Corso di Filosofia

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Carlo Corsetti
Corso di Filosofia
Seconda edizione
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–2647-2
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 2006
II edizione: settembre 2009
I. ETÀ PRESOCRATICA
La prima età della filosofia comprende i secoli VII, VI e V prima di
Cristo, ed è detta presocratica, per dire che precede Socrate. I presocratici sono detti fisiologi o naturalisti, perché si interessano della natura (phýsis), di cui cercano di conoscere il principio (archè).1
1. Scuola di Mileto
Gli storici della filosofia chiamano scuola un gruppo di filosofi che
studiano uno stesso problema, proponendo per esso soluzioni simili.
In questo senso, si parla di scuola di Mileto, per dire che i tre filosofi
di questa città, oggi in Turchia, affrontano tutti il problema del principio costitutivo (archè) di tutte le cose, sostenendo che tutte le cose sono in fondo costituite di uno stesso, mutevole, elemento naturale.
1. Talete. Iniziatore della scuola di Mileto e primo dei Sette Sapienti,2 Talete di Mileto (640-545)3 è considerato il più antico di tutti i
1
Gli scritti dei presocratici sono andati tutti perduti, eccetto alcuni frammenti
che ci sono giunti perché inseriti, come citazioni, in opere più recenti; questi frammenti sono raccolti, insieme alle antiche testimonianze sulla loro vita e dottrina, in
H. Diels W. Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti, Bari 1975.
2
I Sette Sapienti (Platone, Protagora, 342 e 343 b) sono personaggi dai contorni storici piuttosto incerti, ai quali i Greci attribuivano sentenze di grande valore
morale (Diels Kranz, Presocratici, 10), come «Nulla di troppo» (Medèn àgan),
attribuito a Solone di Atene, e «Conosci te stesso» (Gnòthi sautòn), attribuito a Chilone di Sparta. Scolpite sulle basi delle due statue poste all ingresso del tempio di
Apollo a Delfi, sede di un celebre oracolo visitato da tutti i greci, queste due massime ebbero una diffusione e una notorietà enorme in tutta l antica Grecia.
3
Le date relative alla vita dei filosofi antichi e medievali sono spesso soltanto
indicative dei termini estremi (post quem e ante quem), all interno dei quali si ritiene
che essi siano vissuti; la numerazione decrescente degli anni indica invece, per convenzione, che sono vissuti prima della nascita di Gesù di Nazaret, detto il Cristo.
9
filosofi. Sembra, infatti, che Talete sia stato il primo a chiedersi quale
sia l archè di tutte le cose, e a dire che esso è acqua; forse perché, ci
dice Aristotele, egli aveva osservato che tutte le cose nascono da semi
umidi e si nutrono di semi umidi, la cui umidità è ovviamente acqua.
2. Anassimandro. Anassimandro di Mileto (610-540) fu discepolo
di Talete e disse che l archè di tutte le cose è àpeiron, cioè, in greco,
senza limiti o infinito. Forse il suo ragionamento era di questo tipo:
poiché le cose sensibili si distinguono tra loro per i loro limiti e poiché
il loro principio non è nessuna di esse, si deve pensare che l archè, di
cui si costituiscono nascendo e in cui si sciolgono morendo, sia privo
di tutti i loro limiti. In effetti, nell unico frammento del suo libro Sulla
natura che ci sia giunto, leggiamo: «Principio degli esseri è l infinito
(tò àpeiron); da dove, infatti, gli esseri hanno origine, ivi hanno anche
la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano la pena e l espiazione dell ingiustizia secondo l ordine del tempo.»
3. Anassimene. Anassimene di Mileto (590-528) fu discepolo di
Anassimandro e disse che l archè di tutte le cose è aria. Nel senso che
tutte le cose sono tenute insieme dall aria, come il nostro corpo che è
tenuto insieme dalla nostra anima, che Anassimene identifica con
l aria che respiriamo e senza la quale non possiamo vivere. In effetti,
in un frammento del suo libro Sulla natura, Anassimene scrive: «Come l anima nostra, che è aria, ci tiene insieme, così il soffio e l aria
abbracciano tutto il mondo.»
