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ETNOGRAFIA DEL DESIGN
DIARA VALENTINA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “LA SAPIENZA” DI ROMA
FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
LUGLIO 2006
Indice
parte teorica
pg 5
Capitolo1: Antropologia e design.
1.1 Le radici
1.2 Lo stile in Europa
1.3 La Gran Bretagna
1.4 La Germania
1.4 La situazione a Vienna
1.5 Il Liberty in Spagna
1.6 La situazione in Italia
pg 10
pg 16
pg 17
pg 18
pg 20
pg 22
pg 26
Capitolo2: I luoghi del design
Storiografia delle possibili
applicazioni del design.
2.1 Il Bauhaus
2.2 I materiali e le forme
2.3 I colori
2.4 Il disegno industriale
2.5 Dal design tradizionale
al design tecnologico
pg 28
pg 32
pg 37
pg 47
pg 52
Capitolo3: Le nuove frontiere del
design. Analisi delle nuove
tendenze in materia di design.
3.1 Il Salone del mobile:
Entrez lentement
pg 62
3.2 La Triennale di Milano
3.3 Il Salone del Mobile ’06
Premessa metodologica
pg 65
pg 68
pg 72
Capitolo 4: La ricerca applicata.
I tre locali simbolo del
Design.
4.1 Il Fluid
4.2 Acqua Negra
4.3 Supper Club
pg 75
pg 78
pg 81
Capitolo5: Conclusioni. Verifica delle
ipotesi iniziali.
5.1 verifica delle ipotesi
pg 86
Etnografia del design
I parte teorica
Per comprendere il ruolo antropologico che vogliamo dare a questa tesi ho scelto, prima di introdurvi
nel concetto stesso, di riportare le parole di uno dei più famosi antropologi mondiali Clifford Geertz,
che in un’intervista spiega quale sia il ruolo dell’antropologia oggi e quali i soggetti da studiare facendo
luce anche sulla nostra tematica. Nel suo recente libro Opere e vite. L'antropologo come autore, Geertz
si è occupato delle diverse tendenze dell'antropologia contemporanea. In Being There saggio del 1988,
afferma che l'illusione che l'etnografia possa risolversi semplicemente nello scegliere fatti strani o fuori
della norma, per poi inserirli in categorie ordinate e familiari, è per così dire "esplosa" da un pezzo.
“Pur essendo difficile trovare una data d’inizio per questo fenomeno, si può dire che esso conosce il
suo principio negli anni della Seconda guerra mondiale. Negli ultimi venti o trent'anni, poi, il ritmo di
cambiamento si è addirittura accelerato. Si tratta di un cambiamento avvenuto per una complessa serie
di motivi, il più importante dei quali è rappresentato dall'enorme crescita del numero di antropologi di
professione, e dal graduale aumento di importanza della figura ‘istituzionale’ dell'antropologo. Prima
della Seconda guerra mondiale, e fino a non molto tempo fa, continua Geertz, l'antropologia era una
scienza che occupava uno spazio piuttosto limitato, per cui i singoli studiosi si recavano in luoghi
sperduti e si occupavano di tutto, dall'economia alla politica, seguendo un metodo monografico e
categoriale. Dopo la Seconda guerra mondiale, però, e in modo particolare negli ultimi venticinquetrent'anni, ci si è un po' allontanati dalle cosiddette "isole primitive" - dalle piccole tribù o dalle isolette
sperdute in un punto lontano dell'oceano - mettendone in discussione il concetto stesso, e si è
cominciato a riflettere sulla possibilità che quella gente non fosse poi così isolata come si pensava. Ad
ogni modo, la maggior parte degli antropologi ha iniziato a rivolgere la propria attenzione anche a
quelle che siamo soliti definire "società complesse", o sviluppate. Essi hanno iniziato a lavorare in
India e, naturalmente, in Indonesia e in Marocco (come nel mio caso), in Nord Africa, ma anche in
Nigeria, in Giappone, in Cina e persino in Francia, in Germania e in Inghilterra; naturalmente, non si
possono avvicinare società di questo tipo come se fossero isole sperdute, abitate da tribù isolate. Questo
è più che evidente. Si tratta, infatti, di paesi che hanno alle spalle una storia lunga e complicata, con un
tessuto sociale estremamente variegato. Ci si trova, dunque, a dover affrontare problemi che, sebbene
fossero già presenti in passato, oggi sono molto più acuti. Per quanto mi riguarda -chiarisce
l’antropologo - io ho sempre lavorato su società complesse, non mi sono mai occupato di società
tribali, o primitive (chiamiamole così, anche se ormai queste definizioni non sono più usate);
personalmente, ho lavorato esclusivamente in Indonesia e Marocco. La prima cosa di cui ci si accorge,
arrivando in quei paesi, è di non essere gli unici a trovarsi lì per studiare e lavorare. In passato, gli
antropologi si ritrovavano completamente soli nei luoghi in cui si recavano, o almeno era questa l'idea
che davano, e nella maggior parte dei casi era proprio così. L'antropologo che oggi visita paesi come
l'India, l'Indonesia, il Marocco o il Giappone, vi trova economisti, politologi, storici e via dicendo,
ognuno dei quali leggerà le sue opere e le criticherà; lui, a sua volta, dovrà leggere e tenere ben
presente i risultati delle loro ricerche. Tutto ciò rende l'antropologo meno autonomo rispetto alla
materia di cui si occupa, ed è per questo che l'approccio categoriale al modo di presentare la materia
non funziona più. L'antropologo dovrà, invece, confrontarsi con discipline affini e metodi diversi o
almeno analoghi, di osservazione della medesima società. Se tratterà i popoli dell'India come fossero
tribù si troverà immediatamente a fare i conti con un filologo infuriato, o un sanscritista, che lo
accuserà di aver ignorato diversi millenni di storia. Ora, questo non sarebbe successo se fosse andato a
lavorare nelle Isole Trobriand, o in un luoghi analoghi. Un tempo, del resto, l'antropologia era una
strada a senso unico: fino a pochi anni or sono, la maggior parte degli antropologi - in pratica tutti,
tranne forse un paio di eccezioni - erano occidentali o europei, soprattutto tedeschi, americani o inglesi;
andando indietro nel tempo c'erano parecchi francesi, e qualche italiano (ma non molti, in verità). Oggi,
invece, ci sono antropologi che provengono proprio dai paesi che si sono citati, antropologi di fama
internazionale nati in India, in Indonesia o in Marocco. Ora, quindi, l'antropologia è diventata una
risposta, si è trasformata in una strada a doppio senso, in una sorta di scambio: non siamo più solo noi
che studiamo loro, o loro che studiano se stessi, ma sono loro che studiano noi. Si ha, quindi, una
specie di dialogo, uno scambio appunto. Quattro o cinque fra i più importanti antropologi degli Stati
Uniti, per esempio, sono originari dello Sri Lanka. Oggi, perciò, non è più possibile starsene "in
disparte" a scambiare opinioni su un gruppo che non può controbattere, cosa che invece avveniva in
passato: quando l'antropologo parlava di un popolo, egli era considerato una sorta di autorità. Oggi,
invece, egli deve non solo confrontarsi con altri scienziati, o umanisti, o storici, politologi, economisti,
ma deve anche confrontarsi con esponenti di quella cultura e di quella società. Il suo lavoro, infatti,
verrà tradotto nella loro lingua”. Quasi tutto ciò che ha scritto sull'Indonesia è stato tradotto in
indonesiano e parte dei saggi sul Marocco sono stati tradotti almeno in francese (in arabo non ancora,
ma anche in questa lingua stanno iniziando ad essere tradotti); “ non viviamo più in quel mondo isolato
dove potevano esserci le ‘massime autorità’ su ogni argomento e si poteva seguire l'approccio che ho
definito "categoriale". Alla domanda su chi abbia maggiormente contribuito a questo cambiamento non
è facile rispondere: è difficile infatti tracciare una storia completa e monumentale dell'antropologia
come se ne può fare una, per esempio, della fisica. Nel caso dell’antropologia si è trattato di un
cambiamento generale, avvenuto nel modo che si è già spiegato. Negli Stati Uniti del secondo
dopoguerra si è cominciato a lavorare in questo senso in maniera alquanto seria, attraverso i cosiddetti
"programmi di area" che riguardavano l'India e la Cina. Uno dei primi studi che vennero condotti fu un
lavoro multi-antropologico su Puerto Rico di Julian Steward, coadiuvato da alcuni suoi studenti.
Inoltre, se posso permettermi, uno dei primi progetti di questo tipo fu quello svolto da me in Indonesia:
anzi, in quella parte del mondo, il mio lavoro è stato il primo in assoluto. Per riassumere, quindi, si può
dire che ad essersi trasformata è l'area di studi in generale. In questo quadro il Medio Oriente è rimasto
un po' indietro, anche se sta gradualmente recuperando; ci sono inoltre moltissimi studi antropologici
sulla società europea svolti dagli stessi europei. Assistiamo a una sorta di rinascita dell'antropologia
europea, grazie a personaggi come Hullsford, o Hertsfield. La disciplina nel suo insieme è dunque
cambiata, mentre non esistono figure monumentali paragonabili a quelle che c’erano prima della
guerra: mi riferisco, ad esempio, a Malinowski con il suo lavoro nelle Trobriand, o a Evans-Pritchard in
Sudan; oggi l’antropologia rappresenta un movimento più generalizzato, e ciò perché essa è diventata
una professione talmente diffusa da diventare molto più complessa. Il professor Geertz analizza poi il
concetto di simbolo e il significato attribuitogli nel contesto di quello di cultura. Quest’ ultima è,
secondo Weber, una rete intorno alla quale rimane impigliato l’animale sociale, l’uomo. Il design si
presenta come simbolo della cultura industriale e post-industriale oramai superata e l’antropologia ha
dunque il compito di individuare la sua reale posizione all’interno della rete di significati che è la
cultura. Il design si è basato a lungo su progetti legati a un preciso contesto storico- l’era industriale- e
sulla logica che ha informato tale era . Una logica obsoleta e dimessa come le aree industriali. Qui e
ora le relazioni tra logiche e progetti spingono,tendono extendono i linguaggi dell’innovazione verso
interzone identitarie inesplorate: multi-viduali, pluri-logiche e post- dualiste (tra oggetto-soggetto in
primis)”. Necessitiamo allora di una presa di distanza. Il design ha bisogno della sua antropologia, ha
bisogno cioè, che gli venga applicato “uno sguardo da fuori” che ci consenta di allargare la nostra
visione per portare attenzione al sistema di cui il design fa parte, piuttosto che la semplice
osservazione delle opere e della tecnica utilizzata per realizzarle. Anche il lavoro del designer
costituisce fonte di discussione. Rifacendoci alla suddivisione che Weber aveva fatto tra werk, il lavoro
esecutivo ed estraniato sotto le condizioni del capitale, e l’ arbiet, il lavoro cioè del soggetto autonomo
che produce consapevolmente il suo ricambio organico con la natura nella società liberata dei
produttori. Il lavoro dei designers si presenta oggi come opus, come il connubio tra queste due sfere,
come espressione del lavoro autonomo da un lato e come soggetto alle leggi del capitale dall’altro. La
distinzione weberiana va dunque rivista sulla base delle osservazioni che la società attuale ci permette
di compiere. Non più semplice progettazione dell’oggetto dotato di buona forma, il design è ormai
sceneggiatura a maglie larghe, che si manifesta con una varietà di aspetti, dalla costruzione di
infrastrutture spettacolari, a contenitori fisici come il Guggenheim, o per andare più in dietro, la Great
exibition o contenitori virtuali come le infinite occasioni “culturali” disseminate nelle nostre città.
Capitolo 1
Antropologia e design
1.1
Le radici
Questo lavoro ha lo scopo di trovare le connessioni che intercorrono tra le discipline, il design e
l'antropologia, considerate entrambe due aspetti della medesima necessità: l'armonizzazione
dell'ambiente esterno.
Lo studio sul design presenta subito qualche difficoltà già in merito alla sua definizione. Le
caratteristiche di questa disciplina, la sua natura multipla e le varie forme di sviluppo che l' hanno
caratterizzata nel corso della sua storia, rendono impossibile un'unica definizione univoca e concorde.
Inseribile all'interno di un paradigma che prenda in considerazione un campo progettuale sempre più
definito, il design acquisisce, durante i percorsi storici che l' hanno caratterizzato, diverse sfaccettature.
Non c'è ancora accordo sulla necessità di ridurre tutto il design all'interno del <<disegno industriale>> o
sulla necessità di intenderlo più generalmente come progettazione formale dell'oggetto d'uso,
indipendentemente dalle sue modalità di produzione; né si sa ancora bene se definirlo come metodologia
progettuale, pragmatica attività di problem solving , momento di una strategia produttiva, di vendita, di
consumo, come semplice styling delle merci, intervento creativo nell'ideazione e nella realizzazione di
oggetti, messa a punto linguistica e comunicativa della loro struttura intesa come interfaccia con l'utente.
Nessuna di queste definizioni risulta completa e capace di spiegare il fenomeno nella sua interezza. Il
design è tutto questo e molto di più. In questo ambito l'interesse verte sulla parte comunicativa del
design, sulla possibilità di creare oggetti e dunque ambienti che riescano a suscitare atteggiamenti, stili di
vita e sensazioni differenti. Possiamo considerare il design come subsistema di un sistema più ampio
quale l'architettura partendo dalla considerazione che questa disciplina si caratterizza proprio per
l'aspetto progettuale piuttosto che formale e pone al centro del proprio interesse l'attenzione tanto ai
progetti quanto ai progettisti. Micheal Foucault individua nella “funzione autore un modo di esistenza, di
circolazione e di funzionamento di certi discorsi all'interno di una società”. Il progetto, nella sua forma
più ampia, dal quale parte il design è sicuramente proiettato verso un archetipo di bellezza e funzionalità.
L'oggetto deve essere creato partendo della propria funzionalità intrinseca e sviluppando
un'armonizzazione delle forme verso un ideale di armonica bellezza.
Ma è possibile parlare di progettazione della bellezza? In che modo è possibile progettare la bellezza e
cosa ci permette di definire la bellezza in senso generico e dunque svincolata dal gusto?
La bellezza di cui il design si fa carico è possibile definirla in un’ottica di funzionalità; è dunque quella
che Bodei definisce <<bellezza funzionale>> che presuppone un carattere intrinsecamente progettuale.
