggi possibile da esperienze professionali non giudiziarie, non sono meri accessori organizzativi, ma premesse culturali e funzionali di una giurisdizione “diversa”, la cui diversità è valore aggiunto e qualificante. La decisione secondo equità nel processo civile, e la sollecitazione verso soluzioni conciliative e riparatorie delle questioni penali, sono obiettivi di politica del diritto che non “subiscono” l’affidamento alle cure della magistratura onoraria (quasi si trattasse di un 26 La materia è regolata anche dal comma 2 dell’art. 10-ter della l. 374/91, come introdotto ex art. 10 l. 468/99, e dall’art. 15 del d.P.R. 10 giugno 2000 n. 198, al cui testo si deve rinviare per brevità. 59 costo di semplificazione pagato sul piano dell’organizzazione giudiziara), ma contano sulla specificità culturale della magistratura onoraria quale condizione imprescindibile della loro realizzazione. Una specificità che andrà dunque presupposta nel progettare l’attività di formazione e tirocinio, in un complesso dosaggio di sollecitazioni utili in vista di una cultura comune all’intera comunità degli operatori giudiziari e di offerte idonee a valorizzare ed affinare i dati peculiari della “professionalità” tipica del magistrato onorario. 1.L. La modifica delle strutture consiliari. 1.L.1. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati togati. La stretta connessione tra formazione, professionalità, indipendenza e autonomia della magistratura, soggezione del magistrato solo alla legge, induce fondatamente a ricondurre, anche se manca un espresso riconoscimento normativo in merito, all’art. 105 della Costituzione, l’attività che il C.S.M. svolge nel settore della formazione dei magistrati non solo togati ma anche onorari. Sempre rimanendo nell’ambito delle disposizioni costituzionali si può altresì osservare come la Relazione al parlamento per l’anno 1994, rilevava come proprio la soggezione del giudice solo alla legge ex art. 101 Cost. in uno alla previsione dell’art. 107 Cost., secondo cui i giudici si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni, facesse si che il magistrato dovesse poter contare su una formazione permanente di altissimo livello, dovendo egli da solo ricercare ed acquisire gli strumenti della interpretazione delle leggi ed assumendone la piena responsabilità. Con la delibera C.S.M. del 26 novembre 1998 è poi chiara l’indicazione della formazione professionale come diritto-dovere del magistrato. Un ruolo centrale nella formazione sia iniziale che permanente della magistratura è oggi svolto dalla IX Commissione, che ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Interno, propone al Consiglio il programma annuale dei corsi di formazione, i temi, la sede e la durata degli incontri di studio, nonchè la scelta dei temi, della sede, della durata, dei relatori e dei coordinatori esterni dei singoli incontri. Nell’esaminare il ruolo svolto dal C.S.M. nella formazione dei magistrati sia in sede centrale che in sede decentrata e l’attuale articola- 60 zione delle strutture consiliari, occorre ricordare come un importante innovazione nella determinazione delle competenze delle Commissioni chiamate ad occuparsi della formazione si è avuta con la delibera 9 luglio 1996, con cui nell’ambito di una generale revisione delle attribuzioni delle commissioni consiliari, è stata istituita la IX Commissione, Commissione per il tirocinio e la formazione professionale, a cui, come oggi previsto dal Regolamento Interno, competono relazioni e proposte nelle seguenti materie: a) regolamentazione, organizzazione e controllo del tirocinio degli uditori giudiziari; b) programmazione, istituzione, organizzazione, coordinamento e supervisione dei corsi di formazione professionale per gli uditori giudiziari e dei corsi di aggiornamento professionale e di specializzazione per i magistrati; c) designazione dei componenti del Comitato scientifico esterno per lo studio e l’organizzazione delle attività di formazione professionale dei magistrati. d) tutti i provvedimenti relativi al concorso per la nomina ad uditore giudiziario tranne l’indizione del concorso che compete al Ministero della Giustizia. Detta delibera è stata il risultato di un lungo percorso che ha visto altresì prendere consistenza, anche se per un breve arco di tempo, il progetto della costituzione di una struttura permanente deputata alla formazione. Ed infatti la prima iniziativa del Consiglio in materia di formazione risale ad una delibera del 5 aprile 1973, con la quale veniva stabilito di “organizzare periodici incontri di studio tra magistrati, affinchè dalla comune valutazione delle esperienze acquisite nell’esercizio delle rispettive funzioni giurisdizionali possano scaturire utili indicazioni per migliorare il funzionamento della giustizia ed approfondire la conoscenza dei problemi posti dalla evoluzione legislativa, dottrinale e sociale. Negli anni a seguire le iniziative consiliari si resero sempre più intense sino a giungere con la delibera 19.11.1992 all’approvazione di una delibera in cui veniva programmata la formazione professionale per tutto l’anno successivo, e veniva dato mandato di perseguire l’istituzione di una scuola della magistratura, ottica in cui furono prese una serie di concrete iniziative, che tuttavia non poterono avere compiuta attuazione, tra cui assunse un importante ruolo la convenzione stipulata il 23 settembre tra l’allora Ministero di Grazia e Giustizia e il C.S.M.. 61 La delibera 9 luglio 1996, oltre a rimodellare le strutture consiliari deputate alla formazione, opera un’attenta riflessione sulle ragioni della formazione professionale del magistrato che si può racchiudere nell’idea che solo un elevato livello di professionalità diffusa tra i magistrati consente all’intervento giudiziario di essere davvero indipendente ed autonomo. Prima delle statuizioni adottate dalla delibera del 1996 le attività inerenti alla formazione professionale dei magistrati che avessero già assunto le funzioni giurisdizionali erano seguite dalla Commissione Riforma, mentre le attività formative inerenti al tirocinio degli uditori giudiziari rientravano nella competenza della Commissione Speciale Uditori Giudiziari. Con il confluire delle competenze in materia di formazione in capo ad un’unica Commissione – il Consiglio ai sensi dell’art. 29 del R.I., su proposta della Commissione per il tirocinio e la formazione professionale, organizza incontri di aggiornamento professionale e incontri di studio per gli uditori giudiziari – si è potuto realizzare un migliore rilevamento dei bisogni formativi e una più funzionale gestione e organizzazione delle risorse, nonché una programmazione più adeguata delle iniziative evitando sovrapposizioni. Di pari passo è infatti andata maturando la consapevolezza della continuità tra formazione iniziale e permanente. Nell’attuazione dei propri compiti la IX Commissione , che si avvale dell’attività di collaborazione e assistenza di tre magistrati addetti alla Segreteria del C.S.M., ai sensi dell’art.10 del R.I., è coadiuvata dall’opera del Comitato Scientifico (che è composto da 12 magistrati e 4 docenti universitari, e a cui sono addetti due magistrati dell’Ufficio Studi e Documentazione del C.S.M.. Il Comitato Scientifico elabora e propone alla Commissione la sistematica rilevazione delle esigenze di formazione professionale, il programma annuale dei corsi, i temi, le modalità didattiche e organizzative, i docenti e i coordinatori esterni, i criteri per l’individuazione dei destinatari dell’attività formativa e ogni altro elemento necessario per la definizione di ciascuna iniziativa formativa. Pertanto la IX Commissione formula al Consiglio le proposte nella materia della formazione di propria competenza, alla luce delle proposte effettuate dal Comitato Scientifico, sulla base dei piani annuali di massima. Alcune competenze in merito ad iniziative scientifiche competono anche alla Sesta Commissione – Commissione per la riforma giudiziaria e l’amministrazione della giustizia. Ed infatti ai sensi del regola- 62 mento interno tra le attribuzioni della Commissione vi è l’organizzazione di incontri, anche a livello internazionale, sulle materie consiliare relative a studi di diritto comparato con particolare riguardo ai paesi dell’unione europea e alle materie di ordinamento giudiziario e di procedura penale e civile. Con la risoluzione 26 novembre 1998 sulla “Formazione decentrata dei magistrati” il Consiglio ha poi ravvisato la necessità di un approccio integrato tra interventi svolti a livello centrale e periferico, da erogarsi attraverso la creazione di una rete di formatori a livello decentrato; in questa occasione è stata prevista “una rete la cui esistenza valga nel contempo a rafforzare la struttura deputata alla formazione e ad esaltarne ulteriormente, per l’allargamento delle risorse umane che la compongono, la funzione di garnzia del pluralismo culturale”. La successiva individuazione dei referenti distrettuali per la formazione, gli importanti momenti di approfondimento e confronto rappresentati dai seminari per la “Formazione formatori” tenutisi nell’anno 1999 e nell’anno 2000 hanno quindi consentito alla rete di cominciare ad operare, attraverso la promozione, nei diversi distretti, delle prime inziative formative che la IX Commissione sta seguendo e monitorando con attenzione. La realizzazione della attività di formazione anche in sede decentrata, di cui si parla diffusamente nel terzo capitolo, ha comportato anche la necessità di adeguare sotto il profilo organizzativo, la normativa secondaria di settore da parte del C.S.M.; è in corso di elaborazione da parte della IX Commissione una circolare che servirà a disciplinare il rapporto tra formazione centrale e formazione locale e i collegamenti delle strutture consiliari e del comitato scientifico con la rete dei formatori. 1.L.2. Le strutture consiliari impegnate nella formazione professionale dei magistrati onorari. Tra i compiti demandati alla Ottava Commissione del C.S.M. – Commissione per i magistrati onorari – vi è la promozione delle attività di formazione professionale per i magistrati onorari. L’impegno della Commissione in questo settore ha dato luogo ad una pluralità di iniziative relative ai giudici di pace. Occorre ricordare come con la delibera 20 luglio 1996, nell’immediateza dell’operatività della legge istitutiva del giudice di pace, a fronte di una serie di disposizioni normative che attribuivano compiti in 63 materia di formazione al Ministero della Giustizia e al C.S.M. nonché a regime ai Consigli giudiziari, il C.S.M. intese ribadire e precisare il ruolo propulsore del Consiglio ritenendo, quindi, come mentre ai Consigli giudiziari spettava per legge una facoltà di iniziativa autonoma e responsabile per l’organizzazione dei corsi, al Consiglio spettava luna funzione di direttiva generale, di impulso, di indirizzo, di collaborazione, che promanava analogamente a quanto ritenuto per la formazione professionale della magistratura togata dall’art. 105 della Costituzione. Il recente d.lgs. 274/2000 che ha attribuito in attuazione della delega legislativa contenuta nella L. 468/99 la competenza penale al g.d.p., ha dato luogo ad una serie di iniziative consiliari promosse dalla VIII Commissione volte a indirizzare la necessaria attività di formazione che i Consigli giudiziari sono chiamati a svolgere, al fine di garantire. In particolare la delibera C.S.M. 9 novembre 2000 avente ad oggetto: “Formazione professionale della magistratura onoraria con particolare riguardo alle recenti innovazioni introdotte dalla legge 24 novembre 1999 n. 468” ha sottolineato la necessità di assicurare un’omogeneità di indirizzo per la formazione penale di giudici di pace in tutto il territorio nazionale impartendo analitiche direttive. 1.M. Le circolari del Consiglio: la nuova disciplina del tirocinio e la formazione permanente decentrata. La formazione sta spingendosi in modo lento ma costante dal centro verso i luoghi di servizio. Ciò avviene in ottemperanza a precise disposizioni normative che assegnano ruoli rilevantissimi ai Consigli giudiziari come il nuovo D.P.R. 17 luglio 1998, sul tirocinio degli uditori e la legge 374/92 istitutiva del giudice di pace. Anche se il decentramento non può costituire un’alternativa all’attuale assetto organizzativo della formazione in quanto non può essere idoneo a realizzare quello scambio di esperienze, idee guida, prassi tra colleghi operanti in diverse realtà sociali e giudiziarie, purtuttavia costituisce per l’immediato futuro uno degli snodi principali attraverso i quali possono trovare soluzione problemi che ancora investono l’attività formativa. I vantaggi connessi al decentramento consistono: a) nella possibilità di incoraggiare la partecipazione di magistrati che non sono in grado di spostarsi dai propri luoghi di lavoro e di residenza; b) di rag- 64 giungere in un arco di tempo breve ed a costi minori un numero elevato di magistrati; c) di coinvolgere maggiormente nelle attività di formazione l’Avvocatura, le Università ed i rappresentanti delle istituzioni locali; d) di fornire risposte adattate ai bisogni di formazione dei magistrati sul piano locale. Il Consiglio Superiore ha adottato il 26 novembre 1998 una risoluzione che pone il decentramento quale vera svolta stategica della formazione dei magistrati, all’interno di un progetto di integrazione tra iniziative locali e perdurante attività della scuola centrale. È stata ultimata la procedura di reclutamento dei referenti locali per la formazione, sostanzialmente ispirata alla esperienza dei referenti per l’informatica. In numero di due per ogni distretto e di quattro per i distretti principali i referenti locali per la formazione avranno compiti di rilevazione dei bisogni formativi, di preparazione di iniziative centrali e di diffusione dei risultati, di organizzazione di iniziative locali, si occuperanno della formazione dei giudici onorari. Non bisogna infatti nascondersi le difficoltà di organizzare un’attività di formazione dei magistrati a livello locale ed anzi il pericolo che la stessa, se introdotta in un quadro di improvvisazione didattica e non assistita da interventi di facilitazione, e di collegamento funzionale con la struttura centrale possa trovare ostacoli seri nel perseguire e raggiungere l’obiettivi per cui è stata realizzata. A tal fine sembra inevitabile che nell’organizzare la formazione in sede decentrata i referenti per la formazione ricerchino la massima collaborazione dei Consigli giudiziari. In questo contesto appare importante che l’attività formativa evidenzi in ogni singolo passaggio la sua finalità tesa verso il rafforzamento di un magistrato autonomo e indipendente, consapevolmente attrezzato per l’esercizio della sua professione, e quindi culturalmente idoneo a ricoprire il ruolo assegnatogli e a svolgere il servizio cui è destinato; è sicuramente un compito non facile quello che investe i referenti per la formazione, ma è un compito fondamentale perché si promette di avvicinare la formazione ai problemi organizzativi degli uffici giudiziari, innovare i metodi didattici e il confronto con l’Università, potenziare gli strumenti di autoformazione dei magistrati, intensificando le occasioni di confronto con gli altri operatori della giustizia ed in primo luogo con i cancellieri e gli avvocati, creare un servizio a favore della magistratura onoraria, coinvolgendo i colleghi collettivamente e senza dar luogo a possibili disparità nella formazione erogata. 65 1.M.1. Formazione decentrata e tirocinio degli uditori. La nuova circolare sul tirocinio degli uditori giudiziari (D.P.R. 17 luglo 1998, mantiene sostanzialmente inalterata la struttura degli organi deputati alla formazione in sede distrettuale (Commissione distrettuale per gli uditori giudiziari, magistrati collaboratori, magistrati affidatari), ma ha fissato i presupposti, sulla scia della creazione della Nona commissione, per un intervento formativo organico e programmato, che valorizzi il contributo dei consigli giudiziari e nel contempo faciliti l’abbandono “sia dell’improvvisazione e del dilettantismo, sia della stereotipa ripetitività che in passato spesso caratterizzavano la c.d. parte teorica del tirocinio”. I dati essenziali della nuova disciplina consolidano acquisizione progressive come: a) una lunga durata del tirocinio, ben oltre il limite legale minimo di sei mesi, portandolo fino a diciotto mesi, quasi netti (cioè con esclusione di lunghe assenze); b) la scansione del tirocinio in una fase generica, individuando il civile come il settore iniziale del tirocinio ordinario, ed una mirata con riguardo al tipo di funzioni da ricoprire al primo incarico; c) concentrazione in un numero limitato di esperienze giudiziarie per favorite la trasmissione del metodo dell’approfondimento dei problemi e privilegiare la riflessione sull’organizzazione del lavoro; d) irrigidimento della previsione per cui il dirigente dell’ufficio giudiziario di destinazione deve indicare con precisione al C.G. le specifiche funzioni a cui l’uditore in tirocinio mirato sarà destinato; e) l’introduzione di un “quaderno” o “diario” di tirocinio, nel quale l’uditore dovrà annotare, con cadenza almeno settimanale, le attività cui ha partecipatoe formulare le proprie osservazioni; f) la attribuzione di un ruolo centrale al magistrato colaboratore, che redige il piano di tirocinio e ne cura l’esecuzione e al magistrato affidatario; la precisazione che i compiti del magistrato collaboratore e del magistrato affidatario rientrano tra i doveri d’ufficio; g) la responsabilità concomitante del C.S.M. e dei Consigli giudiziari per la formazione, da attuarsi attraverso un’opera di coordinamento tra iniziative locali e centrali; h) la stretta connessione tra formazione e valutazione, determinata dal ruolo valutativo assegnato proprio ai formatori, che redigono relazioni in una sequenza procedimentalizzata e garantita dal nuovo regolamento, che culmina con il provvedimento positivo di assegnazione delle funzioni ad opera del C.S.M.. 66 L’attuazione della delibera sulla formazione decentrata, insieme allo spazio concesso a nuove metodologie di didattica attiva, con simulazioni e studio di casi e l’istituzione di un corso di ordinamento giudiziario e deontologia, da svolgersi durante il tirocinio ordinario, a livello centrale, possono assicurare un effettivo miglioramento della formazione iniziale. E’ importante a tal fine che sia coordinata la suddivisione tra le iniziative a livello locale e quelle da adottare a livello centrale; sarà necessario curare la qualità del rapporto tra uditore e magistrato affidatario in modo tale che l’uditore non svolga il suo tirocinio sentendosi marginalizzato rispetto all’attività dell’ufficio o comunque viva la sua presenza in modo subalterno, finalizzata magari allo smaltimento del lavoro dell’affidatario o come spettatore del lavoro di quest’ultimo; deve sottolinearsi la necessità che il tirocinio assicuri in tutti i distretti standards qualitativi omogenei, magari anche attraverso verifiche da operarsi ad opera della IX Commissione; sarà necessario valorizzare le esperienze di confronto tra gli uditori in tirocinio nei vari distretti, magari limitrofi e il controllo da parte dei Consigli giudiziari, attraverso la Commissione Uditori e da parte dei referenti per la formazione del’attività dei magistrati collaboratori e dei magistrati affidatari, che rischiano di essere l’anello debole della catena formativa. Fermo restando che attualmente il C.S.M. ha optato per una soluzione negativa rispetto a quest’ultima ipotesi, in quanto la stessa farebbe assumere alla attività di formazione l’improrio significato di un esame, al contempo però ha iniziato una riflessione sulla necessità della frequenza di corsi specifici per chi aspira a funzioni direttive o semidirettive, per chi nel corso della sua vita professionale abbia subito l’accertamento di carenze che in qualche modo debbono essere sanate, per chi intenda passare dall’esercizio di funzioni giurisdizionali civili a quelle penali, dall’esercizio di funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (v. per una conferma i programmi dei corsi di formazione per gli anni 2000 e 2001 e le delibere del 23 giugno 1999 e del luglio 2000). L’art. 3 del codice etico elaborato dall’Associazione nazionale dei magistrati prevede che la formazione permanente è un dovere etico del magistrato. Di sicuro può essere inserito nella categoria dei doveri professionali. Una risposta sul punto esige però anche la soluzione del problema all’accesso alle offerte formative, che spesso presentano un numero di disponibilità inferiore fino al 50% rispetto alle richieste. 67 1.N. L’incremento qualitativo e quantitativo della formazione professionale dei magistrati. L’ultimo triennio evidenzia, quale dato caratteristico e di immediata limpidezza, un costante incremento quantitativo ed una crescente diversificazione nell’offerta della formazione e dell’aggiornamento professionale per i magistrati, come dimostra anche la semplice comparazione su taluni dati significativi del periodo considerato. Nel luglio del 1996, all’indomani di quella che ben può prospettarsi come l’autentica svolta nell’organizzazione della formazione professionale – e cioè le innovazioni regolamentari che portarono all’istituzione della Nona Commissione del Consiglio Superiore ed a quella, con la novella dell’art. 29 del Regolamento interno, del Comitato scientifico –, il progettato programma di formazione, per il successivo anno 1997, contemplava 38 incontri di studi a livello centrale. Il modello organizzativo prescelto – che non prevedeva né il coinvolgimento dei magistrati italiani in iniziative di formazione della ‘rete’ europea, né attività in sede decentrata – risultava modulato su tematiche classiche dell’aggiornamento professionale e cadenzato secondo logiche, piuttosto rigide, di ‘categorie’ di funzioni: così, nel programma di quell’anno, erano previsti incontri di studio dedicati ai ‘pretori civili’, ai ‘giudici minorili (civile e penale)’, al ‘diritto del lavoro’ (nel suo complesso e da intendersi, quindi, come offerta diretta ai giudici del lavoro, in quanto tali), ma anche, in prospettiva ordinamentale, ai ‘consigli giudiziari’ ed ai ‘dirigenti degli uffici giudiziari (funzioni giudicanti e requirenti)’. Colpisce, in tale metodologia formativa, un’offerta caratterizzata, per così dire, da un principio di globalità: il programma del 1997 non prevedeva, infatti, sezioni separate ratione materiae ed appariva piuttosto pensato quale offerta che, complessivamente, mira a ‘coprire’ bisogni di conoscenza della magistratura rilevati, innanzitutto, per ambiti di appartenenza funzionale, in senso stretto: appunto, i pretori civili, i giudici del lavoro, i minorili, i magistrati della Corte di Cassazione, ecc.. A tali tipologie didattiche, si affiancavano poi i moduli ‘monografici’: tematiche, cioè, più specifiche rispetto a quelle individuate solo ‘funzionalmente’, ma comunque connotate – anch’esse – da un carattere di generalità. Così, ad esempio, l’ involucro formativo sulla materia della prova (civile e penale) risultava costituito – in maniera assai lineare e generale – da due incontri, dedicati – rispettivamente al tema delle prove nel processo civile e nel dibattimento penale; l’intera materia dell’esecuzione penale ad un unico, omonimo incontro 68 ed, egualmente, per quella delle misure di prevenzione, per il contenzioso con la P.A., per la tutela penale del lavoratore ecc. Si trattava, in breve, di una metodologia perfettamente coerente con i bisogni formativi rilevabili, all’epoca, presso la magistratura di merito e del tutto proporzionata alla struttura organizzativa dell’epoca, assolutamente lodevole nell’aver pensato e realizzato, praticamente dal nulla, un’attività sconosciuta fino a quell’epoca, conferendole forma stabile e meditata. Inevitabile, insomma, che il bisogno di aggiornamento, agli albori di tale sperimentazione culturale, si esprimesse, presso la magistratura italiana, in percorsi tematici fortemente aderenti alla ‘tecnica’ giudiziale ed, al tempo stesso, sufficientemente ‘generali’, in grado, cioè, di soddisfare una esigenza iniziale di specializzazione, dai contorni ancora incerti, dagli esiti ancora non completamente chiari. Era fortemente sentita, insomma, un’urgenza di riqualificazione professionale rigorosamente ancorata alla funzione, per migliorare il fare del quotidiano giudiziale, fortemente cercato il confronto esclusivamente ‘interno’ alla medesima funzione e senza iniziali commistioni, di contraddittori, cioè, culturalmente più ampi e di contesti formativi cui, dinamicamente, contribuiscono magistrati con provenienze funzionali diverse. D’altra parte, a tale tipologia di bisogni sul versante della domanda, faceva da pendant, su quello dell’offerta, un’esigenza non dissimile. Una formazione ‘tecnica’ e ‘generale’ risultava, invero,un viatico quasi obbligato per affrontare,organizzativamente, la novità della sperimentazione culturale, con le sue iniziali difficoltà: di ordine ideologico, per lo scetticismo, quasi inevitabile, connesso a tale mutazione; di tipo logistico, perché, per la prima volta, il coordinamento esterno e la consulenza formativa si assestavano in una struttura stabile, embrione dei futuri organismi istituzionali, quali la IX Commissione consiliare ed il Comitato Scientifico. Dunque: per quanto lineare e (forse) esigua possa apparire, con gli occhi dell’oggi, l’offerta formativa all’inizio del triennio considerato, essa risultava, in realtà, pienamente sincronica con gli apporti organizzativi possibili e, soprattutto, con le esigenze di aggiornamento appena emerse nella loro sistematicità. Nondimeno, quel periodo, pur così vicino, appare quasi sfumato nelle brume del tempo se lo si confronta con l’oggi. Non è solo una dimensione sensibilmente diversa della ‘quantità’ dell’offerta – 57 incontri di studi a livello centrale nell’anno 2000, oltre i corsi, divenuti stabili, a livello decentrato e le ulteriori iniziative formative di livello internazionale –, quanto una inu- 69 sitata fisionomia metodologica a caratterizzare questa percettibile evoluzione. Essa prospetta affinamenti culturali in sintonia sia con l’affiorare di frontiere normative meno tradizionali ed assolutamente dirompenti, che con una mutata finalità, presso gli ‘utenti’ della formazione, dello stesso accostarsi all’aggiornamento. A quest’ultimo non si chiede più, soltanto, di essere puntello di mera tecnica giudiziaria,quanto,piuttosto,sistematica riflessione sui momenti fondanti dell’attività giurisdizionale: arricchimento culturale complessivo, articolato non più (o non soltanto) nella sola dimensione della ‘funzione’ esercitata, ma dialogante con i saperi ‘eccentrici’ alla funzione stessa, quando non esterni – ma non certo estranei- ad essa. Problematiche sociali nuove – basti pensare ai riflessi della multietnìa sociale sperimentata negli ultimi anni o ai profili della bioetica o a quelli della nuova pirateria informatica, tanto per citare solo le epifanie di un catalogo lunghissimo- hanno quasi obbligato la formazione ad un dinamismo forzato, a lavorare su programmi idonei quasi ad ‘anticipare’ i tempi della disciplina legislativa o del dibattito culturale su tematiche a cavallo, spesso, tra diritto e metadiritto. Ne è nato quasi un gioco di ‘rincorsa’, a più elementi: tra un insieme di materie problematicamente fresche, sotto l’aspetto culturale e sociale, ben oltre l’originale matrice e connotazione tecnica; una piattaforma di destinatari della formazione vieppiù ampia e con esigenze originali, comunque diverse rispetto a quelle di un passato anche prossimo; una struttura organizzativa più stabile ed affinata e, quindi, in grado di esprimere pianificazioni di maggiore razionalità e qualità, anche per il prestigio progressivamente acquisito dalle iniziative di formazione per magistrati presso il mondo accademico e le istituzioni culturali in genere. Questa è la storia recentissima dell’evoluzione ‘qualitativa’ della formazione dei magistrati italiani: sviluppo cui non rendono merito neppure i dati statistici (pur significativamente cresciuti in modalità esponenziale: v. tabella statistica, pag……),asettici nel rendere comprensibili i nuovi confini culturali lambiti, le diverse metodologie proposte, le inedite interlocuzioni proposte, ma anche lo sforzo organizzativo sotteso. In tale evoluzione – segnata anche da inevitabili mancanze, disguidi, talora da ingenuità sperimentali, come tutto ciò che è ‘in movimento’- ciò che è caratterizzante è, appunto, una crescita quantitativa della diffusività della formazione senza pregiudizio per il suo dinamismo, per una sua vivacità sperimentale.E’ noto, infatti, che il limite dei grandi numeri nelle attività di formazione è quello di una progressiva staticità: la maggiore ampiezza di soggetti coinvolti nell’aggiornamento pro- 70 fessionale costa in termini di tempestività dello stesso, di modulazione conformata alle effettive esigenze, in breve, di sacrificio di una qualità complessiva. Tali esiti non pare abbiano caratterizzato la formazione dei magistrati, pur nella crescita – in valore assoluto e percentuale- dei suoi destinatari: la scansione per ‘settori’ culturali, piuttosto che per ‘funzioni’ di appartenenza; la riserva aurea costituita da un’apposita sezione interdisciplinare dedicata a ‘società e questioni contemporanee’; un dialogo sempre più intenso, negli incontri di studi,con il mondo dell’avvocatura e dell’accademia ed, in generale, con universi istituzionali diversi da quello della giurisdizione; un’attenzione particolare alle iniziative di formazione di ambito europeo; una più intensa profondità nell’approccio alle tematiche tecniche, in senso stretto hanno costituito altrettanti fattori di crescita qualitativa della formazione, in uno con il rafforzamento organizzativo. Certo, l’attuale mole raggiunta dalla formazione offerta rende già in parte asfittiche e perfino superate strutture nate meno di un lustro fa: ma la comparazione con le più avanzate esperienze europee evidenzia come -pur in assenza di una soluzione legislativa che strutturi la formazione in un assetto di ‘Scuola di formazione per magistrati’- in pochi anni è stato recuperato un ritardo che rimonta a decenni, considerando, ad esempio, che l’Ecole francese - ai cui livelli è ormai prossima l’esperienza italiana, sia in qualità di metodologia che in quantità di giornate di formazione- opera stabilmente, quale struttura autonoma, fin dal 1958. Pur nelle difficoltà di tener dietro, sotto il profilo organizzativo, ad un’attività pressoché raddoppiata rispetto a qualche anno fa, non è venuta meno, in sostanza, l’agilità e la passione della sperimentazione didattica: ne sono testimonianza le forme nuove dell’ ‘autoformazione’ professionale, ben riuscite per i magistrati minorili e di sorveglianza o i workshop in videoconferenza o gli incontri di ‘approfondimento tematico’ delle tecniche di indagine, accanto all’affinamento della riflessione sui temi classici del processo, civile e penale, della prova, del diritto sostanziale nei vari ambiti. E’ chiaro, tuttavia, che proprio una domanda formativa sempre più estesa obbligherà a diversificazioni e scelte, onde conservare e migliorare gli standard qualitativi molto dipenderà da un’oculata progettualità in tema di formazione decentrata, altro dalle opzioni di metodi e di materie che occorrerà comunque operare a livello di formazione centrale. 71 RICOGNIZIONE DELL’ATTIVITÀ DEL QUADRIENNIO Premessa. Si è ormai formata una generale e motivata consapevolezza sullo strettissimo rapporto esistente tra capacità professionale del magistrato ed indipendenza dell’ordine giudiziario. Per altro questo nesso assume oggi, forse come non mai, un significato istituzionale particolarmente rilevante e segnala la formazione dei magistrati come tema di riflessione e di proposta. Da anni il C.S.M. ha avviato un serio approfondimento delle questioni concernenti la formazione professionale passando progressivamente da una formazione gestita su basi di “volontariato” (sia in chi la fornisce, sia in chi la fruisce) ad una formazione sistematica e scientifica. Le analisi compiute hanno determinato un progressivo rafforzamento della struttura esistente. Dopo la costituzione della IX Commissione, del regolamento interno e del Comitato Scientifico un vero e proprio salto di qualità è stato operato nel corso dell’anno 2000, allorchè la IX Commissione, ponendo le basi per la formazione del terzo millennio, ha cominciato ad effettuare una rilevazione di dati statistici, monitorando sia la domanda sia l’offerta della formazione, e consentendo una radiografia dell’esistente la più fedele possibile. Attraverso tale strumento la IX Commissione ha potuto verificare le numerose problematiche irrisolte, formulare proposte migliorative, impostare la programmazione futura, confrontare la formazione centralizzata con quella decentrata. Nel corso del presente capitolo ci si propone di rendere conto della ricognizione effettuata sull’attività dell’ultimo quadriennio, stabilendo una comparazione con il triennio precedente. L’analisi dei dati emersi consente sicuramente di offrire una base per la valutazione dei complessivi (e complessi) aspetti della formazione professionale. Quella rappresentata è tuttavia una prima esposizione ragionata dei dati, che necessita di riflessioni e approfondimenti ulteriori, per non risultare incompleta o fuorviante. Ad es., occorre considerare che la rilevazione di alcune tipologie di dati è stata decisa ed impostata solo in tempi recenti (così, per quelli concernenti la mancata partecipazione ai corsi per motivi di famiglia), e che l’inserimento dei dati pregressi è avvenuto superando non poche difficoltà operative. Le metodiche e le tecniche di rilevazione non sempre sono state 75 uniformi nel tempo. Le stesse valutazioni dei partecipanti, ad es. in ordine all’interesse e alla bontà dei programmi offerti, non sempre sono state espresse secondo le modalità suggerite dalle schede, e le stesse schede, pure fondamentali ai fini della rilevazione dei flussi di partecipazione e del gradimento, sono redatte da una percentuale non sempre significativa dei partecipanti ai vari corsi. In sostanza, si vuole evidenziare innanzi tutto la necessità di esplicitare, per quanto possibile, le tecniche e le modalità di acquisizione dei dati, nonchè la base effettiva dei dati in rilevazione. In secondo luogo, rappresentare che i dati rilevati risultano intelligibili solo se rapportati alle cornici in cui l’offerta formativa s’è contestualizzata. Così, ancora in via esemplificativa, se si effettua la comparazione della partecipazione maschile con quella femminile, occorre necessariamente tener conto del fatto che le donne sono entrate in magistratura solo nel 1963 e che la loro presenza percentuale complessiva all’interno dell’ordine giudiziario, ove sganciata dalle varie fasce di età, risulta sicuramente inferiore rispetto a quella dei magistrati di sesso maschile. In base a tale chiave di lettura dei dati relativi alla partecipazione femminile si può però concludere che, proporzionalmente, la loro partecipazione agli incontri non è inferiore a quella degli uomini, soprattutto nelle qualifiche relative alle carriere direttive dove, pure, apparentemente minore è la percentuale di partecipazione. Analogamente, quando si prende in considerazione la partecipazione per fasce funzionali occorre tener presente che: a) la caduta di partecipazione ai corsi di formazione da parte dei magistrati di tribunale deve essere necessariamente collegata ai tempi di immissione nell’ufficio degli uditori, nonché al recente minore afflusso degli stessi rispetto agli anni precedenti; b) la minore percentuale di partecipazione dei magistrati appartenenti alle carriere direttive rispetto alle altre qualifiche deve essere rapportata al minor numero di magistrati appartenenti a quelle qualifiche. Si tratta di precisazioni minime, e tuttavia indispensabili per leggere correttamente i dati raccolti. La rilevazioni dei dati sulla partecipazione ai corsi ha peraltro consentito alla Commissione di approfondire le procedure di ammissione agli incontri di studio, tenendo conto della provenienza dai vari distretti, delle fasce di età, della precedente partecipazione quantitativa ai corsi, delle eventuali revoche, del sesso dei richiedenti. Ciò ha consentito la elaborazione di un programma informatico che, attraverso “griglie” successive, seleziona in modo automatico, con 76 criteri predeterminati, le numerosissime domande di ammissione ai corsi, garantendo tempestività, imparzialità e rispetto degli obiettivi programmati. Tuttavia, le griglie o le incompatibilità costituiscono un fattore occulto decisivo nell’orientare e condizionare la partecipazione, giacchè influiscono sulla mancata ammissione ai corsi. E’ accaduto talvolta che incontri di studio siano risultati poco richiesti; più frequentemente, si è dovuta rilevare un’alta percentuale di mancate ammissioni. La selettività delle griglie è dovuta all’intendimento - in sé commendevole - di individuare preventivamente, nel modo più accurato, la fascia dei possibili fruitori dei vari corsi, assicurando nel contempo imparzialità ed equilibrio (geografico, per categorie professionali, ecc…). E tuttavia, l’intento commendevole non attenua la valenza negativa del risultato: questo appare penalizzante sia per i destinatari della formazione sia per la struttura, chiamata talvolta a sostenere oneri finanziari in modo del tutto improduttivo. Ciò ha indotto ad attenuare in modo significativo l’eccesso di dirigismo nell’elaborazione delle griglie relative alla programmazione dell’anno 2002 e quindi nella selezione dei destinatari dell’offerta formativa. In chiusura di presentazione del capitolo, occorre sottolineare il ruolo essenziale svolto dalla struttura della segreteria amministrativa, che con grandi capacità e notevoli sacrifici ha reso possibili i risultati sin qui conseguiti. 2.A. L’offerta formativa nel quadriennio 1997/2000. L’analisi delle linee guida che hanno orientato l’offerta formativa nel corso del quadriennio appena trascorso e che soprattutto illustri le ragioni che hanno sorretto le proposte formulate si mostra come il presupposto indispensabile per la futura azione del Consiglio nel settore della formazione professionale del magistrato nel momento in cui si dà concretezza, accanto a quella tradizionale, alla formazione decentrata. Si tratta di approfondire l’analisi delle risposte che i magistrati hanno danno alla offerta formativa, nelle sue modificazioni propositive avvenute nel corso degli anni, per consentire la ulteriore crescita delle iniziative di aggiornamento professionale. La rilevazione, e l’analisi comparativa tra il quadriennio 1997/2000 ed il triennio precedente, trova una sua prima giustificazione logica nella modifica rego- 77 lamentare con la quale il Consiglio istituiva nel corso del 1996 il Comitato Scientifico, individuato come struttura qualificata e stabile di supporto alla attività di formazione della IX Commissione. Dal 1997 veniva anche introdotto il sistema dell’interpello annuale per la acquisizione e gestione della domanda di formazione calendarizzata per un intero anno1, che sia pure con le modifiche intercorse in questi anni sul numero di domande di ammissione consentite a ciascun magistrato2, rende omogenei i dati e ne consente l’estrazione in ragione del criterio operativo utilizzato e l’analisi comparativa. In proposito si è ritenuto di sottoporre ad analisi sia l’offerta formativa, nella sua evoluzione storica all’interno del quadriennio di riferimento e con il necessario raffronto con quanto accaduto in precedenza, sia la domanda di partecipazione sotto il profilo della distinzione soggettiva dei partecipanti e della tipologia di offerta distinta per aree tematiche, così da fare risaltare le aree di mancata domanda di partecipazione, le richieste formative rimaste insoddisfatte, le nuove richieste formative desumibili dalla rilevazione delle schede di partecipazione che ciascun partecipante agli incontri redige all’esito degli stessi, e che vengono analizzate dai componenti del Comitato Scientifico. L’offerta formativa si è stabilmente attestata nel corso del quadriennio in misura superiore a quaranta corsi per anno (dai quarantuno del 1997 ai quarantanove del 1998, ai 46 del 1999, per giungere ai cinquantasei per il 2000), ed all’interno di questa generale crescita, ancor più evidente nel raffronto con il periodo precedente, si è passati dai quindici incontri nel settore civile del 1997 ai 20 del 1998, cosi come dai 19 del settore penale nel 1997 ai 21 tenuti nel corso del 1998. A questi si sono aggiunti quattro corsi nel biennio su temi ordinamentali e ben undici di tipo promiscuo. All’interno di tale offerta formativa, che tentava di “recuperare” alla formazione anche settori del corpo giudiziario meno pronti a recepire le nuove forme di aggiornamento professionale (come con i corsi sul giudizio di cassazione nel suo continuo oscillare tra legittimità e merito), risultano affrontate anche tematiche generalmente ritenute marginali, ma di crescente interesse quali le misure di prevenzione e la esecuzione della pena. Il tema “storico” della prova, e della sua valutazione, nel dibattimento, 1 La programmazione annuale era già stata introdotta nel 1996, ma senza interpello an- nuale. 2 Nel 1997 era possibile esprimere 5 preferenze, ridotte a 4 negli anni 1998 e 1999, riportate a 5 per corsi del 2000. 78 argomento presente in più di un programma si ripropone ancor oggi, come le modifiche legislative impongono e le richieste dei colleghi evidenziano, come indubbio argomento di confronto e di approfondimento, non solo sotto il profilo tecnico ma altresì per il suo approccio dogmatico e filosofico. In campo civile oltre al necessario “punto” sul nuovo rito risultano affrontate tematiche classiche, ma in continua evoluzione, come quella del risarcimento del danno o dei procedimenti cautelari, accanto ad argomenti a maggiore specializzazione come l’esame dei bilanci delle imprese, il diritto marittimo, senza trascurare l’analisi di settori di grande impatto sociale quale quello del diritto di famiglia. Con il programma di formazione per il 1999 il Consiglio, pur nella continuità con la precedente esperienza e con l’impegno a garantire i livelli qualitativi e quantitativi dell’offerta della formazione raggiunti, ha inteso marcare un progresso sul piano della chiarezza dell’offerta dell’aggiornamento professionale anche quanto ai contenuti ed ai metodi. Da qui la scelta di presentare tutte le attività di formazione continua, fossero esse da realizzarsi in sede centrale, decentrata ovvero presso istituzioni estere, non più secondo una meccanica divisione “civile-penale” ed un criterio meramente cronologico, bensì per aree tematiche che maggiormente esplicitassero gli ambiti dell’intervento formativo ed i loro reciproci collegamenti, così da permettere ad ogni magistrato di meglio calibrare le proprie richieste rispetto ai propri interessi ed alle proprie esigenze di formazione. Tale nuove suddivisione dei corsi per aree tematiche, che è divenuta una costante negli anni successivi in considerazione dell’apprezzamento riservato a tale forma di ripartizione dai soggetti destinatari, ha consentito di fare risaltare alcune importanti novità nei contenuti della formazione. La prima riguarda il deciso aumento dei corsi interdisciplinari, raccolti principalmente sotto il titolo “Società e questioni contemporanee” (ma non solo), con l’obiettivo di estendere l’area dell’approfondimento e del confronto oltre i confini, dimostratisi spesso decisamente angusti non solo dal punto di vista culturale ma anche da quello più direttamente operativo, tra diritto civile e diritto penale, nel tentativo di trovare un nuovo e più elevato equilibrio tra aggiornamento tecnico giuridico, riflessione del magistrato sul proprio ruolo ed apertura della formazione su fenomeni sociali, realtà economiche e strutturali in continua e rapida evoluzione. La seconda novità è stata rappresentata dalla creazione di un’area della formazione, peraltro assai consistente per quantità e qualità dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e del diritto comu- 79 nitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre più rilevanti e complesse attività di cooperazione tra magistrati italiani e autorità giudiziarie straniere. In questa logica va visto il “Progetto globale di formazione dei magistrati addetti alle nuove forme di cooperazione giudiziaria penale” approvato dalla Commissione europea nell’ambito del programma GROTIUS, così come la partecipazione dei magistrati italiani, in possesso di idonee e comprovate conoscenze linguistiche, ad iniziative di formazione presso i partners europei. I programmi del biennio 1999/2000 hanno presentato un ulteriore elemento di innovazione attraverso la individuazione di metodi didattici diversificati, applicabili alle differenti iniziative in funzione di bisogni formativi che queste erano destinate a soddisfare, con una metodologia che è andata oltre la tradizionale struttura seminariale degli incontri di studio per individuare formule pedagogiche più flessibili ed innovative, tra le quali va sottolineato il ruolo dei cd. laboratori, basati sull’autoformazione dei partecipanti, divisi in piccoli gruppi sotto la guida di un esperto. Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’attività di supporto formativo ai magistrati che nel corso dell’anno hanno cambiato funzioni, attraverso la cd. formazione di riconversione, che non ha percorso il vecchio itinerario di tipo generalista, orientandosi al contrario verso formule che tenessero conto delle esigenze relative alle specifiche funzioni di nuova assegnazione, e che ha riscontrato largo e ampiamente positivo apprezzamento da parte dei partecipanti, come è dato ricavare dall’esame delle schede di valutazione redatte nell’occasione. Il carattere di continuità del progetto di formazione del 2000 rispetto alle linee fondamentali che avevano caratterizzato l’azione dell’anno precedente è stato giustificato in primis con il successo che le proposte 1999 avevano riscosso presso i destinatari, anche estranei all’ordine giudiziario, sia con riguardo ad incontri ad eminente contenuto tecnico e specifico, sia relativamente ad iniziative di maggiore apertura verso le richiamate tematiche sociali o culturali a carattere generale. Al contempo la riflessione sulle linee di sviluppo dell’offerta formativa non si è arrestata, ne in relazione ai metodi né tantomeno a proposito dei contenuti e degli obiettivi culturali da assicurare mediante la formazione. In questa ottica si è inteso sottolineare l’esigenza di prestare costante attenzione alle fonti del diritto europeo e quella di individuare, nell’ambito delle singole occasioni formative, spazi dedicati alla definizione di moduli di lavoro e di tipicizzazione di prov- 80 vedimenti che contribuissero ad accelerare i tempi di svolgimento dell’attività processuale. L’offerta nel secondo biennio, il cui sistema di accorpamento rende maggiormente comprensibile il raffronto comparativo, risulta essersi attestata numericamente intorno a tredici appuntamenti a carattere interdisciplinare; di cui cinque inquadrati nell’area “società e questioni contemporanee”, e nel resto riferentisi ai temi dell’ordinamento giudiziario o, come per il programma 2000, con una accentuazione delle questioni interdisciplinari processuali (come il rapporto tra illecito civile ed illecito penale, il ragionamento probatorio, o la riflessione sulle dinamiche processuali analizzate con riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo), senza dimenticare il settore del diritto della famiglia e dei minori (cui risultano dedicati complessivamente tre incontri interdisciplinari oltre ad uno a carattere specificamente civilistico). I corsi dedicati al diritto civile ed al diritto processuale civile sono saliti da dieci a tredici, così come quelli con tematiche di diritto penale e processuale penale portati da tredici a quattordici. Tra i primi lo sforzo si è indirizzato in primo momento ad effettuare il punto sul nuovo rito civile ordinario, così come ad affrontare il tema delle controversie con la pubblica amministrazione, per poi analizzare tematiche più specifiche quali l’appalto privato e pubblico, l’esecuzione forzata, l’espropriazione immobiliare delegata, o temi di grande respiro come l’abuso del diritto. In campo penale, accanto a proposte storiche quali quelle relative alla formazione sulla funzione inquirente e requirente (corsi Falcone e Borsellino) o sulle tecniche di indagine (corso Guido Galli), particolare attenzione ha richiesto il complesso delle riforme ordinamentali e processuali intercorse nell’ultimo periodo, a partire dalla riforma del giudice unico, attraverso le tappe progressive del D.L. 24 maggio 1999 n. 145, della legge Carotti, della riforma costituzionale dell’art. 111 Cost., della sua disciplina transitoria, sino alla legge sulle indagini difensive di fine 2000; ma accanto a ciò è stato possibile offrire una riflessione sul tema generale della tutela penale della persona o sulla figura della vittima del reato. Nei soli anni 1999/2000 l’offerta formativa in tema di diritto dell’economia si è sostanziata in ben nove incontri, tra cui quelli in tema di rapporti bancari, di bilanci delle imprese (riproposto in entrambi gli anni), di costituzione delle società e dei contratti di impresa nell’ottica del mercato globale e della legislazione comunitaria. Accanto alla riflessione sulla formazione centrale merita una forte sottolineatura l’aumento delle iniziative di formazione su base 81 decentrata, secondo una linea di progressivo coinvolgimento delle realtà giudiziarie locali nell’attività di formazione professionale dei magistrati, e che ha portato alla individuazione di una rete di formatori locali, la cui distribuzione sul territorio è stata approvata di recente, ed alla quale è stato dedicato un notevole sforzo anche sotto il profilo della loro formazione. In questo settore si sono mossi i corsi proposti al finanziamento europeo nell’ambito del programma denominato SCHUMAN, e che hanno consentito il coinvolgimento delle realtà locali, sia pure con il coordinamento dei componenti del Comitato scientifico, per una ampiamente soddisfacente resa in termini di interesse e risposta da parte di quei magistrati in altre occasioni riluttanti ad accogliere proposte formative distanti dalla sede di servizio. I livelli di partecipazione si sono finalmente allineati a quelli delle più prestigiose istituzioni europee di formazione dei magistrati, con un incremento di domande conclusesi con la effettiva partecipazione che cresce dalle 2659 del 1997 alle 3740 del 1998, alle 3996 del 1999 per fissarsi a 3936 per il 2000, e che rapportate al numero dei magistrati in servizio (8813 nel 2000) ci porta ad una percentuale vicina a quella degli ammessi ai seminari dell’Ecole Nationale de la Magistrature, pari al 57%, con la precisazione che tale indicazione percentuale tiene conto anche della offerta di formazione decentrata, mentre i dati italiani si riferiscono alle sole proposte formative a carattere centrale; se infatti a quanto si andrà nel prosieguo meglio dettagliando si aggiunge che nel corso del prossimi anni la formazione decentrata raggiungerà anche da noi un numero consistente di magistrati, come si ricava dalla programmazione per il 2001, ed ancor più dal lavoro di approfondimento già in corso per la offerta formativa relativa al 2002, si ricava un dato complessivo di offerta formativa che pone il nostro paese, e le istituzioni a questo preposte ai primi posti nel contesto europeo. 2.B. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo dell’offerta formativa. Il fondamentale parametro di raffronto di quanto realizzato negli anni 1997/2000 nel settore della formazione con la pregressa offerta è costituito dalla relazione predisposta dai magistrati collaboratori che hanno operato sino al luglio del 1996 e relativa al periodo marzo 1994 – giugno 1995. Si tratta di una relazione organica ed ancora per larghi versi attuale, che contribuisce a fornire una 82 chiave di lettura dell’attività di formazione ancora oggi utile. Infatti nel periodo preso in esame nella precedente relazione risultavano realizzati quarantasette incontri di studio, dato significativo già se rapportato soltanto ai quarantuno incontri proposti nei quatto anni precedenti. Se poi l’analisi si spinge ad esaminare l’oggetto degli incontri stessi gli elementi di valutazione assumono migliore e più accentuata consistenza. Infatti diciannove incontri hanno riguardato il diritto e la procedura penale, e ventuno il diritto e la procedura civile, accanto a momenti di riflessione su temi specifici quali il diritto fallimentare e quello commerciale e societario. Già durante questo primo biennio i Corsi Falcone e Borsellino, che per la loro reiterazione ed estensione assumevano le attuali caratteristiche di corsi base, avevano ricevuto sostanziali modifiche della impostazione iniziale, mirando ad affrontare, oltre che la generale inquadratura delle tecniche di indagine, anche argomenti suggeriti di volta in volta dall’interesse del momento consentendo così una espansione della platea dei partecipanti, non più limitata ai soli pubblici ministeri. Con il programma per il 1996 veniva introdotta la programmazione annuale, anche se senza la predisposizione di una richiesta unica da parte degli interessati, con una offerta formativa globale di 42 corsi, tra i quali sedici a carattere civilistico e diciannove sul versante penalistico. Tra i primi venivano analizzati i rapporti patrimoniali all’interno della famiglia legittima tra legge ed autonomia privata, la materia del diritto industriale, mentre due corsi venivano dedicati al diritto del lavoro ed altri al diritto minorile ed al diritto internazionale privato. In ambito penalistico la rivoluzione sistematica in materia di reati contro la libertà sessuale trovava immediato recepimento in un apposito incontro, così come il diritto penale emergente o le riflessioni su una normativa ambientale da poco modificata (ma oggetto poi di ulteriori e radicali interventi), e ciò accanto al naturale sviluppo di argomenti “classici” del mondo sostanziale e processuale. Il primo dato dal quale emerge la progressiva crescita della formazione è l’incremento dei soggetti partecipanti, che da 20963 nel 1994 saliva a 2412 nel 1995 ed a 2550 nel 1996, per poi raggiungere a fine quadriennio 97/2000 il significativo risultato di 3427 ammessi, ed all’interno dei quali va sottolineata la crescita di coloro che hanno ri- 3 Crescita che appare ancor più significativa se solo raffrontata con le 1240 partecipazioni del 1993 e le 539 del 1992. 83 chiesto di entrare tra i soggetti destinatari di una offerta formativa, passati dai 3731 del 1997 ai 4897 del 1999, per poi fissarsi a 4628 nel 2000. In proposito va analizzato il problema della mancata richiesta di partecipazione da parte di colleghi che la pur diversificata offerta formativa non ha determinato alla proposizione di una domanda. Si tratta di un profilo non considerato nella precedente analoga relazione del 1995 cui si è fatto cenno. Dato che risulta particolarmente significativo per orientare la politica consiliare in materia di formazione, fondata sulla iniziativa del singolo magistrato e che può legittimamente ascriversi a più ragioni, tra le quali assumono particolare rilievo l’assenza di bisogno formativo (recte la mancata consapevolezza di un bisogno formativo), una offerta formativa non rispondente al bisogno formativo, una offerta formativa corrispondente al bisogno formativo, ma inadeguata sul piano qualitativo (per ragioni di metodo o di contenuto), impossibilità di partecipazione per inconciliabilità delle date previste con esigenze di ufficio e/o personali, altre cause (tra le quali incide la calendarizzazione in prossimità del periodo feriale o delle festività natalizie). In proposito il monitoraggio sulle domande di formazione disposto dalla IX Commissione sarà strumento utile per la individuazione non solo in astratto delle cause della mancata partecipazione; che comunque si presenta come fenomeno in diminuzione fissato da ultimo in una percentuale inferiore al 40% (ma pure sempre troppo elevata) rispetto al 54% di inizio quadriennio. 2.C. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base soggettiva. Per una migliore comprensione dei dati statistici va evidenziato che l’individuazione delle voci di rilevamento è stata elaborata nel luglio 2000, su proposta della IX Commissione, all’epoca presieduta dal Cons. Ippolisto Parziale. I dati statistici elaborati per gli incontri di studio effettuati nel triennio 1997-2000 consentono una esauriente valutazione dell’andamento del settore della formazione nell’arco temporale considerato, con particolare riferimento alla corrispondenza della domanda rispetto all’offerta formativa, all’effettiva partecipazione ai corsi, alla mancata partecipazione successiva all’ammissione, alla mancata domanda di partecipazione, elementi utili per una proficua successiva programmazione della formazione nel triennio successivo. 84 Sono stati analizzati: 1. l’offerta e la domanda di partecipazione e i relativi dati gestionali; 2. l’effettiva partecipazione; 3. la mancata partecipazione, una volta disposta l’ammissione (le cosiddette rinunce); 4. la mancata domanda di partecipazione. Le elaborazioni sono state effettuate, facendo riferimento sia per la scadenza delle domande pervenute che per la quantificazione di magistrati in servizio alle seguenti date: anno 1997: 16 novembre 1996; anno 1998: 31 ottobre 1997; anno 1999: 28 novembre 1998, anno 2000, 30 novembre 1999. Per ciascun anno sono stati oggetto di rilevamento: 1. domande di partecipazione pervenute per tutti gli “Incontri di Studio” comprensivi anche dei corsi “fuori sacco”, definiti come tali i corsi che sono stati organizzati nel corso dell’anno e inizialmente non previsti; 2. magistrati in servizio (in ruolo e fuori ruolo). Significativa appare l’analisi dei flussi di partecipazione con riferimento alla distinzione dei partecipanti per funzioni, età, qualifiche, sesso e aree geografiche in quanto consentono una valutazione percentuale, in relazione alle varie tipologie di riferimento, dell’interesse dei magistrati per la formazione professionale. Domande di partecipazione. Dal prospetto allegato emerge un progressivo aumento delle domande di partecipazione (n. 15.171 per il 1997, n. 16351 per il 1998, n. 16.430 per il 1999 e n. 18.355 per il 2000), con un significativo aumento nel settore civile per il 1998 (n. 5.998 domande) e nel settore penale per il 2000 (n. 8.732 domande). Il maggior interesse, deducibile dal flusso della domande, si registra nei settori del civile del penale e dell’interdisciplinare a cui spetta la più alta media di incontri. 85 86 DOMANDE Anno CIVILE 1997 1998 1999 2000 5.020 5.998 5.567 3.464 COMUNITARIO 1998 1999 2000 15 20 18 12 4 311 1 ECON 574 287 361 INTERDISCIPLINARE 110 3.333 LAVORO 3 1 3 4.634 1 12 332 MINORENNI 134 16 8.732 PENALE 8.519 8.176 7.090 PROMISCUO 1.345 1.505 306 15.171 16.351 16.430 Totale complessivo 1997 493 COSTITUZIONALE ORDINAMENTO GIUDIZIARIO N° INCONTRI 18.355 14 1 2 1 20 19 21 13 6 4 1 41 49 46 56 Anno CIVILE Media Incontri 1997 1998 1999 2000 334,7 299,9 309,3 288,7 COMUNITARIO 123,3 COSTITUZIONALE ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 311,0 287,0 120,3 INTERDISCIPLINARE 277,8 331,0 67,0 16,0 331,0 LAVORO MINORENNI PENALE 448,4 389,3 545,4 PROMISCUO 224,2 376,3 306,0 Totale complessivo 370,0 333,7 357,2 327,8 Corsi suddivisi per qualifica e sesso dei richiedenti. Va segnalato il costante aumento di richiesta formativa da parte dei dirigenti, rilevandosi un incremento costante di richieste di partecipazione da parte dei magistrati di cassazione idonei ad ulteriore valutazione fds (n. 582 per il 1997, n. 790 per il 1998, n. 1037 per il 1999, n. 1229 per il 2000). Nell’ambito di tale qualifica è in costante aumento anche le richieste delle donne, il cui numero complessivo è notevolmente inferiore a quello degli uomini, per cui, in percentuale, le richieste sono quasi pari a quelle degli uomini (n. 5 per il 1997, n. 41 per il 1998, n. 74 per il 1999, n.114 per il 2000). In termini numerici il maggior numero di richieste si registra tra i magistrati di tribunale, categoria anche percentualmente più numerosa rispetto alle altre ed ove, anche per la minore esperienza professionale, maggiore è l’esigenza formativa. In tale categoria, considerata la percentuale di uomini e donne, sostanzialmente paritaria è la richiesta di partecipazione tra i due sessi. Va anche evidenziata la maggiore richieste delle donne, percentualmente in leggera maggioranza rispetto agli uomini, tra gli uditori giudiziari. 87 88 CORSI RICHIESTI PER IL 1997 Conteggio di CORSO SESSO F DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) 5 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 952 3993 40 216 418 5624 M 577 21 1674 4740 877 1155 503 9547 Totale complessivo 582 21 2626 8733 917 1371 921 15171 CORSI RICHIESTI PER IL 1998 Conteggio di CORSO SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) F 41 M 749 Totale complessivo 790 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 919 4205 46 371 637 6219 16 1500 4989 797 1472 609 10132 16 2419 9194 843 1843 1246 16351 CORSI RICHIESTI PER IL 1999 Conteggio di CORSO SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) F 74 M 963 1037 Totale complessivo Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 709 4457 45 686 469 6440 8 1167 4917 782 1728 425 9990 8 1876 9374 827 2414 894 16430 CORSI RICHIESTI PER IL 2000 Conteggio di CORSO SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) 89 F 114 M 1115 Totale complessivo 1229 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 1317 4819 33 551 670 7504 7 1868 5361 686 1321 493 10851 7 3185 10186 719 1872 1163 18361 Domande suddivise per qualifica e sesso dei richiedenti. Percentualmente si registra lo stesso “trend” già rilevato per le richieste di partecipazione, avendo la maggior parte degli aspiranti chiesto di partecipare al numero massimo previsto di corsi (5 nel 1997 e 4 negli anni successivi, per ciascun richiedente). Il numero maggiore di domande, superiore al 50% delle domande complessive, si registra tra i magistrati di tribunale, ove è sostanzialmente paritaria la percentuale maschile e femminile. In costante aumento sono le domande dei cd direttivi per gli anni 1997-1999 (magistrati di cassazione idonei alla ulteriore valutazione fds) (n. 157 per il 1997, n. 258 per il 1998, n. 376 per il 1999), stabilizzatesi nel 2000 (n. 312). L’andamento delle domande degli uditori giudiziari è condizionata dai tempi di immissione in possesso, diversi nei vari periodi considerati. 90 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1997 Conteggio di MATRICOLA SESSO F DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) 2 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 240 948 14 54 113 1371 M 155 12 413 1099 222 324 135 2360 Totale complessivo 157 12 653 2047 236 378 248 3731 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1998 Conteggio di MATRICOLA SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) 91 F 11 M 247 Totale complessivo 258 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 269 1153 16 114 162 1725 6 439 1297 259 446 155 2849 6 708 2450 275 560 317 4574 92 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1999 Conteggio di MATRICOLA SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) F 22 M 354 Totale complessivo 376 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 288 1270 15 132 142 1869 3 474 1357 281 429 130 3028 3 762 2627 296 561 272 4897 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 2000 Conteggio di MATRICOLA SESSO DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne fds (pre 7.5.82) F 24 M 288 Totale complessivo 312 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 339 1218 11 152 130 1874 3 502 1261 199 396 104 2753 3 841 2479 210 548 234 4627 Domande suddivise per fasce di età e qualifiche dei richiedenti. Il maggior numero di domande proviene dalle prime due fasce di età (fino a 35 anni e da 35 a 46 anni) e, in termini assoluti, proviene dai magistrati delle prime due fasce di età, percentualmente più numerosi rispetto alle altre fasce. In costante aumento le domande dei magistrati delle fasce più alte, peraltro percentualmente meno numerosi, passate da n. 157 nel 1997 a n. 312 nel 2000, indice di sempre maggiore attenzione, anche tra i direttivi, alle esigenze formative. 93 94 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1997 Conteggio di MATRICOLA FASCE D’ETA’ DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne (pre 7.5.82) Mag. di corte d’appello FINO A 35 Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 1285 DA 36 A 45 485 752 163 10 DA 46 A 55 26 OLTRE 56 131 12 5 Totale complessivo 157 12 653 4 2047 239 1524 9 1250 60 317 576 176 57 381 236 378 248 3731 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1998 Conteggio di MATRICOLA FASCE D’ETA’ DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne (pre 7.5.82) Mag. di corte d’appello FINO A 35 Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 1422 DA 36 A 45 561 1020 143 8 DA 46 A 55 47 OLTRE 56 211 6 4 Totale complessivo 258 6 708 2450 37 306 1728 11 1629 28 458 684 247 65 533 275 560 317 4574 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 1999 Conteggio di MATRICOLA FASCE D’ETA’ DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne (pre 7.5.82) Mag. di corte d’appello DA 26 A 35 Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 1444 DA 36 A 45 592 1172 168 11 DA 46 A 55 82 OLTRE 56 294 3 2 Totale complessivo 376 3 762 33 2627 256 1700 16 1813 13 480 754 283 48 630 296 561 272 4897 DOMANDE EFFETTUATE PER CORSI ANNO 2000 Conteggio di MATRICOLA FASCE D’ETA’ FINO A 35 DESCRIZ. Mag. cass. Mag. idoneo cassaz. ulteriore idoneo fds val.ne (pre 7.5.82) 1 DA 36 A 45 Mag. di corte d’appello Mag. di tribunale Mag. idoneo ulteriore val.ne alle f.d.s. Mag. Uditore Totale idoneo giudiziario complessivo ulteriore val.ne cassazione 1 1324 691 1136 1 31 147 17 2 482 722 486 95 DA 46 A 55 74 OLTRE 56 237 3 2 2 207 35 Totale complessivo 312 3 841 2480 210 548 223 1549 11 1870 234 4628 Rapporto tra richieste di partecipazione e aspiranti. Le richieste totali di partecipazione vanno correlate al numero degli aspiranti in quanto ciascun aspirante poteva presentare un massimo di 5 domande nel 1997 e solo 4 negli anni successivi. Va segnalato, in particolare, il costante aumento degli aspiranti, con una sola diminuzione, peraltro di lieve entità, nel solo anno 2000, rispetto al 1999 (n. 3731 nel 1997, n. 4.574 nel 1998, n. 4897 nel 1999, n. 4.627 nel 2000, con un incremento percentuale, rispetto al 1997, del 22,59% nel 1998, del 31,25% nel 1999 e del 24% nel 2000, anno in cui si registra una lieve flessione quanto agli aspiranti ma con maggior numero di domande rispetto al triennio precedente. Per le motivazioni già evidenziate (possibilità di presentazione di domande plurime da parte di ciascun aspirante) l’incremento percentuale delle domande è stato più contenuto nel triennio 97-99 (7,78% per il 1997 e 8,30% per il 1999), mentre risulta più accentuato nel 2000 (+20,99%). 1997 1998 1999 2000 41 49 46 56 N. totale domande 15.171 16.351 16.430 18.355 N. totale aspiranti 3.731 4.574 4.897 4.627 4,1 3,6 3,4 3,9 N. totale incontri Media domande per aspirante Tabella relativa all’incremento percentuale delle domande e degli aspiranti 1997 1998 1999 2000 Domande 100 + 7,78% + 8,30% +20,99% Aspiranti 100 + 22,59% + 31,25% +24% Partecipazioni effettive. Una percentuale considerevole di aspiranti, circa 1/3, non è stata ammessa ai corsi richiesti per l’elevato numero di domande rispetto ai posti disponibili. Vi sono, infatti, corsi molto richiesti ed altri con domande insufficienti a coprire tutti i posti. 96 Ciò ha reso opportuno individuare delle apposite “griglie” che agevolino l’ammissione dei magistrati che negli ultimi due anni non hanno partecipato ad alcun corso, attribuendo loro priorita’ assoluta al corso indicato come prima preferenza nell’ambito della categoria di appartenenza ove sono previste quote di partecipazione. Ciò ha, tuttavia, condizionato la partecipazione effettiva dei magistrati, molti dei quali anche appartenenti alle fasce di età più alte, ed alle qualifiche direttive, che sono stati esclusi dalla partecipazione ai corsi in base ai criteri predeterminati delle “griglie” di ammissione, specificati nel capitolo precedente. È stato, inoltre, previsto, per l’anno 2000, per agevolare la maggiore partecipazione di aspiranti, che le quote riservate agli uditori giudiziari in alcuni incontri non operino in diminuzione dei posti disponibili, con aumento, invece, dei relativi posti, previa diminuzione di quelli derivanti dalle eventuali revoche da parte dei magistrati. Ha, inoltre, influito sulla mancata partecipazione la distribuzione dei posti disponibili in percentuale rispetto all’organico di ciascun distretto, criterio che corrisponde a valutazioni di equità ma che ha ristretto la partecipazione degli aspiranti dei distretti più piccoli. 1997 1998 1999 2000 Totale aspiranti 3.731 4.574 4.897 4.627 Totale partecipanti 2.290 3.086 3.294 3.177 Differenza 1.441 1.488 1.603 1.450 38,62% 32,53% 32,73% 31.3 1997 1998 1999 2000 Totale partecipazioni 2.659 3.740 3.996 3.936 Totale partecipanti 2.290 3.086 3.294 3.177 % di aspirazioni rimaste insoddisfatte Partecipazioni effettive La diversità tra il totale delle partecipazioni ed il totale dei partecipanti è costituito dalle partecipazioni plurime, relative agli aspiranti che partecipano a più di un incontro di studi e che risulta in aumento, passando da 369 nel 1997, a 654 nel 1988 a 702 nel 1999 ed a 759 nel 2000. Tale fenomeno è riferibile, prevalentemente, alla distribuzione del numero di domande per corso, in quanto vi sono corsi per i quali il nu- 97 mero delle domande è inferiore al numero dei posti disponibili e risultano ammessi tutti gli aspiranti anche se partecipanti ad altri corsi. In misura inferiore è attribuibile ai parametri predeterminati per l’ammissione di ciascun partecipante allo specifico corso che tengono conto degli obiettivi didattici fissati dal Comitato scientifico, delle condizioni soggettive dell’aspirante, della quota di partecipazione attribuita al distretto cui appartiene ed è, quindi, correlata alla percentuale di domande complessive provenienti dal medesimo distretto. Nel periodo 1991-1999, la percentuale dei magistrati che hanno partecipato a più di tre corsi è trascurabile (solo lo 0,6%). La percentuale di partecipazione a tre incontri è inferiore al 2%, mentre aumenta considerevolmente il tasso di partecipazione a due incontri (14,47%). Nel triennio 1997-1999 la percentuale dei partecipanti a due incontri per anno è, sia pure in misura non rilevante, progressivamente aumentata, passando dal 13,14 per il 1997, al 16,42 per il 1998, al 17,42 per il 1999. DATI 1991 - 2000 PARTECIPAZIONI SINGOLE E PLURIME PER ANNO NUMERO DI PARTECIPAZIONI 1 2 3 4 5 6 Totale 91 856 55 6 0 0 0 917 92 536 3 0 0 0 0 539 93 1116 113 10 1 0 0 1240 94 1745 306 40 5 0 0 2096 \95 1901 429 68 14 0 0 2412 96 2059 371 61 6 2 1 2500 97 1956 301 31 2 0 0 2290 98 2506 507 71 3 0 0 3087 99 2660 574 56 4 1 0 3295 2000 2848 496 77 6 0 0 3427 18183 3.155 420 41 3 1 21803 Totale 98 segue DATI 1991-2000 PARTECIPAZIONI SINGOLE E PLURIME PER ANNO raffronto anni 97 – 2000 - valori assoluti 97 1956 301 31 2 0 0 2290 98 2506 507 71 3 0 0 3087 99 2660 574 56 4 1 0 3295 2000 2848 496 77 6 0 0 3427 Totale 9970 1878 235 15 1 0 12099 raffronto anni 97 – 2000 - in percentuale 97 85,41% 13,14% 1,35% 0,09% 0,00% 0,00% 98 81,18% 16,42% 2,30% 0,10% 0,00% 0,00% 99 80,73% 17,42% 1,70% 0,12% 0,03% 0,00% 2000 83,10% 14,47% 2,25% 0,18% 0,00% 0,00% Totale 82,40% 15,52% 1,94% 0,12% 0,01% 0,00% Rapporto tra posti disponibili e partecipazioni. Rinunce. A fronte della mancata soddisfazione percentuale dell’attesa di partecipazione si registra un tasso ancora considerevole di mancata partecipazione sceso progressivamente dal 35,15 del 1997, al 23,67 del 1998, al 13,13 del 1999, ma salito in percentuale nell’anno 2000 (38,2). In particolare va segnalato il fenomeno relativo al 1997, in cui 1441 posti su 4.100 disponibili sono rimasti scoperti. Il numero delle rinunce è progressivamente aumentato passando da 786 nel 1997, a 1.111 nel 1998, a 1215 nel 1999 ed a 2.137 nel 2000. Le rinunce giustificate sono state 661 nel 1998, 1006 nel 1999, 873 nel 2000. I dati sopra evidenziati inducono ad alcune riflessioni sulle cause di detto fenomeno. Essendo le ammissioni deliberate in un’unica soluzione, con cadenza annuale, esigenze sopravvenute riconducibili sia a motivi d’Ufficio, sia a situazioni familiari e personali, non consentono l’effettiva partecipazione ai corsi di tutti gli ammessi. La mancata partecipazione per ragioni di famiglia è stata rilevata 99 dal 20 ottobre 2000, mentre per il periodo precedente tale voce non è stata oggetto di valutazione statistica ed i relativi dati non sono stati estrapolati e fatti oggetto di rilevamento. Le revoche per maternità o per esigenze di figli di età minore, fino a 8 anni di età, pur non essendo, percentualmente, elevate (intorno al 5%), hanno, tuttavia, indotto il Consiglio a mettere a disposizione, in via sperimentale, ed in aggiunta ai magistrati ammessi in via ordinaria, per ciascun incontro di studio, 5 posti destinati al recupero delle mancate partecipazioni o mancate richieste di partecipazione, riconducibili alle cause di astensione obbligatoria e/o facoltativa per maternità e di congedo parentale. Gli effetti conseguenti alla mancata copertura dei posti, appaiono evidenti sia sotto il profilo dei risultati dell’intervento formativo che sul piano economico per il pagamento delle prestazioni alberghiere non erogate. Si è parzialmente ovviato a tele inconveniente, sia ammettendo ai corsi un numero superiore di aspiranti (generalmente 120) rispetto ai posti disponibili (generalmente 100), tenendo conto della percentuale presumibile di rinunce (circa 20), sia predisponendo un elenco di disponibili, in base all’ordine di graduatoria elaborato in base alle griglie di ammissione, da ammettere in sostituzione dei rinuncianti, ove il loro numero dovesse superare la maggiorazione del numero di ammessi. Inoltre è stata introdotto un sistema di verifiche della mancata partecipazione con conseguenze negative per l’aspirante nel caso di non giustificata mancata partecipazione al corso. Sono anche allo studio misure idonee a consentire il recupero da parte del Consiglio di parte delle somme eventualmente erogate alle strutture alberghiere. 100 Rapporto tra posti disponibili e partecipazioni 1997 1998 1999 2000 N. totale incontri 41 49 46 56 Posti disponibili (n. incontri * 100) 4.100 4.900 4.600 5600 Totale partecipazioni 2.659 3.740 3.996 3.936 Posti non coperti 1.441 1.160 604 401 35,15% 23,67% 13,13% 10,21% 1997 1998 1999 2000 692 333 28 5 8 37 3 5 % posti non coperti su disponibili Rinunce Tipologia di rinunce considerate Revoca Ammissione Revoca domanda Revoca d’ufficio 2 Revoca Malattia Familiari 3 Revoca giustificata 661 Revoca ingiustificata 24 2 1006 873 28 Revoca lista d’attesa 742 Revoca partecipazione obbligatoria 18 2 Rinuncia partecipazione a Incontro 47 50 12 1 Rinuncia nei termini 1 0 164 481 Revoca ammissione obbligatoria uditori 20 1 Revoca per maternità N° totale delle rinunce 22 786 1.111 1.215 2.137 % Rinunce su posti non coperti 54,55% 95,78% 201,16% n.d. % Rinunce su posti disponibili 19,17% 22,67% 26,41% 38,2 101 Analisi delle domande di partecipazione. Le domande di valutazioni sono state suddivise per qualifiche, per età, per sesso, con suddivisione in assoluto e in valori percentuali. Per qualifica. La qualifica presa in esame è quella posseduta dagli aspiranti al momento di scadenza della data di presentazione della domanda. Nel quadriennio considerato (1997-2000) risulta un progressivo aumento delle domande in quasi tutte le qualifiche, con sporadiche eccezioni, peraltro percentualmente poco rilevanti. Il numero maggiore di domande (in media circa il 56%) riguarda i giudici di Tribunale. Il decremento delle domande dei giudici di Tribunale nel 2000, peraltro contenuto, va collegato alla sia al minor afflusso degli stessi rispetto agli anni precedenti, sia ai diversi tempi di immissione in possesso degli uditori. Va segnalata l’aumentata richiesta di formazione da parte dei dirigenti, appartenenti alle diverse qualifiche. 102 ANALISI DELLE DOMANDE Qualifica N° DOMANDE VALORI PERCENTUALI 1997 1998 1999 2000 Fds 1.497 1.630 1.859 1.812 Cassazione 1.502 1.537 1.779 Appello 2.523 2.737 Tribunale 8.728 Uditore Totale complessivo 1997 1998 1999 2000 9,9% 10,0% 11,3% 9,9 1.991 9,9% 9,4% 10,8% 10,8 2.514 3.169 16,6% 16,7% 15,3% 17,3 9.196 9.348 10.135 57,5% 56,2% 56,9% 55,2 921 1.251 930 1.248 6,1% 7,7% 5,7% 6,8 15.171 16.351 16.430 18.355 100,0% 100,0% 100,0% 100% 103 Per età e sesso. La distribuzione delle domande per età e sesso conferma il dato relativo alla maggiore partecipazione percentuale dei magistrati di tribunale; infatti la maggiore percentuale di partecipanti si registra nella fascia di età fino a 35 anni (anni 1997 e 1998), e da 36 a 45 anni (anni 1999 e 2000). La percentuale di partecipanti con oltre 56 anni è più ridotta rispetto a quella delle prime due fasce anche in ragione del minor numero di magistrati appartenenti alle qualifiche superiori. Occorre, inoltre, leggere con la dovuta attenzione il dato relativo alla partecipazione femminile, influenzato dal fatto che le donne sono entrate in magistratura dal 1963 e, pertanto, la loro percentuale di presenza, nelle fasce di età più elevate, è nettamente inferiore a quella dei magistrati uomini. Così, relativamente alla qualifica di magistrati di Cassazione idonei alle funzioni direttive superiori il numero delle donne attualmente in servizio è di sole 77 unità a fronte delle 1055 unità maschili. In tale fascia la maggiore concentrazione femminile spetta al distretto di Milano con 21 unità (a fronte di 74 uomini). Tra i magistrati di Corte d’Appello la presenza femminile (648) pur sempre ridotta rispetto a quella maschile (940), aumenta percentualmente rispetto alla qualifica superiore. La presenza femminile è, invece, percentualmente superiore tra i magistrati di tribunale (1601 donne a fronte di 1521 uomini). Tenendo conto di tali dati,la partecipazione femminile relativa alle qualifiche direttive non appare inferiore a quella degli uomini. Il prospetto riepilogativo della presenza femminile e maschile, utile ai fini di una corretta lettura della domanda di partecipazione, suddiviso per distretti di Corte d’Appello è il seguente: 104 105 106 Appare anche utile, al fine di una corretta interpretazione delle percentuali di partecipazione ai corsi, aver presente la distribuzione dei magistrati, oltre che per sesso, anche per data di ingresso in magistratura: 107 * Tali dati risultano aggiornati dall’Ufficio statistica del C.S.M. dal 1985; è quindi, possibile che vi sia qualche non rilevante discrepanza con i dati aggiornati dal 1965. Va, segnalato che dal 1965 al 1978 la percentuale di donne che hanno superato il concorso è molto bassa, anche per la minore percentuale di partecipazione alle prove d’esame, raggiungendo il picco del 31% al concorso di cui al D.M. 27.6.1978 e solo negli anni successivi si è attestata su percentuali superiori, fino a raggiungere il 57%, superando così la percentuale maschile, nel 1997. Tali dati hanno influenzato la partecipazione ai corsi, riscontrandosi una maggiore partecipazione delle donne nella classe di età fino a 35 anni, negli anni 1999 e 2000. 