Euro, Europa e Mediterraneo - OSSERVATORIO BANCHE IMPRESE

Euro, Europa e Mediterraneo
Abstract: The debate and reflection on the worsening socio-economic situation
and policy in Europe and in the Mediterranean today is deflected by a campaign of
mass distraction that obscures the real problems turning into dichotomies those
that are the real relations of cause and effect. Among these Euro or chaos, Euro or
economic and social crisis, Euro or division and savage competition, etc.
The author shows, through a reconstruction of events, that the causes of the
current economic and social crisis and of the political disintegration of the
European and Mediterranean states are to be found in institutional choices
imposed by some financial-industrial power groups, which have transformed the
Euro-Mediterranean project of peace and cooperation in a plan of war and
competition. The problems are due to policy choices functional to these plans.
Therefore, a political mobilization of the social classes affected by the crisis is
needed to impose different choices and addresses able to put again the Euromediterranean project on the track of its social, economic and territorial cohesion.
1.
I falsi dilemmi
Il dibattito sull’euro, sul quale molto è stato detto e scritto, resta incollato ad
alcune contrapposizioni che non hanno alcuna base reale, né nei fatti storici né nei
dati empirici.
Euro o caos politico e istituzionale nel progetto europeo, quando è ormai un
fatto acquisito che l’euro è la causa primaria dell’attuale situazione di stallo e di
crisi del progetto europeo. Questo per due ragioni. La prima è che la moneta unica
introdotta in alcuni paesi per ragioni di compromesso e opportunità politica tra due
stati europei, la Germania e la Francia, ha introdotto una divisione tra gli Stati
membri dell’UE - tra i 17 dell’eurozona e i 10 che hanno conservato le monete
nazionali - arrestando così quello che era e poteva essere il processo graduale di
una ever closer union. La seconda è che l’auspicato processo di avanzamento verso
forme più strette di cooperazione politica e istituzionale tra gli Stati membri è stato
interrotto e compromesso proprio a causa dell’impopolarità, e quindi della
delegittimazione di entrambi, prodotta dagli orientamenti neoliberisti delle
politiche imposte dalla Troika, cioè dalla BCE, dal FMI e dalla CE come
dimostrato dai referendum popolari in Francia, Danimarca, e dalla loro crescente
impopolarità.
Euro o crisi economica e sociale, quando noi siamo dentro la più grave crisi
economica e sociale del dopoguerra della quale l’euro è divenuto uno degli
strumenti che paralizzano le possibilità di risposta e di politiche economiche
diverse. Gli effetti della crisi prodotta dall’euro e dal sistema di poteri che questo
esprime hanno aggiunto un’ulteriore divisione tra gli Stati membri dell’UE, quella
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tra nord e sud dell’eurozona. Gli eventi dell’ultimo decennio, per ciò che si è fatto
e che non si vuol fare, mettono in evidenza che non si tratta di politiche sbagliate o
di passaggi necessari verso una maggiore efficienza dei mercati e una ripresa dei
sistemi economici dei paesi del sud, ma di una vera e propria attività di rapina dei
risparmi dei cittadini europei e di esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud.
Il successo ottenuto da queste politiche nel raggiungimento degli obiettivi
perseguiti è dimostrato dal fatto che nessuna modifica è stata apportata alle
politiche e al sistema di potere che ha causato la crisi, e che provvedimenti nella
stessa direzione sono stati messi in atto nel corso degli ultimi mesi in preparazione
di una nuova rapina nel prossimo autunno. Come documentato nell’indagine
ufficiale statunitense sulle cause e la responsabilità della crisi del 2008 (Financial
Crisis Inquiry Commission, Financial Crisis Inquiry Report, 2011) non si è trattato
di avidità personale e corruzione, ma del fatto che, come scrive il Rapporto, dagli
anni Ottanta sono state rimosse gradualmente tutte le forme di regolamentazione
introdotte dopo la crisi degli anni Trenta senza introdurne di nuove. Oltre alle
responsabilità del direttore generale della FED Alan Greensplan che realizzò le
idee neoliberiste rimuovendo ogni controllo, il Rapporto attribuisce le maggiori
responsabilità agli istituti di rating (Moodys, Standard & Poor or Fitch) che
valutarono a pieni voti (AAA) i nuovi strumenti finanziari e crediti dubbiosi
alimentando così la loro attrazione e legittimità verso i risparmiatori e i fondi
pensione. Al contrario degli Stati Uniti, né l’Italia né l’Unione Europea, hanno mai
investigato quegli stessi eventi e i responsabili sono anzi stati promossi a incarichi
di governo e al vertice BCE.
Euro come base per un’alleanza sociale, e per nuove politiche economiche di
ripresa e innovazione dei sistemi produttivi (eurobonus, Tobin tax o altri simili
strumenti). Proposte tutte ben documentate e discusse ma puntualmente respinte o
rielaborate per renderle impotenti, il che dimostra la loro inconciliabilità con le
politiche monetarie perseguite. Al contrario, l’euro ha introdotto una divisione tra
paesi e tra gruppi sociali diversi che si è cementata con il diffondersi di una cultura
che trova la sua più velenosa espressione nel “noi non siamo come i greci”, “l’Italia
è superiore alla Spagna”, ecc. La concorrenza sullo spread e sul rating ha
introdotto un elemento di divisione tra Stati che tende a diventare un elemento
fondamentale del sentire comune. Questo è stato fatto invece di unire i popoli
dell’Europa del sud in un’opposizione e in un fronte politico comune per imporre
ai paesi dell’euro nord una nuova negoziazione che rimetta sui binari il processo
d’integrazione europea e tornando anche a un sistema monetario unico dei 27 paesi
dell’UE.
Le ragioni del continuo riproporsi di queste contrapposizioni e false alternative
sono diverse. Tra queste la più comune, a mio avviso, è la confusione che si fa tra
processi reali e processi istituzionali, mentre la distanza tra i primi e i secondi, in
modo particolare nell’Unione Europea, è enorme e paradigmatica. Esiste un
percorso evolutivo di pensiero nell’Unione Europea intorno all’idea del modello
sociale europeo (coesione sociale interna negli Stati e tra Stati), e della
cooperazione economica e pacifica con altri grandi aree e meso-regioni (co80
sviluppo) proclamato e continuamente riaffermato ma a fronte di una realtà politica
e istituzionale che questi obiettivi contraddice e combatte. L’affermazione continua
di democrazia e di diritti dei quali sono pieni i trattati e documenti dell’UE non ha
alcun riscontro nelle scelte politiche e istituzionali adottate da Maastricht in poi.
Dopo l’89 i ben noti <deficit democratico>, <deficit sociale>, deficit strutturale>
dell’UE si sono aggravati e organicamente inseriti nelle nuove configurazioni della
governance europea. Tuttavia le dichiarazioni sono potenti armi di distrazione di
massa che consentono ai sindacati e ai governi di portare a casa principi e diritti ai
quali fanno puntualmente seguito decisioni contrarie che hanno ridotto sia i primi
sia i secondi al ruolo di valletti del potere. In parallelo questo alimenta la cultura
dei principi e dei diritti che tiene occupate le accademie con sofisticate elaborazioni
giuridiche e di “scienza” sociale e mobilita sul nulla gran parte dei movimenti della
società civile.
2.
Il sistema monetario europeo (SME)
Gli eventi successivi al 2008 hanno diffuso la convinzione, o almeno il sospetto,
che l’Unione Economica e Monetaria istituita nel 1999 sia stata costruita su
premesse sbagliate e su un numero troppo ampio di paesi. I 17 paesi dell’eurozona
hanno differenze troppo forti nelle loro strutture economiche e preferenze politiche
che impediscono di trarre vantaggio da una moneta comune. Al contrario, si
accrescono le differenze tra i paesi partecipanti come mostra con tutta chiarezza
l’aumento della disoccupazione e il declino dei sistemi produttivi d’interi paesi e
aree. Poiché al centro dell’attenzione ci sono i sistemi monetari è opportuno
ripercorrere brevemente questo percorso storico.
Il sistema monetario in vigore in Europa nel secondo dopoguerra era quello
deciso dagli Accordi di Bretton Wood (1944) e rimasto in vigore fino al 1971. Il
sistema prevedeva un corso fisso con ridotte possibilità di variazione per le monete
nazionali. Fu la decisione degli Stati Uniti nel 1971 di sganciare il valore del
dollaro dall’oro, al quale facevano riferimento anche gli Stati europei, che spinse i
paesi della Comunità Europea a istituire un sistema monetario europeo basato su
una cooperazione tra valute nazionali.
Nacque così il Sistema Monetario Europeo (SME), detto anche Serpente
Monetario Europeo, con un rapporto di cambio fisso e limitata possibilità di
variazione delle valute nazionali (-/+ 2¼ %). Il sistema, in vigore dal 1971, fu
aggiornato con l’introduzione di un nuovo meccanismo di cambio valutario
(ERM2) nel 1979. La fissazione del corso fisso non impedisce ovviamente la
possibilità di rinegoziare questo rapporto sia verso i singoli paesi sia le autorità
centrali monetarie. La ragione di questi aggiustamenti è che si rendono necessari al
variare delle condizioni di concorrenza dei sistemi produttivi e quindi una revisione
semestrale è raccomandabile. Il limite rivelatosi con il primo serpente monetario
(ERM1) fu quello che gli aggiustamenti dei corsi valutari non avveniva a brevi
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intervalli e che il margine di variazione consentito (-/+2 ¼ /%) era troppo limitato.
Questo dette spazio alla speculazione di inserirsi in queste rigidità imponendo così
rapporti reali di cambio maggiori di quelli previsti, come avvenne nel 1992 quando
George Soros costrinse la Gran Bretagna e l’Italia a uscire dal serpente monetario.
In conseguenza di questa crisi lo SME fu rinegoziato consentendo ai singoli Stati
una più rapida reazione nell’aggiustamento dei corsi di cambio in caso di crisi
valutaria e accrescendo il margine di variazione consentito del -/+ 15% (ERM2)
rispetto al cambio concordato.
L’ERM2 è rimasto in vigore fino al 1999 e con risultati positivi per le economie
e la Comunità Europea. L’introduzione dell’euro nel 1999 ha modificato questo
sistema costituito oggi da 11 valute: le 10 valute nazionali e l’euro adottato da 17
paesi. Questo ha introdotto in tutto il sistema fattori di rigidità nei cambi con
conseguenze negative per le singole economie e, per i paesi dell’eurozona in
particolare, la perdita di autonomia nelle politiche economiche sancite nei vari
trattati (Fiscal Compact, Patto di Stabilità, ecc.). L’incapacità dei paesi europei di
reagire alle conseguenze della crisi del 2008 ha origine in questo sistema divenuto
una camicia di forza per i singoli paesi e la stessa UE.
Il buon senso dimostrato nelle precedenti occasioni suggerirebbe una
reintroduzione dell’ERM3 con alcune integrazioni. Non c’è dubbio infatti che il
margine di variazione previsto del -/+15% consentirebbe ai singoli paesi di
difendersi verso le speculazioni. Inoltre, si potrebbe inserire una regola che
obblighi i paesi con surplus nella bilancia dei pagamenti (Germania, Olanda, ecc.)
a rivalutare la loro moneta il che può avvenire in varie forme tra cui il versamento
di una quota (50%) del loro surplus a un Fondo europeo di solidarietà.
3.
Politica e economia nell’UE
La descrizione sin qui fatta e le conclusioni tratte corrispondono al contenuto
essenziale delle varie proposte presentate in tal senso da economisti e movimenti. Il
solo scopo è quello di ricordare che le proposte alternative e di buon senso esistono
e che potrebbe aiutare a rimediare al clamoroso passo falso fatto con l’introduzione
affrettata dell’euro. Resta allora da interrogarsi del perché la ripresa di un percorso
di aggiustamenti graduali del sistema monetario europeo fatto durante i decenni
appaia oggi impossibile e si scontra contro il macigno chiamato euro.
Il problema, a mio avviso, non risiede nell’assenza di proposte credibili e
alternative, come molti keynesiani continuano a credere cercando di affinare i loro
modelli di analisi e le loro proposte e proponendosi come improbabili mediatori,
ma nel fatto che un’autocritica degli economisti e delle istituzioni europee non può
avvenire perché questi ritengono a ragione di non avere nulla da rimproverarsi. Il
meccanismo messo in modo con l’euro è l’atto finale di una riforma dei sistemi
finanziati e bancari, e della trasformazione del modo di produzione capitalistico
introdotta con la Globalizzazione, che ha potentemente contributo alla creazione di
un nuovo potere in Europa affermatosi con grande successo. Sono riusciti in pochi
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decenni a mettere fuori gioco ogni forma di pensiero e di politica sociale e di
riforma dei sistemi europei, ricostruendo un sistema di produzione e di finanza
sostenibile che sorregge il nuovo modello di economia introdotto con la
Globalizzazione dagli anni Settanta. Cioè un modello di “apartheid globale” la cui
sostenibilità è data dalla coraggiosa restrizione delle aree e delle persone da
includere nel modello di società e economia previsto. Dal Welfare al Warfare,
passando per il Workfare, come illustrato nella letteratura degli ultimi decenni.
Il discorso, quindi, si sposta inevitabilmente sul terreno delle forze sociali e
politiche che possono mettere in moto la ripresa di richiesta di un diverso progetto
europeo basato sulla pace e sulla solidarietà. Il punto di partenza è rappresentato
dalla divisione oggi esistente tra nord e sud dell’eurozona risultato delle politiche
della Troika e della governance europea. Come ricreare un blocco politico e sociale
che ristabilisca un dialogo tra queste due zone euro e capace quindi di contrastare i
centri del potere finanziario e militare di cui la Troika è espressione? Movimenti
sociali di reazione a queste politiche esistono oggi nei paesi del sud: Movimento 5
stelle in Italia, Indignatos in Spagna, Syriza in Grecia, ecc.. Espressioni visibili di
un malessere sociale e di una richiesta di cambiamento molto più ampia che deve
comprendere per intero la riscrittura dei Trattati europei da Maastricht in poi.
Superare la divisione nazionale di questi movimenti, creare una proposta
politica per una nuova Europa che parta dalla più stretta cooperazione dei paesi del
sud, e riconquistare gli spazi della cosa pubblica e del potere politico per un asse
sud europeo capace di imporre una rinegoziazione con i paesi dell’area nord
dell’euro. L’eurozona ha due elementi centrali: il mercato unico e la moneta.
Entrambi vanno rinegoziati imponendo un sistema sulle linee indicate nel punto
precedente. Il risultato più probabile di questa situazione potrebbe essere l’uscita
della Germania e affiliati dalla zona euro prospettiva peraltro già ventilata; ma se
questi paesi restano nell’UE si può tornare a forme di cooperazione monetaria del
tipo indicato (ERM3). I paesi dell’Europa del sud potrebbero partecipare a questo
sistema mantenendo strutture di rappresentanza politica e con monete nazionali, in
linea con quanto fanno oggi i paesi dell’UE fuori dell’eurozona, oppure iniziando
in modo autonomo un processo di cooperazione economica e politica che possa
fare da modello a tutti gli altri paesi europei: un modello di cooperazione
democratica e di economia sociale.
Di entrambi le soluzioni esistono precedenti significativi. L’Irlanda, già parte
dell’area monetaria della sterlina, se ne è distaccata e successivamente è entrata a
far parte della zona euro senza disastri economici o guerre civili ma mediante un
processo di negoziazione possibile e attuato. Un paese dell’UE, la Cecoslovacchia,
ha scelto di dividersi in due entità nazionali distinte e con due monete nazionali
diverse. Entrambi gli Stati sono rimasti nell’UE, e l’introduzione di due monete
nazionali non ha significato flagelli e disastri. Per questo chi preannuncia tempesta
in caso di modifiche dei sistemi monetari o si reintroduzione di valute nazionali fa
solo del terrorismo politico per affermare principi che non hanno altrimenti alcuna
consistenza. Lo stesso si può affermare quando si auspica il costituirsi di un’area di
più avanzata cooperazione tra i paesi dell’Europa del sud. Esempi simili già
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esistono come dimostra sia l’esistenza di un asse tedesco comprendente Germania,
Olanda, Austria e Finlandia, sia la cooperazione dei paesi Baltici. Inoltre la
ricostruzione di aree omogenee dentro il quadro dell’Europa deve costituire la linea
rossa di una ricostruzione del progetto europeo su basi confederali tra le quattro
maggiori aree europee (Paesi nordici, Europa occidentale, Europa Centrale e
Europa Mediterranea). Questo allontanerebbe dall’Europa le nuvole nere della
Globalizzazione e della centralizzazione dei poteri da questa espressi. Le forme
monetarie di questa cooperazione dovranno essere funzionali a questo progetto,
politicamente dipendenti da questo e dalle scelte dei singoli paesi e aree.
BRUNO AMOROSO
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