2. Pitagorici
Fondatore della scuola pitagorica fu Pitagora di Samo (570-490), il
quale, dopo aver viaggiato a lungo in Mesopotamia e in Egitto, si sta10
bilì a Crotone, in Calabria, dove sembra sia morto nell incendio appiccato alla sede della scuola dai suoi avversari politici. La scuola pitagorica, infatti, era una comunità politico-religiosa molto chiusa, a
cui si veniva ammessi soltanto dopo un lungo noviziato di cinque anni
e che teneva gelosamente segrete le proprie dottrine; dottrine che i discepoli attribuivano tutte a Pitagora, con la formula «lui stesso disse».1
1. Il numero. I pitagorici dicevano che tutte le cose sono formate
di due principi: un principio illimitato e un principio limitante. In effetti, un frammento di Filolao di Taranto (470-390), il primo pitagorico che pubblicò per iscritto le dottrine della scuola fino ad allora tenute segrete, dice: «La natura del cosmo è costituita di elementi illimitati
(ex apèiron) e di elementi limitanti (peiranònton): sia il cosmo nel suo
insieme sia nelle sue parti.»
Questi elementi illimitati, proprio perché sono illimitati, coincidono
con il senza limiti, di cui parlava Anassimandro; gli elementi limitanti,
invece, coincidono con i numeri che individuano i limiti e i rapporti
reciproci di tutte le cose. Proprio perché ne individuano i limiti e i
rapporti reciproci, i pitagorici dicevano che i numeri sono l archè di
tutte le cose e che perciò in fondo tutte le cose sono numeri.
2. La Tetrade. Il numero 10, che essi dicevano Tetrade o Quarto
perché risulta dalla somma dei primi quattro numeri (1+2+3+4 = 10),
veniva anche detto «fonte», cioè archè, di tutte le cose, perché esso
contiene i quattro numeri con cui si possono individuare tutte le cose
sensibili dell universo, che infatti sono o punti o linee o piani o solidi.
In effetti, il numero 1 coincide con il punto;2 con 2 punti si individua
la linea; con 3 punti si individua il piano più semplice, cioè il triangolo, di cui si compongono e in cui si scompongono tutti i piani; con 4
1
Gr. autòs èpha; lat. ipse dixit.
I pitagorici identificavano i numeri con i sassolini che usavano per calcolare;
termine, questo, che deriva proprio dal fatto che sassolini, in latino, si diceva calculi.
2
11
punti si individua il solido più semplice, cioè la piramide triangolare,
di cui si compongono e in cui si scompongono tutti i corpi solidi.
Raffigurato in forma di triangolo equilatero con quattro sassolini
per lato e perciò inclusivo dei triangoli di lato tre e due il numero 10,
in quanto somma dei quattro numeri che individuano tutte le cose misurabili, era considerato simbolo dell universo, che Pitagora per primo
chiamò kòsmos, cioè, in greco, ordine, per l ordine che vi regna. In
quanto simbolo dell universo, che i pitagorici, come tutti i presocratici, consideravano divino, il numero 10 era considerato sacro, la Sacra
Tetrade, tanto che giuravano su di esso, come si fa su una cosa sacra.
Proprio perché lo consideravano divino, i pitagorici ritenevano che
l universo fosse perfettamente razionale e misurabile in ogni aspetto.
Anche per questo motivo, quando scoprirono che il rapporto tra il lato
e la diagonale del quadrato non è un numero naturale,1 la loro convinzione che l universo fosse tutto misurabile e razionale venne meno, e
la loro scuola si avviò a una rapida dissoluzione.
3. L anima. I pitagorici insegnavano che anche l uomo è composto
di due principi: il corpo e l anima; ed insegnavano la metempsicosi,
cioè, dal greco, la dottrina della trasmigrazione e reincarnazione delle
anime, che essi riprendevano dal mitico poeta Orfeo.2
Secondo i pitagorici, infatti, l anima si trova rinchiusa nel corpo,
come in un carcere, perché deve scontare la pena dovuta a una certa
colpa che essa ha commesso prima di essere rinchiusa nel corpo.3 Se
1
Sappiamo che questo rapporto è uguale alla 2, la quale, proprio perché radice
quadrata di un numero naturale, non è un numero naturale.