108 ANNO 1997 Età in classi F M ANNO 1998 Totale F M Totale Sino a 35 2.684 2.932 5.616 3.234 3.447 6.681 Da 36 a 45 2.439 3.160 5.599 2.470 3.340 5.810 Da 46 a 55 427 1.817 2.244 442 1.808 2.250 74 1.638 1.712 74 1.536 1.610 5.624 9.547 15.171 6.220 10.131 16.351 Oltre 56 Totale complessivo ANNO 1999 Età in classi F M ANNO 2000 Totale F M Totale Sino a 35 3.084 3.018 6.102 3.359 3.242 6.601 Da 36 a 45 2.668 3.548 6.216 3.269 4.169 7.438 Da 46 a 55 569 1.831 2.400 764 1.856 2.620 Oltre 56 119 1.593 1.712 111 1.585 1.696 6.440 9.990 16.430 7.503 10.852 18.355 Totale complessivo Valori percentuali Per età e per sesso ANNO 1997 Età in classi ANNO 1998 F M Totale complessivo F M Totale complessivo Sino a 35 48% 52% 100% 48% 52% 100% Da 36 a 45 44% 56% 100% 43% 57% 100% Da 46 a 55 19% 81% 100% 20% 80% 100% 4% 96% 100% 5% 95% 100% 37% 63% 100% 38% 62% 100% Oltre 56 Totale complessivo 109 Valori percentuali Per età e per sesso ANNO 1999 Età in classi ANNO 2000 F M Totale complessivo F M Totale complessivo Sino a 35 51% 49% 100% 51% 49% 100% Da 36 a 45 43% 57% 100% 44% 56% 100% Da 46 a 55 24% 76% 100% 29% 71% 100% 7% 93% 100% 7% 93% 100% 39% 61% 100% 41% 59% 100% Oltre 56 Totale complessivo ANNO 1997 Età in classi F M Sino a 35 48% 31% Da 36 a 45 43% Da 46 a 55 Oltre 56 Totale complessivo ANNO 1998 Totale F M 37% 52% 34% 41% 33% 37% 40% 33% 36% 8% 19% 15% 7% 18% 14% 1% 17% 11% 1% 15% 10% 100% 100% 100% 100% 100% 100% ANNO 1999 Età in classi F M Sino a 35 48% 30% Da 36 a 45 41% Da 46 a 55 Oltre 56 Totale complessivo 110 Totale ANNO 2000 Totale F M Totale 37% 45% 30% 36% 36% 38% 44% 38% 41% 9% 18% 15% 10% 17% 14% 2% 16% 10% 1% 15% 9% 100% 100% 100% 100% 100% 100% Domande con partecipazione effettiva. Trattasi dell’analisi della partecipazione effettiva per singolo magistrato, che va distinta dalla effettiva partecipazione ai singoli corsi in cui possono esservi partecipazioni plurime dello stesso magistrato ammesso a due o più incontri. In termini percentuali la maggiore partecipazione spetta ai magistrati di tribunale, anche perché percentualmente in numero maggiore,rispetto alle altre qualifiche (57,5% nel 1997, 51,4% nel 1998, 49,7% nel 1999, 52% nel 2000), mentre minore è la partecipazione dei magistrati di Cassazione e di quelli con funzioni direttive superiori. Domande concluse con partecipazione effettiva Qualifica 1997 1998 1999 Fds 294 414 Cassazione 294 Appello Tribunale Uditore Totale complessivo 2000 1997 1998 1999 2000 582 360 11,1% 11,1% 14,6% 9,1% 363 462 449 11,1% 492 620 583 637 18,5% 16,6% 14,6% 16,7% 1.528 1.924 1.986 2.048 57,5% 51,4% 49,7% 52,0% 51 419 383 422 2.659 3.740 3.996 3.936 9,7% 11,6% 11,4% 1,9% 11,2% 100% 100% 9,6% 10,7% 100% 100% 111 1997 Età in classi F 1998 M Totale F M Totale Sino a 35 402 447 849 741 794 1.535 Da 36 a 45 440 581 1.021 543 715 1.258 Da 46 a 55 94 381 475 104 435 539 Oltre 56 12 302 314 18 390 408 948 1.711 2.659 1.406 2.334 3.740 Totale complessivo 1999 Età in classi F 2000 M Totale F M Totale Sino a 35 703 725 1.428 722 746 1.468 Da 36 a 45 585 832 1.417 658 881 1.539 Da 46 a 55 136 466 602 170 421 591 30 519 549 18 320 338 1.454 2.542 3.996 1.568 2.368 3.936 Oltre 56 Totale complessivo Per età e per sesso, valori percentuali 1997 Età in classi F M 1998 Totale F M Totale Sino a 35 47,3% 52,7% 100,0% 48,3% 51,7% 100,0% Da 36 a 45 43,1% 56,9% 100,0% 43,2% 56,8% 100,0% Da 46 a 55 19,8% 80,2% 100,0% 19,3% 80,7% 100,0% 3,8% 96,2% 100,0% 4,4% 95,6% 100,0% 35,7% 64,3% 100,0% 37,6% 62,4% 100,0% Oltre 56 Totale complessivo 112 Per età e per sesso, valori percentuali 1999 Età in classi F 2000 M Totale F M Totale Sino a 35 49,2% 50,8% 100,0% 49,2% 50,8% 100,0% Da 36 a 45 41,3% 58,7% 100,0% 42,8 57,2% 100,0% Da 46 a 55 22,6% 77,4% 100,0% 28,8 71,2% 100,0% 5,5% 94,5% 100,0% 5,3 94,7% 100,0% 36,4% 63,6% 100,0% 39,8% 60,2%% 100,0% Oltre 56 Totale complessivo Per età e per sesso, valori percentuali 1997 Età in classi F M 1998 Totale F M Totale Sino a 35 42,4% 26,1% 31,9% 52,7% 34,0% 41,0% Da 36 a 45 46,4% 34,0% 38,4% 38,6% 30,6% 33,6% Da 46 a 55 9,9% 22,3% 17,9% 7,4% 18,6% 14,4% Oltre 56 1,3% 17,7% 11,8% 1,3% 16,7% 10,9% 100% 100% 100% 100% 100% 100% Totale complessivo Per età e per sesso, valori percentuali 1999 Età in classi F M 2000 Totale F M Totale Sino a 35 48,3% 28,5% 35,7% 46,0% 31,5% 37,3% Da 36 a 45 40,2% 32,7% 35,5% 42,0% 37,2% 39,1% Da 46 a 55 9,4% 18,3% 15,1% 10,8% 17,8% 15,0% Oltre 56 2,1% 20,4% 13,7% 1,1% 13,5% 8,6% 100% 100% 100% 100% 100% 100% Totale complessivo 113 Mancata richiesta di partecipazione. Tale analisi consente di evidenziare la mancanza di interesse alle iniziative formative o le difficoltà di conciliare il momento formativo con altre esigenze, anche connesse allo spostamento dal luogo di residenza alla sede del corso. Non sembra che la mancata richiesta di partecipazione possa essere posta in relazione con il numero di posti disponibili, nell’arco temporale di riferimento (circa 5.600), a fronte di un numero di magistrati superiore a 8.000 unità. Non appare, pertanto, utile, al riguardo, aumentare l’offerta formativa. Le cause della mancata richiesta di partecipazione possono essere così distinte: 1 assenza di bisogno formativo 2 offerta formativa non corrispondente al bisogno formativo 3 offerta formativa corrispondente al bisogno formativo, ma inadeguata sul piano 4 qualitativo (per metodo e/o per contenuti); 5 impossibilità di partecipazione per inconciliabilità delle date previste con: esigenze personali e familiari 6 esigenze di ufficio 7 altre cause: 7 a) incidenza negativa dei tempi totali di viaggio; 7 b) durata eccessiva del corso 7 c) collocamento del corso nei fine settimana con impegno di lavoro anche in giorni non lavorativi 7 d) calendarizzazione del corso in prossimità del periodo feriale (subito prima o subito dopo) 7 e) calendarizzazione del corso in prossimità delle festività natalizie e pasquali 8 impegni familiari in presenza di figli a. con età fino a 3 anni b. con età > a 3 anni e fino a 8 c. con età superiore a 8 anni 9 impegni personali in presenza di familiari con situazione di salute significativamente apprezzabili. Nel quadriennio di riferimento la maggiore percentuale della mancata richiesta di partecipazione, in relazione alle funzioni effettivamente esercitate spetta ai Consiglieri della Corte di Cassazione con 114 percentuali del 92,3% per il 1997, del 90,4% per il 1998 e del 88,8% per il 1999. La minore percentuale e, quindi, la maggiore domanda di partecipazione, spetta ai giudici ed ai sostituti procuratori della Repubblica, con percentuali inferiori, rispettivamente, nel biennio 1998, 1999, al 31% e 36%. Tuttavia la percentuale dei magistrati che non hanno avanzato alcuna domanda di partecipazione, in progressiva diminuzione nel triennio 1997-1999, essendo variata dal 54% nel 1997, al 41% nel 1999, pur con un incremento dei magistrati in servizio di 126 unità rispetto al 1997, ed è, invece, aumentata nel 2000, raggiungendo la percentuale complessiva del 48,2%. Altro elemento da tenere presente è che la domanda dio partecipazione diminuisce con l’aumentare dell’età. Oltre il 50% è la mancanza di richieste da parte dei semidirettivi e del 66% è la percentuale di mancanza di domande dei Presidenti delle sezioni lavoro. Maggiore è, invece, la richiesta da parte dei dirigenti degli Uffici con una percentuale di mancanza di domande del 27,6% nel 1999. L’aumentata richiesta di formazione da parte dei dirigenti, rispetto ai colleghi con pari qualifica, va correlata con la sempre maggiore esigenza di professionalità, anche manageriale, dei capi degli Uffici Vi è un “trend” discendente di mancanza di richieste per le donne (31,3% nel 1999), e per gli uomini (46,1%), nel triennio 1997-1999, è, invece, aumentata per le donne, fino a raggiungere il 34,9% della percentuale di mancanza di richiesta complessiva,con un indice di mancanza di richiesta del 85,4% nella fascia di età da 36 a 45 anni. 115 ANALISI DELLA MANCATA RICHIESTA DI PARTECIPAZIONE Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze ANNO 1997 Età in classi In Non carriera richiedenti al 16/11/1996 ANNO 1998 % In Non carriera richiedenti al 31/10/1997 % Sino a 35 2.497 978 39% 2.362 630 27% Da 36 a 45 2.396 1.134 47% 2.582 954 37% Da 46 a 55 1.586 1.019 64% 1.500 818 55% Oltre 56 1.979 1.596 81% 1.995 1.463 73% Totale complessivo 8.458 4.727 56% 8.439 3.865 46% Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze ANNO 1999 Età in classi In Non carriera richiedenti al 28/11/1998 ANNO 2000 % In Non carriera richiedenti al 20/10/1999 % Sino a 35 2.541 838 2.904 847 29,2% Da 36 a 45 2.706 889 1.570 1.029 65,5% Da 46 a 55 1.522 773 2.024 860 41,9% Oltre 56 2.044 1.416 2.402 1.567 65,2% Totale complessivo 8.813 3.916 8.930 4.303 48,2% 116 ANALISI DELLA MANCATA RICHIESTA DI PARTECIPAZIONE Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze ANNO 1997 Età in classi In carriera al 16/11/1996 Donne ANNO 1998 % In carriera al 31/10/1997 Donne % Sino a 35 2.497 548 22% 2.362 371 16% Da 36 a 45 2.396 454 19% 2.582 408 16% Da 46 a 55 1.586 155 10% 1.500 129 9% Oltre 56 1.979 48 2% 1.995 54 3% Totale complessivo 8.458 1.205 14% 8.439 962 11% Per età (fasce) e sesso rispetto alle presenze ANNO 1999 Età in classi In carriera al 28/11/1998 Donne ANNO 2000 % In carriera al 20/10/1999 Donne % Sino a 35 2.541 484 19% 2.904 1.292 44,5% Da 36 a 45 2.706 420 16% 1.570 1.340 85,4% Da 46 a 55 1.522 145 10% 2.054 366 17,8% Oltre 56 2.044 73 4% 2.402 122 5,1% Totale complessivo 8.813 1.122 13% 8.930 3.120 34,9% 117 Per funzioni* ANNO 1997 Funzione In Non carriera richiedenti al 16/11/1996 ANNO 1998 % In Non carriera richiedenti al 31/10/1997 % Consigliere di Corte di Appello 414 302 73% 384 269 70% Consigliere di Corte di Cassazione 100 93 93% 86 79 92% 1664 884 53% 1609 726 45% 90 37 41% 83 38 46% Magistrato di Sorveglianza 116 46 40% 106 29 27% Presidente Sezione di Tribunale 185 140 76% 166 100 60% 12 8 67% 11 7 64% 1796 866 48% 1880 733 39% Sostituto Procuratore della Repubblica 684 332 49% 654 270 41% Sostituto Procuratore della Repubblica c/o la Pretura 667 251 38% 724 193 27% Sostituto Procuratore Generale c/o Corte di Cassazione 27 24 89% 23 20 87% Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello 115 66 57% 110 62 56% Giudice Giudice Tribunale per i minorenni Presidente Sezione Lavoro Pretore 118 Per funzioni* ANNO 1999 Funzione Consigliere di Corte di Appello In Non carriera richiedenti al 28/11/1998 % 361 239 66% 75 69 92% 1552 716 46% 81 27 33% Magistrato di Sorveglianza 5 3 60% Presidente Sezione di Tribunale 16 16 100% Presidente Sezione Lavoro 3 3 100% Pretore 6 5 83% Sostituto Procuratore della Repubblica 5 4 80% Sostituto Procuratore della Repubblica c/o la Pretura 631 255 40% Sostituto Procuratore Generale c/o Corte di Cassazione 786 191 24% Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Appello 20 15 75% Consigliere di Corte di Cassazione Giudice Giudice Tribunale per i minorenni * Non sono ancora disponibili i dati relativi al 2000. 119 b) Per funzioni direttive, semidirettive e altro* ANNO 1997 Macro funzione Funzioni Dir. Superiori In Non carriera richiedenti al 16/11/1996 ANNO 1998 % In Non carriera richiedenti al 31/10/1997 % 79 72 91% 60 57 95% Funzioni direttive 203 159 78% 164 109 66% Funzioni Semi-Dir. 328 263 80% 261 174 67% Altro 7848 4233 54% 7954 3525 44% Totale complessivo 8458 4727 56% 8439 3865 46% b) Per funzioni direttive, semidirettive e altro* ANNO 1999 Macro funzione Funzioni Dir. Superiori In Non carriera richiedenti al 28/11/1998 ANNO 2000 % In Non carriera richiedenti al 21/10/1999 % 49 45 92% 97 76 78,4% Funzioni direttive 135 69 51% 404 279 69,1% Funzioni Semi-Dir. 223 125 56% 620 404 65,2% Altro 8406 3677 44% 7.809 3.544 45,4% Totale complessivo 8813 3916 44% 8.930 4.303 48,2% 120 Per qualifiche ANNO 1997 Qualifiche In Non carriera richiedenti al 16/11/1996 ANNO 1998 % In Non carriera richiedenti al 31/10/1997 % Funzioni direttive superiori 2005 1605 80% 1975 1441 73% Magistrato di cassazione 1119 736 66% 1110 641 58% Magistrato di appello 1473 821 56% 1440 637 44% Magistrato tribunale 3292 1245 38% 3370 919 27%% 569 320 56% 544 227 42% 8458 4727 56% 8439 3865 46% Uditore Totale complessivo Per qualifiche ANNO 1999 Qualifiche In Non carriera richiedenti al 28/11/1998 ANNO 2000 % In Non carriera richiedenti al 21/10/1999 % Funzioni direttive superiori 2067 1396 68% 2.093 1.571 75,1% Magistrato di cassazione 1173 610 52% 1.270 722 56,9% Magistrato di appello 1304 543 42% 1.414 589 41,7% Magistrato tribunale 3472 854 25% 3.311 873 26,4% 797 513 64% 842 548 65,1% 8813 3916 44% 8.930 4.303 48,2% Uditore Totale complessivo 121 Partecipazione per territorio. La mancata richiesta di partecipazione si attesta, nel quadriennio 97-2000 sulla media del 47,8%. La maggiore domanda di partecipazione proviene proprio da distretti di Corte d’appello più piccoli e da parte dei magistrati più giovani, che hanno, quindi, una percentuale minore di mancata richiesta, quali Caltanissetta (32,95%), Reggio Calabria (35,8%), Potenza (38,1%), Catanzaro (35,8%). Tale dato va letto ed interpretato alla luce del maggior bisogno di formazione dei giovani magistrati, generalmente alle prime esperienze, percentualmente superiori in tali distretti, e con la necessità di superare i “gap” formativi rispetto ai colleghi che prestano servizio nei distretti più grandi, generalmente con maggiore anzianità di servizio e, quindi, di esperienza, ed ove è più agevole lo scambio culturale ed il confronto sulle varie tematiche. 122 Partecipazione per territorio (distretto) ANNO 1997 Distretto ANCONA BARI BOLOGNA BRESCIA CAGLIARI CALTANISSETTA CAMPOBASSO CATANIA CATANZARO FIRENZE GENOVA L'AQUILA LECCE MESSINA MILANO NAPOLI PALERMO PERUGIA POTENZA REGGIO CALABRIA ROMA SALERNO TORINO TRENTO TRIESTE VENEZIA Corte Suprema di Cassazione Ministero di Grazia e Giustizia Sez. distaccata BOLZANO Sez. distaccata SASSARI Sez. distaccata TARANTO Altro Totale complessivo Totale complessivo Non richiedenti 157 281 396 228 138 81 59 279 205 403 291 155 156 130 780 903 369 102 82 141 846 191 494 65 148 367 95 139 223 107 75 45 30 143 95 216 169 87 79 87 462 450 183 62 39 73 529 100 260 27 67 156 517 ANNO 1998 % Totale complessivo Non richiedenti % 60,5% 49,5% 56,3% 46,9% 54,3% 55,6% 50,8% 51,3% 46,3% 53,6% 58,1% 56,1% 50,6% 66,9% 59,2% 49,8% 49,6% 60,8% 47,6% 51,8% 62,5% 52,4% 52,6% 41,5% 45,3% 42,5% 151 276 382 229 136 91 56 294 223 389 281 152 157 132 774 904 393 99 86 153 845 191 504 66 145 361 76 99 182 91 53 27 23 120 89 177 134 75 57 72 381 336 161 50 25 53 447 89 207 17 40 146 50,3% 35,9% 47,6% 39,7% 39,0% 29,7% 41,1% 40,8% 39,9% 45,5% 47,7% 49,3% 36,3% 54,5% 49,2% 37,2% 41,0% 50,5% 29,1% 34,6% 52,9% 46,6% 41,1% 25,8% 27,6% 40,4% 440 85,1% 481 404 84,0% 208 126 60,6% 208 123 59,1% 57 30 52,6% 56 17 30,4% 89 43 48,3% 93 38 40,9% 86 54 40 50 46,5% 92,6% 89 42 18 38 20,2% 90,5% 8.458 4.727 55,9% 8.439 3.865 45,8% 123 Partecipazione per territorio (distretto) ANNO 1999 Distretto ANCONA BARI BOLOGNA BRESCIA CAGLIARI CALTANISSETTA CAMPOBASSO CATANIA CATANZARO FIRENZE GENOVA L'AQUILA LECCE MESSINA MILANO NAPOLI PALERMO PERUGIA POTENZA REGGIO CALABRIA ROMA SALERNO TORINO TRENTO TRIESTE VENEZIA Corte Suprema di Cassazione Ministero di Grazia e Giustizia Sez.distaccata BOLZANO Sez.distaccata SASSARI Sez.distaccata TARANTO Altro Totale complessivo 124 Totale complessivo Non richiedenti 140 274 372 223 134 97 55 295 238 370 272 152 154 135 770 867 409 89 93 162 809 194 505 63 148 338 62 92 157 76 47 24 19 104 64 163 110 61 58 58 318 302 116 39 33 39 434 78 194 20 44 107 451 ANNO 2000 % Totale complessivo Non richiedenti % 44,3% 33,6% 42,2% 34,1% 35,1% 24,7% 34,5% 35,3% 26,9% 44,1% 40,4% 40,1% 37,7% 43% 41,3% 34,8% 28,4% 43,8% 35,5% 24,1% 53,8 40,2% 38,4% 31,7% 29,7% 31,7% 152 295 405 235 145 106 56 325 254 417 294 163 158 146 799 989 416 95 94 179 979 202 525 64 153 360 71 110 194 100 54 23 20 138 77 210 164 83 62 67 397 414 142 52 38 59 635 94 263 20 58 142 46,7% 37,3% 47,9% 42,6% 37,2% 21,7% 35,7% 42,5% 30,3% 50,4% 55,8% 50,9% 39,2% 45,9% 49,7% 41,9% 34,1% 54,7% 40,4% 33% 64,9% 46,5% 50,1% 31,3% 37,9% 39,4% 378 83,8% 437 358 81,9% 192 109 56,8% 209 141 67,5% 55 16 29,1% 56 14 25% 84 28 33,3% 93 35 37,6% 96 37 28 36 29,2% 97,3% 92 37 32 36 34,8% 97,3% 8.273 3.415 41,3% 8930 4.303 48,2% 2.D. Il confronto con il triennio precedente sotto il profilo della partecipazione ai corsi. Variazione dei flussi di partecipazione. Non si è in possesso, per il triennio 1994-1996, di tutti i parametri di riferimento elaborati per il quadriennio successivo. Il confronto avverrà, quindi, con i dati omogenei dei quali si è ottenuta la disponibilità per ciascun periodo di riferimento. Il confronto con il triennio precedente appare utile al fine di verificare il mutamento dei flussi di partecipazione dei magistrati ai corsi di formazione, non solo in percentuale assoluta, ma anche con riferimento alle qualifiche, al sesso, al territorio Nel triennio 1994-1996 si segnala un progressivo aumento dei partecipanti, passati da 2096 nel 1994 a 2500 nel 1996, che poi, con la sola eccezione del 1997 (solo 2.290 partecipanti) è aumentato nel triennio successivo, raggiungendo, nel 2000 n. 3177 unità. Le partecipazioni plurime non subiscono, nei due periodo di riferimento, variazioni apprezzabili, anche se appaiono percentualmente maggiori quelle relative ad una sola partecipazione nell’ultimoquadriennio, con una punta massima dell’85,41% nel 1997, rispetto al massimo indice del 83,25 del 1994. In ciascuno dei periodi di riferimento, risultano inferiori all’1% le partecipazioni plurime superiori ai tre corsi annuali per magistrato. Numero di partecipazioni per magistrati Triennio 1994-1996 Anno 1 2 3 4 5 6 Totale 94 1745 306 40 5 0 0 2096 95 1901 429 68 14 0 0 2412 96 2059 371 61 6 2 1 2500 125 Anno 1998 (offerta formativa). dir. e proc minori dir. econ. giud. e soc 1 1 1 1 1 2 1 1 1 2 In termini percentuali: I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano: dir. e proc minori dir. econ. giud. e soc 685 161 365 607 311 996 300 161 365 907 dir. econ. giud. e soc 1 1 1 1 1 1 In termini percentuali: Anno 1999 (offerta formativa). dir. e proc minori 1 2 2 3 In termini percentuali: 143 I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano: dir. e proc minori 326 326 dir. econ. giud. e soc 278 155 532 372 250 476 1060 1003 dir. econ. giud. e soc In termini percentuali: Anno 2000 (offerta formativa). dir. e proc minori 1 1 1 1 2 1 1 1 1 1 7 144 1 3 In termini percentuali: I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano: dir. e proc 858 minori 420 478 dir. econ. giud. e soc 459 338 132 849 222 96 484 3119 420 797 In termini percentuali: 145 2.F. La valutazione statistica del gradimento per i corsi espresso su base oggettiva. L’esame delle schede di valutazione redatte dai partecipanti ai corsi conferma la sostanziale adesione dei destinatari alla proposta formativa del Consiglio, e quindi il gradimento per l’attività prestata in questi anni nel settore civile. La formulazione dei giudizi sui corsi e sulle singole questioni affidate ai relatori all’interno di ciascun corso, nonché la formulazione di proposte, di richieste e di suggerimenti per il futuro costituiscono allo stato l’unico momento in cui i destinatari della formazione e dell’aggiornamento professionale possono interloquire attivamente, ed in modo formale, sulle scelte operate dal Consiglio. Di qui, il rilievo dell’attività di ricognizione e valutazione delle schede redatte dai partecipanti ai corsi, al fine di appurare se ed in quale misura l’offerta formativa abbia corrisposto ai bisogni dei destinatari, e verso quali contenuti e con quali metodologie essa debba essere indirizzata per il futuro. La valutazione su basi statistiche delle schede redatte in questi anni sconta tuttavia alcuni fattori che limitano l’affidabilità dei risultati cui essa sembra condurre. Si fa riferimento innanzi tutto al numero abbastanza limitato dei corsi per i quali sono disponibili i risultati dello spoglio delle schede4. Quindi, alle metodologie non uniformi con cui le schede sono state esaminate nel corso del tempo, dal momento che raramente si è rite- 4 Per l’anno 1997: i titoli di credito; i bilanci delle imprese; i pretori civili; aggiornamento per l’esercizio delle funzioni civili. Per l’anno 1998: le prove nel processo civile; approfondimenti sull’attuazione del nuovo rito civile; il punto sul nuovo rito civile ordinario; il contenzioso con la pubblica amministrazione; aggiornamento per l’esercizio di funzioni civili; approfondimenti sull’attuazione del nuovo rito civile; questioni attuali di diritto assicurativo; le regole delle operazioni bancarie nell’erogazione del credito; l’attività bancaria e la crisi dell’impresa; la responsabilità degli amministratori e dei sindaci; diritto del lavoro e della previdenza sociale; il giudizio di impugnazione; il processo esecutivo civile: problemi attuali e prospettive di riforma. Per l’anno 1999: il punto sul nuovo rito civile ordinario; la tutela della persona nella famiglia e nella società; la tutela sommaria cautelare; il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; la cooperazione internazionale in materia civile; la tutela sommaria non cautelare: gli stranieri nella società multietnica; il procedimento per ingiunzione; possesso, proprietà, condominio; successioni, donazioni e scioglimento delle comunioni; il diritto marittimo; appalto privato e pubblico; il diritto di famiglia; Per l’anno 2000: il contenzioso in materia di lavoro e di previdenza sociale; la tutela sommaria cautelare: il procedimento e l’ambito di attuazione con particolare riferimento ai provvedimenti d’urgenza in materia di diritto industriale; il punto sul nuovo rito civile ordinario; la dichiarazione dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento: prassi, questioni dibattute, novità legislative; il contenzioso in tema di immissioni; nuove frontiere di tutela 146 nuto di evidenziare il numero complessivo di coloro che – per ciascun corso – hanno redatto le schede valutative; senza contare che spesse volte ci si è affidati a giudizi riassuntivi di natura sintetica e, talvolta, meramente intuitiva anche in ordine ai gradimenti ed ai dissensi espressi dai partecipanti per ciascun argomento proposto nei vari corsi. Il che, all’evidenza, rende problematica la valutazione in termini statistici dell’espressione di gradimento per ciascun corso e per ciascuna area tematica. Da ultimo, deve considerarsi che non tutti i partecipanti ai corsi sono soliti redigere le schede loro affidate, chè – anzi – la percentuale di quanti si danno carico del compito ammonta in media a circa. la metà dei partecipanti. Ciò pone la questione dei termini di relazione rispetto ai quali l’indagine dev’essere operata, questione che è sembrato corretto risolvere ponendo in relazione esclusivamente i giudizi espressi, positivi e negativi che fossero, ed escludendo quindi che potesse attribuirsi un valore significante – positivo o negativo – all’omessa redazione delle schede. E tuttavia, non può essere ignorata la maggiore propensione psicologica degli scontenti ad esternare la loro insoddisfazione, rispetto all’atteggiamento di chi ritiene congrua e soddisfacente la partecipazione all’attività di aggiornamento professionale proposta. Ciononostante, l’aggregazione dei giudizi disponibili relativi al quadriennio 1997-2000 evidenzia per il settore civile un gradimento medio altissimo, in termini quasi totalitari, dal momento che su ca. 10.000 giudizi espressi dai partecipanti sui vari temi ed argomenti di ciascun corso civile preso in considerazione, soltanto 474 sono stati i giudizi di assoluta inutilità. Il che, tradotto graficamente, implica: della persona; la prova documentale; l’esecuzione forzata; tirocinio ordinario civile per uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (primo gruppo); tirocinio ordinario civile per uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (secondo gruppo); tirocinio ordinario civile per uditori giudiziari nominati con d.m. 12.07.1999 (terzo gruppo); questioni attuali in materia di condominio e locazioni. 147 Il dato appare tanto più significativo in quanto, ove si ponga mente alle ragioni allegate solitamente da quanti si sono espressi in termini negativi, emerge con chiarezza che spesse volte il giudizio sull’utilità degli argomenti proposti e, quindi, sull’utilità complessiva del corso, è condizionato dal giudizio formatosi sui relatori, con una evidente propensione a ritenere inutile un tema o un argomento solo in quanto trattato in modo asseritamente non adeguato. Il che, seppure è comprensibile, dal momento che la riuscita ed il gradimento complessivo di un corso sono il risultato di una congerie complessa di fattori, finisce col porre sul medesimo piano problemi che hanno scaturigine diversa e che debbono trovare differenti soluzioni. Tralasciando il dettaglio concernente l’anno 1997, per la scarsa significatività dei dati a disposizione5, può dirsi che per gli anni 1998, 1999 e 2000 il gradimento espresso per i vari temi trattati nei corsi si presenta in modo stabile e non si riscontrano oscillazioni particolari. Al di là di veri e propri fraintendimenti sull’oggetto del corso, peraltro non rari, può rilevarsi che le ragioni più di frequente poste a base del giudizio negativo, sono ravvisabili nella scarsa attinenza dell’argomento rispetto al lavoro in concreto svolto dai partecipanti e nel carattere troppo teorico dell’argomento. Il che sembra evidenziare l’apprezzamento per argomenti e temi per i quali possa individuarsi un nesso immediato e visibile con le funzioni esercitate. La critica e talvolta l’insofferenza sembrano emergere, peraltro nelle limitatissime percentuali sopra riportate, anche quando all’interno di uno stesso corso appaia evidente il tentativo di dosare e armonizzare relazioni ed argomenti di carattere introduttivo e generale con altri specificamente destinati a soddisfare esigenze di immediato carattere tecnico-professionale. Un ulteriore frequente motivo di perplessità nella valutazione dei corsi è dato dall’eccessiva frammentazione degli argomenti e dal conseguente eccessivo numero di relazioni. Il dato può forse essere letto quale sintomo di un disagio più profondo, che stenta ad essere chiaramente percepito ed esternato, verso didattiche che mirano anch’esse all’eccessivo approfondimento dei temi, sotto profili squisitamente teorici, e che si svolgono con modalità che attribuiscono ai partecipanti un ruolo esclusivamente passivo. 5 Dati dai quali emergerebbe un gradimento per i temi trattati nei corsi addirittura pari al 99% dei giudizi espressi. 148 Sotto questo profilo, non sembra casuale l’apprezzamento in genere manifestato per i corsi di taglio seminariale, per taluno dei quali (si pensi in particolare all’incontro su Possesso, proprietà e condominio o su Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti) non è dato riscontrare alcuna perplessità in ordine all’utilità di tutti quanti gli argomenti trattati e, quindi, dei corsi nella loro intierezza. Ed analogamente è a dirsi per quegli incontri di studio in cui è stata adottata una didattica interattiva con i partecipanti, chiamati ad interloquire costantemente con i relatori sulle singole questioni volta per volta trattate6. Richiamando le distinzioni operate a proposito dei flussi di partecipazione ai corsi, i dati concernenti il gradimento espresso dai partecipanti possono esser scomposti e riaggregati per aree tematiche che tengano conto del carattere omogeneo delle materie oggetto dei vari incontri di studio. 6 Si pensi, in via esclusivamente esemplificativa, al corso su Il punto sul nuovo rito ordinario-1999, per il quale l’area dei consensi raggiunge la percentuale del 98%. Non mancano tuttavia corsi tenuti con il metodo tradizionale delle relazioni seguite da dibattito, in cui si sono conseguiti analoghi se non migliori risultati in termini di gradimento percentuale, praticamente totalitario (si pensi, in via esemplificativa, al corso sulle Immissioni – 1999). 149 Risulta dall’operazione che l’area tematica che più di altra sembra aver sofferto di un deficit di gradimento è quella del diritto del lavoro. L’esame delle schede ha evidenziato in particolare un numero sensibile di doglianze concernenti il carattere astratto e lontano dai concreti problemi applicativi dei temi e degli argomenti oggetto dei relativi corsi. Va comunque precisato che la doglianza concerne in realtà i corsi rientranti nell’area del diritto sostanziale, mentre ne appaiono in larga parte esenti i corsi di diritto processuale espressamente destinati a quel rito, peraltro come si è detto rari. 2.G. La valutazione di impatto formativo per grandi aree tematiche. La presentazione dell’offerta formativa per aree tematiche, introdotta con il programma del 1999, può essere utilizzata anche per rappresentare tutto il quadriennio 1997-2000 in quanto consente di evidenziare plasticamente gli ambiti dell’intervento formativo ed i loro reciproci collegamenti. Società e questioni contemporanee. Questa offerta formativa si è proposta di stimolare l’approfondimento, sul piano giuridico e sociologico, di alcuni grandi problemi 150 della società contemporanea che hanno stretta attinenza con l’esercizio dell’attività giurisdizionale; a tal fine è stato spesso richiesto il contributo, rivelatosi proficuo, degli esperti di scienze mediche e sociali. Nell’ambito di quest’area sono stati trattati, a partire dal 1998, i seguenti temi: 1998: Bioetica e tutela della persona. Magistratura e mass media. 1999: La tutela della persona nella famiglia e nella società. Conciliazione, mediazione e riparazione. Gli stranieri nella società multietnica. Biologia, biotecnologie e diritto. La tutela dell’ambiente tra diritto ed economia. 2000: L’infanzia abusata. Nuove frontiere di tutela della persona. Diritto, processo e tempo. Gli stranieri in Italia. Tutela della “privacy” e circolazione delle informazioni. Diritto comunitario, internazionale e comparato. Si tratta di un’area della formazione, assai consistente per quantità e qualità dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e del diritto comunitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre più rilevanti e complesse attività di cooperazione tra i magistrati italiani e le autorità giudiziarie straniere. In questo quadro l’offerta formativa ha prestato costante attenzione alle fonti del diritto europeo, seguendone con tempestività l’evoluzione. 1997: Diritto comunitario e cooperazione penale. Diritto comunitario e diritto internazionale privato. Ordinamento giudiziario comparato, con particolare riferimento all’obbligatorietà e discrezionalità dell’azione e alla posizione ordinamentale del pubblico ministero. Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero (Italia - Spagna). Corso decentrato di diritto comunitario e internazionale. 1998: Corso decentrato di diritto comunitario e internazionale. 1999: Formazione dei formatori: il tirocinio degli uditori in Spagna e in Italia. La cooperazione internazionale in materia civile. Strategie di contrasto alla criminalità organizzata: modelli organizzativi e prospettive di integrazione in ambito europeo. Formazione globale per i magistrati addetti alle nuove forme di cooperazione giudiziaria in materia penale. Corso decentrato di diritto comunitario. Garanzia del “giusto processo” nei sistemi penali spagnolo e italiano. Evoluzione delle procedure penali in Europa. Il “référe” nell’ordinamento processuale civile francese. 151 2000: La fase esecutiva del processo penale in Europa. Le nuove forme delle attività transfrontaliere di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti. Workshop in videoconferenza sulle audizioni a distanza nei processi di criminalità organizzata: esperienze europee e prospettive di cooperazione. Il trattato di Amsterdam e l’evoluzione del diritto dell’Unione Europea. Accesso alla giustizia, assistenza legale ai non abbienti e strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti. Ordinamento giudiziario. Questa offerta ha avuto, quanto ai dirigenti, da un lato, lo scopo di approfondire i temi della comunicazione verso l’utenza e verso le altre pubbliche amministrazioni e, dall’altro, quello del monitoraggio delle attività, della misurazione dei carichi di lavoro e della organizzazione degli uffici. Per i Consigli giudiziari lo scopo del confronto è stato quello di favorire la maturazione di prassi omogenee e criteri uniformi anche in relazione alle nuove competenze emerse nel corso del quadriennio. Per i formatori la finalità di elaborare più affinati criteri per la gestione del tirocinio si è arricchita nel corso del quadriennio, con la nomina dei formatori locali, della finalità di sviluppare metodologie di formazione generalizzate sull’intero territorio. 1997: Formazione dei formatori. Incontro di studio per i dirigenti di uffici giudiziari (funzioni giudicanti e requirenti). I Consigli giudiziari. 1998: Formazione dei formatori. I dirigenti degli uffici requirenti. I dirigenti degli uffici giudicanti. 1999: L’imparzialità del giudice. Formazione dei formatori. I Consigli giudiziari. La Corte di cassazione. 2000: Formazione dei formatori. Diritto e processo. L’area tematica, introdotta formalmente nel 2000, ha inteso evidenziare l’interdisciplinarietà di alcuni temi, cogliendo, quando possibile, nell’ambito di una comune cultura della legalità, i nessi che intercorrono tra sistema penale e sistema civile. 1997: Il giudice e la Costituzione. 1998: Il giudice e la Costituzione. Il ragionamento probatorio. Diritto marittimo. 152 2000: Rapporti tra illecito civile e illecito penale: l’illecito contrattuale, i reati-contratto ed i reati in contratto. Il diritto nella società informatica. Convenzione europea dei diritti dell’uomo e processo. Il ragionamento probatorio. Il ricorso per cassazione nel sistema dei mezzi di impugnazione. Diritto civile e processuale civile. Nell’ambito di quest’area tematica sono raggruppati i temi “classici” del diritto civile sostanziale e processuale nonché le iniziative di riconversione alle funzioni civili. Quanto al diritto processuale un pilastro dell’offerta formativa sono stati gli incontri che hanno avuto ad oggetto la riforma del processo civile e che sono stati proposti anzitutto nella formula della formazione di base e con taglio essenzialmente pratico (“Il punto sul nuovo rito civile ordinario”). Questi incontri, svoltisi in numero di due per ogni anno, si sono inseriti nel solco tracciato dall’attività di formazione del Consiglio dedicata alla riforma del processo civile fin dal 1995, perseguendo la finalità di consentire, pur tenendo conto dell’inquadramento teorico degli istituti, il più ampio scambio di idee, opinioni, esperienze applicative, soluzioni operative tra i colleghi. Altri corsi “istituzionalizzati” sono stati quelli in tema di prove (con cadenza annuale), esecuzione forzata (con cadenza biennale: 1998, 2000) e tutela sommaria cautelare (con cadenza annuale; nel 2000 il corso si è, peraltro, caratterizzato per il particolare riferimento ai provvedimenti d’urgenza in materia di diritto industriale). A questi corsi istituzionali si sono affiancate altre iniziative dirette ad un maggiore approfondimento dei temi trattati, sempre con attenzione alle novità legislative; in quest’ambito si segnalano: 1997: I processi sommari non cautelari. La Cassazione civile tra legittimità e merito. Le controversie con le pubbliche amministrazioni. 1998: Il giudizio d’impugnazione. Le controversie con le pubbliche amministrazioni. 1999: La tutela sommaria non cautelare: il procedimento per ingiunzione. Le controversie con le pubbliche amministrazioni. 2000: La “volontaria giurisdizione “. L’espropriazione immobiliare delegata ai sensi della legge 302 del 1998 (quattro giornate di analogo contenuto organizzate su base interdistrettuale). La tutela sommaria non cautelare (incontro avanzato di diritto processuale civile). 153 Quanto al diritto sostanziale, non sono stati istituzionalizzati corsi e l’offerta formativa si è indirizzata verso i temi più frequentemente oggetto di contenzioso, cercando di individuare le aree scoperte del bisogno formativo. In questo ambito si segnalano: 1997: La responsabilità contrattuale. Infortunistica, risarcimento del danno, assicurazione. 1998: infortunistica stradale, assicurazione (prosecuzione ed approfondimento del corso svoltosi nel 1997). 1999: Successioni, donazioni e scioglimento delle comunioni. Contratto e responsabilità civile: le attività professionali. Possesso, proprietà e condominio. 2000: L’abuso del diritto. Il contenzioso in tema di immissioni. Questioni attuali in materia di condominio e locazioni. L’appalto privato e pubblico. Negli anni 1997 e 1998 si è tenuto anche un corso, marcatamente interdisciplinare e di taglio eminentemente pratico, diretto ai pretori civili (“Pretori civili”) e volto a favorire il confronto sulle questioni processuali e sostanziali maggiormente controverse in sede applicativa nelle materie allora di competenza del pretore. Infine, deve essere menzionato il corso, svoltosi annualmente, di aggiornamento per le funzioni civili. Il corso, nato per fornire una informazione di base sui temi di diritto sostanziale e processuale di maggiore rilevanza e complessità, con sessioni tendenzialmente comuni a tutti i partecipanti, si è poi articolato, nell’arco del quadriennio in esame, in una pluralità di autonome sezioni per rispondere alle differenti esigenze formative dei magistrati con funzioni di giudice civile, giudice delegato ai fallimenti, giudice minorile e giudice del lavoro. Diritto penale e processuale penale. L’offerta formativa si è caratterizzata anzitutto per i corsi di aggiornamento sulle tecniche di indagine, intitolati alla memoria di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino ed articolati su più settimane: i primi, destinati ai magistrati con funzione di sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale ed ai magistrati con funzioni di giudici di tribunale ed i secondi ai magistrati con funzione di sostituti procuratori della Repubblica presso le preture ed ai magistrati con funzioni di pretori. Nel 1998 i corsi hanno assunto in modo più accentuato la fisionomia di corsi di base ed entrambi sono stati articolati su due settimane (nel 1997, il corso “Falcone” era articolato su tre 154 settimane). Scopo dei corsi è stato quello di facilitare il più ampio confronto di esperienze e di stimolare una visione organica del processo penale e delle relative problematiche. Nel 1999 il carattere istituzionale dei corsi è divenuto ancora più marcato, così come la sua destinazione alla formazione della magistratura requirente. L’istituzione del giudice unico ha suggerito, poi, l’accorpamento dei corsi attraverso l’istituzione del corso “Falcone e Borsellino”. Nel 1998, contestualmente alla ricordata accentuazione del carattere di base dei corsi “Falcone” e “Borsellino”, l’offerta formativa si è arricchita di due corsi istituzionalizzati di approfondimento tematico sulle tecniche di indagine, intitolati alla memoria di Mario Amato e Guido Galli. Gli argomenti sono stati i seguenti: 1998: Le condotte investigative d’infiltrazione, in tutti i risvolti sostanziali e processuali. La tutela del patrimonio artistico. 1999: Gestione dei flussi finanziari da parte della criminalità economica ed organizzata. Diritto penale del lavoro 2000: La direzione nazionale e le direzioni distrettuali antimafia: profili istituzionali e problematiche processuali. La tutela penale dell’attività bancaria e del mercato mobiliare. Nel complesso la formazione perseguita con gli altri corsi dell’area “Diritto penale e processuale penale” si è caratterizzata per una accentuata ricerca dei profili di interdisciplinarietà tra diritto sostanziale e processo, tra discipline giuridiche ed extragiuridiche, nell’intento di esaltare la varietà dei risvolti corrispondenti ai diversi punti di vista e le affinità sottese ad istituti operanti in diversi settori. Con questa premessa sul versante (tendenziale) del diritto processuale si devono segnalare: 1997: Le misure cautelari personali e reali e i procedimenti incidentali. Il giudizio di appello e la motivazione della sentenza. L’esecuzione penale della pena. Tecniche di argomentazione e di persuasione. La prova nel dibattimento. 1998: l’interazione tra diritto penale e processo nei riti semplificati. Gli strumenti normativi di aggressione dei profitti da reato. La ricerca e la valutazione della prova nel dibattimento. 1999: Il procedimento di riesame e le impugnazioni cautelari. Problemi della connessione. La prova nel processo di primo grado. Il processo in appello. Funzione e poteri del giudice per le indagini preliminari. 2000: Linee di tendenza del processo penale alla luce d’oltre un decennio di sperimentazione. Testimonianza e chiamata di correo nel si- 155 stema penale delle prove. Istituti di garanzia delle parti ed esercizio dei diritti della difesa nel processo penale. Corso sperimentale di “autoformazione” professionale per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali. Sul versante (tendenziale) del diritto sostanziale si devono segnalare: 1997: L’interpretazione della norma penale. Usura e disciplina penale del credito. La responsabilità penale per colpa professionale. I reati omissivi. Concorso di persone nel reato e reati associativi. La tutela penale del lavoratore. La criminalità nei gruppi d’impresa: profili sostanziali e processuali. Le misure di prevenzione. 1998: Forme di responsabilità giuridica nella società del rischio. Giudice penale e pubblica amministrazione. La società commerciale nel diritto penale. Causalità e responsabilità penale. Tutela penale del mercato finanziario. Rilevanza sostanziale e riflessi processuali della condotta susseguente al reato. Diritto penale del lavoro. La responsabilità penale a titolo di dolo. 1999: La condotta nel reato: tecniche di tutela e problemi di tipicità. La riforma del sistema sanzionatorio penale e penitenziario. Giudice penale e pubblica amministrazione. 2000: La responsabilità per colpa in diritto penale. La tutela penale della persona. Il diritto penale internazionale nella giurisdizione italiana. Il ruolo della giurisprudenza nella evoluzione del diritto penale nei primi settanta anni del codice Rocco. La vittima del reato. Infine, il corso di aggiornamento per l’assunzione di funzioni giudicanti penali, svoltosi annualmente e simile all’analoga attività del settore civile, ha avuto di mira la formazione dei magistrati che esercitano funzioni di giudice penale da breve o brevissimo tempo, sia perché “giovani”, sia perché “convertiti” al processo penale con provenienza da uffici giudiziari civili, sia infine perché di recente assegnati a nuove funzioni penali. I corsi sono stati concepiti con sessioni comuni e sessioni diversificate in relazione ai raggruppamenti funzionali presenti. Diritto della famiglia e dei minori. In questo comparto la formazione ha privilegiato lo scambio ed il confronto di esperienze tra i magistrati, requirenti e giudicanti, operanti presso gli uffici ordinari e gli uffici minorili, focalizzando l’attenzione sui temi di maggiore delicatezza (adozione, affidamento dei 156 minori, rapporti patrimoniali nella famiglia) nei quali maggiore è l’esigenza di apertura culturale alle acquisizioni delle scienze psicologiche ed economiche. 1997: I rapporti di filiazione nei diversi modelli di famiglia. Incontro di studio per i giudici minorili. 1998: Diritto minorile. 1999: Diritto minorile. Temi attuali del diritto di famiglia. Corso sperimentale di “autoformazione” professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. 2000: Corso sperimentale di “autoformazione” professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. Diritto dell’economia. Per quest’area, caratterizzata dalla esigenza di una specifica formazione professionale per i magistrati chiamati a trattare procedimenti che richiedono un elevato grado di conoscenza nei settori economico e finanziario, non sono mancate iniziative su temi di grande rilievo, che hanno preparato il terreno per istituzionalizzare, con il programma del 2001, una offerta formativa sui temi generali del diritto delle imprese e delle società. Nel quadriennio, sui temi del diritto fallimentare, del diritto bancario, del diritto societario e, più in generale sui temi del diritto commerciale, si segnalano: 1997: Titoli di credito. I bilanci delle imprese. Le azioni recuperatorie nei procedimenti concorsuali e le questioni processuali nei procedimenti di cognizione a sfondo concorsuale. 1998: Regole delle operazioni bancarie nell’erogazione del credito. I bilanci delle imprese. L’attività bancaria e la crisi dell’impresa. La responsabilità degli amministratori e dei sindaci. 1999: Le misure di prevenzione patrimoniali. I bilanci delle imprese. Dalla disciplina delle concorrenza sleale alla disciplina della concorrenza a tutela dei consumatori. Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti. Rapporti bancari: tipi legali e tipi sociali. 2000: I contratti di impresa tra legislatore comunitario e mercato globale. La dichiarazione dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento: prassi, questioni dibattute, novità legislative. Costituzione delle società e modificazioni dell’atto costitutivo. I bilanci delle imprese. 157 Diritto del lavoro. L’offerta formativa in quest’area è stata costante, con attenzione alle molteplici innovazioni normative, prima fra tutte l’attribuzione al giudice ordinario della cognizione sulle controversie in materia di pubblico impiego. 1997: Diritto del lavoro 1998: Diritto del lavoro e della previdenza sociale; 1999: Il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; Le controversie nel pubblico impiego (quattro giornate di analogo contenuto organizzate su base interdistrettuale). 2000: Il contenzioso in materia di lavoro e previdenza sociale; Le controversie nel pubblico impiego (quattro giornate di analogo contenuto organizzate su base interdistrettuale). 2.H. L’esame delle richieste formative desumibili dalle schede di partecipazione. La formazione dei magistrati, per le sue peculiari caratteristiche, indicate nel primo capitolo, è sempre più autogestita per rispondere alle esigenze sul campo degli operatori. Nel corso di questi anni la struttura della formazione dei magistrati – gestita dal Consiglio Superiore della Magistratura – è diventata progressivamente una casa comune dove vengono individuati i bisogni formativi, le modalità della didattica e la strutturazione dei corsi. La prima e più rilevante manifestazione di autogestione delle richieste formative è costituita proprio dalla composizione e dalle modalità di funzionamento del Comitato Scientifico attraverso l’art. 29 del Regolamento. I magistrati che lo compongono sono selezionati in base alla loro specifica preparazione ed attitudine con riguardo alle funzioni svolte, alle esperienze professionali maturate, all’approfondimento specialistico di determinate materie. Essi rimangono in carica per un periodo massimo di tre anni, durante i quali continuano a svolgere il loro lavoro ordinario, sia pure con parziali riduzioni del carico. Pertanto la stessa composizione e operatività del Comitato Scientifico costituisce una garanzia per rispondere alle esigenze formative dei colleghi, in quanto i componenti del Comitato trasferiscono in 158 sede centrale le difficoltà e le esperienze che maturano negli Uffici Giudiziari di appartenenza. Una seconda importante occasione per monitorare le esigenze formative è costituita dalla stessa funzione di coordinamento di corsi. Il coordinamento costituisce un requisito indispensabile per il buon funzionamento di un corso di formazione e non si limita alla attività svolta in aula ma continua nel c.d. convegno di corridoio nel quale i colleghi nelle pause del corso, testimoniano le loro valutazioni, le impressioni e soprattutto i bisogni. Lo scambio di informazioni e di valutazioni con i magistrati durante i tempi di interruzione del corso costituiscono una occasione importante per i componenti il Comitato Scientifico per verificare la riuscita del seminario, per raccogliere indicazioni, suggerimenti, critiche, che saranno tenute presenti nello sviluppo dell’attività futura. Il terzo e più importante momento della rilevazione dei bisogni formativi è costituito dall’esame delle schede di partecipazione. A tutti i partecipanti, da molti anni, viene consegnata una scheda di valutazione del corso e delle relazioni che contiene anche un “campo” dedicato alle richieste formative. Lo strumento delle schede di partecipazione si è progressivamente sviluppato ed affinato nel corso di questi anni, fino a raggiungere la attuale versione. Le schede, lungi dall’essere una sorta di pagella per i relatori, costituiscono un meccanismo di valutazione sulla efficacia complessiva del seminario, ed una occasione di dialogo con i partecipanti. Al termine del corso i magistrati coordinatori del Comitato Scientifico provvedono a ritirarle dalla Segreteria, ad esaminarle ed a riassumerle in una relazione conclusiva del corso che viene trasmessa alla IX Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura. A titolo esemplificativo si riportano qui di seguito le sintesi, estrapolate dalle relazioni riassuntive e dalle schede di valutazione, delle richieste formative avanzate dai colleghi che hanno partecipato ad incontri di studio lungo il corso degli anni: 159 CORSO 309 - Richieste su corsi da programmare - Rogatorie all’estero, reati fiscali, esecuzione penale, redazione dei provvedimenti giudiziali, il dibattimento, i collaboratori di giustizia, concorso nei reati plurisoggettivi, competenza per connessione e territoriale, misure di sicurezza, reati associativi in materia di stupefacenti. CORSO 303 - Richieste su corsi da programmare - Analisi anche degli aspetti organizzativi della funzione giudiziaria; esame di precedenti giurisprudenziali. CORSO 306 - Richieste su corsi da programmare - Relazione sulla direzione del dibattimento rispetto alla modalità di assunzione della prova; relazioni su questioni pratiche attinenti alla formazione della prova in dibattimenti; gruppi di studio sui temi delle relazioni. CORSO 310 - Richieste su corsi da programmare - Tutela penale del consumatore; La direzione del dibattimento; Colpa professionale medica; Disciplina urbanistica; La partecipazione della parte civile nel processo penale; Tutela ambientale, con particolare riferimento alla disciplina dei rifiuti; La valutazione della prova; Esecuzione. CORSO 318 - Richieste su corsi da programmare - Prosecuzione di incontri sull’esecuzione penale con partecipazione mista; gli stranieri; le sanzioni sostitutive; la depenalizzazione; i riti alternativi; le prescrizioni della pena; l’art. 676 c.p.p.; l’effettibilità della pena; ipertrofia di procedimenti; corsi specializzati solo per magistrati di sorveglianza. CORSO 320 - Richieste su corsi da programmare - Organizzazione del lavoro nelle procure ‘unificate’; tecniche per la sicurezza psicologica del P.M.; tecniche dell’acquisizione della prova nella fase dell’indagine preliminare; ‘veicoli ed illecito penale. Il traffico illecito di autoveicoli’ la nozione di nomofilachia della Corte di Cassazione; la fase presidenziale nella separazione e nel divorzio; determinatezza della legge e discrezionalità del giudice: criteri e limiti dell’interpretazione delle norme; etica nella professione del giudice. 160 CORSO 326 - Richieste su corsi da programmare. - Analisi della normativa speciale; - Specificazione dei profili risarcitori assicurativi (obbligatori e privati); – Approfondimento interdisciplinare; – La responsabilità penale della persona giuridica; – Gestione d’impresa e pubblicità: responsabilità dell’imprenditore in materia di comunicazioni sociali (normativa comunitaria); – Tematiche utilistiche (imputazione soggettiva della responsabilità); – Valutazione del rischio da parte del datore di lavoro; – Il rischio per l’ambiente esterno e per la collettività; – La responsabilità penale in materia di bancarotta nella “holding”; – Rischi da incidenti transnazionali e settore ambientale; – La normativa CEE. CORSO 328 - Richieste su corsi da programmare - valutazioni sulla prova nel giudizio abbreviato; nullità ed utilizzabilità degli atti delle indagini preliminari; approfondimenti sugli altri riti alternativi. CORSO 334 - Richieste su corsi da programmare - Giudice unico; Sicurezza del lavoro; Rapporti tra p.m. e p.g.; Falso in bilancio; Usura; Cassazione e giudizio di rinvio (in penale); L’archiviazione . CORSO 337 - Richieste su corsi da programmare - Uso e abuso di istituti processuali; Organizzazione dell’ufficio giudiziario; Incidente di legittimità costituzionale; Collegio per i reati ministeriali; Violenza sessuale; Deontologia del p.m.; Misure di prevenzione e criminalità organizzata. CORSO 339 - Richieste su corsi da programmare - la tutela della privacy; la tutela della riservatezza dei dati inerenti alla salute ed alla vita sessuale dei cittadini; la procedura di urgenza per la tutela della pubblica salute: l’art. 700 c.p. e l’art. 32 Cost. tecniche di riproduzione assistita ed implicazioni giuridiche: esame delle proposte di legge; ‘mestiere del giudice penale e giustizia come servizio’; ‘Diritto e genere (reati sessuali, maltrattamenti ecc)’; ‘Dogmatica penale e letteratura giuridica della differenza’; Tutela giuridica della p.o. in tema di responsabilità medica; Centri antidolore e medicina alternativa:prospettive giuridiche; Responsabilità medica dei ‘medici specialisti’; Ambiente e tutela sociale per rischi diffusivi:le patologie diffuse (malattie tropicali importate; AIDS); Medicina alterna- 161 tiva e non ufficiale; Consenso al trapianto di organi; Assenza del consenso informato e responsabilità professionale del medico; Criminologia; criminologia forense; nuove forme di aggressione alla persona (sfruttamento della prostituzione, tratta dei minori ecc.); Giudice unico; Espropriazione- occupazione acquisitiva; Il giudizio d’appello: caratteristiche; problematiche della riduzione della pena in appello; riapertura dell’istruttoria dibattimentale; La pretesa punitiva dello Stato: attualità; Riforma dei reati contro la P.A. e riforma dell’abuso di ufficio. CORSO 343 - Richieste su corsi da programmare - incontro specifico sulla legge Simeone a distanza di 6 mesi per monitorare la sua prima applicazione; sorveglianza e videoconferenze; 41-bis e detenuti ad alta pericolosità; affidamento al servizio sociale; misure di sicurezza; incidenti d’esecuzione; irreperibilità del condannato; riforma del codice penale; tutela della salute del condannato; rapporto tra p.m. e giudice di sorveglianza. CORSO 349 - Richieste su corsi da programmare - riforma del giudice unico e futuro del Tribunale dei Minori; ordinamento penitenziario; adottabilità e semi abbandono; minori stranieri in stato di abbandono in Italia; messa alla prova per reati di elevata gravità; incompatibilità G.I.P./ G.U.P. in ambito minorile; sanzioni sostitutive; sottrazione di minori (art. 574 c.p.) con particolare riferimento all’autore genitore extracomunitario, tutela del minore e del genitore deprivato; tutela del minore parte offesa; consulente e perito di ufficio: criteri di scelta; presupposti per la dichiarazione di adottabilità; rapporti con autorità nazionali in caso di procedimento di adottabilità di minore straniero; diritto internazionale privato; tecnica di reazione del decreto sul proc.civ. sul controllo della paternità dei genitori; conversione della pena pecuniaria riguardante persone condannate irreperibile; sequestro penale per veicoli ex art. 116, comma 18 Cod. Strad.; custodia presso terzi; confisca; spese; udienza preliminare; fase dibattimentale e sua rilevanza in ottica di recupero del minore; apporto dei servizi sociali; applicazione delle sanzioni sostitutive; indagini preliminari a carico di indagato minorenne ed inserimento del minore nelle strutture delle associazioni di stampo mafioso. Prevenzione e prospettive di recupero; sorveglianza e relativi procedimenti contro minorenni; il procedimento amministrativo ex L. 241/90 nell’attività dei servizi sociali e garanzie di 162 tutela del cittadino; istituto della messa alla prova; misure cautelari; misure di sicurezza; la legge applicabile al minore straniero, con particolare riferimento all’applicazione degli ordinamenti islamici; l’appartenenza del minore figlio di ‘matrimoni misti’ le incidenze dell’intervento della A.G. minorile sulla famiglia straniera e le ripercussioni sulla cultura di appartenenza di tale famiglia; minore straniero: espulsione e rimpatrio. CORSO 352 - Richieste su corsi da programmare - Disciplina degli scarichi e dei rifiuti; Urbanistica; Reati finanziari. CORSO 361 - Richieste su corsi da programmare - Giudice unico; Motivazione della sentenza di merito e controllo di legittimità; Processo del lavoro e pubblico impiego; Processo cautelare civile; Processo tributario; Diritto internazionale privato; Diritto comunitario e diritto nazionale; L’udienza penale; C.S.M.: natura e funzioni; L’abuso dei rimedi processuali. CORSO 385 - Richieste su corsi da programmare - Valutazione della prova anche in fase cautelare; - misure di prevenzione patrimoniali; - reati sessuali; - diritto penale dell’ambiente e del territorio; - reati societari; - impugnazioni; - imputabilità, - beni artistici ed ambientali. CORSO 389 - Richieste su corsi da programmare - Giudice unico. Esecuzione penale. Procedure esecutive immobiliari. Reati in materia sessuale. Psicologia forense e criminologia. Impugnazioni cautelari. Responsabilità civile. Condominio. Bancarotta e reati finanziari. Magistratura di Sorveglianza. Sezioni specializzate agrarie. CORSO 394 - Richieste su corsi da programmare - Diritto penale e processuale comparato. Esecuzione penale. Misure di prevenzione patrimoniali. Preparazione professionale dei magistrati. La prova scientifica. Valutazione della prova. Poteri di vigilanza della Procura generale. Disciplina degli stupefacenti. Le Corti di assise. Disciplina della partecipazione a distanza. Gratuito patrocinio. Astensione e ricusazione del giudice. Reati colposi nell’esercizio di attività professionale. Abusi del diritto nel processo penale e garanzia per la vittima del reato. 163 CORSO 402 - Richieste su corsi da programmare - il ruolo del p.m. nell’esecuzione; cumulo; incidenti d’esecuzione e pene accessorie; legge Simeone; misure alternative; reati ex art. 4-bis e criminalità organizzata; tutela della salute del condannato; temi di medicina legale; rapporti tra la cognizione e l’esecuzione; riforma del giudice unico; sistemi sanzionatori europei ed extraeuropei; temi di diritto comparato; misure di sicurezza; misure alternative e programmi terapeutici per tossicodipendenti; effettività della pena; il dibattimento; le condizioni obiettive di punibilità; le circostanze del reato; l’imputabilità; le indagini difensive. CORSO 404 - Richieste su corsi da programmare - Disciplina giuridica di espianto organi; Morte e diritto; Ovodonazione; Profili costituzionali della genitorialità sociale (autonomia e responsabilità dell’individuo e della coppia; diritto all’identità genetica del figlio; favor veritatis nella filiazione; modelli familiari; diritto del minore alla doppia figura genitoriale); Problematiche sociologiche e profili psicologici legati al tema della sterilità nella coppia ed alle varie soluzioni adottate nel campo della fecondazione assistita; Problematiche psicologiche del nascituro (con interventi di magistrati minorili); Internet per giuristi; Responsabilità per colpa medica; ambiente ed edilizia; igiene ed alimenti; misure cautelari reali; Livello di costituzionalizzazione internazionale dei diritti delle persone (aspetti comparativi); Trapianti ed eutanasia; Problematiche giuridiche dell’eugenetica ‘dolce’; tests genetici ed interventi sul genoma umano, con riguardo alla tutela dei diritti fondamentali e della privacy. CORSO 406 - Richieste su corsi da programmare - Valutazione della prova anche in fase cautelare; - misure di prevenzione patrimoniali; - reati sessuali; - diritto penale dell’ambiente e del territorio; - reati societari; - impugnazioni; - imputabilità; - beni artistici ed ambientali. CORSO 410 - Richieste su corsi da programmare - Colpa professionale medica; Tutela ambientale in genere; Disciplina dei rifiuti e degli scarichi; Legislazione sul diritto di autore, con riferimento alle Convenzioni internazionali; Disciplina degli alimenti; Esecuzione; Usura e tecniche di indagine; Compiti della polizia giudiziaria e raccordo con il P.M.; Reati di falso; L’assunzione della prova, tecniche di escussione; Tutela del patrimonio artistico e culturale. 164 CORSO 419 - Richieste su corsi da programmare - La prova del maltrattamento e dell’abuso sessuale nel dibattimento penale; La C.T.U. nel processo minorile civile: chi paga ? Diritto alla salute ed alla qualità della vita per il minore. Criteri di scelta dei trattamenti terapeutici e minore età; Diritto internazionale privato alla luce delle recenti riforme; La riforma del giusto processo nei suoi riflessi sul processo minorile; Diritto penale minorile, compresa la fase dell’esecuzione; Famiglia multietnica: modelli di riferimento; Adottabilità; Rapporti tra Tribunale per i Minorenni e Tribunale Ordinario; Omologazione delle prassi civili e penali dei Tribunali per i Minorenni; Obbligo dell’azione penale in relazione all’esito positivo della messa alla prova ed alla sentenza di n.d.p. per irrilevanza penale del fatto. CORSO 426 - Richieste su corsi da programmare - reati tributari; - responsabilità disciplinare del magistrato; - reati contro la pubblica amministrazione; - reati ambientali e del territorio; -ordinamento giudiziario; - deontologia; - diritto penale del lavoro; - incidenza dell’informatica sui processi valutativi e motivazionali; reati di falso; - tecniche di assunzione della prova orale; - criteri di valutazione della prova; - esecuzione penale; - diritto processuale e penale in proiezione internazionale; - rapporti tra autorità e polizia giudiziaria; - misure di prevenzione. CORSO 433 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, reati tributari (riferimento molto ripetuto), reati in materia informatica, reati societari (riferimento ripetuto), diritto penale del lavoro (riferimento ripetuto), armi (riferimento ripetuto), prostituzione, bioetica, urbanistica e ambiente (riferimento ripetuto), delitti di falso, ricettazione e riciclaggio, usura, reati associativi, stupefacenti. Solo qualche cenno a temi di parte generale, come il concorso di reati. Si invoca comunque un taglio casistico e pratico nella esposizione, specie ed appunto per il diritto sostanziale. Secondo alcuni l’offerta per il tirocinio ordinario dovrebbe riguardare solo o quasi solo argomenti processuali. Tra questi, in ogni caso, vengono segnalati: fase esecutiva (riferimento ripetuto), tecniche d’indagine, indagini preliminari, sanzioni processuali, riti speciali, valutazione della prova (riferimento ripetuto), assunzione della prova dibattimentale, tecnica della motivazione, misure di prevenzione. In alcuni casi sono stati 165 proposti temi relativi all’indagine scientifica (specie per la medicina legale) Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato tecniche di indagine, anche con riferimento a particolari tipologie di reati; argomenti vari della procedura penale, con espliciti riferimenti alla prospettiva allora imminente della riforma, e con prevalenza della istruzione dibattimentale, della valutazione della prova, del collegamento tra uffici del p.m. e uffici di p.g., delle intercettazioni e sequestri, della consulenza tecnica e dell’incidente probatorio, dei riti speciali, delle rogatorie e dell’estradizione, dei collaboratori di giustizia, della tecnica di redazione dei provvedimenti, dei problemi generali del trattamento sanzionatorio, della esecuzione e della sorveglianza. In materia sostanziale, con inviti generali ed espliciti a privilegiare la legislazione speciale, sono citati espressamente: reati dell’ambiente e del territorio (molto ricorrente), reati societari e fallimentari (molto reiterato), reati tributari (riferimento molto ripetuto), diritto penale del lavoro (ripetuto), misure di prevenzione (riferimento reiterato), concorso di norme e reati, reati associativi, armi, ricettazione e riciclaggio, usura, violenza sessuale, colpa professionale, stupefacenti, reati contro la pubblica fede, regole di organizzazione del lavoro, normativa di matrice comunitaria. Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati informatici, reati societari – tributari – fallimentari (riferimento ripetuto), reati in materia di immigrazione, reati ambientali e del territorio, diritto penale del lavoro, colpa professionale, armi, reati di falso. In parte generale, trattamento sanzionatorio, normativa di matrice comunitaria. Sul piano processuale: intercettazioni e sequestri, indagini difensive, estradizione e rogatorie (ripetuto), assunzione e valutazione della prova, rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, teleconferenze, riti speciali, misure di prevenzione, esecuzione e sorveglianza (ripetuto). CORSO 434 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, urbanistica e ambiente (riferimento ripetuto), colpa professionale, usura, truffa, stupefa- 166 centi, problemi della immigrazione. Secondo parecchi uditori l’offerta per il tirocinio ordinario dovrebbe riguardare solo o quasi solo argomenti processuali (ma v’è anche una voce in senso opposto). Tra questi, in ogni caso, vengono segnalati: fase esecutiva e di sorveglianza, mezzi di ricerca della prova, indagini difensive, organizzazione della polizia giudiziaria, rapporti tra p.m. e p.g., intercettazioni telefoniche, misure cautelari, sanzioni processuali, notificazioni, riti speciali (riferimento ripetuto), valutazione della prova, assunzione della prova dibattimentale (riferimento ripetuto), tecnica della motivazione (riferimento ripetuto), misure di prevenzione e sicurezza. Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato tecniche di indagine, anche con riferimento a particolari tipologie di reati; argomenti vari della procedura penale, con espliciti riferimenti alla prospettiva allora imminente della riforma, e con prevalenza della istruzione dibattimentale, della valutazione della prova, del collegamento tra uffici del p.m. e uffici di p.g. (molto reiterato), della organizzazione della polizia giudiziaria, delle intercettazioni e sequestri, delle tecniche di indagine anche con riguardo a categorie particolari di reati, misure cautelari (riferimento ripetuto), della consulenza tecnica, dei riti speciali (riferimento molto ripetuto), delle rogatorie e dell’estradizione, dei collaboratori di giustizia, della tecnica di redazione dei provvedimenti (sentenze ma anche imputazioni), dei problemi generali del trattamento sanzionatorio, della esecuzione e della sorveglianza (riferimento ripetuto), delle misure di prevenzione. In materia sostanziale, con inviti generali ed espliciti a privilegiare la legislazione speciale, sono citati espressamente: reati dell’ambiente e del territorio (molto ricorrente), reati societari e fallimentari (molto reiterato), reati tributari (riferimento molto ripetuto), misure di prevenzione, concorso di norme e reati, reati associativi, armi (riferimento ripetuto), usura ed estorsione (riferimento ripetuto), reati connessi alla immigrazione, computer crimes, violenza sessuale, colpa professionale, stupefacenti, trattamento sanzionatorio, normativa di matrice comunitaria. Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati informatici, reati societari – tributari – fallimentari 167 (riferimento molto ripetuto), reati ambientali e del territorio (riferimento ripetuto), diritto penale del lavoro, riciclaggio. In parte generale, depenalizzazione, trattamento sanzionatorio. Sul piano processuale: intercettazioni e sequestri, indagini difensive, competenza penale del giudice di pace, estradizione e rogatorie (ripetuto), assunzione e valutazione della prova, udienza preliminare, rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, riti speciali, sanzioni processuali, tecnica di redazione dei provvedimenti, misure di prevenzione, esecuzione e sorveglianza . Di nuovo, organizzazione degli uffici e sistema tabellare, responsabilità disciplinare. CORSO 440 - Richieste su corsi da programmare - Legge sulla privacy; - Atti irrepetibili e garanzie difensive; - Reati contro la P.A.; - Reati sessuali e contro i minori; - L. 624/99 e suoi aspetti procedurali; - Le tematiche investigative; - Le recenti riforme legislative; - La professionalità del prodotto industriale (tutela del consumatore); Etica della professione del giudice; - Reati ambientali; - Reati tributari; - Usura; - Responsabilità penale e intermediazione finanziaria; - Rogatorie. CORSO 442 - Richieste su corsi da programmare - organizzazione degli uffici, tabelle giudiziarie, ordinamento giudiziario, tecnica di assunzione delle prove, gestione maxi-processi, reati Pubblica Amministrazione, reati in materia ambientale e urbanistica, nuovi reati tributari. In un parere è evidenziata la necessità di prevedere maggior spazio per il dibattito, magari diminuendo il numero delle relazioni. CORSO 443 - Richieste su corsi da programmare - abuso legato alla violazione degli artt. 388 cpv. e 574 c.p.; problematiche di coordinamento tra T.M. e T.O. in relazione alla modifica delle condizioni di separazione; problematiche internazionali connesse alla violazione dell’art. 574 c.p.in ipotesi di genitore extracomunitario; rapporti fra A.G. e mezzi di informazione; coordinamento tra A.G. e garanzie della privacy in ambito minorile; le ‘prassi’ a confronto dei T.d.M., con specifico riferimento agli aspetti procedurali; la riparazione del legame familiare dopo l’abuso ed il maltrattamento; la 168 valutazione della prova in sede di dibattimento penale minorile; i saperi tecnici del giudice minorile e le ‘deleghe di conoscenza’ ai consulenti tecnici; abuso sessuale sul piano internazionale e nuove forme di criminalità organizzata; l’ascolto del minore in sede di incidente probatorio; valutazione della prova nei processi per abusi ai minori; associazioni ‘non profit’ e magistratura; la vittma nel processo penale: aspetti normativi, sociali e psicologici; allontanamento del minore dalla famiglia di origine; i nuovi problemi dell’adozione internazionale; la pedofilia in dimensione internazionale (anche attraverso la diffusione con nuovi strumenti, es. INTERNET); Le attuali emergenze della criminalità minorile ed i modelli di intervento; Compatibilità delle recenti riforme sul giusto processo e diritti della parte offesa: profili di legittimità costituzionale; Riduzione in schiavitù e circonvenzione di minori; Prassi applicative della L. 479/99 ed ‘adattamento’ all’art. 111 Cost.: riflessi sul processo minorile; I nuovi profili dei reati tributari; Le metodiche psico-diagnostiche in sede di consulenza tecnica; I procedimenti civili davanti al Tribunale per i Minorenni: prassi e regole processuali; L’adozione e l’affidamento familiare; Questioni di staus; Procedimenti camerali e modelli di procedure: rapporti e collegamenti tra i giudici della famiglia; La sorte dei figli nelle separazioni dei genitori coniugati e non; Lo sviluppo psicologico e sociale del minore; La consulenza medico-legale sul minore; Maltrattamento ed abuso nel dibattimento penale (questione probatoria, commisurazione della pena, pene accessorie); Società multietnica e tutela penale dei soggetti deboli (donne e minori); Reclamabilità dei provvedimenti provvisori: istruttoria, diritto di difesa, opposizione, allontanamento coattivo; Privacy e ricaduta sull’attività giudiziaria; Ruolo della difesa nel processo penale minorile. CORSO 446 - Richieste su corsi da programmare - pochissime le schede compilate. Viene indicata la Corte di giustizia dell’U.E., diritto comunitario e diritto comparato. CORSO 459 - Richieste su corsi da programmare - Incidenza sulla salute del cittadino e del consumatore delle nuove forme di inquinamento (onde elettromagnetiche, elettrosmog) e dell’introduzione di alimenti geneticamente modificati; Onde elettromagnetiche, stato delle conoscenze sui danni alla salute e tutela della per- 169 sona: esperienza giurisprudenziali e progetti legislativi; Diritto alla salute e sua tutela; Terapia genica, coltivazione di cellule e clonazione Nascita e fine della vita:approfondimento delle problematiche giuridiche; Fondamento e gerarchia costituzionale dei diritti inviolabili dell’uomo, Disponibilità ed indisponibilità del diritto alla vita; Procedimenti per reati di violenza sessuale ed i collegamenti tra gli uffici giudiziari; Problematiche mediche e giuridiche dell’accertamento di morte; Rapporto tra i mezzi di contrasto della criminalità organizzata e di contrasto della stessa e sicurezza dei cittadini; La sicurezza sul lavoro; Il lavoro interinale e la flessibilità del lavoro; L’integrazione nella società multietnica; Qualsiasi tema purchè ‘non trattato in modo troppo accademico’; Processo del lavoro in relazione al pubblico impiego; Problemi della società informatica; Trattamenti sanitari obbligatori; interruzione della gravidanza; suicidio; Paternità e maternità biologica ed affettiva; problemi della responsabilità genitoriale; disciplina dell’adozione; Trattamenti sanitari per motivi estetici; Reati ambientali; La determinazione dell’indennità di espropriazione per pubblica utilità; Diffamazione attraverso mezzi di comunicazione di massa; Storia e funzione dei Comitati di bioetica; Tutela penale nel conflitto familiare,in generale; La tutela della famiglia di fatto nella giurisprudenza italiana a negli altri sistemi giuridici; Il nuovo rito del lavoro; Linee guida della responsabilità medica; Il rapporto di causalità in medicina; Questioni etiche e giuridiche in tema di test genetici; La legge sull’interruzione della gravidanza: bilancio dell’applicazione; Responsabilità medica per attività professionale (soprattutto nella chirurgia estetica); Aspetti psicologici della fecondazione artificiale. CORSO 461 - Richieste su corsi da programmare - processo monocratico, riforma del dibattimento penale, riforma del giusto processo e prova orale (più volte), valutazione della prova, magistratura e mass media, reati fallimentari, criminalità organizzata, sistematica processuale penale, misure cautelari e giudice del dibattimento, udienza preliminare, riti speciali, misurazione di efficacia dell’azione giudiziale penale (anche in una prospettiva di monitoraggio), diritto penale speciale, diritto penale dell’economia, reati finanziari, misure di prevenzione, problematiche del requirente. CORSO 499 - Richieste su corsi da programmare in relazio- 170 ne al tirocinio mirato - Tecniche di indagine (sull’esempio delle esercitazioni svolte nel presente corso in materia di accertamenti bancari ed omicidio; misure cautelari; esercitazioni dal taglio pratico operativo estremamente utile e precedute da approfondite relazioni sull’argomento); Misure di prevenzione; Tecniche di indagine; Preparazione sui reati di competenza D.D.A.; Protocolli di indagine; Necessità di ripensare i corsi di informatica, da svolgere costantemente durante tutto l’uditorato, senza relegarli in una settimana alla fine dello stesso; Quadro sinottico delle diverse tecniche e strategie investigative in relazione alle diverse tipologie di reato; Riforma del processo penale; esegesi delle recenti novelle del processo penale; problemi applicativi dell’art. 111 Cost.; L’attività di udienza ed, in particolare, i problemi legati all’assunzione delle prove dichiarative; Modifica dei reati tributari; Nozioni di medicina legale d’ordine generale; Letture dibattimentali; Esecuzione della pena; Materia edilizia; Reati contro la P.A.; Colpa medica; Tecniche di indagine in tema di reati informatici; Il diritto penale comunitario; La collaborazione giudiziaria internazionale; Modalità di interrogatorio e tecniche di comunicazione; Tecniche di sopralluogo; Reati ambientali; Infortunistica sul lavoro; Tecniche di indagini in tema di reati sessuali; Modalità di conduzione dell’esame testimoniale e dell’imputato; Ecologia reati ambientali) e capitolati di indagine; Tecniche di indagine in materie di armi; Stupefacenti; Reati finanziari; Colpa medica; Tecniche ed organizzazione della requisitoria; Istituti processuali di nuova introduzione; Il P.M. nella fase dibattimentale; Infortuni sul lavoro; Risarcimento del danno biologico (civile); Risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo (civile); Ordinanze ex art. 186 bis,ter, quater c.p. (civile); Delitti contro il patrimonio commessi mediante frode; Delitti in materia di stupefacenti; La prova testimoniale e la sua valutazione; Principio del libero convincimento del giudice; Artt. 54 quater e 415 bis c.p.p.; Struttura dell’udienza preliminare; Competenze del P.M. in materia dia tti dello stato civile; Esame del perito nel dibattimento penale. CORSO 501 - Richieste su corsi da programmare per il tirocinio ordinario - per il diritto sostanziale, secondo alcuni, dovrebbe essere privilegiata la legislazione speciale (ambiente, territorio, protezione dei lavoratori, ecc.); secondo altri, all’opposto, dovrebbero essere ripresi temi della parte generale, demandando 171 al tirocinio mirato l’approfondimento di singole fattispecie, ancora una volta della legislazione speciale (molti riferimenti alle materie appena citate). Alcuni riserverebbero il diritto sostanziale alla sola fase del tirocinio mirato. Tra le proposte spicciole di parte speciale: usura, reati informatici. In parte generale: determinazione della pena (riferimento ricorrente), legislazione penitenziaria, bene giuridico, tentativo e reato impossibile. Nozioni di psicologia e medicina legale. Nozioni di ordinamento giudiziario e sullo status giuridico del magistrato. L’incompatibilità del giudice, la magistratura di sorveglianza. In procedura, il tema cautelare, i rapporti con la p.g. Richieste su corsi da programmare per il tirocinio mirato argomenti vari della procedura penale (con prevalenza della istruzione dibattimentale, delle indagini preliminari, intercettazioni e sequestri, dei rapporti con la p.g., dei riti speciali e della udienza preliminare, delle misure cautelari), tecnica di redazione dei provvedimenti (indicazione molto ricorrente), problemi generali del trattamento sanzionatorio, della esecuzione e della sorveglianza (riferimento molto ricorrente), reati dell’ambiente e del territorio (ricorrente), reati societari e fallimentari (molto reiterato), diritto penale e processuale dei minori, misure di prevenzione (riferimento reiterato), concorso di norme e reati, armi, ricettazione, psichiatria forense, stupefacenti, reati contro la pubblica amministrazione, reati urbanistici, regole deontologiche e disciplinari di comportamento, regole di organizzazione del lavoro. Richieste su corsi da programmare per la formazione permanente - reati tributari, responsabilità disciplinare del magistrato, reati contro la pubblica amministrazione, reati ambientali e del territorio, ordinamento giudiziario, deontologia, diritto penale del lavoro, incidenza dell’informatica sui processi valutativi e motivazionali, reati di falso, tecniche di assunzione della prova orale, criteri di valutazione della prova, esecuzione penale, diritto processuale e penale in proiezione internazionale, rapporti tra autorità e polizia giudiziaria, misure di prevenzione; 172 PRIMA SETTIMANA DI STUDIO RELATIVA AL TIROCINIO ORDINARIO NEL SETTORE PENALE (riservata agli uditori giudiziari nominati con D.M. 23.12.1997) - Richieste su corsi da programmare - reati economici e reati ambientali (in genere diffusa richiesta di trattazione della legislazione penale speciale), processo minorile, rapporti con la polizia giudiziaria, ordinamento giudiziario, reati contro l’ordine pubblico, misure di prevenzione, esecuzione della pena, notificazioni, rapporti con il personale amministrativo, reati in materia di stupefacenti, mezzi di assunzione della prova, riti speciali, tecniche di redazione della motivazione dei provvedimenti giudiziari. CORSO 471 - Richieste su corsi da programmare - L’imparzialità del giudice; Le incompatibilità; Le tabelle; L’influenza del diritto comunitario nel processo penale; Temi di diritto penale sostanziale; Le misure cautelari; incontri periodici sull’esecuzione penale e la sorveglianza; Le riforme processuali in incontri decentrati; Reati contro la P.A.; Temi di psicologia giudiziaria; Diritto penale dell’impresa; Direzione del Dibattimento e redazione dei provvedimenti; Incontri di studio con la costituzione di piccoli gruppi seminariali. CORSO 454 - Richieste su corsi da programmare - art. 111 Cost.; dovere di motivazione e tecnica di redazione dei provvedimenti giurisdizionali; diritto penale dell’ambiente; l’udienza preliminare: tra 111 Cost. e l. 479/99; nuova legislazione tributaria; schemi epistemologici di riferimento della decisione giudiziaria; diritto penale comunitario; nesso di causalità; l’incidente probatorio; il procedimento per decreto ed i riti speciali; rapporti tra avvocatura e magistratura; rapporti tra giurisdizione ordinaria e speciale (militare); prescrizione; tutela della persona offesa; processo penale europeo (abolizione delle rogatorie); razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie; p.m. ed indagini preliminari; tecniche di indagine per specifici reati; il giudizio d’appello e quello di Cassazione; cooperazione penale internazionale; involuzione della normativa penale internazionale; i riti alternativi; la tutela penale dell’ambiente; la depenalizzazione fiscale; udienza preliminare (sia ordinaria, sia minorile); breve incontro in tema di chiamata di correo con taglio pratico; corsi di riconversione tra giudici collegiali e monocratici. 173 In conclusione può affermarsi che l’analisi delle schede di partecipazione, ha costituito in questi anni uno strumento importante per lo sviluppo della formazione. La valutazione di sintesi delle schede e delle richieste, confrontate con i programmi annuali di predisposizione dei corsi di formazione, consente di affermare che esse sono state debitamente tenute in considerazione al momento della programmazione annuale ed anche nella articolazione dei singoli seminari. Può anche affermarsi, in via generale, che è stato registrato un apprezzamento della maggioranza dei partecipanti per la scelta e per la articolazione dei temi trattati nei vari incontri di studio. Così come deve essere sottolineato che la consegna delle schede di valutazione si è progressivamente sviluppata in quanto nei corsi effettuati negli anni 1997 e 1998 la presenza di schede riguardava una sparuta minoranza dei partecipanti, mentre nei corsi del 2000 ed anche in quelli del 2001 le schede di valutazione costituiscono, sia dal punto di vista numerico che da quello qualitativo, una cospicua parte del materiale raccolto al termine dei seminari. Si può pertanto affermare che le richieste formative desumibili dalle schede di partecipazione costituiscono, oramai, un importante strumento di comunicazione fra i magistrati partecipanti al corso e le strutture della formazione per la gestione della “casa comune” della formazione. Conviene ricordare quanto già si è accennato, e cioè che lo strumento appena citato non è stato nel tempo l’unico utilizzato a fini di programmazione dell’attività formativa. La presenza agli incontri degli stessi componenti della 9^ Commissione consiliare, e dei coordinatori del Comitato scientifico, ha determinato la stratificazione di suggerimenti, proposte, critiche che hanno a loro volta orientato le scelte del Consiglio in materia di formazione. Se si deve tentare una ricostruzione di sintesi dei segnali raccolti attraverso i canali fin qui elencati, i flussi di gradimento concreto per le varie metodiche, o per il taglio contenutistico attribuito alle singole iniziative di formazione, dimostrano che negli anni è progressivamente aumentata la percentuale di coloro i quali sollecitano proposte formative pertinenti a determinate aree funzionali o tematiche. Si allude in particolare a corsi che raggruppino magistrati che esercitino le stesse funzioni in uffici territorialmente diversi, o per converso magistrati che esercitino funzioni diverse in aree circoscritte della giurisdizione (diritto minorile, diritto della esecuzione penale, giudizi di impugnazione, ecc.). Il segno unificante di tali tendenze sembra risiedere 174 nella pertinenza più immediata degli argomenti alla situazioni professionali in concreto gestite nelle sedi di provenienza. Il dato sembra confermato dal gradimento che, in proporzione diretta, si manifesta per metodiche non tradizionali, fondate sull’esame di casi pratici quale strumento per la ricostruzione delle linee di sistema, caratterizzate dal lavoro in gruppi ristretti o comunque da grandi possibilità di interlocuzione diretta dei partecipanti. Nello stesso segno dell’ambizione a momenti formativi di immediata fruibilità nel lavoro professionale si colloca il gradimento espresso per iniziative strettamente collegate all’attualità normativa, che una attenta programmazione ha reso in questi ultimi anni numerose e, molto spesso, assai tempestive. Analogamente può dirsi per gli incontri che hanno saputo intervenire, in senso logico e cronologico, con grande prossimità a passaggi evolutivi essenziali della giurisprudenza. Altro profilo dell’offerta formativa assai apprezzato, sempre nella stessa logica, è stato quello di approccio a discipline tecniche o scientifiche di frequente utilizzazione nell’ambito dell’attività giurisdizionale, al fine di rendere il magistrato sempre più consapevole, anche quando agisce attraverso la mediazione del consulente tecnico. Ad esempio particolarmente apprezzate sono state le informazioni in varie sedi offerte a proposito della tecnica di redazione dei bilanci, delle risorse investigative connesse allo sviluppo della tecnologia della comunicazione (intercettazioni telefoniche, ecc.) o delle scienze biologiche e mediche (ricerca del DNA, ecc.). Una tendenza culturale e metodologica progressivamente affermatasi è poi quella del confronto con altre categorie professionali, prima fra tutte quella degli avvocati, che da una fase iniziale di sperimentazione (non sempre ben accolta) si è trasformata progressivamente in una metodica, da tutti come tale percepita, per la crescita del dibattito e dunque per l’arricchimento professionale dei magistrati. Nello stesso senso vanno citate le esperienze, anche in questo caso condotte sia attraverso la designazione di relatori che con la selezione dei partecipanti alle iniziative, di una formazione che coinvolgesse appartenenti ad altre giurisdizioni, su tematiche di comune interesse. Un esempio per tutti è quello del coinvolgimento di magistrati contabili nella trattazione di materie concernenti la responsabilità erariali. Andrebbe comunque corretta, se mai si formasse, la sensazione di sollecitazioni esclusivamente rivolte a momenti di aggiornamento, di mera informazione o scambio di esperienze concrete tra partecipanti. Se questi sono momenti essenziali, altrettanto essenziale per la maggior parte dei magistrati è l’esistenza di momenti di confronto su temi generali, proprio per la frammentazione che la produzione normativa 175 incessante e l’evoluzione frenetica della società determinano nella comprensione del sistema. E’ ampiamente diffusa la consapevolezza che le ricadute professionali di tale comprensione sono importanti tanto quanto il confronto sulle singole prassi o su specifici testi normativi. Le sollecitazioni dunque non possono essere banalizzate in una alternativa inattendibile tra “convegno” e “seminario di pratica professionale”, tra argomenti “teorici” ed argomenti “pratici”. Si tratta piuttosto di affinare gli strumenti di rilevazione dei bisogni, di progettazione delle iniziative (anche e ad esempio nella composizione della platea dei partecipanti), di elaborazione delle metodiche, perchè sempre più adeguata sia la coniugazione dei temi, anche i più generali, alle necessità della formazione professionale dei magistrati. 2.I. Le prime esperienze di formazione decentrata e l’avvio della rete dei referenti distrettuali. Le prime esperienze di formazione decentrata risultano già sollecitate nella relazione dei magistrati collaboratori ex art. 20 reg. int., approvata dal CSM nella seduta dell’11 ottobre 1995, in cui si prevedeva l’organizzazione di corsi in sede distrettuale e la creazione di una rete di formatori: in relazione al primo tema, si proponeva il decentramento di alcuni incontri onde ampliare la partecipazione dei magistrati, in relazione al secondo si suggeriva di creare, sul modello francese, una rete di corrispondenti periferici per l’attività di formazione, chiamati a rilevare i bisogni formativi, elaborare ed organizzare iniziative decentrate di formazione continua, collaborare all’attività formativa svolta a livello centrale. La prima concreta esperienza di formazione a livello locale è poi avvenuta coi corsi di diritto comunitario, finanziati con un contributo dell’UE, svoltisi nei distretti di Bologna, Cagliari, Sassari, Firenze, Trieste, Campobasso, Roma, Lecce, Bari, Napoli, Palermo, Torino, Venezia, Reggio Calabria e Messina. Si trattò di una forma molto attenuata di decentramento, in quanto i temi da discutere e la struttura didattica furono decisi a livello centrale e l’attività di coordinamento fu svolta dai componenti del Comitato Scientifico, anche se in collaborazione con magistrati collaboratori scelti dai rispettivi Consigli Giudiziari fra i magistrati del distretto che avevano partecipato ai corsi aventi ad oggetto la formazione dei formatori svoltisi negli anni 19961997. Ad ogni modo, i corsi decentrati di diritto comunitario realizzarono gli obiettivi prefissati dal CSM, facilitando l’accesso alla forma- 176 zione dei magistrati non disponibili ad intervenire ai corsi nazionali, sperimentando una formazione comune con gli avvocati (chiamati a partecipare ai corsi), migliorando il rapporto tra risorse economiche impiegate e numero dei partecipanti, stimolando ancora di più il contributo delle locali Università (intervenute alle iniziative con un qualificato corpo docente). D’altro canto, le iniziative decentrate, nonostante il successo ottenuto, evidenziarono anche difficoltà organizzative e di coordinamento, che resero ancora più sentita l’esigenza di istituzionalizzare la figura del referente a livello distrettuale, anche perché, in prospettiva, vi era il progetto di ripetere i corsi negli altri distretti e, per l’anno 1999, erano previsti altri progetti di formazione decentrata, quale il corso sperimentale di autoformazione dei giudici e pubblici ministeri dell’area minorile e della famiglia, da svolgersi in cinque distretti con la collaborazione di uno o due referenti locali, nonchè le giornate di studio sulle controversie del pubblico impiego, da tenersi in quattro sedi e da organizzare a livello interdistrettuale. Un’ulteriore spinta all’istituzionalizzazione della figura del referente distrettuale si è avuta a seguito dell’emanazione del D.P.R. 17 luglio 1998, recante il “Regolamento per il tirocinio degli uditori giudiziari”, Regolamento prevedente la competenza concorrente sulla formazione degli uditori da parte dei Consigli Giudiziari e, in specie, delle Commissioni Distrettuali degli uditori, formate da tre componenti dei Consigli Giudiziari e dai magistrati collaboratori (art. 1 e 9). La sussistenza di questa competenza locale affidata ad un organo composto da un numero elevato di soggetti comportava il chiaro pericolo di un difficile rapporto centro-periferia e, per ovviare a tale inconveniente e facilitare tali rapporti, apparve quanto più opportuna la presenza di un referente locale; ciò fu evidenziato dagli stessi partecipanti al corso “Formazione dei formatori” tenutosi nel febbraio 1998. Si è giunti così alla fondamentale tappa della delibera consiliare del 26 novembre 1998, con la quale sono state indicate le caratteristiche essenziali della formazione decentrata e si è individuata per grandi linee la struttura organizzativa della rete dei referenti distrettuali per la formazione, definendone altresì le funzioni e compiti (sul contenuto della risoluzione si rinvia al par. “l” del cap. I). Detta risoluzione, naturalmente, abbisognava di una successiva fase attuativa, in primo luogo la designazione effettiva dei referenti e in secondo luogo l’indicazione di cornici operative più concrete. Nelle more del complesso procedimento di selezione dei referenti, che presupponeva anche una nuova valutazione delle reali esigenze numeriche dei formatori nei grandi distretti (ed infatti già nell’inter- 177 pello del 25.5.1999 proposto dalla IX Commissione si prevedeva un ampliamento a 4 del numero dei referenti per i grandi uffici giudiziari), vi è stato l’intervento dell’Assemblea Plenaria della Corte di Cassazione, la quale, col documento approvato il 23.4.1999, ha auspicato la designazione di referenti nell’ambito della Suprema Corte, chiamati a contribuire alle continue istanze di formazione dei giudici di legittimità nonché a favorire il continuo dialogo tra detti giudici e i giudici di merito. Tali esigenze sono state ribadite da più parti durante l’importante appuntamento del seminario Formazione dei formatori del giugno 1999 e il C.S.M., con l’interpello del 28 luglio 1999, ha deliberato l’istituzione di un apposito ufficio dei referenti anche all’interno della Corte di Cassazione. Oltre a questa novità, il seminario Formazione dei formatori è stato il naturale luogo di discussione del nuovo progetto della rete, di cui si sono segnalate le potenzialità in merito alla sperimentazione di nuovi metodi didattici (quali l’autoformazione) e all’ampliamento dei rapporti con le altre istituzioni a base territoriale (in particolare gli organismi forensi, le Università e gli ordini notarili); d’altra parte, si è anche discusso del problema risorse economiche, prospettandosi da parte di alcuni la necessità di specifici stanziamenti assegnati ai Consigli Giudiziari e gestiti personalmente dai referenti e negandosi da altri l’adottabilità di provvedimenti di carattere generale sul punto. Ad ogni modo, l’argomento centrale del seminario è stato quello dei rapporti dei referenti con gli altri organi, centrali e locali, competenti in materia di formazione professionale; dal dibattito è emersa con chiarezza l’idea del referente quale articolazione consiliare, che promana cioè dalla struttura centrale di governo e che, come tale, ad essa è subordinata e da essa deve essere nominata; al contempo, il referente è stato subito individuato dai partecipanti quale elemento centrale, se non indefettibile, della mediazione tra C.S.M. e Consigli Giudiziari nell’attività formativa, il tutto nella chiara prospettiva del ruolo dei Consigli Giudiziari nella gestione della formazione decentrata. Al di là di queste affermazioni di principio, però, il seminario ha costituito il luogo di scontro di due contrapposte visioni dei rapporti C.S.M. – Consigli Giudiziari – referenti, nel senso che da un lato vi è chi ha accentuato la posizione del referente quale organo della struttura centrale, strettamente collegato a quest’ultima, dall’altro vi è chi ha visto il referente in stretta correlazione coi Consigli Giudiziari ed ha indicato in questi ultimi i reali ed effettivi motori dell’attività formativa locale, al di fuori di qualsivoglia subordinazione gerarchica col centro e senza alcun controllo preventivo da parte del C.S.M.; quasi in un’ottica di 178 mediazione, nel documento di sintesi del seminario, redatto da un componente del Comitato Scientifico, si segnala la necessità di attendere la concreta prassi operativa per verificare in concreto atteggiarsi dei rapporti C.S.M. – Consigli Giudiziari – referenti, ipotizzandosi un meccanismo flessibile, funzionale alle diverse esigenze formative incombenti sul formatore locale. Il procedimento di selezione dei referenti è diventato operativo con la risoluzione del Plenum del 28 luglio 1999, ove si sono ribadite le linee direttive della delibera del 26 novembre 1998, si è recepita la sollecitazione dell’Assemblea generale della Corte di Cassazione sulla creazione di un ufficio dei referenti presso la Suprema Corte e, soprattutto, si sono indicati i criteri guida per la designazione dei referenti locali, sia sotto il profilo numerico per singoli distretti (distinti, salve eventuali eccezioni per Roma, Napoli e Milano, in tre fasce, con 4, 3 o 2 unità, a seconda che si tratti di distretti con più di 400 magistrati, meno di 400 magistrati e meno di 250 magistrati), che sotto il profilo dei requisiti oggettivi richiesti per la nomina. Nel frattempo, con delibera del 20 ottobre 1999 il Consiglio ha approvato la risoluzione sul decentramento dell’attività di autogoverno in favore dei Consigli Giudiziari e, naturalmente, tale decisione, sotto il profilo politico, ha significato un’ulteriore spinta verso il decentramento della formazione professionale, rendendo ancora più attuale la necessità dell’effettiva partenza del progetto formativo della rete dei referenti distrettuali. Sempre nelle more della nomina dei formatori locali, nell’estate 1999 sono state realizzate le iniziative formative distrettuali in materia di pubblico impiego e si sono programmate per l’anno successivo altre giornate di studio locali in materia di diritto comunitario, iniziative queste ultime concretamente attuate nell’estate del 2000, col già collaudato strumento della collaborazione tra componenti del Comitato Scientifico e magistrati collaboratori scelti dai singoli Consigli Giudiziari. Solo in data 13 settembre 2000, col Plenum di pari data, si è completata la procedura di nomina dei referenti distrettuali per la formazione decentrata, designati nel numero di sei per i grandi distretti di Roma, Napoli e Napoli. A questo punto, il progetto contenuto nella risoluzione del 24 novembre 1998 era formalmente in grado di partire e il Consiglio, per consentire ciò, ha indetto per i giorni 4-6 dicembre 2000 il seminario Formazione dei formatori, appuntamento già previsto nel programma dei corsi per l’anno 2000 e volto a realizzare una prima effettiva sede 179 di confronto tra i referenti sui principali problemi legati all’organizzazione della struttura e ai contenuti e metodi della formazione decentrata, il tutto nell’ottica di quel bisogno di formazione, o meglio e tendenzialmente di autoformazione, dei referenti locali, chiamati a “riflettere sul proprio ruolo e sulle modalità attraverso le quali attuare quel ruolo” (così si legge nel programma di presentazione del seminario per l’anno 2000). Sotto tutti i profili, il seminario ha costituito la naturale linea di sviluppo di idee già presenti nella delibera-base del 26 novembre 1998 e nel precedente seminario del giugno 1999 (sui risultati del seminario, nell’ambito del quale sono stati formati tre gruppi di lavoro che hanno redatto documenti di sintesi sugli aspetti dell’“organizzazione” della rete nonché dei contenuti e metodi della formazione decentrata, si rinvia al par. “b” del cap. III). Le indicazioni provenienti dal seminario del dicembre 2000, proprio perché provenienti dai diretti protagonisti della futura esperienza formativa locale, dovranno essere tenute in debito conto nella prima fase di partenza dell’attività della rete. Naturalmente, come già preannunciato durante l’incontro nonché nello stesso libretto del programma per l’anno 2001, sono previsti altri seminari Formazione dei formatori, ove si discuteranno le medesime tematiche e si approfondiranno problemi solo accennati nell’appuntamento del dicembre 2000 (come ad esempio i contenuti e i metodi della formazione iniziale dei magistrati togati e di quelli onorari, ovvero il tema dell’eventuale parziale esonero dei referenti dall’ordinario lavoro giurisdizionale); analogamente, sono ipotizzabili altri interventi consiliari in materia, per rimediare ad eventuali errori e/o omissioni ovvero al fine di modificare le impostazioni e gli indirizzi originari. Tuttavia, è indiscutibile che oggi, dopo la risoluzione del 26 novembre 1998, la nomina dei referenti e gli approfondimenti di cui ai seminari Formazione dei formatori del giugno 1999 e del dicembre 2000, vi siano le concrete condizioni per una effettiva partenza del progetto formativo della rete dei referenti locali, i quali, quindi, già dal 2001 (anno nel quale sono già state programmate dal C.S.M. delle giornate di studio distrettuali sul pubblico impiego e il completamento delle iniziative locali di diritto comunitario finanziate dall’UE), saranno in grado di inserirsi concretamente nel circuito formativo, integrando ed aiutando l’attività formativa svolta a livello centrale. 180 Numero di partecipazioni per magistrati Quadriennio 1997-2000 Anno 1 2 3 4 5 6 Totale 97 1956 301 31 2 0 0 2290 98 2506 507 71 3 0 0 3087 99 2660 574 56 4 1 0 3295 2000 2848 496 77 6 0 0 3427 Percentuali di partecipazioni per magistrati Triennio 1994-1996* Anno 1 2 3 4 5 6 94 83,25% 14,60% 1,91% 0,24% 0,00% 0,00% 95 78,81% 17,79% 2,82% 0,58% 0,00% 0,00% 96 82,36% 14,84% 2,44% 0,24% 0,08% 0,04% Percentuali di partecipazioni per magistrati Quadriennio 1997-2000 Anno 1 2 3 4 5 6 97 85,41% 13,14% 1,35% 0,09% 0,00% 0,00% 98 81,18% 16,42% 2,30% 0,10% 0,00% 0,00% 99 80,73% 17,42% 1,70% 0,12% 0,03% 0,00% 2000 83,11% 14,46% 2,25% 0,18 0.00% 0,00% Analisi comparata della mancata richiesta di partecipazione. Il raffronto tra i due periodi di riferimento sarà condotto analizzando comparativamente solamente alcuni dei dati complessivi, non essendo stati elaborati, nel triennio precedente, tutti i dati omogenei, già esaminati, per il quadriennio 1997-2000. 126 Tale raffronto, tuttavia, appare utile al fine di verificare l’andamento dei flussi di partecipazione con particolare riferimento all’età, alle funzioni ed al territorio. Occorre, tuttavia, considerare, l’aumento del numero dei magistrati nel secondo quadriennio che, ovviamente, incide, sulle percentuali di riferimento. Mancata richiesta di partecipazione per qualifica (percentuale dei non partecipanti). Tenendo conto dell’aumento del numero dei magistrati in servizio nel quadriennio 97- 2000, un primo raffronto tra i dati relativi ai due periodi di riferimento evidenzia un aumento percentuale della mancata partecipazione per tutte le qualifiche. L’aumento della percentuale di mancata partecipazione rivela un andamento costante in percentuale in tutte le qualifiche (+ 13,1% per le FDS, + 14% per la Cassazione, + 14,4% per l’Appello, +10% per il Tribunale). Si evidenzia ancora, al fine di una corretta lettura dei dati, che l’aumento della percentuale della mancata partecipazione dei magistrati di tribunale va rapportata alla diversità temporale della immissione in possesso degli uditori, il cui afflusso è sensibilmente diminuito rispetto agli anni precedenti. Non è stato effettuato il raffronto per gli Uditori, stante la variabilità del loro numero nei due periodi di riferimento e non costituendo, quindi, valida base statistica di raffronto. Qualifica Triennio 94-96 Quadriennio 97-2000 Variazione percentuale Fds 60,8% 73,9% +13,1% Cassazione 43,6% 57,6% +14% Appello 31,2% 45,6% +14,4% Tribunale 19% 29% +10% 127 Mancata richiesta di partecipazione per età (percentuale dei non partecipanti). Si evidenzia un decremento nella partecipazione, nel secondo periodo di riferimento, per i magistrati delle prime tre fasce (fino a 35 anni e da 36 a 45 anni e da 46 a 55 anni), mentre aumenta la partecipazione dei magistrati più anziani, grazie anche ai diverso meccanismo di ammissione ai corsi (cd. griglie), pur risultando ancora percentualmente alta la percentuale di mancata partecipazione (72,1%) L’aumento della percentuale media di mancata partecipazione nell’ultimo quadriennio, nonostante l’aumento dei corsi, è, in parte, attribuibile all’aumento del numero dei magistrati nel periodo corrispondente. ETÀ Triennio 94-96 Quadriennio 97-2000 Variazione percentuale Sino a 35 anni 14,6% 24,3% + 9,7% Da 36 a 45 anni 23,9% 45,5% +21.6% Da 46 a 55 anni 41,8% 52,8% +11% Oltre i 56 anni 80,2% 72,1% - 8,1% Mancata richiesta di partecipazione per territorio (percentuale dei non partecipanti). Un aumento della percentuale dei partecipanti si registra, nel qudriennio 97-2000, solamente nei distretti di Campobasso (dal 43,3% al 40,5% non partecipanti) e Trento (dal 47,4% al 32,5% non partecipanti). In tutti gli altri distretti, anche per l’incremento percentuale dei magistrati nel quadriennio 97-2000 è proporzionalmente diminuita, rispetto al triennio 94-96 la percentuale dei non partecipanti pur registrandosi un incremento del numero dei corsi. Il maggiore incremento percentuale dei non partecipanti si registra nei distretti di Torino (+17,7%), Firenze (+13,2%) e Lecce (+13,4%). Il minore incremento, con una tasso tendenzialmente stabile di mancata partecipazione si è verificato nei distretti di Catanzaro (+0,3%), Bolzano (+1,7) e Cagliari (+2,2%). 128 DISTRETTO Triennio 94-96 Quadriennio 97-2000 % ANCONA 41,9% 50,4% + 8,5% BARI 33,3% 39% +5,7% BOLOGNA 35,9% 48,% +12,1% BRESCIA 32,8% 40,2% +7,4% CAGLIARI 39,2% 41,4% +2,2% CALTANISSETTA 23,5% 32,9% +9,4% CAMPOBASSO 43,3% 40,5% -2,8% CATANIA 36,2% 42,4% +6,2% CATANZARO 35,5% 35,8% +0,3% FIRENZE 35,2% 48,4% +13,2% GENOVA 43,1% 50,6% +7,5% L’AQUILA 41,2% 49,1% +7,9% LECCE 27,5% 40,9% +13,4% MESSINA 44,8% 52,5% +7,7% MILANO 42,4% 49,8% +7,4% NAPOLI 33,6% 40,9% +7,3% PALERMO 31,8% 38,2% +6,4% PERUGIA 43,3% 52,4% +9,1% POTENZA 27,6% 38,1% +10,5% REGGIO CALABRIA 25,6% 35,8% +10,2% ROMA 46,4% 58,5% +12,1% SALERNO 39,5% 46,4% +6,9% TORINO 27,8% 45,5% +17,7% TRENTO 47,4% 32,5% -14,9% TRIESTE 28,8% 35,1% +6,3% VENEZIA 33% 38,5% +5,5% BOLZANO 32,5% 34,2% +1,7% SASSARI 34% 40% +6% TARANTO 27,1% 32,6% +5,5% Corte di Cassazione 83,7% Ministero Giustizia 61% 129 2.E. La valutazione statistica della partecipazione ai corsi su base oggettiva. A partire dal 1997, si registra l’aumento costante del numero dei corsi, passati dai 41 di quell’anno ai 56 del 2000. Solo nel 1999 è riscontrabile una lieve contrazione del numero complessivo, passato a 46 corsi rispetto ai 49 dell’anno precedente. Quanto alle aree tematiche dell’offerta formativa, sino al 1998 essa si concentra nei settori tradizionali del civile, sostanziale e processuale, e del penale, sostanziale e processuale, con qualche limitato numero di corsi destinati al diritto comunitario ed al diritto costituzionale. A partire dal 1999, il quadro si arricchisce con l’introduzione dell’area c.d. interdisciplinare, che si sviluppa in particolare nell’anno successivo. In dettaglio, l’offerta formativa per aree tematiche a partire dal 1997 può riassumersi come segue: civile comun. costit 1997 15 1998 20 1999 18 2000 12 econ. ord.giud Interd lavoro minor. penale prom. 1 1 19 6 3 21 4 2 13 1 1 20 12 4 3 1 14 1 I grafici che seguono, evidenziano le modificazioni in percentuale della distribuzione dei corsi per aree tematiche, e la progressiva differenziazione dell’offerta formativa: 130 Peraltro, come già rilevato, l’area interdisciplinare ingloba in sé alcuni corsi inquadrabili nell’area “società e questioni contemporanee”, altri riferentisi ai temi dell’ordinamento giudiziario o a questioni interdisciplinari processuali (come il rapporto tra illecito civile ed illecito penale, il ragionamento probatorio, o la riflessione sulle dinamiche processuali analizzate con riferimento alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo), o ancora al settore del diritto della famiglia e dei minori, e quindi a temi rientranti in aree che negli anni 97-98 erano considerate autonomamente. E’ possibile disaggregare i dati sopra evidenziati al fine di meglio acquisire i tratti salienti dell’offerta formativa nel quadriennio. In particolare, si può tentare di cogliere l’oggetto effettivo dell’offerta formativa per ciascuna delle più rilevanti aree tematiche, al fine di vagliare quale “accoglienza” essa abbia ricevuto e come si sia indirizzata la risposta da parte dei destinatari dell’offerta. Il procedimento, che implica la riaggregazione dei dati per temi ricorrenti e in vario modo omogenei all’interno della stessa area, implica talune inevitabili forzature. In particolare, per il settore penale si può tenere conto di una prima ampia distinzione tra i corsi aventi ad oggetto il diritto sostanziale e quelli aventi ad oggetto il diritto processuale, pur essendosi evidenziato in altra parte della relazione come la metodologia seguita in questi anni abbia tentato di correlare i due aspetti in misura la più ampia possibile, evidenziando – ad es. – i nessi tra il tipo di reato considerato ed i profili dell’accertamento probatorio del fatto e della valutazione alla stessa correlata. Ulteriori possibili aggregazione dei dati, che ad es. seguano l’iter tipico del procedimento penale, e che distinguano quindi i corsi con riguardo alla fase delle indagini preliminari, del dibattimento, delle impugnazioni e dell’esecuzione della pena non tengono conto di quei 131 temi di confine o che attraversano, per così dire, in modo trasversale tutto quanto il processo penale, in quanto tipici dell’attività del conoscere e del giudicare (si pensi al tema della formazione e della valutazione della prova), e non sono quindi sussumibili in alcuna delle aggregazioni indicate. S’è proposta pertanto un’ulteriore aggregazione, quella dei temi appunto trasversali, nell’ambito della quale si sono fatti rientrare anche quei corsi destinati a contenere tematiche particolari, affrontate fonditus negli aspetti tanto di diritto sostanziale quanto di diritto processuale. Alla stregua di tali premesse, si evince che l’offerta formativa nel macrosettore penale, per il triennio 1997-1999, tenuto conto dell’oggetto dei corsi, può essere scomposta nel seguente modo: Sostanziale preliminare dibattim. impugnaz. esecuz. trasversali 1 2 5 2 4 1 5 1997 3 4 4 1998 9 3 3 1999 2 4 1 I dati evidenziano in particolare come dopo il 1997, anno in cui si registra una sostanziale omogeneità numerica tra i vari settori in cui è stata divisa l’area tematica del penale, nel 1998 i corsi di diritto penale sostanziale siano aumentati di numero in modo considerevole, per poi riassestarsi nella precedente proporzione nel successivo anno 1999. In sostanza, nel corso del 1998 si è assistito al riequilibrio di un’offerta formativa decisamente più accentuata sul piano del processo rispetto a quella propria del diritto penale sostanziale. Il processo delineato s’è peraltro immediatamente interrotto ed è sembrato sostituito dalla crescita contemporanea dei corsi di carattere trasversale, che potenzialmente consentono un approccio culturale più ampio e sembrano intercettare più facilmente, per la molteplicità degli aspetti e delle questioni anche di diritto sostanziale trattate al loro interno, l’interesse ed i bisogni della platea dei destinatari. I due concomitanti aspetti sono bene evidenziati, sotto l’aspetto della crescita percentuale, dai seguenti grafici: 132 All’offerta formativa così atteggiata ha fatto ovviamente riscontro la domanda dei partecipanti, evidentemente condizionata dai contenuti dall’offerta formativa. In particolare, nel triennio considerato le domande di partecipazione ai corsi si sono indirizzate in modo preponderante verso le aree di tipo processuale. Sostanz. ind. prel. dibattim. impugnaz. esecuz. 1997 1815 1386 3201 526 360 886 1998 3384 1133 2170 639 1617 1297 1712 1576 246 6496 4231 6947 772 1999 trasvers. 1091 999 3594 In termini percentuali, ciò implica: La scomposizione del dato evidenzia in particolare, per l’anno 1997, che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente modo: Sostanz. prelim. dibattim impugnaz esecuz. trasvers 1815 1386 3201 526 360 886 133 In termini percentuali: Il raffronto tra i due grafici sembra evidenziare in particolare un surplus di domanda, che l’offerta formativa già in origine non avrebbe potuto comunque soddisfare, con riguardo ai corsi di diritto sostanziale; ed analogamente è a dirsi, con riguardo ai corsi destinati al dibattimento penale. Il che sembra evidenziare la correttezza della scelta operata nell’anno successivo, con l’incremento dei corsi destinati all’area di diritto sostanziale. In particolare, la scomposizione del dato globale relativo all’anno 1998 evidenzia che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente modo: sostanz ind. prel. dibattim 3384 1133 2170 impugnaz esecuz. trasvers 639 1617 In termini percentuali: Ed il raffronto tra i due grafici sembra evidenziare per l’anno 1998 una maggiore armonia complessiva tra l’offerta formativa ed i bisogni evidenziati dal flusso delle domande di partecipazione. 134 Quanto all’anno 1999, la scomposizione del dato globale evidenzia che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente modo: sostanz ind. prel. dibattim impugnaz 1297 1712 1576 246 esecuz. trasvers 1091 In termini percentuali: Il raffronto tra i grafici sembra evidenziare un certo squilibrio tra le domande ed i vari settori di aree tematiche del penale, in particolare per ciò che attiene al diritto sostanziale ed alla fase dibattimentale del processo, settori per i quali può cogliersi un flusso di domande destinato a rimanere inevaso per il limitato numero di corsi previsto, probabilmente solo in parte compensato dai corsi c.d. trasversali. L’offerta formativa per l’anno 2000 sembra prendere atto della situazione ed accentua il numero dei corsi destinati al diritto sostanziale nonché, nell’ambito del settore penale, alla fase dibattimentale del processo. Ne risulta un rinnovato equilibrio complessivo dell’offerta, mentre sempre crescente gradimento, sul piano questa volta della domanda di partecipazione, sembrano avere i corsi c.d. trasversali (in particolare quelli destinati all’istituzione del giudice unico e quello alla chiamata di correo nel sistema delle prove). Quanto al settore civile, la scomposizione e la riaggregazione dei dati per temi ricorrenti e più o meno omogenei all’interno della stessa area tematica, è stata anch’essa effettuata tenendo conto di una prima ampia distinzione tra i corsi aventi ad oggetto il diritto sostanziale e quelli aventi ad oggetto il diritto processuale, pur con l’avvertenza già compiuta su quanto di opinabile ha tale distinzione ove si ponga mente alla metodologia seguita in questi anni. La sostanziale omoge- 135 neità e ripetitività nel tempo dei corsi di diritto processuale civile (cfr., “Il punto sul nuovo rito civile”, “I pretori civili”, “Il processo esecutivo civile”…), ha indotto a differenziare la ricerca statistica soprattutto con riguardo all’area macrotematica del diritto sostanziale civile, scomposta e riaggregata per microsettori, facenti capo al diritto delle persone, della famiglia, alla proprietà ed ai diritti reali in genere, ai contratti, alla responsabilità civile, al diritto del lavoro. Alla stregua di tali premesse, si evince che l’offerta formativa nel macrosettore civile, per il triennio 1997-1999, tenuto conto dell’oggetto dei corsi, può essere scomposta nel seguente modo: Process. 8 famiglia persone 1 9 5 1 1 22 2 1 contratti resp. civ. lavoro 1 1 1 1997 4 1 1 1998 2 1 1 1999 2 3 3 5 dir. reali In termini percentuali ciò implica: La preponderanza assegnata a temi e questioni di diritto processuale è netta e trova le sue ragioni, da un lato, nella necessità di far fronte ai bisogni di approfondimento dei contenuti normativi della novella del processo civile e di confronto delle diverse prassi interpretative conseguentemente scaturite; dall’altro, in una chiara ispirazione che vuole l’affinamento delle tecniche del giurista in funzione della tutela delle garanzie interne al processo. La suddetta preponderanza, particolarmente sensibile negli anni 1997 e 1998, sino a sfiorare il 70% del numero complessivo dei corsi, è andata col tempo riducendosi, sì da consentire una concomitante, 136 parziale, crescita dei temi di diritto sostanziale. Risulta peraltro evidente la contenuta offerta di aggiornamento professionale destinata ai magistrati che svolgono funzioni di giudici del lavoro, estranei ai corsi di diritto processuale, per la peculiarità del rito, e destinatari di un numero ridottissimo di corsi di diritto sostanziale. I grafici che seguono dimostrano l’andamento delle aree tematiche del settore civile nel triennio: All’offerta formativa così atteggiata ha fatto ovviamente riscontro la domanda dei partecipanti, anche in questo caso condizionata dai contenuti dall’offerta formativa. In particolare, nel triennio considerato le domande di partecipazione ai corsi si sono indirizzate in modo preponderante verso le aree di tipo processuale. Process. famiglia persone 1997 2875 149 1998 3090 1999 1833 218 250 7798 367 250 contratti dir. reali resp. civ. lavoro 419 395 325 751 334 340 710 223 389 710 952 1054 1170 137 Il grafico che segue offre la rappresentazione in percentuale della domanda nel triennio: Il raffronto tra i grafici sembra deporre per l’esattezza della scelta consiliare in favore dei corsi di diritto processuale, dal momento che il flusso delle domande nel triennio si è orientato, addirittura in misura eccedente rispetto all’offerta, appunto verso quei corsi. Ovviamente, questione affatto diversa è quella concernente la discrasia tra il numero delle domande di ammissione ed il numero degli ammessi ai corsi, discrasia che in termini assoluti è destinata a riflettersi maggiormente sulle aspettative di quanti hanno chiesto l’ammissione ai corsi di diritto sostanziale. La scomposizione del dato globale concernente le domande di partecipazione evidenzia in particolare, per l’anno 1997, che il flusso delle domande di partecipazione ai corsi si è indirizzato nel seguente modo: Process. 2875 famiglia persone 149 In termini percentuali: 138 contratti 419 dir. reali resp. civ. lavoro 395 325 Se ne desume una quasi perfetta coincidenza tra la percentuale delle varie aree tematiche costituenti l’offerta formativa ed il flusso delle domande di partecipazione ai corsi. Ed analogamente può dirsi per il successivo anno 1998: Non altrettanto sembra potersi dire già a far data dal successivo anno 1999, in cui si riscontrano le seguenti domande di partecipazione: Process. 1833 famiglia persone 218 250 contratti dir. reali resp. civ. lavoro 710 223 389 In termini percentuali: Il raffronto tra i grafici sembra infatti evidenziare per talune microaree (si vd., ad es., quello dei diritti reali) un eccesso del flusso della domanda rispetto alla percentuale dei corsi offerti, probabilmente sintomo di una più ampia esigenza di corsi di diritto sostanziale, che stenta ancora a trovare adeguato riconoscimento. L’osservazione sembra suffragata dall’andamento del rapporto tra la percentuale dei corsi offerti per aree tematiche nell’anno 2000 e la percentuale dei relativi flussi di domande: l’aumento dei corsi desti- 139 nati ai settori di diritto sostanziale, peraltro limitato alla materia negoziale, non sembra aver soddisfatto pienamente l’aspettativa numerica di partecipazione a quei corsi, come si può desumere dai grafici sottostanti, mentre per la prima volta si assiste ad una contrazione in percentuale del flusso delle domande di partecipazione rispetto alla percentuale di offerta dei corsi di diritto processuale. I corsi interdisciplinari, la cui natura e funzione si è descritta in altra parte della relazione, hanno avuto il maggiore incremento numerico nel quadriennio; alcuni di essi hanno conseguito un numero altissimo di richieste di partecipazione (cfr., ad es., “Il ragionamento probatorio”; “Il giudice nella società multiecnica”; ecc…). L’offerta complessiva dei corsi per sottoaree tematiche è evidenziato dalla seguente tabella dir. e processo dir. minor dir. econom. giud. e società 1997 2 1 2 1998 2 1 1 1 1999 2 2 3 2000 7 1 13 3 140 3 5 7 In termini percentuali: All’incremento dell’offerta formativa ha fatto riscontro nel quadriennio la crescita dei flussi delle domande di partecipazione: dir. e proc. minori dir. econ. giud. e soc. 1997 428 166 745 1998 966 161 365 907 1999 326 1060 1003 2000 3119 420 4839 747 797 2170 2707 In termini percentuali: la disaggregazione dei dati anno per anno evidenzia il seguente andamento: 141 Anno 1997 (offerta formativa). dir. e proc minori dir. econ. 1 1 1 1 2 giud. e soc 1 1 2 In termini percentuali: I relativi flussi delle domande di partecipazione evidenziano: dir. e proc minori dir. econ. 140 166 340 288 428 405 166 In termini percentuali: 142 745 giud. e soc LINEE GUIDA E PROSPETTIVE FUTURE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 3.A. La formazione. Alcune premesse teoriche. 3.A.1. Peculiarità della formazione del magistrato. Abbiamo fin qui illustrato la “storia” della formazione dei magistrati in Italia, inseguendone le linee evolutive negli atti consiliari, nella attività formativa in concreto realizzata, nella sua progressiva strutturazione organizzativa secondo un percorso che va dal centro alla periferia (dall’accentramento degli esordi all’attuale decentramento in sede distrettuale). E’ ora il momento di affrontare in modo più diretto il tema dei contenuti e dei metodi - in termini scolastici, dei programmi e della didattica -, al fine di scrutinare quali siano state le scelte compiute e di chiarire il perché di queste scelte. Come è stato osservato nel Primo Capitolo: - la formazione del magistrato non è lo strumento attraverso il quale il “datore di lavoro” fa acquisire professionalità al lavoratore per ottenere maggiore produttività e un risultato che risponda a determinati standard qualitativi né può avere per obbiettivo quello di costruire (e far apprendere) percorsi decisionali precostituiti; seppure il problema dell’efficienza non è (e non può essere alla luce dei gravi ritardi della giustizia italiana) estraneo all’esercizio della giurisdizione - di modo che il tema dell’organizzazione del lavoro del giudice rientra a pieno titolo tra le materia di “studio” e approfondimento -, la formazione del magistrato tende in primo luogo a fornirgli gli strumenti (la <<cassetta degli attrezzi>>) per trovare (da solo) le soluzioni sostanziali corrette ed adeguate e i percorsi processuali più garantisti, efficaci ed efficienti; - per individuare obbiettivi, contenuti e metodi della formazione deve operarsi una distinzione tra (formazione diretta alla) attività giurisdizionale e (formazione diretta alla) attività di organizzazione e direzione degli uffici; per la seconda è possibile mutuare (valutandone i risultati e adeguandole) tecniche di formazione già sperimentate, in particolare nel settore della gestione pubblica e privata dei servizi (scolastici e socio-sanitari); per la prima è necessaria un’attività “creativa” dall’interno, la quale ha peraltro necessità dell’apporto di esperti, che colmino le lacune conoscitive della struttura consiliare di formazione; 183 - una ulteriore distinzione deve essere operata tra (formazione diretta alla) attività di gestione del processo e attività di sussunzione della fattispecie concreta nella fattispecie astratta; la seconda, implicando la formulazione di un giudizio di diritto e presupponendo essenzialmente conoscenze teoriche di diritto sostanziale, si adatta, almeno in parte, a forme tradizionali di insegnamento; la prima, presupponendo l’acquisizione di capacità di gestione degli strumenti processuali in relazione ai fini perseguiti di volta in volta e richiedendo non solo la padronanza dei fondamenti teorici del diritto processuale civile e penale ma anche la capacità di utilizzarli in concreto operando le scelte, in particolare istruttorie, più adeguate alla fattispecie. 3.A.2. Che cos’è la formazione? Concezioni della formazione e evoluzioni dei contesti organizzativi e culturali1. Prima di scendere nello specifico dell’attività formativa realizzata, è opportuno porsi una domanda: che cosa intendiamo per “formazione”? Il termine è così largamente usato che la domanda può sembrare ovvia o retorica, ma non lo è (in particolare, quando si tratta di onfigurare e realizzare concretamente delle iniziative che coinvolgono diversi soggetti). Infatti, questa domanda, banale in apparenza, permette di sottolineare che la parola, per la sua stessa ampia diffusione, non è traducibile in una definizione solida e univoca e comprende una pluralità di significati che rimandano a diverse concezioni dell’organizzazione e del lavoro, dei rapporti che gli individui hanno con la conoscenza e i saperi, dei rapporti tra conoscenza e azione, dell’evoluzione del pensiero scientifico e anche dello sviluppo di comunicazioni e interazioni tra individui e gruppi. Ognuno ha una propria idea di formazione, probabilmente collegata al contesto sociale e lavorativo di cui fa parte e alle esperienze che hanno marcato la sua storia professionale e personale: idea che spesso è implicita anche se costituisce un riferimento centrale per orientare apprezzamenti e scelte e che è comunque riconducibile ad alcuni filoni di significati predominanti. Nella nostra società italiana della fine degli anni ’90 appare ri- 1 Nel presente paragrafo e nel successivo si utilizzano le osservazioni ed elaborazioni di F. Olivetti Manoukian, metodologa del laboratorio sperimentale per giudici minorili e della famiglia; gli esiti di questa esperienza formativa saranno sunteggiati nel prosieguo e costituiscono oggetto di una specifica relazione pubblicata (in corso di pubblicazione) in Quaderni del C.S.M., 2001. 184 corrente una concezione della formazione (che nei suoi punti cardine è quella inscritta nel sistema scolastico, ambito formativo basilare e dominante) come processo che fornisce ai singoli delle capacità rispetto all’esercizio di ruoli e compiti richiesti e non pienamente e adeguatamente padroneggiati. Si ipotizza, cioè, che capacità carenti o inesistenti possano essere acquisite attraverso la trasmissione di contenuti specifici da chi li possiede a chi non li possiede, dall’esperto all’inesperto, attraverso una sorta di travaso che riempie le lacune e porta alla interiorizzazione. I risultati non saranno uniformi e nemmeno sempre garantiti perché sono chiamate in causa le doti soggettive dei docenti e discenti, ma è questa la strada da percorrere, anche con ritorni e ripetizioni, se gli esiti sono molto lontani da quelli attesi. Questa idea della formazione presuppone l’esistenza di organizzazioni lavorative funzionanti in modo molto razionale, guidate da finalità chiare e condivise, suscettibili di scomposizioni nette e precise, pronte a ricomposizioni lineari e ordinate, organizzazioni studiate scientificamente che pre-definiscono e pre-scrivono le posizioni dei singoli e le rispettive competenze, le regole di condotta, i modi di comunicazione e di decisione, di risoluzione dei conflitti. Il funzionamento ottimale dell’organizzazione sarà il risultato della messa in pratica, da parte dei singoli, di quanto è stato fissato, nel modo più pedissequo e impersonale. Viene quindi anche supposta - o postulata – negli individui una sostanziale disposizione ad aderire in modo razionale a quanto viene loro richiesto, ad adempiere a quanto gli esperti hanno valutato corretto e necessario, secondo criteri sperimentati. Va detto che questo modo di intendere la formazione è stato per molti decenni predominante, anche perché intrinsecamente legato all’organizzazione del lavoro tradizionalmente adottata nella produzione industriale e teorizzata da F.W.Taylor (“inventore” dello scientific management, che individuando one best way - un solo modo ottimaleper ottenere i risultati attesi, richiede anche che ci sia the right man to the right place – l’uomo giusto al posto giusto). L’organizzazione meccanicistica d’altra parte si è progressivamente affermata anche nel sistema della pubblica amministrazione: il prefissare a priori con criteri impersonali e scientificamente fondati ciò che a ciascuno spetta e compete e il richiederne l’adempimento puntuale sine ira et studio porta a ridurre possibilità e ambiti di arbitrio e a garantire uniformità di comportamenti. L’organizzazione scientifica viene vista come supporto ad una amministrazione pubblica di uno stato che afferma e persegue uguaglianza tra i cittadini e parità di diritti. Da essa può derivare la certezza della esecuzione omo- 185 genea dei compiti assegnati, che assicura rapporti ordinati e imparziali all’interno dell’organizzazione e con l’esterno. In sostanza nell’accezione schematicamente richiamata la formazione appare come procedimento funzionale all’adeguamento dei singoli alle richieste di competenze operative che via via si manifestano nell’organizzazione: procedimento che fa leva sull’erogazione di contenuti che fissano che cosa e come si deve fare (secondo gli schemi più razionali ed aggiornati) e sulla conseguente acquisizione di corrispondenti comportamenti razionali ed efficienti. E’ questa una visione ottimistica che è stata messa in crisi negli ultimi trent’anni, sia da un punto di vista operativo che da un punto di vista teorico. Nel funzionamento delle organizzazioni industriali si è constatato come sforzi continui di razionalizzazione indirizzati a raggiungere un assetto teoricamente adeguato non portino a miglioramenti effettivi e a risultati soddisfacenti, come siano molto costosi e come la stessa adozione di modelli e principii in sé e per sé razionali rischi di indurre staticità e inerzie rispetto alle necessità di risposte adattive e flessibili, ad un ambiente che muta rapidamente. Diversi studiosi dei fenomeni organizzativi hanno condotto ricerche, in particolare negli Stati Uniti, per comprendere come potessero sopravvivere e avere successo delle organizzazioni alquanto distanti dalle strutture e dai modelli teoricamente prescritti, spostando anche l’interesse dalla definizione astratta di ciò che un’organizzazione deve essere e da ciò che in un’organizzazione si deve fare a ciò che nella realtà permette all’organizzazione di svilupparsi e di cambiare, di acquisire risorse, di produrre in modo soddisfacente e apprezzato. E’ stato così messo in discussione anche il tradizionale modello di formazione come trasmissione di prescrizioni e di saperi costituiti da mettere in pratica e si è fatta strada una visione dell’organizzazione come realtà complessa in cui coesistono diverse finalità e diversi interessi, diverse razionalità di cui singoli e gruppi sono attivamente portatori e non necessariamente secondo linee convergenti. Questo nuovo approccio ha trovato anche supporti e radicamenti nell’emergere (dagli inizi del novecento) di una nuova epistemologia che rompe con l’edificazione di conoscenze per accumulazioni e sistematizzazioni progressive verso omogeneizzazioni e sintesi “oggettive”, distanziate dal soggetto, alla ricerca di fissare regole e leggi, di arrivare a verità sempre più indiscutibili. E’ venuta meno la fede nel progresso e nella linearità della conoscenza scientifica, si sono moltiplicati i punti di vista, riconosciuti diversi sguardi possibili, comunque tra loro compatibili, suggeriti da percorsi casuali, da combinazioni provvisorie e 186 anche effimere: i soggetti immersi nella realtà conoscono anche attraverso l’auto-osservazione; creano, costruiscono delle versioni del mondo, delle rappresentazioni sulla base delle quali agiscono e interagiscono tra vincoli e possibilità che sono tali appunto a seconda di come sono visti, che hanno significati parziali, non definitivi, non del tutto padroneggiabili. Nell’ambito delle scienze sociali si vanno sviluppando delle correnti di pensiero che tendono a considerare il soggetto più che come individuo centrale e indipendente, in grado di dominare la natura e l’ambiente che lo circonda con la forza della ragione e della volontà, come individuo in interazione con una società in cui è sempre aperta la sfida su come e quanto si possano conoscere e governare dei fenomeni che continuamente attraversano la convivenza sociale e che sempre più appaiono come irriducibili: le ipotesi a lungo accarezzate di poter pianificare e indirizzare dei cambiamenti per costruire assetti economici e sociali più equilibrati sembrano ridimensionate e confrontate con riflessioni che sottolineano come si abbia sempre a che fare con modificazioni e permanenze, come i mutamenti vadano spesso verso esiti non attesi, come i mutamenti forse più significativi in una società siano conosciuti e compresi soltanto a posteriori. Tutto questo porta a vedere la formazione come processo più mobile e incerto, rivolto a promuovere nei singoli capacità di lettura e comprensione delle situazioni lavorative in cui sono collocati, capacità che possono svilupparsi soprattutto attraverso l’apertura e l’alleggerimento delle conoscenze sedimentate e cristallizzate, inerti e ripetitive, con un’implicazione attiva dei singoli nella ricerca di rappresentazioni “diverse” di ciò che incontrano nella realtà. Attraverso la formazione si raggiunge una forma che non è proposta o imposta dall’esterno secondo un modello prefissato, ma è piuttosto un prendere da parte di ciascuno una forma che emerge dal distaccarsi dai propri bagagli precostituiti, dal rivedere le proprie posizioni e chiusure, dall’interrogare e scavare le proprie credenze, dall’affinare ascolto e osservazione e che si costruisce in un continuo interattivo dialogo con il contesto. 3.A.3. Approcci diversi per acquisire competenze diverse. Nella realizzazione di attività formative non possiamo staccarci radicalmente dal modello razionale tradizionale. Tutta la vita nella nostra società è largamente dominata dal ricorso ad una razionalità strumentale che ci permette di far fronte a una pluralità di problemi; non 187 possiamo fare piazza pulita di modi di pensare e di agire che sono inscritti nella nostra quotidianità. Nel funzionamento delle organizzazioni e nell’agire lavorativo dei singoli si continuano a prendere decisioni e a definire linee di condotta dettate da criteri generali di ordine e di efficienza, seguendo delle logiche collaudate che indichino che cosa si deve fare per ottenere il meglio e il massimo in riferimento ai fini istituzionali: si continua ad aspettarsi che i singoli si comportino in modo razionale e seguano quanto viene fissato e prescritto per produrre e gestire attività. Ad esempio, nelle imprese si chiama in causa la logica del mercato che richiede ristrutturazioni e tagli di organico, come l’unica strada che consente di sopravvivere o nella pubblica amministrazione si definisce l’<aziendalizzazione> come la via più adeguata per recuperare efficienza. Queste soluzioni “razionali” rispondono ad esigenze effettive ed hanno molte ragioni per essere proposte. Rischiano tuttavia di mettere l’accento soltanto su una faccia dei problemi che intendono affrontare e soprattutto possono far pensare che questo è ciò che è indicato dalla scienza e dalla tecnica in modo ineluttabile e non abbiamo altra scelta che quella di sottometterci alle procedure e alle strumentazioni che per questa via ci vengono offerte. Si pensi a ciò che accade nel campo della medicina dove l’elevato sviluppo tecnologico che è stato raggiunto mette in luce in modo particolarmente evidente come la sottomissione alla razionalità strumentale possa estendersi quasi senza limiti, fino al punto da arrivare a considerare come comunque positive le sue applicazioni, anche se non danno gli esiti a cui sono specificamente finalizzate: l’operazione è andata bene, ma il paziente è morto! Sembra che ogni sorta di problema possa essere trattato e eliminato attraverso l’applicazione di una terapia appropriata e si finisce per investire soprattutto sull’affinamento delle terapie, dei rimedi, sul come fare. Se questo ha effetti positivi per problemi semplici e circoscritti, in molti casi appare un approccio fragile e incongruente. Quando si ha a che fare con problemi complessi in cui sono implicati diversi interessi non immediatamente coincidenti (ad esempio interessi del singolo e interessi dell’organizzazione, o interessi di lavoratori anziani e di giovani in cerca di lavoro, ecc.), in cui sono intrecciate diverse dimensioni (ad esempio quella del reddito e quella della salute o quella della libertà individuale e della sicurezza nella convivenza sociale o quella del controllo di un’attività e del potere di chi esercita il controllo) ricorrere in modo quasi automatico alla scansione “diagnosi-terapia-guarigione”, porta ad appiattirsi su una strumentalità che dà l’impressione di andare a risolvere il problema mentre spesso non 188 riesce neppure ad affrontarlo nella sua articolazione specifica per la limitatezza e l’incongruenza degli strumenti di analisi e di conoscenza che si è in grado di mettere in campo. La centratura sul che cosa e come fare prende il sopravvento sulla ricerca per la comprensione di ciò che è effettivamente in gioco. Per la formazione si tratta allora di tener conto dell’importanza e della necessità che i singoli acquisiscano competenze diverse in modi diversi a seconda dei contesti organizzativi e dei problemi con cui sono chiamati a misurarsi. Saranno assunti diversi orientamenti formativi che troveranno specifiche declinazioni. Se per una pluralità di abilità e conoscenze sarà indispensabile e inevitabile impostare attività formative che forniscano in modo sistematico contenuti e strumentazioni codificate, procedure operative collaudate, che diano regole di azione ben definite, per altre conoscenze e capacità sarà importante ricorrere a modelli formativi più aperti che permettano di attivare ascolto, riflessione, ricerca. Teoricamente si potrebbe ipotizzare che l’impostazione tradizionale della formazione sia più congruente per l’acquisizione di conoscenze tecniche specifiche (ad esempio l’uso del computer, l’esecuzione di ricerche utilizzando strumenti informatici, l’effettuazione di indagini tecnico-scientifiche, ma anche la realizzazione di un intervento chirurgico o la redazione di un bilancio) e possa trovare più ampio spazio nella formazione di base; per la formazione di chi ha anni di esperienza professionale e per lo sviluppo di competenze su attività complesse come il gestire dei sottosistemi organizzativi (gestire persone e risorse), promuovere innovazioni, sostenere collaborazioni e comunicazioni, prendere decisioni è probabilmente consigliabile un’impostazione orientata al secondo tipo sopra ricordato. Il ricorso ad un orientamento di formazione o all’altro non è così immediato perché ciascuno di essi implica riferimenti diversi che sono interiorizzati. Solitamente nei contesti organizzativi e istituzionali in cui i singoli sono collocati esistono declinazioni consolidate del primo tipo di formazione che non sono frutto di particolari scelte e che non sono neppure concettualmente identificate nelle loro premesse e nelle loro applicazioni: vengono praticate perché fanno parte della cultura dominante, sono incorporate nei modi di pensare e di agire. Altre ipotesi possono essere introdotte per accostamenti con altre culture e le aperture sono possibili se persone e gruppi possono intraprendere delle “di-versioni” dalle versioni abituali, ovvero dalle modalità conoscitive consolidate con cui si collocano e si orientano nel microcontesto sociale, modalità che sostengono comportamenti, eser- 189 cizio di ruoli e interazioni tra ruoli, strategie di comunicazione e decisione, considerazione di obiettivi e risultati, che sono indispensabili per l’azione e che sono radicate nelle stratificazioni culturali dell’organizzazione a cui si appartiene e nelle matrici professionali da cui si proviene. Si tratta probabilmente di intraprendere dei percorsi di ri-conoscimento su vari fronti e forse anche rispetto alla stessa formazione a cui a diverso titolo si è partecipato. Può essere interessante in questo senso richiamare in uno schema sintetico specificità e differenze che caratterizzano diverse culture della formazione. Gli schemi sono inevitabilmente semplificanti e possono costituire strumenti troppo rozzi se sono finalizzati a sistematizzare compiutamente: qui viene piuttosto suggerita un’intelaiatura che mette in risalto delle distinzioni e che ciascuno può articolare, arricchire e ispessire o dilatare con il proprio repertorio di esperienze e di saperi. Viene delineata una tipologia ovvero vengono ricostruiti due tipi di approcci alla formazione che non corrispondono esattamente a nessuna realizzazione concreta: sono composti dall’assunzione di alcune ipotesi (ad esempio che nella formazione convergano sistemi di pensiero, strutture di relazione tra soggetti e strategie di azione) e dall’osservazione empirica di una molteplicità di elementi ricorrenti che accostati ed elaborati si coagulano in rappresentazioni che possono orientare nella lettura di quanto accade nella realtà organizzativa e sociale. I due approcci si ricollegano ad orientamenti più generali con cui si accostano le questioni del governo dei fenomeni sociali e dei cambiamenti/miglioramenti che si intendono introdurre in un particolare contesto. La formazione è spesso considerata e auspicata “leva” importante per la promozione e il sostegno di evoluzioni positive e qui viene indicato come diverse posizioni e direzioni si traducano in diversi “modelli” (il termine è usato nell’accezione dell’antropologia culturale) di pensiero, di relazione e di azione. 190 MODELLI DOMINANTI SCHEMA SUI TIPI DI APPROCCI ALLA FORMAZIONE APPROCCI ALLA FORMAZIONE Modelli di pensiero Modelli di relazione Modelli di azione “sanitario” Riferimento fondamentale alla forza della ragione di cui è dotato l’uomo, che può dominare l’universo; da qui razionalità forte e univoca che regoli il funzionamento degli organismi individuale e sociali, scoperta e messa a punto attraverso la ricerca empirica. Tutto può trovare soluzione attraverso investimento di risorse (tempo e denaro) in una ricerca sistematica. Vengono definite le regole (leggi, procedure, protocolli..) con cui va affrontato ogni problema: esiste un solo modo corretto per interpretare la situazione e agire. Con la formazione si trasmettono questi contenuti Tutte le relazioni tra individui e gruppi sono riconducibili a relazioni duali e disimmetriche tra chi sa e chi non sa, tra chi possiede i saperi adeguati e chi ne è carente . Relazioni di dipendenza che ci si aspetta che siano ben accettate (che siano prive di ambivalenza) perché chi sa opera per il bene di chi non sa. Da qui anche strutturazione di comunicazioni a una via (spiegare e interrogare) e valutazioni separate e finali L’azione formativa prevede una “diagnosi” di quello che i destinatari della formazione non conoscono (diagnosi sommarie perché singoli considerati come categoria, es. nuovi assunti, capi intermedi..), l’erogazione di contenuti mirati, sistematicamente esposti secondo programmi coerenti, che riempiano lacune e deficienze (“terapia”), il raggiungimento di conoscenze e competenze(“guarigione”). Se non si hanno gli effetti voluti si “ripete”. Ogni situazione problematica può essere letta da diversi punti di vista. Esistono tante forme di conoscenza, nessuna delle quali è portatrice di verità assolute, ma tutte sono legittime e tutte portatrici di diverse ragioni: possono essere messe in comunicazione entro specifici contesti, non garantiscono certezze e la padronanza dei fenomeni è comunque parziale. Le soluzioni predisposte per alcuni problemi hanno risultati non attesi e non voluti; per molti problemi non si hanno nemmeno soluzioni. Con la formazione si cerca di sviluppare capacità di ascolto e ricerca intorno ai modi con cui si rappresentano i pb. Le relazioni tra i soggetti implicati nelle attività formative sono sempre multiple e plurali in quanto esistono diversi punti di vista (anche se impliciti o distanziati) che inter-agiscono in modo potenzialmente divergente e conflittuale. Ognuna ha una sua propria “verità” su come vanno e devono andare le cose. Relazioni cariche di ambivalenza: chi insegna è positivo, ma evidenzia inadeguatezza . Reazioni destinatari non sempre favorevoli e prevedibili L’azione formativa è costituita da un modo “inabituale” di porsi rispetto ai problemi, che porta a prendere delle iniziative nei confronti di destinatari, perché essi stessi “ri-conoscano” ciò che avviene nelle situaz. Organizzative e lavorative Le iniziative permettono di riconoscere altri soggetti e altri aspetti dei problemi Si sviluppa un processo circolare tra apprendimento e riconoscimento “sociale” 191 Il primo approccio alla formazione viene convenzionalmente denominato “sanitario”, perché, nella cultura della nostra società, è ricollegabile all’affermazione e alla diffusione della medicina che si è candidata e che è stata legittimata come scienza capace di migliorare le condizioni di vita a livello individuale e collettivo; integra un modello che tende ad assumere in modo lineare scopi generali e obiettivi specifici, a concentrare l’attenzione sui contenuti da trasmettere (si investe sulla trattazione ben congegnata dei diversi aspetti del tema, nella esposizione di concetti e definizioni affidandola a esperti, nella comunicazione a una via tra docente e discente …), a prevedere delle scansioni preordinate dal propedeutico al progredito, a fornire indicazioni dettagliate per la messa in pratica, a presupporre partecipazioni disciplinate, a riprodurre o a non tenere in considerazione dimensioni relazionali e di potere: i processi formativi vengono allestiti e confezionati (si parla in gergo di “pacchetti” formativi) in ambiti esterni e distanziati da chi direttamente partecipa, che viene visto come categoria professionale, come ruolo organizzativo, come portatore di carenze che vanno colmate. L’altro approccio - convenzionalmente denominato “sociale” per sottolinearne il radicamento nei contributi dati dalle “nuove” scienze sociali tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento - tende, invece, a realizzare attività formative partendo da conoscenze e contatti con i diversi soggetti coinvolti, a ridefinire gli obiettivi a seguito di una ricognizione preliminare, a promuovere un coinvolgimento attivo creando le condizioni perché i singoli investano nel rivedere le rappresentazioni dei problemi e valorizzino riletture delle loro esperienze: si dà importanza allo sviluppo di processi di cooperazione conoscitiva (che richiede anche di affrontare blocchi e conflitti) tra soggetti collocati in diverse posizioni e portatori di conoscenze maturate attraverso sguardi, elaborazioni, linguaggi diversi. Passando dal livello generale a quello più specifico, e di nostro interesse, della preparazione professionale dei magistrati, può ritenersi l’utilità di avvalersi di ambedue gli approcci. Al primo, quello “sanitario”, potrà farsi ricorso per la messa a punto di una pratica professionale, per l’acquisizione di una dotazione di strumentazioni operative e la fissazione di alune routines cognitive (indispensabili per operare in contesti molto variegati e su problemi complicati e multiformi). Com’è evidente in base a quanto abbiamo detto sui caratteri peculiari dell’attività giurisdizionale, questo tipo di formazione troverà valido impiego essenzialmente in relazione alle attività (in senso lato) gestionali che concorrono a far parte del lavoro del 192 giudice (ad esempio, gestione del ruolo e dell’udienza; individuazione di prassi diversificate di direzione e trattazione di categorie di controversie; impostazione delle relazioni con i vari soggetti che interagiscono col magistrato - non solo gli altri operatori del processo, ma anche e soprattutto polizia giudiziaria, servizi sociali, istituzioni …; acquisizione di conoscenze extragiuridiche necessarie, ad es., per eseguire validamente ricerche informatiche, per “leggere” un bilancio, per avvalersi efficacemente dell’attività di consulenti e periti sapendo cosa si può chiedere cosa ci si può aspettare e come deve essere valutato …), mentre non può essere assunto con riferimento alla formazione più immediatamente indirizzata all’affinamento delle capacità di decisione (al giudice può indicarsi come acquisire ritualmente una certa conoscenza, di un fatto o di una norma o di una tecnica di valutazione di un fatto, ma non come utilizzarla nella decisione del caso concreto). Il secondo approccio, quello “sociale”, sarà utile per fornire al destinatario della formazione gli strumenti necessari per una corretta analisi della realtà (la fattispecie sostanziale e processuale che gli viene sottoposta) e per trovare la soluzione (al problema sostanziale o al problema processuale) non solo astrattamente corretta ma anche “adeguata” al caso concreto, per individuare i problemi reali e risolverli, andando oltre il repertorio di prassi (di protocolli di lavoro, di soluzioni standardizzate “codificate” sulla base delle esperienze lavorative pregresse) che ognuno ha consolidato, promuovendo così dei mutamenti (delle di-versioni, come si accennava più sopra) nei percorsi cognitivi/operativi, un arricchimento e infine un miglioramento. 3.B. La formazione decentrata. 3.B.1. Le linee culturali e la “quantità” dell’offerta da erogare al centro. L’interazione tra attività formative a livello centrale e decentrato. Una ricognizione delle linee evolutive della formazione per i magistrati non può che svilupparsi immediatamente lungo il crinale del rapporto tra la struttura ed il servizio esistenti presso la sede consiliare ed il complesso dei soggetti e delle attività che nel corso degli ultimi anni si è radicato negli uffici giudiziari e presso gli organismi dell’autogoverno locale. La svolta verso un deciso decentramento dell’azione formativa rappresenta il segno forse più qualificante della storia recente del fenomeno, ed esercita dunque una influenza determinante sulla riflessione circa gli orientamenti futuri del sistema. 193 Si è trattato di un processo consapevole e largamente meditato, perché ab initio la Risoluzione sul decentramento (su cui retro, par. 2/i) è stata concepita in funzione dell’obiettivo, nel breve periodo, di avviare a soluzione i nodi irrisolti individuati all’esito del primo quadriennio di vita della struttura di formazione2, e per il medio periodo al fine di realizzare, anche in Italia, le condizioni per una vera Scuola della magistratura3. Attraverso la creazione di una rete di formatori presso i distretti si mirava e si mira a trasformare profondamente l’attività, fino ad oggi articolata principalmente attraverso l’organizzazione di incontri di studio, in un servizio di carattere permanente, idoneo a sorreggere con continuità e presso il luogo di lavoro le esigenze professionali del magistrato. Deve immediatamente sottolinearsi come il decentramento non sia mai stato concepito in senso burocratico, quale mero strumento per alleggerire il carico di lavoro della struttura centrale, né semplicemente quale moltiplicatore di attività comunque concepite ed organizzate presso la sede consiliare. Anche le prime riflessioni in proposito, per quanto presentassero una struttura ancora embrionale, esprimevano l’ambizione ad un progetto integrato di sviluppo della formazione4 ma il dibattito successivo ed il concreto avvio dell’esperienza hanno reso manifesta ciò che potrebbe definirsi la ineluttabilità concettuale del decentramento. La formazione dei magistrati, per i suoi agenti ma anche per una fascia sempre più vasta dei suoi fruitori, è ormai questione ben lontana da una logica di aggiornamento, perché investe l’essenza stessa del modello professionale, sorreggendone i connotati di efficienza e indi- 2 E tra questi, principalmente, l’ampliamento della platea dei destinatari, il perfezionamento delle attività di formazione dei dirigenti, dei magistrati specializzati, dei mutanti funzione, dei magistrati onorari. 3 Cfr. Risoluzione cit., pp. 2-3. Anche nella Risoluzione approvata il 22 luglio 1999, sulla quale si tornerà tra breve, si rileva dal Consiglio come resti inappagata la “esigenza di istituzione della Scuola per la magistratura 4 La relazione dei magistrati collaboratori (ex art. 20 reg. int.), approvata dal Consiglio superiore nella seduta dell’11 ottobre 1995 (Quaderni del CSM, n. 88, maggio 1996, pp. 3234), già delineava due aspetti essenziali di un progetto formativo su scala decentrata: l’organizzazione di corsi in sede distrettuale e la creazione di una rete di formatori. In relazione al primo tema veniva prospettato il decentramento dell’organizzazione di alcuni incontri, al fine di coinvolgere in un arco di tempo relativamente breve un elevato numero di magistrati: ma era significativo, appunto, il rilievo che la scelta del decentramento dovesse essere intesa come necessario completamento delle iniziative svolte a livello centrale, e non quale creazione di alternative. 194 pendenza, nonché di sensibilità alle tendenze del corpo sociale. In questa dimensione l’attività formativa non può essere episodica, per la contraddizione che non lo consente. Del pari, risulta sempre meno concepibile una attività formativa priva di interazione immediata con l’attività professionale, i suoi moduli organizzativi e la gestione delle sue risorse: non più concepibile, alla fine, una attività che non coinvolga tutti i fattori che concretamente condizionano il lavoro giudiziario del destinatario, e non sia direttamente sorretta dalla relativa struttura di supporto. Come è stato osservato in più sedi, riprendendo del resto concetti ormai acquisiti con riguardo ad ogni tipo di struttura produttiva, la formazione continua ambisce a trasformare l’organizzazione, condizionandola tra l’altro ed appunto a produrre formazione. Si tratta di un approccio ben più ambizioso, ad esempio, di quello seguito in Francia, dove l’attività c.d. di “formazione continua decentrata” presenta essenzialmente la funzione di sopperire alle necessità formative dei magistrati impossibilitati a partecipare alle attività centrali, nonché ad integrare queste ultime con riferimento ai temi d’interesse locale5. In Italia, almeno nel progetto delineato dal Consiglio, la formazione decentrata, se mantiene una funzione integrativa degli interventi svolti a livello centrale, rappresenta potenzialmente il principale sussidio alla professionalità dei magistrati6. In questa prospettiva il coinvolgimento nel luogo di lavoro di un numero progressivamente più ampio di soggetti della giurisdizione non è solo la soluzione di problemi economici o di onerosità personale ed organizzativa dei trasferimenti al centro. Del pari, l’evoluzione del metodo verso forme marcate di interazione ed autogestione non è 5 Nell’ambito delle iniziative facenti capo all’Ecole Nationale de la Magistrature (E.N.M.), nel 1990 è stata istituita l’attività di “formazione continua decentrata”, imperniata sulla designazione presso ciascuna Corte d’Appello di un “magistrato delegato alla formazione” (M.D.F.), che propone ad un “Consiglio di formazione” presieduto dai capi di corte un programma annuale destinato ai magistrati del distretto. Il programma viene sottoposto all’E.N.M., che delibera sul finanziamento di ciascuna iniziativa contenuta nel programma. Le iniziative approvate sono successivamente realizzate dal M.D.F. Le attività decentrate hanno finalità essenzialmente complementare, riguardano allo stato 2000 magistrati l’anno e si discute della loro utilità. Salvo che per quanto previsto per i magistrati impediti dal partecipare alle attività centrali, è poi evidente l’ambito esclusivamente localistico dei contenuti delle attività formative. Quanto alla formazione iniziale, pur essendo previsto lo svolgimento da parte degli uditori giudiziari di attività formative su base locale, queste ultime sono organizzate direttamente o indirettamente da parte dell’E.N.M. 6 La Rete dei formatori locali è infatti, almeno sulla carta, struttura erogatrice di una formazione a tutto tondo, con estensione anche alla ricerca ed alla sperimentazione metodologica. 195 solo espediente didattico, ma condizione del perseguimento degli obiettivi. La rilevanza di ruolo delle strutture decentrate nella rilevazione dei bisogni, ancora, non è solo metodo più sensibile di orientamento dell’azione, quanto piuttosto premessa affinché l’organizzazione recepisca con immediatezza e favore, così sostenendola e incentivandola, la proposta formativa7. Per esprimere con nettezza questa linea potrebbe dirsi che il decentramento della formazione dovrebbe essere attuato quand’anche, in un mondo per la verità immaginario, la struttura centrale fosse in grado di coinvolgere tutti i magistrati in attività diversificate e sufficientemente continuative. Le implicazioni di questi concetti in tema di organizzazione del decentramento, nonché di contenuti e metodi della formazione decentrata, saranno riprese tra breve, trattando delle prospettive di sviluppo della rete dei formatori distrettuali. Qui premeva e preme soprattutto porre in luce la logica della doppia linea di sviluppo che sta delineandosi per il futuro della formazione dei magistrati italiani. Doppia linea di sviluppo vuol dire anche, e necessariamente, che va preservata ed anzi moltiplicata la vitalità dell’azione formativa centrale, pur dovendo quest’ultima segnare, a sua volta, una propria e netta evoluzione. Anche in questo senso la Risoluzione del 1998 in materia di decentramento si era caratterizzata per una opzione meditata e consapevole, fondata su considerazioni ancor oggi pienamente attuali. Vanno almeno ricordati, senza riprodurli per ragioni di sintesi, i riferimenti determinanti alla qualità particolare del corpo docente disponibile per iniziative di portata nazionale, al livello massimo della garanzia di pluralismo culturale per l’offerta, soprattutto al ruolo insostituibile delle iniziative centrali per lo scambio culturale ed operativo tra realtà giudiziarie diverse e per la diffusione sul territorio delle soluzioni organizzative ed interpretative che lo meritassero. Di più, si può dire oggi senza alcun compiacimento e senza alcuna disattenzio- 7 Sembra meritare citazione uno dei passaggi qualificanti della Risoluzione citata, allorquando viene osservato:”Una formazione che voglia realmente essere continua, ed idonea a sostenere un corpo giudiziario caratterizzato da elevata mobilità territoriale e di funzioni, deve realizzarsi non più soltanto a latere dell’ordinaria attività lavorativa, ma avvicinarsi, quanto ai tempi ed ai luoghi della fruizione da parte di ogni singolo soggetto, a quelli della concreta attività di lavoro. Il che appunto rende più vicino l’obiettivo che la formazione permei fortemente la qualità dell’organizzazione degli uffici, in relazione all’esigenza dei singoli quale strumento di assicurazione della funzionalità collettiva. In questa prospettiva la locuzione “formazione decentrata” non è tale solo per il luogo ed il tempo della sua somministrazione, ma diviene sinonimo di formazione continua”. 196 ne per le carenze non trascurabili del servizio offerto negli ultimi anni, che gli incontri di studio organizzati dal Consiglio, attraverso le attività preparatorie e la loro concreta attuazione, hanno rappresentato nel complesso un motore per l’intera ricerca italiana sulle scienze giuridiche e sull’ordinamento giudiziario, per il grande impegno e contributo dei magistrati e grazie anche alle sempre maggiori sollecitazioni rivolte al mondo accademico ed a quello delle professioni8. Ciò si nota, in questa sede, al fine di evidenziare che una seria contrazione dell’offerta centrale sarebbe concepibile solo a prezzo di una riduzione del livello complessivamente proprio della formazione che l’autogoverno ha procurato per il corpo giudiziario. Altra questione naturalmente, come del resto si è appena accennato, è quella del necessario adeguamento delle sue caratteristiche ai mutamenti della giurisdizione e della stessa riorganizzazione delle strutture di formazione. Il biennio sostanzialmente trascorso dall’epoca in cui il progetto del decentramento è stato formalizzato ha confermato ed avvalorato la scelta di una evoluzione non concorrenziale delle due linee di azione. E’ certo vero che i tempi della complessa selezione dei formatori distrettuali, ai quali si sono ovviamente aggiunti quelli necessari per l’organizzazione delle loro strutture e l’avvio della loro attività, solo recentemente hanno dato luogo (e non ovunque) ad una effettiva contestualità delle esperienze e delle offerte. E’ significativo tuttavia che la stessa riflessione collettiva dei formatori locali, che per sua natura avrebbe in astratto potuto caratterizzarsi in senso opposto, abbia in concreto ribadito l’importanza delle sinergie con un centro propulsivo ed attivo su tutti i fronti, pur naturalmente evidenziando ed in qualche misura rivendicando l’autonomia culturale ed organizzativa del lavoro decentrato. Il seminario “Formazione dei formatori” svoltosi nel dicembre 2000 (che ha costituito una sorta di congresso di fondazione della rete distrettuale, e che per altro aveva trovato significative anticipazioni nella corrispondente iniziativa del 19999), ha registrato una significativa assonanza delle logiche sottese alle soluzioni elaborate ed il criterio essenziale di coesistenza e sinergia tra i due livelli della formazione (cfr. supra, par. 2/i, e infra, par. 3/b). 8 Basti considerare, a questo proposito, la frequenza elevatissima con la quale le riviste giuridiche pubblicano, nel testo originario o con modificazioni non strutturali, elaborati predisposti dagli Autori nell’ambito della programmazione dei singoli incontri di studio. 9 A tale iniziativa, dedicata in larga misura allo studio del decentramento ma svolta prima della selezione dei referenti, avevano partecipato molti magistrati già impegnati nelle attività formativa e dunque successivamente designati quali formatori locali. 197 Il Consiglio superiore, dal canto proprio, ha confermato in più sedi e contesti l’opzione strategica per lo sviluppo parallelo delle strutture formative. Così ad esempio nella risoluzione del 22 luglio 1999, approvata unanimemente dall’assemblea plenaria e concepita per puntualizzare una fase del dibattito in continua evoluzione sull’attività in questione, si è ribadito il concetto di una “... struttura di formazione decentrata, destinata ad affiancare ed integrare l’ineliminabile momento del confronto in sede centrale tra esperienze professionali diverse, in una visione unitaria e non localistica dei compiti connessi all’esercizio della giurisdizione”10. Di fatto la programmazione del 2000 ha visto la proposta iniziale di 51 iniziative di formazione (due delle quali da realizzarsi su base distrettuale od interdistrettuale, proseguendo nella particolare ed all’epoca esclusiva attuazione del decentramento che vede realizzare in periferia, sia pure con margini elevati di autonomia scientifica ed organizzativa, cosi essenzialmente concepiti al centro), divenute poi più numerose sia per il carattere reiterato di talune delle iniziative11, sia per l’attuazione di corsi deliberati in via straordinaria12. Analogamente la programmazione per il 2001, maturata nel contesto della effettiva costituzione della rete per il decentramento, ha conservato sostanzialmente inalterata la struttura e la quantità dell’offerta formativa centrale: 50 iniziative, una delle quali di carattere decentrato, ed altre da reiterarsi in più occasioni, espressamente studiate per accostarsi a quelle che sarebbero maturate, e stanno in effetti maturando, nei singoli distretti13. La sommaria ricognizione appena compiuta documenta come, nelle intenzioni ma anche nelle prassi (e pur restando più che mai attuale un impegno di ristrutturazione della spesa e delle risorse organizzative), il progetto culturale di una formazione integrata e non recessiva in alcuno dei suoi aspetti abbia manifestato una sufficiente vitalità. 10 Il testo della Risoluzione è riprodotto anche nella presentazione del programma dei corsi del 2000, in Quaderni del CSM, n. 107, 1999, pp. 13-23 11 Ad esempio ben quattro edizioni della giornata di studio su Giudice unico e riforme processuali, sul versante penalistico, hanno consentito ad oltre quattrocento magistrati di discutere l’attuazione delle riforme del 1999 nella fase essenziale della prima applicazione. 12 E’ il caso de La funzione giudiziale preliminare, programmato in via straordinaria e tenuto a Frascati nel 2000. 13 Nella presentazione del programma, pubblicato in Quaderni del CSM, n. 114, 2000, si legge tra l’altro: “ ... tenuto conto della formazione da erogarsi in sede decentrata, il Consiglio intende far sì che la sommatoria di attività si presenti comunque in crescita”. 198 Analoghe riflessioni possono essere sviluppate guardando ad un diverso aspetto del decentramento formativo, che solo parzialmente attinge il tema dei rapporti tra il Consiglio superiore e la “sua” rete di formatori dislocati sul territorio, e riguarda piuttosto l’attività gestita nei vari distretti dai Consigli giudiziari. Tali ultimi organismi, come altrove si è avuto modo di notare, sono stati coinvolti in iniziative di formazione secondo una linea di cauto decentramento promossa dall’Istituzione consiliare, con particolare riguardo al coinvolgimento nell’organizzazione di corsi di diritto comunitario. E’ questo un aspetto del possibile rapporto tra Organismi collegiali, sul quale per altro potrebbe incidere, in senso riduttivo, proprio la effettiva istituzione dei referenti distrettuali, ai quali il Consiglio potrebbe “delegare” anche la gestione delle iniziative pianificate su base nazionale. Anche per tale ragione l’aspetto più importante ed innovativo riguarda le competenze “proprie” dei Consigli giudiziari, attribuite direttamente da fonti di normazione primaria, competenze per le quali il tema del rapporto tra centro e periferia si atteggia in modo affatto diverso, e per certi versi speculare, rispetto a quanto non sia stato per l’esperienza fino ad oggi maturata. Si allude qui ai compiti di formazione riguardanti i giudici di pace, che la legge fin dal 1991 attribuisce appunto ai Consigli giudiziari, e che le recenti riforme connesse all’avvio della giurisdizione penale onoraria (legge 468/99) hanno dilatato e reso più stringenti. E si allude, naturalmente, anche ai compiti delineati per la formazione degli uditori giudiziari nel vigente Decreto presidenziale in materia (cfr. infra, par. 3 D.). Con riguardo a questi versanti dell’azione formativa si pone la questione, comune su un piano più generale ad ognuna delle competenze tipiche dei Consigli giudiziari, del ruolo di coordinamento ed impulso del Consiglio superiore, e della sua portata14. Qui conviene limitarsi a notare, con riguardo all’esperienza concreta e recentissima del tirocinio per i giudici di pace, che il Consiglio superiore è intervenuto con due circolari15, espressamente funzionali ad impartire “diret- 14 Qui rileva naturalmente, e soprattutto, la delibera su decentramento e Consigli giudiziari approvata dal Consiglio Superiore della magistratura il 20 ottobre 1999. Il documento contiene specifici riferimenti al tema della formazione, ed ai rapporti tra 9^ Commissione consiliare e strutture del decentramento, anche se il tema appare chiaramente impostato con un rinvio a contesti futuri di riflessione specificamente finalizzata al tema stesso. Va ricordato che già con la circolare consiliare 15/1/1990 n. 505 alcune funzioni organizzative erano state delegate ai Consigli Giudiziari. 15 Si tratta della circ. n. 16167 del 24 luglio 2000 e della circ. n. 1207 del 18 gennaio 2001. 