La bellezza diventa qui sinonimo di armonia intesa come relazione tra funzionamento e utilità
sottolineando la funzione antropologica della disciplina. In quest’ottica è l'oggetto stesso che
determinando il proprio funzionamento crea le sue possibili rappresentazioni. Benjamin, nel suo saggio
sulla riproducibilità tecnica, fa notare che esistano due modi di fruire dell'oggetto architettonico:
attraverso l'uso o attraverso la percezione, ovvero in modo tattico o in modo ottico. Anche per il design
questi due modi di fruizione agiscono sul soggetto e ne determinano la sua percezione . Il nostro
atteggiamento si muove continuamente tra queste due dimensioni che ci permettono di desiderare,
acquistare ed utilizzare gli oggetti che ci circondano. Il design è lo spazio progettuale entro il quale tutti
questi elementi si compongono in una forma che fa del semplice corpo tecnico un oggetto saturo di
senso. E' sempre Benjamin osserva che la percezione dell'ambiente esterno da parte dei soggetti,
perfettamente inseriti in esso, avviene in maniera distratta, sotto il livello dell'attenzione, ma non per
questo può essere definita a valutativa; al contrario i soggetti sono pronti a valutare l'ambiente pur non
fruendolo in maniera attenta, solo attraverso la percezione distratta. Di questo tipo di percezione deve
farsi carico anche il design, che se pur non susciti sempre valutazioni attente alla progettualità o ai
significati intrinseci all'oggetto d'uso, è soggetto a valutazioni da parte di fruitori distratti. Il design è la
rappresentazione della forma delle cose che compongono il mondo, è competenza del design, dunque,
progettare la forma del mondo.
L'attenzione antropologica alla questione del design viene presa in considerazione allora, ponendo
attenzione ai soggetti coinvolti in questa relazione. Gadamer nell'analizzare i concetti che caratterizzano
l'arte parla di gioco, simbolo e festa dove il gioco è rappresentato dal <<fare libero da scopi>> che in un
concetto di rappresentazione coinvolge i fruitori secondo le regole di un <<fare comunicativo>>, in cui
la festa è data proprio dalla comunanza elemento che nell'arte , a differenza del lavoro che separa,
accomuna . Anche nel design la partecipazione avviene in maniera collettiva in cui i soggetti,
dall'oggetto d'uso, al designer, fino al consumatore , giocano tutti un ruolo attivo che trova il suo culmine
proprio nel momento in cui ,dopo l'acquisto, l'oggetto entra a far parte dell'ambiente domestico,
lavorativo o di qualunque spazio di fruizione. Ma la natura del design è dunque molteplice, non più mera
rappresentazione della bellezza funzionale ma elemento di un ciclo produttivo che inserisce il design
all'interno di un'ottica di consumo e di un fare consumistico. La rivoluzione industriale e le possibilità di
riproduzione ad essa collegate creano lo sviluppo stesso del design nella forma in cui oggi si presenta. La
storia del design è
caratterizzata da continui momenti di ridefinizione della natura
stessa della disciplina, delle sue possibili applicazioni e dell'ambito all'interno del quale essa debba
muoversi. La prima, vera e imponente esposizione che inaugura la nascita del design è la Great
Exibition, tenuta per la prima volta a Londra nel 1851. Già la realizzazione del contenitore , dell'edificio
che doveva contenere l'esposizione apre nuove frontiere non solo per la progettazione architettonica ma
per il design stesso. Il Cristal Palace, così chiamato dal suo autore Paxton, si caratterizza per l'uso di
materiali nuovi nell'ambito architettonico, nonché per le dimensioni e la struttura stessa dell'edificio.
Interamente costruito in vetro e ferro e inserito in uno spazio molto ampio e in tempi ristrettissimi, il
progetto, confessa Paxton, si ispira ad una ninfea e alla struttura delle sue foglie molto robuste.
La caratteristica che meglio rappresenta questa costruzione è proprio la modalità in cui essa è avvenuta;
ogni pezzo, standardizzato, è stato costruito a parte e assemblato poi sul posto; questo ha permesso
l'utilizzo di un budget limitato, la possibilità della realizzazione in tempi molto ristretti ed è diventato
l'elemento caratterizzante della stessa esposizione. Passando al contenuto della Great Exibition, questa
aveva l'obiettivo di presentare l'Industria di tutte le nazioni o come scrisse il Times <<il trionfo del libero
commercio>>. Organizzata al suo interno in categorie, la Great Exibition si presenta come un insieme
multiforme di oggetti provenienti da tutto il mondo e aventi tutte le funzioni possibili, dal suppellettile
all'artiglieria, dalla tecnologia ai mobili tutto inserito in un unico ambiente multiforme e multivariato. La
Great Exhibition aveva rilevato la desolante bruttezza dei prodotti industriali, definiti <<deprimenti>> e
di insopportabile cattivo gusto da molti letterati, artisti e intellettuali. La bellezza doveva dunque
chinarsi, in qualche modo, sull’utilità per elevarne il valore culturale.
In questo ambito il design agisce sul piano dell'arte decorativa e l'oggetto d'uso deve essere esaltato per
la sua forma dando vita al concetto di <<gusto>> ad esso correlato; ma la sua funzione non si esaurisce
con la mera decorazione e conquista la propria rivincita dello stile attraverso l'utilizzo di oggetti
tecnologicamente sempre più avanzati. E' dunque in questo contesto che si crea l'innesto sempre più
pressante tra arte e industria che trova nel design l'elemento unificatore composto dalla tecnica nella
progettazione e dall'arte nella realizzazione. L'architettura si presenta dunque come il sistema generatore
all'interno del quale è inseribile il design come sottodimensione. Se il design non è altro che la
progettazione dell'oggetto d'uso privilegiando una bellezza funzionale fatta di armonia e utilità insieme,
l'architettura possiede questi elementi, applicati però in scala superiore e realizzati in funzione di
ambienti anziché oggetti. Possiamo parlare dunque di architettura come design metropolitano
immaginando che ogni costruzione architettonica possa essere vista come un oggetto di un ambiente
ampio, la città. Horta, architetto i cui edifici vengono considerati paradigmi dell'architettura e del design
dell'Art Nouveau, progettò i suoi edifici come un insieme unitario , definendone anche l'architettura di
interi e gli arredamenti. Egli si richiamava esplicitamente ad un'architettura che fosse “una e indivisibile,
il cui stile si applicava all'utensile come al mobile, alla singola casa come al più grande immobile”
individuando il parallelismo tra le discipline. Partendo dall'osservazione delle città può essere compreso
molto in merito agli stili, alle esigenze ed alle tendenze che nel corso del tempo e nel tempo corrente si
stanno sviluppando. Le nostre città sono sempre più caratterizzate da una molteplicità di funzioni e
ambienti possibili scaturito da un ampliamento dei bisogni collettivi. Una città come Roma è analizzabile
da più punti prospettici e contrastanti; da un centro per definizione "storico" che emana un'energia antica
è, si propaga al tempo stesso un groviglio di immagini e tabelloni multifunzionali che ci inseriscono in
un ambiente tipicamente metropolitano. I grandi monumenti, frutto di un'architettura passata, creati per
esprimere la grandezza prima fisica e materiale, poi ideologica della città, appaiono oggi costretti intorno
a grandi edifici, negozi, botteghe e quanto altro la modernità abbia creato. Le città dunque variano la
propria configurazione in base ad esigenze che si sviluppano nel tempo, cercando di mantenere immutata
l'essenza trasmessa dal passato. E se il centro è in parte eredità dal passato, al quale adattare nuovi edifici
per nuove esigenze, la periferia e interamente frutto di queste esigenze e quindi già sotto la responsabilità
di un design più consapevole. E la periferia romana è specchio del funzionalismo che ha caratterizzato
l'Italia della prima metà del novecento per sfociare in un'attenzione rivolta anche all'ambiente sociale nel
momento in cui anche la periferia si popola di zone residenziali. La questione del design quindi si
presenta abbastanza controversa, sia per quanto riguarda la sua natura che per ciò che concerne le sue
modalità di rappresentazione. Tutto ciò che ci circonda è studiato in termini di design e va dunque
analizzato l'effetto che determinati ambienti creano sugli individui, siano essi ambienti ristretti o
metropolitani.
Nelle filosofie occidentali si parla di un nutrimento dell'uomo costituito da tre elementi: il cibo, l'aria e le
impressioni. E' dimostrabile che nessun uomo possa vivere privato di uno di questi elementi. Allora
l'ambiente che ci circonda, del quale fruiamo seppure in maniera distratta, crea in noi forme di
nutrimento e si presenta essenziale la necessità di interpretarlo. Uno studio antropologico del design
verte allora sulle modalità di rappresentazione delle forme del design e sulla successiva interpretazione,
sia che avvenga in maniera consapevole, sia che avvenga, come fa notare Benjamin in maniera 'distratta'.
1.2
Lo stile in Europa
Gli anni di passaggio dall'Ottocento al Novecento sono contrassegnati da una crisi profonda. Da un lato
prosegue l'ottimistica fede nel progresso scientifico, che appare inarrestabile e tale da portare a soluzione
ogni problema umano. D'altro canto però ci si rende conto che questa "felicità" universale è solo
apparente. Se la borghesia al potere è ricca, lo è sfruttando il lavoro delle classi subalterne, costrette a
lottare per conquistare una migliore qualità di vita. E il progresso tecnico non è necessariamente legato al
processo dell'umanità, anzi rischia di meccanizzare l'uomo uccidendone la spiritualità, cosicché sarà
necessario, invece che considerare la tecnica come fine a se stessa cercare un "supplemento d'anima". È
questa una delle aspirazioni di quella corrente culturale, che si manifesta dapprima e soprattutto in
Francia, detta "decadentismo". È in questo clima decadente che nasce e si diffonde in tutta Europa il
movimento detto Art Nouveau nei paesi di lingua francese, Modern style in Inghilterra, Modernismo in
Spagna, Jugendstil in Germania, Liberty o Floreale in Italia. Dal punto di vista sociologico l'Art
Nouveau è un fenomeno nuovo, imponente, complesso che dovrebbe soddisfare quello che si crede
essere il "bisogno d'arte" della comunità intera. Interessa tutte le categorie del costume: l'urbanistica di
interi quartieri, l'edilizia in tutte le sue tipologie, l'arredamento, urbano e domestico, l'arte decorativa e
figurativa, la suppellettile, l'abbigliamento, l'ornamento personale, lo spettacolo. Per il modo in cui si
diffonde è una vera e propria moda: nel senso e con tutta l'importanza che la moda assume in una società
industriale anche economicamente. È il gusto della borghesia moderna, spregiudicata, entusiasta del
progresso industriale, che considera un suo privilegio intellettuale, a cui corrispondono anche
responsabilità sociali.
a.
La Gran Bretagna
Dalla seconda metà del XIX sec. , in Europa si alterna una serie di stili e tendenze che diventeranno
l’elemento distintivo di ogni diversa nazione. La Gran Bretagna si caratterizza per la nascita del
Liberty, quando nel 1875 Sir Arthur Laseby Liberty fondò a Londra la Liberty & Co. , specializzata
nell’importazione di prodotti orientali che attrassero subito l’attenzione di esponenti dell’Estetismo,
ma anche grandi artisti come Morris , Rossetti, Tadema . Esotismo e arti indigene, forme morbide e
curvilinee sono fatte convivere con i rigorosi schemi geometrici, dallo sfarzo ornamentale alle forme
più sobrie e severe. Chiaramente una grande rivoluzione di stile ma in Gran Bretagna non ebbe molto
successo tanto che il Times lo definisce “un gusto formale corrotto che ha esercitato un’ influenza
tanto nefasta sull’ arredamento e l’architettura dei paesi nostri vicini”. Nonostante le critiche, che
infondo caratterizzando ogni cambiamento radicale, vi furono personaggi che vale la pena ricordare.
Christopher Dresser è da considerare il primo vero disegnatore industriale che seppe utilizzare la sua
grande sensibilità artistica per conferire agli oggetti d’uso le caratteristiche dell’arte riuscendo al
contempo a non cadere nel mero decorativismo, ma dando un valore strutturale ai suoi oggetti, che
faceva presagire la possibile riproduzione a livello industriale. Coevo di Dresser fu Mackintosh, la cui
grandezza venne apprezzata solo a posteriori.
Tra la fine del XIX sec e l’inizio del XX egli progettò una serie di mobili , ambienti e architetture che
segnarono un evidente superamento del naturalismo per confermare invece una nuova tendenza rivolta
invece alla funzionalità e caratterizzata da un forte linearismo seguendo percorsi ortogonali e rettilinei
e sfruttando , nell’arredamento , figurazioni rettangolari, allungate verticali che sottolineavano
l’attenzione alla progettualità. Il lavoro di Mackintosh deve essere considerato e valutato nel suo
insieme, nasce cioè dalla combinazione del singolo pezzo con l’architettura e l’arredo delle sue
ambientazioni. L’oggetto d’uso e il mobile non sono più elementi che occupano semplicemente un
ambiente ma nel riempirlo lo modellano e lo rendono un insieme omogeneo.
b . La Germania
Alla fine del XIX sec. Monaco si presenta come una città fortemente impegnata in un processo di
modernizzazione e di rinnovamento architettonico, sostenuto da un progressivo processo di
industrializzazione. La nuova tendenza che caratterizza questo periodo prende il nome di Jugendstil dalla
rivista <<Jugend>> e fa la sua prima apparizione nel 1897 nell’Atelier Elvira caratterizzato da forme
dinamiche, guizzanti e astratte e dall’uso di materiali poveri come il ferro battuto, il vetro e il cemento
grezzo che conferiscono eleganza rimanendo però confinati nel puro ornamentalismo e lungi dal voler
essere decoro strutturale , la tendenza si concentra sulla intenzionalità estetica e sulla necessità di dare
forma e immagine a un corpo architettonico, anche attraverso il dettaglio.
Ma all’interno, la stessa Germania si presenta dislocata e con caratteristiche strutturali che determinano
cambiamenti di tendenza in conseguenza degli spostamenti geografici. Se così si presenta Monaco,
diversa è la questione a Weimar caratterizzata invece da una fitta rete di artigianato che spinge le
autorità a valorizzare questo mercato conferendogli valore artistico e sostenendo la concorrenza. Fu
Henry Van de Velde ad occuparsi di tutti questi aspetti, lui che nella sua vita riuscì ad essere un artista
completo ed eclettico creando dalle ceramiche al mobilio, dai laboratori di oreficeria a quelli tessili. Egli
sosteneva la necessità di “liberare gli oggetti del nostro ambiente da tutti quei motivi che non significano
nulla, in nome di una bellezza inerente alla logica” e nella convinzione che “le stesse leggi che
presiedono al lavoro dell’ingegnere guidano anche l’arte ornamentale , posta sullo stesso piano della
tecnica”. Con queste considerazioni inizia a prendere piede un’idea del design che si caratterizza per il
suo rigore tecnico misto alla necessità di valorizzare l’estetica e la funzionalità intrinseca all’oggetto
stesso. Sulla base di queste considerazioni, Van de Velde venne chiamato a dirigere la scuola di arti e
mestieri a Weimar, avendo il compito di formare i nuovi disegnatori artistici per l’industria.