2
Si diceva che Orfeo, originario della Tracia, avesse un canto così dolce, che
non soltanto incantava gli esseri umani, ma inteneriva anche gli animali, le piante e
le pietre. Quando la giovane moglie, Euridice, morì, Orfeo ottenne dagli dei di poterla ricondurre tra i vivi, a condizione, tuttavia, che egli non si fosse voltato indietro
prima di essere usciti fuori dal regno dei morti; ma, quando erano vicini all uscita, il
gran desiderio di rivedere la propria moglie spinse Orfeo a voltarsi: Euridice svanì
allora e per sempre nel regno delle ombre.
3
Nella Bibbia, la colpa originale è commessa da un anima che è già in un corpo.
12
durante la vita del corpo, in cui si trova rinchiusa, l anima non si purifica, quando quel corpo muore, essa è costretta a trasmigrare, cioè a
passare, in un altro corpo, che può essere sia di uomo sia di animale,
finché non si sia purificata dalla propria colpa originaria.
Per realizzare questa purificazione, Pitagora raccomandava ai discepoli di condurre una vita dedita allo studio; di non uccidere animali
e di nutrirsi in forma vegetariana; di fare un esame di coscienza ogni
mattina e ogni sera, esaminando il comportamento tenuto e preparandosi a quello da tenere, così da potersi comportare sempre meglio; di
non dimenticare mai che scopo della vita è «seguire Dio».
3. Senofane
Senofane di Colofone (570-475) trascorse la sua lunga vita tra una
città e l altra della Magna Grecia, cioè nell Italia meridionale, vivendo
del proprio lavoro di aedo o poeta e cantore errante.
Senofane è rimasto celebre per la sua critica all antropomorfismo
religioso, cioè al fatto che gli uomini tendono a raffigurarsi gli dei in
forma (morphè) di uomo (ànthropos). Così, per esempio, gli Etiopi se
li raffigurano neri e con il naso schiacciato, mentre i Traci se li raffigurano rossi di capelli e con gli occhi azzurri, cioè come sono loro.
Ma, in questo modo, gli uomini fanno come gli animali, perché, scrive
Senofane, «se i buoi e i cavalli e i leoni avessero mani e potessero con
le loro mani disegnare e fare ciò appunto che gli uomini fanno, i cavalli disegnerebbero figure di dei simili ai cavalli e i buoi simili ai
buoi, e farebbero corpi fatti così come ciascuno di loro è fatto».
Secondo Senofane, invece, il dio è unico e immobile, e coincide
con l intero universo; il cui archè, egli dice, è terra, perché «tutto viene dalla terra e ritorna alla fine alla terra».
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4. Eraclito
Altero e scontroso, quasi misantropo, Eraclito di Efeso (530-460),
scrisse un libro Sulla natura e lo depose, come offerta votiva, sopra
l altare della dea Artemide, a cui era dedicato un tempio assai celebre
nell antichità. Questo suo libro era scritto in uno stile volutamente enigmatico, affinché fosse compreso solo da chi avesse intelligenza e
interesse adeguati a sostenere la fatica necessaria per capirlo. Per questo suo stile ermetico, gli antichi lo dissero «Eraclito l oscuro».
1. Il logos. Eraclito iniziava il suo libro, scrivendo: «Di questo logos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza,1 sia prima di averlo ascoltato sia subito dopo averlo ascoltato; benché, infatti, tutte le
cose accadano secondo questo logos, essi assomigliano a persone inesperte, pur provandosi in parole e in opere tali quali sono quelle che io
spiego, distinguendo secondo natura ciascuna cosa e dicendo com è.
Ma agli altri uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso
modo che non sono coscienti di ciò che fanno dormendo.»
2. Il fuoco. Secondo Eraclito l archè di tutte le cose è fuoco; scrive
infatti: «Questo ordine universale, che è lo stesso per tutti, non lo fece
alcuno tra gli dei o tra gli uomini, ma sempre era, è e sarà fuoco sempre vivente, che si accende e si spegne secondo giusta misura.» Ancora: «Mutamento scambievole di tutte le cose col fuoco e del fuoco con
tutte le cose, allo stesso modo dell oro con tutte le cose e di tutte le
cose con l oro.» 2
1
Come esempio di oscurità, Aristotele riporta questo incipit eracliteo, facendo
notare come non sia chiaro se la virgola vada posta prima o dopo l avverbio sempre.