199 tive” per gli organismi distrettuali, e per la verità davvero essenziali, in un quadro normativo di ridotta articolazione, e nell’assenza di prassi suscettibili di qualche generalizzazione. Sembra importante porre in evidenza il metodo seguito per questa attività di regolazione, e cioè quello di uno sforzo di coordinamento ed interazione tra i soggetti istituzionalmente preposti alla formazione. In particolare l’intervento più recente ha fatto seguito ad un momento di matrice congressuale, organizzato dal Consiglio con il coinvolgimento di molti tra i principali protagonisti del tirocinio (rappresentanti dei Consigli giudiziari, magistrati affidatari, referenti distrettuali, coordinatori degli uffici del giudice di pace, ecc.)16, dal quale sono scaturite linee di regolazione opportunamente ispirate dall’esperienza e dal dibattito. Si tratta di prassi certamente destinate ad influenzare le linee future del complesso rapporto tra i soggetti della formazione. Un rapporto la cui concreta fisionomia molto dipende da scelte di politica istituzionale che trascendono il tema della formazione e la portata delle riflessioni qui sviluppate, e del quale tuttavia emergono ineluttabili alcuni tratti: la circolarità, la continuità, il costante coordinamento. Riportando allora l’attenzione al centro, e cioè al Consiglio superiore quale massima espressione della logica di autogoverno che fonda le competenze formative, si vede bene come una parte progressivamente più importante dell’attività centrale consisterà in servizi di supporto e coordinamento delle attività svolte in ambiti territoriali più ristretti, sia per iniziativa delle stesse strutture consiliari sia in un contesto, auspicabilmente sempre più sviluppato, di iniziative dei Consigli giudiziari, dei capi degli uffici, di gruppi spontanei, ecc. In questo scenario la formazione concepita e dispensata in sede centrale si svilupperà progressivamente secondo la propria vocazione, seguendo le sue utilità esclusive. Dunque sarà una formazione di alto livello culturale, destinata a convogliare riflessioni su aspetti fondanti del sistema giudiziario e della sua evoluzione; ad assicurare per tutti i magistrati italiani la possibilità di partecipare a confronti ed iniziative di adeguato livello scientifico; a favorire il confronto interno ad aree di elevata specializzazione dal punto di vista sostanziale (ad esempio diritto fallimentare, societario, del lavoro, dell’ambiente, penitenziario) e/o dal punto di vista funzionale (giudici minorili, pubbli- 16 L’incontro nazionale, organizzato dalla 8^ Commissione consiliare, si è tenuto in Roma il 16 dicembre 2000. 200 ci ministeri, giudici per le indagini preliminari, ecc.); a favorire il confronto tra esperienze giudiziarie maturate in ambiti territoriali diversi; a sperimentare forme particolarmente avanzate di didattica ed autoformazione; ad organizzare la convergenza, e non si tratta dell’ultima osservazione in ordine di importanza, degli esiti di iniziative assunte su temi analoghi in più sedi territoriali. Sarà importante, in questo contesto, verificare quanto tempo sarà necessario affinché trovi realizzazione compiuta una delle linee di sviluppo più rilevanti tra quelle immaginate nell’ambito delle più recenti riflessioni sulla formazione, e cioè l’adozione di procedure organizzative che assicurino una interazione sempre più stretta tra la programmazione annuale del Consiglio superiore e quella, di respiro più o meno analogo, delle sedi distrettuali e, in prospettiva, degli stessi Consigli giudiziari. Non si tratta solo di assicurare l’esigenza, comunque indefettibile, di evitare sovrapposizioni, duplicazioni dell’offerta, sequenze non funzionali tra iniziative destinate a settori omologhi o riguardanti argomenti collegati. La diffusione dell’attività ideativa non potrà che arricchire i contenuti della formazione anche riguardo ai singoli versanti del suo assetto organizzativo, creando le sole premesse credibili per una circolarità che rischia, altrimenti, di restare un obiettivo culturalmente condiviso ma concretamente inattuato della struttura formativa dei magistrati italiani. 3.B.2. La rete dei formatori locali. Profili organizzativi e strutturazione della rete. Il fronte sul quale è più attuale ed effervescente lo sviluppo si identifica, senza ombra di dubbio, nella strutturazione della rete dei referenti distrettuali e nel concreto avvio della sua attività. Pei i referenti, la Risoluzione istitutiva della rete ha prefigurato una importante serie di “compiti”, distinguendo il campo della formazione permanente da quello della formazione iniziale, il settore della formazione complementare e di supporto al mutamento delle funzioni da quello della formazione per i magistrati onorari, ed ha assegnato un ruolo propulsivo di particolare importanza per la instaurazione e gestione di rapporti con realtà territoriali esterne alla magistratura. Per ognuno dei suddetti àmbiti l’offerta formativa viene progettata secondo le seguenti caratteristiche: a) agevole accesso per tutti i ma- 201 gistrati; b) duttilità nelle metodologie e vocazione alla sperimentazione ed al confronto con gli operatori esterni alla magistratura e con le altre culture e sensibilità professionali; c) capacità di valorizzare i contributi dei destinatari realizzando l’effettiva circolarità del circuito formatori-formandi. Ebbene, il processo di strutturazione della rete sta sviluppandosi secondo un ragionevole criterio di gradualità, che del resto era ampiamente prefigurato nella Risoluzione istitutiva, la quale prevedeva una piena espansione dell’attività a livello distrettuale solo dopo un biennio dall’avvio dell’esperienza17. La delibera del Consiglio superiore della magistratura in data 28 luglio 1999 per il reclutamento dei referenti distrettuali ha individuato comunque i compiti più immediati dei referenti, riassumibili in attività di: 1) organizzazione di: 1a) - incontri di studio decentrati sulla base dei programmi elaborati dal Consiglio; 1b) - iniziative decentrate ulteriori, anche riservate a fasce specializzate di magistrati (giudici delegati, giudici per i minorenni, G.I.P., magistrati di sorveglianza); 1c) - incontri per seguire, anche sotto il profilo organizzativo ed ordinamentale, l’attuazione della riforma del giudice unico di primo grado; 1d) - incontri per dibattere le novità legislative o giurisprudenziali, al fine di favorire la formazione dei primi orientamenti interpretativi; 2) promozione e divulgazione, quali: 2a) - diffusione del materiale di studio e dei contributi forniti dai relatori nei singoli incontri; 2b) - divulgazione delle iniziative centrali e distrettuali; 3) elaborazione di un progetto formativo in relazione ai magistrati onorari; 4) raccordo tra il centro ed il distretto per quanto concerne la formazione iniziale, complementare e di supporto al mutamento delle funzioni. 17 La Risoluzione del 1998 non escludeva “a priori” che lo spettro degli interventi formativi locali potesse essere suscettibile di ampliamento rispetto alla mera attività di “in-formazione”; con la cennata deliberazione, il C.S.M. suggeriva per il futuro quale “criterio empirico di orientamento quello per cui, se non militino in contrario serie ragioni di carattere didattico o logistico, non dovrebbe tendenzialmente escludersi dall’ambito della formazione locale alcuna tipologia di iniziativa. Peraltro, - proseguiva la Risoluzione - in concreto un siffatto ampliamento di iniziative non dovrebbe potersi realizzare prima di un sufficiente “rodaggio” della rete formativa territoriale, preferibilmente limitando inizialmente l’attività della stessa, nel settore della formazione permanente, alle iniziative” di in-formazione e a quelle in materia organizzativa. 202 3.B.3. La sequenza di sviluppo della formazione decentrata. Come affermano gli esperti di settore18, ogni processo formativo può essere diviso quattro tappe omogenee al loro interno (sia per finalità da raggiungere che per i soggetti che ne sono protagonisti e responsabili), le prime due di tipo politico-organizzativo e le altre di natura tecnico-professionale: a) la rilevazione ed analisi dei bisogni formativi, nel corso della quale i formatori, sentiti i destinatari (o un loro campione di rappresentanza), definiscono i bisogni realisticamente appagabili con azioni formative e dunque gli obiettivi generali dell’attività; b) la progettazione formativa, in cui i responsabili della formazione prefigurano il modello di intervento che più si adatta a tradurre in termini di risultati le necessità emerse in fase di analisi dei bisogni, programmando gli aspetti organizzativi e logistici nonché le metodologie didattiche; c) l’attuazione della formazione, in cui il progetto formativo viene messo in pratica, con gli adattamenti necessari a consentire l’effettivo raggiungimento degli obiettivi; d) la valutazione dei risultati, volta a verificare l’effettivo conseguimento dell’obiettivo prefisso. In ordine agli strumenti di rilevazione dei bisogni, essi sono normalmente identificati19: 1) nell’osservazione diretta; 2) nell’intervista (individuale o di gruppo); 3) nel questionario o in altri analoghi strumenti che si basano sulla compilazione di uno scritto. Nel corso del recente seminario sulla formazione dei formatori, pur senza escludere gli altri sistemi, si è manifestata una preferenza verso l’utilizzo di un questionario, di facile lettura e compilazione, da proporre periodicamente a tutti i magistrati presso le loro sedi di appartenenza, attraverso i canali istituzionali ad anche in via informale20. La rilevazione dei bisogni, in ogni caso, va concepita come attività permanente e continuativa che deve accompagnare l’intero percorso Cfr. AA.VV., Professione formazione, Milano, 1998, Angeli, pp. 153-154. Cfr. G.P. Quaglino, G.P. Carozzi, Il processo di formazione, Milano, Angeli, 1981, pp. 83-91. 20 Sebbene sia lo strumento di più frequente utilizzo e di più vasto consenso, il questionario, come mezzo di rilievo dei bisogni, soffre il limite dell’eccessiva distanza tra il ricercatore e l’oggetto dell’indagine (specie di fronte ad un pubblico ampio) e della eccessiva genericità dei dati, considerate la necessità di limitare le domande e la difficoltà di formulazione di interrogativi che non diano luogo a risposte standard. 18 19 203 ed i vari momenti della formazione decentrata, anche al fine di intercettare quei bisogni formativi inespressi o inconsapevoli e comunque non rilevabili attraverso risposte formali e standardizzate21. Con riferimento alle necessità di promozione della formazione decentrata, si è ritenuto che il modo migliore per suscitare curiosità, sensibilità ed interesse tra i colleghi sia quello di offrire ed assicurare, già nella fase di avvio della struttura, una serie di servizi formativi di qualità e di utilità immediatamente percepibili ed incidenti nella sfera lavorativa, nonché promuovere una rete capillare di contatti e rapporti personali coinvolgenti e motivanti. In tale ottica si è discusso della possibilità della creazione progressiva di una rete informale di collaboratori a livello distrettuale della struttura o sub-referenti, dislocati nelle varie sedi periferiche del distretto e naturalmente selezionati in ragione del grado di interesse, partecipazione e coinvolgimento mostrato per l’attività di formazione decentrata, con funzioni di: informazione e stimolo alla partecipazione dei magistrati, rilievo dei bisogni, raccolta del materiale utile alle attività formative22. Nella fase di progettazione, già in corso in molti distretti, occorre tradurre i bisogni formativi in obiettivi didattici, in riferimento alle diverse aree qualitative di apprendimento cui si riferiscono i bisogni23. Al fine di consentire un confronto sulle linee seguite nei vari distretti e di favorire l’interazione con le attività progettate a livello centrale, ciascun ufficio del referente redigerà un programma di formazione, di durata tendenzialmente semestrale (salva restando la possibilità di scelte per un maggior periodo). La programmazione delle attività potrà favorire la partecipazione dei magistrati ed accrescere l’au- 21 Si è ravvisata l’opportunità, in una fase immediatamente successiva, di presentare ed esplicare il questionario mediante appositi incontri in ambito circondariale, compatibilmente con le dimensioni e le distanze che caratterizzano ciascun distretto. Si è ritenuto inoltre particolarmente indicato, al fine di sensibilizzare e mobilitare l’interesse dei colleghi sulla formazione decentrata, accompagnare il lancio del questionario con altre iniziative formative di immediata utilità. 22 Si è, inoltre, esaminata la possibilità di suscitare l’interesse dei colleghi verso la formazione decentrata, attraverso un sistema di incentivi quali, a titolo esemplificativo, la valorizzazione, in sede di relazioni e autorelazioni, dell’impegno mostrato nelle attività formative. 23 La scienza della formazione distingue l’area delle logiche (gli approcci ed i valori di fondo che sottendono un oggetto dell’apprendimento), quella delle metodiche (i modelli operativi ed i processi mentali stabilizzati con i quali è possibile affrontare operativamente l’oggetto di apprendimento) e quella delle tecnologie (l’apprendimento d’uso degli strumenti tecnologici a disposizione per gestire l’oggetto dell’apprendimento); cfr. R.F. Mager, Gli obiettivi didattici, Rocca di S. Casciano, 1982. 204 torevolezza dell’ufficio del referente nella fase nevralgica di esordio della struttura decentrata; bisognerà peraltro evitare i rischi di irrigidimento dell’azione formativa, che dovrà conservare capacità di pronta reazione ai bisogni di improvvisa maturazione (es. in riferimento all’approvazione di riforme legislative). 3.B.4. I contenuti ed i metodi della formazione decentrata. Si è detto poco sopra che la riflessione sui compiti della formazione decentrata, e dunque dei formatori distrettuali, aveva segnato uno sviluppo notevole già in fase di progettazione. Ma proprio in quella fase si era prefigurato quanto del resto è ovvio, e cioè che l’impulso decisivo alla strutturazione del progetto sarebbe venuto grazie alla partecipazione di tutti i magistrati interessati, sollecitati nel corso di assemblee distrettuali promosse dal Consiglio e del seminario sulla formazione dei formatori svoltosi nell’estate del 1999. Successivamente alla nomina dei referenti, il confronto si è ulteriormente arricchito nel corso del seminario “Formazione formatori” del dicembre 2000, aperto anche alla partecipazione dei Presidenti delle corti d’appello, nel corso del quale si sono registrate importanti linee comuni su contenuti, metodi, organizzazione della rete. I risultati raggiunti dai gruppi di lavoro sui temi della progettazione dei contenuti (ossia cosa trattare in sede decentrata) e della metodologia dell’attività formativa (come impostare gli interventi formativi)24 possono sintetizzarsi come segue. - Con riferimento alle metodologie e ai percorsi didattici e formativi, si è rilevata l’esigenza di una “sapienza metodologica” nella scelta dei metodi più appropriati, nella capacità di far dialogare le persone, nell’osservanza delle regole e dei tempi dell’esperienza formativa e si è indicato nei “gruppi di lavoro” il sistema da privilegiare in sede decentrata. Tutti i referenti, pur precisando come la formula didattica sia da stabilirsi caso per caso, hanno concordato sul fatto che sia da pre- 24 I due temi dei contenuti e dei metodi sono profondamente correlati e non possono non essere visti in parallelo; cfr. M. Buscaglioni e V. Olivieri, La progettazione dell’attività formativa, in AA.VV., Professione formazione, cit., p. 186, secondo cui: <<la progettazione dei contenuti e della loro sequenza risponde ..a logiche “razionali” nell’ambito della disciplina cui i contenuti si riferiscono; la progettazione delle metodologie è invece fortemente legata alla “soggettività” delle persone cui i contenuti sono destinati, alle contingenze organizzative…>>. 205 ferire tendenzialmente il modello delle giornate di studio con carattere seminariale, al fine di favorire il coinvolgimento del più ampio numero di magistrati, riservando a casi eccezionali il modello congressuale, e ciò anche per differenziare l’approccio da quello dei corsi promossi a livello centrale; su problemi di particolare rilievo pratico o che abbiano suscitato significativi contrasti in dottrina ed in giurisprudenza, è stato ipotizzato l’utilizzo di relazioni incrociate con dibattito che preveda una serie di interventi dei sostenitori di ciascuna delle tesi contrapposte. - Le iniziative di formazione decentrata possono avere ad oggetto qualsiasi contenuto funzionale alle proprie finalità, a prescindere dal fatto che il medesimo sia stato trattato in sede di formazione centrale. Pertanto, senza che siano possibili limitazioni “a priori”, le relative scelte dovranno operarsi soltanto sulla base della rilevazione dei bisogni formativi e delle possibilità organizzative Si possono individuare alcune linee guida in materia di contenuti della formazione decentrata, che possano formare oggetto di iniziative cadenzate nel tempo, così indicandosi anche una sorta di ordine di priorità. Vengono in primo luogo in evidenza le iniziative formative aventi ad oggetto la c.d. “informazione”, che risponde ad esigenze particolarmente sentite nei: a) settori del sapere giuridico di applicazione meno frequente (ad es. diritto comunitario, i cui corsi andrebbero ripresi con modalità idonee a coinvolgere l’attenzione dei colleghi); b) settori del sapere giuridico oggetto di recenti interventi legislativi e di recenti significative evoluzioni giurisprudenziali (ad es. pubblico impiego, sistema sanzionatorio penale e penitenziario, investigazioni difensive, riti alternativi, corruzione e frode comunitaria, il contenzioso con le banche). A livello metodologico sono stati suggeriti incontri snelli di una giornata in cui dibattere questioni interpretative d’attualità ed anche questioni organizzative correlate. Si è altresì evidenziata l’esigenza di un servizio formativo di “pronto soccorso” in presenza di repentini mutamenti normativi e giurisprudenziali e si è prospettata in tal senso la possibilità di creare con il concorso dei referenti locali una struttura permanente di magistrati esperti nei vari settori. Non si è ritenuto opportuno promuovere, a livello locale, incontri su tematiche generali non collegati a evoluzioni normative o giurisprudenziali ovvero ad esigenze di carattere locale; ciò anche alla luce della necessità di un uso razionale delle risorse di formazione, evidentemente non illimitate, da non disperdere in attività di più appropriata rilevanza centrale. Analoghe ragioni, unite a quelle della cautela connessa ai relativi temi, consigliano di non impegnare, allo 206 stato, la rete locale in attività aventi per contenuto la deontologia professionale; c) settori del sapere extra-giuridico di spiccato interesse per l’operatività giudiziaria (es.: contabilità e bilanci, tecnica bancaria e commerciale riferita anche agli adempimenti fiscali, medicina, psicologia e psichiatria, cinematica stradale, balistica, topografia ed estimo, tossicologia, urbanistica, scienza dell’amministrazione, l’urbanistica, la scienza dell’amministrazione). Nell’ambito dell’in-formazione extragiuridica, particolare menzione meritano l’informatica d’utente e le tecnica di ricerca della documentazione giuridica nelle banche dati del CED della Cassazione e, più, in generale, in quelle disponibili attraverso Internet; le relative iniziative potranno essere realizzate in raccordo con i referenti per l’informatica. A riguardo è da segnalare che, con la delibera del 7 giugno 2000 in materia di referenti informatici, il Consiglio ha già formalizzato uno stabile rapporto tra i referenti della formazione e quelli informatici, non solo per il supporto alla conoscenza dell’informatica, ma anche per la istituzione e la gestione di banche dati concernenti la giurisprudenza. - A far tempo dal programma dei corsi di formazione per il 199925, il C.S.M. ha posto in rilievo come sia necessario che su certi versanti la formazione avvenga in sede decentrata, giacché ivi è possibile l’interazione tra formazione e scelte organizzative. Il riferimento contenutistico veniva operato ai “settori più strettamente operativi dell’organizzazione giudiziaria”, nei quali le iniziative formative, “se “calate” nell’ambiente in cui le scelte organizzative vengono messe in opera, potranno risultare ad un tempo meglio calibrate ai bisogni dei fruitori e idonee a sorreggere confronti di opinioni e verifiche di funzionalità applicate ai casi concreti26”. In pratica, si pensava ai temi dell’organizzazione del lavoro del giudice (“agenda”, rapporto con il personale, ecc.), dell’informatizzazione degli uffici, dei servizi di cancelleria, dell’esecuzione civile e penale, ecc., settori da aprire agli apporti anche delle categorie estranee alla magistratura, ed in particolare delle cancellerie (che sui medesimi temi vanno incentrando parte delle proprie attività formative decentrate) e dell’avvocatura. L’attribuzione alla Rete locale di iniziative formative con i contenuti di cui innanzi è già stata valutata favorevolmente dal C.S.M. con la Risoluzione del 1998, e ciò in una prospettiva temporale immediata27. Con immedia- 25 26 27 Cfr. Quaderni C.S.M., n. 101/1998, p. 18. Cfr. Risoluzione cit., § 5.2. Cfr. Risoluzione cit., § 5.3. 207 tezza potrebbero realizzarsi laboratori di formazione in tema di organizzazione degli uffici, da promuoversi anche in collaborazione con le strutture di formazione periferiche del Ministero, che dovrebbero essere aperte alla partecipazione di esperti in scienza dell’organizzazione (ma sul punto si rinvia al paragrafo sulla formazione dei dirigenti). Le prime iniziative potrebbero riguardare i rapporti con la cancelleria, l’avvocatura, la disciplina tabellare. - La risoluzione del 1998, nell’ottica di progressività degli interventi di cui si è già fatto cenno, ipotizzava che alla fase sperimentale iniziale di limitazione dei contenuti a quelli “in-formativi” e di organizzazione, della durata di circa sei mesi - un anno, potesse seguire a fase successiva di sperimentazione, essenzialmente riferita alla formazione c.d. “di riconversione” (id est: aggiornamento per il mutamento di funzioni)28. Il riferimento era operato, in particolare, alla riconversione per mutamento di funzioni dal settore penale al civile e viceversa, con esclusione - vuoi per ragioni connesse ai numeri più limitati dei magistrati coinvolti, vuoi per la natura spesso assai specialistica delle funzioni - di mutamento di funzioni verso settori particolari29. In tale ambito, i formatori locali dovrebbero rilevare, sostanzialmente ad personam, i bisogni formativi, nonché programmare e gestire i relativi percorsi formativi [in una sorta di uditorato part-time] (sulla base di “protocolli formativi” di riferimento, da aggiornare periodicamente e da personalizzare a cura dei referenti locali). Nel corso del seminario di dicembre 2000 si è ritenuto che tale area di intervento formativo riguardi non solo coloro che hanno già cambiato funzione (dal penale al civile o viceversa, da una funzione generalista ad una funzione specializzata), ma anche chi vorrebbe mutare funzione ed ha difficoltà a farlo proprio per la mancanza di una adeguata formazione di supporto. Dovrebbero inoltre essere previste attività di riconversione specialistica anche nei confronti dei magistrati che accedono alla Corte di Cassazione30. In tale ottica è necessario che i Consigli GiudiziaCfr. Risoluzione cit., § 5.3. La Risoluzione prevede la necessità di un “respiro nazionale” per la riconversione in riferimento soprattutto a taluni mutamenti di funzioni che coinvolgono annualmente un ristretto numero di magistrati (minori, sorveglianza, fallimentare). Può in proposito sottolinearsi come nell’esperienza formativa a noi più vicina, quella francese, il supporto al mutamento di funzioni si realizzi in sede accentrata (Bordeaux o, per i consiglieri di Corte d’Appello, Parigi) attraverso sessioni teoriche di 5 giorni eventualmente seguite da “stages” pratici di altri cinque giorni presso un magistrato già in possesso delle funzioni. 30 Si sono, altresì, affrontati i problemi dei mutamenti temporanei di funzioni (dovuti ad esempio ad estemporanee applicazioni presidenziali per coprire l’udienza) e dei problemi di coloro che, senza mutare funzioni, approdano a nuovi uffici con prassi lavorative e organizzative diverse dall’ufficio di provenienza. 28 29 208 ri ed i Presidenti di Corte comunichino sistematicamente ai referenti distrettuali per la formazione tutti i casi di mutamenti di funzioni verificatisi nel Distretto31. - E’ oltremodo adatta alla sede distrettuale la trattazione di contenuti di interesse locale. Così, le condizioni socio-ambientali di determinati territori, ovvero le connotazioni di specifiche realtà socioeconomiche impongono che in sede distrettuale si svolgano attività formative, sia di carattere giuridico che di carattere extragiuridico (soprattutto nel settore delle scienze economiche e sociali, ma anche tecniche) che non troverebbero adeguato riscontro a livello nazionale (ad es. diritto marittimo, particolari forme di criminalità). Nell’ambito dei contenuti di interesse locale deve inserirsi a pieno titolo il confronto sulle esperienze giurisprudenziali di carattere processuale e sostanziale proprie di uno stesso ufficio o di uffici che trattano nel distretto la stessa materia o presuppongono professionalità contigue. Iniziative di questo tipo, da realizzarsi con riunioni periodiche (eventualmente da coordinarsi con quelle fissate dai presidenti di sezione) ma anche attraverso la circolazione di massime o provvedimenti preferibilmente su supporti informatici o on-line (con l’ausilio dei referenti informatici), avrebbero la finalità, che non può essere estranea agli obiettivi della rete, di assicurare una tendenziale autoformazione in sede locale, attraverso la mutualizzazione delle informazioni e la consapevolezza dell’eventuale diversità delle soluzioni interpretative ed applicative32. - Sempre con riferimento ai contenuti, la formazione locale può articolarsi anche per relationem, in riferimento ai temi trattati in sede 31 I referenti hanno ritenuto che, come previsto dalla risoluzione del 1998, la realizzazione di iniziative a contenuto di riconversione non dovrebbe aversi se non dopo una fase di sperimentazione della funzionalità della rete; tale differimento di operatività si rende necessario onde consentire i congrui interventi organizzativi che permettano ai referenti di conoscere per tempo i futuri tramutamenti. 32 Alcune voci hanno sollevato il dubbio che attività della specie, di per sé delicate in quanto suscettibili di incidere sull’attività giurisdizionale, debbano spettare ai dirigenti degli uffici. Altri ha al contrario affermato che il collegamento ed il confronto tra i magistrati del distretto che esercitano le medesime funzioni dovrebbe costituire obiettivo essenziale della Rete, sì da darsi vita ad un “laboratorio permanente delle prassi”, favorendosi il confronto anche con l’avvocatura e con i magistrati aventi diverse funzioni (ad es. pubblici ministeri e giudici; giudici di primo grado e di appello). La finalità di tali iniziative sarebbe quella di divulgare le migliori prassi operative o comunque - come rilevano i referenti di Trieste - prassi processuali “condivise” in funzione di un obiettivo di prevedibilità della giurisprudenza, salva l’autonomia dei singoli magistrati. Il gruppo ha ritenuto possibile l’organizzazione d’iniziative con i contenuti ora accennati sin dalla fase di avvio dell’operatività della rete. 209 centrale, in una duplice prospettiva: a) quella della diffusione capillare in sede locale delle risultanze degli incontri di studio tenuti in sede centrale, eventualmente mediante apposite relazioni informative di alcuni magistrati del distretto partecipanti ai corsi centrali o comunque attraverso la distribuzione di copia del materiale informatico realizzato a livello centrale; b) quella della preventiva preparazione dei partecipanti del distretto sui temi da trattare in sede centrale. Avuta la disponibilità dei nominativi degli ammessi ai diversi corsi centrali, i referenti possono assumere opportuni contatti per individuare i colleghi maggiormente adatti e disponibili a riversare in sede locale, con le modalità più congrue (brevi riunioni o brevi relazioni), i contenuti dell’offerta formativa centralizzata; in ogni caso, avvalendosi anche del supporto informatico, i referenti, avuta la disponibilità dei materiali, potranno curarne la diffusione. Queste iniziative di formazione, proseguendo ed estendendo un modulo già sperimentato in riferimento ai corsi per uditori giudiziari, potrebbero avere ad oggetto anche la preparazione dei corsi centralizzati (“cassa di risonanza bidirezionale”). A conclusione delle attività in questione, i referenti potrebbero redigere un breve resoconto da inviare al C.S.M.. - Nel momento in cui l’ordinamento sempre più si apre ai rapporti con ordinamenti stranieri, l’in-formazione al di fuori del campo giuridico deve indirizzarsi anche alle iniziative in tema di linguaggi giuridici e lingue straniere in generale con un’offerta proporzionata ai diversi livelli di abilità individuali33; specifico supporto finanziario andrebbe reperito a tal fine, in linea con analoghe iniziative assunte nel comparto del pubblico impiego. 33 Si propone di programmare corsi di lingua inglese da svolgersi preso la sede giudiziaria centrale o nei singoli tribunali, con moduli differenziati a seconda delle esigenze lavorative di ciascuno: lezioni individuali o lezioni in piccoli gruppi, suddivisi per livelli di conoscenza della , corsi avanzati; corsi on line. L’attenzione per la formazione linguistica dei professionisti del comparto legale è priorità dell’U.E. che nell’ambito dell’Azione Comune 96/636/GAI - c.d. azione Grotius - ha incentivato la “formazione nei linguaggi professionali e nel diritto comparato” (cfr. ad es. bando per il 2000, punto 3). Ai sensi dell’art. 3, co. 2 della Carta della “Rete Europea di Formazione Giudiziaria” (alla quale sta per aderire il C.S.M.), inoltre, rientra tra le priorità delle attività dei responsabili europei per la formazione dei magistrati quella di realizzare attività coordinate miranti alla promozione delle abilità linguistiche. La crescente “attrazione” della formazione linguistica dall’area del bagaglio culturale personale a quella del bagaglio professionale (per il quale ultimo sussiste un diritto-dovere di adeguamento in base a formazione erogata dall’amministrazione) è, poi, testimoniata dalla previsione delle conoscenze linguistiche quale requisito per l’accesso a molte pubbliche funzioni (ciò che vale anche per i futuri accessi in magistratura) nonché dalla frequente contrattualizzazione di un diritto del pubblico impiegato a fruire di una formazione linguistica con il contributo finanziario dell’amministrazione. 210 - Con riferimento agli strumenti della formazione decentrata, si è ritenuto indispensabile il pieno utilizzo delle più moderne tecnologie informatiche e telematiche, sfruttando al riguardo le potenzialità già esistenti, in raccordo organico con il Ministero di giustizia, le sue strutture periferiche (CISIA) e la rete dei referenti informatici. Coniugando adeguatamente, infatti, la formazione decentrata con le strutture informatiche già esistenti e di possibile ed immediato accesso (RUG, RUPA), si potrà offrire ai colleghi, anche in una naturale prospettiva di futura evoluzione tecnologica, un servizio rapido ed efficace nella sua capillarità e diffusività. Vi è inoltre l’esigenza di sfruttare le nuove risorse tecnologiche informatiche per favorire una agile conduzione di rapporti tra la struttura e il corpo di magistrati operanti nel distretto34. - Particolare trattazione, nell’ambito dei lavori del gruppo del seminario di dicembre 2000, ha ricevuto la formazione dei magistrati della Corte di Cassazione e della relativa Procura Generale, per la quale sono stati nominati referenti facenti parte ad ogni effetto della rete. In relazione all’elevato grado di professionalità e conoscenze specialistiche di tali destinatari, il gruppo ha ritenuto congruo rivolgere ad essi iniziative aventi contenuto riferito a tematiche sottese all’operare quotidiano, nonché ai rapporti con i magistrati di merito, quali ad esempio le tecniche di redazione dei provvedimenti, dal confronto con i quali (all’interno del quale i cassazionisti potrebbero svolgere un 34 Interessante a riguardo la proposta dei referenti del distretto milanese, articolata secondo il seguente schema: - individuazione di tutti i magistrati del Distretto con il loro recapito professionale e personale; richiesta di fornire numeri telefonici, di fax e in particolare di indirizzo e-mail; previsione della costituzione di un indirizzo di posta elettronica “centrale” dove opera la struttura; previsione di effettuazione delle comunicazioni per posta elettronica (preferibilmente) e per fax; istituzione di una mailing list aperta a tutti i magistrati del Distretto: questa lista consentirà a tutti i magistrati di chiedere informazioni ed al contempo di porre quesiti sia di tipo organizzativo che di tipo interpretativo; si tratta di uno strumento volto a fornire aiuto immediato ai colleghi che chiedano consiglio (lo strumento ha già dato risultati positivi in altre liste “giudiziarie”); istituzione di un sito internet nel quale dovrebbero confluire i provvedimenti più interessanti che i magistrati volessero inviare per darne diffusione; il sito dovrebbe essere organizzato in modo tale da consentire un inserimento automatico nei links contenenti alcune “grandi voci”. I referenti del distretto di Napoli hanno segnalato l’opportunità di un incontro dedicato all’illustrazione delle tecniche di utilizzazione della rete Internet da parte del magistrato, da organizzare in collaborazione coni referenti distrettuali per l’informatica. Nonostante la navigazione in rete si vada diffondendo tra i magistrati, non sempre l’uso dello strumento informatico viene adeguatamente finalizzato all’ampliamento delle conoscenze tecniche ed all’aggiornamento professionale. L’uso della rete telematica potrebbe essere guidato e incentivato anche mediante la diffusione e l’illustrazione di una <guida> consistente nella raccolta ragionata di tutti i <links> utili per l’approfondimento dei vari settori di interesse. 211 ruolo di protagonisti, ma anche misurarsi con le specificità del lavoro dei colleghi di merito) deriverebbe beneficio formativo per tutti i partecipanti. Con analoghe finalità, al di là dell’organizzazione di specifiche giornate di studio, la Cassazione potrebbe organizzare iniziative formative ricevendo presso di sé magistrati di merito da far assistere alle camere di consiglio; verrebbe valorizzato in tal modo l’inserimento della Suprema Corte nella rete locale, esaltandone il ruolo ad un tempo di offerente e destinataria del nuovo prodotto formativo (formazione bi-direzionale). Il gruppo ha auspicato che i referenti della S.C. non si occupino direttamente di iniziative afferenti i contrasti di giurisprudenza, il cui superamento è affidato agli organi competenti della Corte stessa. 3.B.5. I profili organizzativi e di strutturazione della rete dei formatori. Il procedimento più efficace per individuare i profili operativi della rete non consiste tanto in una discussione di taglio astratto sul modello del decentramento; si tratta piuttosto di immaginare una forma organizzativa le cui caratteristiche siano congrue, funzionalmente, al perseguimento degli obiettivi alla rete medesima assegnati. E’ quanto si è tentato di fare nel corso del più volte menzionato seminario sulla formazione dei formatori del dicembre 2000, da cui sono emerse le seguenti linee-guida. L’attività dei referenti si ispira ad un principio di marcata autonomia, nel senso che non esiste una regola di approvazione centrale delle iniziative programmate, ferma restando la possibilità per il Consiglio superiore di intervenire sulla base delle informazioni acquisite. I Consigli giudiziari costituiscono il supporto organizzativo principale della formazione decentrata: se il flusso informativo provocherà discussione al loro interno sulle singole iniziative di formazione, ciò non potrà che aumentare le garanzie di qualità e trasparenza dell’azione formativa. E’ quanto mai opportuno un raccordo istituzionale e di collaborazione dei referenti con i Consigli giudiziari in relazione alle attività formative, non solo degli uditori giudiziari, che non dovrebbe risolversi nel mero obbligo di comunicazione delle iniziative (senza necessità di approvazione), ma anche nella partecipazione di uno o più referenti alle riunioni del Consiglio giudiziario che riguardino la formazione. Coordinamento e collaborazione in nessun caso possono passare attraverso la delega di funzioni proprie dei consigli all’ufficio distrettuale. Se responsabi- 212 lizzazione diretta vi può essere, ciò dipenderà appunto dalla concertazione e dagli accordi raggiunti in proposito. Un’ attività di concertazione analoga dovrà maturare con riguardo ai rapporti tra Consiglio consultivo della Corte Suprema di Cassazione e referenti dell’Ufficio relativo. In ordine alle modalità di organizzazione del lavoro dei referenti, si è optato per un modello flessibile di collegialità che dovrebbe interessare le linee programmatiche comuni e le attività interdisciplinari, con deleghe individuali, del tutto informali (e quindi non riduttive di un principio di responsabilità collegiale per il complesso dell’azione formativa), in relazione alle singole iniziative e in relazione agli specifici settori del civile e del penale. Non è sembrata necessaria la nomina di coordinatori per il settore civile e per il settore penale, salva restando la possibilità di decisioni contrarie in singole realtà territoriali. Secondo la valutazione concorde dei partecipanti al gruppo di lavoro, la qualità e la quantità dei compiti loro assegnati impone una sollecita considerazione del problema di una riduzione del carico di lavoro giudiziario dei referenti distrettuali. E’ stata auspicata la collaborazione tra i referenti dei diversi distretti attraverso la realizzazione di una banca dati di carattere nazionale ed iniziative comuni tra più distretti, da concertare con il vaglio del C.S.M. Inoltre si è sottolineata la necessità di un collegamento della struttura con tutti gli Enti ed Organismi pubblici (Università, Scuole di formazione, Consigli dell’Ordine, Camere di Commercio, Enti territoriali, etc.), con piena libertà di programmazione anche concertata con tali Enti. Vi è comunque la possibilità che i referenti, in casi particolari, chiedano la collaborazione di “soggetti” privati di particolare rilevanza sociale e/o scientifica e/o culturale. Si è convenuto sulla necessità di costituzione di un autonomo ufficio dei referenti, costituito presso le Corti di appello (e presso la Corte di cassazione), dotato delle indispensabili risorse (idonei locali, telefono, fax, computer, stampante, fotocopiatrice). Nella sua componente amministrativa, l’ufficio dovrebbe essere composto da almeno un dipendente, addetto full-time all’ufficio stesso, ed abile all’impiego dello strumento informatico. Ha ricevuto consensi l’idea di organizzare il flusso delle informazioni relative alla formazione in via informatica, mediante la realizzazione di una banca dati della documentazione, da mettere a disposizione dei colleghi del distretto e la creazione di un sito internet dei re- 213 ferenti35. Dal gennaio 2001 è operativa una mailing list dei referenti distrettuali, allo scopo di facilitare la circolazione delle informazioni e la collaborazione tra i diversi uffici. Appare comune la necessità di poter usufruire di una biblioteca che possa essere fornita di riviste, libri, documentazione consiliare, quale ausilio per la realizzazione dei corsi. A tal fine si è prospettata la possibilità dell’utilizzazione delle biblioteche ubicate presso le Corti di Appello ovvero la creazione di una biblioteca ex novo specificamente destinata alla formazione a livello circondariale o distrettuale. La biblioteca dovrebbe avere anche funzione di raccolta, conservazione e riproduzione del materiale di studio predisposto dal Comitato scientifico e delle relazioni depositate ai seminari organizzati a livello centrale. Inoltre, sulla base di specifiche segnalazioni dei referenti distrettuali potrebbero essere attivati abbonamenti a rivista specializzate. Si è proposto di costituire un servizio di informazione periodica, con scadenza prefissata (al più quadrimestrale), per i magistrati del distretto riguardanti le iniziative della Rete, gli incontri di studio organizzati a livello centrale dal CSM (ed anche analoghe attività svolte, nel distretto, dagli organismi dell’avvocatura e dalle Università)36. In ordine alle risorse economiche, si è operata una distinzione tra le iniziative programmate in sede centrale o comunque finanziate dal C.S.M. (che devono essere gestite da quest’ultimo), e quelle riservate all’autonomia dei referenti, da realizzarsi attraverso un meccanismo di spesa decentralizzato, che assicuri nella massima misura 35 L’attività dei referenti si ispira ad un principio di marcata autonomia, nel senso che non esiste una regola di approvazione centrale delle iniziative programmate, ferma restando l’ovvia possibilità per l’Istituzione consiliare di intervenire sulla base delle informazioni acquisite. In armonia con le regole afferenti alle procedure di spesa, gli Uffici che procedano ad attuare corsi deliberati e finanziati a livello centrale seguiranno gli adempimenti tipici dell’erogazione consiliare, sottoponendo programmi e preventivi ad approvazione ed a successiva valutazione consuntiva. Al di là delle regole del protocollo contabile i referenti operano fuori da un regime di autorizzazione od approvazione. 36 L’informazione sui temi affrontati in questi incontri dovrà essere strutturata in forma particolarmente sintetica ed essenziale e quindi riversata in una relazione redatta dai componenti del Comitato scientifico, e/o dai partecipanti al corso per ciascun distretto (eventualmente attraverso una preventiva individuazione del magistrato cui affidare la stesura della relazione informativa). Ciò al fine di mettere in condizione ciascun magistrato di capire facilmente il contenuto più dettagliato dei temi affrontati nel corso di studio e quindi avere un utile strumento di consultazione per il suo aggiornamento. 214 possibile una gestione diretta degli stanziamenti ad opera degli uffici dei referenti37. 3.C. La formazione permanente. 3.C.1. L’evoluzione dei moduli formativi. Come abbiamo già ampiamente visto nel Primo Capitolo, per lungo tempo l’unico tipo di formazione erogato dal Consiglio con continuità è stata la formazione iniziale per gli uditori giudiziali; l’attività di formazione permanente è iniziata nel 1973 ed è andata avanti fino ai primi anni ‘90 in modo episodico, per lo più in coincidenza con modifiche legislative di rilievo che ponevano esigenze, prima ancora che di formazione, di vera e propria informazione (riforma del processo del lavoro e del processo penale, l. n. 330/88, istituzione delle preture circondariali, riforma penitenziaria), e solo nei primi anni ‘90 sono state elaborate in modo organico le linee di politica giudiziaria in tema di formazione professionale. Il punto di partenza è stata l’esperienza dei corsi sulle tecniche di indagine per i magistrati di Procura presso i Tribunali e per quelli presso le Preture. Fino a quel momento gli incontri di studio erano stati realizzati secondo un modello d’insegnamento a impostazione dogmatica <<tradizionale>> sia nei metodi che nei contenuti: i corsi si articolavano in un numero standard di relazioni (per lo più, due o tre per sessione) su temi istituzionali di diritto sostanziale o processuale, il relatore esponeva l’argomento ad una platea passiva di discenti, che all’esito potevano fare brevi interventi o porre domande al relatore cui erano demandate delle conclusioni. Il nuovo codice di procedura penale, col suo sogno accusatorio, richiedeva un nuovo pubblico ministero (ed un nuovo giudice) ed i corsi di tecnica d’indagine (denominati poi corso Falcone e corso Borsellino) nascono proprio per favorire l’acquisizione delle nuove professionalità: vengono proposti conte- 37 Una soluzione prospettata consiste nell’ accredito semestrale sul bilancio delle Corti di Appello in cui singoli uffici dei referenti” sono inseriti; si richiede altresì che gli eventuali “ spostamenti” necessari per lo svolgimento dell’attività di referente locale (ad esempio viaggi nell’ambito distrettuale per verificare singole realtà locali od organizzare incontri di studio) vengano autorizzati dai Presidenti di Corte o dai Procuratori Generali, con la normale procedura prevista per le autorizzazioni relative alle attività di servizio. Si ritiene che eventuali contributi di spesa per la realizzazione di attività formative possano pervenire anche da Enti ed Organismi Pubblici, ma mai da soggetti privati. 215 nuti innovativi (metodiche d’indagine per tipologie di reati) e positivamente sperimentati metodi di didattica attiva (lavoro seminariale, dibattito guidato). In seguito, la creazione di una struttura che si occupa stabilmente di formazione e la realizzazione di programmi annuali sempre più ambiziosi (vedi Secondo Capitolo) hanno consentito di sistematizzare l’esperienza, di valutarla criticamente, di formulare progetti di miglioramento e iniziare sperimentazioni, nell’intento di fornire uno strumento formativo, una <<cassetta degli arnesi>> veramente utile per l’esercizio quotidiano della giurisdizione. 3.C.2. La formazione permanente. Nella programmazione degli incontri di studio di formazione permanente, è stata fin dall’inizio chiara la necessità di dedicare spazio, sia nel settore civile che in quello penale che nell’area interdisciplinare, ai temi di diritto sostanziale e al diritto processuale, accentuando per il secondo l’impostazione degli incontri in senso teorico-pratico. La riflessione sull’andamento e la riuscita degli incontri, sulla tipologia dei partecipanti, sul coinvolgimento degli stessi nell’attività didattica ha progressivamente portato all’emersione di alcuni dati: - gli incontri ad impostazione decisamente teorica e dogmatica rinvengono la loro “platea” naturale, oltre che nei colleghi che per formazione o attività collaterale universitaria coltivano un interesse proprio, nei colleghi con maggior anzianità di servizio svolgenti funzioni di legittimità o di appello; - l’interesse prevalente nei partecipanti è per le questioni di contenuto pratico-applicativo mentre le questioni teoriche e di inquadramento sistematico interessano nella misura in cui costituiscono il necessario supporto per la risoluzione delle prime; - la partecipazione attiva è tanto più intensa quanto più i temi trattati hanno attinenza con l’esercizio quotidiano della giurisdizione. Questi dati - che possono creare sconcerto in chi ipotizza una funzione “alta” della formazione - rinvengono fondamento in due ragioni: - il magistrato medio, compreso l’uditore con funzioni (grazie alla freschezza degli studi universitari e concorsuali), è fornito di una cultura giuridica di tipo teorico elevata ed ha di per sé gli strumenti (studi di base, approfondimenti, conoscenza dei metodi di ricerca giuridica anche informatica) per inquadrare, studiare e risolvere un problema teorico di diritto sostanziale o processuale; - l’università italiana non fornisce strumenti professionali, non in- 216 segna a gestire un processo (e il concorso in magistratura, nonostante le recenti modifiche, continua a non prevedere prove scritte di diritto processuale, che pur poi sarà applicato per tutte la vita dal magistrato) e a risolvere casi pratici e la relativa professionalità è tutta da acquisire sul campo. Sembra allora naturale che un settore quantitativamente rilevante della magistratura veda come obbiettivo primario della formazione quello di acquisire le capacità per gestire i processi, per individuare i problemi (sostanziali e processuali) e per imparare a risolverli, per acquisire le chiavi di accesso alle soluzioni. Per rispondere a questa esigenza e, al contempo, soddisfare le aspirazioni di approfondimento teorico di problematiche di specifico interesse giudiziale (si pensi al settore, importantissimo, dell’accertamento del fatto e del ragionamento del giudice), il sistema più congruo è apparso quello della diversificazione delle tipologie di incontri di studio (teorici, pratici, teorico- pratici) - per consentire un’autoselezione dei partecipanti in relazione agli specifici interessi (ed evitare tendenzialmente l’insoddisfazione che deriva dall’aver partecipato ad un’attività formativa - per di più a discapito di quella, sempre pressante, di ufficio - non rispondente alle proprie esigenze) -, delle tecniche e delle metodologie didattiche. I metodi attualmente adottati sono: a) la relazione: il docente incaricato illustra il tema assegnatogli - generalmente adottando una tecnica espositiva che passa per la ricostruzione dell’istituto, l’illustrazione delle posizioni di dottrina e giurisprudenza succedutesi nel tempo, la prospettazione dei temi controversi, eventualmente la proposta di soluzioni; alla relazione, che occupa da 30 a 45 minuti di tempo, segue il dibattito tra i partecipanti con replica o risposta alle domande del relatore; è un metodo tradizionale, adottato per lo più allorquando si perseguono finalità di insegnamento ovvero di informazione, e quindi allorquando la materia trattata presenta profili dogmatici di rilevante impegno (ed allora è sovente affidata ad un docente universitario o a colleghi che hanno compiuto studi specifici) ovvero si tratta di illustrare tematiche nuove (come nel caso di riforme legislative o di svolte giurisprudenziali); b) il dibattito guidato: il docente incaricato, cui è stata affidata la trattazione di un tema suddiviso in un numero variabile di questioni - in genere otto/dieci tra le più rilevanti e/o controverse, illustra per circa dieci minuti la 217 prima questione prospettando in modo sintetico lo stato della medesima, segue il dibattito tra i partecipanti (cui le questioni sono state preventivamente comunicate affinché possano giungere all’incontro preparati) che si svolge in modo rapido e informale attraverso interventi “dal posto” (si utilizza, quando è disponibile, un microfono volante) nei quali emergono prassi, orientamenti, esperienze, idee, interpretazioni; è un metodo che si presta in modo particolare alla materia del processo ma che viene sperimentato con risultati altamente positivi in ogni settore; dato il carattere degli interventi, si realizza la massima partecipazione favorendo una circolazione delle idee che, per quantità e qualità, non è prodotta da nessun’altra tecnica ed una riflessione corale sulle proprie scelte interpretative e sui modi della loro attuazione, un approccio critico al proprio essere magistrati; è un metodo che, esaltando il ruolo del partecipante e riducendo quello del relatore a semplice conduttore, risulta particolarmente gradito ai colleghi, che possono giocare un ruolo attivo, mettere sul campo i problemi reali da cui sono afflitti quotidianamente (senza affrontare i timori connessi ad un intervento formale che segue una relazione onnicomprensiva), confrontare le soluzioni; la riuscita dipende, ovviamente, anche dalla buona selezione delle questioni per il dibattito, al che contribuisce il fatto che il metodo è adottato in prevalenza in corsi di base (processo civile, tutela sommaria cautelare e non cautelare, processi di separazione e divorzio, procedimenti minorili …) che vengono riproposti periodicamente di modo che l’esperienza dell’uno (verifica delle questioni che maggiormente appassionano i partecipanti, di quelle che appaiono ormai pacificamente risolte, di quelle che si affacciano per la prima volta in collegamento a casi particolari) viene utilizzata nella preparazione di quello successivo e così via. c) il lavoro di gruppo: il docente incaricato (sovente si tratta di docente incaricato di tenere anche una relazione o un dibattito guidato) conduce il lavoro approfondendo alcuni dei temi più problematici o che hanno suscitato maggiore interesse tra quelli affrontati nella relazione; i risultati del lavoro di gruppo in genere vengono riportati in sessione plenaria e una relazione di sintesi conclude il lavoro raccogliendo gli spunti più interessanti; si tratta di una modalità di lavoro utilizzata con successo nei corsi interdisciplinari per consentire l’approfondimento sia delle tematiche comuni (ad es. a civilisti e penalisti, a giudici minorili e magistrati di 218 sorveglianza …) che di quelle settoriali e per far emergere attraverso le relazioni dei coordinatori dei gruppi e la sintesi le linee unitarie dell’ordinamento giuridico; è un metodo assai utile per i corsi dedicati a magistrati che svolgono funzioni che prevedono l’utilizzo da parte del giudice di poteri discrezionali particolarmente ampi o che richiedono l’impiego di conoscenze extragiuridiche; d) lo studio dei casi e le simulazioni: costituisce una tipologia di lavoro di gruppo, che si caratterizza per il fatto che il coordinatore del gruppo guida l’attività di questo attraverso lo studio di un caso, talvolta con il supporto di un fascicolo processuale (simulato), di cui viene studiato lo sviluppo in modo cadenzato e articolato in fasi: esame del fascicolo ad opera dei partecipanti, illustrazione di momenti topici dello svolgimento processuale simulato con approfondimento teorico degli istituti, stesura di provvedimenti, simulazione di attività processuale; si tratta di una tecnica sperimentata con risultati molto positivi nei corsi per gli uditori giudiziari. 3.C.3. La scelta dei docenti. Momento di rilievo nella strutturazione di un’attività di formazione è costituito dalla scelta dei formatori. Per la formazione dei magistrati italiani la scelta è stata quella di un corpo docente non stabile ma variabile, che desse soprattutto garanzia di pluralismo. Infatti, in relazione alle caratteristiche che rendono peculiare la formazione permanente dei magistrati ed al livello di preparazione e di immedesimazione nel ruolo dei destinatari della formazione, è stata preferita la circolazione delle idee che promana da un corpo docente vario nella sua composizione e per lo più intercambiabile alla sistematicità (ma anche omogeneità e forse omogeneizzazione) che promana da un corpo docente stabilizzato. Il grande “serbatoio” da cui attingere i relatori è l’intera magistratura, essendo in primo luogo la formazione dei magistrati una formazione fatta da magistrati per altri magistrati in un processo di osmosi e comunicazione continua. Ai magistrati si aggiungono i docenti universitari, gli Avvocati dello Stato, gli avvocati, i notai; la partecipazione dei rappresentanti del mondo accademico e delle professioni giuridiche ai nostri incontri di studio è importantissimo, in quanto realizza un proficuo con- 219 fronto tra diversi operatori del diritto favorendo il formarsi di una cultura comune (di cui sono espressione anche le scuole di preparazione alle professioni giuridiche, la cui entrata in unzione è ormai prossima). Per l’individuazione dei professori universitari di fondamentale ausilio è l’apporto di conoscenza (e di conoscenze) dei professori e dei professori-avvocati che fanno parte del Comitato Scientifico; sono di guida in ogni caso i loro scritti e di grande utilità i proficui contatti, forieri anche di utili consigli e indicazioni, stabiliti in occasione degli incontri di studio cui i rappresentanti del mondo accademico partecipano con entusiasmo e dedizione. Assai più difficile è individuare (in numero significativo) avvocati e notai che, per interesse personale alle varie materie e capacità didattiche, possono utilmente partecipare agli incontri di studio; un grande contributo per conoscere le infinite potenzialità di queste categorie verrà senz’altro dai formatori distrettuali. Per quanto concerne i relatori magistrati la loro selezione avviene sulla base di una serie di indici che si combinano variamente tra di loro: titoli scientifici (pubblicazioni), titoli professionali (ad es. provvedimenti pubblicati ma anche particolari esperienze di vita giudiziaria, come la conduzione di indagini o di processi penali in materie particolarmente complesse in fatto o in diritto o la gestione di un contenzioso specializzato), esperienza didattica in altri settori (ad es. esperienza didattica con gli uditori giudiziari in sede distrettuale; insegnamento anche occasionale in corsi universitari, nelle scuole di notariato, nei seminari di applicazione forense e nelle scuole forensi, nelle scuole delle forze di polizia, etc.); l’individuazione avviene per canali diversi: in primo luogo, indicazione da parte dei formatori distrettuali ma anche conoscenza attraverso i titoli, conoscenza attraverso informazioni acquisite dai colleghi, conoscenza in occasione di incontri di studio (interventi svolti), autopromozione (i partecipanti agli incontri di studio possono indicare nell’apposita scheda se intendono assumere la funzione di relatore e per quali materie, indicando titoli e/o motivi che sostengono la richiesta; ogni magistrato può chiedere, inviando un’autorelazione, di essere inserito tra i possibili relatori). Nell’individuazione dei relatori magistrati per i singoli corsi si tiene conto altresì di esigenze di rotazione e, nei limiti del possibile, di rappresentanza geografica e per sessi; questo sistema di selezione è piuttosto empirico ma si è rivelato finora estremamente efficace e ha fatto emergere le mille e una capacità e professionalità che la magistratura ha in sé. 220 3.D. La formazione iniziale. 3.D.1. La nuova disciplina del tirocinio degli uditori giudiziari (d.p.r. 17 luglio 1998). Con delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 11 giugno 1998 è stato varato il nuovo regolamento per il tirocinio degli uditori giudiziari, recepito - secondo una prassi remota che non immuta la natura “consiliare” della disciplina - nel D.P.R. 17 luglio 199838, pubblicato in G.U., s.g. 24 luglio 1998, n. 171. L’entrata in vigore della disciplina è stata fatta coincidere con l’inizio, avutosi nel settembre 1999, del tirocinio degli uditori del concorso indetto con decreto ministeriale 16 gennaio 1997. Il D.P.R. ha formato oggetto di confronti tra i magistrati interessati alle tematiche formative nell’ambito del seminario di pratica professionale organizzato dal C.S.M. sul tema “Formazione dei Formatori”, tenutosi a Roma dal 21 al 23 giugno 1999. All’esito del confronto svoltosi in tale consesso, il C.S.M. emanava la circolare n. 152452 del 30 luglio 1999 avente ad oggetto Direttive relative al tirocinio degli uditori giudiziari vincitori del concorso indetto con D.M. 16.1.1997; detta circolare fornisce utili indicazioni interpretative in merito al nuovo regolamento per il tirocinio, rinviando a successiva circolare per quanto attiene agli aspetti della nuova normativa afferenti la valutazione dell’uditore (il riferimento è all’art. 14 del D.P.R.), che pongono i maggiori problemi applicativi. 3.D.2. La definizione delle finalità del tirocinio. Il nuovo regolamento non mira a sovvertire l’impianto della precedente disciplina, risalente al 1988, il quale, nel solco spesso di una tradizione più risalente, si era rivelato sostanzialmente all’altezza dei 38 Significativo in tal senso è il dato per cui il regolamento è stato adottato dal Presidente della Repubblica nella sua veste di Presidente del Consiglio Superiore. Sul piano normativo, va tenuto conto che se la potestà in argomento veniva originariamente conferita dall’art. 129, co. 2 dell’ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 al Ministro di Grazia e Giustizia , l’art. 48 del D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 - attuando l’art. 105 della Costituzione repubblicana e la legge istitutiva del C.S.M. n. 195 del 24 marzo 1958 - prevedeva che “le norme per il tirocinio degli uditori, previste dall’art. 129, ultimo comma, dell’ordinamento giudiziario sono determinate dal Consiglio superiore sentito il Ministro”. L’oggetto di detta potestà regolamentare non subisce dalla legge limitazioni, se non per quanto attiene alla determinazione della durata minima del tirocinio (fissata per legge in sei mesi dall’art. unico della legge 30 maggio 1965, n. 579). 221 problemi posti dal tirocinio iniziale dei magistrati, soprattutto per quanto attiene all’articolazione prevalentemente decentrata del tirocinio, alla sua distinzione in una fase ordinaria ed in una fase mirata alle funzioni da svolgersi dall’uditore (fasi connotate da diverse impostazioni dell’azione formativa), all’individuazione dei soggetti preposti all’attività formativa, alle modalità dell’attività stessa39. Si ponevano tuttavia esigenze di razionalizzazione, cui il nuovo regolamento tende ad ovviare, in rapporto alla precedente inattuazione di alcune norme, nonché alle incoerenze generate dalla nuova organizzazione consiliare che, come già sappiamo, a far tempo dal 1996,40 deputava alla IX Commissione, coadiuvata dal comitato scientifico, la funzione formativa sia per i magistrati in carriera che per gli uditori. L’esigenza più sentita, peraltro, si ricollegava alla definizione delle finalità valutative del tirocinio degli uditori, nonché alla conseguente procedimentalizzazione della fase valutativa medesima, stante la consapevolezza dell’insufficienza - più sul piano della concreta prassi che dell’idoneità astratta - dello strumentario apprestato dalla regolamentazione previgente per la valutazione di idoneità dell’uditore, incentrato soprattutto sulle relazioni scritte redatte dai magistrati formatori (essendo rimaste disapplicate le norme che prevedevano, ad es., autorelazioni e lavori di gruppo degli uditori). Sul piano formale, d’altro canto, si poneva la necessità di assicurare anche all’uditore, quale magistrato a tutti gli effetti, le garanzie di difesa previste dall’art. 107 Cost. per l’ipotesi di giudizio di inidoneità che dovesse condurre alla cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario. E’ particolarmente significativo, dunque, che l’art. 1 del D.P.R. 17 luglio 1998 introduca, per la prima volta, una esplicita definizione delle finalità del tirocinio, ad un tempo formative e valutative, affermandosi che “funzioni del tirocinio sono la formazione professionale degli uditori giudiziari e la verifica della loro idoneità all’esercizio delle funzioni giudiziarie”. 3.D.3. Gli organi della formazione: natura e compiti. L’art. 1 D.P.R. cit. riconosce altresì il ruolo di sovraordinazione del Consiglio superiore a tutti gli altri organi del tirocinio, riconoscimen- 39 Così la Proposta della IX Commissione sottoposta all’Assemblea plenaria del C.S.M. in data 11.6.1998, riprodotta nel verbale, p. 4. 40 Cfr. delibera del C.S.M. del 13 luglio 1996. 222 to che non esclude che l’attività degli altri soggetti di cui il Consiglio superiore si avvale (consigli giudiziari, commissioni distrettuali per gli uditori, magistrati collaboratori ed affidatari, comitato scientifico) sia connotata da una notevole autonomia nella scelta dei modi e dei mezzi più adatti, anche in relazione alle diverse situazioni locali, per perseguire gli obiettivi fissati41. Quanto al profilo formativo del tirocinio, se il Consiglio superiore, anche attraverso il comitato scientifico di nuova istituzione, dirige e coordina l’attività formativa a livello centrale, è il consiglio giudiziario che organizza, su proposta della commissione distrettuale per gli uditori ed in relazione al coordinamento assicurato dal C.S.M., incontri di studio ed altre iniziative di formazione professionale a livello locale. Il ruolo dei formatori locali è già stato ampiamente illustrato sopra (par. 3B). Se, poi, le attribuzioni della commissione uditori, quasi tutte di natura propositiva e strumentale, rimangono sostanzialmente le medesime rispetto a quanto precedentemente previsto, un’importante innovazione viene apportata dal nuovo decreto alla composizione della commissione. Mentre, infatti, si ribadisce che essa è composta da tre magistrati designati dal consiglio giudiziario fra i propri componenti, anche supplenti, e dai magistrati collaboratori42 (di cui si dirà in prosieguo), viene previsto per la prima volta che la commissione stessa debba essere integrata - ovviamente solo quando essa debba pronunciarsi in merito al tirocinio degli uditori che abbiano iniziato il tirocinio stesso sedente il precedente consiglio giudiziario - dai “magistrati designati … dai consigli giudiziari precedenti, fino al termine del tirocinio degli uditori che hanno iniziato il tirocinio stessi mentre essi erano componenti del consiglio giudiziario”. La norma è stata introdotta per venire incontro ad evidenti esigenze di continuità della cura Così la Proposta cit., 9. Può qui notarsi che il D.P.R. ribadisce la natura della commissione distrettuale quale organo collegiale (comprendente sia i 3 componenti del consiglio giudiziario sia i magistrati collaboratori) che, come tale, deve seguire per la sua operatività le regole che l’ordinamento detta per la funzionalità dei collegi della specie. Nella prassi di alcuni consigli giudiziari, come si è avuto modo di rilevare nell’ambito degli incontri “Formazione formatori” promossi dal C.S.M., si è in passato attribuita una sorta di autonoma capacità operativa ai soli tre componenti designati dal consiglio giudiziario, che soltanto per gli atti più importanti allargavano le proprie adunanze ai magistrati collaboratori. Trattasi di una prassi da riguardarsi come illegittima, atteso che il D.P.R. individua come “commissione” solo l’organo formato dai tre consiglieri integrato dai magistrati collaboratori (ed oggi integrato altresì dai componenti del consiglio giudiziario uscente, per gli atti concernenti il tirocinio di uditori che fosse iniziato durante la loro carica). 41 42 223 del tirocinio, a fronte della durata in carica solo biennale dei consigli giudiziari, che ha sinora imposto un avvicendamento di componenti della commissione distrettuale (restando invece in carica i magistrati collaboratori). Per l’organizzazione del tirocinio, il consiglio giudiziario continua ad avvalersi di magistrati collaboratori, la cui nomina è soggetta - giusta una innovativa disposizione del D.P.R. - all’approvazione del Consiglio superiore. Si tratta di figure ormai tradizionali di tutors43, designati in numero di due (uno con competenza per il settore civile, l’altro per il settore penale) per ciascun gruppo di uditori in tirocinio ordinario, composto di regola di non più di cinque elementi;44 per il tirocinio mirato ad ufficio esclusivamente civile o penale, le funzioni di collaboratore sono svolte unicamente da quello, fra i due magistrati, che abbia specifica competenza nel settore. Permane altresì la figura dei magistrati affidatari, affidatario essendo definito il magistrato che, nominato dalla commissione distrettuale per gli uditori, “cura che l’uditore assista a tutte le attività giudiziarie, compresa la partecipazione alle camere di consiglio” (art. 11, co. 2), assegna e verifica la redazione di minute di provvedimenti. La funzione formativa è espressamente qualificata come “dovere d’ufficio” e non come attività opzionale; i magistrati affidatari e collaboratori debbono possedere determinati requisiti di professionalità ed onorabilità. Una nuova figura di magistrato collaboratore è stata istituita dall’art. 15, co. 3 del D.P.R. 1998; a differenza dei magistrati collaboratori di cui si è detto innanzi, incaricati dell’assistenza a gruppi di uditori in tirocinio, “i magistrati collaboratori di cui al[l’art. 15,] comma 3 hanno il compito … di assistere l’uditore giudiziario” cui già sono state conferite le funzioni giurisdizionali, “di collaborare con lui ai fini del superamento delle difficoltà e dei problemi connessi con l’inizio della professione e di orientarlo verso l’approfondimento e il completamento della sua cultura professionale, nonché il compito di accertare, verificare e rappresentare ogni elemento utile per la valutazione della sua idoneità professionale” (art. 15, co. 5). 43 Così la Proposta, cit., 18; i collaboratori erano denominati “direttori di gruppo” dal D.P.R. del 1962 e sono tutt’oggi definiti nel linguaggio corrente, meno burocraticamente, “capigruppo”. 44 La precedente disciplina ammetteva la formazione di gruppi di uditori pari nel massimo a 10 elementi (art. 13 D.P.R. del 1988). 224 Ogni uditore con funzioni è seguito da due magistrati collaboratori ex art. 15 co. 3, ciascuno avente il compito di seguire l’attività di non più di tre uditori giudiziari con funzioni (art. 15, co. 4). I collaboratori sono scelti secondo i criteri previsti per la nomina dei collaboratori per il tirocinio; la scelta, tuttavia, viene operata tra i magistrati del distretto in cui l’uditore viene a prestare servizio dopo il conferimento delle funzioni, ad opera del consiglio giudiziario sedente nel capoluogo di detto distretto. I magistrati collaboratori predetti “redigono ciascuno una relazione in cui riferiscono in modo specifico al consiglio giudiziario le attività svolte dall’uditore nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, dando conto analiticamente di ogni elemento concreto rilevante ai fini di una completa valutazione dell’uditore” sotto i diversi profili; relazione di cui “il consiglio giudiziario tiene conto ai fini della redazione del parere previsto dall’art. 1 della legge 2 aprile 1979, n. 97”. La cennata disciplina formalizza una funzione di assistenza a favore dei magistrati più giovani che, seppure a livello spontaneistico, vanta una consolidata tradizione. Il D.P.R. si preoccupa di affermare comunque (con disposizione inserita a seguito delle osservazioni, assai critiche, sollevate sullo schema di decreto da parte del Presidente della Repubblica e del Ministro) il principio secondo cui il compito di assistenza dell’uditore con funzioni va svolto dai collaboratori “nel rispetto dell’autonomia di cui l’uditore giudiziario è pienamente titolare nell’esercizio delle funzioni giudiziarie al medesimo affidate” (art. 15, co. 5). La primaria finalità della norma, comunque, è quella di introdurre un ulteriore meccanismo di valutazione, attraverso le relazioni dei predetti collaboratori, dell’uditore. 3.D.4. La durata del tirocinio. L’art. 3 co. 1 del D.P.R. del 1998 ha altresì innalzato la durata minima del tirocinio, che “è determinata per ciascun concorso dal Consiglio superiore della magistratura e non può, di regola, essere inferiore a diciotto mesi”, a fronte dei precedenti quindici, oltre la sospensione prevista per “i periodi feriali dei magistrati di cui all’art. 90 dell’ordinamento giudiziario, anche se l’uditore abbia goduto di ferie di durata inferiore”, nonché per talune altre assenze dal servizio dell’uditore. 225 L’avere il D.P.R. ribadito, a fronte dell’innalzamento tendenziale (“di regola”) della durata del tirocinio, che compete al C.S.M. di fissare in concreto, per ciascun concorso, l’effettiva durata dello stesso conferisce alla disciplina carattere di opportuna flessibilità, usufruendo della quale il C.S.M. potrebbe in futuro determinare che il tirocinio abbia durata inferiore ai diciotto mesi non solo in relazione ad esigenze eccezionali, ma anche in conseguenza della realizzazione delle significative innovazioni previste in materia di requisiti culturali per l’accesso al concorso in magistratura, laddove riscontri che i “curricula” delle istituende scuole “post-laurea” assicurino parzialmente - seppure nel diverso momento preparatorio al concorso, e non in sede di “on-the-job training” - il soddisfacimento dei bisogni formativi sinora assicurato dal tirocinio ordinario. 3.D.5. La documentazione dell’attività di tirocinio. Un aspetto in riferimento al quale il regolamento del 1998 in tema di formazione degli uditori giudiziari ha apportato tra le più rilevanti innovazioni è quello della disciplina della documentazione delle attività di tirocinio. La precedente regolamentazione aveva subito nella prassi parziali disapplicazioni (quanto alla prevista redazione e valutazione di elaborati e relazioni, anche collegiali, redatti dagli uditori), nonché adattamenti in relazione all’adozione generalizzata del procedimento “alternativo” per il conferimento delle funzioni di cui alla L. n. 579 del 1965, necessitato per consentire l’assegnazione della sede prima della fine del tirocinio; la nuova disciplina opera dunque talune razionalizzazioni, integrando la documentazione considerata rappresentativa delle attività afferenti il tirocinio. Del tutto innovativa è, in particolare, la previsione secondo cui nel fascicolo dell’uditore va inserito un documento denominato quaderno del tirocinio,45 redatto durante il tirocinio dall’uditore medesimo, che vi deve annotare “le attività svolte e quelle alle quali ha partecipato o assistito, formulando le proprie eventuali osservazioni ed indicando ogni altro elemento utile a dar conto dell’esperienza formativa in 45 La previsione riecheggia, sul piano nominalistico, quanto disposto, nel diverso settore del tirocinio dei praticanti avvocati, dall’art. 6, istitutivo del libretto della pratica, del D.P.R. 10 aprile 1990, n. 101, recante il nuovo “Regolamento relativo alla pratica forense per l’ammissione all’esame di procuratore legale”. 226 corso”. Il quaderno è vistato dal magistrato affidatario “che vi riporta le proprie osservazioni e le proprie indicazioni anche sugli ulteriori sviluppi dell’esperienza formativa”. “Al termine dei diversi segmenti del tirocinio - è poi prescritto dal co. 3 - il quaderno è consegnato ai magistrati collaboratori insieme ad una relazione complessiva dell’uditore sul tirocinio svolto.” Come emerge dai lavori preparatori, l’istituzione anche per il tirocinio degli uditori, come dei praticanti avvocati,46 di un diario o quaderno, nel quale siano annotate le attività svolte, è diretta ad una pluralità di obiettivi: da un lato, la descrizione analitica delle attività favorirebbe nei magistrati affidatari e collaboratori una maggiore consapevolezza del programma di formazione, indirizzando verso la completezza dello stesso; da altro punto di vista, la rappresentazione delle attività espletate costituirebbe fattore di controllo sull’operato sia dell’uditore che dei formatori; infine, dal quaderno potrebbero essere ricavati elementi valutativi, al pari dell’altra documentazione costituita dai provvedimenti redatti e dalle autorelazioni.47 L’istituzione del quaderno veniva ritenuta dal C.S.M., in sede di approvazione del regolamento, un’innovazione positiva, a condizione di non interpretarla come un inutile appesantimento burocratico. Il D.P.R. del 1998 ha anche prescritto come obbligatoria l’inclusione nel fascicolo “di tutti i provvedimenti redatti dall’uditore, con le modifiche ad essi eventualmente apportate dai magistrati affidatari”.48 E’ altresì previsto che l’uditore sottoponga al collaboratore, al termine di ciascun segmento di tirocinio, un’autorelazione, in funzione di sintesi delle annotazioni, sussunte in un quadro di complessiva valutazione da parte dell’uditore dell’esperienza formativa svolta. 46 Il “libretto della pratica” di avvocato, non calibrato sulle medesime finalità assegnate al “quaderno” dell’uditore, è in effetti costituito da un’agile ed assai succinta elencazione di “udienze” cui il praticante ha assistito in riferimento a determinate “cause”, nonché di “atti” alla cui predisposizione lo stesso ha partecipato; sia dell’oggetto di ciascuna udienza che di ciascun atto altro non viene indicato che una succinta descrizione; per ciascun semestre di pratica si richiede poi al praticante avvocato - ancora una volta in un’ottica meramente ricognitiva - di dar conto delle questioni giuridiche di maggior interesse tra quelle affrontate. 47 Così, la relazione del consigliere relatore, dr. Pivetti, nella seduta del C.S.M. del 17.9.97, p. 18 del resoconto. 48 Cfr. sul punto l’art. 7 del D.P.R. Cfr. altresì l’art. 11 co. 3 che chiarisce che l’inserimento concerne in effetti anche “ogni altro elaborato redatto … nel corso del tirocinio”: si pensi ad es. agli appunti per la relazione in camera di consiglio, alle ricerche di legislazione, dottrina o giurisprudenza, ecc. 227 3.D.6. Contenuti e modalità di svolgimento del tirocinio. Circa gli aspetti metodologici del tirocinio, per la fase ordinaria viene disposto che i piani relativi assicurino, “specialmente negli uffici di grandi dimensioni, che il praticantato, pur consentendo all’uditore di acquisire conoscenza dei vari campi in cui si esplica la funzione giudiziaria, non subisca frazionamenti eccessivi, ma si concentri, approfondendole adeguatamente, su un numero limitato di esperienze significative.” Trattasi, con ogni evidenza, di una scelta a favore dell’acquisizione da parte dell’uditore di un patrimonio conoscitivo ampio e tendenzialmente despecializzato, e non di conoscenze specialistiche che dati i limiti temporali del tirocinio - non potrebbero essere approfondite in maniera accettabile; prescrivendosi che, a fronte della necessità di assegnare l’uditore a settori specializzati, il collaboratore selezioni un numero limitato di materie significative che - a mo’ di test - l’uditore possa sondare, sì da acquisire lo strumentario necessario per appropriarsi in autonomia di materie in cui il praticantato non si possa espletare. Alla disciplina in parola è sotteso altresì il perseguimento dell’obiettivo, espressamente enunciato, che il tirocinio non subisca frazionamenti eccessivi, ossia che non si articoli in un numero eccessivo di “segmenti”. Nel corso del tirocinio ordinario dovrà erogarsi in forma seminariale la formazione relativa alle funzioni specializzate, riservandosi poi l’assegnazione ad affidatari di un determinato settore specialistico solo agli uditori che mostrino uno specifico interesse al riguardo. Assai importante è, ai fini di detta programmazione, l’interpello degli uditori in merito alle preferenze che gli stessi intendessero esprimere.49 3.D.7. Il tirocinio mirato. Per quanto attiene all’espletamento del tirocinio mirato, va segnalato che una particolare procedura è stata divisata per assicurare la tempestiva conoscenza da parte dei formatori e dello stesso uditore delle specifiche funzioni assegnategli, nonché per garantire l’effettiva 49 Si è appena visto che l’art. 4, co. 3 attribuisce rilevanza all’istanza dell’uditore quanto alla previsione di affidamenti a settori specializzati. Si richiama altresì che l’art. 11, co. 1 impone di tenere conto delle preferenze dell’uditore per l’individuazione dei magistrati affidatari. 228 corrispondenza tra funzioni assegnate e quelle che saranno in concreto svolte presso l’ufficio di destinazione. La “ratio” sottostante a tale disciplina è evidente: se il tirocinio mirato è rivolto all’avvio dell’operatività in determinate funzioni, una successiva assegnazione a funzioni diverse vanifica le finalità stesse del tirocinio e consente che l’uditore esplichi le sue funzioni senza sufficiente pratica specifica, in danno dell’utenza. 3.D.8. Gli incontri di studio per gli uditori giudiziari. Durante la fase ordinaria del tirocinio, viene previsto con regolamentazione più dettagliata di quella previgente che il Consiglio superiore della magistratura ha il compito di organizzare incontri di studio e altre iniziative formative in sede nazionale, avvalendosi del comitato scientifico istituito dall’art. 29 del regolamento interno del Consiglio stesso, sui seguenti temi: diritto sostanziale e processuale, ordinamento giudiziario, deontologia professionale, organizzazione e gestione degli uffici e del lavoro giudiziario. Il consiglio giudiziario, su proposta della commissione distrettuale per gli uditori, organizza poi incontri di studio ed altre iniziative di formazione professionale a livello locale, che sono coordinate da componenti della medesima commissione, previa adozione da parte del consiglio giudiziario delle opportune intese con le istituzioni universitarie, gli organismi forensi e le altre entità della vita sociale. Gli incontri decentrati hanno funzione integrativa e preparatoria rispetto agli incontri organizzati in sede nazionale. E’ evidente che nella formazione iniziale degli uditori giudiziari in tirocinio il ruolo fondamentale è giocato dalla formazione in sede decentrata; gli incontri di studio centrali hanno la funzione di fornire una <<cassetta degli attrezzi>> minima e uguale per tutti e di porre i giovani colleghi, che spesso si legano in modo profondo agli affidatari che svolgono il delicato ruolo del maestro da imitare (del maestro da cui si apprende anche per imitazione), di fronte a modi diversi di lavorare consentendo loro di sviluppare senso critico. Il neomagistrato ha di regola una forte motivazione personale rispetto alla professione scelta, di cui ha una propria rappresentazione ideale, ed è molto determinato nel cercare di acquisire i valori e gli obbiettivi dell’istituzione di cui entra a far parte; ciò nonostante, il momento dell’ “iniziazione” alla nuova professione è certamente assai delicato, in quanto involge l’assunzione del ruolo e perciò è destinato ad 229 avere una grande influenza sull’evoluzione futura del soggetto e sul suo modo di essere giudice o pubblico ministero. Per tale motivo un’importanza particolare assumono nella formazione degli uditori giudiziari i temi della deontologia, dell’organizzazione e dell’ordinamento giudiziario, temi che implicano una trasmissione di valori sui contenuti della giurisdizione. E’ un terreno che, coinvolgendo i valori dell’indipendenza interna ed esterna, richiede cautela e ponderazione; peraltro, si può oggi iniziare un confronto, se non sui contenuti della giurisdizione, almeno sui modi con cui è esercitata, rendendo la formazione professionale uno strumento di meditazione collettiva su vari profili della deontologia e del “saper essere”, quali ad esempio: il problema dei condizionamenti culturali e morali del magistrato (rilevante soprattutto nella trattazione di reati sessuali, di reati economici, nella materia minorile, nella cause di separazione e divorzio, ...); i doveri di comportamento; il saper fare udienza; il saper “trattare” con gli avvocati, con le parti, con il personale amministrativo, acquisendo coscienza dei loro compiti, dell’importanza della loro funzione, del loro valore; la gestione del contatto col pubblico; i rapporti con i mezzi di informazione; l’assunzione delle prove (la gestione dell’interrogatorio libero nel processo civile e dell’esame incrociato nel processo penale, l’assunzione della testimonianza, i rapporti con gli interrogati e con i testimoni); il ragionamento di fatto, le tecniche e le modalità di formazione del giudizio e le tecniche di motivazione; la gestione dei rapporti con i giudici popolari nelle corti d’assise, e l’elenco potrebbe continuare. L’uditore giudiziario, fresco di studi teorici universitari e concorsuali, necessita in modo particolare di acquisire le capacità necessarie per la corretta e proficua gestione di un processo. Per questo gli incontri di diritto civile e penale del tirocinio ordinario hanno ad oggetto soprattutto il processo, mentre nel corso del tirocinio mirato sono affrontati temi sia di diritto sostanziale che di diritto processuale in un’ottica incentrata essenzialmente sulla metodologia e sulla trasmissione del “saper fare”: gestione del processo e delle scelte fondamentali che il processo pone, corretto esercizio dei poteri del giudice, gestione dell’attività istruttoria, educazione ad un ragionamento probatorio corretto, ad una ricostruzione del fatto rigorosa, ad una sussunzione del fatto nella fattispecie astratta sorretta da adeguata preparazione, tecniche di motivazione. L’attività didattica si articola in insegnamento, discussione e simulazione su casi concreti, si ispira a criteri di pluralismo rifuggendo da qualsiasi omologazione, cercando di educare alla critica, al dubbio, alla dialettica costruttiva con gli altri soggetti del processo e dell’organizzazione giudiziaria. 230 Più in particolare per quanto concerne i metodi didattici, un momento importante nell’evoluzione della formazione iniziale si è avuto con l’introduzione dei processi simulati. Si è pervenuti a tale scelta in base a due elementi: l’esigenza di istruire alla gestione del processo, la necessità di condurre chi si incammina sulla via di esercitare la giurisdizione a riflettere in modo analitico e critico sui profili deontologici e comportamentali della funzione. Così, ad esempio, nel corso del tirocinio ordinario civile nell’arco di tre (o quattro, secondo i moduli operativi) giornate viene simulato un processo civile ordinario dall’iscrizione a ruolo alla emanazione della sentenza; a tal fine viene utilizzato materiale didattico appositamente predisposto e che consiste nella riproduzione di un fascicolo processuale in ogni sua parte: nota di iscrizione a ruolo, atto di citazione, notifiche, comparsa di risposta, memorie di trattazione e istruttorie, comparse conclusionali; tale materiale viene distribuito ai partecipanti secondo l’andamento dell’attività. Il fascicolo è realizzato su un caso di studio, cioè su una fattispecie relativamente semplice sul piano del diritto sostanziale e caratterizzata dalla presenta di una serie di difficoltà che pongono l’uditore davanti a problemi processuali tipici da risolvere (nullità della notifica, nullità della citazione, rilievo e decisione su eccezioni, decisioni istruttorie, gestione del processo) nonché da una certa ricchezza fattuale che consenta l’espletamento delle attività connesse all’interrogatorio libero, alle prove testimoniali, a una consulenza. Quanto allo svolgimento, nella prima mattina si tengono relazioni sull’instaurazione del processo, prima udienza di comparizione e prima udienza di trattazione ed al pomeriggio viene simulato lo svolgimento delle dette udienze con svolgimento dell’ interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione in role playing; il secondo giorno si affronta il tema dell’attività istruttoria e al pomeriggio viene simulata la fase delle decisioni istruttorie e dell’assunzione delle prove (con escussione di testi in role playing; talvolta questa fase si prolunga su due giornate accompagnata da approfondimenti teorici sui singoli mezzi di prova); il terzo giorno si illustrano le tecniche di motivazione dei provvedimenti giudiziari ed infine viene decisa la causa e fatta la sentenza. Nelle fasi di didattica attiva viene ricreata la situazione dell’aula di giustizia, con il giudice, il cancelliere, le parti, gli avvocati; ognuno “interpreta” il suo ruolo e l’attività di ognuno è poi discussa collettivamente dai componenti del gruppo che non hanno partecipato alla drammatizzazione in modo attivo ma come spettatori. Discutendo collettivamente il modo in cui si chiedono chiarimenti ai difensori o si 231 interrogano le parti o si esamina un teste (le domande che vengono poste, il modo in cui vengono poste, l’atteggiamento assunto dal giudice, la verbalizzazione) o approfondendo la condotta del giudice nell’esperire il tentativo di conciliazione (il suo impegno, la partecipazione, le frasi pronunciate per indurre le parti a conciliare, le motivazione addotte, la proposta conciliativa) i giovani magistrati hanno l’opportunità di riflettere su cosa significhi in concreto fare il giudice, su quali comportamenti siano e non siano ammessi, quali siano i limiti invisibili entro i quali devono svolgersi le attività di rilievo contestazione conciliazione. In questo modo si persegue la finalità di far diventare il caso da semplice “storia” a “palestra di percorsi tecnico-pratici-assiologici, atti a soddisfare sia il bisogno di “sapere”, sia quello di “saper fare” che quello del “saper essere”. (cfr. Relazione al Parlamento del 1994). 3.D.9. I relatori degli incontri di formazione iniziale. Svolgere funzioni di docente in un incontro per uditori giudiziari è attività particolarmente delicata; infatti, la tipologia di destinatari della formazione (uditori e non magistrati con una propria esperienza professionale e quindi non ancora pienamente capaci di filtrare criticamente le informazioni trasmesse), i metodi didattici, il rilievo dei profili deontologico e relazionale, rendono il compito del docente assai complesso e impegnativo. Di regola è svolto da magistrati di esperienza, che hanno già svolto positivamente attività didattiche in corsi di formazione permanente, mentre si tende ad escludere da questa funzione gli avvocati (per l’inopportunità dell’instaurazione di una relazione docente-discente tra un giovane magistrato ed un avvocato che può, a funzioni assunte, esercitare innanzi a lui) e i professori universitari (per i contenuti particolari, da un lato teorico-pratici, dall’altro innervati di deontologia, di questa formazione). Quanto ai compiti dei relatori, sono state elaborate alcune linee guida alla loro attività, sottoposte alla discussione nel corso degli incontri di studio per i formatori del 1998: l’attività del relatore per i corsi uditori non può essere una libera attività di elaborazione scientifica, genericamente indirizzata a stimolare un dibattito, ma, tenuto conto della qualità dei destinatari della formazione iniziale e delle sue finalità, l’attività del relatore deve essere orientata in modo preciso, riducendo gli spazi di discrezionalità (ovviamente al di 232 fuori di quella che è la parte scientifica in senso proprio); pertanto, il relatore deve attenersi al tema assegnatogli e trattarlo in tutte le parti indicategli (data la connessione tra momento dell’insegnamento e momento della didattica attiva su casi pratici, un “fuori tema” può turbare gravemente lo schema didattico ideato); deve altresì fornire un quadro delle questioni che dia conto dello stato della elaborazione dottrinale e delle soluzioni giurisprudenziali di merito e di legittimità, evitando di presentare orientamenti “originali” o propri di singoli uffici come se fossero soluzioni generalmente applicate, o proporre prassi proprie di singoli uffici, soprattutto se contra legem. Attualmente compito dei relatori è anche la predisposizione, in collegamento con il comitato scientifico, del materiale didattico utilizzato per le simulazioni (predisposizione del fascicolo). Ciò ha comportato finora una certa discontinuità di contributi e sarebbe opportuno che fosse il solo comitato scientifico a farsi carico di tale opera; ciò, peraltro, presuppone, oltre ad una disponibilità ideale e materiale attualmente inesigibile, una collaborazione con i formatori distrettuali per creare una sorta di banca-dati, per selezionare casi reali, attraverso l’invio di copie di fascicoli, dai quali trarre attraverso opportuna elaborazione, fascicoli simulati. 3.D.10. La valutazione dell’uditore nel tirocinio ordinario. Completamente rivista, come già accennato, è la disciplina degli aspetti valutativi del tirocinio ordinario, imperniata, quanto alla fase coincidente con il termine del tirocinio ordinario, su una relazione ed una proposta di parere, “prodromico a quello di cui all’art. 129 dell’ordinamento giudiziario” formulata dalla commissione distrettuale sull’idoneità dell’uditore all’esercizio delle funzioni giudiziarie. La relazione ed il parere vengono comunicati all’uditore giudiziario, il quale ha facoltà di formulare proprie osservazioni che vengono allegate al fascicolo. Gli atti vengono quindi trasmessi, unitamente al fascicolo dell’uditore, al Consiglio superiore della magistratura. Pervenuti gli atti, la competente commissione del C.S.M. accerta in base ad essi quali siano i settori per i quali eventualmente l’uditore abbia dimostrato maggiori attitudini ed esprime in particolare la propria valutazione sulla sussistenza di specifiche attitudini all’esercizio delle funzioni inquirenti. 233 Se ritiene completato positivamente il tirocinio ordinario, la commissione propone al Consiglio, che delibera sul punto, la destinazione dell’uditore ad un ufficio per l’esercizio delle funzioni giudiziarie, al termine del tirocinio mirato che l’uditore immediatamente avvia. L’individuazione e l’assegnazione delle sedi e degli uffici ai quali destinare gli uditori avviene secondo criteri predeterminati, su proposta della commissione competente. Tali criteri dovranno garantire l’esclusione dell’esercizio delle funzioni inquirenti, in ipotesi di insufficiente valutazione circa l’idoneità specifica alle stesse, e dovranno, se possibile, tenere conto delle indicazioni circa i settori di maggior attitudine accertati. Un diverso e ovviamente più complesso iter si ha qualora non si possa pervenire, da parte del C.S.M., alla valutazione positiva circa l’espletamento del tirocinio ordinario, disciplinandosi le ipotesi di prosecuzione del tirocinio stesso onde procedere ad ulteriore verifica, le contestazioni dell’interessato, il diritto di difesa nell’ipotesi di valutazione di inidoneità suscettibile di condurre alla cessazione dell’appartenenza all’ordine giudiziario. 3.D.11. La valutazione finale. Quanto alla fase valutativa finale del tirocinio, all’esito del tirocinio mirato, e più precisamente un mese prima del termine dello stesso, il magistrato collaboratore trasmette alla commissione distrettuale una relazione definitiva sulle attitudini e le capacità dei singoli uditori e sulla idoneità dei medesimi all’esercizio delle funzioni giudiziarie, redatta sulla base degli elementi di valutazione previsti per il tirocinio ordinario, integrati con gli analoghi elementi di valutazione riferiti al tirocinio mirato. Si avvia a questo punto un procedimento di valutazione definitivo del tutto identico a quello già esaminato in riferimento al tirocinio ordinario. 3.D.12. La valutazione nella fase di formazione complementare. La nuova disciplina perfeziona il meccanismo di valutazione predisposto dalla L. n. 97/1979 anche quanto alla fase della formazione complementare, incrementando attraverso le relazioni dei collabora- 234 tori ex art. 15 D.P.R. il materiale documentale idoneo a fornire notizie ai fini della valutazione dell’uditore.50 3.D.13. Le soluzioni alla prova dei fatti. Ad una valutazione dell’efficacia e funzionalità del nuovo assetto regolamentare in riferimento agli obiettivi fissati dal Consiglio Superiore potrà pervenirsi solo dopo un congruo periodo di sperimentazione del nuovo schema di tirocinio. In via provvisoria può comunque essere sin d’ora riconosciuto al regolamento il merito di aver sistematizzato la complessa materia, conferendo un assetto stabile a quegli istituti-cardine della formazione iniziale dei magistrati che già la prassi precedente aveva contribuito ad affinare. Sussistono peraltro difficoltà interpretative ed applicative poste da alcune norme, soprattutto ovviamente di carattere innovativo e, specificamente, da quelle afferenti gli aspetti valutativi. Potrà essere valutata in prosieguo, sulla base della ricognizione del lavoro svolto dagli uditori della tornata concorsuale che nel 2001 assumerà le funzioni, quale sia stato l’impatto della nuova disciplina della documentazione del tirocinio, e soprattutto l’utilità del quaderno come strumento di accompagnamento dell’iter formativo. Andrà altresì esaminato se sussistano possibilità, soprattutto sul piano della didattica in sede decentrata e centrale, per attuare le disposizioni del regolamento che prevedono momenti collettivi di formazione, rimaste inattuate in riferimento alla precedente disciplina. Al riguardo, possono richiamarsi le esperienze svolte nel distretto di Bologna, nel quale si sono sperimentati momenti di formazione collettiva improntati ad ampi spazi di autogestione degli uditori, che hanno messo in comune gli apprendimenti individuali 50 La circolare sui pareri n. 1275 del 22 maggio 1985 prevedeva, come principale fonte di conoscenza per l’espressione del parere valutativo del consiglio giudiziario, il rapporto del dirigente dell’ufficio cui l’uditore è addetto. Con la nuova disciplina si introduce una concorrente fonte di conoscenza costituita dalle relazioni dei collaboratori, non a caso previsti nella misura di due, sì da garantire una maggiore garanzia di correttezza e serietà della valutazione. Tenuto conto del fatto che le fonti in parola sono equi-ordinate in base agli artt. 2 e 4 della L. n. 97 del 1979, non può accedersi all’avviso formulato nel parere del Ministero del Tesoro sullo schema di D.P.R. (allegato B, p. 10, alla Proposta cit.) secondo cui le valutazioni del capo dell’ufficio “dovrebbero pur sempre conservare rilievo primario”. 235 attraverso schede sintetiche (denominate “Quaderno collettivo di autoformazione”, così da porre l’elaborato in continuità con l’esperienza del “Quaderno” previsto dal regolamento) ordinate secondo griglie rappresentative dei bisogni formativi e redatte in modo tale da essere a tutti facilmente comprensibili. All’obiettivo iniziale di favorire la socializzazione professionale e di garantire una certa omogeneità di impostazione nel tirocinio, si è aggiunto il valore dato dalla consapevolezza di partecipare ad un progetto comune, con crescita dell’abitudine ad approfondire con rigore ogni questione rilevata nella pratica professionale e della volontà di trasmettere le proprie esperienze ai colleghi. Gli appunti relativi all’esperienza sono stati inseriti in un CD-ROM che consente a ciascuno di personalizzare il testo, di aggiornarlo e di ampliarlo; il nuovo Quaderno – sottoposto al C.S.M. per le valutazioni di competenza – si propone così, in prospettiva, come un manuale di formazione dei giovani magistrati. Le questioni relative al “quaderno dell’uditore”, quale previsto dal D.P.R., nonché l’iniziativa bolognese hanno formato oggetto di un parere dell’Ufficio Studi del C.S.M., che ha sottolineato la diversità dell’ambito in cui si colloca l’esperienza di formazione collettiva, concentrata soprattutto all’interno del tirocinio ordinario, rispetto al “quaderno” in senso proprio, quale disciplinato dal C.S.M. come strumento di supporto personalizzato per il singolo uditore che consente la ricostruzione del percorso formativo individuale facilitando le eventuali verifiche successive. 3.E. La sperimentazione: i laboratori di autoformazione. 3.E.1. I laboratori. Finalità e ragioni della sperimentazione. Nell’evoluzione dei metodi di formazione un momento di spicco è rappresentato dai laboratori per giudici minorili e della famiglia e per magistrati di sorveglianza. Il corso per giudici minorili, giudici onorari dei tribunali per i minorenni, pubblici ministeri presso i tribunali per i minorenni, giudici ordinari che svolgono in via esclusiva o prevalente funzioni civili in materia di famiglia e status, pubblici ministeri che si occupano in via esclusiva o prevalente di reati sessuali e di reati che hanno per parte offesa un minore – che ha coinvolto nel 1999 i distretti di Torino, Venezia, Napoli, Bari e Palermo – ha rappresentato la prima esperienza 236 di attività di formazione autodidatta con assistenza metodologica organizzata dal Consiglio Superiore51. Si tratta di un’attività formativa sperimentale destinata a piccoli gruppi di lavoro che, sotto la guida di un esperto metodologo, analizzano singoli campi dell’esperienza giuridica rilevando e studiando i nodi critici dell’attività del magistrato per elaborare criteri ed orientamenti per la loro gestione. La denominazione <<laboratorio>> riservata a questo genere di corsi sta ad indicare in modo immediato sia la loro natura sperimentale sia che la finalità principale dei medesimi è quella di favorire la capacità d’iniziativa, la riflessione sulla propria esperienza giurisdizionale e soprattutto la produzione di nuove conoscenze da parte dei magistrati che vi partecipano, e non l’assimilazione di conoscenze e in genere di informazioni trasmesse da altri come avviene nei moduli formativi tradizionali. Le ragioni per cui il Consiglio Superiore ha avvertito l’esigenza di introdurre questo modulo altamente innovativo risiedono in più fattori, di tipo sia strutturale che funzionale: a) l’esperienza degli ultimi anni di <<Scuola della Magistratura>> indica: aa) la formazione incentrata sulla trasmissione e accumulazione di informazioni e sulla circolazione e interscambio di idee è ormai ampiamente sperimentata e quindi stabilizzata nelle sue linee-base; ab) in relazione alle peculiarità della funzione del magistrato è necessario affiancare alla formazione per trasmissione di saperi (cui corrisponde un apprendimento per accumulazione) una formazione che, partendo dalla concreta esperienza di lavoro e rielaborandola, dia al magistrato gli strumenti per riconoscere le proprie difficoltà e per risolverle (c.d. apprendimento per rielaborazione); b) non esistono uno studio ed una elaborazione su metodi non tradizionali di formazione per magistrati ed è necessario (per imparare ad imparare, per impadronirsi della <<cassetta degli attrezzi>>) realizzare una formazione autodidatta, che veda come protagonisti attivi i magistrati, con assistenza esclusivamente metodologica da parte di professionisti della formazione. Data la novità della metodologia, il corso si è proposto come sperimentazione al fine di verificare validità e risultati e saggiare la possibilità di un’estensione a tutti i settori e a tutti i magistrati interessati. Il Consiglio Superiore ha scelto come settore di intervento della 51 I risultati del laboratorio sono condensati nella Relazione pubblicata in Quaderni del C.S.M., 2001, n. 117. 237 prima sperimentazione quello della giustizia minorile e familiare in senso lato. I motivi di tale scelta sono molteplici; in primo luogo i magistrati addetti agli uffici giudiziari minorili (ma anche in generale addetti a trattare materie attinenti il diritto minorile e le problematiche della famiglia) hanno una esigenza di formazione - intesa come <<saper essere>> e <<saper fare>> - elevatissima in relazione alle particolari complessità della funzione, date: dal compito di individuare, anche e soprattutto in base a conoscenze non giuridiche e in assenza di norme procedimentali sufficientemente precise, i bisogni di tutela del minore ed i mezzi per attuarla; dalla struttura organizzativa del lavoro che realizza una collaborazione tra magistrato e altre istituzioni e servizi (servizi sociali e psicologici in particolare), dalla risonanza emotiva del lavoro per il continuo contatto con il dolore e la sofferenza dei minori e delle persone che si occupano o dovrebbero occuparsi di loro. In secondo luogo la elaborazione del progetto su cui si fonda il corso è dovuta in buona parte al fondamentale apporto della Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, che ha studiato e compiuto una elaborazione in tema di bisogni formativi della magistratura minorile e della famiglia; si aggiunga che in materia è stato possibile avvalersi dei risultati di una precedente sperimentazione, dedicata a “Stili di comunicazione tra magistratura e Servizi” e curata dalla Scuola di formazione del personale della Giustizia minorile di Castiglione delle Stiviere. 3.E.2. Organizzazione, strumenti operativi, contenuti del primo laboratorio per giudici e pubblici ministeri minorili e della famiglia. Il modulo organizzativo del laboratorio si è articolato in cinque gruppi periferici localizzati in sede distrettuale e nel gruppo di monitoraggio composto dai cinque referenti di ciascun gruppo periferico, dal consulente e da un componente del Comitato scientifico. Gli elementi caratterizzanti il laboratorio sul piano strutturale si individuano: - nella interrelazione tra gruppo di monitoraggio (GM) e gruppi periferici (GD) e tra gruppi periferici per il tramite del gruppo di monitoraggio, di modo che l’attività formativa si svolge come segue: il GM imposta il lavoro iniziale per i gruppi in modo diversificato ma coordinato; i singoli referenti propongono ai GD le indicazioni di lavoro provenienti dal GM e raccolgono i risultati parziali del lavoro, le riflessioni, valutazioni critiche e richieste dei gruppi, proponendoli 238 quindi al GM che, sulla base del confronto tra le diverse esperienza individua le modalità di prosecuzione del lavoro più adeguate; - nella procedimentalizzazione del percorso formativo, cioè nella predisposizione di un calendario dei lavori in cui si alternano, con previsione di obiettivi parziali, le riunioni del GM a una o più riunioni dei GD cadenzate a seconda del lavoro da svolgere e nella previsione di un seminario finale con la partecipazione di tutti i gruppi; - nella flessibilità del modulo, che significa adattabilità da un lato alle esigenze formative espresse dai gruppi, cioè possibilità di modificare l’andamento dei lavori a seconda delle esigenze emerse, nel rispetto dei contenuti e dell’obbiettivo formativo, dall’altro alla specificità del gruppo, cioè alla partecipazione dei suoi componenti, al tipo di impegno dagli stessi profuso, ai vincoli strutturali dovuti ai carichi di lavoro, alla dislocazione geografica dei partecipanti etc. L’idea della sperimentalità che sta alla base del laboratorio non è né quella dell’esperimento secondo un criterio scientifico empirico ed organicistico né quella del “si può fare ciò che si vuole” con libertà di errore; significa svolgimento di un lavoro che viene continuamente messo sotto osservazione controllando ciò che accade e verificando i risultati; in ciò al GM compete un ruolo di conduzione dell’intero percorso nelle sue diverse articolazioni e il GD non opera come gruppo a sé stante ma è inserito in una più complessa organizzazione in cui vengono in rilievo i paritari e contemporanei lavori di altri gruppi; per questo al referente è attribuito essenzialmente un ruolo di: garantire la centratura del lavoro del GD sull’obbiettivo evitando facili dispersioni o deviazioni dai temi assegnati; organizzazione del gruppo; raccordo tra GM e GD; facilitazione della comunicazione nelle riunioni nel GD, attraverso richiami agli obiettivi e interventi che scandiscano le discussioni e le elaborazioni delle problematiche; mantenere la continuità del lavoro del GD nel tempo. La previsione degli esposti compiti al GM e al referente non implica che gli stessi assumano una posizione in qualche modo autoritaria, in quanto si tratta di un mero espediente funzionale per consentire il conseguimento degli scopi, mentre l’attenzione alle esigenze espresse dai singoli GD è garantita sia dalla periodica verifica degli obiettivi e degli strumenti in sede centrale sia dal seminario finale. Quanto ai contenuti, l’idea-guida è che una formazione che vuole partire dall’esperienza per analizzarla e migliorare la realtà operativa deve avere ad oggetto temi circoscritti, limitati e trasversali, che da un lato evitino la radicalizzazione del dibattito e lo scontro ideologico sulle grosse questioni di fondo (ad es. la funzione del giudice minori- 239 le, il ruolo dell’interesse del minore, i “diritti” dei genitori, puerocentrismo o valorizzazione della genitorialità…), dall’altro consentano un’analisi veramente approfondita; quanto allo specifico argomento, deve presentare elementi di interesse comune alle varie aree di professionalità rappresentate nei gruppi e la sua scelta deve essere giustificata dall’intenso collegamento con la realtà operativa (nel senso che deve esprimere una problematica reale e non teorica o “scolastica” o marginale). Il mezzo per conoscere la realtà è stato individuato nell’analisi del lavoro svolto nell’ambito di ciascun distretto in riferimento allo specifico tema prescelto, acquisendo ed esaminando fascicoli relativi a procedimenti conclusi. Poiché i processi di lavoro del magistrato si possono scomporre nelle fasi della conoscenza dei fatti (acquisizione ed elaborazione delle informazioni), della definizione del problema, della decisione e della valutazione della decisione, lo strumento attraverso il quale considerare quello spicchio di realtà operativa eletta a oggetto d’indagine è stato individuato nelle “griglie” che, costruite per permettere una scomposizione puntuale della realtà, applicate ai casi concreti selezionati, rilevano degli elementi ricorrenti e facilitano l’analisi . Sulla base di queste premesse operative, il gruppo di monitoraggio ha scelto come tema del laboratorio quello della <<tutela del minore maltrattato>>, che, all’esito nella discussione nei gruppi distrettuali è stato articolato nei sottotemi del: maltrattamento psicologico (scelto dal distretto di Bari), ascolto diretto del minore (Distretto di Venezia), ascolto indiretto (distretto di Palermo), esecuzione dei provvedimenti (Distretto di Napoli), allontanamento del minore (Distretto di Venezia). Sono state quindi elaborate le griglie, sono stati esaminati più casi (circa venti per distretto) sulla base della traccia costituita dalla griglia e, schematizzati e riassunti i dati finali, ogni gruppo ne ha operato una elaborazione. Il lavoro è stato infine discusso in un seminario finale cui hanno partecipato tutti i componenti dei gruppi ed al centro del quale sono state poste le criticità emerse in modo trasversale nel lavoro distrettuale. L’attività svolta e i suoi risultati sono stati profusi in un’ampia relazione (pubblicata in Quaderni del C.S.M., 2001), che così conclude: “Il laboratorio ha rappresentato un esperimento formativo di grande valore ed è certamente importante continuare questo percorso estendendolo sia ad altri distretti sia ad altre funzioni. In quest’ottica è opportuno sottolineare alcuni fattori particolarmente importanti che possono essere facilmente migliorati e elementi di criticità da superare. 240 DATI IMPORTANTI: 1) La composizione del gruppo distrettuale (ed in genere decentrato) è l’elemento base per garantire la riuscita del laboratorio; allorquando si affrontano temi che incidono su più settori della giurisdizione il gruppo deve rispecchiarli tutti in modo equilibrato sia come aree professionali sia come dislocazione sul territorio; infatti, l’apporto di magistrati che svolgono funzioni diverse consente che le singole questioni siano affrontate in modo non settoriale ma sotto i diversi punti di vista che l’ordinamento offre. Nel caso del nostro laboratorio è stato possibile discutere, ad esempio, la tematica della violenza psicologica tra giudici ordinari, minorili, pubblici ministeri e componenti privati anche di diversi gradi, rivelando come gli stessi fatti possano essere oggetto di letture e valutazioni anche fortemente difformi e facendo emergere l’esigenza forte di affrontare in modo più unitario le diverse problematiche, non solo in sede formativa ma anche operativa con strumenti istituzionali (quali protocolli, intese, iniziative e direttive del C.S.M.). È emerso in modo netto che ove la composizione dei GD era maggiormente diversificata, il lavoro si è svolto con maggiore entusiasmo e più utile approfondimento mentre dove la composizione era più omogenea si sono presentate difficoltà di comunicazione riconducibili anche alle dinamiche interne dell’ufficio; importante si è, inoltre, rivelata (dove c’è stata) la diversa provenienza territoriale dei partecipanti, in quanto il laboratorio ha consentito il confronto tra le prassi dei diversi uffici ed ha dato luogo alla creazione di una vera e propria “rete” di rapporti sul territorio, assai proficua nell’operatività e in prospettiva. Per il futuro, risulta pertanto particolarmente importante che: a) al momento del bando per l’ammissione al corso si prevedano quote tendenzialmente rigide di partecipazione che tengano conto delle diverse professionalità interessate al tema del laboratorio; b) che, al fine di incentivare la partecipazione al laboratorio anche di colleghi provenienti da uffici periferici del distretto, sia previsto quanto meno il rimborso delle spese di viaggio. 2) Il lavoro del laboratorio, rispetto alle attività tradizionali di formazione, è lungo e faticoso; nel caso di specie è durato circa dieci mesi con cinque seminari residenziali del GM, circa dieci riunioni dei GD oltre alle sedute di lavoro individuali o per sottogruppi, un seminario finale in seduta plenaria con esame di un centinaio di procedimenti (articolati anche in più gradi di giudizio); il lavoro ha sofferto della pausa estiva, sia per motivi logistici (i tempi diversi delle ferie) sia perché ha creato stanchezza e un abbassamento della motivazione che è stato faticoso recuperare. Il fattore tempo è pertanto importante e, 241 nell’organizzare nuovi laboratori, si deve prevedere che i lavori inizino nell’autunno e finiscano entro giugno dell’anno successivo. 3) Sotto il profilo metodologico, una risposta alla difficoltà, avvertita da più parti, di comprendere esattamente e fin dall’inizio “dove si sta andando”, può essere data – qualora si intenda proseguire con continuità in questa esperienza formativa – collegando la fine di un laboratorio con l’inizio di quello successivo; ciò può essere attuato facendo sì che al seminario finale partecipino i referenti del nuovo laboratorio. D’altra parte tuttavia l’esperienza richiede anche una motivazione ad intraprendere qualche cosa che ha dei risultati non del tutto previsti in partenza e che dipendono anche dall’investimento e dalle capacità che si riescono a mobilitare da parte dei gruppi. Implica pertanto affrontare una piccola dose di rischio fidando su se stessi e sui colleghi, oltre che sulle sperimentazioni già attuate e sulle competenze metodologiche messe a disposizione, per la costruzione di esiti positivi. 4) Particolarmente delicato è il tema del rapporto tra il referente e il gruppo distrettuale; abbiamo già riferito sopra (cap. II) su ruolo, compiti, funzione del referente e sui rischi (noti in tutti i settori in cui si faccia formazione) connessi alle dinamiche relazionali interne al gruppo. La selezione del referente deve pertanto tenere conto delle sue capacità didattiche e relazionali, da valutarsi anche in relazione alla composizione del gruppo. Non va dimenticato che nei diversi gruppi tendono ad essere portati e riprodotti i rapporti e le interazioni esistenti nel funzionamento abituale degli uffici, con le facilità e difficoltà di comunicazione che lo caratterizzano, in particolare con chi occupa ruoli di autorità. Non si può pensare che conflitti e chiusure sedimentate restino al di fuori del gruppo formativo o che il referente o il metodologo possano risolverli: si tratta piuttosto di trovare di volta in volta degli aggiustamenti che consentano di realizzare iniziative di questo genere pur in presenza di blocchi di questo tipo. 5) Importante per la buona riuscita del lavoro è la scelta dei casi da esaminare; oltre ai criteri fissati nel corso del laboratorio e che si sono rivelati utili (procedimenti definiti con provvedimento anche provvisorio; che abbiano coinvolto più autorità giudiziarie; relativi ad un’ipotesi di maltrattamento; che abbiano interessato minori di diverse età; mediamente rappresentativi del lavoro degli uffici.), è opportuno selezionare fattispecie che, pur inquadrandosi nel grande tema prescelto, presentino diversità di oggetto e di gravità, anche per verificare l’eventuale mutamento di strategie. Per il buon funzionamento del lavoro è opportuno che il C.S.M., al momento dell’inizio del laboratorio, 242 dia indicazioni agli uffici per la messa a disposizione dei fascicoli (in originale o in copia) di cui il Referente faccia richiesta Proprio per l’intensità e la durata del lavoro che viene svolto mediante il laboratorio, oltre al risultato direttamente perseguito, si consegue un effetto ulteriore e cioè l’acquisizione di una competenza formativa sia nel referente che nei partecipanti; il primo, infatti, apprende una tecnica di conduzione del lavoro di gruppo e tutti, comunque, si interrogano sul percorso da seguire più utile per raggiungere l’obbiettivo formativo esaminando e selezionando le diverse opzioni. Si tratta di una professionalità che non deve essere dispersa ma anzi valorizzata e arricchita. Già ora, alcuni sono intervenuti come relatori o conduttori di gruppi in corsi di formazione iniziale e permanente … riversando anche i risultati del laboratorio (trattando dei temi dell’ascolto, l’esecuzione dei provvedimenti, i protocolli tra uffici giudiziari, la consulenza …) e la metodologia è autonomamente utilizzata in esperienze distrettuali di studio su specifici argomenti”. 3.E.3. Il corso sperimentale di “autoformazione” professionale per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali. Il corso per magistrati di sorveglianza ed altri magistrati addetti alle funzioni penali ha costituito la seconda esperienza di laboratorio di autoformazione, collocandosi nel solco sperimentale del primo laboratorio inaugurato nel 1999 per i giudici e i pubblici ministeri della area della famiglia e dei minori, mutuandone, con i necessari adattamenti, l’impostazione metodologica e formativa e, similmente alla genesi del primo, è il frutto di una elaborazione “endogena”, scaturendo dall’indicazione di un documento della Commissione Mista del C.S.M. per i problemi della Magistratura di Sorveglianza del 7 Giugno 1999 contenente analisi e proposte in tema di formazione professionale. Il corso, annunziato nelle sue linee essenziali nel programma generale dei corsi del 2000, si è rivolto prevalentemente ai magistrati di sorveglianza, quale offerta formativa specializzata, e, tuttavia, ha visto la presenza significativa, seppure in quota ridotta, di pubblici ministeri, giudici di cognizione e magistrati minorili, nonché la partecipazione di un certo numero di giudici onorari esperti dei tribunali di sorveglianza, realizzando una proficua circolazione di idee, culture ed esperienze giudiziarie diverse in un ottica interfunzionale e multidisciplinare Il laboratorio ha avuto una fase d’avvio in cui insieme al metodologo si è costituito il gruppo dei referenti individuati nei magi- 243 strati di sorveglianza componenti della Commissione mista del C.S.M. e attraverso una serie di incontri preparatori si è predisposto il setting di lavoro, ossia lo strumento di progettazione generale del percorso formativo. In tale documento si è affrontato il problema cruciale di come tenere uniti in un faticoso cammino sperimentale magistrati diversi per funzione e provenienza territoriale, orientandoli verso obiettivi comuni . A tal fine si è focalizzata una cornice di senso in cui l’immagine reciproca dei magistrati di sorveglianza e degli altri magistrati addetti alle funzioni penali potesse costituire lo stimolo per una loro diversa rappresentazione e per la realizzazione di migliori livelli di integrazione tra le diverse figure professionali e tra i diversi momenti processuali. Si sono in tal senso prefigurati i risultati attesi del percorso formativo, individuandoli nella promozione e nel sostegno di una cultura cooperativa tra i magistrati e di un sentimento più forte dell’unità della giurisdizione, nella fortificazione delle identità e dei ruoli professionali, acquisendo maggiore consapevolezza dei principi e dei valori costituzionali nell’uso della discrezionalità, nelle funzioni e finalità della pena, nel fenomeno sanzionatorio visto nella sua unità e processualità e conseguendo miglioramenti nell’adeguatezza, tempestività, effettività ed efficacia delle sanzioni penali. Si sono, altresì, prospettate le metodologie dell’autoformazione, intesa come costruzione dialogica, valorizzazione dell’esperienza, atteggiamento di ricerca, sviluppo della curiosità per l’agire ed il pensare degli altri, individuazione di problemi sufficientemente condivisi, evidenziazione e valorizzazione dei diversi punti di vista e delle diverse ragioni e rappresentazioni, individuazione delle criticità, nonché costruzione e sperimentazione di ipotesi di miglioramento. In tale ottica si è individuato un quadro metodologico e grafico entro cui collocare e analizzare i vari problemi generali e particolari, costituito da due assi: un asse verticale rappresentativo della dimensione normativa e istituzionale dell’attività giudiziaria ed un asse orizzontale significativo delle condizioni concrete e operative in cui tale attività si svolge e dei fenomeni reali con cui essa è chiamata a misurarsi. Si sono altresì prospettati gli strumenti metodologici del lavoro formativo individuandoli principalmente nelle griglie intese come mezzi per organizzare la lettura dei casi e l’analisi dei problemi e nella verbalizzazione della discussione di gruppo. Si sono poi definiti il ruolo e i compiti dei referenti sia nel gruppo 244 centrale di monitoraggio sia nella conduzione del lavoro dei gruppi in sede decentrata Il laboratorio ha avuto il suo varo ufficiale nel maggio del 2000 con un seminario centrale cui hanno partecipato un centinaio tra magistrati togati e onorari selezionati e ammessi in base ad apposito interpello, nonché una serie di esperti invitati a collaborare alla realizzazione del progetto. In tale seminario si è dedicato ampio spazio all’illustrazione dello spirito e del significato culturale dell’autoformazione ed alla presentazione del progetto del laboratorio nelle sue finalità essenziali. Si è poi proceduto alla scelta dei temi, alla formazione dei gruppi di lavoro di circa venticinque partecipanti in quattro aree interdistrettuali, alla programmazione degli incontri decentrati ed alla loro articolazione per fasi metodologicamente orientate. Su proposta del gruppo dei referenti, alla luce delle specificità giudiziarie e territoriali di ciascuna area, il gruppo interdistrettuale del Nord (Corti d’appello di Torino, Milano, Brescia, Trento, Trieste, Venezia e Genova) ha scelto il tema del trattamento sanzionatorio e penitenziario degli stranieri e dei cd. colletti bianchi, il gruppo del Centro (Corti d’appello di Bologna, Firenze, Perugia, Ancona, L’Aquila e Roma cui si sono aggregate per ragioni logistiche le Corti di Cagliari e Sassari) quello relativo agli stranieri, il gruppo del Sud (Corti d’appello di Campobasso, Napoli, Salerno, Bari e Lecce) ha scelto il trattamento sanzionatorio e penitenziario dei tossicodipendenti, il gruppo delle Isole (Corte d’appello di Palermo, Catania, Caltanissetta, Messina, cui si sono aggregate le Corti di Potenza, Catanzaro e Reggio Calabria) quello relativo ai soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Si sono poi programmati gli incontri decentrati in numero di quattro per ciascuna area,secondo una scansione metodologica “per fasi” che rispecchia alcuni momenti fondamentali del concreto processo lavorativo: 1) la rappresentazione dei problemi, 2) l’acquisizione e l’elaborazione dei dati e delle informazioni, 3) la presa delle decisioni, 4) la valutazione dei risultati. Parallelamente e progressivamente nelle quattro aree si è così dedicato un incontro a ciascuna fase. Nonostante le difficoltà iniziali dovute alla “novità” del metodo, ai tempi della sua assimilazione ed al necessario collaudo degli aspetti logistici e operativi e nonostante gli inevitabili problemi in corso d’opera dovuti sia ai contestuali impegni professionali dei partecipanti, sia alla difficoltà di tenere alto il livello di tensione, impegno e coin- 245 volgimento di tutti, cionondimeno può affermarsi che il lavoro in seno ai gruppi interdistrettuali, guidati dai referenti e con la presenza saltuaria del metodologo, si è sviluppato progressivamente, migliorando il livello di empatia, circolarità ed osmosi tra i vari soggetti, individuando una serie di nodi critici dell’attività giudiziaria nelle varie fasi processuali, analizzando a livelli più profondi le ragioni di taluni atteggiamenti e di talune scelte, ricercando nuove soluzioni in termini di cooperazione sinergica tra le diverse figure professionali. Tra una tappa e l’altra degli incontri decentrati, il gruppo dei referenti si è riunito per verificare e discutere impressioni, problemi e risultati dell’incontro precedente e per progettare l’incontro successivo attraverso la predisposizione di griglie e di altri sussidi metodologici. Al momento della redazione della presente relazione si è conclusa la fase decentrata del laboratorio ed è in preparazione la fase finale che culminerà con un seminario centrale nel mese di maggio del 2001 e con la pubblicazione di un apposito Quaderno del C.S.M. Nonostante il suo carattere provvisorio e parziale, il bilancio del laboratorio è sicuramente di segno positivo. In particolare meritano di essere sottolineati i seguenti aspetti: - la “tenuta” dei partecipanti, la maggior parte dei quali ha condotto fino in fondo un percorso formativo lungo e faticoso e, tuttavia, ricco di esperienze e risultati positivi; - il carattere interfunzionale e multidisplinare del laboratorio, che ha raggiunto i suoi risultati migliori laddove si è riusciti ad accentuare e valorizzare tale carattere attraverso scambi osmotici di esperienze, visioni poliprospettiche e integrate dei problemi, soluzioni interattive e sinergiche; - le positive forme di collaborazione realizzate, sia in fase centrale, sia in fase decentrata, con il Ministero della Giustizia,in particolare con l’Ufficio del Casellario Giudiziale e con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria; - la dimensione nazionale e interdistrettuale del corso, in linea con la tendenza verso un modello di formazione integrata che coniughi momenti formativi decentrati in ambiti territoriali omogenei con momenti di confronto e di scambio in sede centrale. Alla luce di tali aspetti, con la consapevolezza degli errori e dei limiti derivanti dal carattere “sperimentale” del percorso compiuto e con la convinzione degli ampi margini di miglioramento, traendo insegnamento dall’esperienza fatta per correggere se necessario il tiro ed in futuro meglio orientare la rotta, può affermarsi che la strada dei “laboratori di autoformazione” merita di essere sempre più intensamen- 246 te e consapevolmente percorsa,anche in settori diversi da quelli che ne hanno visto la prima sperimentazione. 3.F. La formazione dei dirigenti. Non da oggi, ma certamente oggi - dopo il formale inserimento nella Costituzione della garanzia del processo giusto e di durata ragionevole - più che in precedenza, si pone con urgenza all’attenzione di tutti gli operatori del diritto la necessità di pensare la giurisdizione non solo e non tanto come esercizio di un potere statuale sovrano, ma anche e soprattutto come servizio per i cittadini. L’arricchimento di prospettiva pone in luce problemi e aspetti a lungo tenuti in secondo piano: i temi cioè dell’equilibrio tra garanzie ed efficienza del servizio, in primo luogo della durata del processo, e quindi, inevitabilmente, quello dell’organizzazione degli uffici. Anzi, una diretta conseguenza dell’approvazione dell’art. 111 Cost. dovrebbe essere costituito dal superamento di una visione meramente tecnica o tecnologica dell ‘organizzazione e dalla costruzione, piuttosto, di una vera e propria “cultura dell’organizzazione”, che, in quanto tale, non può essere solo come un aspetto della specifica professionalità del dirigente, ma deve diffondersi tra tutti i magistrati. Potrebbe persino dirsi che la specifica professionalità del magistrato si può misurare proprio nella sua capacità di diffondere tra tutti i magistrati dell’ufficio questa cultura suscitandone la partecipazione e il coinvolgimento nelle scelte, nella consapevolezza che gli obbiettivi e le scelte condivise hanno certamente la maggiore probabilità di essere tradotte in realtà operative. Tra l’altro, l’attuale momento vede, accanto al sorgere e al diffondersi di questi mutamenti di cultura istituzionale, anche l’avvio di importanti processi di rinnovamento delle strutture della giurisdizione (basti pensare al giudice unico e al diffondersi del modello della giurisdizione onoraria), che seguono una stagione di rilevanti riforme della disciplina processuale civile e penale, caratterizzata sì da innovazioni ma anche, soprattutto (ma non solo: si pensi al fatto che la novella e le leggi successive non ha toccato, se non marginalmente, il sistema dei mezzi d’impugnazione e il processo esecutivo) in penale, dalla forte diminuzione, se non proprio dalla perdita, dei caratteri della sistematicità. Ora, come è noto, l’innovazione pone immediatamente e con urgenza il problema della formazione dei soggetti chiamati ad attuare i nuovi modelli, ad applicare i nuovi strumenti e le nuove regole. L’im- 247 pegno di analisi e di proposta di soluzione riguarda tutto l’universo degli operatori del diritto (dai magistrati, al personale amministrativo, agli avvocati) e ancor prima le istituzioni interessate (Csm, Ministero, Ordini professionali), che debbono predisporre le condizioni strutturali e organizzative che consentano l’avvio di processi di formazione adeguati. A tal fine le istituzioni hanno già iniziato a porsi il problema di dotarsi di strumenti culturali e di professionalità nuove (si pensi alla presenza di statistici e analisti di organizzazione nello staff del Ministero) che consentano di cogliere quei profili della giurisdizioni se non assolutamente nuovi, certamente poco studiati. E’ perfino banale rilevare che nell’ambito del processo di innovazione che molto schematicamente si è delineato un ruolo fondamentale sono chiamati a svolgere i dirigenti degli uffici giudiziari. Peraltro la riflessione sul ruolo dei dirigenti ha avuto inizio solo in un periodo relativamente recente della nostra storia culturale (sostanzialmente dall’inizio degli anni settanta) e non può certo dirsi che sia avviata a conclusione, anche se alcuni risultati largamente accettati sono stati raggiunti. Può ritenersi acquisito, innanzi tutto, il carattere per così dire polimorfo della funzione del dirigente. Accanto a funzioni di natura schiettamente giurisdizionali, sono state individuate una funzione di amministrazione della giurisdizione e una funzione di gestione dei servizi. Come è noto, l’una, che vede il suo nucleo centrale nel sistema tabellare, fa capo al Csm e si inserisce nel circuito dell’autogoverno, l’altra, caratterizzata più specificamente (ma non esclusivamente, se è vero che la “tabella” è il progetto organizzativo dell’ufficio) dalle competenze organizzative, ha come punto di riferimento di vertice il Ministro e fa parte della rete dell’amministrazione della giustizia. Già questo polimorfismo della funzione dirigenziale pone un primo problema riguardo alla formazione del dirigente, problema che è stato trattato, nei suoi aspetti generali, nel paragrafo relativo ai rapporti di leale collaborazione tra poteri statuali. La necessità di coordinare gli interventi oltre all’esigenza di realizzare anche momenti di recupero delle risorse finanziarie e umane, dovrebbero spingere a una sinergia delle attività formative erogate da Ministro e Csm, che, senza sacrificare gli aspetti specifici delle competenze di ciascuna delle istituzioni, eviti duplicazioni o anche contrasti e contraddizioni. Un secondo profilo sul quale dovrebbe esserci una larga convergenza di vedute è quello che attiene alla collocazione istituzionale del dirigente. Come è reso evidente dalle stesse modificazioni del linguaggio (il termine “dirigente” va prendendo sempre più il 248 posto della vecchia denominazione “capo dell’ufficio”) il dirigente sempre meno si percepisce ed è percepito come chi, giunto al vertice del cursus honorum, è posto a capo di una struttura burocratica di tipo gerarchico, nella quale esercita poteri senza responsabilità. Sempre più il magistrato dirigente si percepisce e viene percepito come titolare di funzioni specifiche (di amministrazione della giurisdizione e organizzative), inserito in un sistema (circuito o rete che dir si voglia) nel quale tali funzioni sono (e, comunque, dovrebbero), essere svolte, con competenze e responsabilità diverse, da altri soggetti (presidenti di sezione, magistrati, funzionari amministrativi). Alla struttura gerarchica dell’ufficio giudiziario, rispondente a modelli organizzativi ormai anacronistici e, comunque, disfunzionali secondo le unanimi valutazioni degli scienziati dell’organizzazione, si dovrebbe sostituire una struttura articolata in momenti di autonomia funzionale il cui coordinamento costituisce proprio il compito precipuo del dirigente, le cui qualità sono tanto maggiori quanto più ampio e fruttuoso è il coinvolgimento di tutti i soggetti dell’ufficio che egli riesce a produrre. La formazione dei magistrati dirigenti è sempre stata oggetto di una specifica considerazione52. Dopo una prima fase in cui l’attenzione era rivolta prevalentemente agli aspetti ed ai problemi ordinamentali, è maturato la consapevolezza dell’importanza del momento organizzativo. Infatti, a partire dal 1994, e successivamente con cadenza annuale, fino al 1999, sono state organizzati incontri di studio nei quali alcuni grandi temi della scienza dell’organizzazione sono stati affidati ad esperti della materia. Ne è risultato uno schema degli incontri che, accanto ai tradizionali temi di ordinamento giudiziario (sistema dell’autogoverno e tabellare; deontologìa) e ad alcune problematiche legate all’entrata in vigore delle riforme delle sezioni stralcio e del giudice unico o comunque in precedenza trascurate (contrattazione decentrata, sicurezza sui luoghi di lavoro, informatizzazíone) si è cercato di richiamare l’attenzione dei dirigenti anche sui problemi più schiettamente legati all’organizzazione generale dell’ufficio. Tuttavia al rinnovamento dei contenuti del- 52 Per restare ai tempi più recenti v. Relazione annuale al Parlamento sullo stato della giustizia in Italia: ‘L’attuazione della VII disposizione transitoria della Costituzione:orientamenti per la riforma dell’ordinamento giudiziario “, Roma1991, 119; Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 1994, Reclutamento e formazione professionale dei magistrati, Roma 1994, 86. 249 l’offerta formativa non ha corrisposto né il gradimento dei destinatari né risultati, sia pure in puri termini di formazione, soddisfacenti. Alla base di quello che, con franchezza, deve essere considerato un vero e proprio insuccesso della formazione certamente ci sono molte cause. Alcune, probabilmente, di natura culturale, altre legate al mancato rinnovamento della disciplina ordinamentale relativa alla selezione e allo status dei dirigenti e alle verifiche dell’attività dirigenziale. L’importante sembra che sia prendere innanzi tutto atto della realtà e individuare le possibili strade per il superamento dell’attuale situazione di difficoltà. A questo fine, sulla base di un primo documento elaborato dal comitato scientifico nel gennaio 2000, che, nella sostanza proponeva, almeno in via sperimentale, di adottare la metodologia formativa del “laboratorio”, che aveva cominciato a dare buoni risultati nella formazione dei giudici dei minori e della famiglia, è iniziata, su incarico della nona commissione, un’attività del comitato avente ad oggetto lo studio preliminare della problematica insieme ad esperti di scienza dell’organizzazione e di formazione manageriale. Nel frattempo è stata sospesa l’attuazione del tradizionale incontro di studio annuale Nel corso di tali studi preliminari si è constatato che il problema fondamentale della formazione dei dirigenti sta in ciò che le tradizionali offerte formative, per la metodologia formativa prescelta, e quindi indipendentemente dai contenuti, sono risultate inidonee a suscitare reali motivazioni per un effettivo impegno attivo dei destinatari di tali offerte. Nel maggio del 2000 è stato quindi messo a punto un progetto di massima di “laboratorio”, che dovrà essere esaminato dalla nona commissione e dal Consiglio. Tale progetto prende le mosse dal rilievo che chi lavora all’interno di un’organizzazione rispetto alle disfunzioni, alle incongruenze, alle carenze, ai conflitti che punteggiano la realtà quotidiana tende a fare ricorso a spiegazioni derivanti da rappresentazioni cristallizzate, da schemi cognitivi che per lo più implicitamente si costruiscono e si sedimentano nel tempo, a partire dalla preparazione professionale, dalle collocazioni istituzionali, da orientamenti culturali e inclinazioni soggettive. Perseguire degli obiettivi di miglioramento dell’organizzazione degli uffici giudiziari richiede invece ai dirigenti di riconoscere in modo articolato i problemi, ovvero di vederli, rilevarli, identificarli, affrontarli con rappresentazioni diverse rispetto a quelle collaudate ma 250 anche statiche e inefficaci. Tali nuove rappresentazioni possono emergere solo discostandosi dai tracciati abituali, considerando ciò che normalmente viene tralasciato come irrilevante, cogliendo connessioni che non si supponevano, ripensando all’influenza di alcuni fattori, rileggendo i comportamenti organizzativi e attribuendo loro nuovi significati. Dall’approccio a nuovi modi di conoscere e riconoscere il funzionamento organizzativo degli uffici si possono sviluppare proposte e interventi di miglioramento che affrontino realisticamente disfunzioni e difficoltà. Si è dunque ipotizzato un percorso di ricerca articolato in tre fasi (“ricognizione dell’esistente”, “individuazione di criticità”, “costruzione di ipotesi migliorative “) agganciato ad alcune aree problematiche ritenute rilevanti53, che si snodano i tre riunioni per ciascuna fase, nell’arco complessivo di sette o otto mesi. Al laboratorio dovrebbero partecipare non più di quindici persone. Il gruppo, nella fase sperimentale iniziale, dovrebbe essere composto da magistrati provenienti da uffici di dimensioni medie della stessa area geografica o di aree contigue ed essere costituito da dirigenti, “semidirigenti” e magistrati che aspirano a svolgere funzioni direttive con adeguata esperienza e permanenza negli uffici di provenienza. Il percorso dovrebbe essere seguito da uno staff composto da un componente del comitato scientifico, da un sociologo dell’organizzazione e da un metodologo. Al di là degli aspetti particolari della proposta e quindi della valutazione che il consiglio ne darà è certo che sul tema della formazione dei dirigenti il Consiglio, in “leale collaborazione” con il Ministero, dovrà dedicare il massimo impegno nell’analisi dei problemi della formazione dei dirigenti, la cui funzione, come ha ricordato da ultimo anche il Capo dello Stato nell’intervento al plenum del 5 marzo scorso, opportunamente ripensata e rinnovata, è essenziale per un recupero di efficienza non disgiunto dal corretto e regolare andamento degli affari giudiziari. 53 Il comitato scientifico ha proposto i seguenti temi: tempi delle indagini e tempi del processo, assegnazione degli affari e formazione dei ruoli, rapporti con la dirigenza amministrativa, rapporti con l’avvocatura, competenze e responsabilità sugli aspetti deontologici, la gestione del personale, il dirigente come “datore di lavoro”, organizzazione e produttività dell’ufficio rispetto ai cambiamenti normativi, “prevedibilità” delle decisioni. E’ naturale che un effetto indiretto della metodologia formativa di cui si parla è anche quello della diffusione delle esperienze organizzative “virtuose”, oltre che l’elaborazione di ipotesi migliorative di quelle meno positive. 251 3.G. La formazione della magistratura onoraria. E’ ragionevole attendersi che l’effettivo sviluppo delle attività formative pertinenti al tirocinio ed alla valutazione iniziale dei giudici di pace, già in atto da qualche mese in vista dell’assegnazione di funzioni penali, ed in fase di avvio secondo la nuova disciplina con riguardo ai magistrati onorari di ultima generazione, sortirà anche l’effetto di sollecitare una migliore e più diffusa attuazione delle iniziative riguardanti i giudici già insediati negli uffici. In verità proprio la legge istitutiva del giudice di pace (l. 21 novembre 1991 n. 374) si era caratterizzata, per quanto interessa in questa sede, per avere formalizzato disposizioni riguardanti la c.d. formazione permanente degli appartenenti ad un corpo giudiziario, evidentemente dando rilevanza normativa ad un dibattito che negli stessi anni già si stava sviluppando nell’ambito della magistratura ordinaria. Come si vedrà anche in seguito, non si tratta del solo caso in cui la disciplina di aspetti ordinamentali della magistratura onoraria ha registrato con tempestività maggiore che in altri settori le tendenze evolutive del fenomeno della formazione. Basti pensare fin d’ora come, per quanto ovviamente suggerita dalla base territoriale del reclutamento e dalla consistenza quantitativa dei soggetti interessati, la scelta di una responsabilizzazione diretta dei Consigli giudiziari per la formazione permanente dei giudici di pace avesse di fatto costituito una anticipazione di soluzioni poi reiterate per gli uditori giudiziari (si allude al D.P.R. 17 luglio 1998, più volte citato), e di scelte di politica della formazione maturate, più in generale, nella discussione consiliare (qui si allude naturalmente, e soprattutto, alla risoluzione più volte citata sul decentramento). L’art. 6 della legge 374/91, nella formulazione originaria, prevedeva che le assemblee distrettuali potessero organizzare corsi di “aggiornamento professionale”, avvalendosi di magistrati e dirigenti di cancelleria, di avvocati e docenti universitari, e progettando i corsi a livello circondariale. La norma aveva subito alcune modifiche nel 1994, prevalentemente allo scopo di adeguarne la portata agli interventi urgenti che in quel contesto venivano compiuti per gestire la fase operativa della riforma (d.l. 7 ottobre 1994 n. 571). Va però subito rilevato come, nonostante gli interventi propulsivi del Consiglio (ad es. con una risoluzione del 20 luglio 1996), la realizzazione dei corsi fosse stata discontinua, e soprattutto disomogenea nelle varie porzioni del territorio nazionale, così concretando un rischio insito in ogni forma non controllata di decentramento della formazione, e cioè la difforme 252 garanzia di professionalità del giudice per i cittadini che accedono alla giustizia. Ad ogni modo, come anticipato, l’impulso di coordinamento e sviluppo che le circolari dell’8^ Commissione consiliare (verificare che già siano state citate) hanno somministrato ai Consigli giudiziari, che dovranno comunque gestire la formazione iniziale, non dovrebbe mancare di efficacia neppure sul terreno che qui interessa. Del resto l’unico ritocco che la recente riforma ha introdotto quanto all’art. 6 della legge istitutiva, se si esclude un intervento di coordinamento con il nuovo istituto del tirocinio a monte delle funzioni, riguarda proprio il carattere obbligatorio del servizio di formazione permanente assegnato ai Consigli giudiziari, ciascuno dei quali ormai non “può organizzare” ma senz’altro “organizza” i corsi di aggiornamento professionale (art. 4 della l. 468/99). Il complesso delle regole dettate per la realizzazione delle iniziative è rimasto invariato, ma certo assume un senso nuovo alla luce dell’attuazione necessaria delle iniziative stesse. Dal tenore della disposizione si desume che i corsi debbano avere cadenza almeno annuale (ma ciò non può significare la preclusione di corsi in numero superiore ad uno per anno), ed è prescritto che ciascun corso abbia durata non superiore ai venti giorni, anche non consecutivi. La legge stabilisce, ulteriormente, che i corsi siano tenuti da tre docenti, in linea di massima prescelti tra persone che prestino servizio e comunque svolgano l’attività che le qualifica nel circondario del tribunale (comma 3). In effetti, al fine evidente di favorire la connotazione pratica ed una relazione particolarmente intensa tra i contenuti della programmazione e la concreta esperienza giudiziaria dei destinatari della formazione, la legge prescrive che le iniziative siano organizzate su base circondariale (comma 1). E’ rimasta invariata, purtroppo, anche la disposizione riguardante il compenso per i docenti dei corsi, fissato in trentamila lire per giornata, e dunque in termini così lontani da una logica di retribuzione del lavoro intellettuale e materiale richiesto che la formazione dei giudici di pace può considerarsi sostanzialmente affidata, ancora una volta, al senso di volontariato dei soggetti interessati. Senza con questo estendere a piani diversi rilievi che pure presentano una qualche valenza generale, occorre ben dire che l’aspettativa di uno sviluppo del servizio formativo a costo zero è velleitaria e dunque sostanzialmente contraddittoria rispetto agli obiettivi fissati dalla legge. Il tirocinio organizzato in vista dell’avvio della giurisdizione penale di pace alla data 253 del 4 aprile 2001 ha registrato fenomeni di grande senso del servizio da parte dei magistrati e dei docenti di altra provenienza, ma presenta il connotato evidente dello sforzo eccezionale per un evento eccezionale ed irripetibile. Se il lavoro per la formazione può considerarsi un dovere di ufficio per gli appartenenti all’ordine giudiziario (ma qui rileva la questione, ben più generale, del suo carattere aggiuntivo rispetto al lavoro giudiziario), altrettanto non può dirsi per gli appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche (prima fra tutte le Università, che secondo il punto 18 del § II della circ. 19-24 luglio 2000 possono essere chiamate dai Consigli giudiziari ad un rapporto di collaborazione), od agli ordini professionali. D’altra parte è proprio la legge, che qui codifica acquisizioni ormai indiscusse della formazione giudiziaria come il connotato irrinunciabile del contributo della dottrina giuridica e delle figure professionali non appartenenti all’amministrazione, ad impedire che possano imporsi soluzioni “interne” al corpo giudiziario per l’effetto di una politica di sviluppo non finanziato. Oltretutto, proprio con specifico riguardo alla magistratura onoraria, la cui disciplina registra ancora una volta la prima rilevazione di tendenze mature nel sistema ma ancora lontane da una organica sistemazione positiva, il legislatore ha recentemente formalizzato il concetto che la formazione è una investimento funzionale alla crescita qualitativa e quantitativa del servizio giudiziario, e come tale deve essere finanziato: si allude al disposto del recentissimo art. 24 bis del d.l. 24 novembre 2000 n. 341, come introdotto dalla legge di conversione (l. 19 gennaio 2001 n. 4), che nel riformare l’intero quadro delle indennità corrisposte ai giudici di pace introduce l’innovazione di una indennità fissa di cinquecentomila lire mensili, riferendola ai “servizi generali di istituto” e, assimilandole, alle attività di “formazione” e “aggiornamento”. A prescindere da rilievi più generali, ed altrove sviluppati, sulla evoluzione evidentemente in atto del concetto di professionalità del giudice, sui contenuti minimi del suo dovere di diligenza, resta chiara la contraddizione di un sistema disposto a finanziare il tempo-lavoro dei fruitori della formazione ma non quello degli agenti della medesima. Dovendo guardare all’immediato, la soluzione del problema potrebbe essere avviata nel quadro più generale di un parziale trasferimento ai Consigli giudiziari delle risorse che il Consiglio Superiore destina alla formazione, con la decisione politica di comprendere il servizio destinato ai giudici di pace in servizio tra quelli finanziati nell’ottica del decentramento formativo. Ma resta chiaro, anche su questo specifico terreno, che i tempi sono ormai maturi per un superamento della logica che pure, fino ad oggi, ha consentito lo 254 sviluppo della formazione secondo sentieri segnati da generosità ed entusiasmo, ma non ulteriormente credibili quali percorsi capaci di realizzare l’evoluzione doverosa del fenomeno. Dal punto di vista organizzativo, la competenza attribuita ex lege ai Consigli giudiziari non può certo escludere un ruolo qualificante, e per molti versi doveroso, del Consiglio Superiore. Secondo una logica di garanzia dell’eguale ed armonioso sviluppo delle realtà distrettuali, che segna del resto in generale la risoluzione consiliare sul decentramento, il Consiglio è già intervenuto con due circolari nella fase concitata del tirocinio per la prima assegnazione delle funzioni penali, ed appare forse fin d’ora opportuna una analoga iniziativa che, giovandosi del resto delle molte soluzioni già individuate per le iniziative di formazione iniziale, si concentri direttamente sulla formazione permanente. E’ fin troppo ovvio che l’autonomia dei singoli Consigli giudiziari, la loro insostituibile sensibilità alle esigenze ed alle potenzialità territoriali della formazione, rappresentano una risorsa incoercibile per la qualità del servizio. L’intervento consiliare dovrà dunque conformarsi sulle sue stesse finalità, consentendo anzitutto una funzione di stimolo che assicuri una ragionevole uniformità dell’offerta sul territorio nazionale (sotto il profilo dei livelli quantitativi e qualitativi minimi, naturalmente, e non certo sotto il profilo di metodi e contenuti), e dunque garantendo un costante monitoraggio della situazione presso i vari distretti. Una continua circolazione delle informazioni relative – ma è questa una linea di sviluppo più generale – costituirà vero e proprio supporto allo sviluppo delle autonomie, diffondendo idee e prassi virtuose. Dovrà essere assicurata ai Consigli giudiziari anche una sede di confronto e discussione sulle soluzioni dei problemi che lo sviluppo del fenomeno porterà alla luce, problemi che spetterà ai Consigli stessi risolvere, attraverso un servizio di coordinamento tra i componenti delegati alla gestione del tema, ed eventualmente mediante l’organizzazione di incontri nazionali organizzati allo scopo. 3.H. Le prospettive future della formazione. 3.H.1. La formazione permanente. L’apertura alle culture non giuridiche. Sempre più crescente è l’esigenza che la formazione del giudice non sia solo formazione su materie giuridiche, ma sia anche conoscenza ed approfondimento di temi extra-giuridici, che interessano e 255 coinvolgono l’attività giurisdizionale, condizionando addirittura le stesse decisioni (si pensi ad esempio alla contabilità e ai bilanci, alla tecnica bancaria e commerciale, alla medicina, alla psicologia e psichiatria, alla cinematica stradale, alla balistica, alla topografia ed estimo, alla tossicologia, all’urbanistica). Si é già accennato in precedenza (parr. 2. I. e 3.B.) al fatto che la sede decentrata è il luogo ideale per quest’attività formativa per così dire “integrativa”, ampliante il bagaglio di conoscenze dei magistrati al di là dei limitati confini del diritto processuale e/o sostanziale, onde fornire agli stessi i necessari strumenti di comprensione di una realtà fattuale sempre più complessa e difficile, nella quale le valutazioni giuridiche sono sempre più spesso collegate a valutazioni di ordine economico, sociale, psicologico, etc. (si pensi ad esempio alla materia minorile e familiare, al campo del diritto bancario, industriale e commerciale, ai problemi della devianza criminale). Comunque, è in sede centrale che si realizza il massimo livello di “apertura alle culture non giuridiche”, visto che, secondo le scelte della risoluzione del 26 novembre 1998, ribadite durante il recente seminario “Formazione dei formatori” del dicembre 2000, soltanto a livello centrale, per la delicatezza ed attualità dei temi affrontati, sono ipotizzabili: a) iniziative in materia di “deontologia professionale”, finalizzate ad accrescere sempre più quella coscienza del “dover essere” che soprattutto al giorno d’oggi deve permeare l’attività del giudice, in una società così complessa e in un quadro istituzionale contraddistinto dal rischio di un continuo conflitto tra il potere giudiziario e gli altri poteri dello stato; b) corsi “interdisciplinari” e/o di “società e questioni contemporanee”, ove si affrontano in un’ottica unitaria temi particolari, in una prospettiva culturale più ampia, investente profili di ordine sociale-economico, etico e/o anche filosofico (si pensi ad esempio a corsi come quelli sulla “bioetica”, sul “diritto, processo, tempo”, su “immigrazione e razzismo”, su “libertà della persona e provvedimenti prescrittivi del giudice”); ed è proprio attraverso tali corsi “interdisciplinari”, per loro natura aperti al contributo di scienze extra-giuridiche, che si tende a perseguire il fine ultimo dell’attività formativa, non limitata ad una mera opera di aggiornamento professionale, ma tesa a migliorare in senso più ampio la sensibilità culturale dei magistrati, al fine di un’elevazione del loro grado di autonomia ed indipendenza e, in definitiva, di un più proficuo svolgimento delle loro funzioni. Vi sono altri campi non giuridici da esplorare nella prospettiva di migliorare le qualità e le potenzialità dei magistrati, ad esempio la materia “linguistica”, in particolare le lingue dell’Unione Europea rap- 256 presentate dall’inglese e francesce, nonché le materie dell’“organizzazione del lavoro giudiziario” e dell’“informatica”, intesa quest’ultima quale strumento per una più facile rapida e gestione del lavoro, chiaramente facilitato dall’uso del computer e dall’accesso alle varie banche-dati presenti in rete e su CD. Ed anche per questi specifici settori si è già visto che la sede preferenziale è quella della formazione decentrata, ove potranno essere facilmente organizzate iniziative formative su questi aspetti, eventualmente in collaborazione coi referenti per l’informatica per quanto concerne appunto lo specifico tema dell’informatica giudiziaria (sull’informatica e l’organizzazione del lavoro vedi anche infra). Per finire, il contributo delle scienze extra-giuridiche alla formazione dei magistrati può essere visto anche su un altro piano, cioè quello metodologico, nel senso della partecipazione di metodologi, sociologi, psicologi agli incontri di studi, per meglio organizzare e coordinare i lavori e, in definitiva, per ottenere risultati più efficaci sotto il profilo del coinvolgimento dei partecipanti. L’ausilio di detti professionisti, è evidente, appare quanto mai utile in relazione ad attività formative relative a specifiche funzioni giurisdizionali, che più delle altre impongono capacità di dialogo e confronto ed implicano riflessioni di natura psicologica e/o sociologica; ci si riferisce in particolare ai giudici minorili e della famiglia ovvero ai giudici di sorveglianza, categorie per le cui esigenze formative è già stato sperimentato il contributo delle citate figure professionali, in specie in occasione delle significative esperienze dei “laboratori di autoformazione”, esperienze che, per i loro esiti positivi, saranno ripetute in futuro. Allo stesso tempo, deve essere segnalato il fondamentale ruolo da attribuire a queste figure professionali in relazione alla c.d. “Formazione dei Formatori”, cioè nel settore destinato alla formazione dei magistrati interessati all’attività formativa, soggetti che, proprio per l’incarico che sono chiamati a ricoprire, oltre alle capacità tecnico-giuridiche, devono necessariamente avere attitudini al confronto, all’organizzazione e al contatto coi terzi; ed invero, le esperienze dei pregressi seminari “Formazione dei formatori”, in cui più volte sono intervenuti sociologi, psicologi e metodologi per coordinare gruppi di lavoro, hanno dimostrato in modo chiaro l’importanza del contributo di detti operatori. Per finire, anche la formazione in tema di “organizzazione del lavoro giudiziario” presuppone il coinvolgimento di esperti delle scienze dell’organizzazione e di sociologi, portatori di conoscenze 257 extra-giuridiche funzionali ad una migliore resa complessiva del servizio giustizia; ed è auspicabile che nei futuri seminari sulla “formazione dei dirigenti degli uffici”, ovvero nei “laboratori di autoformazione” di detti dirigenti, sia prevista la partecipazione di questi esperti, in modo che anche lo specifico settore della formazione dei soggetti chiamati a gestire le – più o meno - grandi macchine organizzative degli uffici giudiziari possa utilizzare le migliori professionalità sui temi dell’organizzazione degli uffici e della gestione per personale. 3.H.2. Il confronto con gli altri operatori del processo. L’“apertura all’esterno” della formazione professionale dei magistrati si realizza anche in un’altra direzione, nel senso di un sempre più marcato coinvolgimento nell’attività formativa degli altri operatori del processo, e in particolare gli avvocati. Ed infatti, da sempre i corsi a livello centrale hanno ricevuto il fondamentale contributo scientifico di professori universitari, notai ed avvocati, chiamati a svolgere il ruolo di relatori su singoli temi e, quindi, portatori delle loro conoscenze ed esperienze, nel quadro di un tendenziale raccordo tra esigenza di ricostruzione dommatico-teorica (in genere effettuata dai professori) e necessità di analisi pratica delle singole questioni (questo è il compito di solito affidato agli avvocati relatori). Al contempo, è noto che, da vario tempo, quasi tutti i corsi a livello centrale prevedono la partecipazione quali discenti di rappresentanti dell’avvocatura, designati dal Consiglio Nazionale Forense, così come alcuni corsi particolari, riguardanti materie che interessano anche il notariato, sono aperti alla partecipazione di notai, anch’essi designati dall’organo nazionale di categoria (nel 2001 vedi i corsi “I rapporti patrimoniali della famiglia” ed “Interposizione e simulazione nel negozio giuridico”). Analogamente, vi è sempre un maggiore coinvolgimento nelle iniziative formative, sia quali docenti che quali discenti, di avvocati dello stato e di magistrati amministrativi, contabili e militari; la presenza degli avvocati dello stato, è chiaro, rientra sempre nell’ottica di quel continuo contatto e scambio di idee fra operatori del processo, mentre leggermente diversa è l’esigenza sottesa alla partecipazione dei componenti delle giurisdizioni speciali, coinvolti in un circolo virtuoso finalizzato al miglioramento complessivo della “cultura della giurisdizione” di tutti i magistrati, in primis di quelli ordinari. Si noti che, anche per questa seconda forma di “apertura all’ester- 258 no” dell’attività formativa, la sede decentrata costituisce un luogo ideale, essendo più semplice realizzare a livello periferico un efficace coinvolgimento dei terzi nella formazione dei magistrati, come insegna la stessa pluriennale esperienza locale degli “Osservatori per la giustizia” ovvero di strutture associative, composte da magistrati e avvocati, agenti a livello locale; i referenti distrettuali, insomma, avranno maggiore facilità di instaurare contatti col mondo accademico locale nonché con gli organismi forensi e notarili del luogo, ed avranno la concreta occasione di organizzare in accordo con le istituzioni forensi giornate di studio aperte indifferentemente a magistrati ed avvocati, nell’ottica di quel coordinamento auspicato nella risoluzione del 26 novembre 1998 e in tutti i successivi interventi consiliari, anche con riguardo alla formazione dei giudici onorari (vedi il par. “3e”); peraltro, uno specifico campo di stretta interelazione tra formazione locale dei magistrati e degli avvocati sarà quello relativo alla formazione iniziale degli uditori e dei giovani avvocati, nella prospettiva di realizzare una linea di continuità con la formazione di base comune prevista nel futuro per le professioni legali (ci si riferisce alle istituende scuole di specializzazione post-universitaria). Oltre agli avvocati, vi sono poi altri “operatori del processo” interessati all’attività formativa del Consiglio. Ci si riferisce ai funzionari di cancelleria, la cui attività, evidentemente, è indispensabile per la stessa funzionalità del processo e che, quindi, in prospettiva, dovranno sempre più essere coinvolti in specifiche iniziative formative, centrali e locali, chiaramente anche attraverso la mediazione delle istituite ed istituende “Scuole di formazione del personale amministrativo giudiziario”, i cui docenti potranno pure essere impiegati quali relatori in corsi organizzati dal Consiglio ovvero dai referenti distrettuali. In senso lato, altri “operatori del processo” da coinvolgere in attività formative sono gli appartenenti alle forze di Polizia, ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza, da invitare quali discenti in specifici incontri di studio, ad esempio in materia di indagini investigative, di reati tributari o, comunque, di temi di loro interesse (si noti che, per il 2001, è stata prevista la partecipazione delle forze di Polizia all’incontro su “ Fenomeni migratori, minoranze e razzismo”) Per finire, non si possono dimenticare gli “ausiliari del giudice”, e cioè professionisti quali architetti, ingegneri, medici-legali, commercialisti, spesso chiamati ad adiuvare il giudice attraverso perizie e CTU; al riguardo, in linea con quanto indicato nella risoluzione consiliare del 26 novembre 1998, è auspicabile un concreto coinvolgimento 259 di tali professionisti in iniziative di loro interesse organizzate a livello locale (per esempio, le modalità di espletamento delle operazioni peritali, le modalità di calcolo dei compensi, la procedura di opposizione alla liquidazione). 3.H.3. Le iniziative con le Autorità indipendenti. Con le delibere 26.10.2000, 11.4.2001 e 10.5.2001, il Consiglio ha per la prima volta previsto iniziative formative progettate e gestite in stretta collaborazione con Autorità amministrative indipendenti quali la Consob, la Banca d’Italia e l’Agenzia Nazionale per il volo; e per il futuro sono state già programmate iniziative analoghe con altre enti dello steso tipo, in particolare con l’ISVAP, l’Autorità Antitrust, l’Autorità per le comunicazioni, l’Autorità garante per la privacy. Trattasi di una novità nel quadro dell’esperienza formativa del C.S.M., che non aveva mai organizzato incontri di studio co-gestiti con simili enti, limitandosi in alcuni casi ad avvalersi di singoli esponenti di tali organismi quali relatori su specifiche tematiche legate alle attività degli enti di pertinenza (si pensi ad esempio agli incontri di studio sulla “privacy” e sul “Contenzioso con le banche”, ove sono intervenuti come relatori rappresentanti dell’Autorità garante per la privacy e della Banca d’Italia). L’esigenza di queste iniziative comuni è nata dalla constatazione della crescente interazione tra l’esercizio dei poteri di spettanza dell’Autorità giudiziaria e quelli delle predette “Authorities”, circostanza che ha reso di per sé intuitiva la necessità di stabilire, tra i magistrati e gli esponenti delle “Authorities”, modalità di condivisione degli strumenti di analisi e di intervento su fenomeni spesso connotati da elevato tecnicismo; il modello sinora utilizzato è stato quello di una organizzazione concordata dei seminari, aperti ai magistrati ma sempre svoltisi presso le “Authorities” e con relatori sempre scelti all’interno di questi ultimi; in prospettiva futura, appare utile una tendenziale istituzionalizzazione di questo tipo di collaborazioni, con la precisazione che, rispetto al modello sinora utilizzato, si potranno anche prevedere incontri concordati rientranti nella programmazione ordinaria del C.S.M. ed aperti contestualmente ai magistrati e ai funzionari di detti enti (analizzando la programmazione 2002, si potrebbe immaginare la partecipazione di funzionari della Banca d’Italia e della Consob al corso “Il mercato dei valori mobiliari tra regole e controlli, nonché la partecipazione di rappresentanti delle Autorità delle comunica- 260 zioni e della privacy al corso “Libertà di manifestazione del pensiero e tutela della persona”). 3.H.4. Il supporto alla specializzazione ed alla riconversione. La tendenza delle società e degli ordinamenti giuridici contemporanei verso forme accentuate di specializzazione si riflette in modo pressante nel campo delle attività giudiziarie, sia involgendo la questione essenziale del rapporto tra l’unità della giurisdizione e la pluralità delle giurisdizioni nei vari settori specialistici, sia interpellando il sistema formativo affinché, per un verso, eroghi servizi e fornisca strumenti di supporto ai percorsi professionali specializzati e, per altro verso, mantenga tali percorsi nell’alveo comune della cultura del diritto, del processo e della giurisdizione. In tale ottica la formazione si rivela quale elemento fondamentale di un sistema complesso teso a realizzare il difficile equilibrio tra la specializzazione del magistrato con l’acquisizione e l’accumulo delle necessarie competenze specialistiche, la comunicabilità di tali saperi specialistici attraverso la loro immissione e diffusione nei diversi circuiti formativi, il mantenimento e radicamento dei magistrati specializzati nella cultura comune della giurisdizione e nelle tematiche d’ordine generale, la tendenziale temporaneità delle funzioni giudiziarie con particolare riguardo a quelle specialistiche ed i percorsi formativi di riconversione nei confronti dei magistrati che vogliono o debbono mutare funzione. Il supporto formativo ai percorsi professionali specializzati (si pensi ai magistrati minorili, ai magistrati di sorveglianza, ai giudici della famiglia, ai giudici del lavoro, ai giudici fallimentari) si potrà svolgere attraverso una rete articolata che preveda sia periodici incontri distrettuali e interdistrettuali tra nuclei di magistrati addetti alle medesime funzioni, sia seminari centrali di alta specializzazione, aperti anche a quelle figure professionali esterne che quotidianamente interagiscono e collaborano con la magistratura (si pensi,agli assistenti sociali minorili, agli educatori e assistenti sociali penitenziari, ai consulenti psicologi, ai periti medici, ai curatori fallimentari), la cui presenza corrobora la formazione specializzata e la collega ai reali contesti lavorativi e ambientali. Tali circuiti formativi devono garantire lo sviluppo progressivo di un patrimonio di esperienze e conoscenze specialistiche da condividere e far circolare attraverso canali comunicativi stabili, avvalendosi anche delle moderne tecnologie informatiche e telematiche. 261 Tale patrimonio deve circolare e diffondersi non solo all’interno degli ambiti formativi specializzati ma anche nel circuito formativo generale, inserendo le tematiche specialistiche ed i risultati delle ricerche settoriali in contesti tematici e formativi più ampi, al fine di cogliere meglio i nessi fra le varie parti dell’ordinamento e favorire così le ricostruzioni sistematiche, arricchendone i quadri d’insieme. Nel contempo, al fine di prevenire i rischi della fossilizzazione e dell’autoreferenzialità, ai magistrati che esercitano funzioni specialistiche devono rivolgersi offerte formative sui temi generali del diritto e del processo e si devono favorire gli incontri interfunzionali e multidisciplinari in cui esaltare il volto comune della giurisdizione, evidenziandone sia i profili unitari, sia i tratti differenziali. Tali antidoti formativi si collocano in un contesto ordinamentale in cui va affermandosi il principio della tendenziale temporaneità delle funzioni giudiziarie con particolare riguardo a quelle specialistiche, sia attraverso la regolamentazione para-normativa di fonte consiliare, sia mediante disposizioni legislative che prevedono con riferimento a talune funzioni (si pensi ai giudici per le indagini preliminari) speciali limiti temporali. La mobilità “imposta” conseguente alla temporaneità della funzione, unitamente alla mobilità “volontaria” dei trasferimenti a richiesta, pone il problema cruciale dei meccanismi formativi di riconversione nel passaggio tra le varie funzioni. La “riconversione”, specie se avviene tra funzioni molto distanti tra loro e nei confronti di un magistrato che non ha mai svolto (ovvero ha svolto in tempi lontani) le funzioni di nuova destinazione, è un momento assai delicato che esige particolare attenzione e speciali supporti dal sistema formativo. Il rischio che il costo della riqualificazione professionale del magistrato si trasferisca sull’utente della giustizia può e deve essere prevenuto attraverso la tempestività dell’intervento formativo e la scelta di modalità appropriate che lo innervino nei momenti cruciali del mutamento di funzioni. Occorre che la riconversione sia e diventi uno degli assi portanti del sistema formativo una sorta di crocevia e di valvola pluridirezionale attraverso cui passano e si incrociano le strade che conducono alle diverse funzioni (dal settore civile al settore penale o viceversa, dalle funzioni generaliste alle funzioni specializzate o viceversa, dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti o viceversa). Occorre che nella riconversione siano impiegate le migliori e più appropriate competenze formative, utilizzando ad esempio i magistrati specializzati, quelli che da poco tempo hanno 262 lasciato le funzioni specializzate ovvero che le coltivano per consuetudine di studi. In tale ottica la formazione di riconversione è chiamata ad essere uno strumento fondamentale di circolazione e condivisione dei diversi saperi e delle diverse esperienze giudiziarie, di garanzia dell’unità e pluralità della giurisdizione, di tutela e promozione della professionalità del magistrato a servizio del cittadino, attraverso un’attività di informazione e di assistenza che consenta ai magistrati interessati di acquisire o riacquisire le necessarie competenze per lo svolgimento della nuova funzione loro assegnata; e tale attività, da svolgersi in via pressochè esclusiva a livello locale (vedi in particolare il par. “3.B.4”), richiederà l’impiego delle migliori e più appropriate competenze formative, utilizzando ad esempio i magistrati specializzati o quelli che coltivano le specifiche materie per consuetudine di studi. 3.H.5. Il supporto alla corretta fruizione degli strumenti informatici. Sembra perfino superfluo soffermarsi sulle ragioni che impongono specifiche attività di formazione in materia informatica (se ne è già parlato, tra l’altro, al punto del presente par.). I crescenti investimenti profusi nel dotare il sistema nel suo complesso di strumenti informatici adeguati, hanno rapidamente mutato –e continuano a mutare- in maniera irreversibile le stesse abitudini lavorative dei magistrati ed è quindi scontato che la loro formazione debba essere calibrata anche con riguardo a questo aspetto della loro professione. Non può peraltro negarsi che la rapidità di questi mutamenti ha colto impreparata la comunità giudiziaria, non solo –o non tanto- sotto il profilo dell’acquisizione delle conoscenze necessarie a fruire dei mezzi informatici, ma, soprattutto, sotto quello della gestione complessiva dell’impatto dell’accelerazione del progresso tecnologico sulla macchina giudiziaria. Una corretta e fruttuosa assimilazione della “rivoluzione” informatica, infatti, non implica semplicemente “l’addestramento passivo” dei magistrati all’uso di macchine e sistemi, ma altresì una approfondita analisi delle ricadute anche culturali sull’esercizio delle funzioni giudiziarie. Ciò premesso va rilevato che l’attuale impegno formativo in materia informatica deve essere ripensato. Se si fa eccezione per i corsi dedicati alla conoscenza delle banche dati gestite dal CED della Cassazione (corsi frequentati oramai pressoché esclusivamente dagli uditori in tirocinio) e per alcune iniziative di alfabetizzazione elettronica 263 organizzate dal Ministero di Giustizia nelle varie sedi in occasione della fornitura di macchinari, la formazione informatica del magistrato è sostanzialmente stata sinora rimessa all’iniziativa individuale. Ciò ovviamente ha comportato e comporta inevitabili disomogeneità nelle conoscenze e discontinuità nell’aggiornamento, ma quel che più importa, crea le condizioni perché gli strumenti messi a disposizione vengano sottoutilizzati. In proposito va evidenziato che i più recenti progetti di informatizzazione degli uffici giudiziari comportano un utilizzo sempre più avanzato dei macchinari e dei sistemi in dotazione: infatti, da una iniziale fase in cui ci si è limitati alla fornitura di personal computer destinati prevalentemente all’utilizzo di programmi di videoscrittura (supporti essenzialmente funzionali alla redazione dei provvedimenti giudiziari), si è oramai transitati ad una fase successiva, in cui attraverso lo strumento informatico il magistrato è messo nelle condizioni di accedere ad un numero crescente di banche dati (di vario contenuto: raccolte di giurisprudenza, registri e archivi di pubbliche amministrazioni, ecc.), mentre diversi uffici (con particolare riguardo a quelli di Procura) sono stati organizzati sulla base di reti informatiche e nell’immediato futuro si prospetta la diffusione di programmi informatici (già sperimentati con successo da singoli uffici, che li hanno acquisiti attraverso l’impegno delle proprie e autonome risorse finanziarie) finalizzati all’archiviazione e alla gestione del materiale processuale (a tutto ciò devono poi aggiungersi i progetti di completa informatizzazione dei procedimenti giudiziari - già in fase di concreta sperimentazione con riguardo al settore civile -, l’oramai avanzata informatizzazione dei registri giudiziari e la diffusione dell’accesso a reti informatiche dedicate o ad Internet, diffusione che a sua volta moltiplica le possibilità di interazione tra il magistrato e il computer). Appare dunque necessario, innanzi tutto, incrementare l’apprendimento di conoscenze in materia informatica, idonee a consentire lo sfruttamento adeguato degli strumenti via via messi a disposizione. E’ poi evidente come bisognerà garantire che ciò avvenga in modo omogeneo e diffuso tra tutti i magistrati (non solo per arginare il rischio che si creino elites culturali legate al possesso in via esclusiva di professionalità sofisticate in materia informatica, bensì anche per rendere più agile e meno onerosa la formazione dei magistrati che mutano funzioni, accedendo a quelle che strutturalmente comportano un maggior impiego di mezzi informatici rispetto ad altre). Ma non meno importante è assicurare il costante aggiornamento delle conoscenze, stante la rapidità dell’evoluzione tecnologica nel settore informatico. 264 Questa attività di “divulgazione” dell’informatica deve necessariamente coinvolgere la struttura di formazione a tutti i livelli, pur apparendo preferibile attribuire alla rete locale in collaborazione con i referenti informatici il ruolo principale (vedi i parr. “2.i” e “3.b”). Non di meno è di tutta evidenza che sia necessario istituzionalizzare un coordinamento tra le iniziative consiliari e quelle eventualmente promosse dal Ministero di Giustizia, preposto alla fornitura delle attrezzature e all’adozione dei sistemi e dei programmi informatici. In prospettiva l’obiettivo deve anzi ritenersi quello di creare un collegamento organico e stabile in materia, affinché sempre più il Ministero possa orientare i propri investimenti dopo aver concretamente sondato le esigenze dell’utenza in tutte le sue articolazioni. Come accennato in precedenza, il problema dell’addestramento “tecnico” dei magistrati ad una corretta e completa fruizione degli strumenti informatici è solo uno degli aspetti che interessano la formazione in questo campo. Infatti, la tendenza ad incrementare l’automazione dell’attività giudiziaria, se per un verso ne aumenta celerità ed efficienza, dall’altro impone una riflessione approfondita sulle ripercussioni che ciò comporta sulla concreta amministrazione della giustizia e, più in particolare, sugli eventuali rischi per la natura stessa delle funzioni del magistrato. Infatti una adesione incondizionata alle opportunità che l’informatica indubbiamente offre può nascondere non poche insidie. Si pensi, ad esempio, alla pericolosa tendenza all’eccessiva uniformazione delle motivazioni dei provvedimenti giudiziari, conseguenza della possibilità di innestare facilmente motivazioni precostituite e standardizzate in una serie indefinita di atti consimili. O ancora al rischio di inibire la capacità evolutiva della giurisprudenza nel suo complesso, che l’accesso sistematico agli oramai innumerevoli archivi di decisioni giudiziarie renderebbe assai concreto, qualora la facilità di consultazione di tali archivi finisse per deprimere lo stimolo a sviluppare continuamente la ricerca. E non va qui dimenticata la sempre più diffusa abitudine di informatizzare gli atti processuali, per trasfonderne il contenuto nei provvedimenti giudiziari, che divengono dunque sempre più voluminosi, ma che rischiano di risultare carenti sotto il profilo dell’analisi critica del materiale probatorio posto alla base della decisione. Deve dunque garantirsi una adeguata formazione al magistrato, nel corso dell’intero arco della sua carriera, perché egli possa utilizzare in modo consapevole le potenzialità dell’informatica, evitando cioè che gli strumenti messigli a disposizione finiscano per svilire i contenuti della sua alta funzione, trasformandola in un tralaticio assemblamento di formule preconfezio- 265 nate. Ma soprattutto egli deve essere periodicamente sollecitato ad interrogarsi sull’effettiva capacità di “dominare” i mezzi elettronici e non di “delegare” a questi ultimi il proprio compito intellettuale. 3.H.6. Le sinergie tra i percorsi collettivi ed individuali di formazione e l’organizzazione del lavoro. E’ di immediata evidenza (ed è stato sottolineato più volte nel corso della presente relazione) come l’attività di formazione influisca sulla crescita professionale del magistrato e, in ultima analisi, ne garantisca l’indipendenza e l’autonomia. Ed è indubbio che per il passato ciò ha rappresentato, ad un tempo, motore e obiettivo della formazione, orientata prevalentemente verso un incremento diffuso delle professionalità individuali. Deve invece ancora maturare una adeguata consapevolezza dell’interazione tra formazione ed organizzazione del lavoro: della possibilità cioè di accrescere l’efficienza del lavoro individuale e dei singoli uffici attraverso adeguati interventi formativi. Infatti, se indubbiamente il supporto di aggiornamento e accrescimento professionale realizzato con riguardo al “sapere giuridico” del magistrato ha inevitabilmente avuto una ricaduta in termini di efficienza del servizio che questi rende, non può negarsi che ancora oggi non gli è garantito analogo e specifico sostegno in materia di organizzazione del lavoro e ottimizzazione delle risorse. E’ perfino superfluo sottolineare come la crescente complessità e onerosità dell’attività giudiziaria richieda di aumentare l’attenzione verso i temi dell’organizzazione del lavoro e certamente un intervento proficuo in materia è possibile realizzarlo attraverso lo strumento della formazione, anche perché la crescente domanda di una maggior efficienza del sistema giudiziario venga soddisfatta in maniera equilibrata, con il coinvolgimento diretto e consapevole dei magistrati e non a scapito della loro autonomia e indipendenza, ma anzi costituendo i presupposti per la loro completa realizzazione. E’ chiaro che l’intervento formativo in questo campo non può che essere articolato e diversificato, uscendo dagli schemi tradizionali (soprattutto sotto il profilo metodologico). Pertanto si prospetta l’esigenza di una forte compenetrazione tra iniziative adottate in sede centrale e in sede decentrata. Ma ancor di più si manifesta la necessità di promuovere (istituzionalizzando esperienze già maturate in molte sedi) momenti collegiali di individuazione e discussione dei problemi organizzativi dei singoli uffici, nonché occasioni di confronto tra uffi- 266 ci diversi di una stessa sede giudiziaria, tesi alla individuazione e alla razionalizzazione delle soluzioni da adottare nei reciproci rapporti in materia organizzativa. In proposito va certamente rafforzata l’attività di promozione, già da tempo svolta dal Consiglio, della partecipazione dei singoli magistrati all’elaborazione e alla discussione dell’organizzazione tabellare, ma deve pensarsi anche a forme di sollecitazione del confronto stabile sui problemi organizzativi all’interno degli uffici, al fine di favorire forme di “autoformazione operativa” idonee a corrispondere alle specifiche concrete esigenze ed a valorizzare le risorse esistenti nei medesimi. E’ poi oltremodo opportuno che il prodotto di eventuali iniziative organizzate sull’argomento in sede centrale venga fatto circolare, anche e soprattutto ricorrendo all’attività della rete dei formatori locali, in tutto il territorio. Certamente un ottimo punto di partenza in proposito può essere costituito dalle attività inerenti la formazione informatica, di cui si è in precedenza suggerito l’energico potenziamento e il cui oggetto riguarda molto da vicino la materia dell’organizzazione del lavoro. Ciò peraltro non toglie che l’obiettivo da perseguire in sede centrale non sia quello della configurazione di standards organizzativi da esportare nelle varie sedi, bensì quello del confronto fra i diversi problemi e dello scambio di esperienze e soluzioni. Il che rende evidente come rivesta primaria importanza sviluppare le iniziative di autoformazione dei dirigenti degli uffici, mai realmente decollate finora. E in proposito appare realmente necessario che le esperienze organizzative con cui questi ultimi verranno chiamati a confrontarsi non siano limitate a quelle maturate in altri uffici, bensì anche in ambienti esterni alla magistratura. Un cenno a parte merita la questione relativa alla formazione individuale dei magistrati in materia di organizzazione del lavoro. La peculiarità e la varietà delle funzioni che sono loro attribuite certamente non consente di mutuare agevolmente le soluzioni maturate in altri campi dell’agire umano e le conseguenti scelte in materia di formazione. V’è anche da aggiungere che quello dell’organizzazione del lavoro individuale è un campo dove è necessario muoversi con estrema cautela, per le delicate implicazioni in materia di indipendenza del singolo magistrato che comporta. E’ necessario, in altri termini, evitare che l’attività di formazione si trasformi –magari anche oltre la stessa volontà- in uno strumento di “imposizione” di moduli organizzativi forzatamente uniformi, attraverso cui rischi di instaurarsi un unico modello culturale del magistrato, stravolgendo così il valore strumentale dell’obiettivo di efficienza perseguito. E’ dunque difficile immagi- 267 nare strumenti di intervento in questo settore, al di fuori di una maggior attenzione al profilo dell’organizzazione del lavoro individuale in sede di formazione primaria (nelle sue varie forme) e di riconversione. In realtà, ancora una volta, gli spazi più concreti si aprono in occasione dell’accesso all’informatica da parte del magistrato, che implica inevitabilmente standard organizzativi del lavoro individuale abbastanza rigorosi. Il che peraltro non esclude che sia doveroso sensibilizzare i magistrati sui temi dell’efficienza della loro organizzazione di lavoro. Invero, la recente riforma dell’art. 111 Cost. e la conseguente “costituzionalizzazione” del principio della ragionevole durata del processo, forniscono l’opportuna occasione perché venga posta al centro dell’attenzione dell’utenza la questione relativa alla necessaria verifica dell’efficienza dei modelli organizzativi individuali (con riguardo, ad esempio, all’ottimizzazione dei tempi d’udienza, all’utilizzo del personale ausiliario, alle diseconomie nella gestione dei carichi di lavoro ecc.). Non si tratta di proporre le soluzioni organizzative come strumento “miracoloso” di accelerazione dei tempi processuali (la cui realtà ha cause diverse e complesse e solo in parte legate alle metodologie di lavoro), né, come già illustrato, di imporre moduli organizzativi rigidamente uniformi. Molto più semplicemente i magistrati vanno resi consapevoli dell’effettivo rilievo che assumono questi temi per l’efficienza generale del servizio e per la resa del loro lavoro individuale. L’intervento formativo in merito va dunque calibrato preferibilmente in termini di promozione della conoscenza dei problemi e di supporto nell’individuazione delle soluzioni, anche attraverso il confronto diretto delle esperienze. Queste sono le esigenze primarie nello specifico settore e, proprio per tali ragioni, è auspicabile quanto già evidenziato in precedenza (vedi la parte iniziale del presente par. nonché i par. “2.i” e “3.b”), che cioè l’attività formativa in materia venga svolta attraverso il diretto coinvolgimento della rete formativa locale, che con maggiore efficacia è in grado di rilevare le concrete problematiche di cui i singoli magistrati sono portatori, nonché le più serie disfunzioni che le metodologie di lavoro adottate ingenerano. 3.H.7. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici. La progressiva accelerazione della produzione legislativa nel corso degli ultimi anni e soprattutto il frequente ricambio di normative “strategiche”, come quelle processuali, che in passato presentavano un maggior tasso di stabilità, hanno maggiormente evidenziato negli ulti- 268 mi anni l’urgenza di una questione spesso trascurata in passato o coltivata solo spontaneamente e sporadicamente nei singoli uffici, al di fuori, quindi, di un progetto organico unitario: il bisogno di una “(in)formazione di primo intervento”, che consenta ai singoli magistrati e agli uffici nel loro complesso di garantire la funzionalità del lavoro mediante il tempestivo accesso alla conoscenza delle novità legislative e giurisprudenziali di maggior rilievo. Questo tipo di esigenze sono state inevitabilmente deluse dai limiti impliciti all’attuale assetto della struttura formativa, che, anche qualora è riuscita in tempi ragionevoli a confezionare offerte idonee a soddisfare in astratto il bisogno (ad esempio, si pensi, nel recente passato, alle giornate di studio dedicate alla l.n.479/99, programmate in via straordinaria nel corso del 2000, contestualmente alla entrata in vigore della legge), non ha potuto comunque raggiungere attraverso di esse un grado sufficiente di diffusione delle conoscenze. Né sembra potersi ovviare al problema semplicemente incrementando la circolazione del materiale prodotto nel corso di queste iniziative (e ciò anche a prescindere dagli attuali limiti in merito all’effettiva diffusione di tale materiale). Infatti, la questione non è semplicemente quella di garantire in qualche modo e in tempi brevi l’effettiva conoscenza di testi normativi e orientamenti giurisprudenziali, bensì quella di configurare strumenti che consentano ai magistrati di un medesimo ufficio di confrontarsi su di essi, per trovare, laddove possibile, risposte efficaci e soluzioni immediatamente perative agli interrogativi suscitati da questi eventi. Più in generale si tratta di istituzionalizzare strumenti agili di supporto al lavoro dei magistrati, a cui gli stessi possano accedere facilmente all’occorrenza o anche in maniera continuativa. In proposito un progetto organico deve poter prevedere un ventaglio di soluzioni sufficientemente ampio da configurare un vero e proprio sistema di “formazione di primo intervento” sufficientemente flessibile da consentire la soddisfazione di bisogni diversi e anche eccezionali. E’ dunque necessario pensare, per poter raggiungere l’obiettivo formativo tratteggiato, ad una serie di iniziative caratterizzate inevitabilmente dalla elevata tempestività, dal massimo grado di diffusività, dalla contenuta elaborazione scientifica e dal forte interscambio tra i soggetti coinvolti. Come emerge in modo chiaro, trattasi di uno degli obiettivi primari della “rete di formazione decentrata”, in grado di corrispondere con maggiore prontezza alla variegata natura delle esigenze prospettabili (vedi i parr. “2.i” e “3.b”). Naturalmente, non è possibile individuare in astratto tutte le possibili forme di simili interventi formativi (giacchè sarebbe perfino con- 269 traddittorio, con le premesse date, elaborare schemi rigidi e predefiniti), ma comunque si possono immaginare iniziative, quali ad esempio: giornate di studio in sede locale in occasione dell’emanazione di provvedimenti legislativi o di pronunzie del giudice delle leggi o di quello di legittimità di particolare rilevanza; raccolta e diffusione delle giurisprudenze infradistrettuali e incontri di confronto tra magistrati che all’interno del distretto svolgono funzioni omologhe; ulteriore sollecitazione e istituzionalizzazione di riunioni periodiche dei magistrati dei singoli uffici in occasione degli eventi sopra ricordati. 3.H.8. La formazione quale supporto permanente al lavoro degli uffici: i contenuti. Da tempo è consolidata la prassi di suddividere la programmazione dei corsi in aree tematiche, riguardanti in linea generale il “diritto comunitario internazionale e comparato”, l’“ordinamento giudiziario”, il “diritto e il processo”, più specificamente il “diritto civile e processuale civile” e il “diritto penale e processuale penale”, il “diritto della famiglia e dei minori”, il “diritto dell’economia”, il “diritto del lavoro”, la “società e questioni temporanee” (vedi il programma del 2001). Nell’ottica del costante processo di “europeizzazione” dell’Italia e del diritto italiano, sempre maggiore importanza hanno assunto ed assumeranno i corsi di diritto comunitario ed internazionale, costituenti i temi principali affidati e da affidare alla formazione decentrata. Sul punto, va ricordato che è in corso il completamento del progetto Schuman, relativo all’ordinamento comunitario e da realizzare con incontri distrettuali, così come saranno richiesti nuovi finanziamenti per uno Schuman 2, diretto alla disamina, sempre in sede locale, delle principali novità legislative comunitarie di esecuzione del Trattato di Amsterdam. Sempre nell’ambito comunitario, la riproposizione del programma Odysseus, accompagnato da un incremento del numero dei partners, e il previsto Grotius Linguistico, in grado di offrire un’occasione di formazione linguistica ad un numero sia pur limitato di magistrati (eventualmente da impiegare in futuro nell’ambito di eventuali analoghe iniziative che il Consiglio potrebbe promuovere autonomamente), si mostrano come ulteriori momenti di approfondimento in linea con gli obiettivi già individuati dal Consiglio in questi anni. La ulteriore direzione internazionalista nella quale poi muovere è 270 quella di stimolare la consapevolezza dei magistrati della continua integrazione del nostro sistema giuridico a seguito dei princìpi e delle regole posti dalla Convenzione dei diritti dell’uomo e dalle pronunce della Corte Europea, princìpi e regole rimasti per lo più a livello di affermazioni teoriche senza o con scarsa incidenza nei concreti contenuti della giurisdizione Analogamente, grande rilevanza nell’offerta formativa va riservata alla materia dell’ordinamento giudiziario, di grandissima attualità alla luce delle recenti modifiche ordinamentali sul giudice unico, della stessa istituzionalizzazione della rete dei formatori locali (ci si riferisce al seminario “Formazione dei formatori”, luogo destinato alla discussione delle tematiche relative alla nascita della “rete locale”), nonché delle sempre più sentite esigenze di organizzazione razionale del lavoro giudiziario e di formazione dei dirigenti degli uffici (a questi è riservato, nel programma 2001, il “Seminario – Laboratorio di autoformazione per magistrati con funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari”). Sotto altro profilo, nella prospettiva cui si è fatto riferimento al paragrafo precedente, deve essere assegnato un ruolo sempre più centrale ai corsi “interdisciplinari”, ove si discutono materie di rilevanza generale, investenti sia il diritto civile che penale o il diritto processuale in genere, e dove l’impostazione non è prettamente giuridica, ma risente anche di inquadramenti di carattere storico, filosofico, sociologico, psicologico, etc. (vedi corsi, organizzati per il 2001, quali la “discrezionalità nell’attività giurisdizionale”, “ricostruzione del fatto e prova scientifica”, “libertà della persona e provvedimenti prescrittivi del giudice”). Invero, si è già precisato che la “formazione interdisciplinare” costituisce un fondamentale settore della formazione permanente, intesa quest’ultima quale strumento di miglioramento del livello culturale dei magistrati più che di mero aggiornamento professionale; e, come visto in precedenza (vedi parr. 2.I. e 3.B.), la delicatezza di tale attività formativa impone che la stessa sia realizzata a livello centrale e non demandata ai formatori locali, i quali preferibilmente devono occuparsi, integrando i corsi nazionali, dell’opera di aggiornamento professionale dei magistrati, della riconversione a funzioni civili, penali o specialistiche, ed infine della divulgazione delle conoscenze su temi tecnici extra-giuridici di diretta rilevanza per l’attività quotidiana. Ciò posto, passando ai concreti contenuti della “formazione permanente” in sede civile, la linea di tendenza degli ultimi anni, senz’altro da confermare per il futuro, è quella di aggiungere a corsi standard 271 di mero aggiornamento professionale (si pensi al classico corso “Il punto sul nuovo rito civile”), altri corsi di aggiornamento professionale non standard ma ripetuti ciclicamente, perché interessanti materie di costante interesse (si pensi a corsi processuali quali la “tutela cautelare d’urgenza” ovvero a corsi sostanziali quali la “responsabilità in materia di circolazione stradale”, in materia di “proprietà e diritti reali”, in materia di “locazione”, in materia di “contratti”, etc.). Vi è poi la programmazione di carattere per così dire contingente, legata a temi specifici di strettissima attualità (si pensi ad esempio al corso del 2001 “Il contenzioso con le banche”), e vi sono poi i corsi dedicati a grandi temi pressochè mai esplorati (si pensi al corso “La volontaria giurisdizione” del 2000) oppure da ricomporre e riesaminare in un’ottica unitaria (si pensi al corso “L’abuso del diritto” del 2000 e al corso “L’autotutela nel diritto privato” in via di studio per l’anno 2002). Questo per quel che concerne la programmazione sui temi generali, poiché, come già accennato all’inizio allorquando si è parlato della suddivisione della programmazione per aree tematiche, vi sono anche corsi di carattere specialistico, ossia rivolti a magistrati svolgenti specifiche funzioni, in particolare quelle di giudici minorili e della famiglia, di giudici del fallimento e di giudici del lavoro: una serie di iniziative, invero, è dedicata a tale soggetti, onde consentire agli stessi quel continuo confronto a livello nazionale utile per un sempre maggiore accrescimento professionale (esaminando il programma per l’anno 2001, vedi i corsi “L’adozione nazionale ed internazionale” e “L’affidamento dei minori” per quanto riguarda i giudici minorili e della famiglia”, i corsi “L’accertamento del passivo nel fallimento: questioni dibattute e prassi”, “Primo corso di formazione di diritto commerciale” e “I bilanci delle imprese” per quanto riguarda i giudici fallimentari, e i corsi “Il contenzioso in materia di previdenza ed assistenza” e “Le controversie in materia di pubblico impiego: profili sostanziali” per quanto riguarda i giudici del lavoro). Peraltro, al di là questi esigui corsi specialistici, per loro natura rivolti a magistrati svolgenti specifiche funzioni, l’idea di massima è quella di una programmazione aperta indifferentemente a tutti i magistrati civili, nel senso che, nell’ultimo anno, al di là di pochissime eccezioni (si ricordi il corso “Interposizione e simulazione nel negozio giuridico”, riservato per il 20 % ai giudici del lavoro, interessati a conoscere i fenomeni interpositori e simulatori per le loro ripercussioni in materia di diritto del lavoro), si è abbandonata la regola di riservare per ogni corso rigide percentuali a categorie di magistrati addetti a specifiche funzioni, ma si è seguita la regola opposta di non indicare 272 alcuna percentuale, al precipuo fine di realizzare una formazione il meno possibile settoriale, idonea ad accrescere in modo omogeneo il livello di tutti i magistrati civili, indipendentemente dalle specifiche funzioni esercitate. Questa impostazione di fondo, oltretutto, sembra da preferire anche in previsione della futura ripartizione formazione centrale-formazione locale, in quanto, se quest’ultima avrà un fondamentale compito nell’aggiornamento relativo alle funzioni specialistiche, a maggior ragione la formazione centrale dovrà essere il più possibile aperta indifferentemente a tutti i magistrati civili, a meno di non volere far retrocedere l’attività formativa ad una mera opera di aggiornamento professionale. Un ultimo aspetto merita di essere segnalato, ed è quello della stretta interrelazione tra la crescente europeizzazione dei diritto italiano e tutti gli incontri di studi civilistici, anche quelli non concernenti in modo precipuo il diritto comunitario ed internazionale. In effetti, in tutti gli incontri di studi sempre maggiore attenzione dovrà essere dedicata a questioni quali la giurisdizione del giudice italiano in relazione ai singoli rapporti in contestazione (trattasi di un aspetto fondamentale nel diritto dei contratti e delle obbligazioni), ovvero il riconoscimento dei provvedimenti di giudici stranieri in Italia (trattasi di una questione che concerne tutto il diritto civile in genere, ma che interessa in modo particolare il diritto della famiglia e dei minori). In sostanza, molti incontri di studio dovranno tenere conto della nuova prospettiva transfrontaliera del diritto e della giurisdizione e, sul punto, occorre un nuovo ed approfondito sforzo formativo, eventualmente anche con l’ausilio delle iniziative finanziate dall’UE ovvero programmando incontri di studio concordati con organismi di formazione di altri paesi europei (quali la Francia, la Germania, la Spagna, etc.), il tutto nell’ottica del nuovo concetto del “giudice europeo”. Le precisazioni sinora fatte meritano alcuni approfondimenti allorquando si passa al settore penale, ove l’offerta formativa è stata tradizionalmente caratterizzata da un forte impegno nelle materie penalistiche specifiche o comunque riservate a determinate categorie di magistrati; trattasi peraltro di una linea di tendenza che è stata parzialmente abbandonata nell’ultimo biennio, periodo nel quale hanno assunto sempre maggior rilievo i temi processuali, cui è stata riservata particolare attenzione a causa dei richiamati e molteplici interventi legislativi, anche a livello costituzionale, che hanno rimodellato i princìpi e le vicende del procedimento penale e che hanno imposto ed imporranno per il futuro un forte sforzo formativo in questo settore, senza tuttavia alcun pregiudizio dell’impegno formativo, anche in sede 273 locale (vedi sopra), sulle materie specialistiche (ad esempio i nuovi reati fallimentari, i reati informatici, la tutela penale del territorio, i reati in materia di alimenti, l’high tech crime. Ad ogni modo, è innegabile che anche per il settore penale deve essere assegnato un ruolo primario all’offerta formativa a carattere interdisciplinare e multidisciplinare, con una progressiva apertura a nuove conoscenze, che sempre più spesso ed in modo penetrante si intrecciano con le vie dell’attività giurisdizionale penale, e con una rinnovata sensibilità rispetto al tema dell’unitarietà della “cultura della giurisdizione”, costituente un valore uguale per tutti, a prescindere dalle effettive funzioni, requirenti o giudicanti, espletate; tutto ciò implica che l’offerta formativa, al di là dei citati corsi specialistici, deve consentire e stimolare il continuo confronto tra i diversi ruoli professionali del settore penale e, in questo ambito, si spiega la ragione per la quale, nell’ultimo anno, anche per il settore penale si è ridotto l’impiego di percentuali rigide al fine di regolare la partecipazione ai singoli corsi di varie categorie di magistrati (vedi la programmazione del 2001). Con le debite differenze, i discorsi fatti per il settore civile sul tipo di programmazione dell’attività formativa possono essere ripetuti con riguardo al settore penalistico Anche in campo penale l’attività di formazione segue degli schemi classici, nel senso che esistono alcuni corsi standard, ripetuti ciclicamente (si tratta degli incontri su temi soliti, come la prova, il nuovo procedimento penale, etc., e a questi incontri si accompagnano i tradizionali corsi Falcone, Borsellino, Amato, Galli, che tuttavia iniziano a mostrare l’esaurimento della spinta propositiva che li ha resi un momento fondamentale della formazione professionale, si accompagnano altri), vi sono poi corsi di natura contingente, in cui si affrontano le tematiche, sostanziali e/o processuali, di più stretta attualità (si pensi, nella programmazione 2001, al corso “Il nuovo diritto penale tributario” e, nella programmazione 2002, ai corsi ipotizzati su “Il nuovo diritto di proprietà intellettuale” e su “Il mercato bancario e mobiliare”), ed infine vi sono incontri di più ampio respiro, diretti ad affrontare in termini più generali tematiche di sicuro rilievo ed interesse (si pensi, nella programmazione 2001, all’incontro di studi “La riforma dell’art. 111 Cost. nei suoi riflessi sul processo penale” e, nella programmazione 2002, all’ipotizzato corso su “I rapporti tra diritto penale ed amministrativo”). Qualche ultimo accenno sugli incontri penalistici di diritto internazionale. In particolare, sul piano internazionalitico, continuano e 274 continueranno le riflessioni su grandi problemi di stretta attualità e, dopo gli incontri sulle nuove forme delle attività transfrontaliere di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti, sulle audizioni a distanza nei processi di criminalità organizzata nella prospettiva di una sempre più fattiva cooperazione internazionale, verranno in gioco i temi connessi all’oggetto della Convenzione de L’Aja (rogatorie internazionali e indagini internazionali). 3.H.9. Le future prospettive metodologiche della formazione permanente. Qualsivoglia discorso, specie se di prospettiva, intorno al metodo anzi ai metodi della formazione deve collocarsi entro una cornice di senso che sottragga la riflessione metodologica ad un approccio asettico di mera descrizione di tecniche e la inquadri nella dimensione finalistica e assiologica della esperienza formativa. Se il metodo può definirsi come l’insieme delle prescrizioni (negative e positive) e delle procedure che regolano lo svolgimento di una determinata attività rivolta al raggiungimento di un fine, il metodo di una attività formativa, che si prefigge la triplice finalità del sapere (dimensione cognitiva), del saper fare (dimensione tecnica) e del saper essere (dimensione valoriale) nell’esercizio della giurisdizione, non può che correlarsi e funzionalizzarsi a tali finalità. Occorre in tal senso muovere dalla consapevolezza del legame profondo e del nesso funzionale tra le scelte metodologiche e le finalità formative. La scelta del metodo non è neutrale, non costituisce una variabile indipendente, sibbene dipende da una pluralità di fattori: la tipologia e la finalità dell’intervento formativo, la tipologia e la qualità dei suoi destinatari, le risorse disponibili (umane, materiali, logistiche, finanziarie, temporali etc.). In tale ottica il sistema formativo dovrà costantemente tendere a realizzare, nel suo complesso e nelle singole iniziative, un continuum il più possibile armonico tra le strutture, i contenuti, i metodi e le finalità della formazione. Tale consapevolezza della “relazionalità” e “funzionalità” del metodo non deve sminuire anzi deve rafforzare la considerazione della sua necessità. Il metodo è un necessario antidoto all’improvvisazione, allo spontaneismo ed al pressappochismo dell’azione formativa. In tal senso si dovrà rifuggire dal pregiudizio antimetodologico e 275 ricercare proprio nel rigore del metodo la garanzia della serietà e della produttività del discorso formativo. Necessità del metodo non significa naturalmente sua unicità, essendo acquisita la consapevolezza del pluralismo metodologico ossia della varietà delle opzioni metodologiche a seconda dei diversi contesti e delle diverse finalità della formazione. Necessità del metodo non significa neppure sua rigidità e assoluta indefettibilità, giacchè il metodo appartiene nella sua relatività al novero dei mezzi ed il raggiungimento del fine formativo può esigere l’adattamento e la modifica o, a seconda dei casi, l’abbandono temporaneo o definitivo del modulo metodologico preordinato. In tale ottica necessità e rigore del metodo e sua elasticità ed adattabilità debbono coniugarsi in un sano pragmatismo metodologico finalisticamente orientato. Premesse tali considerazioni, il discorso sulle prospettive metodologiche può approfondirsi ed articolarsi nelle sue diverse partizioni. In tale quadro si esamineranno: a) i metodi generali della formazione, comprensivi dei profili di metodologia organizzativa del sistema formativo; b) i metodi formativi in senso stretto, comprendenti le formule didattiche e gli stili comunicativi; c) i metodi (giuridici, deontologici, professionali, lavorativi) che costituiscono oggetto dell’attività formativa. Sub a) si deve sottolineare l’importanza fondamentale del metodo della programmazione. Tale metodo, che premunisce dallo spontaneismo, dal volontarismo e dal soggettivismo delle iniziative formative, è necessario per coordinare i tempi della formazione con i tempi del lavoro giudiziario. Senza tale coordinazione temporale garantita dalla programmazione, la formazione non riesce a legittimarsi adeguatamente nel sistema giudiziario ed il lavoro professionale rischia di ricavare pregiudizio dalle assenze non preventivate di magistrati a causa della loro partecipazione ad incontri di studio. La programmazione è, altresì, funzionale al metodo del contratto formativo e dell’alleanza formativa. Invero, senza la conoscenza previa dell’offerta formativa garantita dalla programmazione - offerta che sia chiara nei suoi presupposti, contenuti, finalità, metodi e cadenze temporali – non è possibile la stipula consapevole del contratto formativo inteso come patto sinallagmatico tra chi offre e chi riceve l’offerta in cui si definiscano le aspettative, i risultati prefigurati e promessi, gli impegni e i ruoli di ciascu- 276 no e si promuova l’alleanza formativa intesa come rapporto di fiducia e di collaborazione in una sorta di feeling formativo. Tale metodo, che dovrà incentivarsi attraverso i vari strumenti della programmazione generale e particolare (dalla miglior cura del “libretto verde” annuale alla comunicazione tempestiva dei singoli programmi ai partecipanti), involge un concetto essenziale di responsabilità formativa che vede il fruitore della formazione come soggetto attivo e non passivo e che costituisce una via feconda per il superamento dell’irrisolto dualismo tra un modello “volontaristico” e un modello “sanzionatorio” della partecipazione formativa. In tale contesto si dovrà sempre più affermare il metodo della programmazione congiunta che coinvolga il continuum tra il Plenum del C.S.M., la Nona Commissione, il Comitato Scientifico, la rete dei Referenti distrettuali e l’intero corpo dei Magistrati e che si avvalga della collaborazione organica di vari soggetti, sia interni - come i Consigli giudiziari - sia esterni alla Magistratura – come le Università, gli Ordini professionali e gli altri enti culturali ed istituzionali che possono cooperare nel processo formativo. Una programmazione congiunta che sappia allocare le attività formative tra il centro e la periferia del sistema, secondo un principio di sussidiarietà che realizzi prossimità all’utenza, sinergie ed economie di risorse e coniughi autonomia e creatività di iniziative, controlli di conformità e compatibilità ed interventi di stimolo e di sostegno, rifuggendo sia dal centralismo dirigistico sia dall’autonomismo autarchico. In tale quadro si dovrà ricercare un equilibrio tra le varie dimensioni della formazione, secondo una scala di grandezze che vada dall’ambito locale e distrettuale, alle aggregazioni interdistrettuali fino al livello centrale, adeguando la dimensione territoriale, da un lato, alla comunanza e omogeneità degli interessi e delle problematiche, dall’altro lato, all’esigenza della circolazione e dello scambio delle diverse esperienze nei diversi contesti giudiziari ed ambientali. Inoltre, la programmazione, se non vuole essere verticistica o cerebrina, dovrà coniugarsi con una capacità di interpretazione delle varie istanze formative, con una maieutica dei bisogni formativi, anche se inespressi o inconsapevoli, con una capacità di rilevazione sistematica delle tendenze, degli interessi e dei problemi reali che attraversano la giurisdizione e caratterizzano l’evoluzione dell’ordinamento giuridico. Si osservi, altresì, che la programmazione dovrà essere flessibile, adattandosi ai processi in fieri e alle situazioni sopravvenute, preve- 277 dendo moduli elastici capaci di recepire tempestivamente le novità normative e giurisprudenziali e di captare l’emersione di nuovi bisogni legati ad emergenze o comunque non preventivamente programmabili. Ancora, la programmazione, per non ingessare e burocratizzare l’azione formativa, dovrà restare aperta alle iniziative spontanee, ai movimenti “dal basso” che a volte, con più aderenza alla realtà e con maggiore tempestività, individuano la formula migliore per soddisfare determinate istanze formative (si pensi in sede di formazione decentrata alla costituzione spontanea di gruppi di studio per affrontare questioni normative o giurisprudenziali di scottante attualità). Infine, la programmazione dovrà “apprendere dall’esperienza”, rivedendo costantemente se stessa, attraverso meccanismi sempre più adeguati di rilevazione del gradimento e di valutazione degli esiti delle attività formative. Sub b) la dimensione metodologica, didattica e, lato sensu, antropologico-culturale della formazione richiederà nel prossimo futuro più attente riflessioni, più approfondite analisi e più coraggiose sperimentazioni. E’, in qualche misura, connaturale al carattere permanente della formazione il suo essere “sperimentale”, in stato di continuo affinamento e di costante ricerca dei suoi percorsi e dei suoi metodi. In tale prospettiva, che dovrà coniugare rigore d’analisi e slancio di fantasia, si può già intravedere, anche alla luce delle esperienze maturate negli ultimi anni, una direttrice metodologica fondamentale nel metodo della contaminazione: contaminazione tra metodi, saperi, linguaggi, culture, figure professionali e soggetti di provenienze diverse. Con riferimento alle metodologie didattiche si può rilevare la tendenza, nell’ambito dei diversi moduli formativi, all’alternarsi ed al fondersi delle varie formule didattiche (relazioni interattive, dibattiti guidati, lavori di gruppo, studio dei casi, simulazioni di processo: cfr. supra pag.),nella ricerca dell’equilibrio e della sintesi tra teoria e pratica, tra dommatica e casistica. Con riguardo ai saperi ed ai linguaggi diversi, la formazione permanente non potrà non percorrere con sempre maggiore consapevolezza i sentieri difficili e straordinariamente fecondi dell’ interdisciplinarietà, dell’interfunzionalità e della intercomunicabilità. Tale prospettiva comporta la necessità di una apertura coraggiosa e prudente verso il mondo esterno, di un confronto ragionato e senza pregiudizi con altre culture giuridiche e non, con altre figure professionali e soggetti di provenienze diverse (dal mondo accademico, dal 278 ceto forense, dalle altre magistrature, dalle istituzioni non giudiziarie, dal privato sociale, dall’associazionismo, dal volontariato etc.). Tale dimensione della formazione offrirà l’humus fecondo per una rinnovata e approfondita riflessione sul ruolo del magistrato nella società odierna e sul livello di rispondenza dell’attività giudiziaria alla domanda di giustizia dei cittadini, riflessione che è parte essenziale del discorso formativo. Altra direttrice metodologica fondamentale che chiaramente si delinea negli scenari della formazione è l’uso sempre più massiccio ed avanzato delle tecnologie informatiche e telematiche, che esige un continuo aggiornamento ed una costante verifica della adeguatezza dello strumento tecnologico alle finalità formative. In tal senso si ravvisa l’esigenza di un training dei formatori per acquisire la padronanza delle tecniche multimediali e del loro sapiente impiego in una didattica integrata della parola e dell’immagine (si pensi, nel corso delle relazioni o dei lavori di gruppo, all’uso degli schemi sequenziali, dei lucidi, delle diapositive, del computer e dei collegamenti video via Internet). Il discorso sulla multimedialità dell’azione formativa, che si rivolge ad una pluralità di sensi recettori, introduce ad una più profonda dimensione antropologico-culturale della formazione come sistema di valori, messaggi e stili comunicativi centrati sulla persona nella varietà e complessità delle sue percezioni e delle sue funzioni. In tale ottica occorrerà che la formazione sia una formazione personalizzata, capace di coinvolgere la persona nelle sue varie dimensioni (principi, valori, motivazioni, interessi, affettività, emozioni etc) e di realizzare una intersoggettività autentica orientata alla crescita umana, culturale e professionale. Tale metodo del coinvolgimento personale eviterà che la formazione sia meramente cerebrale, algida, noiosa e, come tale, povera di autentici risultati ed a basso indice di gradimento. Occorrerà, altresì, che la formazione, nella sua duplice dimensione individuale e comunitaria, sia fortemente ancorata agli interessi professionali dei magistrati, profondamente innervata nei processi lavorativi e, come tale, percepita sia come utile individuale, sia come risorsa fondamentale e valore aggiunto della organizzazione giudiziaria. In tale prospettiva la formazione è destinata sempre più ad essere “autoformazione” personale e comunitaria, in cui ciascun magistrato si sente ed è, insieme agli altri, soggetto attivo, responsabile e protagonista del suo percorso formativo e professionale. 279 In tale direzione e verso tali mete incoraggiano gli esiti promettenti dei “laboratori di autoformazione”(cfr. supra), esperienze di formazione circolare e pluridirezionale, centrata sulla ricostruzione delle routine cognitive e operative, sulla rielaborazione dei problemi e dei processi lavorativi, sulla individuazione dei nodi critici e sulla elaborazione, sperimentazione e verifica di ipotesi migliorative. Sono esperienze ancora in fase di sperimentazione, come tali, bisognevoli di ulteriori approfondimenti e conferme, di cui tuttavia può prevedersi e predicarsi fin da ora che rappresenteranno la nuova frontiera metodologica e culturale della formazione professionale dei magistrati ed i nuovi cantieri del lavoro formativo dei prossimi anni. Sub c) i metodi costituiscono l’oggetto stesso l’attività formativa. Attraverso la formazione si apprendono e si insegnano sia metodi giuridici e giudiziali (si pensi al circolo ermeneutico tra il fatto e la norma, alla sussunzione del fatto nella fattispecie, all’uso sapiente della discrezionalità, all’analogia, alla ricostruzione sistematica dei principi dell’ordinamento, ai giudizi sulla costituzionalità delle norme etc.) sia metodi deontologici (si pensi all’importanza di offrire, nel contatto formativo diretto, validi modelli deontologici attraverso la testimonianza concreta di figure professionali “esemplari” nei loro rapporti con le parti processuali, con i colleghi, con il personale d’ufficio, con i mass-media etc.) sia metodi professionali e lavorativi (si pensi alle tecniche di conduzione del processo, di gestione dei ruoli, di redazione dei provvedimenti, alla tenuta della c.d. agenda del giudice etc.). Tale è e sempre più dovrà essere il cuore dell’attività formativa, il cui compito essenziale è quello di gelosamente conservare, costantemente apprendere e incessantemente trasmettere, nella continuità delle generazioni, il difficile mestiere del magistrato e la nobile arte del giudizio, a servizio dei cittadini e della tutela dei loro diritti. 3.I. La valutazione della formazione: un problema aperto. Il risultato, in termini qualitativi, dell’attività di formazione svolta dal C.S.M. è stato fino ad oggi “misurato” mediante due strumenti, piuttosto empirici: la relazione del coordinatore dell’incontro e le “schede di valutazione” redatte dai partecipanti ai singoli incontri di studio. La relazione, pur essendo un utile rendiconto del lavoro svolto, 280 degli eventuali problemi e delle soluzioni adottate, presenta alcuni limiti intrinseci, che ne fanno uno strumento meramente sussidiario; infatti, un’utile valutazione del corso può essere data solo se il coordinatore è lo stesso per tutta la sua durata (e ciò non sempre è possibile in relazione agli impegni di ufficio dei componenti del Comitato Scientifici) e, soprattutto, non possono efficacemente cumularsi negli stessi soggetti i compiti di organizzazione del corso e valutazione/controllo sui suoi risultati. Più utili si sono rivelate le schede di valutazione; si tratta di più schede strutturate sul modulo del questionario - una per l’organizzazione logistica dell’incontro, una per l’organizzazione contenutisticometolodogica, una dedicata a ciascun relatore - che vengono distribuite ai partecipanti e da questi riconsegnate alla fine del corso e attraverso le quali si tende ad ottenere una valutazione sulla bontà della scelta (in generale e con particolare riferimento alle funzioni espletate) del tema generale dell’incontro e degli argomenti specifici delle singole relazioni, sull’utilità del materiale di studio predisposto, sulle qualità didattiche, espositive e contenutistiche dei relatori; una scheda finale è destinata, poi, a raccogliere richieste e suggerimenti, tanto per i metodi che per i contenuti, sulla programmazione futura nonché a sollecitare l’autocandidatura dei partecipanti al compito di relatore o coordinatore di un gruppo di lavoro. Il carattere <circolare> dell’attività di formazione professionale dei magistrati – che, come noto, si caratterizza per la coincidenza tra committenti ed utenti del servizio – indubbiamente conferisce particolare significato al giudizio ed ai suggerimenti dei partecipanti e, pertanto, delle risultanze delle schede è stato tenuto ampio conto per verificare la rispondenza delle iniziative promosse alle aspettative dei destinatari, per individuare i temi cui dedicare gli incontri di studio nella programmazione annuale e per adeguare la struttura degli incontri alle esigenze concrete dei partecipanti. Si tratta di uno strumento che, puntando sul coinvolgimento e l’interazione tra formati e formatori, è ricco, se sfruttato a pieno, di potenzialità; in tale prospettiva si potrebbe pensare da un lato ad una maggiore specificazione ed articolazione del questionario (invitando il partecipante a indicare le sue aspettative e le sue esigenze professionali) dall’altro all’istituzionalizzazione di momenti di confronto all’interno del comitato scientifico per una riflessione critica e autocritica sulle valutazioni ed i suggerimenti contenuti nelle schede (ad esempio, sulle ragioni professionali e le esigenze formative che stanno alla base della costante richiesta di incontri di studio di tipo “pratico”, di metodi che consen- 281 tano il confronto sulle prassi professionali e si articolino per problemi circoscritti e su casi concreti). Potrebbe altresì farsi ricorso ad ulteriori metodi di coinvolgimento dei partecipanti, utilizzando sia la rete dei formatori distrettuali che le nuove e ormai diffuse tecniche di comunicazione (in primo luogo la posta elettronica); in particolare, come già si è detto (supra), i partecipanti dei vari distretti, singolarmente o in gruppo, potrebbero, oltre che fare un’opera di restituzione per i colleghi che non hanno potuto partecipare all’incontro a livello centrale, riassumere in un breve scritto le loro valutazioni sul corso approfondendo in particolare la relazione intercorrente tra i contenuti del corso e le funzioni svolte (se e perché il corso e le sue articolazioni interne sono – o non sono – stati funzionali al lavoro giurisdizionale; se ha dato risposta ad alcuno dei problemi quotidianamente affrontati; come potrebbe essere migliorata la ricaduta dell’incontro sull’attività giurisdizionale). Di grande utilità sarebbe altresì richiedere ai partecipanti – che come sappiamo sono individuati con grande anticipo –, tramite posta elettronica, un contributo, nei limiti dei temi previamente individuati nel programma generale, al momento della elaborazione del programma di dettaglio; allo stesso modo, o tramite i referenti distrettuali, potrebbero altresì raccogliersi, su temi in cui le prassi dei vari uffici sono particolarmente importanti o su questioni nuove o in campi che presentano ampi spazi di discrezionalità riservata al giudice, provvedimenti da porre tempestivamente a disposizione dei relatori e coordinatori dei gruppi di lavoro e da inserire nei materiali di studio. Il problema non è, tuttavia, solo quello di misurare il gradimento delle singole iniziative; a più di un lustro dall’inizio della programmazione dell’attività di formazione del Consiglio è forse il caso di interrogarsi anche su quale sia l’impatto complessivo dell’attività formativa sulla professionalità dei magistrati. Se la formazione è attività rivolta, per sua natura, al mutamento, occorre chiedersi cioè se vi siano stati effettivamente cambiamenti e se siano avvenuti nella direzione auspicata. Si tratta, come è facile vedere, di un problema cui può solo accennarsi in questa sede e che involge aspetti di grande delicatezza in ragione delle particolarità della attività giurisdizionale, il cui fine è la tutela imparziale dei diritti, e delle garanzie di autonomia e indipendenza dei magistrati. Come affermato dal Consiglio, “la formazione professionale dei magistrati… non è, e non deve essere, rivolta alla conformazione dei magistrati e della loro attività ad un unico modello imposto dall’alto e dall’esterno e neppure dallo stes- 282 so C.S.M.. Essa è invece diretta, oltre che all’acquisizione delle necessarie capacità tecniche, anche a suscitare consapevolezza dei termini culturali dei problemi, dei valori sottesi ad ogni scelta operativa, al libero confronto ed al reciproco approfondimento tra i rispettivi orientamenti, proprio al fine di rendere consapevole... l’esercizio dell’autonomia di ciascuno”. Si può oggi dire che i magistrati – ed in particolare quelli che negli ultimi anni hanno usufruito della formazione erogata dal Consiglio – abbiano mediamente incrementato le proprie capacità tecniche, maturato maggiore consapevolezza culturale dei problemi e dei valori, siano maggiormente disponibili che in passato a confrontare i propri orientamenti? come individuare attendibili indicatori di questi cambiamenti, che il Consiglio ha fissato come obiettivi di massima e che devono ispirare la progettazione e l’attuazione dell’attività, a livello centrale e decentrato? e come specificare gli obiettivi, progettare strumenti per il loro perseguimento, verificarne l’attuazione concreta senza incidere sulla fondamentale garanzia di indipendenza del magistrato e sulla sua soggezione soltanto alla legge? Si è già detto che nell’attività del magistrato, qualunque sia la funzione da lui svolta, può distinguersi un’attività di gestione del processo ed un’attività di decisione; la prima, procedimentalizzata, è il terreno delle garanzie; la seconda, che giunge a conclusione di quel delicato processo che è la ricostruzione del fatto e della sua sussunzione nella fattispecie astratta descritta dalla norma, costituisce l’espressione massima dell’attività giurisdizionale; se il giudice è, e deve essere, solo e scevro da qualunque condizionamento (sine metus ac spe) nel momento della decisione (e nessuna attività formativa potrebbe mai porsi come obbiettivo quello di conformare le decisioni giudiziali, di dire al giudice come decidere nel caso concreto), certamente quello del processo, della gestione delle sue fasi, della conduzione dell’istruttoria, delle tecniche di motivazione sono settori in cui l’acquisizione di certe capacità (ad es. saper condurre un interrogatorio libero, saper escutere un testimone, saper gestire un’udienza, saper gestire il ruolo, avere le capacità che consentono il controllo delle attività dei consulenti tecnici ed in genere il controllo sull’introduzione del sapere scientifico nel processo …) è un obiettivo non solo possibile e legittimo ma anche decisamente opportuno. In relazione a tali settori, del resto, la crescita qualitativa legata alla partecipazione alle sessioni di formazioni è piuttosto evidente ed è indirettamente confermata dalla crescita di 283 interesse dei magistrati verso le iniziative e dai riconoscimenti dell’avvocatura. Ma la questione si pone, sia pure con grande problematicità, anche in relazione alla sfera deontologica (il <<saper essere>>). Alcuni esempi possono chiarire: gli interventi formativi svolti nell’ultimo quinquennio in materia di procedura civile (specie sulla novella del c.p.c.) sono stati rivolti non solo ad approfondire lo studio degli istituti processuali ma anche a promuovere un più intenso impegno del giudice nella direzione del processo, nello studio preventivo dei fascicoli, nella effettuazione del tentativo di conciliazione, nella valorizzazione del principio del contraddittorio, ed a stimolare i magistrati al confronto sulle prassi organizzative ed interpretative all’interno degli uffici. Gli incontri di formazione complementare per i pubblici ministeri hanno avuto come chiaro obiettivo quello di affiancare l’approfondimento delle tecniche dell’investigazione alla affermazione della cultura delle garanzie. O ancora: nel corso degli incontri di formazione effettuati al momento dell’entrata in vigore della legge sul giudice unico è emersa chiaramente l’importanza degli aspetti organizzativi e l’esigenza di un ruolo dinamico dei presidenti di sezione e dei dirigenti degli uffici, nel senso indicato dalla riforma. Il problema maggiore è come verificare se ed in che misura questi obiettivi sono stati raggiunti. Data la complessità dell’attività giurisdizionale ed i tempi fisiologicamente lunghi che la caratterizzano è forse impossibile una verifica immediata o comunque in tempi brevi delle ricadute della formazione sul lavoro ordinario (imparare a gestire il ruolo, l’udienza, il processo non è come imparare a ottimizzare i tempi e modi di lavoro nell’industria dove il riferimento immediato è ai parametri della produttività e della qualità del prodotto e alla verifica del loro incremento). Ciò vale in particolare per la formazione tradizionale irrogata a livello centrale. L’esperienza dei laboratori (minorile e della sorveglianza) insegna chiaramente che, allorquando il lavoro formativo è svolto in gruppi ristretti, con obbiettivi di lavoro ben circoscritti, con l’utilizzo di strumenti e metodi che prevedono la rivisitazione critica del lavoro svolto, è possibile individuare quali sono i nodi problematici, è possibile elaborare ipotesi migliorative e può, successivamente, scrutinarsi se siano intervenute modifiche nei modi di gestione dei processi (ad es., con riferimento al processo minorile e della famiglia, è certamente verificabile se sono state modificate le prassi sulla segretazione degli atti, quale ruolo sia garantito 284 al difensore, quale uso sia fatto della consulenza tecnica, se sia aumentato l’utilizzo dell’audizione del minore, se siano state instaurate prassi di coordinamento delle iniziative degli uffici giudiziari che si occupano delle vicende dello stesso minore e l’elenco potrebbe continuare). Si tratta di un lavoro non facile né rapido, ma che può costituire occasione di una nuova attività formativa e che certamente potrebbe essere gestita in modo ottimale dai referenti distrettuali e dalla loro organizzazione. 285 LA DIMENSIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE DEI MAGISTRATI 4.A. Verso lo spazio giudiziario europeo: un bisogno formativo centrale a fronte di un percorso contraddittorio e incompiuto. Esaminate sinteticamente nel primo capitolo le dinamiche che hanno portato all’attuale quadro istituzionale e normativo della cooperazione giudiziaria ed all’incidenza delle fonti di origine comunitaria e pattizia nell’ordinamento interno, la riflessione va ora indirizzata con maggior precisione sui riflessi che tale nuovo contesto induce sulla quotidiana attività professionale dei magistrati. L’analisi delle prassi, e dei loro limiti, condotta con particolare riferimento all’ambito della cooperazione giudiziaria internazionale, consente di individuare nuovi e importanti bisogni formativi. Si è visto come la costruzione di uno spazio giudiziario comune sia ormai da tempo una necessità ineludibile e, insieme, una questione istituzionale decisiva per il futuro dell’Unione europea. Nell’epoca di Internet e delle nuove tecnologie, dei mercati globali e dei flussi migratori di massa, la nuova dimensione dell’Europa, caratterizzata dall’abolizione delle frontiere interne e dalla libera circolazione delle persone, moltiplica e amplia, sia nel campo della giustizia civile che di quella penale, i settori dell’intervento giudiziario chiamati a regolare avvenimenti e fenomeni per loro natura transnazionali. Le attività che ne conseguono, e che solo fino a pochi anni fa interessavano una quota marginale di magistrati, spesso in servizio presso gli uffici di maggior dimensione, costituiscono oggi l’oggetto dell’impegno quotidiano di un numero sempre crescente di giudici e pubblici ministeri, nei campi più disparati. Il ricorso alla cooperazione giudiziaria internazionale si rende così necessario non solo, nel campo penale, per il contrasto alle forme più pericolose di criminalità organizzata o di delinquenza economico-finanziaria, ma anche per la cognizione di fattireato meno complessi o, tanto per fare solo alcuni degli esempi possibili nel campo civile, per la trattazione del contenzioso conseguente alla crisi di coppie miste o alla conclusione di contratti on line. Di più, la comunitarizzazione della cooperazione in materia civile operata dal Trattato di Amsterdam ha già prodotto, ed ancor più produrrà in futuro, l’adozione, in ambiti rientranti nella comune esperienza giudiziaria, di norme europee direttamente applicabili negli or- 289 dinamenti nazionali. Basti al riguardo pensare ai tre Regolamenti del 29 maggio 2000, relativi rispettivamente alla notifica degli atti giudiziari, alle procedure di insolvenza ed al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, per rendersi conto della assoluta centralità che il ruolo di giudice dei Trattati va assumendo nelle competenze dei magistrati europei1. Esiste peraltro uno iato evidente tra la prospettiva di un’Europa come “spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia”, pure enunciata solennemente nel Trattato di Amsterdam e assunta come obiettivo politico prioritario dal Consiglio europeo straordinario di Tampere2, e la realtà attuale della cooperazione giudiziaria, che, anche a livello europeo, resta spesso lenta, complicata, aleatoria. Le cause di questa situazione sono complesse e tra loro eterogenee. Alla difficoltà degli Stati-Nazione ad operare reali cessioni di sovranità in un settore, quello della giustizia e specialmente della giustizia penale, che di quella sovranità costituisce un tradizionale fondamento, si accompagnano i limiti evidenti degli strumenti internazionali, alcuni dei quali chiaramente inadeguati alle nuove emergenze criminali così come alle esigenze quotidiane di certezza e legalità nei rapporti tra i privati. La pesantezza dei procedimenti decisionali e normativi, tanto a livello dell’Unione che interni ai vari Stati membri, rende inoltre difficile un tempestivo adattamento dei diversi sistemi, spostando nel medio-lungo periodo l’efficacia degli interventi legislativi pure necessari per consentire una concreta incidenza dell’attività giudiziaria su realtà in continua e rapidissima evoluzione. Se questi sono i fattori più spesso evocati per spiegare la distanza che ancora separa le giustizie europee dall’idea di un vero e proprio 1 Merita di essere menzionato al proposito anche il Regolamento adottato il 22 dicembre 2000 e relativo alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Questo regolamento “comunitarizza” la Convenzione detta “Bruxelles I” del 1968, come successivamente modificata, e riprende le conclusioni raggiunte ad esito dei lavori di revisione delle Convenzioni di Bruxelles e Lugano terminati nel maggio 1999. 2 Il 15 e 16 ottobre 1999 il Consiglio europeo riunitosi a Tampere, sotto Presidenza finlandese, ha consacrato per la prima volta i suoi lavori alla creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia nell’Unione europea. Nelle Conclusioni della Presidenza, si legge tra l’altro: “Il Consiglio europeo è determinato a fare dell’Unione uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia utilizzando appieno le possibilità offerte dal Trattato di Amsterdam. Il Consiglio europeo riafferma l’importanza di quest’obiettivo con un messaggio politico forte e ha raggiunto un accordo su un certo numero di orientamenti e priorità politiche che faranno rapidamente di questo spazio una realtà”. 290 spazio comune, ridurre i problemi che affliggono la cooperazione giudiziaria all’insufficienza del diritto internazionale positivo sarebbe sbagliato e fuorviante. L’esperienza quotidiana degli ordinari rapporti di cooperazione giudiziaria tra le autorità degli Stati europei dimostra, infatti, che le frontiere da superare non sono solo quelle disegnate dal testo delle convenzioni applicabili, ma anche quelle, non meno dannose per la rapidità e l’efficacia dell’attività giudiziaria, che, strettamente connesse alla diversità tra i sistemi giuridici positivi nazionali, permangono nella cultura dei diversi attori. Non si tratta dunque tanto della scarsa conoscenza degli strumenti internazionali che regolano la materia, quanto della difficoltà a far comunicare tra loro, sulla base di ordinamenti giuridici che restano distinti, magistrati che sono a loro agio solo allorché sono chiamati ad applicare il proprio diritto nazionale, vale a dire norme, concetti e categorie ben conosciuti e per ciò stesso rassicuranti. Alla mancata armonizzazione delle norme, sostanziali e processuali, corrisponde una simmetrica resistenza dei magistrati europei ad esplorare tutte le possibilità offerte dai rispettivi sistemi giuridici per tentare di risolvere i problemi di comprensione reciproca che rallentano e rendono poco efficace la cooperazione giudiziaria; tutto ciò allorché nell’ambito dell’Unione essa dovrebbe fondarsi sulla fiducia di tutti gli operatori in ordine all’esistenza di standards comuni di garanzia dei diritti fondamentali. I risultati pratici della cooperazione giudiziaria vengono così a dipendere più dalla qualità dei diversi attori e dalla loro capacità di comunicare tra loro che da veri e propri impedimenti giuridici. Appare necessario, dunque, individuare con maggior precisione quali siano gli ostacoli fattuali che si frappongono ad una più fluida comunicazione tra autorità giudiziarie dei paesi membri. Al riguardo, si deve precisare che le barriere che si frappongono alla comunicazione tra operatori del diritto di diversa nazionalità, lingua e cultura, sono di varia natura e che solo alcune di esse chiamano in causa la formazione linguistica dei magistrati (su cui vedi supra, cap. 3). La molteplicità delle lingue parlate in Europa, pone indubbiamente problemi di traduzione da una lingua nazionale all’altra. Sino ad oggi in seno alla Comunità Europea si è privilegiato il principio della pari dignità di tutte le lingue con la conseguente necessità di attivazione di un imponente servizio di traduzioni in seno alla struttura amministrativa della Commissione e del Consiglio d’Europa. In futuro si potrà pensare ad un più largo ricorso a lingue veico- 291 lari comuni che riducono gli oneri del servizio traduzioni. Già oggi le lingue inglese e francese godono di uno status preminente, essendo quelle in cui vengono originariamente redatti i testi normativi ed i documenti europei. In ogni caso, la molteplicità delle lingue parlate in Europa ed il principio della loro pari dignità, se frappone sicuramente una barriera alla comunicazione tra parlanti lingue comuni diverse, non sollecita interventi formativi generalizzati, essendo evidentemente inimmaginabile dotare tutti i magistrati di tutte le conoscenze linguistiche necessarie a comunicare in tutta Europa. Piuttosto, una visione pragmatica del problema, potrebbe suggerire una formazione linguistica mirata sia perché rivolta ad alcuni magistrati, sia perché prevalentemente diretta alla padronanza di alcune lingue europee particolarmente diffuse. Accanto alle barriere linguistiche proprie del linguaggio comune, si pongono però le barriere linguistiche del linguaggio settoriale giuridico. In tutte le tradizioni giuridiche europee infatti i giuristi utilizzano accanto alla lingua comune, un linguaggio tecnico giuridico che si discosta, in misura più o meno accentuata, dal linguaggio comune, sia perché ricorre a vocaboli specialistici, sia perché denota alcune parole presenti anche nel linguaggio comune con un significato tecnico specifico. Ma ciò che rileva é che, all’interno di tale linguaggio settoriale, i termini giuridici svolgono la funzione di evocare categorie giuridiche, le quali, a loro volta, svolgono la solita funzione di tutte le categorie ordinanti che consiste nel delimitare un insieme comprendendo in esso una serie di regole o di figure giuridiche, e, soprattutto, escludendo dall’insieme così designato altre figure e regole. Nel contesto dei linguaggi giuridici europei ciò pone un duplice problema. Da un lato infatti termini che pure possono apparire sinonimi, in realtà designano categorie giuridiche non coincidenti; dall’altro lato il linguaggio tecnico giuridico diviene l’espressione di una mentalità giuridica che si è radicata a livello nazionale3. Per superare questa barriera occorre pensare ad un programma formativo che addestri al dialogo tra giuristi appartenenti a culture 3 Circa il primo problema cui si fa cenno nel testo, si pensi al fatto che se il termine inglese “contract” può apparire facilmente traducibile con il termine francese “contrat” e con il termine italiano “contratto”, in realtà designa una categoria giuridica che non comprende né le donazioni né gli atti di trasferimento immobiliare. Circa il secondo problema, sia qui sufficiente ricordare come è comunemente accettato che il termine contract esprima nella mentalità giuridica inglese l’idea di una scambio piuttosto che l’idea di un accordo di cooperazione. Va da sé che questi esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito. 292 giuridiche diverse. Posto infatti che la creazione di uno spazio europeo di giustizia esige la comunicazione diretta di atti giudiziari i quali sono per loro natura documenti giuridici, occorre che il soggetto scrivente acquisti consapevolezza che il soggetto recettore intenderà il significato di ciascun termine giuridico utilizzato nel quadro semantico predisposto dalla sua mentalità giuridica. Conoscere il significato che una parola assume nella mentalità del recettore è dunque un prerequisito essenziale di ogni comunicazione transfrontaliera. I bisogni di formazione che ciò comporta non hanno bisogno di essere sottolineati, né di essere enfatizzati, essendo evidente la complessità del problema che si deve affrontare. Sempre in una visione pragmatica si può solo accennare che, se il problema in oggetto fa parte della tematica generale afferente alla formazione linguistica dei magistrati, tuttavia la complessità e le peculiarità dei contenuti da affrontare suggerisce almeno un avvio in sede centrale. Un terzo tipo di barriera si frappone alla comunicazione di documenti giuridici nel contesto europeo, ed è dato dalle differenze di stile redazionale dei documenti stessi. Le differenze di stili redazionali sono ben note a livello di redazione delle sentenze; parimenti è nota la diversità di stile redazionale dei testi normativi4. L’adozione di particolari cautele nella redazione di documenti destinati ad essere diretti ad interlocutori europei si impone pertanto come un’altra necessità connessa alla comunicazione di documenti giudiziari di cui è opportuno acquisire consapevolezza5. La risposta delle istituzioni europee e nazionali non può, dunque, prescindere da una complessiva opera tesa a favorire una vera e pro- 4 Si ricorda che esiste anche uno stile amministrativo, che il alcuni paesi, ad esempio in Francia, è rigorosamente osservato anche nella redazione di documenti giudiziari. Simile stile comporta un vincolo di vocabolario, di strutturazione della frase e di forma del documento che appare connaturato nella mentalità dell’operatore nazionale, il quale lo adotta per abitudine e facilmente si smarrisce a fronte di documenti redatti secondo uno stile diverso. 5 Ovviamente è inimmaginabile che il singolo magistrato nazionale si impratichisca di tutti gli stili redazionali attualmente presenti in Europa, piuttosto si tratterà di comprendere fino in fondo come sia altamente improbabile che lo stile linguistico nazionale possa corrispondere ad alcunché di significativo in una altra area culturale; sicché è altamente opportuno adottare uno stile redazionale che sia il più aderente possibile al linguaggio fattuale, che è meglio suscettibile di ricevere una traduzione significativa nella lingua del recettore. Anche in questo caso appare evidente come l’apertura di uno spazio giuridico europeo comporti bisogni specifici di formazione e di addestramento alla redazione di documenti che siano destinati ad essere tradotti in una altra lingua europea e capiti da colleghi immersi nella mentalità di cui tale lingua è espressione. 293 pria evoluzione culturale tra i magistrati europei o, meglio, l’emersione di una loro comune cultura della cooperazione. Tale sforzo, nel quale all’evidenza la formazione professionale assume un ruolo centrale, appare ancor più necessario in un sistema, come quello esistente tra i Paesi dell’area Schengen, fondato sulla corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie6. Ormai emancipati dalla “tutela” esercitata dalle autorità centrali nella fase di trasmissione delle domande di assistenza, i magistrati europei stentano ad appropriarsi pienamente delle possibilità offerte dai nuovi strumenti di fronte a problemi pratici (si è detto della poca padronanza delle lingue straniere e si potrebbe aggiungere, solo a titolo di esempio, la difficoltà di individuare correttamente l’autorità destinataria), ovvero legati alla complessità degli esercizi di diritto comparato indotta dalla diversità dei sistemi giuridici e delle strutture processuali. Non è perciò casuale che le statistiche disponibili mostrino il permanere di una generale sottoutilizzazione del sistema di trasmissione diretta Schengen. Ed è interessante notare che, poiché la qualità della comunicazione tra i differenti attori della cooperazione giudiziaria è fattore decisivo per l’efficacia di quest’ultima, allorché manchi, per qualsiasi motivo, un flusso continuo e completo di informazioni tra l’autorità richiedente e quella richiesta, non solo si registrano risultati inferiori alle attese, ma è anche difficile per gli interessati individuare le cause di ritardi e lacune, facendo loro difetto una visione completa ed un reale controllo dell’intero processo di assistenza. Tutto ciò fa sì che ogni magistrato ha tendenza a reiterare i comportamenti della cui improduttività non abbia avuto percezione, contribuendo a provocare uno stallo del sistema complessivo di cooperazione giudiziaria che appare difficilmente superabile affidandosi unicamente ad interventi di carattere normativo. Del resto, le difficoltà operative alle quali si è fatto cenno sono destinate ad aumentare, ancora una volta in modo solo apparentemente 6 L’art. 53 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, alla quale l’Italia ha aderito mediante il Protocollo del 27 novembre 1990, ratificato, in una con la Convenzione, con legge 30 settembre 1993, n. 388, prevede come è noto la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie quale mezzo ordinario di trasmissione delle domande di assistenza. In precedenza, tale forma di trasmissione costituiva un’eccezione, prevista per i casi di urgenza dall’art. 15, secondo comma, della Convenzione europea di mutua assistenza in materia penale (C.E.A.G.) conclusa a Strasburgo il 20 aprile 1959, rispetto al meccanismo normale di corrispondenza tra autorità di governo. 294 paradossale, in corrispondenza del progressivo affinarsi delle forme dell’assistenza giudiziaria. Basti pensare alla futura applicazione dell’art. 4 dell’Accordo concluso il 29 maggio 2000 dai quindici Stati membri dell’Unione Europea e diretto a completare ed innovare diversi, qualificanti aspetti della Convenzione europea di assistenza giudiziaria del 1959. Tale norma convenzionale prevede infatti, ribaltando sostanzialmente la disciplina dettata dal vigente art. 3 della Convenzione europea, che l’autorità giudiziaria dello Stato richiesto osservi nell’eseguire la domanda d’assistenza “le formalità e le procedure espressamente indicate dallo Stato membro richiedente”. Ne conseguiranno, con ogni probabilità, formulazioni più dettagliate ed esigenti delle domande, forse anche al di là delle effettive esigenze di utilizzabilità processuale degli atti richiesti, nonché difficoltà supplementari per il magistrato incaricato della relativa esecuzione, chiamato a confrontarsi, e non solo dal punto di vista teorico, con le regole di procedura proprie di un altro sistema. Nasce da queste considerazioni la consapevolezza che, per innalzare la qualità della cooperazione giudiziaria, alle iniziative di carattere normativo sul piano internazionale debbano accompagnarsi interventi coerenti a diversi livelli. Innanzitutto la creazione di canali istituzionali che, favorendo la comunicazione ed il coordinamento, anche informale, tra le autorità giudiziarie dei diversi Stati membri, incidano, migliorandole, sulle prassi, anche a diritto invariato. Particolarmente importanti appaiono al riguardo gli strumenti tendenti a fornire alle autorità giudiziarie, in un contesto caratterizzato dalla natura interstatuale della cooperazione, la possibilità di sviluppare in concreto, attraverso l’intervento istituzionale e la collaborazione di soggetti a ciò specificamente preposti, la loro capacità di diretta e utile corrispondenza con le omologhe autorità straniere: magistrati di collegamento, Rete giudiziaria europea e, da ultimo, Unità provvisoria Eurojust7 rispondono, con funzioni e prerogative diverse, a quest’esigenza. 7 Estremamente tempestiva rispetto alla sua prima embrionale previsione (avvenuta al cennato Consiglio europeo di Tampere dell’ottobre 1999) è stata infatti l’istituzione (avvenuta il 14 dicembre 2000), da parte del Consiglio dell’Unione Europea, dell’Unità provvisoria di cooperazione giudiziaria denominata “Eurojust”, composta da magistrati o funzionari distaccati da ogni stato membro con il compito di agevolare il coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, prestando assistenza nelle indagini riguardan- 295 Addirittura decisiva, poi, si rivela una rinnovata attenzione alla formazione professionale dei magistrati rispetto alla specifica dimensione della cooperazione giudiziaria internazionale. Non più vista come un optional di lusso dell’attività giudiziaria, bensì come una condizione necessaria perché la giurisdizione possa utilmente esercitarsi nei settori cruciali della vita civile di società complesse e interdipendenti. 4.B. La formazione come strumento per la legittimazione delle istituzioni giudiziarie nell’Europa dei cittadini e dei diritti umani. L’apertura della formazione dei magistrati a prospettive (quantomeno) europee appare fondamentale anche sotto un altro aspetto. Una riflessione consapevole sui sistemi giudiziari e processuali nazionali, sulle loro concrete modalità di funzionamento, sui loro reali esiti in termini di servizio reso alla collettività non può prescindere oggi da una lettura condotta attraverso il prisma delle “Carte” dei diritti umani, con particolare riferimento, per l’esistenza di disposizioni self executing direttamente azionabili mediante ricorsi individuali dinanzi alla Corte di Strasburgo, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed ai suoi Protocolli, nonché, per il suo valore politico e simbolico, alla Carta europea dei diritti fondamentali che, ancorché non integrata nei Trattati dell’Unione, è stata adottata nel dicembre 2000 dalla Conferenza Intergovernativa di Nizza. Al riguardo, va rilevato innanzitutto che il diritto vivente alimentato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani reagisce ed incide sui sistemi nazionali, proponendosi non solo come guida dell’attività interpretativa ma anche come misura per una valutazione critica del funzionamento concreto degli ordinamenti e per un confronto sulla dimensione etica dell’attività giudiziaria. ti la criminalità organizzata, cooperando in particolare con Europol e la rete giudiziaria europea dei “Punti di contatto”, anche al fine di semplificare l’esecuzione delle rogatorie. Tempestivamente, altresì, il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha, in data 8.2.2001, conferito il proprio concerto al Ministro di Grazia e Giustizia per la nomina del magistrato italiano rappresentante lo Stato nell’unità provvisoria. Lo stato di attuazione dell’istituto prevede peraltro l’adozione dello statuto di Eurojust entro la fine del 2001. Peraltro, con rapidità normativa pari a quella attuativa, Eurojust ha trovato collocazione, a seguito del Consiglio Europeo di Nizza, anche all’interno del Trattato sull’Unione Europea (T.U.E.) all’interno del titolo VI del trattato. 296 La vicenda dei principi del “giusto processo”, oggi declinati nella recente novella dell’art. 111 della Costituzione, appare al riguardo esemplare: disegnando un nuovo rapporto tra efficienza e garanzie, frutto di un delicato equilibrio nel quale il primo termine del binomio può diventare talvolta condizione del secondo, essa indica la necessità di una formazione che, per raggiungere e in qualche modo, se possibile, anticipare, obiettivi di diffuso miglioramento dei risultati del sistema giudiziario, deve far leva su una rigorosa considerazione dell’intero sistema delle fonti e, insieme, sull’analisi di ordinamenti ed esperienze diversi da quelli nazionali. Sviluppo del diritto comunitario, nuove forme della cooperazione giudiziaria internazionale, centralità dei sistemi di protezione dei diritti umani, nei quali si integrano del resto le esperienze di numerose giurisdizioni internazionali, costituiscono in definitiva altrettanti, decisivi fattori che rendono necessaria l’emersione di una dimensione realmente europea e internazionale della formazione dei magistrati. Ancora problematica appare l’individuazione dei parametri cui ancorare la progettazione della formazione dei magistrati italiani sotto i profili evidenziati. Una rassegna delle linee vettoriali in questo senso – già in concreto abbozzata nell’elaborazione delle opzioni formative del C.S.M. degli ultimi anni (come si avrà modo di dir meglio nel prosieguo) – può e deve, comunque, essere tentata. Una prima costatazione della problematicità di un tale impegno di progettazione formativa può fondarsi sulla circostanza che, come già accennato, in chiusura del 2000 la Conferenza intergovernativa dei Paesi dell’U.E. ha approvato la c.d. Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea,8 senza tuttavia che alla stessa sia stato attribuito valore vincolante. La posizione degli Stati membri che, come l’Italia, avrebbero voluto che la Carta assumesse un carattere giuridico vincolante mediante l’inserzione nei Trattati Comunitari, non ha, come ampiamente riportato anche dagli organi di informazione, ottenuto avallo nell’ambito del Consiglio Europeo di Nizza dello scorso dicembre. La Carta resta pertanto, allo stato, come una solenne ed autorevo- 8 La Carta è stata varata nel rispetto delle tappe attuative previste dal Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, nonché dei principi del Consiglio Europeo di Colonia, del 3-4 giugno 1999, che dava origine al primo documento base per la redazione della Carta stessa. 297 le dichiarazione di principi e segna solo un debole cenno verso l’ipotesi di una futura costituzione europea. È già peraltro molto più rispetto alla laconicità, in tema di diritti umani, del Trattato di Amsterdam, privo di una enucleazione dei diritti fondamentali riconosciuti a favore dei cittadini europei, materia sulla quale si pronuncia soltanto l’art. 6, per cui “L’unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli stati membri”, senza tuttavia concretizzare il contenuto degli stessi. D’altra parte, l’Unione ormai spazia tra obiettivi di ampiezza notevole quali, oltre a quelli assai ampi in materia economico-finanziaria, quelli coinvolgenti opzioni concretamente politiche come, ad esempio, il perseguimento di più elevati livelli di occupazione, il rafforzamento della coesione economica e sociale, l’affermazione dell’identità europea sulla scena internazionale, l’attribuzione di una cittadinanza dell’Unione (art. 2 T.U.E.), l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune (art. 11 T.U.E-), la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (artt. 29 e segg. TUE); la protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità della vita. In tale contesto, il problema che, alcuni Paesi pongono, connesso al quesito se un potere provvisto di una sì ampia gamma di obiettivi debba incontrare limiti giuridici ulteriori rispetto alla semplice delineazione delle competenze, effettuata nell’ambito dei Trattati, ovvero se sia necessaria una vera Costituzione, appare di persistente attualità. D’altro canto, non va dimenticata la tesi, autorevolmente sostenuta (parere n. 1/1991 della Corte di giustizia comunitaria) per cui: “…il Trattato CEE … costituisce la carta costituzionale di una comunità di diritto….”, avendo instaurato “un ordinamento giuridico di nuovo genere, a favore del quale gli stati hanno rinunciato, in settori sempre più ampi, ai loro poteri sovrani e che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini”, sancendo “ la sua preminenza sui diritti degli Stati membri e l’efficacia diretta di tutta una serie di norme che si applicano ai cittadini di tali Stati nonché agli Stati stessi”. E tuttavia tale tesi sembra contraddetta non solo dalla già evidenziata inadeguatezza dei Trattati sotto il profilo dei diritti umani, ma anche e soprattutto da considerazioni di tipo giuridico e politico. Solo a titolo puramente esemplificativo, si possono considerare come indicatori di contrario segno rispetto all’esistenza, già allo stato, 298 di un vera e propria Costituzione Europea: la normativa di revisione dell’assetto dell’Unione (che prevede la competenza di una conferenza intergovernativa, interagente con la ratifica degli Stati membri); la eterogeneità dei regimi, fra i tre pilastri di cui l’Unione è composta; quindi la stessa portata limitata della cittadinanza europea nonché il “deficit democratico” connesso alla condivisione di poteri normativi fra Commissione e Parlamento; infine, l’assenza di un atto costituente del popolo europeo. A tale funzione, non solo per la sua natura non vincolante, non potrà assolvere nemmeno la recente “ Carta dei diritti”; e ciò, sia perché essa non aspira a gettare le basi di una effettiva Unione politica, sia perché, su diverso versante, accanto ai diritti dell’individuo, non ne disciplina ad esempio i doveri; né ciò meraviglia, dal momento che questi ultimi non possono marciare troppo separatamente dall’unificazione politica. Ed infatti, i sette capi in cui la Carta si articola (dopo un preambolo che afferma la funzionalità della stessa alla tutela dei diritti risultanti, oltre che dal trattato sull’Unione Europea e dai trattati comunitari, anche dalla CEDU) disciplinano soltanto le seguenti materie, quali elementi costitutivi dei diritti fondamentali: Dignità (capo I), Libertà (capo II), Uguaglianza (capo III), Solidarietà (capo IV), Cittadinanza (capo V), Giustizia (capo VI), oltre alle Disposizioni generali (capo VII). Particolarmente importanti, ai fini che qui interessano, le disposizioni in materia di giustizia (capo VI, da articolo 46 a 50), nonché i richiami diretti alle disposizioni della CEDU (artt. 52 e 53) ed indiretti a principi (art. 54 sull’abuso del diritto). Senza per questo svalutare il grande valore etico-politico della Carta in sé, non può non rimarcarsi la limitatezza degli obiettivi che può in concreto perseguire anche nell’ambito dei limitati settori in cui opera. La stessa Giunta per gli affari delle Comunità Europee del Senato ha auspicato, ad esempio, maggiore attenzione verso i nuovi diritti legati al progresso scientifico, adottando una risoluzione che auspica l’adozione di una clausola evolutiva che consenta l’adeguamento dei diritti sanciti nella Carta in relazione alle mutate esigenze dovute allo sviluppo delle biotecnologie, dell’informatica, dei nuovi fattori di pericolo per la salute umana e l’equilibrio ambientale. La riflessione sull’ancoraggio della giurisdizione, anche in termini valoriali, a nuovi parametri “europei” cui indirizzare l’attività formativa e, prima ancora, una vera e propria rinnovata legittima- 299 zione di tutte le istanze giudiziarie dei Paesi membri dell’U.E., sarebbe tuttavia incompleta – arrestandosi ai dubbi connessi alla valenza della “Carta” - ove non si tenesse in debito conto il fatto che, come già anticipato, i fondamenti etico-politici della Carta medesima avevano incontrato un momento di importante enucleazione nell’ambito delle “Conclusioni” della Presidenza del Consiglio Europeo di Tampere dell’ottobre 1999, che a loro volta traevano anche ispirazione dall’attività di contrasto internazionale delle violazioni dei diritti umani da parte dell’Unione Europea. E’ questo un aspetto che non va sottaciuto, se si apprezza l’immagine di un’“Europa dei diritti” che non sia soltanto attenta a quanto avviene, sotto tale profilo, all’interno della sua giurisdizione domestica. È quindi importante ricordare, sul punto dei diritti umani, e sulla più ampia legittimazione che ne deriva ai magistrati europei, come l’Unione sia sensibile anche alle esigenze di tutela di posizioni esterne alle Unione stessa. Il punto 3 delle citate Conclusioni di Tampere, nel demandare infatti all’Unione l’elaborazione di politiche comuni in materia di asilo e immigrazione ed il controllo delle frontiere esterne per arrestare l’immigrazione clandestina e combattere coloro che la organizzano, commettendo i reati internazionali ad essa collegati, nel contempo sollecita l’adozione di garanzie per coloro che cercano protezione o accesso all’Unione europea. Di pari importanza le disposizioni relative al perseguimento del partenariato con i paesi di origine dei flussi migratori (nn. 11 e 12), al regime europeo comune in materia di asilo (nn. 13-17), all’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi (nn. 18-21, disposizioni nelle quali spicca l’individuazione dell’obbiettivo di contrasto nel razzismo e nella xenofobia) e le disposizioni inerenti alla gestione dei flussi migratori (nn. 22-27) nell’ambito delle quali particolare rilievo presentano le problematiche dell’immigrazione illegale, della tratta di esseri umani e dello sfruttamento economico dei migranti, nonché della tutela delle donne e dei minori. Fondamentale ai fini rimarcati è l’approccio in termini solidaristici al fenomeno delle migrazione, (nn. 11 e 26) nell’ambito di un ordinamento comunitario, in cui già il trattatto CE, all’art. 6, sancisce il divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità; divieto poi sviluppato nelle disposizioni di cui agli artt. 48 (libera circolazione dei lavoratori subordinati) 52 (libertà di stabilimento) e 59 (libera prestazione dei servizi). Del tutto in linea con quello che può considerarsi un vero e pro- 300 prio nucleo di principi fondanti dell’“Europa dei diritti”, intesi anche come diritti riconosciuti ai soggetti estranei alla cittadinanza dell’Unione, è il fatto che il Trattato di Amsterdam ha proceduto alla comunitarizzazione delle politiche in materia di visti, asilo ed immigrazione (nuovo titolo IV del trattato di Roma); aumenteranno, per questo motivo, le ipotesi che vedranno la competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi in materia di diritti di stranieri non comunitari. Va al riguardo ricordato che si è trattato, fino ad ora, di casi relativi al trattamento di familiari di comunitari e di cittadinivc di Paesi terzi con cui la U.E. ha stipulato accordi di associazione. Le problematiche del “diritto anti-discriminazione” fra cittadini ed immigrati costituiscono dunque un tema di rilevante attualità, non solo con riferimento agli stranieri comunitari, ma anche a quelli non comunitari; sul punto l’Europa si sta muovendo con notevole determinazione, sia a livello normativo che nel campo della tutela giudiziaria;9 ciò di cui non può non tenersi conto, ad un tempo, sia ai fini della configurazione del magistrato europeo come garante, in base ai principi dell’Unione, dei diritti anche di chi all’Unione non appartiene, sia ai fini dell’individuazione di nuove sfide formative10. L’interazione fra l’“Europa dei Diritti” e l’“Europa della Giustizia” non sarebbe compiutamente evidenziata se non si effettuasse un rapi- 9 Dato certo è ormai quello costituito dalla configurabilità, a favore dell’immigrato, della doppia tutela promanante dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal diritto comunitario. Sempre sotto il profilo dei rapporti fra i diversi orizzonti di tutela, va evidenziato altresì lo scarto - oggi forse colmato - fra l’art. 3 della Convenzione e la direttiva comunitaria n. 64/21, dal momento che, mentre il primo (divieto di tortura) viene considerato dalla Corte di Strasburgo quale fonte indiretta del divieto di espulsione di uno straniero quando vi siano motivi seri per ritenere che nel paese di destinazione lo stesso possa correre un rischio reale di essere sottoposto a trattamento inumano o degradante, per la seconda tale rischio è del tutto irrilevante, in quanto l’espulsione viene fatta conseguire ad una valutazione del solo comportamento dell’individuo. Mostra allora sul punto grande sensibilità la Carta Europea dei diritti, allorchè, per la prima volta (senza vincolatività concreta, va ricordato), riafferma la validità dello stesso principio anche nell’ambito dell’Unione, riducendo la forbice fra quest’ultima ed il sistema della CEDU. 10 Sfide formative pienamente raccolte anche da altri organismi di formazione giudiziaria: ad es., l’Ecole Nationale de la Magistrature francese realizza da anni, nel quadro delle attività del suo Dipartimento internazionale, azioni formative finalizzate alla “riduzione” degli atteggiamenti razzistici, consapevoli o meno, nell’azione giurisdizionale; un interessante seminario in argomento, finanziato nel quadro del progetto “Grotius”, è stato organizzato in data... dal Judicial Studies Board dell’Inghilterra e del Galles, con la partecipazione di un componente del C.S.M. e quattro magistrati italiani; il seminario ha costituito la base per la pubblicazione del volume “Racism and the Courts”, finalizzato alla formazione dei magistrati britannici in senso anti-discriminatorio. 301 do cenno ad ulteriori significativi momenti dell’azione europea, nell’ambito ed al di fuori dei confini dell’Unione, ai fini dell’enucleazione di nuovi diritti protetti. Un primo richiamo va operato alla Risoluzione del Parlamento Europeo approvata a Strasburgo il 5.7.2000, sul progetto di decisione della Commissione, relativa all’adeguatezza della protezione garantita dagli U.S.A. al trattamento anche informatico dei dati personali. Essa è di estrema importanza, al di là dello specifico oggetto pure assai rilevante, sul versante della connessione fra lo “status” del cittadino Europeo e la giustiziabilità dei suoi diritti, in quanto contiene un monito alla Commissione Europea, destinataria da parte dell Parlamento di un invito a rivedere il giudizio positivo circa l’adeguatezza del sistema U.S.A. in ordine alla protezione dei dati personali (c.d. “Safe Harbour” o approdo sicuro dei dati personali), monito fondato non solo sulla circostanza che il sistema legislativo statunitense non prevede alcuna tutela dei dati di applicazione generale nel settore privato, ma anche su quella che la quasi totalità dei dati è trattata senza specifiche garanzie di tutela giudiziaria. Ne risulta esaltato, dunque, il ruolo del giudice, che trae dalla costruzione dell’”Europa della giustizia” nuovi “endorsements” del proprio “status”, da intendersi non come guarentigia personale, ma come fondamentale momento di garanzia degli stessi diritti giustiziabili, ed in definitiva come garanzia dello “status” del cittadino europeo (ed anche di chi cittadino non è, ma si trova in Europa). In materia di ruolo del giudice, non può omettersi un ulteriore richiamo alla Raccomandazione n. R (94) 12 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che è forse la disciplina più importante tra quelle adottate a Strasburgo in materia di giustizia. La Raccomandazione, che si indirizza anche alle giovani democrazie dell’Est europeo che partecipano a pieno titolo al Consiglio, concerne com’è noto l’”Indipendenza, efficienza e ruolo dei giudici”, e sancisce la doverosità per gli Stati della tutela dell’indipendenza (preferibilmente attraverso l’istituzione di organi indipendenti tratti dalle stesse magistrature competenti per le decisioni in materia di nomina e avanzamento di carriera); della conservazione dell’autorità e della dignità della funzione anche attraverso il mantenimento di condizioni di lavoro adeguate, nonché il diritto alla formazione professionale anche internazionale; del riconoscimento della libertà associativa; della rispondenza delle procedure tendenti al trasferimento, alla riduzione degli emolumenti ed alla sospensione o destituzione ai requisiti del giusto processo ai sensi della CEDU. 302 I principi della Raccomandazione sono sviluppati ulteriormente nella Carta Europea sullo statuto del giudice, adottata il 10.7.1998. Nella ricerca dei parametri cui ancorare la progettazione in tema di formazione internazionale dei magistrati, un ulteriore richiamo afferente all’indipendenza della magistratura, che impone una particolare tutela in caso di attacchi, ma anche ai suoi doveri di riservatezza, va operato alla sentenza in data 24 febbraio 1997, con cui la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel pronunciarsi sulla compatibilità di sanzioni adottate nei confronti di giornalisti con il diritto alla libertà di espressione (caso De Haes e Gijsels contro Belgio relativo alle critiche di due giornalisti sulle modalità con cui la magistratura aveva trattato un delicato caso giudiziario), nel riconoscere il ruolo fondamentale e i diritti della stampa, ha affermato che gli organi giudiziari devono poter contare sulla fiducia del pubblico ed è di conseguenza opportuno proteggerli contro attacchi infondati, “tenuto conto soprattutto del fatto che il dovere di riservatezza impedisce ai magistrati di reagire”; nello stesso senso, anche ulteriori sentenze pronunciate dalla Corte con riferimento ad analoghe fattispecie (cfr. sent. 16 settembre 1999). Ancora nell’ambito dei particolari aspetti dell’evoluzione dell’“Europa della Giustizia” afferenti l’individuazione di uno statuto del magistrato europeo, va ricordato che in data 6.10.2000, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha adottato una raccomandazione rivolta ai governi degli Stati Membri, che enuclea 39 principi ai quali invita ad ispirarsi nelle legislazioni e nelle prassi relative al ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale. Tali principi affrontano in maniera unitaria ed organica il tema, sotto numerosi ed importanti profili riguardanti le garanzie riconosciute al pubblico ministero per l’esercizio delle sua attività, le relazioni fra il pubblico ministero ed i poteri esecutivo e legislativo, le relazioni fra il P.M. ed i giudici, le relazioni fra il Pubblico Ministero e la polizia, i doveri e le responsabilità del Pubblico Ministero nei confronti dei singoli giudicabili, la cooperazione internazionale. Troppo complesso il contenuto delle disposizioni per analizzarle tutte. Se ne rammentano solo alcune di particolare interesse, perché delineano il nucleo minimo dello statuto embrionale del P.M. europeo e dei suoi rapporti con altre componenti istituzionali, interne ed esterne alla magistratura, ed ad un tempo le linee lungo le quali può indirizzarsi una “formazione europea” dei magistrati del P.M.: gli Stati debbono fare in modo che ai membri del Pubblico Ministero sia rico- 303 nosciuto un diritto effettivo alla libertà di espressione, di opinione, di associazione e di riunione, con gli specifici corollari di tale diritto; la formazione professionale è un dovere ed un diritto per i Pubblici Ministeri, sia prima dell’assunzione delle loro mansioni che in modo permanente; è individuato, fra i contenuti minimi di tale formazione, lo studio dei diritti dell’uomo e delle libertà quali enunciate dalla CEDU, con particolare riferimento agli artt. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e 6 (diritto ad un equo processo) della stessa. L’art. 13 della Raccomandazione stabilisce poi che, nei paesi in cui il PM è subordinato al governo, la natura e la portata di tale subordinazione siano definiti dalla legge, tutte le eventuali istruzioni di carattere generale del governo siano per iscritto e pubblicate secondo adeguate modalità e, ove a carattere specifico, siano accompagnate da sufficienti garanzie di trasparenze ed di equità, oltre che essere adeguatamente motivate e precedute dalla richiesta di parere scritto da parte del PM competente. Infine, in tema di cooperazione internazionale, la raccomandazione impone la massima diffusione della documentazione, l’organizzazione di sedute di formazione professionale e di sensibilizzazione, l’insegnamento delle lingue straniere, la specializzazione nel settore della cooperazione internazionale. La “cerniera” tra i diritti emergenti a livello europeo, tra i quali quello all’accesso ad un giudice autenticamente indipendente, e la loro realizzazione è ovviamente costituita dal processo. L’impegno in tema di formazione “europea” deve coinvolgere quello, strettamente connesso, riguardante l’efficienza del processo, sia civile che penale, a fronte dei parametri costituiti, in sede europea, dall’art. 6 CEDU e da altre disposizioni di origine internazionale. A fronte della nota crisi dei tempi della giustizia nel nostro Paese, il Consiglio Superiore della Magistratura – intendendo dare il proprio contributo alla soluzione dei problemi – ha adottato, a distanza ravvicinata, due risoluzioni: la risoluzione del 15 settembre 1999, volta a sensibilizzare i capi degli uffici giudiziari sulla tematica della ragionevole durata del processo; la risoluzione adottata il 6 luglio 2000, nella quale si illustrano i passi avanti compiuti dal nostro Paese nell’anno. Anche quello della gestione dei tempi processuali, come è ovvio, è un tema che chiama in causa, direttamente, la formazione dei magistrati; ed è tema che assume rilevanza europea, se non altro, per le ripetute condanne riportate dall’Italia innanzi alla CEDU per violazione del termine di ragionevole durata del processo, nonché per l’esigenza che anche il nostro Paese proceda nel senso dell’accelerazione e della 304 semplificazione processuale, valori questi solennemente riaffermati a Tampere nell’ottobre 1999. Se è assolutamente indubbio che, sulla durata dei processi in Italia, una pesantissima ipoteca è stata imposta da deficienze di carattere normativo, strutturale e logistico, bisogna tuttavia ammettere che le responsabilità degli operatori del sistema giustizia - quelle dei magistrati, ma anche quelle degli altri operatori, fra cui anche gli avvocati - hanno avuto un loro peso. È per questo che il C.S.M. - anche sulla base di un elaborato parere collegiale dell’Ufficio Studi, successivamente pubblicato in un Quaderno del Consiglio stesso - ha adottato una serie di misure atte ad incidere sui tempi dei processi, per quanto di competenza, tra l’altro ollecitando con le citate risoluzioni i capi degli uffici ad evitare l’uso dilatorio degli strumenti processuali, vietando tra l’altro le udienze di mero rinvio, vigilando sui tempi assegnati ai consulenti tecnici d’ufficio, impedendo usi dilatori degli artt. 181 e 309 c.p.c., curando il tempestivo deposito dei provvedimenti e vigilando sui puntuali adempimenti delle cancellerie. E ciò, non solo al fine di garantire il rispetto dei parametri europei, ma ancor prima, allo scopo di favorire, prima ancora che attraverso leggi di attuazione, il rispetto dei principi di cui all’art. 111 della nostra Costituzione, quanto alla ragionevole durata dei processi. Anche in tale ambito - sottolinea il C.S.M. - la formazione assume un ruolo centrale; in questo senso, in ciascun incontro avente ad oggetto tematiche processuali, i magistrati dovranno confrontarsi sulle esigenze poste dal rispetto della durata ragionevole del processo. Per tracciare una provvisoria conclusione sui temi appena sfiorati nell’esposizione che precede, può affermarsi dell’“Europa dei cittadini” impone al magistrato europeo, come responsabile dell’evoluzione interpretativa ed applicativa del diritto, nel quadro dei limiti imposti dall’organizzazione del servizio-giustizia di spettanza del potere esecutivo, di prendere atto, anzitutto, traendone le conseguente nel momento della decisione giudiziaria, del rinnovato ambiente valoriale “europeo” in cui si inserisce l’azione del giudice, ambiente cui è connaturata una domanda di giustizia legittimata da norme non soltanto interne, ma anche sopranazionali; di prendere atto, poi, del ruolo europeo assunto dalla stessa figura del magistrato, sia giudicante che del pubblico ministero (quest’ultimo sempre più incline, anche negli altri paesi, ad acquisire uno statuto di indipendenza ed una trasparenza di azione prossimi a quelli anticipati dal Costituente italiano del 1946), con la correlativa acquisizione di una cultura europea della giuri- 305 sdizione, fondata non soltanto sulle conoscenze giuridiche, ma anche su nozioni (si pensi alle già richiamate disposizioni in tema di divieto di discriminazione, di tutela dei soggetti deboli, di divieto dei trattamenti disumani) desunte dalla sociologia, dalla storia, dalla filosofica e dalla psicologia, quali scienze affermatesi nello specifico ambiente culturale europeo, che hanno contribuito a delineare il nascente diritto di cittadinanza d’Europa. Per l’adeguamento della legittimazione della magistratura, e del servizio-giustizia nel suo complesso, alle esigenze poste dall’”Europa dei cittadini”, sì da potersi realizzare un’”Europa della giustizia” come configurata dal Trattato di Amsterdam e dalle Conclusioni di Tampere, particolarmente importante è, dunque, il ruolo della formazione europea dei magistrati, che quella cultura “europea” debbono poter acquisire sia in sede di tirocinio iniziale, che in sede di formazione continua, come del resto sancito dai richiamati atti internazionali. 4.C. La formazione internazionale ed europea del C.S.M.. La dimensione internazionale e, più specificamente, europea non rivestiva sicuramente alcun rilievo prioritario nell’ambito dell’attività di formazione dei magistrati italiani alla metà degli anni ‘90. Infatti, con la relazione approvata dal Plenum del C.S.M. l’11.10.1995, nel darsi atto che ancora in quell’anno si era tenuto un solo seminario di diritto comunitario in riferimento al settore civile ed un altro solo seminario dedicato all’incidenza del diritto comunitario e internazionale sul processo penale, si auspicavano interventi tesi ad incrementare l’attività di formazione nel comparto, anche attraverso la sperimentazione di corsi decentrati di base possibilmente sovvenuti a livello comunitario, riservando alla formazione centrale l’approfondimento di tematiche particolari11. Già nel 1995 si aveva, peraltro, l’avvio di qualche interessante esperienza formativa in collaborazione con istituzioni straniere di formazione giudiziaria12. Il periodo successivo ha conosciuto significative evoluzioni nel 11 “La formazione professionale del magistrato - Relazioni e considerazioni sull’attività svolta”, in Quad. C.S.M. n. 88 del maggio 1996, pp. 105 ss. 12 Il riferimento è al seminario italo-francese sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero” tenutosi a Roma dal 23 al 25 ottobre 1995. 306 senso auspicato, attraverso impulsi, talora contestuali e talora successivi, verso la promozione di attività riconducibili a diverse tipologie strutturali a seconda della utilizzazione o meno di “know how” formativo riveniente dalla collaborazione con istituzioni preposte alla formazione giudiziaria di altri Paesi, sì da potersi distinguere tra: (a) attività organizzate autonomamente dal C.S.M.; (b) attività organizzate sulla base di cooperazioni bilaterali con istituzioni responsabili della formazione dei magistrati in altri Paesi, sia dell’Unione Europea che al di fuori dell’ambito comunitario; (c) attività organizzate nell’ambito di un quadro stabile di cooperazione multilaterale tra tutte le strutture di formazione giudiziaria dei Paesi dell’Unione europea. Indipendentemente dalla struttura collaborativa adottata, sotto il profilo finanziario le iniziative formative internazionali hanno talora gravato esclusivamente sulle risorse proprie del C.S.M. (e di eventuali organismi “partner”), talora hanno fruito di contributi da parte dell’Unione Europea nel quadro delle diverse azioni comunitarie tese a favorire la formazione in determinati settori. Sotto un profilo cronologico, l’impulso alla formazione internazionale e, soprattutto, europea dei magistrati italiani ha conosciuto una prima fase, con avvio nel 1996 sulla scia di esperimenti precedenti, corrispondente alla realizzazione, in collaborazione bilaterale con istituzioni straniere, di iniziative formative, a livello centrale, di carattere comparatistico nel settore dell’ordinamento giudiziario,13 ovvero di approfondimento circa le tecniche di cooperazione giudiziaria14. 13 Cfr. l’incontro Italia-USA (in collaborazione con l’amministrazione statunitense, ma al di fuori delle forme cooperative tipiche tra enti di formazione giudiziaria) sul tema “Giudici e Pubblico Ministero nel sistema penale americano”, tenutosi nel giugno-luglio 1996; il seminario di studio italo-portoghese (organizzato dal C.S.M. con l’omologo Centro de Estudos Judiciàrios) sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al pubblico ministero”, del dicembre 1996; il seminario di studio italo-tedesco, organizzato d’intesa con il Ministero competente per la formazione, sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento al principio di obbligatorietà dell’azione penale”, dell’ottobre 1997; il seminario italo spagnolo, pur esso nel quadro della cooperazione con l’omologa istituzione spagnola, sul tema “Ordinamento giudiziario comparato con particolare riferimento all’assetto della magistratura” del novembre 1997; gli ultimi due seminari venivano ammessi a contribuzione finanziaria da parte della Commissione europea nel quadro del progetto “Grotius”. 14 Cfr. il seminario anglo-italiano del luglio 1998 sul tema “La cooperazione giudiziaria tra Italia e Regno Unito per la repressione della criminalità organizzata”, ammesso a contributo finanziario nel quadro del progetto “Grotius”. 307 Le iniziative in parola, che dopo un periodo di rodaggio in autonomia, venivano sottoposte agli organi comunitari per l’ottenimento di sovvenzioni, non mancavano peraltro di episodicità, collocandosi al di fuori dell’ordinario programma di formazione e venendo rese note ai magistrati fruitori di volta in volta, sì da non consentirsi una utile individuazione dei destinatari in funzione dei bisogni formativi. Parallelamente, solo in via occasionale, e sempre al di fuori della programmazione ordinaria, venivano divulgate nei confronti della generalità dei magistrati le iniziative formative realizzate da istituzioni straniere, cui veniva richiesta la partecipazione di magistrati italiani. Una seconda fase dell’attività di formazione in questione, in sostanziale contestualità con la prima in quanto risalente ad una programmazione del 1996 ed ad una realizzazione avviata nel primo semestre del 1997 e continuata sino ad oggi, può ricollegarsi alle attività di formazione di base, a livello interno decentrato, nel campo del diritto comunitario e, più in generale, della cooperazione giudiziaria civile e penale e del diritto internazionale privato. La sperimentazione, iniziata con delibera del C.S.M. del 12.2.1997, si muoveva in parallelo con l’approvazione presso la Comunità europea dell’azione “Robert Schuman” volta ad ottenere una sensibilizzazione degli operatori della giustizia al diritto comunitario;15 le iniziative formative in parola sono state infatti parzialmente finanziate a livello comunitario. Il modulo formativo, sul tema “L’incidenza del diritto comunitario e del diritto internazionale sul processo civile e sul processo penale”16, si articolava su tre giornate di lavori in tre settimane consecutive, con partecipazione obbligatoria degli uditori giudiziari e facoltativa dei magistrati in servizio presso ciascun distretto di Corte di appello individuato per lo svolgimento dell’iniziativa, nonché con apertura agli avvocati e ai giudici di pace. I temi da trattare erano stati previamente determinati a livello centrale, ove pure venivano predisposti i materiali di studio e consultazione, mentre sull’individuazione dei relatori e 15 Il progetto Robert Schuman è stato istituito dal Parlamento Europeo e dal Consiglio della Comunità Europea con decisione n. 1496/98/CE del 22 giugno 1998; peraltro già nelle more dell’approvazione della relativa proposta fu consentito sottoporre richieste di sussidio, ciò cui provvide il C.S.M. 16 Il modulo veniva variato nel tempo, nel 1998 eliminandosi dal programma, in una sua seconda versione (“Corsi di formazione in diritto comunitario: le istituzioni, la Corte di Giustizia, il diritto sostanziale”), la presentazione delle novità in materia internazionalprivatistica, dato il trascorrere del tempo dall’entrata in vigore della nuova disciplina, ed introducendosi sessioni specialistiche di natura civilistica e penalistica. 308 sugli aspetti organizzativi veniva promossa una concertazione tra gli organi centrali della formazione consiliare ed i consigli giudiziari, che avrebbero provveduto al riguardo attraverso la designazione di “magistrati collaboratori”. I corsi, realizzati nel 1997 in 8 sedi distrettuali ed interdistrettuali,17 raggiungevano 700 partecipanti circa. Il medesimo modulo veniva seguito nel 1998, allorché ebbero a fruire di corsi della specie circa 600 magistrati ed uditori in servizio in 7 distretti di Corte d’Appello18. Nel 1999 veniva disposta l’organizzazione di altri 6 seminari del medesimo tipo,19 mentre nel 2000 veniva disposta l’organizzazione di 13 seminari20, sì completandosi il progetto di effettuare un corso di base sulle tematiche predette in tutti i distretti giudiziari italiani. Sempre nel 1999, avvicinandosi il completamento dell’iniziativa di base, il C.S.M. presentava alla Commissione europea, sempre nell’ambito dell’azione “Robert Schuman”, un ulteriore progetto formativo stavolta finalizzato a portare un’offerta formativa specialistica, in un periodo di due anni, ai magistrati di tutti i distretti giudiziari italiani; il tema da trattare, di grande attualità, veniva individuato nel “Trattato di Amsterdam e l’evoluzione del diritto dell’Unione Europea”, con sottolineatura dei rapporti tra i tre “pilastri” dell’U.E., dell’ampliamento dell’ambito comunitario, del ruolo della Corte di Giustizia e dei diritti fondamentali. Ammesso il progetto a finanziamento, nel 2000 venivano realizzati - sempre con il coinvolgimento delle strutture locali di autogoverno - 13 seminari della durata di una giornata. Nel 2001 l’iniziativa formativa avrà luogo nei residui distretti di Corte d’Appello, nuovamente realizzandosi l’obiettivo di un’offerta formativa estesa a tutto il territorio nazionale. Nel marzo 2001 il Consiglio avanzava alla Commissione U.E. una nuova istanza di sovvenzione “Schuman”, per la realizzazione in alcune sedi interdistrettuali, nel 2002, di seminari - da inserirsi a pieno titolo nell’ambito della formazione decentrata - aventi ad oggetto i re- 17 Venezia, Bologna e Trieste furono le sedi individuate in via sperimentale; seguirono nell’anno Firenze, Reggio Calabria-Messina, Palermo, Napoli, Cagliari-Sassari. 18 Milano, Torino, Lecce, Bari, Roma, Campobasso, oltre Napoli (corso reiterato per la presenza di domanda formativa insoddisfatta). 19 Salerno, Ancona, Genova, Perugia, Trento-Bolzano, Catania. 20 Roma, Napoli, Torino, Milano, Venezia, Firenze, Bari, Palermo, Reggio Calabria, Trieste, Genova, Perugia e Salerno. 309 golamenti comunitari del maggio 2000 e del dicembre 2000 in materia di procedure di insolvenza, riconoscimento delle sentenze e decisioni in materia matrimoniale, notificazioni, nonché recepimento della Convenzione di Bruxelles I. La terza fase dell’impulso consiliare verso la formazione internazionale dei magistrati si ricollega all’integrazione dell’offerta formativa (destinata ad essere attuata sia in Italia che all’estero) riveniente dalla collaborazione bilaterale con organizzazioni “partners”, con l’autonoma offerta formativa consiliare sul piano interno, a livello sia centrale che decentrato. Soffermando per un momento l’attenzione sull’offerta centrale sul piano interno, deve rilevarsi che nel 1996 e 1997, come già nel 1995, venivano organizzati per ciascun anno - al di fuori di quanto già sopra richiamato - due soli altri incontri di studi di tipologia internazionale o europea;21 nel 1998 si soprassedeva del tutto da azioni in tale settore stante il consolidarsi delle iniziative su base decentrata22. Nel 1999 il Consiglio superiore della magistratura - anche in relazione alla contemporanea evoluzione verso un quadro stabile dei rapporti di collaborazione con gli altri organismi europei di formazione giudiziaria - prendeva atto della necessità che, onde proseguire nell’offerta di corsi in materia internazionalistica e, soprattutto, europea a livello centrale, la relativa programmazione tenesse conto dei livelli di formazione erogati complessivamente sia attraverso le iniziative interne decentrate, sia attraverso le iniziative sulla base di cooperazioni bilaterali (e, poi, multilaterali), indipendentemente dall’essere realizzate in concreto le iniziative stesse da parte del Consiglio ovvero di organismi “partners”. Veniva sottolineata, altresì, l’esigenza di trasparenza dell’offerta formativa nel settore, onde fugare impressioni negative talora associate soprattutto all’offerta di sessioni all’estero, ciò che in astratto poteva rendere apprezzabili attività della specie per ragioni estranee all’intrinseco contenuto formativo. 21 Il riferimento è, per il 1996, all’incontro n. 4 sul tema “Diritto comunitario e internazionale privato” ed all’incontro n. 26 sul tema “Diritto comunitario e cooperazione penale”, nonché, per il 1997, all’incontro n. 296 su “Diritto comunitario e cooperazione penale” ed al n. 307 su “Diritto comunitario e diritto internazionale privato”. Va peraltro segnalato che in pari epoca, nel primo semestre del 1997, prende avvio il programma, di grande respiro, di formazione decentrata in diritto comunitario, cui sarà fatto cenno nel prosieguo del testo. 22 Tale la motivazione espressa nelle “Considerazioni generali sulla programmazione degli incontri di studio” in apertura del “Programma” relativo al 1998, in Quad. C.S.M. n. 97 del 1997, p. 15. 310 Si perveniva, conseguentemente, alla determinazione - nell’ambito della sistemazione, operata a livello generale con il Programma del 1999, dell’offerta di corsi all’interno di “aree tematiche” tese ad evidenziare i diversi settori d’intervento formativo del C.S.M. - di creare una specifica “area della formazione, assai consistente per quantità e qualità dell’offerta, dedicata alla conoscenza delle istituzioni e del diritto comunitario, nonché degli strumenti operativi per la gestione delle sempre più rilevanti e complesse attività di cooperazione tra i magistrati italiani e le autorità giudiziarie straniere.” In detta area, denominata “Diritto comunitario, internazionale e comparato”, nell’ambito del Programma del 1999 venivano fatte rifluire e divulgate anticipatamente ben sette iniziative (di cui quattro da tenersi all’estero23), originate sia dalla cooperazione bilaterale con organismi stranieri di formazione dei magistrati, sia dalla cooperazione all’interno di programmi di sostegno dell’U.E., sia dall’autonoma iniziativa consiliare, a livello centrale e decentrato, eventualmente anche in questo caso con sostegno comunitario. Il percorso individuato nel 1999 trovava feconda prosecuzione nel 2000 (con cinque corsi, tutti da tenersi in Italia, inseriti nell’area “internazionalistica” nel quadro del c.d. “libretto verde”, oltre altri corsi offerti separatamente)24 e nel 2001 (con nove corsi, dei quali quattro all’estero, inseriti nell’area “internazionalistica del c.d. “libretto verde”, oltre altri corsi offerti separatamente)25. 23 Per il 1999 si aggiungeva ai corsi indicati nel programma altresì un Simposio organizzato dall’ERA sul tema “Verso uno spazio giudiziario europeo - la cooperazione giudiziaria in materia penale” in date 13-15 ottobre 1999, nonché l’annuale “stage” per magistrati italiani presso la Corte di Giustizia delle C.E. 24 Non erano infatti noti, al momento della redazione del libretto verde, il corso presso l’Ecole Nationale de la Magistrature a Parigi in date 25-29 settembre 2000 su “I référés nell’ordinamento processuale civile francese”, il corso organizzato dall’Escuela nella materia penale ai quali tutti, sulla base della cooperazione bilaterale tra istituzioni formative, venivano ammessi magistrati italiani; magistrati italiani partecipavano altresì ad un corso organizzato a Londra dal Judicial Studies Board sul tema “Il contrasto al razzismo nell’amministrazione della giustizia”, ad un corso organizzato a Hjortviken in date 21-24 marzo 2000 dall’Amministrazione giudiziaria svedese sul diritto processuale in riferimento alla materia minorile, ad un corso organizzato dal Centro di formazione e studi della magistratura dei Paesi Bassi a Maastricht dal 24 al 25 maggio 2000 sul tema “La qualità della giustizia in una prospettiva internazionale”; questi ultimi incontri di studi tutti sovvenuti dell’U.E: nell’ambito del progetto “Grotius”. 25 I quattro corsi all’estero erano costituiti dalle iniziative sul tema “I sistemi giudiziari dei Paesi membri dell’Unione europea” programmati nel quadro delle attività della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (R.E.F.G.), realizzati dal novembre 2000 in poi da Belgio, Spagna e Francia (avendo i Paesi Bassi, allo stato, soprasseduto dall’organizzazione) secondo uno schema analogo a quello seguito dal C.S.M. per l’organizzazione del corso n. 527 del 2001. 311 4.C.1. I contenuti dell’offerta formativa. A fronte dell’offerta via via sempre più integrata, quanto alla tipologia organizzativa, di iniziative formative nel settore internazionalistico, si evolveva altresì il profilo contenutistico dell’offerta stessa, in significativo parallelismo con gli stimoli provenienti dal contesto esterno. Quanto a quest’ultimo, va in particolare segnalato che il C.S.M. e gli omologhi partners stranieri nel settore della formazione giudiziaria ad un tempo seguivano gli stimoli provenienti dall’elaborazione in sede comunitaria circa l’individuazione dei bisogni formativi degli operatori della giustizia, che si concretavano nella predisposizione di specifiche “azioni” comunitarie finalizzate a sostenere finanziariamente iniziative di formazione con determinati contenuti; e, allo stesso tempo, con le modalità cooperative di cui si farà cenno nel prosieguo e, se del caso, anche attraverso gli opportuni raccordi istituzionali con le autorità governative, assecondavano l’elaborazione delle relative linee-guida26. In proposito, può richiamarsi che sotto il profilo contenutistico l’Unione Europea, nel settore Giustizia ed Affari Interni, ha di tempo in tempo incoraggiato attività formative, oltre che in generale in vista della sensibilizzazione al diritto comunitario (attraverso l’azione “Robert Schuman” cui si è già fatto cenno), tendenti al perseguimento di obiettivi formativi soprattutto nei settori: a) della conoscenza reciproca dei sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri e della promozione della cooperazione giudiziaria tra gli Stati stessi nelle aree del diritto civile, del diritto penale ed in generale; tali obiettivi, già perseguiti da un unico programma rivolto a beneficio dei professionisti legali (tra i quali i magistrati), denominato “Grotius” ed istituito con Azione Comune n. 636 del 1996, saranno conseguiti, a far tempo dal 2001, da due programmi separati, il primo adottato con Regolamento n. 290/2001 del Consiglio del 12 febbraio 2001 ed il secondo con strumento in corso di adozione, denominati rispettivamente “Grotius I” e “Grotius II”, avente ad oggetto il primo le 26 Può notarsi sin d’ora con soddisfazione, nel predetto quadro, come una delle importanti azioni comunitarie in questione, finalizzata alla formazione nel settore del contrasto alla criminalità organizzata, sia intitolata al compianto magistrato italiano dr. Giovanni Falcone, per cui i relativi programmi vengono denominati nella pratica come afferenti al progetto “Falcone europeo”, per distinguerli dai corsi “Falcone” (poi divenuti “Falcone-Borsellino”) dedicati dal C.S.M. alla formazione sul piano interno nelle medesime materie. 312 tematiche civilistiche (ricadenti nell’ambito del Trattato istitutivo della Comunità europea) ed il secondo quelle generali e penalistiche (ricadenti nell’ambito del Trattato istitutivo dell’Unione Europea); b) del contrasto al traffico di esseri umani ed allo sfruttamento sessuale dei minori; trattasi di obiettivo perseguito in base all’Azione Comune n. 700 del 1996 istitutiva del programma “Stop”; c) delle politiche dell’asilo, dell’immigrazione e dell’attraversamento delle frontiere esterne; trattasi di obiettivo perseguito in base all’Azione Comune n. 244 del 1998 istitutiva del programma “Odysseus”; d) del contrasto alla criminalità organizzata; trattasi di obiettivo perseguito in base all’Azione Comune n. 245 del 1998 istitutiva del programma “Falcone”27. Al riguardo, deve notarsi, anzitutto, come il C.S.M. abbia utilizzato sostanzialmente tutte le opportunità offerte dai predetti programmi europei, tenuto conto della portata assai ampia del programma “Grotius” e dell’interesse rivestito dai contenuti proposti dai programmi “Falcone” e, in parte, “Odysseus” e “Stop”28. Indicazioni al riguardo possono desumersi dal prospetto di seguito riportato, nel quale sono indicati i progetti sovvenzionati: - seminario in collaborazione con l’A.R.P.E., programma Falcone 1998, sul tema “Forme internazionali di corruzione” (ottobre 1999): contributo finanziario pari a 111.500 ECU; - corso di “Formazione globale per i magistrati addetti alle nuove forme di cooperazione giudiziaria penale” (novembre 1999): contributo finanziario pari a 116.404 ECU – programma Grotius; - seminario di formazione e scambio di esperienze operative tra autorità giudiziarie, di polizia e doganali di Italia, Francia e Spagna: Le nuove forme delle attività transfrontaliere di contrasto al traffico internazionale di stupefacenti” (in corso di svolgimento): contributo finanziario pari a 74.900 Euro - programma Falcone; - “Workshop in video-conferenza sulle audizioni a distanza nei processi di criminalità organizzata. Esperienze europee e prospettive della cooperazione giudiziaria”: contributo finanziario pari a 58.988 Euro programma Grotius; 27 Minore importanza rivestono, ai fini della formazione giudiziaria, programmi quali l’”Oisin” (Azione Comune n. 12 del 1997), finalizzato alla promozione della cooperazione tra forze di polizia, ed altri, pure gestiti dalla Commissione nel settore Giustizia e Affari interni. 28 In relazione al programma “Stop” soltanto, allo stato, non sono state avanzate istanze di finanziamento. 313 - “Seminario sulla fase esecutiva del processo penale in Europa”: contributo finanziario pari a 73.800 Euro - programma Grotius; - Seminario “Accesso alla giustizia, assistenza legale ai non abbienti e strumenti alternativi di risoluzione dei conflitti”: contributo finanziario pari a 66.293 Euro - programma Grotius. Nell’implementazione delle iniziative formative il C.S.M. ha avuto presente come obiettivo – anche e soprattutto alla luce degli argomenti selezionati - quello di effettuare un percorso nell’ambito dei principi e delle concrete espressioni dei valori della giurisdizione dei Paesi dell’Unione, alla ricerca di punti di contatto, ravvisabili nell’esistente, rappresentativi di una piattaforma comune di crescita, nonché dei punti di riferimento utili al riempimento di lacune normative oltre che al miglioramento delle prassi applicative29. 4.C.2. La rete europea di formazione giudiziaria. Una quarta ed ultima fase, tuttora in corso, dell’impegno consiliare nel settore della formazione internazionale dei magistrati italiani si ricollega alle evoluzioni istituzionali, dianzi cennate, in relazione alle quali la formazione giudiziaria sembra, nel medio periodo, pur rimanendo tra le attribuzioni degli organismi nazionali - organismi di regola di emanazione maggioritaria delle stesse magistrature, a fini di garanzia dell’indipendenza - destinata a costituire oggetto di interesse sopranazionale, a fini di coordinamento per il perseguimento di determinati obiettivi. Limitando la prospettiva agli ambiti connessi all’Unione Europea, tenuto conto che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam e dopo il Consiglio europeo di Tampere del 1999 la creazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia è divenuta una priorità dell’Unione Europea, è affermazione comune che il buon funzionamento dello spazio giudiziario europeo implica la consapevolezza, da parte dei magistrati, dei sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri, 29 Né è mancata la consapevolezza che l’azione dell’Unione debba svilupparsi lungo binari separati per la giustizia civile e quella penale. Mentre l’azione nel primo settore infatti, grazie al Trattato di Amsterdam, procede nella corsia privilegiata del primo pilastro dell’Unione (agli organi della Comunità è quindi riconosciuta potestà normativa attraverso direttive e, soprattutto, regolamenti comunitari), quella nel secondo settore, inserita nel terzo pilastro (quello della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale) resta affidata alle azioni comuni ed alle convenzioni fra Stati membri. 314 nonché degli strumenti nazionali, europei ed internazionali della cooperazione giudiziaria, e che per la promozione di tale consapevolezza la formazione dei magistrati rappresenta una risorsa essenziale. Non potendo l’U.E. sostituirsi agli organismi preposti alla formazione negli Stati membri nell’organizzazione regolare di iniziative formative per i magistrati, volte a far emergere progressivamente le basi di una comune cultura e identità giudiziaria europea, da un lato deve affermarsi un ruolo degli organismi stessi, grazie alla propria esperienza a livello nazionale nel settore della formazione dei magistrati, nel contribuire al processo di costruzione dello spazio giudiziario europeo attraverso il coordinamento delle rispettive iniziative formative, la messa in comune di esperienze, nonché l’interlocuzione nei confronti della Commissione dell’U.E. e degli stessi governi sui temi d’interesse; dall’altro, deve riconoscersi all’U.E. l’opportunità di proseguire nell’impegno intrapreso nel sostenere iniziative formative finalizzate al raggiungimento degli obiettivi connessi alla realizzazione dello spazio giudiziario europeo. In questo quadro, va richiamato che i contatti tra le istituzioni che, nei diversi Stati dell’Unione Europea, sono responsabili per la formazione dei magistrati facenti parte dell’ordine giudiziario si sono di recente rafforzati. Se, come accennato, a metà degli anni ‘90 le istituzioni stesse avevano avviato una cooperazione che era finalizzata a coordinare, per lo più su basi bilaterali, l’attività da ciascuna di esse svolta, talora con il sostegno finanziario dell’Unione Europea, nel periodo successivo la cooperazione instaurata si è avviata verso un’evoluzione multilaterale, finalizzata a realizzare attività formative più sofisticate e, contemporaneamente, a svolgere il ruolo trainante, nel senso dinanzi indicato, verso la promozione, attraverso una formazione giudiziaria autenticamente europea, di una comune identità dei magistrati dell’Unione. Nella prospettiva della creazione dello spazio giudiziario europeo, gli organismi responsabili per le formazione giudiziaria europea si riunivano quindi, in due sessioni plenarie in Roma il 4 ottobre 1999 e in Treviri il 4.2.2000, oltre che in sessioni ristrette nell’ambito di gruppi di lavoro, onde porre le basi per una cooperazione in materia di analisi ed identificazione dei bisogni di formazione, di scambio di esperienze nel campo della formazione giudiziaria, di elaborazione di programmi e di metodi collaborativi di formazione (in particolare quanto al ricorso alle nuove tecnologie), di coordinamento dei programmi e delle attività dei diversi organismi (in particolare per ciò che interessa le iniziative dell’Unione europea), nonché di messa a dispo- 315 sizione delle istituzioni europee e degli altri organismi nazionali ed internazionali della propria esperienza e del proprio saper fare, in particolare al fine di favorire l’adesione all’Unione dei Paesi candidati. All’esito dei lavori della terza riunione plenaria di Bordeaux del 12-14 ottobre 2000, ai cui partecipavano altresì esponenti delle istituzioni di formazione giudiziaria dei Paesi candidati all’adesione all’U.E., nonché esponenti della medesima U.E. e del Consiglio d’Europa, e che venivano conclusi da un intervento del Vice Presidente del C.S.M. prof. Verde, veniva avviata la sottoscrizione della “Carta” della Rete Europea di Formazione Giudiziaria (R.E.F.G.)30, quale dichiarazione di principi cui, anche sul piano organizzativo, i diversi organismi si sarebbero attenuti in futuro onde proseguire nella collaborazione instaurata, nell’attesa dell’adozione di uno strumento giuridico dell’U.E. che riconoscesse la Rete stessa. La Rete si è organizzata attraverso un Segretariato rotativo, da affidarsi ad una delle organizzazioni “partners”, da prescegliersi ad opera dell’Assemblea, organo volitivo da convocarsi annualmente, competente anche per la nomina di Commissioni di studio; tra una riunione e l’altra dell’Assemblea le decisioni opportune vengono assunte da un Comitato di coordinamento, preposto ad affiancare il Segretariato. Il sito Web della “Rete”, realizzato con il supporto del progetto “Grotius”, allo stato in inglese e francese, risponde temporaneamente all’indirizzo www.jsboard.co.uk/EJTN. Un dominio autonomo sarà registrato a breve; nel sito saranno immessi i progetti e le relazioni conclusive dei progetti “Grotius” sinora realizzati dagli organismi membri. Successivamente si esamineranno le modalità di alimentazione del sito, che in prospettiva dovrebbe rappresentare utile strumento per la formazione a distanza, soprattutto dei magistrati dei Paesi candidati all’adesione all’U.E. Gli organi della Rete sono stati costituiti in occasione della prima 30 Nell’ambito dell’incontro di Bordeaux la Carta della REFG è stata sottoscritta dai rappresentanti della Scuola Giudiziaria della Spagna, dal Ministero del medesimo Paese (competente per la formazione dei pubblici ministeri), della Scuola giudiziaria portoghese e delle Commissioni di studi giudiziari dell’Irlanda e della Scozia, per cui la stessa entrava in vigore essendosi raggiunto il numero sufficiente di adesioni.. Dopo l’incontro di Bordeaux sono pervenute all’Accademia di Diritto Europeo di Treviri, depositaria degli originali sottoscritti della REFG ai sensi della Carta, le sottoscrizioni del C.S.M. - il cui Vice Presidente aveva ritenuto di posporre la sottoscrizione all’esito di informativa da rendersi al Ministro della Giustizia - e di tutti gli altri organismi di formazione dei magistrati ordinari dei Paesi membri dell’U.E. 316 Assemblea, convocata a Stoccolma in data 29-30 marzo 2001. In tale ambito, il Consiglio Superiore della Magistratura è entrato a far parte del Comitato di Coordinamento della Rete, nonché riveste la qualifica di Presidente del Gruppo di lavoro sui “Programmi” della Rete stessa, in coerenza con i contenuti di risoluzione dell’Assemblea plenaria del Consiglio in data 21.3.2001 che evidenziava il particolare impulso dell’organo di formazione giudiziaria italiano verso l’evoluzione dei contenuti dell’attività della Rete medesima. In data 10.11.2000, a seguito della riunione di Bordeaux, la Presidenza di turno francese dell’U.E., nell’intendimento di promuovere quanto prima il riconoscimento della Rete, ha frattanto depositato presso il Segretariato generale dell’Unione europea una proposta di “Decisione che istituisce una rete europea di formazione giudiziaria”. La proposta si connota per una sostanziale continuità rispetto alla Carta di Bordeaux, soprattutto per quanto attiene alle finalità ed agli obiettivi. In particolare, giusta la richiamata proposta, un significativo grado (peraltro suscettibile di miglioramenti) di indipendenza alla “Rete - U.E.” (denominazione che viene utilizzata per distinguere l’iniziativa dalla precedente, che viene chiamata “Rete-Bordeaux”) verrebbe assicurata: (a) riservandosi le relative decisioni fondamentali al Comitato direttivo (così ridenominandosi l’Assemblea della “Rete-Bordeaux”), composto principalmente dalle istituzioni responsabili della formazione giudiziaria a livello nazionale, oltre che da rappresentanti dell’U.E. e del Consiglio d’Europa (così assicurandosi il coordinamento con l’altra “Rete” ancora esistente nel settore, la c.d. “Rete” di Lisbona); (b) prevedendosi che le scelte in materia di programmi siano assunte sulla base di proposte di un Comitato Scientifico; (c) prevedendosi che al Segretariato della “Rete-U.E.”, le cui strutture verrebbero fornite dalla Commissione U.E., sia preposta una persona fisica designato dalla medesima Commissione, ma su proposta del Comitato direttivo formulata operando la scelta tra i magistrati dei Paesi membri; (d) rimettendosi all’autonomia delle istituzioni di formazione giudiziaria la definizione delle modalità organizzative e di voto, attraverso la redazione di un regolamento interno. Dall’esame della proposta francese emerge, peraltro, chiaramente la sussistenza del limite, strettamente connesso al riparto delle competenze istituzionali degli organi dell’U.E. entro i noti tre “pilastri”, 317 per cui - dovendo la proposta di decisione necessariamente indirizzarsi ad uno solo dei due settori di attività formativa dei magistrati, civile o penale - si è previsto (attraverso un blando riferimento nei “consideranda”) che per un primo periodo la “Rete-U.E.” restringerà la propria attività al solo settore della cooperazione penale. Con ogni probabilità, una proposta normativa del tutto analoga di riconoscimento della “Rete” potrà essere presentata in seguito, ma secondo le diverse procedure previste per la cooperazione in materia civile, sì assicurandosi un’operatività a tutto tondo della “Rete-U.E.” del tutto sovrapponibile a quella della Rete-Bordeaux”. Il prossimo stadio procedimentale è costituito dalla discussione della proposta francese in sede di comitato di coordinamento di alti funzionari ex art. 36 Trattato di Maastricht, incaricato di formulare un parere per il Consiglio dell’U.E. 4.D. Questioni aperte e prospettive. 4.D.1. Le strutture comunitarie e interne preposte alla formazione. L’apertura della formazione giudiziaria verso gli orizzonti internazionali e, più specificamente, europei è, dunque, e già da molti anni, una significativa realtà. Tale apertura, feconda di prospettive evolutive, pone peraltro non poche difficoltà sul piano istituzionale, sia interno che sopranazionale e internazionale. Volendo avviare la riflessione al livello dell’Unione Europea, non è dubbio che, avendo - come si è avuto modo di richiamare in precedenza - il trattato di Maastricht sull’Unione europea dal 1° novembre 1993 integrato nella costruzione europea la nuova dimensione della cooperazione in materia di giustizia ed affari interni (GAI), tale cooperazione - anche nell’ambito penale - sia stata recepita appieno nel quadro di attività dell’Unione, pur rimandendo di natura intergovernativa; nell’ambito civile, poi, la cooperazione stessa è inserita a pieno titolo tra le politiche comunitarie. Se, infatti, la cooperazione in materia di giustizia e affari interni, nel primo settore, non viene attuata come le politiche comunitarie, in quanto data la grande sensibilità delle questioni riguardanti l’ordine pubblico il Trattato ha conferito grandissima importanza agli Stati membri e agli organi dell’Unione europea in cui essi partecipano direttamente, limitandosi i poteri della Commissione europea, del Parlamento europeo e della Corte di giustizia, con l’entrata in vigore del 318 Trattato di Amsterdam, le materie civili, l’asilo e l’immigrazione sono state affidate alle istituzioni comunitarie (primo pilastro), mentre la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale è restata sostanzialmente intergovernativa (terzo pilastro); ma anche in tale ambito si è previsto che - dovendo l’Unione fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia - gli Stati membri si debbano consultare reciprocamente, in seno al Consiglio, per coordinare la loro azione, ed instaurare a tal fine una collaborazione tra i servizi competenti dello loro amministrazioni. Su tali presupposti, vi è da chiedersi quale collocazione trovi, nell’ambito delle politiche comunitarie, la formazione giudiziaria, in riferimento sia agli organi (ed alle procedure) che in ambito europeo siano da ritenersi deputati a trattarne, sia (e trattasi di profilo istituzionale, con implicazioni anche di diritto interno, cui si farà cenno in prosieguo) alle istituzioni nazionali che siano legittimate ad interloquire con le istituzioni comunitarie. Alla questione non può darsi, alla luce dell’attuale evoluzione del quadro normativo europeo, una risposta sicura. Quel che appare certo, infatti, è solo che il riparto di materie tra “primo” e “terzo” pilastro dell’Unione europea non è adeguato ad esprimere la sostanziale unitarietà della formazione giudiziaria, attività che in tutti i Paesi membri dell’U.E. si giova della fecondità insita almeno nell’interdisciplinarità delle iniziative formative, quando non della profonda connessione tra aspetti civilistici e aspetti penalistici dell’attività giudiziaria, connessione dalla quale la formazione non può prescindere. I limiti insiti nel predetto riparto sono di recente divenuti più evidenti allorché, ad esempio, nel 2000, come si è accennato, onde uniformare i programmi formativi al portato del Trattato di Amsterdam, il programma “Grotius”, nato proprio al dichiarato fine di favorire una formazione non compartimentalizzata, è stato suddiviso in due separati programmi con vocazione “penalistica” e “civilistica”; i medesimi limiti sono venuti in evidenza anche allorché la Presidenza di turno francese dell’U.E., nel proporre una “decisione” tendente al riconoscimento dell’attività della Rete Europea di Formazione Giudiziaria, ha dovuto avviare, come si è detto, la relativa procedura necessariamente in uno dei due binari di cooperazione previsti (quello del “terzo” pilastro), con la conseguenza che il riconoscimento dovrà ini- 319 zialmente riguardare la sola collaborazione formativa nel settore penale, salvo l’avvio di un’iniziativa parallela nel “primo” pilastro per la cooperazione formativa civile. E’ affidata, dunque, all’ulteriore affinamento del quadro normativo comunitario l’individuazione di sedi e procedure idonee a tener conto della complessità dell’attività di formazione giudiziaria che, se non può essere oggetto di compartimentalizzazioni verso l’esterno (ad es. verso le altre professioni, giuridiche e non, come si è accennato), neppure può tollerare compartimentalizzazioni interne all’attività medesima (tra cooperazione formativa civile e cooperazione formativa penale). I programmi europei di sovvenzione all’attività formativa degli operatori giudiziari, del resto, prevedono, per lo più, che la formazione non avvenga in maniera compartimentalizzata dal primo punto di vista (prevedendosi forme di cooperazione formativa - ad es. nel programma “Falcone europeo” - nei confronti di giudici, pubblici ministeri, servizi di polizia e servizi doganali, funzionari, servizi pubblici incaricati di questioni fiscali); deve auspicarsi quindi che anche dal secondo punto di vista si individuino idonee soluzioni interpretative o normative31. Non minori sono le problematiche che l’apertura internazionale dell’attività formativa, sub specie di cooperazione internazionale, e soprattutto europea, nel settore della formazione giudiziaria pone sul fronte dell’individuazione delle istituzioni nazionali che a tali attività cooperative debbano partecipare. Il principio indubitabile in argomento è che la partecipazione dell’Italia al processo di integrazione europea e agli obblighi che ne derivano deve coordinarsi con la propria struttura costituzionale fondamentale. Fermo restando che di fronte agli organi sovranazionali si applica, quanto all’eventuale inadempimento di obblighi, il principio di integrale e unitaria responsabilità dello Stato anche di fronte a violazioni determinate da attività positive o omissive dei soggetti dotati di autonomia costituzionale, sul piano dell’interlocuzione e della collabora31 Sul piano interpretativo, si potrebbe pensare che, stante l’inscindibilità della cooperazione penale da quella civile sul piano formativo, tutta la materia venga attratta al terzo pilastro “penalistico”, le cui procedure risultano maggiormente garantire gli interessi nazionali; in tal senso va registrato il dato per cui è stato il programma “Grotius penale” ad incorporare anche le attività formative che, per non essere ricondicibili all’uno o all’altro settore, siano da qualificarsi “generali”. L’evoluzione della “proposta di decisione” francese per il riconoscimento della Rete Europea di Formazione Giudiziaria consentirà, peraltro, di acquisire maggiore consapevolezza della problematica di cui al testo. 320 zione tra organi comunitari e organi nazionali vige la normale distribuzione delle competenze interne, salva la istituzionale funzione generale di rappresentanza del Ministero degli affari esteri con la connessa potestà di coordinamento dell’attività necessaria per l’esplicazione di una politica unitaria da parte di tutte le amministrazioni. Atteso che della struttura costituzionale del nostro Paese fanno parte, per quanto attiene al settore della giustizia, in relazione al riparto delle rispettive attribuzioni delineate dalla Costituzione (artt. 104 ss. e art. 110 Cost.), sia il Consiglio superiore della magistratura sia il Ministero della Giustizia, appare evidente che le rispettive vocazioni istituzionali debbano integrarsi in leale collaborazione32 anche sul piano comunitario; tanto più feconda e necessaria è una siffatta cooperazione alle luce della consolidata esperienza del Ministero nel settore internazionale (anche attraverso la costituzione, presso il Gabinetto del Ministro, di un Settore Coordinamento Affari Internazionali - SCAI), a fronte invece di un’attività consiliare internazionale limitata fino a recentemente ai soli rapporti istituzionali con omologhi organismi di autogoverno delle magistrature di altri Paesi, ed amplificatasi negli ultimi anni proprio in riferimento alla cooperazione nel settore della formazione, che rappresenta il comparto di competenza consiliare maggiormente proiettato verso il confronto con l’estero. Significative, in tale senso, oltre alle attività direttamente espletate dal C.S.M., sono le attività svolte su richiesta di organismi internazionali diversi dall’U.E. ovvero di istituzioni governative o non governative straniere. 4.D.2. Le strutture consiliari di fronte ai nuovi obiettivi europei. In relazione al crescente coinvolgimento consiliare sul piano della cooperazione internazionale in materia di formazione giudiziaria, ulteriore questione aperta è quella della verifica della rispondenza delle strutture consiliari, quali attualmente configurate, alle sfide poste dalle prevedibili evoluzioni, in termini di crescita delle attività e dei magistrati coinvolti, dell’attività in tale comparto. Le esperienze dei principali “partners” europei vanno nel senso della “dipartimentalizzazione” della cooperazione internazionale in 32 E’ istituita, con risultati lusinghieri, a tale scopo una Commissione paritetica per lo scambio di informazioni e la collaborazione circa le attività svolte a livello sopranazionale nei campi di rispettiva pertinenza. 321 tema di formazione giudiziaria: tale cooperazione, infatti, è indicata specificamente come obiettivo del “Judicial Studies Board” dell’Inghilterra e del Galles, e la materia è istituzionalmente trattata dai giudici facenti parte dei Comitati civile e penale del “Board”; una “Divisione affari internazionali” diretta da un magistrato è istituita presso la Fondazione di Studi Giudiziari (SSR) dei Paesi Bassi; una significativa attività internazionale, soprattutto nelle relazioni ibero-americane, è svolta dalla Scuola Giudiziaria della Spagna; ciò senza voler menzionare il Dipartimento per le relazioni internazionali dell’E.N.M. francese, diretto da un Vice-direttore della scuola coadiuvato da altri due magistrati, la cui attività sul piano internazionale trova sanzione nella L. n. 631 dell’11.7.1975 e nel decreto n. 310 del 2.4.1976 ed ha consentito dal 1960 ad oltre 3000 magistrati stranieri di usufruire di “stages” presso l’istituto. All’interno del Consiglio superiore della magistratura, le competenze attualmente ripartite tra la IX Commissione e la VI Commissione potrebbero formare oggetto di una ricomposizione nel senso dell’individuazione di un momento unitario di disamina delle attività di cooperazione internazionale. Una siffatta revisione potrebbe favorire un rapporto sinergico con i servizi del Ministero della Giustizia. Sul piano operativo, all’interno delle strutture di Segreteria, sempre più chiamate all’interlocuzione con “partners” internazionali ed ad un dialogo costante con essi anche attraverso l’utilizzo delle lingue straniere e dei nuovi mezzi di comunicazione elettronica, potrebbe essere analogamente istituita una struttura comune, formata da personale qualificato dal punto di vista linguistico e specificamente motivato sul piano relazionale, su cui il Consiglio possa fare particolare affidamento. 5. Una revisione dell’assetto del C.S.M. in riferimento alle predette esigenze poste dall’apertura internazionale dell’attività formativa potrebbe altresì costituire il volano per l’avvio dei programmi di formazione dei magistrati nelle lingue straniere, sia ad un livello di linguaggio base che di linguaggio giuridico, la cui attuazione, pur dovendosi realizzare prevalentemente in sede decentrata quanto al momento attuativo,33 necessita della predisposizione di un progetto formativo unitario - e verificabile nei risultati - secondo un “pacchetto” predisposto in sede centrale, alla cui elaborazione ed al cui “follow up” 33 Cfr. par. contenuti form decentrata (VERARDI), ove sono pure cenni all’esigenza che a sostenere i costi di una siffatta formazione intervengano i fruitori. 322 non può provvedersi da parte degli attuali organi della formazione consiliare, prevalentemente vocati agli aspetti giuridici della formazione. 6. Ulteriore, non trascurabile, effetto indotto della creazione di un “centro” visibile, all’interno del C.S.M., preposto alle attività di cooperazione internazionale potrebbe essere quello di rendere visibile il Consiglio quale interlocutore istituzionale, nei limiti delle attibuzioni istituzionali, per la collaborazione con le avvocature straniere, ed in particolare con quelle degli Stati membri dell’U.E. aventi titolo alla libertà di prestazione di servizi e che, conseguentemente, possono avere specifico interesse alla sottoposizione al Consiglio di esigenze connesse al libero esercizio del ministero defensionale. Analoghe esigenze di creazione di una “interfaccia” sussiste in riferimento alle importanti istituzioni di ricerca europee nel settore dell’attività giurisdizionale, con le quali vanno rafforzati i rapporti già esistenti di collaborazione: si pensi all’Accademia di Diritto Europeo (ERA) di Treviri, oppure all’Istituto Europeo di Pubblica Amministrazione (EIPA) di Maastricht-Lussemburgo. Non obliterandosi il dato di fatto giuridico (inserimento della cooperazione penale e di polizia giudiziaria nel terzo pilastro, anziché nel primo) ma anzi, tenendone conto (ed a maggior ragione, in quanto le già illustrate difficoltà di approccio culturale e nazionalistico alla cooperazione possono rischiare di enfatizzarne le conseguenze) si è ritenuto tuttavia, in sede di formazione, di scongiurare le prospettive di acquiescenza ai limiti che da esso possono derivarne, ponendo una maggiore attenzione verso le ricadute concrete delle iniziative di formazione. In proposito si è partiti infatti dalla considerazione che la speditezza, specificità e vincolatività che caratterizza la normazione nell’ambito della giustizia civile implichi certamente una marcia superiore rispetto al cammino di unificazione della giustizia penale, sia dal punto di vista quantitativo che – quel che più interessa - qualitativo, ma che ciò non possa consentire di adagiarsi nella prospettiva che, in campo penale, le iniziative di studio abbiano un impronta di carattere esclusivamente culturale, priva di immediato interesse nelle concrete applicazioni della cooperazione internazionale. Tale convinzione è stata maturata, nella preparazione ed anche nella concreta attuazione delle iniziative di formazione internazionale del C.S.M., alla luce della considerazione di specifiche circostanze: a) l’intensificarsi delle “Azioni comuni europee” in materia di cooperazione di polizia e giudiziaria penale (programmi e dichiarazioni 323 di principio del Consiglio dell’Unione Europea prive in astratto di vincolatività giuridica ma impegnanti politicamente gli Stati Membri al perseguimento di un comune obiettivo); b) la “competizione” fra gli Stati nell’attuazione delle dette “Azioni”; c) La rete di collegamenti – attraverso reciproco rinvio - che si viene creando tra Convenzioni vincolanti e mere dichiarazioni di principio; d) Il grado di libertà delle forme processuali che è ravvisabile in alcuni ordinamenti, ben più che nel nostro. In ordine ai primi due aspetti, va rilevato che, a seguito del Trattato di Amsterdam, sembra che la massima autonomia riconosciuta nel settore agli Stati, deprimendo l’attualità di gelosie a tutela della sovranità statuale, ed esaltando contemporaneamente la competizione fra gli stessi quanto al grado di affidabilità europeistica, stia operando nel senso che dichiarazioni di principio, accompagnate da cadenze ben precise di attuazione, operino a favore della stipula di convenzioni, liberamente assunte dagli Stati Membri, in tempi che non si discostano eccessivamente dal ravvicinamento che, nel settore civile, possa realizzarsi attraverso l’esercizio dei poteri di normazione diretta da parte dell’Unione. Esempio recente è proprio la concreta fase di attuazione in cui sono entrati alcuni degli importanti capisaldi delle citate Conclusioni di Tampere (vedasi il citato progetto EuroJust), nonché l’accelerazione che, rispetto al passato, è stata data negli ultimi tempi anche al processo di attuazione delle convenzioni anticorruzione dell’Unione Europea (Bruxelles, 26 maggio 1997; Parigi, 17 dicembre 1997) attraverso la legge 29 settembre 2000 n. 300. Da tali accelerazioni verso sempre più intensi ambiti di cooperazione anche nel settore penale, si è tratta la consapevolezza che le iniziative di studio e confronto, alla luce dei ritmi dell’evoluzione in corso, appaiono provviste, in massima misura rispetto al passato, di un’idoneità a sbocchi operativi che, coerentemente, ne hanno imposto l’accentuazione del taglio pragmatico, modulato su concrete esigenze; analogamente si è ritenuto, nella selezione dei relatori, di privilegiare coloro che apparivano portatori di concrete e, talvolta, innovative ed originali esperienze, rispetto ai portatori di impostazioni di carattere eminentemente teorico, il cui apporto comunque continua ad apparire assolutamente irrinunciabile. Non minore influenza, intesa anch’essa, di fatto, a ridurre l’ampiezza della forbice fra primo e terzo pilastro dell’Unione, presenta il 324 dato di fatto della tendenziale libertà di forme caratterizzante la giustizia in altri ordinamenti, pure sopra sottolineato. In virtù di tale caratteristica si è infatti verificato che determinate disposizioni derivanti da accordi internazionali – ad es. quelle riguardanti la videoconferenza giudiziaria (art. 10 della nuova Convenzione Europea di assistenza giudiziaria, stipulata dagli Stati U.E. il 29 maggio 2000) - benchè ancor prive di ratifica da parte dei Parlamenti nazionali, sono state già applicate in concrete esperienze giudiziarie della Francia e della Spagna, anche in sede di cooperazione internazionale, sulla base delle esperienze svolte, ma “de iure condito”, da altri Stati, fra cui l’Italia. Ciò ha fatto sì che proprio a tali esperienze siano stati destinati specifici e molteplici spunti di riflessione e confronto; in particolare, proprio il tema della videoconferenza internazionale è stato oggetto di due incontri di studio: nel corso del primo (“Workshop in videoconferenza nei processi di criminalità organizzata” programma parzialmente finanziato dall’U.E. nell’ambito del progetto “Falcone”, tenutosi il 28.11.2000) si è proceduto addirittura alla simulazione della raccolta della prova in rogatoria, attraverso una reale videoconferenza con la Francia e la Germania (Stati nei quali hanno collaborato le omologhe istituzioni competenti in materia di formazione dei magistrati); nel corso del secondo (“Acquisizione e valutazione della prova nei paesi dell’Unione Europea”, programma parzialmente finanziato dall’U.E. nell’ambito del progetto “Grotius”) il materiale filmato raccolto è stato esaminato e dibattuto con una platea composta da magistrati di sei Paesi dell’Unione (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Olanda ed Italia) . Venendo alle considerazioni circa la rete di collegamenti fra convenzioni vincolanti e dichiarazioni di principio, è agevole rilevare che anche le solenni dichiarazioni di principio, dichiaratamente non vincolanti per gli Stati, possono assurgere a livelli di autorevolezza, prossimi e comunque propedeutici alla vincolatività formale, attraverso il rinvio che esse stesse effettuano verso fonti vincolanti. Il caso più recente è stato proprio quello dell’art. 52 co. 3 della Carta dei diritti dell’Unione Europea, in base al quale, in caso di dubbio, la interpretazione di alcuna delle sue norme non potrà mai fornire, ai Diritti dell’Uomo, uno standard di garanzie inferiore a quelle tutelate dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Attraverso tale collegamento - che, si noti, si riferisce ad una fonte (la CEDU) la cui vincolatività internazionale non può essere discussa - è tutta la Carta che, sin dal suo sorgere, si presenta quantomeno 325 come autorevole canone interpretativo; si pongono così i presupposti perché le norme della “Carta”, non vincolanti per gli Stati - che l’hanno sottoscritta come mera dichiarazione di principio - possano, in prospettiva, giungere a riverberarsi sul diritto degli Stati membri, anche attraverso l’interazione con i principi costituzionali degli stessi. E’ per questo che, nell’ambito degli incontri di studio di taglio internazionalistico, l’opzione formativa si è orientata verso le questioni di costituzionalità nel procedimento penale, oltre che verso la giurisprudenza della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo in tema di giusto processo nei confronti degli Stati membri; ciò, appunto, anche al fine di verificare – nella prima concreta attuazione del taglio pragmatico di cui si è detto - se ed in che misura le une e l’altra possano agire quali canali giurisdizionali idonei a supportare, in linea sostanziale, i valori delle fonti collegate. E’ appena il caso di ricordare che la tematica ha coinvolto anche aspetti riguardanti le garanzie dell’imputato, rilevanti per il diritto interno di tutti gli Stati. E’ proprio venendo a quest’ultimo profilo che si è ritenuto di non poter lasciar cadere l’opportunità di una formazione europea del magistrato italiano addetto a funzioni penali, da cogliersi sul crinale comparativo. L’assenza di una potestà normativa sovraordinata nel campo penale può infatti far sì che i diritti di libertà dell’individuo, le garanzie dell’accusato, l’esigenza di tutela della collettività e delle persone offese, che sono al centro del processo penale, trovino una base comune, costituita da una reale, comune condivisione di valori, e soluzioni di equilibrio, non imposte in ambiti di legislazione sovranazionale, ma reperite e consolidate in una prassi fecondata dal confronto delle diverse culture ed esperienze maturate nei singoli Stati. L’obiettivo è stato quindi quello di un avvicinamento culturale che, in una prossima normativa (pattizia, alla luce del sistema attuale), potrebbe trovare conferme più formali che sostanziali. E’ per questo che si è ritenuto di attribuire particolare rilievo, negli incontri di studio del settore penale internazionalistici, oltre che in quelli di diritto interno, al contraddittorio nel processo penale, nella certezza che norme e prassi maturate negli Stati dell’Unione – e non solo nei paesi di Common Law - possano fornire validi punti di riferimento in relazione a questioni interpretative ed applicative di non poco momento; fra esse, ad esempio, anche quelle riguardanti la normativa di attuazione recentemente approvata con riferimento all’art. 111 Cost. (ad es., spazio del diritto al silenzio a fronte del “privilege against self incrimination”- art. 197 bis co. 4; condizioni di acquisi- 326 zione delle dichiarazioni raccolte senza contraddittorio, in relazione alla comprovata subornazione della fonte). Particolarmente interessante finisce, in particolare, per essere la verifica della fondatezza o meno, in ambiti diversi da quello italiano, delle tesi per cui il processo comporti la salvaguardia delle sole finalità di garanzia del processo e non anche quelle di accertamento della verità. Allo scopo, la strutturazione degli incontri di studio si è andata man mano evolvendo. Emblematici in proposito sono quattro incontri di studio, di seguito elencati, svoltisi fra il 1999 ed il 2001, nel corso dei quali la tesaurizzazione delle esperienze man mano acquisite, sia da parte della struttura di formazione, sia da parte dei magistrati partecipanti, ha consentito di abbandonare le prospettive iniziali di mera alfabetizzazione, per giungere all’approfondimento e confronto di specifiche esperienze, attraverso anche il sussidio di mezzi audiovisivi e l’espletamento di seminari in relazione all’analisi di casi concreti, da parte di gruppi di studio, ciascuno dei quali composto da esponenti di sei Stati europei (ciò nel quarto degli incontri che si vanno a richiamare): a) “Strategie di contrasto alla criminalità organizzata: modelli organizzativi e prospettive di integrazione in ambito europeo” (Frascati, 1820 ottobre 1999); b) “Formazione globale per i magistrati addetti alle nuove forme di cooperazione giudiziaria in materia penale” (Frascati, 25 - 27 novembre 1999); c) “ Le nuove forme delle attività di contrasto transfrontaliero del traffico internazionale di stupefacenti (Frascati, 22-24 maggio 2000)”. d) “ Workshop in video-conferenza nei processi di criminalità organizzata” (Rebibbia, 28.5.2000); e)“ Acquisizione e valutazione della prova nei paesi dell’Unione Europea” (Roma, 22-24 marzo 2001). La risposta formativa alle esigenze di cooperazione internazionale, altamente specializzate, in particolare nel campo del contrasto della criminalità organizzata ha così consentito il raggiungimento progressivo di vari obiettivi. In particolare, con il primo degli incontri citati si è approfondito “de iure condito” lo stato del contrasto sanzionatorio delle fattispecie di tipo associativo nonché gli istituti di contrasto, con particolare riferimento al coordinamento delle indagini; con il secondo, si sono conseguiti obiettivi di carattere più generale, essendosi spaziato dall’analisi degli aspetti sociali e criminologici della criminalità transnazionale allo studio di strutture ed esperienze di or- 327 ganismi concretamente operanti contro il crimine internazionale (l’OLAF), fino alle esperienze dei magistrati di collegamento e dei punti di contatto nell’ambito della Rete giudiziaria europea. Con il terzo incontro sono state affrontate tematiche di più specifica portata operativa, nell’ambito del contrasto sovranazionale del traffico di stupefacenti (di particolare interesse le tematiche dell’inseguimento, fermo ed arresto transfrontaliero, in adempimento dell’Accordo di Schengen, il coordinamento informativo posto in atto dall’unità antidroga di Europol ed il sistema europeo di cattura latitanti denominato “S.i.r.e.n.e.”). L’incontro ha, così, costituito adempimento alla recente raccomandazione della U.E. del 6.10.1998, che sancisce (cfr. §15) l’essenzialità della formazione professionale nel contrasto del fenomeno, esigendo che “ogni nuovo metodo di lotta alla droga debba essere sviluppato da una buona formazione scientifica ed essere oggetto di una valutazione scientifica”. L’attenzione è stata quindi attentamente portata sulle legislazioni interne e le prassi internazionali che in linea concreta attuano, in adempimento delle specifiche direttive di Tampere, le seguenti disposizioni della Nuova convenzione Europea di assistenza giudiziaria: artt. 12 (consegne sorvegliate in ambiti internazionali), 13 (squadre investigative comuni), 14 (operazioni di infiltrazione). Il quarto incontro ha poi, come già evidenziato, consentito di sperimentare, persino anticipatamente rispetto alla ratifica della Convenzione Europea di Assistenza giudiziaria sottoscritta il 29.5.2001, l’istituto della video-conferenza internazionale per la raccolta della prova in rogatoria. L’incontro ha consentito di riesaminare le precedenti esperienze formative alla luce della delicata tematica della formazione della prova nei Paesi dell’Unione Europea. 328 STRUTTURE E ORGANIZZAZIONE NELLA PROSPETTIVA DI UN ASSETTO STABILE DELLA FORMAZIONE 5.A. Le risorse e la loro utilizzazione. E’ già stato ampiamente illustrato, lungo il corso dell’analisi che si avvia a conclusione, come l’attività della IX Commissione in materia di formazione dei magistrati si articoli in un’ampia serie di interventi, che impegnano com’è ovvio risorse variabili, e che giova nuovamente schematizzare proprio nell’approccio al tema delle risorse: – Incontri e seminari di studio in sede centrale – tirocinio degli uditori giudiziari – progettazione e realizzazione della formazione in sede decentrata – formazione e aggiornamento professionale in ambito europeo e internazionale – progettazione e realizzazione di forme di integrazione tra formazione, aggiornamento professionale e nuove tecnologie applicate al lavoro giudiziario – rapporti con il comitato scientifico – realizzazione e distribuzione e pubblicazione di atti e materiali degli incontri di studio L’attività della Commissione su questi terreni si è ampliata notevolmente e costantemente dopo la costituzione della Commissione stessa, e da ultimo confermano questa linea di tendenza le delibere consiliari del 23 giugno 1999 e del 22 luglio 1999, relative alla programmazione dell’attività del 2000, nonché la delibera del 25 luglio 2000, riguardante la programmazione del 2001. Sullo stesso terreno appare indispensabile almeno una menzione della delibera del 26 novembre 1998, con la quale sono state approvate le linee maestre della formazione decentrata, ulteriormente definite con il bando di selezione dei formatori in sede distrettuale (delibera del 28 luglio 1999). Appare chiaro come l’attività di formazione sia stata identificata dal Consiglio quale settore primario dell’impegno e della funzione di autogoverno, e del resto alla valutazione istituzionale corrisponde, con immediata chiarezza, il dato concernente le risorse finanziarie impegnate, in assoluto e nella loro incidenza percentuale, per l’attività in questione. Qualche dato concernente l’esercizio del 2000 può essere utilmente illustrato, sia quanto alle previsioni di bilancio che a livello di 331 effettiva utilizzazione delle risorse, per individuare alcune delle tendenze e dei nodi che segnano lo sviluppo della formazione in questa fase. La somma stanziata per la formazione ammontava a lire 14.424.243.706, e corrispondeva al 26.02% delle risorse complessive di bilancio (a fronte di una previsione iniziale che prospettava addirittura la destinazione in discorso per il 30.7% dello stanziamento complessivo). Nel corso dell’anno di pertinenza, come già si è accennato, sono stati organizzati e tenuti 47 incontri di studio destinati all’aggiornamento professionale, 18 iniziative a livello distrettuale con riferimento al diritto comunitario, 8 corsi di informatica giuridica presso il C.E.D. della Corte Suprema di Cassazione. Complessivamente sono stati coinvolti nelle iniziative 3981 magistrati con funzioni e 1126 uditori senza funzioni (con riguardo ai corsi loro riservati), con l’aggiunta di 538 partecipazioni individuali ai corsi appena citati presso il C.E.D. di Roma. Ebbene, a livello di consuntivo, si constata che per le imponenti realizzazioni appena citate sono state effettivamente spese lire 7.287.659.478. Le ragioni dell’omessa utilizzazione di circa la metà delle risorse finanziarie disponibili possono essere sinteticamente illustrate con riferimento al ritardo nella realizzazione delle iniziative correlate alla formazione decentrata, ad un ridotto numero di incontri per gli uditori giudiziari, all’incompleta realizzazione della formazione a livello internazionale, al ridotto impegno per la formazione della magistratura onoraria, alla mancata duplicazione di alcuni incontri di studio, ed alla contenuta pubblicazione degli atti degli incontri stessi, praticamente assente per il settore penale e non particolarmente significativa per il settore civile. Il dato comporta una riflessione di segno generale sulla possibilità di apportare interventi correttivi circa le modalità di organizzazione dell’attività, in modo tale che gli obiettivi sottesi alle previsioni di bilancio possano trovare poi realizzazione. Non è in discussione la rilevanza in assoluto dello sforzo compiuto dal C.S.M., sia sotto il profilo qualitativo che sotto quello quantitativo per l’attività di formazione dei magistrati. Non sembra d’altra parte (si pensi solo al numero delle richieste di partecipazione rimaste insoddisfatte, od al “mercato” che le relazioni redatte per conto del Consiglio trovano sulle riviste giuridiche di ogni livello) che il mancato impegno di tutte le risorse finanziarie possa essere ricondotto ad una saturazione della capacità di risposta dei destinatari della formazione, sia per quanto riguarda il settore scientifico che per quello amministrativo. Occorre piuttosto prendere atto come tra i fattori di resistenza al conseguimento di tutti gli obiettivi preventivati nel 2000 non sia stata la carente disponibilità delle risorse finanziarie. E 332 dunque, anche sulla base degli elementi in esame, l’attenzione deve orientarsi sulle modalità di impiego delle risorse umane disponibili e sui criteri organizzativi prescelti, rispetto agli obiettivi prefissati, per verificare la possibilità di modulare diversamente l’impiego della struttura di supporto utilizzabile, in tutto le sue potenzialità, per migliorare i risultati raggiunti. Ora, per restare allo specifico terreno delle risorse finanziarie e della loro destinazione, le conseguenze della riflessione avviata ed i segni del cambiamento già traspaiono dal lavoro compiuto sulle previsioni di bilancio per l’anno 2001, per il quale il Consiglio ha modulato diversamente gli interventi di spesa rispetto agli obiettivi prefissati, con attenzione particolare (anche se non esclusiva) al potenziale sviluppo delle iniziative in sede decentrata. Ciò ha comportato la necessità di riequilibrare il rapporto tra iniziative centrali e corsi decentrati, anche per ridurre i costi generali, pur nella prospettiva di un ampliamento del potenziale bacino d’utenza dei magistrati. Dall’esame della previsione di bilancio per l’anno 2001 la spesa per l’attività di formazione è risultata comunque essere pari a lire 16.829.183.640 lire, importo che copre circa il 34% dell’intero bilancio del Consiglio. Va sottolineato per altro che in questa previsione sono state comprese anche le spese per l’attività di formazione proposta dalla VI Commissione con riguardo all’attività internazionale, dalla VII Commissione per quanto concerne i profili organizzativi degli uffici, e dalla VIII Commissione con riferimento al tirocinio dei giudici di pace. Per quanto attiene a quest’ultima voce, nel corso della discussione in Assemblea plenaria, è stato proposto e approvato un emendamento che ha comportato lo stanziamento, per le necessità formative della VIII Commissione, di lire ottocentomilioni. Nello stesso tempo è stato ridotto lo stanziamento a favore della IX Commissione, sempre ai fini della attività di formazione, per un importo pari a lire quattrocentoquarantamilioni. Particolare attenzione è stata riservata all’analisi delle disfunzioni rilevate, con riguardo all’attività del 2000, in ragione della mancata partecipazione agli incontri di studio da parte di magistrati che avevano presentato inizialmente la relativa domanda. La nuova convenzione stipulata con la struttura alberghiera di Villa Carpegna consentirà di realizzare significativi risparmi proprio con riguardo alle tardive disdette di partecipazione agli incontri. La necessità di ottimizzare le risorse ha consigliato infatti di configurare, per i partecipanti ai corsi dell’anno 2001, l’obbligo di confermare la propria partecipazione, in tempi tali da evitare inutili prenotazioni alberghiere. Per l’anno 2001, con riferimento alla realizzazione dei cinquanta 333 corsi in sede centrale, è stata prevista una spesa complessiva di lire 6.749.734.600, mentre per i sei corsi centrali nell’ambito del tirocinio degli uditori è stato previsto un costo totale stimato pari a lire 677.478.000. Per i corsi in sede decentrata è stata prevista una spesa complessiva di lire 2.404.006.000. L’ampliamento dell’offerta formativa, con i costi relativi, deve essere valutato anche con riferimento ai Corsi aggiuntivi realizzati in collaborazione con le Autorità amministrative indipendenti, tra cui la Consob, la Banca d’Italia, l’ISVAP, l’Agenzia per la Sicurezza del Volo, che hanno avuto positivo riscontro tra i colleghi. Nella discussione svoltasi in Assemblea plenaria il 13 dicembre 2000, sul progetto di bilancio relativo all’esercizio finanziario 2001, è emerso come per la redazione del progetto stesso siano stati considerati tutti i dati nuovi che avrebbero potuto incidere sui fattori a suo tempo apprezzati per l’anno precedente. Ad esempio, la necessità di rendere operativa l’attività di formazione decentrata ha comportato la previsione della assegnazione di un fondo spese, proporzionale al numero dei referenti locali, in modo da consentire a tutti i distretti di adottare le iniziative connesse alla realizzazione della formazione decentrata. Questo fondo infatti garantirà la predisposizione delle strutture minime indispensabili per consentire ai formatori locali l’inizio delle attività previste dalla risoluzione sul decentramento dell’attività formativa. Altri investimenti, a volte modesti, sono il sintomo di un impegno del Consiglio nella individuazione di moduli organizzativi che consentano il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel settore della formazione attraverso una gestione razionale e consapevole delle risorse. Sotto questo profilo può essere sottolineata ad esempio la realizzazione di un archivio on line per il materiale di studio e per le relazioni tenute nei vari incontri, con un impegno di spesa pari a lire 14.515.000. In merito ai materiali di studio predisposti in relazione alle tematiche affrontate nei diversi corsi, si può rilevare come il passaggio da un sistema cartaceo ad un sistema che si avvale di cd-rom ha contribuito ad un significativo risparmio delle risorse finanziarie. Naturalmente affinchè tale risparmio economico non venga ad incidere in modo sfavorevole sulla ricaduta formativa degli incontri, cui contribuisce anche il materiale di studio predisposto dal Consiglio, è opportuno promuovere una progettualità che tenda a far sì che la documentazione su cd-rom possa essere messa a disposizione dei partecipanti prima dell’inizio dei corsi, in modo da poter essere adeguatamente consultata, anche al fine di estrasse copia dei documenti più si- 334 gnificativi che ciascun partecipante riterrà utile avere a disposizione durante l’incontro di studio. Ulteriori risorse, pari a lire 45.000.000, sono state impegnate anche per realizzare un archivio informatico dei relatori al fine di dotare il Comitato scientifico di uno strumento di lavoro agile e completo, che consenta di cogliere i dati essenziali, sia con riferimento a chi ha già svolto questa attività sia con riferimento a chi intenda svolgerla. Ancora. Si è già più volte accennato come anche a livello internazionale sia prevedibile un’espansione e un’intensificazione dell’attività di formazione del C.S.M., in particolare sotto due aspetti: a) l’avvio della rete europea di formazione giudiziaria, propedeutica al buon funzionamento dello spazio giuridico europeo; b) la partecipazione ai progetti finanziati dall’U.E. e ad attività di scambi reciproci in materia di formazione. Ciò ha comportato anche il potenziamento e la riqualificazione della struttura amministrativa. In particolare rileva qui la circostanza, riconducibile proprio all’impegno nel campo della formazione internazionale, che il Consiglio abbia investito risorse, pari a lire ventimilioni, per fornire il personale della struttura delle necessarie competenze in campo linguistico. 5.B. I nodi organizzativi e progettuali della formazione. Le pagine che precedono dovrebbero documentare, fuori da ogni logica celebrativa, come – dopo la mancata realizzazione di una Scuola della magistratura nel 1994 – si sia comunque registrata una forte affermazione del ruolo dell’autogoverno nel settore della formazione. Pur senza il supporto di stabili strutture organizzative, l’offerta di formazione permanente anche in Italia si è attestata, sul piano quantitativo, su una percentuale di circa il 50% dei magistrati in servizio (è il dato delle partecipazioni effettive per il 1999), raggiungendo il livello delle più prestigiose istituzioni europee di formazione. Oltre che ad un aumento quantitativo, l’attività di formazione è stata caratterizzata da un miglioramento qualitativo dei corsi, come emerge dalla lettura delle schede di valutazione; questo anche a seguito di una diversificazione delle metodologie didattiche, rappresentate ormai – oltre che dalle tradizionali relazioni – da lavori di gruppo, dibattito guidato, studio di casi specifici, simulazioni, laboratori di autoformazione. La qualità dell’offerta formativa ha avuto anche positivi riscontri da 335 gran parte dei rappresentanti del mondo accademico, che nella maggior parte dei casi hanno peraltro manifestato una larga disponibilità a fornire una fattiva collaborazione attraverso qualificati contributi didattici, valorizzando i contenuti e la qualità complessiva dei programmi presentati. L’apertura all’esterno ha avuto il suo momento qualificante nella possibilità prevista per una quota di avvocati di partecipare ad alcuni dei corsi di formazione, che hanno manifestato un notevole apprezzamento per la qualità dell’offerta formativa presentata. A ciò deve aggiungersi la collaborazione internazionale che il C.S.M. ha instaurato con gli altri centri di formazione stranieri, aderendo anche al progetto volto alla creazione di una rete per le scuole di formazione di magistrati operanti in uno spazio giuridico e giudiziario europeo. Il numero crescente delle domande di partecipazione alle iniziative di formazione, e i dati rilevati dai coordinatori del Comitato scientifico presenti ai corsi, confermano che il corpo sociale dei magistrati italiani apprezza l’attività svolta dal Consiglio sul terreno della formazione. Tuttavia sono ancora presenti ampi margini operativi per migliorare i livelli raggiunti. Ciò richiede innanzitutto una rilevazione più scientifica dei risultati, anche per operare in modo consapevole le scelte di nuovi metodi e nuovi contenuti formativi. Attualmente il Comitato scientifico ha raccolto una serie di dati estrapolati dalle schede di valutazione la cui compilazione viene richiesta ai partecipanti ai corsi, schede che potranno fornire utili indicazioni sulle scelte da compiere. La relativa analisi può costituire infatti il necessario momento di passaggio per un consuntivo rispetto al passato e per una solida piattaforma di partenza per il futuro. Ciò che appare chiaro è che gli strumenti di valutazione devono essere articolati in modo complesso, anche perché la riuscita di un corso dipende da più fattori, che vanno dall’equilibrio tra autoselezione dei partecipanti e dosaggio delle ammissioni per provenienze territoriali e funzionali, fino alla tensione tra l’aspettativa di strumenti ad immediata efficacia operativa e l’offerta voluta per riflessioni dal più ampio respiro sistematico su determinati argomenti. Dunque il livello dell’apprezzamento espresso dai destinatari dell’offerta formativa, pur costituendo strumento essenziale, non è chiave del tutto risolutiva per valutare i risultati dell’offerta stessa. La scheda finale di una ragionata riflessione del coordinatore, specie se e nella misura in cui tale strumento di valutazione diverrà generalizzato, potrà dare utili elementi per ricostruire l’andamento del corso, la vitalità del dibattito, l’efficacia dei relatori. Ma sarà importante anche mantenere l’apertura di una 336 o più finestre verso l’esterno, utilizzando un collegamento comparativo con altre scuole di formazione o attraverso la partecipazione mirata di esterni alla iniziative consiliari, come è avvenuto anche attraverso la realizazione del programma Grotius, finanziato con fondi dell’Unione Europea. La struttura della formazione – articolata nel suo collegamento funzionale tra Plenum, IX Commissione e Comitato scientifico – ha sicuramente dato prova di saper cogliere con prontezza le esigenze ed i segnali di cambiamento, come è avvenuto con il progetto della formazione decentrata o per la rimodulazione delle offerte formative in favore degli uditori, anche perché è comunque ben manifesta l’esigenza da parte dei magistrati italiani di una formazione autogovernata e non eterodiretta, professionale e non occasionale. Vi sono tuttavia difficoltà operative da superare, e svolte da compiere, in merito alle quali rilevano certo carenze nelle risorse disponibili (specie, come si è anticipato, dal punto di vista umano ed amministrativo), ma rileva anche la perdurante immanenza di nodi politici e organizzativi che attendono soluzione. In particolare occorre individuare quale sia la soluzione più idonea per standardizzare un tipo di offerta formativa qualificata sotto il profilo professionale (con la capacità di riutilizzare il materiale didattico, di valorizzare le capacità formative oltre che scientifiche, ecc.), a fronte di una struttura che per buona parte presenta carattere avventizio, che non ha una stabile direzione organizzativa, che risente del carattere transitorio e limitato nel tempo dell’incarico per componenti del Comitato scientifico, che non si giova si un vero e proprio corpo docente (ed anzi, per scelta politica ed istituzionale del Consiglio, attua il principio della rotazione per i relatori prescelti). Certo, alcune soluzioni evolutive sono concepibili all’interno del quadro attuale, e sono in parte già discusse o parzialmente avviate. Ad esempio gli effetti della transitorietà degli incarichi, che rappresenta la chiave fino ad oggi utilizzata per assicurare la pluralità degli apporti al lavoro di formazione ed un accettabile collegamento tra i problemi effettivi degli uffici giudiziari e la conduzione dell’attività formativa, sono in parte temperati dal collegamento funzionale rappresentato dai due magistrati dell’Ufficio studi inseriti nel Comitato scientifico, ed un coinvolgimento maggiore dell’Ufficio stesso, per numero dei suoi componenti e/o per qualità dei suoi interventi (a titolo di esempio, in materia di pubblicazioni) potrebbe garantire una qualche maggiore continuità progettuale della struttura. Si avverte forte l’opportunità di elaborare consolidate strategie di lungo periodo in materia di formazione, anche per tenta- 337 re di sciogliere quei nodi, ordinamentali e organizzativi, che in qualche modo limitano l’incisività delle iniziative della formazione. Ma sembra evidente come soluzioni interne al modello attuale, per quanto migliorative, non possano far luogo della decisione strategica sugli strumenti di garanzia della formazione continua per i magistrati italiani. In verità nessuno, in tempi recenti, ha posto in discussione che la formazione sia prerogativa del C.S.M., perché strettamente collegata a tutte le attività che l’art. 105 della Costituzione riserva all’organo di autogoverno. Anche il progetto elaborato dalla Commissione Bicamerale aveva riservato in modo espresso al Consiglio, anzi ai due Consigli, l’attività di aggiornamento professionale dei magistrati. Ed è stato già sottolineato come nella fase di partenza l’articolazione di una struttura tecnica al fianco di quella consiliare sia risultata particolarmente felice perché ha assicurato l’utile scansione e la relativa separatezza tra la fase “politica” dell’impostazione dell’attività formativa e le concrete scelte attuative. Ma i limiti di crescita che l’esperienza sta palesando, i quali hanno anche determinato valutazioni perplesse all’interno del Consiglio (costi della formazione in assoluto, paventato pericolo che la formazione costruisca un mezzo di omologazione della magistratura), suggeriscono in modo netto l’idea che la stabilizzazione della formazione possa passare esclusivamente attraverso la creazione della Scuola della magistratura cui ha fatto riferimento anche il Presidente della Repubblica Ciampi nel suo primo intervento sulla Giustizia dopo l’investitura. Peraltro è ormai più di un decennio che la consapevolezza di una formazione professionale di altissimo livello per gli appartenenti all’ordine giudiziario sollecita l’istituzione di una Scuola della Magistratura, o Accademia o Centro Superiore di Studi giuridici. La necessità della costituzione di una Scuola è presente nei lavori parlamentari che portarono all’approvazione della l. 12 aprile 1990, n. 74, recante Modifica alle norme sul sistema elettorale e sul funzionamento del C.S.M., e nei lavori della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali (seduta del 2 dicembre 1992). Nella XI legislatura fu presentata, in data 10 marzo 1993, una proposta di legge avente ad oggetto la “Istituzione del Centro studi giudiziari e forensi e norme per la formazione dei magistrati ordinari e dei procuratori legali (atto Camera n. 2374). Successivamente alla Camera dei deputati è stata presentata, in data 24 maggio 1996, la proposta di legge n. 1208 e in data 17 ottobre 1996 la proposta di legge n. 2500, le quali riproducono la proposta n. 2018 della XII legislatura, che aveva come oggetto sempre l’istituzione di una Scuola della magistratura. Da ultimo con il disegno di legge n. 3079/S, in data 338 19 febbraio 1998 è stata riproposta l’“Istituzione di un centro superiore di studi giuridici per la formazione professionale denominato Scuola nazionale della Magistratura e norme in materia di tirocinio”. Problema centrale di una struttura come quella ipotizzata nei vari disegni di legge è però la sua corretta collocazione nel quadro costituzionale esistente. Una considerazione preliminare non può esimersi dal constatare che l’“ordinamento vivente” ha da tempo riconosciuto al C.S.M. una competenza integrativa in materia di formazione professionale, cosicchè appare legittima la collocazione nell’orbita del C.S.M. anche della struttura che provveda alla formazione iniziale, permanente e complementare dei magistrati italiani. D’altra parte anche il progetto di riforma costituzionale, elaborato dalla Commissione istituita dalla legge costituzionale 24 gennaio 1997, n. 1 aveva riconosciuto da ultimo che al C.S.M. (v.art. 12) spettano le “funzioni amministrative riguardanti l’aggiornamento professionale”. Sembra pertanto che una corretta collocazione istituzionale della struttura Scuola debba essere necessariamente raccordata con il C.S.M.; al contempo, nel momento della sua istituzione dovrebbero essere previste le competenze e le attribuzioni del Ministro per ciò che concere l’aspetto organizzativo di un settore che può essere correttamente collocato nell’ambito di un “servizio relativo alla giustizia”. Il ruolo del Consiglio Superiore nell’attività di formazione appare dunque inevitabilmente centrale in questo quadro, Del resto, e proprio per le ragioni anche da ultimo richiamate, il ruolo del Consiglio Superiore è inevitabilmente centrale anche in questa prospettiva. Meglio ancora, resta centrale il circuito virtuoso che lo stesso Consiglio ha avviato e che passa anche attraverso i Consigli giudiziari, gli uffici, i gruppi di lavoro, i singoli magistrati affidatari. Quali possano essere poi le caratteristiche di una Scuola riconducibile al circuito del’autogoverno è questione a sua volta condizionata, per l’evidente relazione tra forma e finalità di ogni struttura, dallo scioglimento definitivo di altri nodi culturali, a partire dalla considerazione unanime ed accettata della formazione come funzione indispensabile di garanzia della giurisdizione e della sua indipendenza. Da più parti si pone correttamente un problema di valutazione dei risultati dell’azione formativa, anche perché ad esso è direttamente collegato il problema della gestione delle risorse da destinare all’attività medesima. Ebbene, la misurazione dell’attività formativa e dei suoi effetti appare oggettivamente difficoltosa, proprio perché essa è finalizzata all’aumento della professionalità e dell’indipendenza del magistrato: per un verso, quindi, a fattori di ben complessa e delicata valu- 339 tazione, e per l’altro con diretta connessione al tema della valutazione della professionalità. E’ un tema che si prospetta impegnativo, anche perché la sua discussione coivolgerà necessariamente l’aspetto delle garanzie proprie della funzione giurisdizionale. Si tratterà insomma di esplorare gli spazi costituzionalmente consentiti per giungere ad una lettura dei concetti di indipendenza e di soggezione del magistrato alla legge che non crei, di fatto, contrapposizioni suggestive tra i valori della formazione e quello dell’adeguatezza professionale. Può accettarsi come dato di fatto condiviso all’interno del Consiglio, pur nella diversità degli approcci culturali presenti nell’organo di autogoverno, che la natura della attività giurisdizionale come potere diffuso, riconducibile all’esercizio di ogni singolo magistrato, dovrebbe determinare un impegno collettivo in sede di formazione. In questo modo, infatti, potranno essere affinati gli strumenti di conoscenze individuali, che possono costituire poi una certezza per il cittadino, il quale ha diritto ad interloquire non con il giudice più bravo, ma con un giudice all’altezza del compito affidatogli. Si vede bene, a questo punto, un altro dei nodi che ancora ritardano in qualche modo l’azione del C.S.M. nel campo della formazione, e cioè se possa essere riconosciuto una sorta di diritto di resistenza culturale alla formazione, ovvero se attività formative di carattere non individuale debbano in qualche modo essere rese obbligatorie, con l’inserimento magari di momenti valutativi all’interno dei corsi di formazione. Fermo restando che attualmente il Consiglio ha optato per una soluzione negativa rispetto a quest’ultima ipotesi, in quanto la stessa farebbe assumere alla attività di formazione l’improprio significato di un esame, al contempo però è iniziata una riflessione sulla necessità della frequenza di corsi specifici per chi aspira a funzioni direttive o semidirettive, per chi nel corso della sua vita professionale abbia palesato carenze professionali che in qualche modo debbano essere sanate, per chi intenda passare dall’esercizio di funzioni giurisdizionali civili a quelle penali, dall’esercizio di funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa (v. per una conferma i programmi dei corsi di formazione per gli anni 2000 e 2001 e le delibere del 23 giugno 1999 e del luglio 2000). Un terreno particolarmente significativo per il dibattito su questi temi è rappresentato, e sarà certamente rappresentato nel prossimo futuro, dall’eventualità di istituire un rapporto tra partecipazione ad attività formative e attribuzione delle qualifiche superiori, o nel momento del conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi. Ad esempio, emerge obiettivamente dai dati in possesso del C.S.M. che la situazione di alcuni uffici giudiziari è caratterizzata da situazioni di 340 inefficienza connesse a scelte organizzative inadeguate, dovute anche ad oggettiva impreparazione sul piano specifico, a prescindere dalla bontà dell’impegno comunque profuso, dei componenti della categoria dirigenziale. Non è sufficiente individuare nella loro specificità tali situazioni, ma occorre confrontarsi, in tema di formazione, con la possibilità di offrire strumenti che consentano poi di misurare l’impatto delle scelte organizzative e formative sulla efficienza degli uffici giudiziari e di valutare, anche sulla base di questi parametri, la qualità di tali attività e la professionalità dei soggetti che ne sono responsabili. In questa linea di ragionamento è maturata l’idea del corso previsto per la autoformazione dei dirigenti, nell’anno 2001. L’obiettivo è quello di elaborare e trasmettere una cultura organizzativa e gestionale, coinvolgendo i dirigenti in prima persona in un’azione formativa, in modo da suscitare atteggiamenti attivi, in modo da superare quegli aspetti residuali della concezione burocratica della figura del dirigente. Per tale obiettivo è congruo il progetto di un “laboratorio di formazione”, dove si prospetti l’urgenza di trasmettere ad altri le proprie competenze, si diano informazioni sollecitandone una ricezione critica, venga stimolata una riflessione sul proprio ruolo. In questo caso la formazione mira infatti a qualificare i capi degli uffici come appartenenti ad una organizzazione che deve produrre decisioni indipendenti ed autonome e non come, o soltanto, vertici di una sequenza gerarchica. L’iniziativa vede una gestazione faticosa, ma è certamente significativa di una linea di tendenza. E converrà specificare, per inciso, che il Consiglio ha comunque adottato iniziative idonee a fornire anche un tempestivo aggiornamento di competenze sulle riforme entrate in vigore, facilitando il confronto tra i dirigenti dei vari uffici giudiziari e quindi favorendo un’osmosi di esperienze, dubbi, interpretazioni ed approfondimenti, che hanno consentito, nei casi in cui sono state realizzate, di diseggnare un quadro sufficientemente chiaro dello stato di attuazione della riforma del giudice unico nei vari uffici giudiziari d’Italia (e di offrire poi, all’esito, una circolare esplicativa sulle questioni maggiormente controverse concernenti le risposte più idonee da adottare rispetto all’organizzazione degli uffici: si veda la risoluzione del 20 aprile 2000 sulle problematiche applicative della circolare sulle tabelle del biennio 2000/2001, con le risposte ai quesiti posti dagli uffici giudiziari nel corso dell’incontro con i dirigenti tenuto in Roma il 29/30 gennaio 2000). E’ emersa ormai la consapevolezza che agire sulla formazione dei dirigenti degli uffici significa superare il mito dell’onniscienza e dell’onnicompetenza del magistrato. Per avere la capacità di combinare 341 nel modo migliore le risorse disponibili, valorizzare le attitudini, scegliere le priorità dell’interevento, appare necessario agire dunque sulla qualità della formazione, creare specializzazioni, avere la capacità di modulare uffici con strutture diverse rispetto ai sevizi che vengono richiesti, in modo tale che possano essere colte in modo fruttuoso le occasioni fornite anche dalle recenti riforme per ripensare e rifondare il funzionamento degli uffici giudiziari alla luce di nuovi criteri di funzionalità. Se la crescita di funzionalità del servizio giustizia non si esaurisce sul piano della quantità (più magistrati, più investimenti, più personale che pure servono), allora nessun aumento di organico, né di personale amministrativo né di magistrati, potrà portare frutti seri e duraturi se verrà calato in una realtà organizzativa inadeguata e inefficiente. Affrontare il problema della corretta distribuzione delle risorse sul territorio, della qualità delle stesse e di un programma organizzativo in cui inserirle, significa esaminare con consapevolezza la questione organizzativa senza peraltro cedere ad un efficientismo senza valori. La prospettiva della ragionevole durata del processo, introdotta con la riforma dell’art. 111 della Costituzione, se amministrata con intelligenza può rompere la tradizionale contrapposizione tra garanzia ed efficienza proprio perchè tempo ragionevole significa garanzie per il cittadino, garanzia per la collettività, efficienza del servizio nel suo complesso. In questa prospettiva appare prioritario pertanto un investimento sulla qualità che possa liberare e valorizzare le sinergie collegate all’innovazione organizzativa, all’innovazione tecnologica e alla formazione. L’attività di formazione si muove proprio con l’intento di qualificare e valorizzare la professionalità di tutti i magistrati; ma per i magistrati dirigenti degli uffici giudiziari deve contenere un “valore aggiunto” prioritario capace di qualificare l’attività dirigenziale sotto il profilo della garanzia, del rispetto delle regole per la formazione del prodotto giurisdizionale ma anche della qualità del servizio. E sotto questo profilo l’individuazione degli obiettivi dell’attività dell’ufficio, l’elaborazione delle strategie e l’attuazione delle scelte deve fare sì capo al dirigente, ma attraverso un processo di coinvolgimento e di osmosi dei contributi provenienti da tutti gli altri magistrati; il dirigente deve rappresentare un punto di riferimento capace di suscitare in tutti i componenti dell’ufficio le motivazioni necessarie a renderli partecipi all’attività dell’ufficio; appare evidente dunque come in questa prospettiva una buona organizzazione non possa prescindere da 342 una forte professionalità basata sulla consapevolezza da parte di tutti i magistrati della utilità di costanti ed aggiornati percorsi formativi. Ora, l’art. 3 del codice etico approvato dall’Associazione Nazionale dei Magistrati prevede che la formazione permanente sia un dovere etico del magistrato. Certamente, con le varie forme e modalità che possono caratterizzarla, la formazione lungo il corso dell’intera carriera può essere considerata, tra gli altri, quale oggetto del dovere professionale. Già tale considerazione impone di fornire a qualunque magistrato ne faccia richiesta occasioni di confronto e di formazione che non siano riducibili al pur doveroso aggiornamento individuale. Ma è chiaro fin d’ora, ed ancora si dirà in seguito, che i compiti della struttura di formazione, e dunque dell’autogoverno, si fanno ancor più complessi e pressanti in una prospettiva che ponga la partecipazione dei singoli ad attività formative quale condizione rilevante per l’accesso a funzioni direttive, od a funzioni specialistiche, o comunque per l’accoglimento di domande concernenti la vita professionale dei singoli. Si perviene qui alla dimensione, affatto innovativa e ricca di complesse implicazioni, della par condicio per l’accesso ad una offerta formativa, la quale già al momento, ed in linea generale, vede di fatto accolte le richieste in misura inferiore al 50%. 5.C. Gli strumenti per assicurare il massimo grado di partecipazione dei magistrati alle attività di formazione. Snodo fondamentale della formazione è dunque anche quello dell’accesso dei magistrati alla medesima. E’ osservazione banale quella per cui l’obiettivo formativo può dirsi conseguito solo quando la relativa offerta è in grado di raggiungere la maggior porzione possibile dell’utenza cui è destinata. Ma dietro questo assioma si agitano problematiche di non facile soluzione e, in alcuni casi, ancora irrisolte, quando si discute di formazione dei magistrati. Nell’ultimo quadriennio, come si è visto, anche e soprattutto grazie al potenziamento dell’offerta formativa a livello centrale, si è assistito ad un graduale e costante aumento delle richieste di partecipazione agli incontri di studio. Il dato (per la cui analisi di dettaglio si rinvia al § 2c), comunque confortante, rivela però che quasi la metà dei magistrati rinunzia ogni anno alla formazione, allo stato fondata prevalentemente su base volontaria. Le ragioni di questa vistosa lacuna sono certamente molteplici e, pur in assenza di una effettiva indagine tesa ad accertarle (che peraltro appare irrinunciabile in futuro), 343 queste possono essere presuntivamente ricavate da alcuni indicatori come, ad esempio, le osservazioni contenute nelle schede di partecipazione o le comunicazioni di rinunzia agli incontri pervenute al Consiglio. Può dunque azzardarsi che tali ragioni vadano identificate principalmente: a) nello scarso interesse per la formazione in genere; b) nella mancata corrispondenza dell’offerta con le esigenze formative individuali; c) nella frustrazione determinata dall’esclusione, in occasione di precedenti domande, dagli incontri prescelti; d) nella difficoltà di assentarsi dalla sede di servizio per motivi di ordine professionale o familiare. In proposito va subito osservato che ad alcuni di questi problemi si è cercato di porre rimedio negli ultimi anni operando su più fronti contemporaneamente. Anche al fine di superare gli impedimenti oggettivi legati alle ridotte dimensioni di molti uffici giudiziari o alle situazioni familiari dei singoli magistrati, vi sono stati anzitutto interventi sul modello degli incontri di studio, per un verso incrementando il ricorso all’agile formula delle giornate di studio (magari ripetute più volte nell’arco di un anno), per l’altro riducendo comunque la loro durata, che oramai si è attestata sul modulo delle due giornate e mezza, con poche e qualificate eccezioni. Nel contempo si sono gradualmente introdotti nella fase della selezione accorgimenti finalizzati a suddividere i magistrati provenienti dallo stesso ufficio su incontri differenti, in modo da evitare la loro contemporanea assenza dalla sede del servizio. Per contrastare il digiuno formativo “di ritorno”, dovuto alla delusione per le ripetute esclusioni, si è progressivamente cercato di introdurre un articolato sistema di selezione delle domande, caratterizzato dall’elaborazione di “criteri di priorità” e teso a privilegiare quei magistrati che in passato hanno evidenziato interesse per la formazione, ma che ciò nonostante non vi hanno avuto accesso a causa dei limiti di capienza dei singoli incontri. Allo strumento dei “criteri di priorità” si è fatto altresì ricorso per equilibrare l’estrazione per fasce d’anzianità dei partecipanti ai vari incontri, ovvero per facilitare l’accesso ad alcuni di essi di quei magistrati cui più specificatamente dovevano ritenersi dedicati in ragione delle funzioni esercitate, raggiungendo così l’obiettivo di avvicinare maggiormente l’utenza all’offerta formativa. Questi meccanismi sono stati nel tempo perfezionati o mutati a seconda delle esigenze e degli obiettivi che di anno in anno il Consiglio si è prefisso, e certamente hanno contribuito a migliorare l’efficacia dell’offerta nel suo complesso. Non v’è dubbio che in futuro possano essere potenziati e migliorati, purchè si operi periodicamente una 344 revisione della loro effettiva funzionalità rispetto agli scopi progressivamente maturati. Nell’ultimo anno può tuttavia rilevarsi come si siano ridotte le istanze di revoche. L’analisi delle ragioni della non adesione di tutti i magistrati alla pur diversificata offerta formativa,rispetto cui la IX Commissione ha cercato di incidere positivamente anche mediante l’adozione di una circolare che esamina la disciplina dei nuovi congedi parentali delineando meccanismi di compatibilità con le esigenze formative, ha dovuto confrontarsi con una difficoltà, sin’ora avvertita, di pervenire ad una completa rilevazione di dati in merito. E’ però auspicabile e presumibile che tale oggettiva difficoltà di reperimento dei dati significativi in materia possa essere superata grazie all’apporto informativo di dati che potrà provenire dalle iniziative formative effettuate in sede decentrate. Ciò che però preme evidenziare in questa sede è che, pur ricorrendo ai correttivi appena illustrati e pur registrandosi un progressivo aumento delle domande di partecipazione alle iniziative formative, nel tempo si sono evidenziati i limiti strutturali dell’assetto attuale della formazione centralizzata. Infatti, il permanere di un elevato numero di magistrati che rifiuta di fruire dell’offerta formativa tradizionale, nonché il fatto che ogni anno, inevitabilmente, vengano comunque esclusi dagli incontri richiesti molti altri magistrati, ben evidenziano che probabilmente la curva di tale offerta sia oramai destinata irrimediabilmente a svilupparsi soltanto in orizzontale. Del resto è difficile ipotizzare che alcune delle motivazioni individuate come cause (o concause) del rifiuto possano essere effettivamente superate semplicemente ricorrendo a soluzioni contingenti, che rischiano di acquistare nel tempo il sapore di meri espedienti. Ma è difficile immaginare anche interventi strutturali idonei a conservare intatto l’attuale formato dell’offerta, anche perché questi interventi richiederebbero l’assorbimento di risorse, finanziarie ed umane, difficilmente disponibili. Più correttamente va riconosciuto che il modello strutturale fin qui recepito ha rappresentato un veicolo straordinario per lo sviluppo della cultura della formazione all’interno della magistratura, ma anche che lo stesso deve necessariamente essere ridisegnato o quantomeno integrato nel prossimo futuro, in quanto insufficiente per raggiungere il ben più ambizioso obiettivo di intercettare le esigenze di formazione di tutti i magistrati. Il ripensamento della struttura complessiva della formazione in quest’ottica è del resto un processo già avviato dal Consiglio. L’esem- 345 pio più eclatante è rappresentato indubbiamente dalla costituzione della rete dei formatori locali, che, come si evince dalla relativa risoluzione consiliare, non solo comporta, in prospettiva, un ampliamento dell’offerta, ma consente altresì di programmare un prezioso e capillare progetto di rilevazione dei concreti bisogni formativi. Ed in effetti uno dei limiti strutturali che nel corso degli anni l’attuale struttura della formazione ha evidenziato va identificato proprio nella capacità non sempre piena di assicurare in maniera esaustiva, ed in ogni caso con l’opportuna tempestività, le esigenze dell’utenza. Il che peraltro è limite genetico per un programma di formazione calibrato su bisogni definiti in maniera generalistica, facendo cioè riferimento alle ipotizzate necessità di categorie generali (i Pubblici Ministeri, i giudici fallimentari, i magistrati di sorveglianza, ecc.); né, mantenendo lo stesso formato, potrebbe essere altrimenti, atteso che i corsi organizzati a livello centrale devono, nella maggior parte dei casi, conformarsi con riguardo a magistrati che operano in realtà territoriali assai eterogenee e nell’ambito di uffici giudiziari di dimensioni variabili, quando addirittura non vedono confluire magistrati che ricoprono funzioni non assimilabili. Se a questo limite “congenito” si aggiunge che, pur essendosi impegnate nel tempo crescenti energie, non si sono raggiunti ancora soddisfacenti risultati nell’elaborazione di tecniche di rilevamento dei bisogni formativi (il ricorso alle schede di partecipazione –il cui schema è stato via via raffinato – rappresenta infatti uno strumento indubbiamente utile all’uopo, ma altrettanto certamente ancora insufficiente e comunque incapace di restituire l’ampia gamma di dati necessari all’elaborazione di un programmazione di dettaglio), non è difficile comprendere perché sia legittimo attendersi, sotto questo profilo, un netto progresso della formazione nel suo complesso, una volta che la rete avrà superato il necessario periodo di rodaggio e opererà a pieno regime. Quanto fin qui illustrato consente dunque di ritenere che il coinvolgimento di un numero sempre crescente di magistrati nelle iniziative di formazione potrà essere raggiunto solo attraverso una maggiore diversificazione dell’offerta formativa, chiamata però a corrispondere sempre più intensamente al variegato spettro dei bisogni dell’utenza di riferimento. Potenziare e raffinare il sistema di rilevazione di questi bisogni è dunque uno degli obiettivi in cui investire energie e risorse nell’immediato futuro. Se, come detto, in larga misura ci si attende che tale risultato venga conseguito attraverso la rete dei formatori locali, non va dimenticato che questa non può rappresentare l’unico strumento impiegato e che, comunque, la sua reale efficienza è 346 legata alla garanzia di una idonea circolazione dalla periferia al centro delle informazioni raccolte. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, appare evidente che il sondaggio dei bisogni formativi eseguito in sede decentrata non può e non deve rappresentare il presupposto per una elaborazione esclusivamente “locale” dei dati ma, al contrario, deve costituire il principale strumento di rilevazione dei bisogni per l’intera struttura impegnata nella formazione, in assoluta sintonia, tra l’altro, con la volontà consiliare di costituire i referenti locali quali veri e propri terminali territoriali del Consiglio in materia di formazione. Con riguardo al primo profilo prospettato, invece, deve rilevarsi come in ogni caso debbano essere potenziati gli strumenti tradizionali di rilevazione dei bisogni e come debbano esserne sperimentati di nuovi (ad esempio moltiplicando le occasioni di sollecitazione individuale, senza confinare la comunicazione entro gli angusti limiti della scheda di partecipazione, il cui contenuto va comunque arricchito proprio con riguardo alla parte propositiva, più che a quella retrospettiva/valutativa). Incremento dell’offerta formativa nel suo complesso e adeguamento della stessa alle esigenze dell’utenza, sono dunque obiettivi prioritari dell’immediato futuro della formazione. Ma la meta finale, quella, cioè, di coinvolgere la totalità dei magistrati nelle attività di formazione, impone altresì una riflessione sull’attualità di alcune scelte fondamentali operate nel passato. Infatti, l’esperienza maturata consente di affermare che la progressiva saturazione della domanda sia soltanto uno dei problemi che richiedono una soluzione. Come già evidenziato in precedenza, esiste tuttora una fetta significativa di magistrati che si sottrae alla formazione, più per disinteresse pregiudiziale, che per l’inadeguatezza dell’offerta. E’ necessario che una volta raggiunto l’obiettivo di diversificare maggiormente l’offerta formativa -sia nei contenuti che nelle metodologie – questo atteggiamento vada sottoposto ad un vaglio critico. Ed è soprattutto necessario interrogarsi sulla possibilità di mantenere, a fronte dei rilevanti investimenti che assorbe, una struttura della formazione fondata essenzialmente sull’adesione volontaria. E’ giusto chiedersi, cioè, se non sia giunto il momento di introdurre modelli di formazione obbligatoria o, quantomeno, onerosa. Sull’argomento, che attraversa in realtà l’intera riflessione di questo capitolo, si tornerà anche nel paragrafo conclusivo. Ma in questa sede è opportuno evidenziare come il potenziamento dell’offerta non sia di per sé sufficiente a creare una domanda realmente diffusa, e conseguentemente come, superata una certa soglia, non basti più 347 “portare” formazione ai magistrati, bensì sia necessario “portare” questi ultimi alla formazione. Lo slogan non è solo suggestivo. E’ necessario valutare quali rischi possano paventarsi nel caso la situazione attuale rimanga immutata. Non solo si rinuncerebbe al coinvolgimento dei colleghi refrattari (risultato da considerarsi di per sé negativo), bensì, a fronte dell’auspicato potenziamento e affinamento delle iniziative, si creerebbero le premesse per la costituzione di un ampio fronte di magistrati che hanno saputo e potuto nel tempo sviluppare il proprio profilo professionale, contrapposto ad un numero tendenzialmente minoritario di magistrati (identificabili in un’area caratterizzata dall’assenza di contatti con le attività di formazione, ma in realtà profondamente disomogenea e frastagliata) destinato ad irrigidirsi nella propria scelta di autoesclusione, che finisce per essere ammantata di significati culturali e ideologici, in realtà ultronei e finalizzati semplicemente a mascherare un latente sentimento di condanna alla diversità o, addirittura, di inferiorità. In altri termini, il potenziamento della struttura formativa deve necessariamente coinvolgere e raggiungere l’utenza nella sua globalità, perché inevitabilmente è in grado, pur rispettando le diversità culturali di ognuno, di incrementare a tal punto la professionalità dei singoli da relegare gli eventuali (auto)esclusi ai margini dell’ordine, creando sperequazioni inaccettabili tanto al suo interno che nell’ambiente esterno sul quale l’attività della magistratura si ripercuote. Ciò detto, nel più immediato futuro è ipotizzabile (ed auspicabile) l’introduzione di iniziative di formazione destinate a settori ben definiti dell’utenza, con contestuale imposizione di un obbligo di adesione ovvero con previsione di incentivi collegati ai parametri di valutazione utilizzati in occasione degli avanzamenti di carriera o di altri snodi del percorso professionale del singolo magistrato. In quest’ottica, e per riprendere spunti già anticipati nel paragrafo che precde, potrebbe ad esempio pensarsi all’obbligatorietà della partecipazione ad attività di formazione nel caso di assunzione di funzioni diverse da quelle precedentemente svolte (non limitatamente all’ipotesi di passaggio dal settore civile a quello penale o viceversa, bensì anche in quella del transito da funzioni giudicanti a quelle requirenti o da quelle giudicanti di primo grado a quelle di grado d’appello o, infine, nel caso dell’accesso per la prima volta ad incarichi di natura dirigenziale), o all’effettivo prolungamento della formazione primaria fino ad abbracciare il primo quinquennio della vita professionale del magistrato. 348 Indubbiamente modelli di formazione obbligatoria possono convivere con forme legate invece alla volontaria adesione del destinatario dell’offerta. L’integrazione dei due modelli è idonea a garantire un grado di formazione “minimo”, considerato imprescindibile, e livelli più qualificati, l’accesso ai quali è meramente eventuale. Probabilmente, però, la strada della formazione “onerosa” (cioè strumentale all’acquisizione di titoli spendibili in tutte quelle occasioni in cui il magistrato debba essere sottoposto ad una qualche valutazione o voglia accedere a qualche incarico di particolare natura) appare di più facile attuazione e di meno traumatico impatto sull’utenza, anche se l’effettiva differenza tra i due moduli tende a sfumare una volta che l’onerosità venga collegata ai tipici sviluppi di carriera del magistrato. 5.D. La collaborazione con gli interlocutori istituzionali del C.S.M. nelle attività di formazione. Se nel corso degli ultimi anni si è registrato un progressivo incremento dell’interazione tra il Consiglio ed altri enti in materia di formazione, non può nascondersi che le iniziative realizzate in passato siano state caratterizzate da un elevato coefficiente di estemporaneità. Se, cioè, va riconosciuta una generica volontà di sviluppare la collaborazione con altri soggetti in materia di formazione, deve ammettersi che allo stato tale intenzione non si è ancora tradotta nell’elaborazione di un vero e proprio progetto organico. V’è da dire in proposito che tale situazione non è il frutto di mera disattenzione o, peggio, di scarsa fiducia in modelli di formazione sinergici, anche se non può negarsi che permanga in alcuni casi una certa qual pregiudiziale diffidenza verso la formazione “integrata”. Va registrata, piuttosto, una certa difficoltà di natura strutturale nel recepire le offerte provenienti da soggetti esterni o nel pianificare progetti da proporre all’esterno, imputabile in larga parte ai limiti intrinseci dell’attuale assetto organizzativo. Cionostante, negli ultimi tempi si è assistito ad positivo sviluppo della progettualità in materia, attraverso la presa di contatto con alcuni enti per l’adozione di iniziative comuni (proposito culminato nel dicembre del 2000 con l’organizzazione di due giornate di studio riservate a magistrati presso la CONSOB). Peraltro lo sviluppo delle attività di formazione “integrata” appare oggi un obiettivo primario. Nel recente passato, infatti, il legislatore è intervenuto significativamente (con il d.lgs. 17.11.1997 n.398) in materia di accesso alle professioni legali, attraverso la riforma dei 349 corsi universitari e l’istituzione delle scuole di perfezionamento, destinate nel breve periodo ad assorbire una non marginale porzione della formazione primaria di magistrati, notai e avvocati (per quanto riguarda l’accesso alla magistratura, la frequentazione dei corsi postlaurea è già resa obbligatoria per gli aspiranti immatricolati nelle facoltà di giurisprudenza a partire dall’anno accademico 1998-99). La concreta attuazione delle nuove normative tarda peraltro ad entrare nella definitiva fase operativa, attendendo l’emanazione dei previsti decreti ministeriali di attuazione, il che ovviamente è fonte di non poca incertezza circa l’effettiva futura configurazione del sistema immaginato dal legislatore. E tale ritardo, inevitabilmente, incide anche sulla progettualità consiliare, posto che comunque non è possibile ignorare l’incidenza che tali riforme avranno sull’assetto dell’attività di formazione. Infatti, non solo è previsto il coinvolgimento di magistrati nelle attività didattiche progettate (il che di per sé merita una riflessione), ma in ogni caso queste vere e proprie “scuole” di avviamento professionale post-universitarie imporranno a breve un generale ripensamento della formazione primaria del magistrato, se non addirittura dello stesso assetto del tirocinio degli uditori. La “ristrutturazione” del cursus di accesso alle professioni legali, peraltro, rappresenta una ottima occasione per ripensare e incrementare i rapporti con l’avvocatura in materia di formazione, spingendosi oltre il tradizionale coinvolgimento di singoli rappresentanti del ceto forense nelle iniziative organizzate autonomamente dal CSM. Quella dello sviluppo dei rapporti con l’avvocatura è peraltro una questione concreta e di estrema urgenza: infatti, la compiuta attuazione dei principi costituzionalizzati attraverso la riforma dell’art. 111 Cost., e segnatamente quello della ragionevole durata del processo, non può (e non deve) prescindere da un serio e articolato confronto culturale tra avvocati e magistrati. Significativa evoluzione ha conosciuto negli ultimi tempi anche la formazione del personale amministrativo del dipartimento di giustizia, attraverso lo sviluppo delle “scuole”, il cui numero va rapidamente aumentando sul territorio nazionale e le quali vanno seguite con grande interesse, vantando un ottimo modello strutturale e rilevanti risorse organizzative. Del resto la collaborazione con la struttura destinata a formare i collaboratori del giudice e del pubblico ministero è impegno la cui utilità risulta di palmare evidenza. Per altro verso, la crescente importanza dell’attività di agenzie e autorities istituzionalmente preposte alla funzione di controllo su rilevanti settori della vita economica e sociale, impone l’approfondimen- 350 to dei rapporti già con esse avviati, come accennato, nel recente passato. Risulta infatti essenziale, per la completa ed efficace attuazione delle normative speciali, realizzare effettive sinergie operative con queste autorità – le cui competenze sempre più spesso si intersecano con quelle della magistratura –, innanzi tutto promovendo la conoscenza delle reciproche potenzialità ed esigenze. In proposito affidarsi a iniziative autonome, pur realizzabili, appare insufficiente, risultando certamente più proficuo attingere direttamente all’esperienza che la maggior parte di questi enti hanno maturato nella formazione del proprio personale. In merito si è già ricordato come il Consiglio abbia già realizzato alcune iniziative formative in collaborazione con la CONSOB, la Banca d’Italia, l’Agenzia per la Sicurezza del Volo. Un importante momento di confronto tra il C.S.M. e altre Istituzioni, Consiglio Nazionale Forense, Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Giurisprudenza, sui temi della formazione è stato poi attuato con l’Incontro sul tema “ Università e professioni legali: reclutamento, accesso e formazione”, che oltre all’approfondimento dei temi proposti, intende promuovere, nello spirito di una cultura pubblica delle riforme, la costituzione di un osservatorio permanente che sia stimolo costante per interventi organici nei diversi ambiti d’interesse. In conclusione va sottolineato come la formazione che qui si è definita “integrata” non deve andare a scapito delle iniziative gestite in completa autonomia dal Consiglio. In altri termini, la collaborazione in materia di formazione deve poter divenire un valido e irrinunciabile complemento dell’attività tradizionale, ma non può sostituirla. Sotto altro profilo deve invece affermarsi l’opportunità che il progetto contempli ampio spazio affinché questa collaborazione si possa sviluppare anche attraverso l’attività della rete di formazione decentrata, coinvolgendo – quantomeno in alcune iniziative – il maggior numero possibile di magistrati a cui fornire in questo modo importanti occasioni di confronto e di apertura culturale. 5.E. La prospettiva di un nuovo assetto organizzativo funzionale alla formazione professionale dei magistrati quale componente essenziale dell’autogoverno consapevole della magistratura e dell’esercizio responsabile della giurisdizione. La tutela e la promozione dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, nel suo insieme e in ogni singolo magistrato, sia nell’esercizio diretto che nelle attività di cosiddetta amministrazione 351 della giurisdizione, esigono livelli sempre più adeguati di professionalità, di coscienza e di responsabiltà istituzionale. E’ oggi diffusa la consapevolezza che i beni preziosi e irrinunciabili della autonomia e dell’indipendenza, valori costitutivi della giurisdizione e fondanti dello status costituzionale della magistratura, se non vogliono degradare a privilegi corporativi e conservare il loro orientamento funzionale al servizio dei cittadini e dei loro diritti, devono sorreggersi e coniugarsi con un impegno costante volto a conseguire, mantenere e accrescere la professionalità tecnico-giuridica e l’adeguatezza culturale e sociale dell’operato giudiziario. In tale ottica le attività di formazione e autoformazione professionale dei magistrati si atteggiano sempre più come un fattore essenziale di crescente importanza nel complessivo sistema dell’autogoverno della magistratura italiana. Può anzi affermarsi – senza tema di esaltazione retorica – che la formazione e l’autoformazione sono oggi coessenziali all’autogoverno di cui costituiscono una delle espressioni più significative e produttive. A fronte della crescente complessità dell’ordinamento giuridico, dei difficili compiti vecchi e nuovi e delle tensioni di vario genere che gravano sulla giurisdizione, la formazione professionale si rivela, nel contempo, come un bisogno fondamentale di ciascun magistrato che vuol essere all’altezza dei tempi che viviamo, come un suo diritto-dovere istituzionale per rispondere adeguatamente alla domanda di giustizia del cittadino e come una risorsa indispensabile che il sistema giudiziario deve saper tesaurizzare, razionalizzare e far fruttare. Alla formazione come bisogno da rilevare e soddisfare, diritto-dovere da riconoscere e promuovere e risorsa da gestire e finalizzare, l’autogoverno consiliare ha cercato di corrispondere, entro lo spazio giuridico consentito e con gli strumenti fino ad ora disponibili, attraverso la progressiva costruzione di un sistema formativo complesso e integrato, secondo un disegno istituzionale recentemente completatosi con il varo della rete dei referenti distrettuali. Sembra per altro ormai chiaro, in fase finale dell’analisi, come tale sistema, pur servito a realizzare livelli quantitativi e qualitativi dell’offerta tali da reggere il confronto con le migliori istituzioni europee, poggia sopra basi fragili e precarie sotto il profilo strutturale e organizzativo. E’ di evidente costatazione l’insufficienza progressivamente più marcata delle attuali strutture centrali, che sopportano un crescente carico di lavoro e di attività, contando essenzialmente sopra l’apporto stabile dei componenti della Nona Commissione (tuttavia contemporaneamente impegnati nelle altre attività consiliari), dei 352 componenti del Comitato scientifico (che, salvo limitati ed estemporanei esoneri, aggiungono a tale complessa attività il lavoro giudiziario ordinario), del personale amministrativo che, nonostante l’impegno ed il sacrificio dei singoli, si rivela insufficiente per fronteggiare la massa delle incombenze. Il tutto, come pure si è avuto modo di accennare, in un quadro segnato dalla temporaneità degli incarichi di programmazione e direzione scientifica (la quale ha provocato l’intero ricambio del Comitato scientifico dopo la sua istituzione, e l’avvicendarsi di varie generazioni successive di componenti, nell’arco di un quinquennio circa), e da un riparto non ancora del tutto definitito di compiti e competenza (ad esempio in materia di rapporti con enti stranieri di formazione, o di gestione delle pubblicazioni, ecc.). Tali debolezze strutturali e organizzative (la mancanza di personale “dedicato”, le risorse temporali limitate e le insufficienti energie disponibili attinte più dall’impegno volontario dei singoli che dall’efficienza strutturale dell’organizzazione), contestualmente all’apertura di nuovi fronti di attività ed iniziative (si pensi proprio al varo della formazione decentrata che, in quanto risorsa complementare e non sostitutiva, comporta almeno nel primo periodo un aumento di lavoro nelle strutture centrali), ed alla continua crescita di alcuni settori (si pensi alla “esplosione” delle attività internazionali ed al moltiplicarsi delle iniziative formative congiunte in collaborazione con altri enti), rendono oggi concreto il rischio che il sistema, schiacciato da tale crescente massa di impegni, possa involversi e deperire, riducendo il livello qualitativo delle sue prestazioni e la sua complessiva capacità di rendimento. A fronte di tale pericolo è necessario e urgente compiere uno sforzo corale per ridare nuovo slancio ed energia all’intero sistema formativo, per realizzare un vero salto di qualità che superi la fase “pioneristica” e “artigianale” della formazione professionale dei magistrati italiani ed apra una nuova stagione che, raccogliendo l’esperienza felice e l’eredità preziosa di questi anni, si caratterizzi per criteri e dimensioni di maggiore sistematicità, scientificità e stabilità. Tale necessità è già pressante oggi in un sistema che, ad eccezione della formazione iniziale e complementare per gli uditori giudiziari, conserva il carattere “volontario” della formazione permanente, giacchè come è evidente la qualità complessiva dell’offerta e dei servizi formativi è fattore determinante per incentivare ed espandere le adesioni volontarie, ed è destinata ad essere ancora più pressante, ove si accedesse in futuro alla prospettiva da più parti auspicata (cfr. supra) di rendere “onerosa” se non “obbligatoria” la partecipazione alle attività formative. 353 Invero, in tale prospettiva, a più forte ragione si imporrebbero i predetti caratteri di maggiore sistematicità, scientificità e stabilità dell’azione formativa proprio in quanto correlata e funzionalizzata istituzionalmente alle progressioni in carriera, alle valutazioni di professionalità, all’accesso a determinate funzioni ed agli incarichi direttivi o semidirettivi. Probabilmente i tempi sono maturi per porre mente alla creazione di un nuovo soggetto organizzatore ed erogatore delle attività formative con connotati di maggiore specializzazione e istituzionalizzazione, dotato di strutture stabili e dedicate, capace di interagire ai vari livelli, di investire e gestire risorse, di realizzare sinergie con altri enti, di fornire strumenti e servizi formativi sia ai singoli magistrati sia ad altri soggetti erogatori nei diversi circuiti del sistema formativo. Tale è l’auspicio conclusivo, nella convinzione profonda che la formazione è – e deve sempre più essere – una componente essenziale dell’autogoverno consapevole della magistratura, e dell’esercizio responsabile della giurisdizione da parte di tutti i magistrati. 354 Volumi finora pubblicati nella collana «QUADERNI DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA» n. 1 – Il giudice ordinario ed il controllo di leggittimità sugli atti della Pubblica Amministrazione. Tarquinia, 29 novembre – 1° dicembre 1984. Fiuggi, 31 gennaio – 2 febbraio 1985. n. 2 – La retribuzione. Frascati, 7-10 ottobre 1985. n. 3 – Incontro del C.S.M. con i magistrati di sorveglianza. Frascati, 17-19 gennaio 1986. n. 4 – Problemi attuali della prova nel procedimento penale. Chianciano, 5-7 dicembre 1986. n. 5 – I provvedimenti giurisdizionali in tema di affidamento dei minori. Fiuggi, 2-4 ottobre 1986. nn. 6-7 – Diritto d’informazione, libertà di stampa e diritti della persona. Chianciano, 6-8 febbraio 1987. nn. 8-9 – Legge, contrattazione collettiva e diritti individuali. Milano, 6-7 marzo 1987. n. 10 – Il diritto di difesa tra norme e prassi. Fiuggi, 13-14 marzo 1987. n. 11 – Diritto comunitario e diritto interno. Chianciano, 23-24 aprile 1987. n. 12 – Le misure di prevenzione. Siracusa, 3-5 aprile 1987. n. 13 – Problemi della libertà personale. Chianciano, 5-7 giugno 1987. n. 14 – Legge sulla dissociazione. Attuale fase del terrorismo; riflessioni e valutazioni. Frascati, 15-16 maggio 1987. n. 15 – Problemi applicativi della legge n. 663/86. Frascati, 26-28 giugno 1987. n. 16 – Problemi sostanziali e processuali del rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato. Roma, 26 settembre 1987. n. 17 – Fallimento e fisco. Fiuggi, 3 ottobre 1987. n. 18 – Prevenzione e repressione nella sicurezza e igiene del lavoro. Fiuggi, 9-11 ottobre 1987. n. 19 – Metodologie e strumenti per le indagini bancarie e patrimoniali. Trevi, 4-6 dicembre 1987. n. 20 – Iniziative di aggiornamento professionale in relazione alla prossima entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Trevi, 27-31 maggio 1988. n. 20 – Codice di procedura penale e disposizioni complementari. suppl. n. 21 – Problemi attuali del diritto societario. Fiuggi, 27-29 novembre 1987. n. 22 – Problemi attuali dei procedimenti in tema di criminalità organizzata, anche in vista della riforma del C.P.P.. Tarquinia, 29-31 gennaio e 19-21 febbraio 1988. n. 23 – Problemi attuali della Corte di Cassazione. Trevi, 25-27 marzo 1988. n. 24 – Norme e prassi in tema di direzione degli uffici giudiziari con particolare riferimento ai procedimenti tabellari, ai pareri per la progressione in carriera, ai poteri di vigilanza. Trevi, 26-28 febbraio e 8-10 aprile 1988. n. 25 – La tutela dei diritti soggettivi nelle procedure concorsuali. Frascati, 1-3 luglio 1988. n. 26 – Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del Codice di procedura penale e delle disposizioni complementari. Decreti Legislativi 28 luglio 1989, n. 271, n. 272, n. 273. n. 27 – Incontri di studio sul nuovo Codice di procedura penale. Relazioni e contributi – VOLUME PRIMO. novembre 1988 – giugno 1989. n. 28 – Incontri di studio sul nuovo Codice di procedura penale. Relazioni e contributi – VOLUME SECONDO. novembre 1988 – giugno 1989. n. 29 – Giurisdizione e responsabilità nei paesi della CEE e negli Stati Uniti d’America. Roma, 24-26 giugno 1987. n. 30 – Problemi medico-legali nella giustizia penale. Montegrotto Terme, 4-6 novembre 1988. n. 31 – Problemi applicativi della Legge n. 330/88. Trevi, 20-22 gennaio 1989. n. 32 – Incontri di studio sulle disposizioni di attuazione, di coordinamento e transitorie del nuovo Codice di procedura penale. Relazioni e contributi. Roma, 6-8 ottobre – 15-17 dicembre 1989. n. 33 – Diritti della personalità emergenti: profili costituzionali e tutela giurisdizionale. Firenze, 18-20 novembre 1988. n. 34 – Problemi attuali del Processo Civile. Trevi, 11-13 dicembre 1987. n. 35 – Tutela ambientale: Diritto nazionale e principi Comunitari. Alghero, 29 aprile – 1° maggio 1988. n. 36 – Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia - 1990. n. 37 – Deliberazioni risoluzioni e pareri, aggiornati al 1990. n. 38 – Provvedimenti organizzativi pareri e circolari, aggiornati al 1990. n. 39 – Risoluzione 28 marzo 1990 in tema di provvedimenti urgenti sul giudizio di cassazione. n. 40 – Circolari del C.S.M., aggiornate al 1990. n. 41 – Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno. Trevi, 30 giugno – 1° luglio 1989. n. 42 – Reati contro la Pubblica Amministrazione, poteri del magistrato e discrezionalità amministrativa. Trevi, 19-21 maggio 1989. n. 43 – Reati tributari tra vecchio e nuovo rito. Fiuggi, 1-3 dicembre 1989. n. 44 – I procedimenti speciali nel nuovo C.P.P.. Roma, 20-22 ottobre 1989. n. 45 – Normativa attuale e prospettiva di riforma in materia di brevetto europeo (Convenzione di Monaco 5-10-1983). Fiuggi, 29-30 settembre 1989. n. 46 – La magistratura di sorveglianza e il nuovo codice di procedura penale. Roma, 17-19 novembre 1989. n. 47 – Nuove tipologie contrattuali. Roma, 2-4 marzo 1990. n. 48 – Problemi interpretativi ed applicativi del nuovo C.P.P. alla luce dell’esperienza realizzata nel primo periodo di applicazione. Roma, 30 marzo – 1° aprile 1990. n. 49 – Tecnica dell’esame delle parti e dei testimoni nel dibattimento penale. Roma, 19-21 gennaio – 18-20 maggio 1990. n. 50 – Il principio del libero convincimento del giudice nel nuovo processo penale. Roma, 30 novembre – 2 dicembre 1990. n. 51 – La pretura circondariale. Roma, 8 aprile 1992. n. 52 – Manuale dell’udienza disciplinare: Legislazione e massime della sezione disciplinare aggiornate al dicembre 1990. n. 53 – L’analisi del lavoro d’ufficio presso il Consiglio superiore della magistratura. n. 54 – Controllo giurisdizionale ed amministrativo sulle società. Fiuggi, 9-11 febbraio 1990. n. 55 – Relazione annuale sullo stato della giustizia 1991. L’attuazione della VII disposizione della Costituzione. Orientamento per la riforma dell’ordinamento giudiziario. n. 56 – Procure circondariali: organizzazione del lavoro dei magistrati e rapporto con la polizia giudiziaria. Roma, 4-6 aprile 1991. n. 57 – I dirigenti degli uffici giudiziari: compiti e responsabilità. In particolare i problemi organizzativi posti dalla legge n. 353 del 26 novembre 1990. Roma, 30 maggio – 1° giugno 1991. n. 58 – Manuale dell’udienza disciplinare: massime della sezione disciplinare dal 1° gennaio al 31 dicembre 1991. n. 59 – I delitti contro la Pubblica amministrazione dopo la legge n. 86/90. Roma, 8-10 febbraio 1991. n. 60 – La riforma del processo civile. Roma, 2-5 maggio 1991. n. 61 – Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Giovanni Falcone”. VOLUME I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero VOLUME II – Indagini e dibattimenti VOLUME III – Tecniche di investigazione su particolari figure di reato VOLUME IV – Indagini bancarie e patrimoniali VOLUME V – L’apporto delle scienze alle indagini. n. 62 – Relazione riguardante uno studio sul possibile ampliamento dell’organico della Magistratura. Roma, 17 settembre 1992. n. 63 – Codice di procedura penale e disposizioni complementari. n. 64 – La riforma del processo civile. Roma, 26-29 marzo 1992. n. 65 – La riforma del processo civile. Roma, 9-12 luglio 1992. n. 66 – Il principio di precostituzione del giudice. Roma, 14-15 febbraio 1992. n. 67 – Nuovi profili del diritto commerciale. Frascati, 15-19 marzo 1993. n. 68 – Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia per l’anno 1994. Reclutamento e formazione professionale dei magistrati. n. 69 – Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Giovanni Falcone”. VOLUME I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero. n. 70 – Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Giovanni Falcone”. VOLUME II – Le indagini sulla criminalità economica. n. 71 – Quarto, quinto e sesto corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Giovanni Falcone”. VOLUME III – Figure specifiche di reato. Problemi processuali. n. 72 – La tutela della proprietà intellettuale e commercio clandestino di videocassette e programmi per elaboratori. Roma, 22-23 ottobre 1993. n. 73 – La riforma del processo civile. VOLUME I. n. 74 – La riforma del processo civile. VOLUME II. n. 75 – La riforma del processo civile. VOLUME III. n. 76 – Diritto di famiglia. Frascati, 15-19 novembre 1993. n. 77 – Diritto del lavoro. Frascati, 5-9 luglio 1993, 29 novembre – 3 dicembre 1993. n. 78 – Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Paolo Borsellino”. VOLUME I – Attività e organizzazione del Pubblico Ministero – Reati contro la persona – Reati contro il patrimonio, la fede pubblica e l’economia. Frascati, febbraio, marzo, aprile 1993 – gennaio, febbraio, marzo 1994. n. 79 – Corso di aggiornamento sulle tecniche di indagine “Paolo Borsellino”. VOLUME II – Assetto del territorio - Reati ambientali. Frascati, febbraio, marzo, aprile 1993 – gennaio, febbraio, marzo 1994. n. 80 – La magistratura di sorveglianza. Frascati, 16-20 febbraio 1993 – 2-6 maggio 1994. n. 81 – Aggiornamento professionale per i giudici delle indagini preliminari. Fiuggi, 18-20 ottobre 1993. n. 82 – Programma dei corsi di formazione e aggiornamento professionale per i magistrati 1996. n. 83 – Corsi di studio dedicati al diritto fallimentare. VOLUME I Frascati, 22-26 novembre 1993 – 26-29 aprile, 20-24 giugno 1994. n. 84 – Corsi di studio dedicati al diritto fallimentare. VOLUME II Frascati, 22-26 novembre 1993 – 26-29 aprile, 20-24 giugno 1994. n. 85 – Manuale dell’udienza disciplinare: Massime della sezione disciplinare depositate dal 1° gennaio 1992 al 31 dicembre 1995. n. 86 – Il diritto penale tributario: aspetti sostanziali e processuali. VOLUME I Frascati, 15-17 maggio 1995. n. 87 – Il diritto penale tributario: aspetti sostanziali e processuali. VOLUME II Frascati, 15-17 maggio 1995. n. 88 – La formazione professionale del magistrato. Relazioni e considerazioni sull’attività svolta. marzo 1994 – giugno 1995. n. 89 – Settimane di formazione dedicate al diritto civile. Frascati, 14-18 febbraio 1994 – Tivoli, 6-10 giugno 1994. n. 90 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1997. n. 91 – Relazione al Parlamento sullo stato della giustizia (1996). Giudice unico di primo grado e revisione della geografia giudiziaria. n. 92 – Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace VOLUME I. Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre 1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996. – Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace VOLUME II. Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre 1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996. – Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace VOLUME III. Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre 1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996. – Il nuovo processo civile e il Giudice di Pace VOLUME IV. Bagni di Tivoli, 28 novembre-2 dicembre 1994 – Frascati, 19-21 gennaio 1995 22-23 maggio 1995 – Ostia Lido, 5-7 giugno 1995 – Frascati, 14-16 settembre 1995 - 27-29 novembre 1995 - 25-27 gennaio 1996. n. 93 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1998. n. 94 – Settimane di formazione dedicate al diritto commerciale. Frascati, 14-18 marzo 1994 – Fiuggi, 21-23 novembre 1994 – Bagni di Tivoli, 2628 gennaio 1995 – Ostia Lido, 18-20 maggio e 19-21 ottobre 1995. n. 95 – Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento all’1 settembre 1997). n. 96 – Settimane di formazione dedicate ai Pretori Civili. VOLUME I. Frascati, 17-21 ottobre 1994 - 13-16 marzo 1996 - 2-4 dicembre 1996. – Settimane di formazione dedicate ai Pretori Civili. VOLUME II. Frascati, 17-21 ottobre 1994 - 13-16 maggio 1996 - 2-4 dicembre 1997. n. 97 – Rapporto conclusivo sull’analisi delle informazioni raccolte a mezzo questionario finalizzato all’attuazione delle pari opportunità in magistratura. Giugno 1996/Settembre 1996. n. 98 – La prova penale. Frascati, 6-7 novembre 1995 – 23-25 giugno 1997 – 29 maggio-2 giugno 1995 – 3-7 giugno 1996 - 2-6 giugno 1997. n. 99 – I delitti di criminalità organizzata. VOLUME I Frascati, 25-29 ottobre 1993 – 7-11 febbraio 1994 – 3-5 luglio 1995 – 13-17 maggio 1996 – 12-15 dicembre 1996. – I delitti di criminalità organizzata. VOLUME II Frascati, 25-29 ottobre 1993 – 7-11 febbraio 1994 – 3-5 luglio 1995 – 13-17 maggio 1996 – 12-15 dicembre 1996. n. 100 – Manuale dell’udienza disciplinare: massime della sezione disciplinare dal 1° gennaio 1996 al 31 dicembre 1997. n. 101 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 1999. n. 102 – Il diritto comunitario e la cooperazione penale. Roma, 26 novembre-1° dicembre 1973 – Frascati, 4-8 luglio 1994 – 26-27 settembre 1996 – 14-16 aprile 1997 – 18-21 giugno 1997. n. 103 – Settimane di formazione dedicate ai dirigenti degli uffici giudiziari. Frascati, 18-22 aprile 1994 – Fiuggi, 17-21 ottobre 1994 – Frascati, 9-11 novembre 1995 – 5-7 febbraio 1996. n. 104 – Nuove forme di prevenzione della criminalità organizzata: gli strumenti di aggressione dei profitti di reato e le misure di prevenzione. Frascati, 18-20 dicembre 1997 – 12-14 febbraio 1998. n. 105 – Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento al 30 settembre 1998). n. 106 – La Tutela sommaria: la Tutela sommaria cautelare e la Tutela sommaria non cautelare. VOLUME I Frascati, 19-21 settembre 1996 – 13-15 maggio 1997 – 29-31 maggio 1997 – 2527 settembre 1997 – 3-7 novembre 1997 – Roma, 13-17 ottobre 1997. – La Tutela sommaria: la Tutela sommaria cautelare e la Tutela sommaria non cautelare. VOLUME II Frascati, 19-21 settembre 1996 – 13-15 maggio 1997 – 29-31 maggio 1997 – 2527 settembre 1997 – 3-7 novembre 1997 – Roma, 13-17 ottobre 1997. n. 107 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 2000. n. 108 – La prova nel processo civile. VOLUME I Frascati, 12-14 giugno 1997 – 4-6 giugno 1998 – 8-12 maggio 1995 – 28-31 ottobre 1996, 3-7 novembre 1997 – Roma, 19-23 maggio 1997 – 16-20 febbraio 1998 – 23-27 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-27 giugno 1998 – 29 giugno, 3 luglio 1998 – 6-10 luglio 1998. – La prova nel processo civile. VOLUME II Frascati, 12-14 giugno 1997 – 4-6 giugno 1998 – 8-12 maggio 1995 – 28-31 ottobre 1996, 3-7 novembre 1997 – Roma, 19-23 maggio 1997 – 16-20 febbraio 1998 – 23-27 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-27 giugno 1998 – 29 giugno, 3 luglio 1998 – 6-10 luglio 1998. n. 109 – Il processo civile minorile. Frascati, 22-24 giugno 1995 – 9-11 giugno 1996 – 9-11 giugno 1997 – 18-20 giugno 1998 – Roma, 29 settembre-3 ottobre 1997 – 13-17 ottobre 1997. n. 110 – Il problema della criminalità organizzata all’attenzione del C.S.M.. n. 111 – Circolari Risoluzioni e Delibere del C.S.M. (aggiornamento dall’ottobre 1998 al settembre 1999). n. 112 – Sezione disciplinare – Massimario delle decisioni. Anni 19981999. n. 113 – La durata ragionevole del processo. n. 114 – Programma. Corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati 2001. n. 115 – Il processo civile dopo la riforma. VOLUME I Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre 1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998 – 2-6 marzo 1997. – Il processo civile dopo la riforma. VOLUME II Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre 1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998 – 2-6 marzo 1997. – Il processo civile dopo la riforma. VOLUME III Frascati, 29-31 gennaio 1998 – 26-28 ottobre 1998 – 7-9 maggio 1998 – 22-24 ottobre 1998 – 29 settembre-3 ottobre 1998 – Roma, 16-20 febbraio 1998 – 2-6 marzo 1998 – 22-26 giugno 1998 – 29 marzo-3 settembre 1998 – 6-10 luglio 1998 – 2-6 marzo 1997. n. 116 – Circolari Risoluzioni e Delibere del Consiglio Superiore della Magistratura (aggiornamento dall’ottobre 1999 al settembre 2000). n. 117 – Laboratorio relativo al corso sperimentale di “autoformazione” professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. Relazioni. VOLUME I – Laboratorio relativo al corso sperimentale di “autoformazione” professionale per giudici e pubblici ministeri dell’area della famiglia e dei minori. Documentazioni. VOLUME II (Casaldelmarmo, aprile-dicembre 1999). n. 118 – Programma dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per i magistrati – 2002. Stabilimento Tipolitografico Ugo Quintily S.p.A. Viale Enrico Ortolani, 149-151 – Roma – Tel. 06.521.69.299 Finito di stampare nel mese di Ottobre 2001