L’edificio progettato dallo stesso Van de Velde, secondo una concezione moderna e funzionale,
diventerà più tardi il nucleo della Bauhaus.
c. La situazione a Vienna
Il periodo tra il XIX e il XX sec si caratterizza proprio per una rivoluzione di stile che coinvolge, ognuno
con caratteristiche e motivazioni differenti, tutti i Paesi dell’Europa. Con denominazioni differenti lo
stile Liberty prende piede anche a Vienna identificandosi come stile controtendenza e rivoluzionario che
si oppone allo stile accademico vigente, da Freud a Munch, da Wittgenstein a Klimt, da Wagner fino a
Hoffman sono tutti intenzionati a cambiare lo stile vigente imponendo un acceso dibattito nel quale la
modernità avrebbe presto visto affiorare i suoi tratti più peculiari. Il 1897 è l’anno della proclamazione
del distacco ufficiale dalla Kùnstlerhaus, stile accademico viennese, e della nascita del nuovo stile che
ben presto si sarebbe distaccato da tutte le tendenze fino ad allora esistenti, Liberty e Jugendstil
compresi. Il Sezessionstil, puntò piuttosto su figurazioni geometriche che conferirono un sapore quasi
classico, attraverso l’uso di sagome quadrate e circolari, fondate su una razionale sobrietà non di rado
contraddetta dall’improvvisa apparizione di forme libere e capricciose. Il palazzo sede del movimento,
progettato da Olbrich è l’emblema del movimento mescolando forme dure e imponenti a decorazioni in
oro che evidenziano un legame con il Liberty europeo.
All’interno, il palazzo, si caratterizza per i suoi spazi aperti, ritmati da pareti, infissi ed elementi
architettonici definiti dal modulo del quadrato, ma caratterizzato anche da innesti pittorici ispirati al
liberty. L’artista che per eccellenza interpreta lo stile dell’epoca è Klimt, il cui lavoro viene descritto da
Barilli come “un mosaico tripudiante di rombi,occhi di pavone, tratti spiraliformi, tessere e pietruzze
sfavillanti, un travolgente ritmo vibratorio, che però non vuole abbandonarsi alla casualità all’arbitrio,
ma vuole appoggiarsi a un attento controllo. L’immagine folgorante del caos e del disordine è così
ottenuta mediante moltiplicazione all’infinito di elementi d’ordine”.
Sul piano dell’architettura è da annoverare l’opera di Otto Wagner, la Majolikhaus che riesce a unificare
un rigore geometrico nella struttura portante con fantasiose figurazioni tipicamente Liberty che fanno da
ornamento della facciata.
Come per gli altri stili, la rivoluzione non riguarda soltanto un aspetto dell’arte o dell’architettura, ma si
basa sulla consapevolezza che ogni elemento della progettualità architettonica ai più minuti particolari
degli interni e dell’arredamento sottolineando sempre di più il legame tra architettura e design, tra la
progettualità degli edifici e quella dell’oggetto d’uso.
Ma fu Hoffman a spingersi più lontano di tutti creando la Weiner Werkstasse, un laboratorio artigianale
che pose le basi per il moderno design.
d. Il Liberty in Spagna
Per spiegare il Liberty spagnolo dobbiamo fare riferimento a Barcellona, una città che grazie al
dinamismo economico ha affrontato una vera e propria rivoluzione stilistica. Barcellona e lo stile
Liberty si intensificano così con la figura di un solo grande artista che in sé racchiude tutte le
caratteristiche avrebbe potuto avere il movimento nella sua interezza: Gaudì. L’artista, che pure
dichiara una forte ammirazione nei confronti di Morris e Wagner, possiede uno stile del tutto
soggettivo mescolando elementi tipici del gotico spagnolo con quelli della tradizione moresca, un
miscuglio nel quale i confini tra espressività artistica e funzionalità strutturale si intrecciano in maniera
indissolubile. Una delle questioni più dibattute nel Novecento è quella dell’unità o della distinzione
delle arti: se cioè le arti siano tecniche diverse con cui si realizza un valore unico e supremo, l’arte, o se
ciascuna di esse realizzi valori distinti. Il problema è connesso con quello del rapporto delle tecniche
artistiche con la tecnologia del tempo e con quello della funzione dell’arte nel mondo attuale. Nell’Art
Nouveau prevale generalmente la tesi idealistica della dipendenza di tutte le arti, anche per Gaudì: ma
con la differenza che l’unità è, piuttosto, unione.
L’occasione per sperimentare la possibilità di questa somma (e non sintesi) è il Parco Guëll, che nell’
idea del committente doveva rientrare nel piano urbanistico di una città-giardino, alle porte di
Barcellona. Il tema che Gaudì si propone è l’integrazione reciproca delle forme artistiche e delle forme
naturali. Lo svolgimento riflette l’assunto religioso, che per Gaudì è fondamentale, indipendentemente
dalle finalità della costruzione. Le forme della creazione sono infinitamente varie; poiché ogni freno
imposto alla fantasia è un limite alla varietà delle forme, soltanto lasciando via libera alla fantasia si
raggiunge quell’ infinita varietà di forme che realizza l’accordo con la varietà infinita delle forme
naturali. Poiché la tecnica è al servizio della fantasia e la fantasia non ha limiti, i problemi tecnici che
Gaudì deve affrontare sono più difficili di quelli inerenti ad una tecnica al servizio della ragione: non
solo Gaudì è al corrente di tutte le novità tecniche del suo tempo, ma intende superarle, proprio per
dimostrare che la tecnica ha un’ importanza relativa. Il Parco Guëll ha manifestamente un carattere
ludico. La tecnica deve permettere la libertà assoluta del gioco. Le costruzioni sono volutamente
pericolanti e sbilenche, sembrano sul punto di crollare o, poiché sembrano fatte di materiale molle, di
sciogliersi come neve al sole. Stanno su per miracolo, e naturalmente è la tecnica dell’artista che fa il
miracolo.
Non soltanto Gaudì riunisce l’opera del costruttore, che definisce le strutture, quella dello scultore, che
modella le masse, e quella del pittore, che qualifica le superfici mediante il colore; ma fa confluire
nell’opera molte specialità dell’artigianato: mosaico, ceramica, ferro battuto, ecc. Ricostruisce così il
tipo del cantiere medievale, in cui l’artista era il capo delle maestranze e non agiva come progettista,
ma come un direttore d’ orchestra.
La Sagrada Familia è l’opera più famosa di Gaudí, e più rappresentativa del suo genio, tanto da
convertirsi negli anni in uno dei simboli più famosi di Barcellona. Il cantiere della chiesa aprì nel 1883,
sul sito di un progetto neogotico precedente, e Gaudí vi installò il suo studio e praticamente vi si trasferì.
L’artista catalano dedicò alla costruzione della Sagrada Familia, che doveva incarnare la sintesi del suo
pensiero architettonico, tutta l’ultima parte della vita, profondendovi il suo spiccato sentimento religioso.
Dopo la morte di Gaudí, nel 1926, i lavori continuarono, ma dovettero interrompersi negli anni della
Guerra Civile Spagnola. Nel 1936, le note e gli appunti originari di Gaudí andarono perduti nel corso di
un bombardamento. La costruzione dell’opera riprese nel 1952, e nel mondo dell’architettura si aprì un
accanito dibattito sulla validità dei disegni e delle maquettes utilizzate per proseguire i lavori. Il progetto
originario prevedeva tre facciate rispettivamente dedicate alla nascita, crocifissione e risurrezione di
Gesù, e 18 torri destinate a rappresentare, oltre alla figura del Cristo, i dodici Apostoli, i quattro
Evangelisti, e la Vergine Maria. L’unica facciata ultimata personalmente da Gaudí è quella della
Natività, sul lato est mentre quella della Passione ad ovest, con le sue quattro torri, venne portata a
termine tra il 1954 e il 1976. Nel 1987 lo scultore Josep M. Subirachs si unì al progetto. Oggi, il cantiere
della Sagrada Familia è un sito di grande attrazione turistica, completato da un piccolo Museo, dove
vengono illustrate ai visitatori le varie fasi, presente e future, della costruzione della cattedrale. Senza
contare che dalle torri già ultimate si gode una bellissima vista di Barcellona.
e. la situazione in Italia
Mentre nel resto d’Europa il Liberty , in tutte le sue varianti, si è già ampiamente manifestato, in Italia
riuscirà a dominare la scena solo nel 1902 con l’Esposizione di Torino dando “il via alla nostra aurea
stagione di Art Nouveau”. In Italia mancò però un vero e proprio movimento ideologico capace
mobilitare gli artisti verso questa direzione, fu piuttosto una voglia di adeguamento rispetto alle
tendenze che stavano caratterizzando gli altri paesi, e
soprattutto grazie alla collaborazione con grandi artisti come Horta, Van de Velde, Tiffany che il Liberty
riuscì a farsi conoscere e apprezzare anche nel nostro paese. In effetti l'ambiente della borghesia italiana
di fine ottocento, convenzionalista e immobilista, è ben lontano da quello viennese o parigino, ed il
messaggio di novità, con tutti i suoi risvolti meno evidenti ma non meno importanti, che è rappresentato
dall'Art Nouveau viene recepito soprattutto da un'elite di intellettuali, che non bastano a fomentare un
movimento di massa, il che ritarderà di 10 anni l'affermazione del Liberty in Italia rispetto al resto
d'Europa: va detto comunque che, a paragone di quanto accade in Austria, dove si sta avviando la
stagione della Secessione Viennese, o in Germania, dove sta nascendo una corrente espressionista che
cambierà per sempre il modo di fare arte, il Liberty italiano appare un movimento epidermico e
scarsamente motivato, che avrà soprattutto meriti per ciò che produrrà indirettamente, dopo la sua
parabola vitale. Anche da noi lo stile imponeva un’attenzione non solo agli aspetti formali o decorativi
ma soprattutto al prodotto nella sua interezza; si rendeva indispensabile considerare , nell’ambito della
progettazione, non solo il contenitore ma anche il contenuto e fare in modo che l’uno fosse l’estensione e
il completamento dell’altro. Anche a Catania fu l'industria a portare il nuovo stile. Le prime costruzioni
in stile industriale furono le Raffinerie dello zolfo, ancora visibili da viale Africa e recuperate
dall'intervento
dell'architetto
catanese
Giacomo
Leone.
Nel 1907 si inaugurò L'Esposizione agricola siciliana, in stile liberty, alla quale intervenne il sindaco
Consoli. Nella relazione di chiusura dell’Esposizione di Torino si legge “L’attuale rinnovamento estetico
vuole estendersi a tutte le abitazioni umane e dare una sua intima bellezza tanto alla sala quanto alla
cucina ; vuole animare tutte le industrie, anche le più modesti, foggiando con eleganza anche gli arnesi
più usuali. E ci riesce, come provano gli infiniti oggetti della mostra torinese, che moltissima gente ha
comprato a buon prezzo, e che serviranno probabilmente di modello a riproduzioni che ci liberino dalla
presente volgarità di altrettanti oggetti indispensabili prodotti di questo stile vertono tutti sull’armonia
delle forme data dalla loro semplice funzionalità non trascurando però la necessità di un’attenta
progettazione”.
Il Liberty italiano tramonta nel 1906 con l’Esposizione di Milano quando già nel resto dell’Europa si
aprivano le strade a nuove tendenze e si fondavano le radici del design moderno.
Capitolo2
I luoghi del design
Storiografia delle applicazioni del design
2.1 Il Bauhaus
Analizzando la storiografia del design e delle sue applicazioni dobbiamo partire da tempi abbastanza
recenti. È con l’apertura del Bauhaus che si comincia a parlare di studi in relazione alla forma degli
oggetti nel modo in cui oggi noi la intendiamo. Nel suo breve percorso, essa ha fissato i caratteri primari
di una filosofia progettuale, di una disciplina e di una professionalità, intorno ai quali si è costruita la
moderna nozione di disegno industriale. Il 12 aprile del 1919, Gropius diviene il direttore del nuovo
istituto che ha come obbiettivo principale il fondersi di architettura, scultura e pittura sotto l’ala
unificatrice del costruire. Fino a quel momento, non esistevano scuole che riuscissero a formare artisti e
artigiani in modo così completo e che potessero garantire a questi ultimi una reale collaborazione con le
industrie. Gropius individua, già prima di assolvere al proprio incarico, la necessità di rinnovamento e
nel febbraio del 1919 prepara un preventivo delle spese mettendo in chiaro le sue intenzioni: “La
situazione è estremamente favorevole dal momento che la Kunstgewerbeschule è stata chiusa e quindi
può essere totalmente riformata, e inoltre risultano vacanti quattro cattedre presso l’Accademia delle
Belle Arti. Difficilmente ci potrà essere in Germania un’altra occasione per rinnovare profondamente
un’istituzione abbastanza grande senza operare interventi radicali sull’esistente”. Nello stesso anno,
Gropius presenta in catalogo la <<Mostra degli architetti sconosciuti>> a Berlino esprimendo alcune
perplessità in merito alla situazione che andava configurandosi; se, da un lato, l’unificazione delle arti e
le rivendicazioni sociali ad essa correlate si ancorò a precisi obbiettivi di natura collettiva, dall’altro ne
accentuò il carattere utopico.
Gropius espresse bene questa incertezza dichiarando: ”le cose disegnate in vista dell’utilità e del
bisogno non possono soffocare l’anelito a un mondo di bellezza costruito in modo del tutto nuovo, per la
rinascita di quella unità che diede vita al miracolo della cattedrale gotica […]. Ma le idee muoiono
appena si perviene a un compromesso. Da qui una chiara distinzione tra il sogno e la realtà, fra lo slancio
verso le stelle e il lavoro quotidiano”. Tuttavia la visione di Gropius era più complessa di quanto potesse
apparire dallo schematismo tra utopia e realtà; e in essa il rapporto tra creatività artistica e razionalità
industriale costituì un nodo intricato nel quale fluirono le teorie di molti artisti. Fiedler, teorico e storico
dell’arte tedesca, individuò nella “rappresentazione” e dunque nella << pura visibilità >>, l’origine di
una conoscenza produttiva del mondo del tutto estranea a qualsiasi <<finalità estetica o simbolica>>.
Vide nell’opera d’arte la forma stessa che si crea il soggetto il quale fa sì che essa esista. Tale forma, che
insieme anche contenuto, deve esprimere solo se stessa, e tutto ciò che esprime in più rimane fuori dai
confini dell’arte. Analizzando dunque l’architettura, egli negò la sua inferiorità rispetto alle altre forme
d’arte, da momento che puntualizzò che “ciò che abitualmente si considera artistico in un edificio si
limita alla sua esteticità , e ciò nondimeno, se tutto questo si tolga avanza un resto che, di rado
riconosciuto, potrebbe essere l’unica traccia significativa delle opere di architettura”.
Questi artisti e i loro pensieri influenzarono molto le idee di Gropius e il successivo andamento che prese
il Bauhaus. L’istituto, non volle dunque essere semplicemente la fusione di un’accademia con la scuola
tecnica, ma al contrario pose l’accento in modo particolare sulla formazione professionale mediante
l’indicazione di un traguardo simbolico e reale ad un tempo: <<Bauen>>(costruire).
L’obiettivo era dunque quello di collaborare tutti insieme alla costruzione della nuova forma del mondo,
educando i giovani affinché la società intera potesse trarne, in seguito, giovamento.
Artisti di fama internazionale e di diversi settori convergono a Weimar, convocati da Gropius per
svolgere il ruolo di docenti. Lo stesso direttore scrive: “La cosa più importante per tutti resta certamente
il fatto di poter contare su personalità forti e creative. Noi non possiamo certo iniziare la nostra attività
all’insegna della mediocrità, ma, al contrario, abbiamo il dovere di chiedere, per quanto è possibile, la
collaborazione di artisti celebri in tutto il mondo, anche se ancora non esiste una totale comprensione
reciproca”. Vennero così convocati artisti di grosso calibro da tutte le parti del mondo; divennero docenti
il pittore Itten, Lyonel Feininger, lo scultore Marcks, il pittore espressionista Munche; nel 1921 giunsero
anche Klee, Schlemmer, Schreyer, nel 1922 si unì anche Kandinsky, riuscendo così, nel giro di pochi
anni a creare le fondamenta di un istituto che conserva ancora oggi il primato della sua categoria.
2.2 I materiali e le forme
Il design, tanto quello moderno quanto quello degli esordi, focalizza la sua attenzione sui materiali.
La cattedra di Itten al Bauhaus si concentrò sullo studio della natura dei materiali che doveva
<<evidenziare ciò che in ogni materia vi è di diverso e di essenziale>>, aiutando in tal modo gli allievi
ad affinare la loro sensibilità per la materia. Gli allievi avevano piena autonomia di scelta in merito al
materiale da utilizzare che veniva poi assemblato in classe dando vita a opere d’arte che avrebbero poi
fatto parte di una che competizione che la stessa classe aveva il compito di giudicare. Oggi, nell’era della
tecnologia più avanzata esistono stampanti tridimensionali che permettono di trasformare un progetto
virtuale in oggetto materiale attraverso l’utilizzo della resina liquida che viene modellata e solidificata a
strati permettendo una realizzazione istantanea.
Se, a cavallo tra il XIX e il XX sec, i materiali più usati dai designers erano il vetro ed il ferro, così
come il legno e il mattone, nella nostra epoca ci si è a lungo concentrati sul materiale che racchiude in
sé la duttilità e la resistenza in un connubio perfetto: la plastica. Questo materiale si presta ad acquisire
qualsiasi forma, a resistere anche alle più forti pressioni e nello stesso tempo conferisce agli oggetti
flessibilità e movimento.
I materiali plastici che si possono trovare sul mercato offrono prestazioni tecniche ed estetiche sempre
più elevate. Scegliere il materiale migliore tra le migliaia disponibili sul mercato è sempre più difficile.
Nonostante lo sviluppo di raffinate tecniche di progettazione dei manufatti in materiale plastico si nota
ancora una preparazione di base dei designers e dei progettisti che non è di indirizzo "plastico".
I principi di progettazione dei manufatti con i materiali "tradizionali" sono universali, ma le esigenze di
un materiale plastico, date le sue caratteristiche fortemente influenzate da fattori esterni, dalla sua
struttura chimica e dalle sollecitazioni di trasformazione, devono indurre ad un approccio progettativo
dedicato che necessita ancora di tempi e studi adatti per poter essere applicato al meglio. Ma se da un
lato si registra una tendenza verso la modernità, intesa anche come ricerca di materiali inediti o che
permettano applicazioni differenti rispetto al passato, dall’altro lato un ritorno alla tradizione, nelle
forme e nella materia prima, è sempre presente. I materiali di origine naturale, pelle, sughero, ceramica,
vengono oggi rivalutati, arrivando ad essere i più costosi sul mercato. Verrebbe naturale pensare alla
pelle nella realizzazione di sedie, divani, sgabelli, ma, in effetti, il design moderno individua nuove
possibili utilizzazioni di un materiale usato da secoli. Dai portacandele, ai vasi, ai porta foto interamente
realizzati in pelle di coccodrillo arriviamo ai porta riviste, agli svuota tasche, ai tavolini ed ai porta
gioielli, tutti oggetti che acquistano valenza nella nostra era prima che nelle altre.
Insieme allo studio del materiale da utilizzare, la cattedra di Itten al Bauhaus si concentrò anche sullo
studio dei contrasti (liscio-ruvido; pesante-leggero; duro-morbido; chiaro-scuro; alto-basso; rotondo angoloso; ).
Tali contrasti potevano essere spiegati con l’ausilio del disegno ma anche mediante la teoria della forma
che prevedeva le mosse delle forme primarie del cerchio, del quadrato e del triangolo ad ognuna delle
quali veniva attribuito un carattere peculiare. Il cerchio sta per <<fluente>> e <<centrale>>, il quadrato
per <<calmo>>, il triangolo per <<diagonale>>.Il Quadrato è simbolo di materia, di pesantezza, di
rigorosa chiusura. Al quadrato corrisponde il rosso, colore simbolico della materia. Il Cerchio è simbolo
di spirito, di leggerezza, di distensione e costante dinamicità. Nel campo dei colori, al movimento del
cerchio corrisponde la trasparenza dell'azzurro o blu. Il Triangolo è il simbolo del pensiero, nel campo
dei colori, al suo carattere imponderabile, corrisponde il giallo chiaro.
Nel design del Bauhaus era dunque tutto da definire, all’insegna di un’avanguardia sempre più sfrenata,
di contro, oggi sembra esserci, per alcuni aspetti , una tendenza opposta; si denota la necessità di
riscoprire gli elementi che avevano caratterizzato il design degli esordi , rielaborandoli tecnologicamente
per creare nuove tendenze.
Dal design degli oggetti a quello di interni, i vengono dunque utilizzati materiali naturali, dalla pietra
lavica lavorata al mattone, dal marmo al legno grezzo, dal sughero al vimini, dalla canapa alla pelle
sono tutti al centro delle nuove tendenze. Il ritorno alla natura e la necessità di percepirla nella
quotidianità sono, dunque, un passaggio quasi forzato in un’epoca in cui ,la maggior parte dei luoghi
che ci circondano, sembrano avere inghiottito tutto ciò che di naturale esisteva per fare posto al
transgenico, al modificato, all’ipertecnologico.
2.3 I colori
Lo studio del design si spinge oltre la forma per raggiungere l’essenza e il colore ne determina la nostra
percezione. In una società come la nostra, caratterizzata dalla multisensorialità, dove tatto, vista, udito e
gusto camminano parallelamente e vengono stimolati dalle continue sollecitazioni esterne l’attenzione
ai colori risulta primaria. Se il XIX sec si caratterizza per il distacco dallo sfarzo e la ricerca
dell’essenzialità, oggi la tendenza è per molti versi opposta. Si ricerca lo stimolo subconscio, la
percezione impercettibile, suscitata dalla miriade di colori, naturali o meno che l’uomo sia in grado di
creare.
Dai giochi di luce all’uso dei colori veri e propri, il design si concentra oggi sulla necessità di
armonizzare gli ambienti, di creare un clima adatto per ogni ambiente sia esso domestico, pubblico o in
generale cittadino.
La prima grande suddivisione è quella tra colori caldi e colori freddi. Ai caldi appartengono il rosso, il
giallo e l’arancione, oltre a tutti i derivati di rosa aranciati etc. Sono colori attivi, positivi, vicini. Sono
detti colori salienti perché sembrano uscire dalla superficie e sono associati all’azione, alla sonorità e al
moto continuo. I colori freddi, azzurro, blu, indaco e viola sono calmi, passivi, negativi, lontani e
spingono alla meditazione. Poiché sembrano sprofondare nella superficie sono detti rientranti. Anche la
percezione della durata del tempo cambia: il rosso “allunga” il tempo, l’azzurro lo “diminuisce”. Allo
stesso modo, anche la dimensione degli oggetti sembra variare, il rosso li ingrossa, l’azzurro li
rimpicciolisce. Anche l'andamento direzionale (verticale, orizzontale, diagonale) varia la percezione: la
direzione orizzontale sottolinea il peso e la vastità dello spazio. L'andamento verticale (per esempio le
colonne) esprime assenza di peso e di profondità e uno slancio verso l'alto. Ad ogni ambiente, dunque, il
suo colore e la sua forma.
Il verde, che dovrebbe essere un colore né caldo né freddo, per sua natura appartiene un po' di più alla
seconda categoria, forse perché richiama alla mente l'acqua, la sensazione dell'umidità. Una quantità
eccessiva di verde nell'arredamento può rendere l'ambiente troppo stagnante, perché è un colore che
possiede un'energia molto densa, pesante. Il verde oliva incupisce l'ambiente, va quindi usato con molta
moderazione. Il nero non deve mai essere accostato al verde, ne risulta un'atmosfera di tensione.
Il rosso è molto eccitante e, se impiegato su larghe superfici, è meglio limitarlo alle sue sfumature più
chiare: rosa corallo, salmone, pesca. Dà la sensazione di stabilità perché si stende uniformemente sulla
superficie, e attenuato dà origine a moltissime modulazioni perché molto duttile. Il porpora deve essere
usato nel momento in cui è necessario suscitare un senso di fermezza ma non di irritazione.
L'arancione è meno eccitante del rosso, meno violento, ma su grandi superfici è sempre meglio usarlo
nelle sue tonalità più chiare.
Il giallo è stimolante ma non eccitante e per questo colore vale la stessa regola: meglio chiaro sulle
grandi superfici. Il centro sembra più carico, mentre nei contorni appare più chiaro, perché è irradianti.
L'azzurro rilassa, ma in tonalità scure è deprimente, va quindi accostato ad altri colori che lo scaldino.
Il turchese funge da sedativo per i soggetti mentalmente iperattivi.
l viola, se luminoso, facilita la meditazione e l'ispirazione, può essere quindi impiegato nei luoghi
adatti, ma non su grandissime superfici: studi di artisti, filosofi, luoghi di culto. Leonardo da Vinci
affermò: "Il potere di meditazione può essere sino a dieci volte maggiore sotto l'azione di luce violetta
attraverso i vetri colorati di una chiesa silenziosa" (Amber 1983).
Il bianco è austero, monotono e freddo, enfatizza i volumi e le forme, mettendo in risalto gli errori e le
banalità costruttive; può essere usato su grandi superfici solo se accostato a molti altri colori e forme.
Bisogna tener presente che la tinteggiatura bianca, molto utilizzata, si trasforma visivamente in toni
grigi se non è illuminata direttamente. Il nero su grandi superfici è deprimente, ma su piccole quantità
rafforza i colori vicini.
Il marrone rappresenta solidità e sicurezza, concretezza e costanza, ma se troppo scuro è pesante,
quindi da usare con moderazione. Anche nella scelta dei legni è meglio indirizzarsi verso tonalità calde,
rosse o bionde.
Le società Max Meyer e Duco hanno proposto uno stand non convenzionale, un percorso emozionale dal
nome "Le Stanze del Colore" per dimostrare che il colore influenza il nostro modo di percepire lo spazio,
il tempo, il gusto. Il colore è un fenomeno così comune, diffuso, presente sia nell'ambiente naturale sia in
quello artificiale, che troppo spesso viene dato per scontato, non si riflette cioè abbastanza sulla relatività
della percezione dei valori. Progettare lo spazio abitato per il privato, progettare i terzi luoghi, palazzi
dello sport, ipermercati, aeroporti, stazioni, ma, soprattutto progettare istituzioni totali come ospedali,
scuole o prigioni, non rappresenta solo un esercizio di statica e fisico/chimico, ma uno sforzo ben più
ampio per riuscire a mettere in equilibrio le varie energie in gioco.
L'uomo, infatti, non è una macchina solo fisiologica soddisfatta in parte dal vecchio concetto di
ergonomia, ma possiede un soma (il corpo), una psiche (la capacità bio-elettrica) e il così detto
pneumos (lo spirito). Il colore, in quanto energia, fattore espressivo e culturale, è in grado di
coinvolgere tutti i processi vitali, fisiologici, neurologici, psicologici influenzando la complessa
interazione che si genera tra l'uomo, il gruppo sociale a cui appartiene e l'ambiente naturale ed
artificiale nel quale vive. Quello dei colori è dunque un linguaggio piuttosto complesso, in parte
influenzato dal retroterra culturale di ciascuno, in parte condizionato dalla nostra individualità
psicologica, sempre rivelatore di una componente inconscia e soggettiva della quale il colore
rappresenta la chiave d'accesso. L'architettura e l'urbanistica se ne occupano per rendere l'ambiente in
cui viviamo sempre più confortevole ed ottimale: ecco che gli ospedali hanno spesso i muri dipinti di
azzurro per rilassare i pazienti, mentre il marrone è il colore più comune per i pavimenti, perché ci
ricorda la terra, e da una sensazione di stabilità. Così lo studio dei colori è stato utile e finalizzato anche
a fini produttivistici. Giacchè si prova disagio a stare in una stanza con i muri dipinti di rosso, gli
architetti di una fabbrica giapponese hanno dipinto di rosso i muri delle toilettes per farci stare il meno
possibile i dipendenti. La natura resta comunque la maestra più grande ed inimitabile nell'uso dei
colori: pensiamo al fascino dell'autunno, stagione del ricordo e del rimpianto, della riflessione, che con
i suoi colori rilassanti, effetto della contemporanea presenza delle svariate tonalità di rosso e marrone
delle foglie e dell'azzurro del cielo ha ispirato tanti poeti; l'estate è invece tanto piena di vita quanto
piena di sole, con il suo giallo (colore caldo, irradiante, luminoso suggerisce espansione e movimento,
libertà e autonomia, è colore del cambiamento e della ricerca del nuovo.) che splende in un cielo
azzurrissimo.
L’uso del colore può rivelarsi efficace in un'architettura che sappia interpretare le esigenze degli
uomini di oggi. Secondo questo punto di vista, per progettare il colore in architettura bisogna coniugare
legge e libertà nel cromatismo architettonico, proprio come l’artista si propone di fare nell’ambito di
una qualsiasi arte visiva. In particolare, bisogna riconoscere nella legge lo strumento per liberare una
creatività coerente con l’intelligenza incantata nella natura, una creatività che risulti pertanto depurata
di ogni elemento arbitrario o di maniera. Scegliere il colore di un luogo di abitazione richiede l’attenta
osservazione degli spazi e della natura dell’attività che in essi viene svolta. L’osservazione degli spazi
interni va rivolta alle forme, alla luce naturale e a quella artificiale, cose alle quali i professionisti sono
già in larga parte attenti.
La luce naturale modella chiaroscuralmente e cromaticamente lo spazio interno, al variare della
posizione del sole nelle ore della giornata: la luce naturale non è costante nel tempo. La luce artificiale
comporta una o più condizioni possibili, ma comunemente statiche. Di solito, la forma degli spazi è,
poco creativamente, appiattita sul modulo del parallelepipedo. E tuttavia, dal punto di vista del colore,
ogni variazione, rientranza, sporgenza, nicchia, svaso, spigolo ha importanza ed è quindi da registrare
come occasione per mutamenti cromatici o chiaroscurali. Il colore è interazione tra luce e oscurità: ogni
colore è sempre più chiaro della completa oscurità, il nero, e più scuro della luce, ovvero del bianco,
proprio come si osserva per il grigio. Il colore è “valore d’ombra” rispetto alla luce ed è luce rispetto
all’oscurità. La luce degli ambienti ha importanza proprio in relazione alla natura di luce e ombra del
colore. Le tecniche di colorazione più adeguate per una viva espressione del colore sono quelle che
producono superfici cromatiche non piatte e non omogenee. La forma, allora, dà occasione per
mutamenti cromatici e chiaroscurali: lo spigolo che congiunge o separa due superfici è il luogo naturale
per un cambiamento cromatico. C’è un altro elemento essenziale a un quadro d’insieme degli spazi
d’abitazione:
la
funzione
d’uso.
La
funzione
d’uso
ha
due
aspetti.
Il primo è quello relativo all’ ergonomia degli spazi e all’organizzazione dei luoghi; il secondo è quello
che si può chiamare l’aspetto vissuto della funzione d’uso, ovvero il riflesso interiore che la destinazione
d’uso di uno spazio sollecita. Una cucina, un soggiorno, lo studio di un matematico, il laboratorio di un
orafo, sono luoghi nei quali ci si predispone a stati d’animo diversi. Organizzazione dello spazio,
ergonomia, forme e colori non devono ostacolare quella funzione e quegli stati d’animo, ma anzi
devono accompagnare l’attività propria di chi vive quello spazio. Un luogo è predisposto per un lavoro
di concentrazione e di pensiero intensi, un altro luogo è predisposto per un’energica attività fisica, un
altro ancora è pensato come fucina di attività creative o per un lavoro ripetitivo. Questi luoghi diversi
hanno bisogno di cromie differenti. I colori, gli accordi cromatici prescelti, le tecniche di applicazione
del colore vanno accordati con le qualità interiori messe in gioco in quello specifico spazio, con l’aiuto
di quelle qualità oggettive del colore stesso. È necessario immergersi nello stato d’animo di chi svolge
una determinata attività ed estrarne il carattere intersoggettivo, senza tener conto, in prima
approssimazione, dei tratti specifici di una singola personalità. Ogni situazione ha un numero molto
ampio, pressoché illimitato di soluzioni cromatiche ma, questo ventaglio di scelte, non implica
arbitrarietà, se si coniugano legge e libertà; proprio come in natura, dove esiste un’infinita varietà di
piante che, rispondendo alla stessa legge della vita, hanno forme e aspetto radicalmente diversi.
Un lavoro di pensiero, ad esempio, orienta la scelta cromatica verso un azzurro, che esprime capacità
di distacco: il pensiero astratto non ha empatia con la realtà, ma si propone come una distaccata
osservazione di essa; allo stesso tempo il pensiero si presenta come luce che illumina ciò che prima era
nell’ombra e quindi come un chiarore giallo. Negli ambienti interni il colore può sostenere l’uomo che
li abita, ma può anche ostacolarlo. Sostenere vuol dire accordare la cromia all’attività interiore del
sentire (sensazione-sentimento), perché è con quella sfera umana che colloquia il colore, producendo
benessere o malessere. La psiche, l’anima dell’uomo è sempre attiva: progettare il colore richiede di
immedesimarsi nelle qualità di quella attività, alla ricerca dell’accordo cromatico che meglio la
rispecchia.
Se l’ambiente interno di cui si vuole progettare il colore è un ambiente pubblico, l’unico riferimento è la
destinazione d’uso alla quale sono associati i sentimenti sollecitati dall’attività umana che in esso si
svolge e quindi i relativi colori che accompagnano quelle manifestazioni della psiche. E’ importante
mantenere in questi spazi una certa varietà cromatica che consenta ad ogni individuo, per quanto
possibile, di trovare un “luogo” cromatico di simpatia. Luoghi così concepiti possono essere salubri e
contribuire allo sviluppo di un’architettura fatta dall’uomo per l’uomo nella sua complessa integrità
psicofisica. La salute scaturisce da una complessa interazione tra corpo, psiche e individualità; questa
complessità pone la sfida fondamentale da raccogliere nella progettazione del colore. La rassegna Color
casa in Triennale a Milano illustra la stretta relazione che intercorre tra l’uomo, la luce e i colori, che ha
le sue radici nello sviluppo delle nostre funzioni psichiche, quali memoria ed attenzione. Nella
progettazione dell’ambiente domestico, dove si sviluppano affetti e relazioni, il colore gioca un ruolo
fondamentale
nella
ricerca
di
un
maggiore
benessere
fisico
e
psicologico.
Saper creare una policromia equilibrata è il complesso obiettivo che si propongono architetti e
colordesigners. La mancanza di indagini approfondite a tale proposito porta spesso il pubblico, che
avverte la necessità di abitare spazi sani e confortevoli, ad attingere spunti ed informazioni in modo
disorganico, da discipline e scuole di pensiero cariche di suggestivi ma vaghi suggerimenti. La
convivenza, all’interno della società contemporanea, di stili e culture diversi si riflette nella
progettazione dell’ambiente e rende possibile la presenza dell’intera gamma di colori sul mercato.
Svariate ricerche condotte da esperti del settore hanno comunque dimostrato che i cambiamenti di colore
nel design e nell’architettura d’interni si ripetono ciclicamente. Determinati gruppi di colore si
impongono per un certo periodo di tempo, per poi stazionare su un livello medio-basso. Tutto ciò si deve
al fatto che esistono gruppi di colori che incontrano il consenso del largo pubblico nonostante i diversi
stili e scenari di vita. Un esempio è offerto dal verde e dall’arancione, che riscontrano un’accettazione
globale a prescindere dalla cultura, dall’applicazione, dal rapporto stile-prodotto.
Superata la tendenza del freddo design High Tech, oggi il consumatore preferisce tinte forti ed evidenti
contrasti. L’analisi della situazione attuale ha permesso all’Istituto del Colore di prevedere un imminente
ritorno dei toni caldi e naturali della terra, nella vasta gamma dei marroni.
Attraverso l’allestimento di vari ambienti domestici ed alcuni video che coinvolgono lo spettatore in
esperienze cromatiche particolari, l’esposizione Colore-Casa, citata in precedenza, vuole dimostrare
come sia possibile ottenere un nuovo benessere grazie ad un uso consapevole e libero del colore,
svincolato dalle mode e dagli stili del momento.
2.4 Il disegno industriale
Il processo di modernizzazione e di tecnologizzazione che ha investito l’intero pianeta dalla fine del XIX
sec. in poi, ha coinvolto tutti i settori, compreso quello delle arti, dando vita ad un nuovo modo di
intendere il design. Con la nascita delle automobili e delle prime linee ferroviarie che collegavano città
molto lontane, si sente la necessità di rendere confortevoli anche questi luoghi e il design stringe
collaborazioni sempre più strette con l’industria del settore. Da mezzi finalizzati al trasporto, treni e
automobili devono adesso competere sul mercato assoggettandosi alle sue leggi e sviluppando
caratteristiche che li differenzino, all’interno di quadro votato sempre più alla concorrenza, ma
l’inabissamento del Titanic nel 1911 segnalò l’evidente sproporzione “tra le comodità assicurate ai
passeggeri e la bellezza degli arredi da un lato e gli standard di sicurezza dall’altro”.
Il prodotto industriale deve essere realizzato in conformità a un <<modello universale>> talmente ben
fatto da durare indefinitamente nel tempo. L’automobile, prima fra tutte, deve racchiudere in sé queste
caratteristiche, ed il primo a rispondere tempestivamente alla domanda di mercato fu Ford con il
“Modello T” creato nel 1908. Ford intuì la possibilità di creare un modello standardizzato nelle sue
componenti, unificando la produzione delle parti meccaniche e della carrozzeria,fino a quel momento
realizzate separatamente da ebanisti, fabbri, scoccai e calderai. Questo permise la realizzazione in serie
che garantì delle economie di scala e un conseguente abbassamento dei costi di produzione che si
riflettevano poi nel prezzo di vendita. Con il “Modello T”, Ford abbassò i tempi di produzione da dodici
ore e mezza ad un’ora e mezza garantendo economie che permisero di vendere in vent’ anni quindici
milioni di esemplari.
Il disegno industriale era presente nei fatti, ma chiuso nel bozzolo di una concezione strutturale che ne
rendeva indeterminati i caratteri. Era ancora <<il design degli ingegneri>>. Una volta immesso sul
mercato il modello di automobile della Ford dovette fare i conti con la concorrenza della General Motors
, la cui dinamica e vivace <<Chevrolet>>, ricca di colore, conquistò rapidamente le preferenze dei
consumatori.
Superato l’ostacolo della produzione si rendeva ora necessario spostare l’attenzione dalla funzionalità,
oramai acquisita, all’estetica. Simmel pose la questione della <<valutazione estetica>> in relazione all’
utilità. ”Se le cose sono soltanto utili” osservò “esse sono fungibili, ognuna è sostituibile da un’altra,
ognuna ha lo stesso effetto dell’altra. Non appena diciamo che sono belle ,esse acquistano una
specificità individuale, un essere per sé”. Ma come comportarsi nel momento in cui la società dei
consumi impone la produzione seriale delle cose? Simmel risponde che “l’allargamento del consumo è
collegato alla crescita della cultura oggettiva, poiché quanto più oggettivo e impersonale è un prodotto,
tanto più numerosi sono gli uomini ai quali si adatta . Affinché il consumo del singolo possa trovare un
materiale così ampio, questo deve essere reso accessibile a moltissimi individui e risultare attraente per
tutti”. E dunque qui possiamo collocare la nozione di stile inteso da Simmel considerato come “la
sostituzione dell’accentuazione individuale con una generalità più ampia”.
Ma i mezzi di trasporto non furono l’unico campo in cui il design dovette applicarsi. L’inizio dell’era
industriale si rifletté negli ambienti domestici e nei nuovi consumi associati ai beni durevoli. II design
dovette impegnarsi a progettare la forma delle case e dei prodotti che le caratterizzavano. Nascono le
prime macchine da cucire Singer per uso domestico, i primi elettrodomestici a lunga durata e l’intera
attività domestica viene strutturata secondo i metodi di produzione della nuova industria; la forma delle
cose modellava la forma del mondo attraverso il rinnovamento dei componenti e delle rappresentazioni
cui essa induceva. L’ America degli anni ’30 si caratterizza per un nuovo stile, lo Streamline, votato a un
funzionalismo razionalista che anticipa la conformazione delle città futuristiche. Nell’Esposizione di
New York del 1939 compaiono i primi elettrodomestici, capeggiati dalla casa Hoover che , con il tempo,
diventerà sinonimo del prodotto realizzato: l’aspirapolvere. Cambia completamente la visione della
donna moderna, che sostituisce la servitù con elementi meccanici che le permettono, in piena
autosufficienza , di svolgere tutte quelle mansioni necessarie per garantire ordine e pulizia negli
ambienti domestici, lasciandole anche il tempo per sé. Il nuovo stile prende ispirazione da una forma
molto semplice, la goccia d’acqua, considerata aerodinamica, semplice e allo stesso tempo funzionale
per le realizzazioni alle quali era destinata. Durante la seconda guerra mondiale le industrie della Hoover
vengono convertite a sostegno del progetto bellico fabbricando elmetti e borracce, ma questo momento
di stasi non lascia indietro l’America, che continua comunque a detenere il primato tecnologico. Nel
Vecchio Continente bisogna aspettare l’aumento del voltaggio elettrico affinché la tecnologia possa
avere il libero accesso, e ciò non avverrà prima degli anni ’60. Gli studi americani sulle possibili
applicazioni tecnologiche si sono sviluppati partendo dall’attenzione all’antropometria[…], creando
oggetti d’uso comune all’insegna della funzionalità. Le tendenze e l’arte camminano di pari passo con la
tecnologia ed elementi tecnologici diventano simbolo delle nuove arti. L’aspirapolvere Spotnik ,
caratterizzato dalla forma rotonda e poggiato su un cuscinetto d’aria, diviene negli anni ’50 simbolo
della Pop Art.
2.5 Dal design tradizionale al design tecnologico.
Nel corso dell’ultimo secolo il design ha incontrato diverse tendenze iniziando il suo percorso, alla fine
dell’8OO, con il movimento denominato “Arts and Crafts”.
Capeggiato dalla figura carismatica di William Morris e sorretto da teorici quali lo scrittore e filosofo
John Ruskin, il movimento “riformista” tenterà di ridare ossigeno al lavoro manuale rivalutando il
ruolo dell’artista-artigiano medievale e ispirandosi all’arte di quel periodo, vista come ideale di
bellezza estetica. Il gruppo formato da architetti, scrittori, disegnatori, artigiani, vedrà tra le sue fila
anche pittori preraffaelliti come Burne-Jones o Dante Gabriel Rossetti. Lo stile “Art and Crafts” verrà
applicato alla produzione di mobili, oggetti, tappeti, arazzi, carte da parati distinguendosi per sobrietà
ed
eleganza
delle
decorazioni
basate
su
forme
naturali
stilizzate.
Sebbene severi fautori del lavoro artigianale, con il tempo gli artisti aderenti al movimento
accetteranno di collaborare con l’industria riconoscendo il valore della progettazione come
fondamentale premessa alla produzione in serie. Sarà il primo passo per un rinnovamento delle arti
applicate e quindi per lo sviluppo in senso moderno del disegno per l’industria o “industrial design”.
Un esempio precoce in questo senso è la sedia Thonet progettata da Michel Thonet nel 1859.
Utilizzando le tecniche dei costruttori di barche, egli sperimentò la curvatura del legno di faggio
mediante il vapore, con il legno inumidito e messo ad essiccare in casseforme di metallo. Si ottenevano
così numerosi pezzi dalla forma essenziale e dai costi decisamente contenuti. Altra innovazione
importante fu la standardizzazione dei componenti e quindi la possibilità di smontare e assemblare la
sedia, con evidenti vantaggi per il trasporto e l’esportazione del prodotto, ancora oggi venduto in tutto
il mondo. Sulla scia del rinnovamento iniziato dalle “Arts and Crafts” inglesi si inserirà l’Art Noveau,
stile che alla fine del XIX secolo trova larga diffusione in Europa e negli Stati Uniti ottenendo la sua
definitiva consacrazione nel 1900, anno in cui si svolge a Parigi un’importante Esposizione Universale
dei prodotti industriali.
A differenza del movimento inglese, l’Art Noveau apprezzò subito i vantaggi offerti dalle tecniche di
lavorazione industriale, delle quali si servì per creare ornamenti architettonici e di arredo urbano
(famosi i lampioni “floreali “della metropolitana parigina) ma anche mobili, oggetti e decori dalla
tipica linea fluida e ondeggiante derivata da forme naturali. I materiali usati vanno dal legno al ferro
battuto, dall’argento al bronzo dorato fino a quelli più esotici come l’avorio o la madreperla.
Particolarmente significativa la produzione di oggetti in vetro, tra i quali spiccano le creazioni eccelse
del francese Emile Gallé o le lampade dell’americano Louis Comfort Tiffany.
Lo stile Art Noveau si è espresso con caratteri propri in ogni Paese europeo grazie a progettisti di
talento capaci di interpretarne lo spirito. Tra i tanti nomi che si potrebbero citare, ricordiamo solo lo
spagnolo Antoni Gaudì, autore di originalissimi mobili e architetture ricche di esuberante vitalità, e i
belgi Victor Horta e Henry van de Velde, le cui creazioni declinano i nuovi ritmi compositivi in un
linguaggio formale autonomo e originale. Nel felice incontro fra invenzione artistica e tecniche di
lavorazione meccanica, esso si pone come anticipazione diretta dell’approccio funzionalista che si
affermerà in seguito attraverso istituzioni importanti come il "Deutscher werkbund" e il "Bauhaus". Il
periodo compreso tra le due guerre mondiali vede in tutta Europa e in America l’ affermarsi
nell’architettura e nelle arti applicate del cosiddetto “Movimento Moderno” o Razionalismo, tendenza
culturale e artistica di livello internazionale che punta ad esprimere la nuova epoca mediante il radicale
rinnovamento delle forme progettate.
Nella definizione del nuovo linguaggio modernista è importante l’influenza di alcune avanguardie
artistiche come il Cubismo, con la sua riduzione della realtà a forme geometriche; il Futurismo, con
l’esaltazione della macchina e della velocità; l’Astrattismo, con la sua ricerca di forme pure e
universali. La pittura di Mondrian, per esempio, è tradotta dall’architetto Gerrit Rietveld (legato al
movimento De Stijl) in un oggetto dalle linee primarie di forte impatto visivo.
Un altro fattore è l’incremento della produzione industriale, il quale porta ad una “estetica della
macchina” che esalta la bellezza degli oggetti ridotti alle loro forme primarie.
Grandi teorici e divulgatori delle idee razionaliste sono tra gli altri Adolf Loos, Le Corbusier, Mies Van
der Rohe, Walter Gropius, fondatore del Bauhaus (vedi paragrafo 2.1).La poltrona”Wassily” in
tubolare d’acciaio e pelle di Marcel Breuer disegnata negli anni venti al Bauhaus e riproposta ancora
oggi, è per eleganza ed evidenza strutturale un esempio dell’estetica razionalista diffusa dal Movimento
Moderno.
Una panoramica sui prodotti realizzati in America e in Europa nel secondo dopoguerra mostra caratteri
e tendenze diverse e specifiche per ogni Paese. Negli Stati Uniti si assiste a un enorme sviluppo della
produzione e vendita di oggetti più o meno durevoli, conseguenza del maggiore benessere economico
raggiunto da larghi strati di popolazione. In molti oggetti, il design interviene soprattutto come styling,
ossia come abbellimento formale in grado di attrarre l’attenzione e spingere all’acquisto del prodotto.
Un esempio sono le “pinne” aerodinamiche di alcune automobili, rese ancora più appariscenti da
vistose cromature. Nello stesso periodo molti designer indagano le potenzialità estetiche di materiali
nuovi come l’alluminio, le materie plastiche o la fibra di vetro, utilizzata da Charles Eames per le sue
rivoluzionarie sedute.
Nei Paesi nordici, la sapienza artigianale si fonde con i processi industriali generando una serie di
prodotti che si distinguono per la purezza e l’eleganza formale, l’uso di materiali naturali come il
legno o la pelle e soprattutto per l’attenzione agli aspetti ergonomici e funzionali.
Le sedute progettate da Alvar Aalto o i tessuti Marimekko, i vasi e le posate di Tapio Wirkala o le
lampade di Louis Hennigsen sono ormai dei classici del design e hanno contribuito a diffondere nelle
case del mondo il gusto e lo stile di vita di questi Paesi.
In Italia, gli anni del dopoguerra sono caratterizzati dallo sviluppo di numerose imprese industriali con
conseguenti drastici cambiamenti economici e sociali.
Alcune di queste industrie producono automobili, apparecchiature per la casa e l’ufficio che vengono
progettate da importanti architetti-designer tra i quali ricordiamo Marcello Nizzoli, Vico Magistretti, i
fratelli Castiglioni, Giò Ponti e molti altri. Misurandosi con le esigenze della produzione in serie, essi
elaborano una nutrita serie di oggetti , originalissimi per soluzioni tecniche e formali, che decretano il
successo e l’affermazione su scala mondiale del “bel design” italiano, al quale si riconoscerà un ruologuida come riuscita sintesi di creatività e innovazione tecnica. Nel 1961 ha luogo il primo viaggio
nello spazio, con il cosmonauta Juri Gagarin che compie un giro completo intorno alla Terra. I riflessi
di questa esperienza si avvertono in molti campi e si fanno sentire anche nel design. Progetti di interni
come quelli di Joe Colombo riflettono il clima eccitante “dell’era spaziale”: automatizzati , ricchi di
colori sgargianti e psichedelici e arredi in plastica, si propongono come ambienti rivoluzionari e
avveniristici in grado di favorire nuovi stili di vita e modi di abitare.
Nello stesso periodo fa la sua comparsa la Pop Art, corrente artistica che metabolizza e trasforma in
arte le immagini e le scritte dei fumetti o i prodotti commerciali con i loro colori squillanti. E ad opere
pop si ispirano alcuni prodotti di design come il divano-mano in pelle, molto simile alle soffici sculture
di Claes Oldenburg. Negli anni settanta in alcune città italiane e straniere si formano gruppi di designer
e architetti che contestano il razionalismo allora imperante. Dandosi nomi altisonanti (Superstudio e
Archizoom a Firenze, Archigram a Londra) i gruppi elaborano oggetti “radicali” e immagini
utopistiche di ambienti urbani che provocheranno un acceso ma fertile dibattito teorico sul ruolo del
progettista e dell’architettura nella società, aprendo la strada alle espressioni del decennio successivo.
Tra queste, appaiono decisive le esperienze milanesi dello studio Alchimia, che annovera tra i suoi
esponenti maggiori Alessandro Mendini, e il gruppo Memphis, guidato dalla figura carismatica di
Ettore
Sottsass.
Presentati nel 1981 a Milano in una memorabile mostra, gli arredi Memphis disegnati da Sottsass e da
altri architetti tra i quali Marco Zanini, George Sowden, Michele De Lucchi, suscitano scalpore per la
grande novità formale e linguistica ottenuta tramite accostamenti di materiali diversi, di colori
sgargianti e l’uso del laminato plastico con decori appositamente disegnati.
Scanzonati e anticonformisti, i mobili e gli oggetti Memphis portano una ventata di euforia creativa nel
mondo della produzione industriale alimentando un nuovo gusto estetico all’insegna della leggerezza e
dell’ironia. Caratteri che sono peraltro i segni distintivi del gusto postmoderno imperante nel periodo
e visibile nelle arti figurative come nella grafica, nell’architettura come nella moda; ad essa appartiene
anche il clamoroso fenomeno degli swatch, gli orologi in plastica colorati ed economici ma di
assoluta precisione lanciati con successo dall’azienda svizzera e posseduti oggi da milioni di persone
in tutto il mondo. Negli ultimi anni la tecnologia ha investito tutti i settori industriali dai quali non
poteva rimare escluso il design. Abbiamo assistito ad una tendenza futurista con un’abbondanza di
ambienti freddi, caratterizzati da colori non-colori in cui tutto si confonde nell’unicità cromatica. Gli
ambienti domestici sembrano avere acquisito un nuovo confort tutto da imparare quasi forzatamente. I
prodotti proposti dal mercato presentano molti stili diversi, distinti tra loro mediante nomi
convenzionali come high tech, minimalista, neopop, etnico ecc. Un importante valore aggiunto è la
“firma” del designer, acclamato spesso come una vera e propria star al pari di stilisti o di chi opera nel
mondo dell’arte. Uno tra i più famosi è senza dubbio Philippe Starck, geniale creatore di oggetti dalle
forme attraenti e capace di suscitare ovunque ammirazione e consenso. Contemporaneamente si assiste
all’evoluzione del design come disciplina progettuale. Per far fronte a un mercato internazionale
sempre più esigente, ai designer si richiedono non solo doti creative ma anche profonde competenze
specifiche, che vanno dalle nozioni sui materiali e le tecniche di lavorazione all’ergonomia e al
marketing. Un’altra sensibile evoluzione è quella connessa alle tecnologie digitali. Portatori di
cambiamenti profondi nei metodi di lavoro e di studio i computer hanno anche mutato radicalmente il
“paesaggio” visivo degli uffici e nelle abitazioni di una buona parte del mondo. E agli ambienti
domestici guardano oggi molti produttori di computer proponendo macchine “addolcite" nelle forme e
nei colori, in grado di inserirsi in ogni ambiente e per questo bene accolte dal pubblico.
E nel prossimo futuro? Molto probabilmente l’evoluzione tecnologica potrà essere usata per modificare
gli oggetti tradizionali, per esempio attraverso la miniaturizzazione.
Già ora vediamo per le strade microveicoli per non parlare delle macchine fotografiche digitali da polso
o di altri microggetti. Inoltre gli apparati elettronici daranno vita ad oggetti sempre più “intelligenti”,
capaci di dialogare tra loro e interagire in modo nuovo con l’utente. Come il cane-robot i-cybie,
avveniristico compagno elettronico capace di riconoscere la nostra voce e imparare i nostri comandi o
anche scodinzolare “contento” vedendoci arrivare.
Capitolo 3
Le nuove frontiere del design.
Analisi delle nuove tendenze in materia di design.
Questo capitolo è dedicato alla descrizione di alcune delle più importanti e rappresentative esposizioni e
saloni di design, e dunque di architettura, presenti sulla scena internazionale contemporanea. L’obiettivo
è quello di sviluppare il più possibile il tema dell’ alterità di stili e tendenze, tutte ugualmente
riconosciute e tutte allo stesso modo elaborate.
3.1 Il Salone del Mobile: Entrez Lentement
Entrate Lentamente", ovvero rallentate il ritmo del consumo e soffermatevi a meditare: è questo il
monito che Pierluigi Nicolin ha proposto al pubblico del Salone del Mobile in una mostra che, mutuando
la scritta dipinta da Le Corbusier sulla E-1027 di Eileen Gray, presenta le interpretazioni di otto celebri
dimore moderne da parte di altrettanti progettisti contemporanei. Questa rassegna è di particolare
interesse per il suo declinare il tema dell'architettura in mostra con diverse modalità. Troviamo infatti
nello stesso luogo:
Un'architettura esposta (le case originali) presentata attraverso molteplici rappresentazioni, quasi fossero
delle tracce sparse: vi sono lettere dei proprietari, microstorie di testimoni, schizzi dell'architetto, ecc...,
il tutto presentato senza far prevalere un formato sull'altro. Questa modalità vuole rompere con la
monoliticità dell'icona modernista e presentare dei casi di vita vissuta, di una domesticità tenuta finora
nascosta la quale, tuttavia, legittima la ricerca sulla casa di questi progettisti moderni quanto la riduzione
a cui è stata finora sottoposta la loro architettura. Questa lettura disseminativa è presentata tuttavia con
un allestimento di tipo modernista classico, una serie di stanze fatte di pannelli di medium density
progettati da Cerri che fanno da sfondo neutrale ai documenti e creano quindi un voluto stacco tra
supporto e oggetto in mostra.
L'allestimento è qui funzionale alla molteplicità dell'esposizione: divide gli ambienti secondo le diverse
case e tratta quello che espone come rappresentazione separata dall'ambiente spaziale, riportandola anzi
ad un formato prevalentemente grafico.
Un'architettura interpretata (le installazioni dei progettisti contemporanei) che seleziona un aspetto
specifico delle case storiche e lo traspone in un formato spaziale che non vede separazione tra supporto,
oggetto in mostra e messaggio ma che sintetizza il tutto in un'unica esperienza ambientale. Entrez
Lentement fa esplodere le case del moderno in mille episodi di vita vissuta, in concetti parziali, in
interpretazioni distanti tra loro. I progettisti invitati a confrontarsi con il tema dell'installazione che parla
di un'architettura altra, hanno proposto soluzioni diversissime tra loro ma riducibili ad alcuni filoni. C'è
chi ha estrapolato un tema teorico e lo ha tradotto in forma spaziale con esiti del tutto personali: Michael
Maltzan ha, per esempio, scelto il rapporto maschio-femmina nello spazio domestico mutuandolo dalla
concezione della casa Schindler (originariamente pensata con due appartamenti per due coppie con
cucina in comune) e dal suo successivo fallimento (Schindler e consorte, dopo il divorzio spartirono le
due ali dello stabile vivendo letteralmente separati in casa). C'è chi ha implementato la disseminazione di
tracce domestiche già presente nella documentazione sulle case originali: Tony Fretton ha rinunciato a
qualsiasi spazializzazione del suo ambiente sull'Upper Lawn Pavilion a Fonthill e ha sparso sul
pavimento frammenti di fotografie degli Smithson che immortalano la vita di vacanza nell'edificio
attraverso gli oggetti quotidiani (una pratica documentaria questa che i due all'epoca perseguivano e che
condividevano con personaggi come gli Eames). Il suo intervento è probabilmente il più riuscito della
mostra perché non ambisce ad alcuna ambientazione delle case e misura la distanza tra lo spazio reale e
quello delle rappresentazioni.
3.2 La Triennale di Milano
Non è mai facile provare a tracciare il bilancio di una esperienza, ma credo che la forza di un percorso
consapevole stia anche nella capacità che ha di essere poi raccontato e che soprattutto diventi occasione
per fare qualche riflessione che vada oltre il semplice dato di realtà. Cosa vuol dire allora oggi pensare e
produrre una mostra di architettura?
La storia della Triennale degli ultimi trent'anni è la storia della nostra cultura architettonica:
progressivamente frammentaria, provinciale, marginale, frustrata in un ruolo di nobile decaduta amata
dalle generazioni più avanti con gli anni e dimenticata dagli studenti, incapace di costruire un progetto
culturale forte e insieme problematico. La Triennale cercava di avviare da almeno un decennio un
faticoso progetto di rinascita e metamorfosi troppo spesso frustrato dalla discontinuità politica e
istituzionale di chi avrebbe dovuto supportarla. Il rifacimento della Galleria e dell'ingresso con
l'accoppiata Aulenti-Riva cercò di dare un segnale, poi la gestione scientifica di De Michelis con
l'istituzione di un sistema di mostre temporanee come complemento necessario all'Expo triennale apre un
fronte ormai ineludibile per una Istituzione che ha a disposizione più di 5000 metri quadri disponibili per
mostre ed eventi. Segue la sfortunata, perché breve, fase De Marzio (presidente) e Boeri (curatore),
quindi un biennio di oblio, silenzio, impaccio. Nel 2000 arriva con nomina bipartisan Augusto Morello,
olivettiano, teorico e promotore di lunga data del migliore design italiano e della sua cultura, che
raccoglie l'eredità sfilacciata degli ultimi anni e tenta un intervento di sistema che sembra aver dato negli
anni risultati insperati. Una Expo spalmata lungo l'intero triennio con un sistema variato e complesso di
mostre,
eventi
e
laboratori.
In testa l'idea di cambiare radicalmente il volto della Triennale, istituzionalmente e fisicamente, per
riconsegnarla alla città e alla cultura più alta italiana ed europea. Una operazione consapevole della
debolezza mediatica dell'istituzione, della sua fragilità culturale e della metamorfosi che la società
italiana e la cultura dell'architettura del design e dell'architettura sta ancora vivendo. La mostra è
concepita come atto politico (ovvero di scelte consapevoli) e insieme emozionale, come luogo di
esperienza e insieme di coinvolgimento delle energie giovani e attive espresse dalla nostra cultura di
ricerca. Non mostre per consacrare ma per porre interrogativi e offrire spazio a chi abitualmente non ne
trova se non nei circuiti laterali, undergrounder. E sotto questo punto di vista in occasione di alcuni
allestimenti o per la definizione di spazi interni alla Triennale sono stati organizzati negli anni alcuni
piccoli concorsi ad inviti per giovani architetti italiani, per ampliare possibilità di accesso e intervento
dei progettisti alle prime esperienze e per ritornare alla tradizione tipica di Triennale di trasformarsi
spesso in un palcoscenico per l'opera prima di autori emergenti. Contemporaneamente l’ attività si è
sviluppata in direzione dell'architettura italiana contemporanea con l'unica, vera azione che una
istituzione come la Triennale di Milano doveva avviare: la creazione della prima edizione della Medaglia
d'Oro per l'Architettura Italiana, un evento pubblico capace di sancire pubblicamente in Italia e all'estero,
il ritorno dell'architettura italiana dopo un decennio di oblio. All'interno delle tante iniziative pubbliche,
dei dibattiti, delle pubblicazioni portate avanti a supporto e comprensione dell'architettura nazionale
contemporanea, la Medaglia d'Oro ha rappresentato uno dei momenti più importanti in questa fase così
delicata e decisiva per a nostra architettura. A questa azione hanno affiancato nell'ultimo anno la serie
mensile di incontri intitolati "Cantieri aperti" in cui l'obbiettivo dichiarato è stato quello di mostrare la
grande architettura pubblica italiana, figlia di questa ultima stagione di progetti e di nuovi autori, nel suo
farsi. L'obbiettivo è quello di mettere in luce la complessità del fare architettura oggi, la difficoltà del
farla in Italia con risultati accettabili ma anche i risultati insperati che il sistema a volte ha saputo
produrre (Fiera di Fuksas, restauro del Pirelli e Scala in testa), mettendo ogni volta in scena il dialogo
che avviene tra le parti coinvolte: il committente, il progettista, l'impresa e lo strutturista. A
completamento dell'attività espositiva sono state ospitate alcune mostre importanti come Olivetti. Città e
architettura (con un progetto di allestimento da concorso Triennale di 99IC), Nuova Architettura
Tedesca, Austria West, Città e disegno. Architettura Portoghese, Volti nuovi per teatri antichi, tutte ogni
volta integrate da incontri che hanno portato molti degli autori europei di maggior interesse a Milano,
spesso anche per la prima volta.
3.3 Il Salone del mobile 2006
L’Edizione 2006 del Salone del mobile presenta diverse novità a livello strutturale e contenutistico,
rispetto alle edizioni precedenti. Abbandonata la storica fiera meneghina, che ha visto esordire l'evento
nel lontano 1961, il Salone trova spazio nel nuovo polo fieristico, firmato dall'architetto Massimiliano
Fuksas. L'altra novità è la vera protagonista, la casa mostrata dagli espositori, che sarà all'insegna del
nuovo con le sue proposte innovative e soluzioni inedite. Un ambiente caldo e avvolgente, un rifugio
sempre più personalizzato che abbandona senza rimpianti il minimalismo assoluto e apre le porte a
decorazioni, colori, accostamenti a sorpresa e arredi, dove il complemento arriva a caratterizzare un
intero spazio. Un'abitazione all'insegna del benessere, come vuol essere anche il luogo di lavoro,
comodo, funzionale ed ergonomico come una seconda casa. 221.714 metri quadri ripartiti tra il Salone
Internazionale del Mobile, il Salone Internazionale del Complemento d'Arredo, le biennali Eimu ed
Eurocucina con FTK (Technology for the Kitchen) e il nuovo Salone Internazionale del Bagno.
Immancabile il Salone Satellite, vetrina incontestata della creatività giovanile. Nel dettaglio:
Il Salone Internazionale del Complemento d'Arredo, giunto alla 20° edizione, presenta ogni tipologia
d'arredo, dal pezzo unico al coordinato fino agli oggetti del nostro quotidiano. Particolare attenzione è
dedicata ai materiali e alle tecnologie e, naturalmente, agli stili che spaziano dal classico
all'ultramoderno.
I prodotti esposti saranno camere da letto, letti singoli, armadi, sale da pranzo, tinelli e soggiorni, mobili
da ingresso, mobili per bambini e ragazzi, mobili singoli, tavoli e sedie, mobili in giunco e rattan, mobili
da giardino, imbottiti, servizi; associazioni ed enti di settore, giornali, riviste e pubblicazione di settore.
Elementi complementari, oggettistica, elementi di decoro, tessili.
Eurocucina mette in mostra il meglio della produzione italiana ed estera del mobile da cucina. Giunta
alla sua 16ª edizione, è legata alla proposta collaterale FTK (Technology For the Kitchen), dedicata alla
tecnologia degli elettrodomestici da incasso si propone quale manifestazione di riferimento
internazionale
del
settore.
I prodotti esposti saranno cucine in laminato plastico, in legno, in metallo, laccate,
in muratura, complementi d'arredo per cucina, portali, attrezzature per disegno, sistemi informativi,
servizi, associazioni ed enti di settore, giornali, riviste e pubblicazione di settore. Eimu.2006
Wellness@Work è dedicato alla produzione doc dei mobili e accessori per le ambientazioni di lavoro. Il
macrotema trasversale di questa 13ª edizione è legato all'ambiente ufficio declinato secondo le
particolari esigenze umane, ovvero come creare spazi migliori per migliorare la qualità del lavoro.
All’interno verranno allestiti arredamenti per ufficio, arredamenti per banche e istituti assicurativi, uffici
postali e comunità, sedute per ufficio e comunità, home office, impianti di sicurezza per ufficio, banche e
comunità, complementi d'arredamento per ufficio, illuminazione e installazioni per ufficio, servizi,
associazioni ed enti di settore, giornali, riviste e pubblicazioni di settore.
La novità è invece costituita dal Salone Internazionale del Bagno che s'inaugura quest'anno. Si tratta di
un settore che, già presente alle tre scorse edizioni dei Saloni, trova maggior spazio e diventa una
manifestazione a sé, alla pari con gli altri ambienti della casa. Si esporranno mobili per bagno, accessori
per bagno, cabine doccia e impianti sauna, porcellana sanitaria, rubinetteria sanitaria, radiatori,
rivestimenti, radiatori, rivestimenti, vasche da bagno e idromassaggio, associazioni ed enti di settore,
giornali, riviste e pubblicazioni di settore. Infine, simbolo della creatività giovanile, ilSalone Satellite,
vera e propria mascotte dei Saloni, giunto alla 9a edizione. Saranno 520 i partecipanti, ai quali si vanno
ad aggiungere le 22 scuole di design invitate da 18 Paesi, per un totale di 600 presenze di cui 387 estere.
Premessa metodologica
1.
quadro teorico di riferimento
Abbiamo operato un’analisi del concetto di design, scoprendolo, non più simbolo delera industriale ma
della trasformazione strettamente legata alle culture giovanili. Il nostro interesse verte sulla
determinazione della forza comunicativa del design e sulla sua influenza nella creazione di stili e
tendenze, nel senso più generico del termine.
2. universo
Osservando le città italiane ci accorgiamo di quanto siano cambiate , pur volendo ognuna mantenere la
propria originalità , garantita da tutti gli elementi che le mantengono legate al passato e alle radici dalle
quali si sono sviluppate. Roma, la capitale, geografica e simbolica del cambiamento nazionale, ha subito
nei secoli intense trasformazioni riuscendo comunque a mantenere un quadro generale armonico, in cui
le mura secolari risaltano sotto i fari dalla luce azzurrina o al ridosso di palazzi dal design di tendenza . Il
centro storico non può che essere l’emblema di questa ristrutturazione continua che è sinonimo, non solo
di adattamento, ma anche di evoluzione. Sebbene da secoli Roma sia abituata, per meglio dire
progettata, per essere un bacino in cui confluiscono migliaia di persone, ha subito strutturalmente il
passaggio da una città tradizionale, fondata sulla sua stessa storia, a una metropoli sempre più
meccanizzata, dove le automobili devono ritagliarsi spazi tra colonne storiche e piazze secolari. Gli
ambienti non possono che adattarsi ai bisogni sociali ridimensionandosi nella struttura esterna ed interna.
Il cambiamento, infatti, non riguarda soltanto l’aspetto più spettacolare e visibile della struttura della
città nel suo insieme. A cambiare sono soprattutto gli ambienti interni, sempre più alla ricerca
“dell’originalità che faccia tendenza”.
Le vie del centro offrono uno spettacolo suggestivo per chiunque voglia lasciarsi catturare dalle mille
attrattive che fuoriescono da ogni viuzza. I tre locali esemplificativi di questo processo sono il Fluid, in
via del Governo Vecchio, l’Acquanegra, a piazza del Teatro Valle e il Supper Club […], scelti per il loro
design di tendenza .
3. Ipotesi
Verificare se e in che modo queste location subiscano l’influenza dalle culture giovanili ovvero se, a
svilupparsi sia il processo inverso, l’influenza dell’ambiente sulle culture giovanili, quanto la forza
comunicativa del design sia realmente conosciuta e utilizzata in maniera consapevole.
4. Indicatori di Verifica
Per verificare le ipotesi cercherò di considerare singoli aspetti di elementi distinti. Per quanto concerne
la parte architettonica e di progettazione degli interni, terremo in considerazione i gli ambienti nella
loro Suddivisione, valutando se si tratta cioè di ambienti aperti o ripartiti in zone dal design diversificato.
La scelta di suddividere gli ambienti di un locale può essere ricondotta a diverse esigenze di tipo
strettamente strutturale oppure più semplicemente dettata da esigenze logistiche. Nel primo caso si cerca
di trasmettere il confort di ogni ambiente dato dalla proprio dal “calore del ristretto”, sfruttando la
separazione per rendere ogni ambiente diverso dall’altro. Nel secondo caso, ovvero motivato da esigenze
logistiche, la suddivisione può riempire gli ambienti facendoli apparire sempre vivi anche quando altro
non sono che “non luoghi”. I luoghi privi di mura o strutture di separazione, i Loft, di contro possono
trasmettere apertura, senso di libertà, creando ugualmente location differenziate solo attraverso l’utilizzo
di tecniche specifiche del Design di interni, sfruttando linee immaginarie e giochi di luce; possono essere
indicati in ambienti che raccolgono molte attrattive e dunque gente, ma anche in ambienti piccoli dove è
necessario creare lo spazio. Più nel dettaglio esamineremo gli spazi forzatamente percorsi e dunque
visibili a tutti; in primis il Banco Bar, il cuore dei locali,in secondo luogo lo stile dei tavoli e delle sedie,
la presenza o meno di ornamentalismi, il colore e l’ampiezza delle pareti, la presenza o meno di un logo
identificativo del locale che lo contraddistingua a livello visivo.
Su un altro piano osserveremo il Sound design, la gestione dell’aspetto musicale, in che modo la musica
possa contribuire ad una “immersione completa nell’ambiente”, se si tratta di un elemento in armonia o
in contrasto con la comunicazione globale del locale. Infine il Dress-code, dello Staff, se dunque si sia
scelto l’uso di una divisa, e di che tipo, e quello della clientela che l’ambiente attira.
5.Conclusioni
Tenendo in considerazione questi elementi avremo materiale sufficiente per verificare le ipotesi citate e
valutare il nuovo significato simbolico-antropologico dato al Design.
Capitolo 4
La ricerca applicata
I tre locali simbolo del design
4.1 Il Fluid
Il primo degli elementi da considerare è il logo di cui il fluid dispone e che nel simbolismo richiama
all’uso degli stemmi rappresentanti un elemento grafico che consenta di richiamare alla mente, con
immediatezza e precisione, una persona,un gruppo sociale, un territorio in questo caso un locale. Anche
se l'uso degli stemmi è stato col tempo confinato in settori marginali della vita quotidiana, l'esigenza
del riconoscimento visivo - innegabilmente più immediato e di maggiore impatto rispetto alla lettura di
una scritta o di un nome - è attualmente sempre più soddisfatta dall'uso dei loghi.
Fluid, ovvero un viaggio a metà strada tra natura e tecnologia, utilizza questa tecnica con il duplice
scopo identificativo per sé e per gli altri.
Il locale di via del Governo Vecchio è tra le location più affascinanti del centro storico dove la qualità è
comunque sempre al servizio dell’ambiente. Il progetto che sta alla base del Fluid, è quello di creare
uno spazio che renda l’idea di come natura e tecnologia, sebbene in perenne lotta, possano convivere
nello stesso ambiente. I materiali e gli arredi rappresentano questo eterno conflitto. Già all’ingresso è
percettibile il fascino delle pareti esterne rivestite di legno al quale sono stati incastonati due schermi
LCD che mostrano immagini psichedeliche riprodotte anche all’ interno. Entrando, un albero
nell’ambiente principale, tenta di uscir fuori dalle pareti. Sulla destra, e visibile come una vetrina
dall’eterno, la sala “Ice” dove il design delle sedie da l’impressione di sedersi su cubi di ghiaccio che
piano piano potrebbero sciogliersi, circondati da schermi al plasma e design post industriale.
Il Banco Bar - dodici metri che si allungano in profondità seguendo la volumetria del locale - è materia
allo stato puro: ciottoli bianchi di fiume, lisci e levigati, imbrigliati - ma liberi di muoversi - in una
struttura reticolare in tondino di ferro a forma di ala di aeroplano. L’ illuminazione delle bottiglie si
alterna tra una luce naturale e una artificiale rendendo l’ambiente meno freddo. Per contrasto le sedie
realizzate da una scultrice, sono interamente in alluminio e metallo rimanendo comunque confortevoli e
identificate con il logo del locale. Fluid è ludico. Il vero "gioco" è però sulla parete di fondo.
Scenografico e illuminato cattura già sulla soglia: una cascata d'acqua blu, che chiude il secondo privé
del locale.
Nel privè gli elementi ossimorici, naturali e tecnologici, si uniscono creando un ambiente surreale;
l’impressione è quella di trovarsi immersi in una grotta sapientemente ridimensionata per accogliere
gente. Le pareti sono interamente ricoperte seguendo la stessa tecnica e i medesimi materiali con i quali
è stato realizzato il Banco Bar mentre il pavimento in vetro mostra la sabbia sottostante rendendo la
sensazione sempre più veritiera. Il Sound Design è in armonia con tutto il resto puntando su musica
lounge, genere molto apprezzato dalle fashion victims, e alternata a downtempo, nu-jazz, deep house
stringendo il connubio tra naturalità e tecnologia anche per questa sfera.
Il Dress-code riveste un ruolo importante, utilizzato dallo staff per identificarsi, ma allo stesso tempo
differenziarsi dalla clientela. La scelta dei colori è significativa, magliette Rosse, facilmente
distinguibili e in un colore carico di passione ed energia. Il discorso cambia nel momento in cui
portiamo l’attenzione alla gente. Il locale, per le sue caratteristiche contrastanti ma così ben
amalgamate, attrae diverse tipologie di “visitatori” e non è dunque possibile parlare di uno stile unico,
piuttosto di insieme di stili e personalità, spesso stridenti, tutti dentro lo stesso ambiente anch’esso
costituito dalle medesime caratteristiche. Nell’insieme il Fluid riesce a trasmettere l’armonia espressa
dal design, creando un ambiente confortevole ma allo stesso tempo dinamico, ricco di movimenti di
fluidità appunto.Questo ci permettere di riflettere su quanto il design di un luogo possa condizionare e
dunque creare la propria clientela.
4.2
AcquaNegra
Anche in questo caso si è scelto di utilizzare un logo per imprimere con un’immagine le caratteristiche
del locale. Molto semplice ed essenziale, ma completo allo stesso tempo, il logo dell’acquanegra
esprime il rigore delle forme che il locale offre. Acqua negra è il locale in via del Teatro Valle che
sceglie uno stile dal design minimale, linee essenziali che caratterizzano i diversi ambienti, tutti
comunque uguali e diversi tra loro. La suddivisione delle sale non ha soltanto motivazione di carattere
progettuale ,infatti l’Acquanegra è una location multifunzionale. Aperta sin dal pranzo la sua struttura
deve adattarsi alle diverse esigenze, cercando di essere in ogni momento un luogo accogliente ed adatto
alle diverse situazioni. I colori sono necessariamente tenui in modo da non aggredire gli ampi spazi e
riflettere in maniera diversa in base alla luce che li raggiunge. Le pareti esterne sono vetrate, e le
motivazioni che spiegano a scelte di questo tipo possono essere diverse. Prima tra tutte la necessità di
rendere il luogo luminoso e ampio sfruttando gli effetti ottici, ma anche la necessità di rendersi visibili
e allo stesso tempo, Roma offre la possibilità di fare propria l’atmosfera circostante risaltando
semplicemente ciò che ci circonda. All’interno il lungo bancone unisce, non solo idealmente, le tre
sale, e definisce le linee alle quali si richiama l’intero design, ci si accorge rapidamente che la scelta del
designer, Danilo Proietti, verte su forme molto definite e il quadrato è l’elemento dominante. La teoria
della forma del Bauhaus sostiene che il cerchio venga utilizzato per esprimere la fluidità , il
movimento, mentre il quadrato dovrebbe esprimere non solo la rigorosa chiusura delle forme ma
soprattutto la calma. In effetti il leit motiv sembra essere proprio il rilassarsi, ma è davvero possibile
credere in una onnipotenza del design prettamente strutturale e quindi sulla nostra incapacità di cogliere
tutti gli altri aspetti di un ambiente? Facendolo ci baseremmo su uno scientismo geometrico-simbolico
anni 30 che l’antropologia ha da molto tempo dissolto che si rivelerebbe inutile al fine del nostro
lavoro. L’ osservazione partecipante è per Geertz la capacità di osservare un ambiente, un luogo, una
popolazione, partecipandovi dall’interno, etimologicamente catturando la parte, facendola propria, pur
riuscendo a mantenere uno “sguardo obiettivo da fuori”. È essere dentro e fuori allo stesso tempo.
Questo vuole essere anche il nostro modo di analizzare gli aspetti del design. La prima delle tre sale è
quella adibita al pranzo e alla cena dove i tavoli, rigorosamente rettangolari e bianchi sono accostati a
sedie di ferro intagliato color bronzo. Nella saletta sulla destra l’atmosfera è differente, luci soffuse, più
sgabelli di pelle marrone intorno al bancone inducono pensare che si tratti della zone “notte”, dove è
possibile bere colorati cocktails decoranti ad arte con frutta esotica e spezie, ascoltando musica
lounge, R&B e osservando la piazza circostante. Anche qui è il rigore a fare da padrone e l’atmosfera ,
fin troppo pacata e calma si adatta a situazioni tranquille, ad incontri galanti o comunque formali. Alle
ampie pareti bianche sono incastonati quadri luminosi che ritraggono canneti, quasi un richiamo alla
natura selvaggia di cui si sente la mancanza, in questo ambiente così ordinato e a tratti artificiale. Il
Dress-code non viene risaltato come elemento differenziante, dallo staff. Il personale veste a
piacimento e non c’è accordo neanche sui colori, il risultato più ovvio è che non è possibile distinguerli
dalla clientela se non nelle loro postazioni, quasi per allentare la formalità ma con effetti poco rilevanti.
Anche in questo caso, è l’unione di tutti gli elementi del design di un locale a determinare l’atmosfera e
la propria clientela.
4.3
Supper Club
Tra i locali presi in esame questo è sicuramente il più interessante per le caratteristiche che possiede.
Esaminando gli aspetti prettamente tecnici osserviamo che il Supper non dispone solo un logo ma di un
marchio registrato, il Supper è uno stile life, un modo di essere e di apparire. Presente in diverse città
europee il Supper porta con sé una grande carica simbolica. Lusso e Lussuria sono i temi portanti.
Supper club nasce come fratello italiano del celebre locale di Amsterdam, tra i più conosciuti del
Vecchio
Continente.
Luoghi reali o immaginari...fin dall'istante in cui le porte si aprono e lo sguardo può perdersi nelle
geometrie di uno dei più antichi palazzi di Roma, costruito sull'antico sito delle terme di Agrippa tra
piazza Navona e il Pantheon, in un immobile che nel '200 è stato residenza dei principi De'Nari e dal
'600
dei
principi
Sinibaldi.
Il restauro ha riportato alla luce le autentiche strutture, recuperando la bellezza di questi antichi spazi,
arricchiti dagli spunti futuristici degli interni progettati dallo studio di architettura Concrete
(Amsterdam & NewYork). L’ampio atrio, rigorosamente bianco, illuminato da candele fa da ingresso
principale alla location; sulla destra la zona ristorante e sulla sinistra il Night.
La zona ristorante è strettamente riservata ai commensali che godono delle migliori prestazioni che il
locale possa offrire. Il Supperclub offre un nuovo modo di vivere la cena fuori. Un’esperienza
multisensoriale in cui le origini dell’antico banchetto romano si riscoprono e si rinnovano nel concetto
contemporaneo del Dorming. Il Supperclub è inoltre uno spazio dedicato alla creatività, caratterizzato
dalla combinazione di cucina e arte con suoni, luci e immagini. E' un set ideale per eventi sociali, di
comunicazione, cultura, moda e spettacolo; Supperclub è nato ad Amsterdam nel 1990 per opera di un
gruppo di artisti e ha aperto a Roma grazie alla collaborazione tra i fondatori olandesi ed alcuni giovani
imprenditori
italiani.
Il Supper di Roma è stato inoltre selezionato nel Maggio 2003 dalla commissione di esperti della
prestigiosa rivista internazionale Conde Nast - Traveller come migliore ristorante nella categoria
Italia/estero 2003 per l'innovativa e inedita combinazione di cibo, atmosfere uniche, multisensorialità
ed ecletticità dell'offerta. Musica, immagini, luci, performance, danzatori, vocalist, attori, acrobati,
massaggiatori realizzano insieme agli ospiti ineguagliabili atmosfere da Supperclub. In questi giorni il
Supper ospita una mostra di fotografie di corpi dipinti di Ferruccio
Nobile, che rimarrà allestita sino al 15 giugno e che rende la location ancora più accattivante.
L’ingresso del bar è scuro, le pareti nere risaltate dalla scritta Bar al neon rossa. Il bancone è distinto
sui toni accattivanti del nero e del rosso. Da qui si diramano le diverse zone: dal primo arco nella
parete si scorge la sala adibita alla cena, aperta solo ai commensali, allietati da spettacoli di musica live.
Sulla sinistra il corridoio di scale, rigorosamente nero, porta alla pista da ballo. L’ingresso in questo
ambiente è esaltante, il banco bar , questa volta è meno elegante, più selvaggio, si trova dietro delle
grate di ferro che consentono solo di infilare un braccio per prendere il proprio cocktail. In questa zona
i colori sono i opposizione tra loro, il bianco e il nero ripartiscono gli ambienti. La sala principale della
zona Night è completamente bianca, un corridoio lungo circa 10 metri dal quale si diramano,
simmetricamente grandi archi di cemento rustico ma levigato, oltre i quali si aprono insenature con
grandi materassi bianchi con tavolini in ferro sistemati sopra, dove la gente è invitata a sdraiarsi
sorseggiando il proprio drink. L’ambiente è Glamur all’insegna del lusso e dell’assenza di limiti. La
realtà è ribaltata, non solo al Supper tutto è concesso, si avverte l’invito a spingersi oltre i limiti della
normalità. Lusso e Lussuria i due elementi sensibilmente percettibili che creano un ambiente surreale
all’insegna della multisensorialità. Il Sound Design è elemento fondante di ogni ambiente, è esso stesso
a determinare il clima di ogni sala. Dalle performance dal vivo nella sala adibita alla cena, alla musica
elettronica , deep house nella zona Night suonata dai migliori dj della capitale. Ogni elemento del
Design viene studiato e utilizzato per rendere l’effetto desiderato. Il Dress-code è un altro aspetto
regolato e gestito direttamente dal locale. Lo Staff indossa magliette bianche con il logo del locale e la
clientela è espressamente invitata ad indossare abiti eleganti, adatti allo stile dell’ambiente. Il risultato è
esaltante, la gente è in armonia con l’ambiente rendendolo ancora più faschin. L’attenzione a tutti
questi aspetti, fa del Supper uno dei locali più trendy, non solo a livello romano ma europeo.
Capitolo 5
Conclusioni. Verifica delle ipotesi iniziali
5.1 Osservazioni conclusive.
Siamo partiti da un’analisi del concetto di Design, volendolo suddividere nelle sue più piccole parti.
Abbiamo esaminato gli aspetti più tecnici, soffermandoci sui materiali e i colori che nel corso dello
sviluppo del Design si sono susseguiti, sono stati scelti in base a convinzioni e studi che, a volte, si
sono rivelati inadatti a spiegare gli effetti del Design stesso. L’intento della nostra ricerca è stato quello
di definire il significato di design, analizzandolo come simbolo dell’era post-industriale e riscoprendolo
arricchito di significati aggiunti. Il design oggi non è solo il simbolo di un’era caratterizzata da un’
attenzione alla progettualità, in cui la sua figura è affiancata a quella dell’architettura, non è solo il
risultato di accostamenti tecnici; il design è parte della nostra era ed ha trovato la sua dimensione in un
ambito nuovo, quello delle tendenze. Il design è il motore delle tendenze, degli stili. In un’era come la
nostra, caratterizzata dalla multi-sensorilità anche il design dirama il suo campo d’azione coinvolgendo
tutte le sfere del sentire. Dall’illuminazione, ai colori, materiali ed estensione di un ambiente; dal
Dress-code al Sound-design sono tutti elementi del medesimo insieme. In ogni progetto l’attenzione è
rivolta ad ogni singolo dettaglio del progettare, dal confort dei materiali alla loro adattabilità nel
contesto. Gli strumenti tecnologici della nostra era hanno permesso al design di divenire così forza
promotrice di stili, di tendenze. Il Design è dunque il simbolo della trasformazione, del cambiamento di
stili, simbolo di status.
Abbiamo analizzato tutto il percorso storico del design da quello tradizionale a quello ipertecnologico,
e nella parte empirica abbiamo riscontrato la presenza di elementi riconducibili a entrambi gli estremi.
La ricerca si è concentrata su tre locali del centro storico di Roma che a un’analisi iniziale avevano
riscontrato caratteristiche di eleggibilità.
L’analisi sul Fluid ha permesso di riscontrare una sorta di parallelismo tra architettura, atmosfera di un
ambiente e dunque clientela. Le culture giovani, più strettamente, le tendenze, si sviluppano a partire da
un progetto concreto, che non può essere costituito da un solo locale ma dallo still life che questo
trasmette.
L’Acqua Negra, ci ha permesso di riflettere sul fatto che la forza comunicativa del design si esprime
solo nella stretta correlazione degli elementi costitutivi del Design stesso. Nel momento in cui ad essere
trascurati sono elementi come il Sound Design, o ancora il Dress-Code, se cioè ci si sofferma solo sulla
parte strettamente strutturale, gli effetti sulla gente non possono che essere limitati ed è difficile creare
uno stile , essere simbolo di una tendenza; in sostanza è difficile arrivare in profondità nella
comunicazione.
Il Supper club si è rilevato il locale più completo, per la sua cura dei dettagli è quello sicuramente ha
creato, anche per la sua presenza a livello europeo, una propria tribù, un’insieme di persone
accomunate dagli stessi gusti in materia di stili e divertimento.
Non è impossibile, dunque, pensare che è il Design di un ambiente, con i suoi diversi campi d’azione, a
determinarne il clima, e perciò a possedere una carica comunicativa capace attrarre e coinvolgere
coloro che riscontrano in esso i propri gusti e concezioni del divertimento.
Il design di un luogo possiede questa forza solo nel momento in cui tutti i suoi elementi vengono
utilizzati seguendo la medesima direzione e come parti di un concetto più ampio. La comunicazione si
sviluppa su diversi piani del sentire, riuscendo a creare un pieno coinvolgimento solo nell’insieme.
Il design non è onnipotente, ma possiede, allo stesso tempo, la capacità di trasformare il clima di un
ambiente creando sensazioni differenti. La sua Forza è allora quella di determinare ambienti il cui
clima definito e non casuale consenta di creare insiemi di individui accomunati dallo stesso modo di
interpretazione che si è voluto rendere in quel luogo. Si determina un periodo culturale caratterizzato da
diverse tendenze, non più limitate ad un solo aspetto della propria esistenza ma correlate da un filo
conduttore che è il Design.
“Il design è lo spazio progettuale entro il quale gli elementi della
percezione, non solo ottica ma anche tattile e uditiva, si compongono
in una forma che fa del semplice corpo tecnico un oggetto saturo di
senso”.
W.Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità
tecnica,1955.
“Di questo mondo,ramificato in una pluralità di mondi, è il design
che progetta la forma. La forma del mondo è la forma delle cose che
lo compongono”.
G. Vattimo, La società trasparente,1989.
Bibliografia
Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi.
Maurizio Vitta, Il progetto della bellezza, Einaudi.
Magdalena Droste, Bauhaus 1919/1933, Taschen.
Arian Mostaedi, Piccoli spazi, Carles Broto & Josep Minguet.
Patricia Bueno, Spazi Moderni, Gribaudo.
Autori vari, Avatar n°6 dicembre 2005, Meltemi.
Massimo Canovacci, Antropologia della comunicazione visuale, Meltemi.
Clifford Geertz, Interpretazione di culture, Il Mulino.
J.Itten, Arte del colore, Il Saggiatore, 1983.
M. Calvesi, Le due avanguardie. Dal Futurismo alla Pop Art, edizioni Laterza , 2004.
Vilem Flusser, La filosofia del design, Bruno Mondatori.
Goethe, La teoria del colore, Il Saggiatore, Milano.
V.Brosio, Lo stile Liberty, Garzanti Milano 1981.
Webgrafia
www.designitalia.it
www.wikipedia.org
www.ilmondodeicolori.it
www.2night.it
www.cosmit.it
www.triennale.it
www.art-craft.com
www.artnouveau.com
www.colordesign.it
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