2
Non sappiamo perché Eraclito ponesse il fuoco come archè di tutte le cose. Ma
da alcune testimonianze e frammenti, e da quanto diranno gli stoici, che riprendono
molti aspetti del suo pensiero, ci sembra di capire che Eraclito, parlando del fuoco,
intendesse la fonte di quel calore senza il quale non sarebbe possibile nessuna forma
di vita i cadaveri sono freddi! nell universo, che egli invece, come tutti i presocratici e gli stoici appunto, considera vivente in ogni suo aspetto e momento.
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3. Il fluentismo. Ma ciò che rende inconfondibile l eraclitismo non
è tanto la dottrina dell archè, quanto la forza con cui Eraclito ripete
spesso che pànta rhèi,1 cioè, in greco, che tutto scorre; scrive Platone:
«Afferma Eraclito in qualche luogo che tutto scorre (pànta chorhèi) e
nulla permane, e, paragonando la realtà alla corrente di un fiume, dice
che non potresti scendere due volte nello stesso fiume.»
In questo senso, Eraclito scrive: «La stessa cosa sono il vivente e il
morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi, infatti,
mutando, sono quelli e quelli di nuovo, mutando, sono questi.»
4. La guerra. Eraclito pensa che il motore, cioè la causa, del fluentismo cosmico sia la guerra che in un armoniosa concordia discorde:
«l opposto concorde e dai discordi bellissima armonia» genera e trasforma tutte le cose; in questo senso, egli scrive: «La guerra (pòlemos)
è madre di tutte le cose, di tutte è regina.»
5. Scuola di Elea
La scuola di Elea, in Campania, è storicamente molto importante,
perché fu la prima a porre in maniera rigorosa il problema ontologico,
cioè il problema del discorso (lògos) sull essere (òntos) di ogni cosa di
cui diciamo che è o non è una certa cosa.
1. Parmenide. Il fondatore della scuola eleatica, Parmenide di Elea
(520-440), che Platone ricorda come «venerando e insieme terribile»,
scrisse un poema Sulla natura, in cui si presenta come discepolo di
una dea, probabilmente la Giustizia, che gli insegna a «conoscere ogni
cosa: sia l animo inconcusso della ben rotonda Verità sia le opinioni
dei mortali, nelle quali non risiede legittima credibilità».
1
Reso in latino con omnia fluere, da cui noi ricaviamo il termine fluentismo.
15
Per arrivare a scoprire che cosa sia l essere di tutto ciò che è, Parmenide ritiene che non si debba seguire né la via del discorso sulle
sensazioni, perché sono mutevoli e contraddittorie, né la via del discorso su ciò che «non è», perché il non essere non può essere neppure
pensato e pertanto non può in alcun modo essere espresso a parole,
poiché ogni discorso presuppone il pensiero che esso esprime. Parmenide ritiene che si debba invece seguire la via del discorso (lògos)1 su
ciò che «è», perché l essere può essere pensato ed espresso con un discorso razionale coerente.
1. La via dei sensi. La via del discorso sulle sensazioni è la via della gente comune, «gente dalla doppia testa» che nulla sa,2 ma che, seguendo la propria esperienza sensibile, pretende di giungere a conoscere la verità sull essere, mentre giunge soltanto a elaborare delle opinioni mutevoli e contraddittorie, come mutevoli e contraddittorie
sono le esperienze sensibili da cui queste opinioni vengono ricavate.
2. La via del non essere. La via che si deve seguire non è neppure
la via del discorso che dice che qualcosa «non è», cioè la via del discorso sul non essere. Il discorso sul non essere, infatti, non può essere
neppure iniziato, perché «il non essere né lo puoi pensare, non è infatti
possibile, né lo puoi esprimere» con le parole; poiché, infatti, la parola
esprime il pensiero, se il pensiero non c è, non può essere espresso.
3. La via dell essere. La via che si deve seguire è la via del discorso che dice che qualcosa «è», cioè la via del discorso dell essere; lungo la quale, dice Parmenide, si incontrano molti indizi, dai quali si può
dimostrare, attraverso l esclusione dei loro opposti, che l essere è «ingenerato, imperituro, intero, unico, immobile e senza fine». In effetti,
1
Il termine greco lògos significa sia ragione (lat. ratio) sia discorso (lat. oratio).
Queste persone sono dette «gente dalla doppia testa», perché affermano cose
contraddittorie, come se avessero due teste: con una affermano che una cosa è, mentre con l altra affermano che essa non è.
2
16
poiché una cosa «o è o non è», per dimostrare che l essere è ingenerato, imperituro, unico, immobile e infinito, basta dimostrare che le ipotesi opposte distruggono logicamente se stesse.
Così, per esempio, se l essere non fosse unico ma molteplice, esisterebbero molti esseri separati da qualcosa che non è essere; ma, poiché ciò che non è essere è nulla, consegue che i molteplici esseri presunti esistenti sono separati da nulla; ma se nulla li separa, essi sono
un essere unico e non molteplici esseri. Ancora: se l essere non fosse
immobile ma mutevole, esisterebbe qualcosa, che non è essere, in cui
esso muta; ma poiché ciò che non è essere è nulla, consegue che
l essere presunto mutevole muta in nulla; ma se esso muta in nulla,
l essere è immobile e non mutevole. Infine: se l essere non fosse ingenerato ma generato, esisterebbe qualcosa che non è essere da cui l essere è generato; ma poiché ciò che non è essere è nulla, consegue che
l essere presunto generato è generato da nulla; ma se esso è generato
da nulla, l essere è ingenerato e non generato.
2. Zenone. Poiché dalla tesi di Parmenide, secondo cui l essere è
unico e immobile, derivano conseguenze che furono giudicate ridicole, perché contrastano con l evidenza sensibile che ci testimonia una
molteplicità di esseri mutevoli, Zenone di Elea (490-430), per difendere il proprio maestro, Parmenide, scrisse un libro contenente quaranta
paradossi, cioè quaranta argomenti contro (parà) l opinione (dòxa)
comune secondo cui l essere è molteplice e mutevole. Con questi argomenti Zenone voleva mostrare che, se svolta a dovere, la tesi della
molteplicità e della mutabilità degli esseri porta a conseguenze ben più
ridicole di quelle attribuite alla tesi monistica di Parmenide.
1. I paradossi. Contro l opinione comune, secondo cui esiste la
molteplicità testimoniata dai sensi e non l unità affermata dalla ragione eleatica, Zenone sollevava l aporia, cioè la difficoltà logica, del divisibile e dell indivisibile, secondo cui, se l essere è molteplice, allora
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esso è divisibile, e l indivisibile, cioè l unità, non esiste; ma se l unità,
cioè l indivisibile, non esiste, allora non esiste neppure il molteplice,
cioè il divisibile, perché ciò che è divisibile è costituito di unità. Il
ridicolo, in cui cade chi afferma la molteplicità e nega l unità, è dunque lo stesso in cui cadrebbe chi affermasse che esiste il composto, ma
non ciò che lo compone: il bosco, per esempio, ma non l albero; la
classe, ma non l alunno; l esercito, ma non il soldato.
Contro l opinione comune, secondo cui esiste il movimento testimoniato dai sensi e non l immobilità affermata dalla ragione eleatica,
Zenone avanzava l aporia della dicotomia, cioè della divisione giusta
a metà, e l aporia dell Achille. L aporia della dicotomia «intende provare l inesistenza del movimento, per il fatto che l oggetto spostato
deve giungere alla metà prima che al termine finale». Il ridicolo, in
cui cade chi afferma il movimento, è quello di chi, ammesso il movimento, si trova poi costretto a riconoscere che, per percorrere il numero finito di punti che forma la distanza compresa tra il punto A e il
punto B, bisogna passare per il numero infinito di punti medi che ogni
volta segnano la nuova metà della precedente metà del cammino.
L aporia dell Achille «intende provare che il più lento, correndo,
non sarà mai sorpassato dal più veloce: infatti, necessariamente, l inseguitore dovrebbe giungere prima là donde il fuggitivo è balzato in
avanti; sicché necessariamente il più lento conserva una certa precedenza.» Il ridicolo, in cui cade chi afferma il movimento, è dunque
quello di chi, avendo posto Achille, l eroe esaltato da Omero come
piede veloce (pòdas okýs) per antonomasia, all inseguimento di una
tartaruga, animale lentissimo, non riesce più a spiegare razionalmente
quel che tutti vedono, cioè che Achille raggiunge la tartaruga.
2. La dialettica. Per i suoi paradossi, che molti imitarono e che altri
cercarono di confutare, cioè di demolire, Zenone di Elea fu considerato il fondatore della dialettica, da lui intesa come tecnica di confutazione della tesi del proprio avversario. Questa tecnica consiste nel
mettere in evidenza le conseguenze spiacevoli di una certa tesi, co18
stringendo così il suo sostenitore o a rifiutarla o ad accettarne anche
quelle conseguenze spiacevoli che tutti rifiutano.
3. Melisso. Coetaneo di Zenone e discepolo di Parmenide, Melisso
di Samo, che fu anche uomo politico e navarco, cioè comandante della
flotta, in un libro Sulla natura o sull essere, spiegando meglio in prosa
quanto Parmenide aveva scritto in poesia, diceva che, essendo ingenerato, l essere non ha principio; che, non avendo principio, è infinito;
che, essendo infinito, è unico, «perché, se ce ne fossero due, i due non
potrebbero essere infiniti, ma l uno sarebbe limitato dall altro».
6. Pluralisti
Per superare il contrasto tra la pluralità di esseri mutevoli testimoniata dai sensi e l unicità dell essere immutabile evidenziata dalla ragione eleatica, alcuni filosofi dissero che i corpi percepiti dai sensi
non sono manifestazioni di un unico archè, ma sono aggregazioni di
molti corpuscoli, i quali sono così piccoli da sfuggire alla percezione
dei sensi e da essere intuiti soltanto dall intelletto. Dal termine plura,
che, in latino, significa più cose, cioè più elementi primi immutabili,
questi filosofi sono detti pluralisti.
1. Empedocle. Empedocle di Agrigento (490-420), oltre a un libro
sulle Purificazioni dell anima di chiara ispirazione pitagorica, scrisse
un poema Sulla natura, in cui, accolto il principio eleatico secondo cui
il non essere non esiste, sostiene che l essere è eterno, perché, spiega,
«è impossibile che esso nasca da ciò che non è, ed è cosa irrealizzabile
e non udita che ciò che è si distrugga; sempre, infatti, sarà là dove uno
sempre poggi.» Per questo si deve dire che «non vi è nascita di nessu-
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na delle cose mortali né fine alcuna di morte funesta, ma solo c è mescolanza e separazione di cose mescolate».
Queste «cose mescolate» sono acqua, aria, fuoco e terra: quattro elementi, che Empedocle chiama «radici di tutte le cose». Mosse da
due forze antitetiche, cioè attratte da Amore e respinte da Odio reciproci, queste quattro radici di tutte le cose corporee ora si uniscono,
generando le cose che nascono, ora si separano, distruggendo le cose
che muoiono; scrive Empedocle: «Sono queste, dunque, le cose che
sono e, passando le une attraverso le altre, divengono varie di aspetto:
tanto mescolandosi mutano!» Mentre l insieme permane costante in se
stesso: «Sfero circolare che gode della solitudine che tutto l avvolge.»
2. Anassagora. Amico di Pericle il grande statista ateniese, che
lo salvò dalla condanna a morte come ateo, perché egli diceva che «il
Sole è una massa di metallo rovente», non un dio Anassagora di
Clazomene (500-428), oggi Urla in Turchia, scrisse un libro in prosa
Sulla natura, in cui diceva: «Del nascere e del perire i Greci non hanno una giusta concezione, perché nessuna cosa nasce né perisce, ma
da cose esistenti si compone e si separa. Così dovrebbero chiamare il
nascere comporsi, il perire separarsi.»
Secondo Anassagora, infatti, le cose percepite dai sensi sono aggregati di corpuscoli piccolissimi, che non sono percepiti dai sensi,
tanto sono piccoli, ma soltanto dall intelletto. Questi corpuscoli, che
egli chiama omeomerie o parti (mère) simili (hòmoia), perché hanno
la stessa qualità dei corpi percepiti dai sensi, in principio costituivano
una massa corporea incolore e indistinta. Ma poi un potente intelletto
(nùs), diverso e separato da essa, impresse un movimento rotatorio alla massa delle omeomerie, così che, ruotando e separandosi da quelle
uguali e aggregandosi con quelle diverse, esse cominciarono a formare
tutte le cose corporee che nascono e muoiono.
Questa visione bipolare dell universo da una parte la massa delle
omeomerie che sono mosse e dall altra l intelletto che le muove era
20
così inconsueta, che Anassagora fu detto «intelletto». Si trattava, in
verità, di una visione antropomorfica del mondo, cioè di un mondo
pensato a immagine dell uomo: un corpo mosso da un intelletto diverso dal corpo. Questa visione del mondo sarà così apprezzata da Aristotele da fargli scrivere che, quando Anassagora «disse che, proprio come negli animali così anche nella natura, la causa del mondo e di tutto
quanto il suo ordinamento è un intelletto (nùs), egli apparve come una
persona sobria rispetto agli antichi che parlavano a casaccio».
3. Democrito. Per superare il contrasto tra esperienza sensibile e
ragione eleatica, Leucippo di Abdera, in Tracia, che aveva ascoltato
Zenone di Elea, e il suo discepolo Democrito di Abdera (470-370),
che gli antichi dissero «sorridente», forse perché sorrideva della ingenuità altrui, elaborarono una nuova teoria fisica: l atomismo.
1. Gli atomi. Per conciliare ragione e sensazione, Leucippo e Democrito prima riformularono in termini sensibili l ontologia eleatica,
identificando l essere con il pieno e il non essere con il vuoto fisico, e
poi dissero che i principi di tutte le cose sono due, pieno e vuoto appunto, cioè essere e non essere, e che «l essere non è affatto più reale
del non essere, perché neanche il vuoto è meno reale del pieno».
Che il pieno e il vuoto fisico esistano veramente non solo appare
evidente all esperienza comune, che ci mette continuamente in contatto sia con corpi pieni sia con spazi vuoti, ma è anche confermato da
una riflessione attenta sul fatto che i corpi pieni possono essere divisi.
Da questa riflessione, infatti, risulta evidente sia la necessità che i corpi percepiti dai sensi racchiudano degli spazi vuoti, nei quali avvenga
la divisione, che altrimenti non sarebbe possibile; sia che essi racchiudano dei corpi pieni indivisibili (àtomoi), perché altrimenti i corpi
percepiti dai sensi risulterebbero costituiti soltanto di vuoto: ipotesi
questa che, essendo in contrasto sia con i sensi sia con la ragione, deve
essere esclusa come impossibile.
21
Confermata così per via razionale l esistenza del vuoto e del pieno
testimoniata dall esperienza sensibile, Democrito sostiene che esiste
un vuoto infinito, in cui si muove un numero infinito di atomi, diversi
tra loro per forma, per ordine e per posizione. Urtandosi continuamente tra loro, questi atomi producono dei vortici che li portano ad agganciarsi in aggregati, che poi, in seguito a nuovi urti e a nuovi vortici, finiscono per disgregarsi. Così, nel vuoto infinito, si compongono e si
scompongono, «a caso»,1 corpi e mondi infiniti, che possono risultare
del tutto diversi, anche se uno solo degli atomi «sia stato spostato: difatti dalle stesse lettere dell alfabeto risultano composte sia una commedia sia una tragedia».
2. La gnoseologia. Il contrasto tra le opinioni comuni, fondate sulle
sensazioni, e l ontologia eleatica, fondata sul ragionamento, sollecita
nei pluralisti una riflessione sul valore conoscitivo della sensazione e
della ragione, avviando così una gnoseologia o discorso (lògos) sulla
conoscenza (gnòsis). Così Empedocle diceva che le sensazioni si producono attraverso i simili: «Con la terra, infatti, vediamo la terra,
l acqua con l acqua, con l aria l aria divina, e poi col fuoco il fuoco
distruttore, con l Amore l Amore e la Contesa con la Contesa funesta.» Mentre Anassagora diceva che le sensazioni «si producono mediante i contrari, perché il simile non patisce dal simile».
Democrito non dice se la sensazione sia generata da un incontro di
simili o da uno scontro di contrari, ma spiega che «vi sono due forme
di conoscenza, l una genuina e l altra oscura; e che a quella oscura
appartengono tutti questi oggetti: vista, udito, odorato, gusto e tatto»,
cioè tutte le sensazioni. