convegno internazionale di antropologia e antichistica
Essere io, essere noi: identità individuali e collettive
Milano, Università degli Studi, 3 - 4 maggio 1995
Mutilare genitalia: antropologia greca e diritto romano
di Joseph Mélèze Modrzejewski
1. “Bell’aspetto” e segno di Alleanza
Diversi popoli dell’Antichità praticavano la circoncisione. Nell’Egitto dei
faraoni, questa pratica è attestata a partire dall’Antico Impero. Un celebre rilievo di
Saqqara datato all’epoca della VI Dinastia (2460-2200 a. C.), il mastaba di AnkhMa-Hor [1, p. 1]*, presenta lo svolgimento dell’operazione, in due fasi, come un
fumetto.
Una stele del Primo Periodo Intermedio (2160-1991 a. C.) ci offre
testimonianza di una circoncisione subita da un gruppo di centoventi ragazzi [2, p.
1]: ci troviamo chiaramente di fronte ad una prova collettiva subita da degli
adolescenti che hanno raggiunto la soglia della pubertà (quattordici anni?).
Presso gli Ebrei, la circoncisione, che nei testi biblici appariva al principio
come un rito di iniziazione al matrimonio, diventa durante l’esilio, nel corso del VI
secolo a. C., un rito che indica l’appartenenza al popolo eletto, segno dell’Alleanza
(ot berit kadesh) conclusa dal Dio d’Israele con Abramo [3, p. 2]. I traduttori
Alessandrini della Bibbia insistono sull’importanza del comandamento e prendono
posizione a favore del principio che colloca la circoncisione al di sopra del riposo
sabbatico.
La circoncisione non è stata ignorata dai Greci. Dal V secolo a. C. Erodoto
[4b, p. 2-3] oppone i popoli che la praticano “fin dai tempi più antichi”, cioè gli
Egiziani, gli Etiopi e gli abitanti della Colchide, una regione situata tra il Caucaso e
la Georgia, a quelli che hanno mutuato questo uso dagli Egiziani, quali i Fenici e i
“Siriani di Palestina”, che Flavio Giuseppe ha identificato con gli Ebrei. Erodoto è
dunque al corrente di un uso che gli Ebrei dividono con qualche altro popolo
secondo l’esempio degli Egiziani, e che egli condanna: egli comprende che gli
Egiziani possano farsi circoncidere “per pulizia” poiché è meglio essere puliti che
“avere un bell’aspetto” [4, p. 2], ma a loro preferisce quei Fenici che, frequentando
la Grecia, rinunciano ad imitare gli Egiziani e non praticano più la circoncisione sui
loro discendenti. Al contatto con la cultura greca, superiore per definizione secondo
Erodoto, si abbandona il costume barbaro.
*
I richiami in grassetto si riferiscono al materiale documentario allegato.
1
Le riserve nei confronti della circoncisione, abbastanza discrete in Erodoto, si
evolvono in sorprendenti fantasie sotto la penna di Strabone, che associa la
circoncisione alla castrazione e all’escissione della donne, e fa di quest’ultima una
pratica tipicamente ebraica, cosa che è un evidente falsità. Le diverse pratiche
chirurgiche riguardanti gli organi genitali vengono confuse: vedremo fra poco le
conseguenze di questa confusione nella legislazione romana all’epoca degli
Antonini. Gli scrittori romani amplificheranno la critica contro la pratica della
circoncisione in uso tra gli Ebrei, tanto che in una pagina tristemente famosa di
Tacito questa critica diventa un vero e proprio delirio antiebraico [6, p. 3-4].
È in questo contesto che si leverà una polemica alla quale parteciperanno gli
Egiziani, gli Ebrei, i cristiani nel ruolo dei principali attori, così come il potere
imperiale, al tempo stesso parte in causa e arbitro. L’antropologia greca suggerisce al
diritto romano delle soluzioni che sono all’origine di un conflitto le cui tracce non
sono state ancora cancellate.
2. - Circoncisione e battesimo
L’avversione dei pagani greci e romani nei confronti della circoncisione
poneva un problema alla Chiesa nascente. I primi cristiani sono degli Ebrei che
hanno riconosciuto nella persona di Gesù di Nazareth il Messia annunciato dai
profeti d’Israele; costoro si adeguano ai comandamenti religiosi dell’ebraismo, a
cominciare dal rito dell’Alleanza. Ma l’apertura del cristianesimo al mondo pagano
fa sorgere la questione del ruolo dei riti ebraici nella conversione al cristianesimo: si
può diventare cristiani senza prima farsi ebrei?
Conosciamo la risposta, formulata chiaramente da Paolo di Tarso. La
circoncisione non è niente, il prepuzio non è niente; quello che importa, precisa nella
prima epistola ai Corinzi, è osservare fedelmente i comandamenti di Dio [7a, p. 4]. I
pagani-cristiani non devono sottomettersi al rito dell’Alleanza abramica, annuncia
Paolo ai Galati; un suo stretto collaboratore, Tito, un notabile greco di Antiochia,
convertito al cristianesimo senza essere stato costretto a passare per la circoncisione,
serve da esempio. Nell’epistola ai Romani, una comunità per la maggioranza paganocristiana, Paolo insiste sull’importanza della circoncisione del cuore, metafora che
prende dai profeti d’Israele e che ora serve la missione cristiana nel mondo dei
gentili [7b, p. 4]. Dal momento che la vera circoncisione è quella che non è fatta
dalla mano dell’uomo [Col., 7c, p. 4], un crudele gioco di parole trasforma la
circoncisione fisica (peritom») in mutilazione (katatom») e permette a Paolo di
concludere: siamo noi, i cristiani, la vera circoncisione (peritom») [7d, p. 5]
A questa retorica corrisponde una decisione normativa in seno alla Chiesa. Ad
Antiochia, importante centro cristiano, degli ebreo-cristiani avvertono i seguaci del
cristianesimo provenienti dal mondo pagano che senza la circoncisione e la
sottomissione alla Legge di Mosé la salvezza è impossibile: si tratta di quello che
2
tradizionalmente viene chiamato “l’incidente di Antiochia”. L’assemblea di
Gerusalemme, riunita probabilmente nel 49 d. C., risolve la questione in uno stile che
ricorda quello dei decreti delle città greche [8, p. 5]: allo Spirito Santo e ai membri
dell’assemblea sembrò opportuno (œdoxen) di non imporre ai “ fratelli d’origine
pagana” che lo stretto necessario: astenersi cioè dalle carni sacrificali pagane (i cui
resti erano venduti al mercato a basso prezzo), dal sangue, dagli animali soffocati e
dalla porne…a, parola tradotta correntemente con “immoralità” o “fornicazione”, che
si riferisce in questo caso alle unioni tra parenti stretti collaterali, largamente
praticate dai Greci, ma proibite dalla legge biblica.
Nonostante questo la circoncisione ebraica può essere utile ai cristiani. Paolo,
che si è opposto alla circoncisione di Tito, ha fatto lui stesso circoncidere Timoteo,
di padre pagano e madre ebrea e, di conseguenza, non ebreo per i suoi
contemporanei: la circoncisione, realizzando la conversione all’ebraismo, gli apriva
l’accesso della sinagoga e facilitava la sua azione tra gli ebreo-cristiani. Nel suo
commentario all’epistola ai Galati [8b, p. 5], Gerolamo constata che, di fronte
all’autorità romana, è meglio per un cristiano essere circonciso che non circonciso.
La situazione qui analizzata riguarda il periodo compreso tra l’incendio di Roma del
64, la cui responsabilità fu attribuita da Nerone ai cristiani, e l’inizio del regno di
Adriano, nel corso del quale la circoncisione diventerà una pratica illegale per la
legge romana. Noi affronteremo questa tappa della nostra analisi con una deviazione
che ci porterà in Egitto.
3. - Al servizio degli dei d’Egitto
Mentre a Roma Perseo ed Orazio, Petronio e Marziale, Tacito e Giovenale
deridono gli “Ebrei scuoiati”, seguaci di un’usanza che trovano tanto ridicola quanto
il rifiuto della carne di maiale e il riposo del sabato, questa stessa usanza era praticata
in Egitto in modo perfettamente ufficiale. Filone di Alessandria, di solito poco tenero
verso gli Egiziani, non esita a lodarli per rafforzare l’elogio della circoncisione con il
quale comincia il suo trattato Delle leggi speciali [9, p. 6]. Dalla metà del II sec. d.
C. all’inizio del III, i documenti papiracei ci fanno conoscere nel dettaglio una
procedura complessa seguita per la circoncisione dei giovani sacerdoti egiziani sotto
il controllo dell’autorità romana.
Questa procedura si apre con una domanda rivolta allo stratego del nomo da
parte dei parenti stretti del candidato che sollecita “secondo l’usanza”, kat¦ tÕ œqoj
(ma in effetti si tratta, come vedremo di un riferimento alla legge in vigore) una
lettera di presentazione al gran sacerdote di Alessandria e d’Egitto, alto procuratore
romano incaricato dell’amministrazione dei culti, affinché con la sua approvazione, il
ragazzo possa essere circonciso [10, p. 6-7]. Lo stratego ordina un’inchiesta
sull’attitudine del candidato presso un collegio di sacerdoti locali. Il risultato di
questa inchiesta gli viene comunicato sotto forma di avviso di perizia (prosfènhsij)
3
che verte sull’appartenenza del candidato all’ordine sacerdotale (ƒeratikÕn gšnoj)
[11, p. 7]. Lo stratego può allora rilasciare ai richiedenti la lettera, che questi
avevano richiesto; essa vale come proposta di autorizzazione alla circoncisione [12,
p. 8]. Muniti di questa lettera, i richiedenti devono presentare il candidato al gran
sacerdote al quale spetta la decisione finale, pronunciata sotto forma di sentenza
giudiziaria, con la collaborazione dei rappresentanti dell’alto clero, presenti
all’udienza in qualità di esperti [13, p. 8-9].
Un simile rigore e tante seccature amministrative per far rispettare un costume
locale risalente all’epoca dell’Antico Regno? La procedura è lunga e tortuosa. La
preoccupazione che l’autorità romana nutriva nei confronti dei diritti e dei doveri del
clero egiziano, e di cui conosciamo altre manifestazioni, da sola non è sufficiente a
giustificare l’attivazione di una procedura così complessa con una decisione
giudiziaria riservata alla competenza di un procuratore ducenario: noi siamo in
presenza di una situazione che traduce un’eccezione ordinata all’interno di un
dispositivo legislativo in vigore su scala imperiale. Sarà opportuno pertanto
esaminare i testi giuridici che ci permettono di precisare questo punto.
4. - Nuova applicazione di una vecchia legge
All’epoca repubblicana la pratica della circoncisione non era certamente al
primo posto tra le preoccupazioni del legislatore romano. Ma sotto l’Impero, di
fronte a pratiche frequenti presso gli Orientali e condannate dai Romani, si manifesta
una reazione. Una prima misura fu presa da Domiziano: “è vietato castrare i maschi”
(castrare mares vetuit), ci informa Svetonio, senza farci conoscere la forma e la data
di questo divieto all’interno di un regno che durò una quindicina d’anni (81-96 d.
C.). Il contesto indica una legge imperiale tendente a ridurre degli abusi nel dominio
del traffico degli schiavi [14, p. 9]. Un senato consulto, votato sotto Nerva nel 97 d.
C., ha consolidato la legge di Domiziano [15a-c, p. 9-10]. Il divieto della castrazione
è sanzionato dalla pena della deportazione in virtù della lex Cornelia de sicariis et
veneficis, una vecchia legge di Silla (81 a. C.) che condannava l’omicidio e
l’avvelenamento e che resterà in vigore sino all’epoca di Giustiniano [15b, p. 9,
Marcianus].
Sotto il regno di Adriano questa legislazione si allargò e si rinforzò. Un
rescritto di questo imperatore, conservato nel Digesto grazie ad Ulpiano, lo
testimonia [15a, p. 10]. Adriano si riferisce dapprima alla legislazione precedente
(costitutum est ...). Vengono poi delle novità dovute ad Adriano stesso (plane, etc.).
L’imperatore impone ai governatori delle province il dovere di istruire tutti i processi
in materia di castrazione, qualunque sia lo statuto del querelante. La castrazione è
vietata in ogni caso, sia che la vittima sia un uomo libero o uno schiavo, sia che essa
sia avvenuta contro la volontà del soggetto o che questi si sia sottoposto di sua
volontà a questa operazione. Un altro rescritto dello stesso imperatore, riportato da
4
Paolo, contemporaneo di Ulpiano, parimenti in un trattato De officio proconsulis
[16c, p. 10 i.f.], preciserà che tutte queste disposizioni si applicano anche
all’evirazione ottenuta con la compressione ripetuta dei testicoli (thlibias facere).
L’ultima frase del primo rescritto ci interessa in modo particolare [16b, p. 10].
Rinvia ad un editto di Adriano (edictum meum) che istituisce la pena capitale per il
chirurgo che “recide” (medico .... qui exciderit) e per l’individuo che si sottopone
spontaneamente a questo intervento (qui se sponte excidendum praebuit). Senza
dubbio excidere è un verbo che si adatta alla castrazione. Ma le espressioni qui
exciderit e qui se sponte excidendum praebuit non avrebbero molto senso qui, se
fossero semplicemente un doppione di castrare e se sponte castrandum praebere,
casi già individuati nel rescritto riportato da Ulpiano. Il verbo latino excidere, come
il suo derivato italiano “escindere” (rimuovere, tagliando, una parte dell’organo, un
frammento del tessuto organico), può essere usato anche per altre parti del corpo.
Excidere praeputium è immaginabile tanto quanto excidere testiculos. Se oggi,
parlando di escissione, si pensa prima di tutto all’ablazione del clitoride che ci lascia
sconvolti, il legislatore romano, sconvolto dalla circoncisione, poteva pensare
innanzitutto all’ablazione del prepuzio. Ha così assimilato la circoncisione alla
castrazione.
Siamo in presenza di una decisione che sarà carica di conseguenze: l’editto di
Adriano estende alla circoncisione le misure penali collegate alla proibizione della
castrazione. Per il legislatore imperiale la circoncisione non è che un modo della
castrazione. Il diritto ratifica così la confusione che regnava da lungo tempo negli
spiriti e negli autori greci e latini che li riecheggiavano.
Per gli Ebrei e per gli Egiziani, per i quali il rito dello circoncisione aveva
un’importanza vitale, la legge di Adriano fu un disastro. Non mancò di suscitare
proteste e una doppia eccezione venne introdotta nella legislazione in vigore. Gli
Egiziani, cari ad Adriano, ottennero rapidamente soddisfazione: il privilegio che
autorizzava la castrazione dei loro sacerdoti dovette essere promulgato
immediatamente dopo l’editto in questione. Gli Ebrei invece dovettero attendere più
a lungo. È possibile proporre una cronologia dell’attuazione di questo dispositivo
legislativo confrontando i testi giuridici di cui si è parlato con i dati riguardanti
queste due eccezioni. Ritorniamo innanzitutto in Egitto: se riusciremo a fissare la
data del privilegio concesso ai sacerdoti egiziani, conosceremo quella dell’editto di
Adriano. Le cose diventeranno più chiare allora per la parte del conflitto che si gioca
tra l’autorità imperiale e gli Ebrei.
5. - “Grandi sacerdoti di Alessandria e d’Egitto” ed editto imperiale
Il destinatario del rescritto citato dal giurista Paolo a proposito del thlibias
facere è identificabile: si tratta del proconsole d’Asia Ninnius Hasta, in carica dal
130 d.C. [16c, p. 10 i.f., già citato]. Questo rescritto, che rinvia alla legislazione in
5
materia di castrazione appare come un complemento a quello che è riportato da
Ulpiano, e il cui destinatario rimane sconosciuto. Abbiamo dunque, per cominciare,
un periodo di tempo compreso tra l’8 agosto 117, data dell’ascesa al trono di
Adriano, e il 130. Possiamo tuttavia datare con una maggiore precisione l’editto al
quale si riferisce l’imperatore. La datazione deriva da quanto la papirologia ci fa
sapere a proposito della carica di grande sacerdote di Alessandria e d’Egitto,
procuratore romano che gioca un ruolo centrale nella procedura instaurata per
l’attuazione del privilegio accordato agli Egiziani.
Lo studio dei documenti papiracei permette di osservare, e questa è una novità
importante, che questa carica è stata istituita da Adriano tra il giugno e l’agosto del
120 d. C., verso la fine del quarto anno egiziano del suo regno: è la data che figura
nell’editto del perfetto d’Egitto T. Hasterius Nepos riguardante il regolamento
interno dei templi egiziani, un capitolo (kef£laion) del quale è conservato nel papiro
Fouad 10 [17b, p. 11 ultima riga]. Altri frammenti di un editto dello stesso prefetto
riguardanti la medesima materia sono stati ritrovati nella collezione di Yale [17a, p.
11]; il prefetto prendeva atto di una decisione dell’imperatore Adriano che “ha
istituito (katast»saj) il grande sacerdote dei divini Augusti e del grande Serapide e lo
ha preposto ai templi d’Alessandria e d’Egitto”. Poiché è praticamente certo che i
due papiri appartengono ad un solo ed unico atto legislativo, la data rivelata dal
papiro Fouad indica che la carica del grande sacerdote d’Alessandria e d’Egitto è
stata istituita da Adriano all’inizio del 120 d. C. E poiché l’istituzione di questa
carica non è svincolabile dal privilegio accordato al clero egiziano in materia di
circoncisione, essendo l’editto che li privilegia databile all’estate del 120 d. C.,
l’editto che egli modificava deve essere dall’inizio dello stesso 120 d. C. Il rescritto
che precisa la regolamentazione in materia di castrazione, riportato da Ulpiano
risalirà ai primi anni del regno di Adriano, 118 o 119 d. C.
Grazie all’Egitto abbiamo dunque fissato la data dell’editto di Adriano che
proibiva la circoncisione nell’Impero. Al tempo stesso abbiamo visto come sia stata
subito regolata la parte della controversia che sorgeva a questo proposito tra il potere
romano e il clero egiziano. Resta il conflitto tra questo stesso potere imperiale e gli
Ebrei.
6. -”Ora della distruzione” e falsi prepuzi
Una cosa è sicura. Gli Ebrei hanno dovuto aspettare il regno di Antonino Pio
(138-161 d. C.) per beneficiare a loro volta di un privilegio simile a quello che
Adriano aveva accordato agli Egiziani. La notizia viene da Modestino, l’ultimo
giurista classico, che indica il successore di Adriano come l’autore di un rescritto che
autorizzava gli Ebrei, senza dubbio verso il 150 d. C., a circoncidere i loro figli [20,
p. 12].
6
Passiamo a un secondo punto, più delicato: i rapporti di causa ed effetto tra la
proibizione della circoncisione e la rivolta di Bar-Kokhba che ha sollevato gli Ebrei
contro l’impero romano dal 132 al 135. Secondo Dione Cassio, la rivolta avrebbe
avuto come causa l’intenzione di Adriano di fondare una colonia romana, con un
tempio pagano, nell’area di Gerusalemme. Invece, una frase della Vita di Adriano
nell’Historia Augusta presenta la rivolta come una conseguenza del divieto della
circoncisione: “Gli Ebrei a loro volta, nella loro impetuosità, iniziarono una guerra,
poiché veniva proibito loro di tagliare le parti genitali” - quo vetabantur mutilare
genitalia [18a, p. 11]. Ma come è possibile che Adriano, sovrano realista, abbia
potuto prendere una decisione che avrebbe avuto come immediata conseguenza,
altamente indesiderabile dal punto di vista politico, una nuova insurrezione ebraica
solo quindici anni dopo l’annientamento di quella del 115-117? La proibizione in
questione non farebbe parte piuttosto delle misure repressive, essendo le cause della
rivolta da cercare altrove?
Alla luce della nostra inchiesta, è escluso che la proibizione della
circoncisione sia stata una misura di ritorsione da parte di Adriano contro i rivoltosi:
in effetti abbiamo visto che era anteriore di più dodici anni a questa rivolta e che non
prendeva di mira esclusivamente gli Ebrei poiché era concepita come una misura
generale su scala imperiale. Al contrario l’editto di Adriano ha potuto contribuire alla
scoppio della rivolta. Senza esserne l’unica causa, né la più importante, come lascia
intendere l’Historia Augusta, ha potuto essere la prima molla di un meccanismo che
doveva mettersi in moto, quando nel corso del suo viaggio in Oriente nel 128-130
Adriano ha deciso di trasformare Gerusalemme in Aelia Capitolina.
Un testo rabbinico ci informa che “all’epoca di Bar-Kokba molti Ebrei si
fecero circoncidere un’altra volta, ebbero figli e non morirono”. Si tratta di individui
che, seguendo l’esempio offerto dai “modernisti” del tempo di Antioco Epifane, si
fecero rifare un prepuzio attraverso un’operazione chiamata epispasmos, ancora in
uso tra gli Ebrei ellenizzanti sotto l’alto Impero, secondo la testimonianza delle
lettere paoline. Altre fonti rabbiniche riguardanti la stessa epoca, si riferiscono a
misure ostili alla religione ebraica prese al tempo di Adriano, parlano di un “tempo
di pericolo”, al quale si sostituisce altrove “il tempo dello sterminio” (shaat
hashmad, letteralmente: “ora della distruzione”). Nello stesso contesto, il Talmud di
Babilonia evoca un “decreto”, gezera, termine armeno che nel linguaggio dei rabbini
indica correntemente delle decisioni rivolte contro il culto ebraico.
La gezera imperiale non è altro che l’editto di Adriano del 120 che estende alla
circoncisione le sanzioni penali della legge Cornelia de sicariis, alla quale potrebbe
rinviare parimenti il termine sikarikon (]qyrqy ) nei Talmud. Si comprende
facilmente che alcuni individui, mettendosi in sintonia con la legge romana, hanno
dovuto ricorrere alla chirurgia estetica per avere, come avrebbe detto Erodoto, “un
miglior aspetto”. Nell’entusiasmo della rivolta, se non sotto la costrizione di BarKokhba, hanno rifatto la loro circoncisione, mentre il loro gesto veniva in seguito
integrato nella discussione dei rabbini sull’utilità di una circoncisione reiterata, sotto
il doppio aspetto religioso e medico.
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Illogico agli occhi degli storici da un punto di vista politico, il comportamento
di Adriano di fronte agli Ebrei potrebbe spiegarsi in un modo più prosaico con
ragioni di procedura. In Egitto, il privilegio accordato ai sacerdoti prende in
considerazione un rito di passaggio alla soglia della pubertà. Una lunga procedura
per le autorizzazioni individuali, come quella che ci fanno conoscere i papiri, non è
applicabile nel caso di un rito d’integrazione praticato su neonati di otto giorni. Il
privilegio ebraico non poteva essere accordato che in blocco, per tutti i bambini
maschi, cosa che non sarebbe stata priva di rischi per il rigore dell’editto imperiale. È
questa difficoltà di ordine formale, piuttosto che una scelta personale, che ha fatto
esitare Adriano davanti all’idea di accordare agli Ebrei quello che aveva appena
accordato agli Egiziani. Antonino Pio è andato oltre, fissando dei limiti molto stretti
all’eccezione di cui gli Ebrei avrebbero beneficiato. Queste esitazioni della
legislazione imperiale gettano luce sulle motivazioni e sul suo scopo.
7. - “Mutilatio Genitalium” e “Humanitas” del principe
Ma perché l’imperatore Adriano volle inasprire ed estendere le misure
decretate dai suoi predecessori? All’inizio del III secolo, il giurista Marciano,
commentando la legge Cornelia nelle sue Istituzioni [15a, p. 9, già visto], ci offre
retrospettivamente chiarimenti sulla finalità di questa legislazione: tendeva ad
impedire la castrazione degli schiavi per uno scopo erotico o commerciale, libidinis
vel promercii causa. Su questo punto i giuristi classici condividono con i poeti latini
una tendenza nutrita dell’ideale stoico che contesta l’idea di uno schiavo naturale
cara invece ad Aristotele. Essi prendono la difesa dello schiavo come essere umano e
non esitano a dichiarare contraria alla natura l’istituzione stessa della schiavitù.
Il traffico di eunuchi per il servizio e il piacere dei ricchi aveva assunto sotto
l’Alto-Impero dimensioni che resero necessario un intervento del legislatore. Quanto
alla libido, si pensi a quelle dame romane di cui parla Giovenale: è per il piacere
della sua padrona che un bel giovane è fatto eunuco. Come altri autori antichi,
Giovenale sa, in accordo con la scienza medica, che la castrazione subita dopo la
pubertà non annienta la capacità virile; egli biasima le svergognate che si procurano
amanti, la cui sterilità è garantita, tra gli schiavi della loro familia, mentre i ragazzi
operati troppo giovani, totalmente impotenti, che propongono i mercanti di schiavi,
non presentano per loro alcun interesse. A lui si uniscono Marziale e Stazio che
lodano Domiziano per la sua legge che impone un limite all’arbitrio e alla violenza
dei padroni e alla cupidigia dei mercanti di schiavi.
Insomma, Adriano agì, sotto l’influenza di una certa filosofia greca, come il
difensore dell’humanitas che egli invocava sin dal 119, quando dichiara, nella sua
lettera al prefetto d’Egitto Q. Rammius Martialis, di interpretare “in un modo più
umano”, filanqrwpÒteron, le decisioni degli imperatori che l’hanno preceduto,
riguardanti in questo caso i diritti di successione dei figli dei soldati. La sua
8
humanitas ispira le misure che apportano un miglioramento della condizione servile.
L’antroprocentismo costituisce la base sulla quale la giurisprudenza classica di età
tarda si accinge ad elaborare una dottrina relativa alla mutilazione degli organi
genitali.
Si considererà come acquisito che parlando di mutilare genitalia l’Historia
Augusta usa un termine tecnico: si tratta di un crimine specifico, che è rappresentato
da ogni intervento chirurgico tendente a modificare la naturale configurazione di
questi organi per uno scopo commerciale o per la soddisfazione di piaceri sregolati
(promercii aut libidinis causa), in qualunque modo avvenga, per recisione o per
compressione dei testicoli (thlibias facere). I testi tacciono sulla recisione del
clitoride, ma l’ablazione del prepuzio resta assimilata alla castrazione. La sanzione di
questo crimine si basa sempre sulla legge Cornelia, poiché le mutilazioni proibite
erano considerate come attentati all’integrità fisica di un individuo paragonabili
all’omicidio e all’avvelenamento. Questa sanzione comporta la pena di morte per i
colpevoli comuni e il bando (deportatio) o l’esilio perpetuo (relegatio),
accompagnato dalla confisca dei beni per i membri delle classi superiori
(honestiores). Come nell’editto di Adriano, il chirurgo (medicus, il mohel ebraico) è
punito con la morte.
Sono possibili delle eccezioni. La legislazione imperiale del II secolo d. C.
proibiva la castrazione in ogni caso, con il consenso del soggetto, libero o schiavo, o
contro il suo volere; l’autore delle Sentenze di Paolo non parla invece che di una
castrazione imposta (hominen invitum) [21a, p. 12]. Questo lascia supporre che il
diritto “tardo-classico” tollerava la castrazione volontaria. La modificazione del
diritto in vigore su questo punto poté verificarsi dal II secolo, dopo la morte di
Adriano. Giustino martire ci riporta il caso di un cristiano di Antiochia che
sollecitava presso il prefetto d’Egitto L. Munatius Felix, dunque verso il 150-154, il
permesso di farsi castrare, poiché i medici che aveva contattato a questo proposito gli
avevano detto che non potevano farlo senza il permesso dell’autorità provinciale; pur
essendo stata rifiutata l’autorizzazione, “egli è restato fermo sulla sua decisione
avendo la coscienza tranquilla di fronte a quanti la pensavano come lui”. Come a dire
che si castrò da solo. Origene farà lo stesso, senza apparentemente dover subire le
conseguenze penali del suo gesto. Senza dubbio entrambi hanno preso alla lettera il
testo del Vangelo secondo Matteo che parla di coloro che “si sono fatti eunuchi da
soli per il regno dei cieli”.
Noi siamo meglio informati sulle eccezioni riguardanti la circoncisione.
Poiché la mutilatio non era illegale se non quando era compiuta libidinis vel
promercii causa, la circoncisione resta lecita quando è effettuata per uno scopo
religioso, a condizione che questo sia espressamente formulato in un testo normativo.
Il caso di Elagabalo, circonciso come sacerdote siriano del dio Sole, non rientra in
questo quadro: principi omnia licet. Le soli eccezioni che rimangono formalmente in
vigore sono quelle che noi già conosciamo e che riguardano i sacerdoti egiziani e gli
Ebrei. E sono rigorosamente limitative. Per gli Egiziani, l’eccezione è a favore solo
9
dei figli dei sacerdoti in senso stretto, con eseclusione del personale subalterno dei
templi; per gli Ebrei, esclude i proseliti e gli schiavi che non sono di origine ebraica.
8. - Diritto romano, madri ebree, Chiesa cristiana
L’ansia di umanità ispirante la legislazione romana che cercava di proteggere
l’integrità fisica dello schiavo non ha portato, lo sappiamo, all’abolizione della
schiavitù a Roma. Non ha nemmeno impedito al proselitismo ebraico, pur lasciando
un campo molto limitato alla pratica della circoncisione, di continuare a funzionare
al margine dell’ordine legale. È sufficiente citare le costituzioni costantiniane che
condannano la conversione all’ebraismo, ricordano agli Ebrei che è loro vietato
circoncidere gli schiavi che non siano ebrei di nascita e minacciano la liberazione
degli schiavi non ebrei vittime di circoncisione.
Proibendo la circoncisione, e poi rendendo legalmente impraticabile la
conversione all’ebraismo, il diritto romano ha gravato con tutto il suo peso sulla
trasformazione dello statuto personale degli Ebrei operata dalla Michna verso il 200
d. C. per i secoli successivi. Nel I secolo d. C., una tal principessa erodiana poteva
sposare un pagano se questi si faceva convertire, cioè se accettava di farsi
circoncidere e si impegnava ad osservare per il futuro i principi dell’ebraismo. Dopo
l’editto di Adriano del 120 questo genere di legame diventava impossibile e Antonio
Pio non ha cambiato niente a questo riguardo: la circoncisione indispensabile per la
conversione all’ebraismo, in vista del matrimonio o per “puro” proselitismo, è ormai
illegale.
Dopo le grandi catastrofi della fine del I secolo d. C. e della prima metà del II,
la situazione demografica ebraica è di crisi mortale per la scarsezza di uomini. In un
regime familiare che a una stretta monogamia combinava il principio in virtù del
quale la condizione del bambino era determinata da quella di suo padre, un uomo che
aveva una figlia da sposare e che non trovava per lei un marito ebreo doveva
rassegnarsi all’idea che i suoi nipoti, nati da madre ebrea e da padre non ebreo,
sarebbero stati a loro volto non ebrei. Alla lunga, si trattava di una shoah
demografica. Per sfuggire a questo pericolo, si rese necessario trasferire alla sola
madre la responsabilità per la sopravvivenza del popolo ebraico. La discendenza
patrilineare fu sostituita da quella matrilineare, in accordo con la norma romana
secondo la quale il bambino segue lo statuto di sua madre (partus matrem sequitur).
Quanto ai cristiani, la legislazione imperiale ha sostenuto e accelerato il
processo, cominciato alla metà del I secolo che doveva condurre la setta ebrea dei
discepoli di Gesù di Nazareth a diventare una religione universale, più greca che
mosaica. La comunità ebreo-cristiana di Alessandria è scomparsa durante la guerra
del 115-117. Quella di Gerusalemme è sopravvissuta alla catastrofe del 70; è solo
dopo la rivolta di Bar-Kokhba che nella nuova città di Aelia appare un primo
vescovo pagano-cristiano [19a, p. 12]. In seguito, si troverà sempre qualche cristiano
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che pratica la circoncisione, senza attribuirvi un’importanza fondamentale - i
nazareni nel IV secolo, i passagini nel XII, i Copti d’Egitto e d’Etiopia oggi. Ma
come realtà umana gli ebreo-cristiani erano condannati a sparire, come lo furono
anche altre sette ebraiche- i sadducei, gli esseni, gli zeloti. Nel futuro, l’ebraismo
farisaico, unico sopravvissuto del molteplice mondo ebreo dell’epoca del Secondo
Tempio, dovrà affrontare la diffidenza e l’ostilità crescente della Chiesa nate dal
mondo pagano.
In questa nuova configurazione dei rapporti tra Ebrei e Cristiani, il diritto
romano ha giocato un ruolo importante, come responsabile di divisione piuttosto che
come elemento catalizzatore. Lo studio delle “manipolazioni” genitali aiuta così a
chiarire un punto fondamentale della disputa - e dunque anche del dialogo - ebraicocristiano. Per rendercene pienamente conto, abbiamo dovuto interrogare i documenti
papiracei riguardanti lo statuto del clero egiziano sotto l’Impero. Greci, Egiziani,
Romani, Ebrei: i legami che l’antropologia intrattiene con il diritto sono complessi e
richiedono il ricorso a fonti apparentemente molto lontane le une dalle altre. Così
questo incontro milanese sarà stato l’occasione per confermare i pregi di una ricerca
interdisciplinare che intende confrontare ed analizzare testimonianze di origine e di
natura diverse, al di là delle chiusure tradizionali.
(traduzione a cura di Elena Iacobelli)
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