IL NEGAZIONISMO PRENDE CASA IN VATICANO
Domenica 01 Febbraio 2009 01:05
di Rosa Ana De Santis
Benedetto XVI ha revocato la scomunica ai vescovi lefebvriani. La Chiesa ha perdonato i figli
prodighi, oppositori storici del Concilio Vaticano II e nostalgici del rito tridentino. Fosse solo
questo, un fatto tutto religioso, tra teologia e liturgia, potrebbe non destare l’interesse
tantomeno lo scandalo che ha invece destato. La notizia però sta altrove. La lista di
dichiarazioni di piombo, cui il Papa ha reagito tardi, con zelo e prudenza, è stata lunga. Troppo
oltraggiosa per essere tollerata nel silenzio. O soltanto per essere tollerata. Inaugurata proprio
nel giorno in cui tutti ricordavano l’Olocausto. Sono vergognose le frasi di Monsignor
Williamson, che in un'intervista al canale televisivo svedese Svt, racconta di un sospetto storico
- a suo parere infondato - sull’utilizzo di morte delle camere a gas. Lui ha altre cifre, prove
diverse che raccontano al massimo di due o trecentomila ebrei uccisi. Nessun programma
stabilito di eliminazione, nessun genocidio. Nessuna Shoah. Il dibattito si accende. Arrivano
moniti e segnali di disorientamento dalle istituzioni. Arriva soprattutto la sonora condanna da
Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. I rapporti tra Vaticano
e Israele si spezzano. Il 29 gennaio sulla
Tribuna di Treviso
, un altro lefrebvriano, don Abrahamowicz, sostiene che “le camere a gas esistevano per
disinfettare”. La comunità dei lefebvriani archivia il caso parlando di una posizione personale.
E’ a questo punto che il silenzio imbarazzante del Vaticano deve interrompersi. Qualcosa va
detto e subito. Non si può continuare a sostenere la natura esclusivamente religiosa della
questione come a voler trovare in questo la scorciatoia per una giustificazione pubblica, per
continuare a tacere e non condannare la natura delittuosa di certe posizioni. Come se l’abito
talare non dovesse valere per ciò che dice e che fa al cospetto di tutti. Eppure questo è il
monito che Bagnasco ha lanciato alla politica laica. La sfida di non chiudere la Chiesa nelle
chiese, di non imprigionare i preti nelle basiliche e dietro agli altari. Di accogliere la voce dei
religiosi nella politica e nelle leggi.
Ma forse il Santo Padre non ha ritenuto immediatamente che non riconoscere la Shoah non
fosse abbastanza per poter scaraventare una condanna severa, come di solito sa fare per
molto meno, contro tale impudenza. Ha ritenuto che, nonostante tutto, questi fossero uomini
degni di entrare nella sua chiesa. Alle parole di don Floriano Abrahamowicz il Vaticano proprio
non può non replicare e lo fa attraverso le parole del suo portavoce. Padre Federico Lombardi
dice senza mezzi toni che “chi non riconosce la Shoah, non riconosce né la croce né Dio”. Così
se nell’Angelus domenicale il Papa parla al popolo e non delega ad alcuno dei suoi le esemplari
condanne per aborto, procreazioni assistite, eutanasia e lo fa con toni durissimi che non
tradiscono alcuna incertezza, in questo caso sceglie il portavoce e una frase in naftalina che
sembra riciclata da un versetto dei testi sacri. Così esprime la sua condanna - in ritardo e senza
la forza di un rabbioso sdegno - al nazismo.
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Viene da chiedersi come la metteranno - a questo punto - con la tesi per la quale la revoca
della scomunica sia un fatto solo religioso e non c’entri con altre questioni. Soltanto poco tempo
fa Raztinger aveva difeso la memoria di Pio XII dalle accuse che lo dipingevano in silenzio di
fronte allo sterminio dell’Olocausto. Beffa di una storia che si ripete con passaggi assai simili.
Ieri erano i nazisti, oggi i negazionisti. E allora, come oggi, il Vaticano cosa fa? Per
“misericordia” perdona questo gruppo di nostalgici misogini, prova “dispiacere” (queste le parole
di Bagnasco) per le affermazioni di Williamson e lascia alla Conferenza Episcopale tedesca il
compito di invitare Williamson a ritrattare le sue posizioni, a chiedere perdono, a ritirare tutto.
Certe cose si possono pensare, non dichiarare.
Williamson, alla fine forse ben consigliato, si scusa con il Papa (e non con gli ebrei) in una
lettera, pubblicata dal sito web Panorama Catolico Interacional. Si rammarica delle angustie
arrecate dalle sue frasi che definisce “imprudenti”. Questo è tutto: imprudenti. Mentre il
portavoce Lombardi si deve dare un gran da fare per sottolineare con quanta chiarezza
Benedetto XVI abbia riconosciuto nel discorso di Auschwitz il male assoluto che li si è
consumato, al cospetto di un Dio che è apparso “silente ed assente". Sembra un paradosso
quello che invece è stato purtroppo necessario.
Si fa fatica a capire a cosa possa servire l’integrazione di questi preti nel cattolicesimo
ufficiale. A stringere ancora meglio la morsa sui riti e i dogmi antichi, a tornare indietro, a
intorbidire la vita della chiesa con personaggi pericolosi quanto spavaldi. Ma forse oltre, molto
oltre il dibattito dottrinario, c’è una questione tutta politica. La setta dei lefebvriani - 600.000
adepti in tutto - opera disconoscendo non solo il Concilio Vaticano II, ma incarna le posizioni
ideologiche e confessionali più reazionarie, contrapposte alla Dottrina sociale della Chiesa
(della quale, del resto, dall’insediamento di Ratzinger si è persa traccia) e offre una sponda
decisa all’intransigenza verso il dialogo interreligioso.
E’ una chiesa dal chiaro sapore medievale, nostalgica della Santa Inquisizione, che dipinge
ulteriormente di nero il già fosco panorama di questo pontificato. Una reintegrazione - quella di
Ratzinger ai lefebvriani - che ha il sapore di un messaggio forte, diretto contro ogni lettura
“progressista” dell’identità religiosa e contro ogni contaminazione della fede con la dimensione
civica dei praticanti. E del resto, la già dichiarata “non obbedienza” d’Oltretevere alle leggi dello
stato, si sposa perfettamente con il ritorno alla restaurazione promosso da un Papa che, della
parte più oscurantista della Dottrina, è stato sempre fautore convinto.
Quello che la Santa Sede non racconta fino in fondo è che persino rimanendo nel solo confine
religioso della scomunica e della sua revoca persiste un problema. Non sono i lefrevbiani a
retrocedere sulla linea della loro teologia, è la Chiesa che volge lo sguardo al passato. E’ quindi
questo il caso di una scomunica e di una revoca che avrà obbligatoriamente, proprio per il
significato religioso che ha, un effetto politico sempre più difficile da controllare. Nessuna
contraddizione tra fede e politica, solo una triste linea di continuità da cui pensavamo di esserci
emancipati.
Se pure volessimo instupidirci e credere che la revoca di una scomunica sia - in questo caso
almeno - un fatto di sola fede, allora il Papa si scomoderà a spiegarci come la religione possa -
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in questo caso, solo in questo - non entrare nel merito di alcune questioni morali e politiche.
Una Chiesa che s’impone attraverso l’ingerenza più sfacciata nelle questioni politiche che non
le appartengono, ma che rinuncia a parlare di politica nell’unico caso in cui in gioco non c’è una
legge o un provvedimento, bensì il valore civile fondativo della società contemporanea.
Ci spiegherà come sia possibile che le chiese siano aperte ai nazisti lefebvriani e chiuse a
Piergiorgio Welby; come sia possibile che Williamson possa celebrare messa mentre i sacerdoti
sandinisti della Teologia della Liberazione sono ancora sospesi a divinis. E soprattutto ci
spiegherà - per aiutarci a capire meglio - se questa fede è la stessa che ha convinto gli alti uffici
del Vaticano a proteggere la fuga per il Sudamerica di alcuni signori come Klaus Barbie,
Friedrich Schwend, Erich Priebke, Adolf Eichmann, Joseph Mengele, Franz Stangl. Il Papa
ricorderà che erano tutti nazisti. Se, incidentalmente, fosse colpito da vuoto di memoria o
nostalgia, glielo ricordiamo noi.
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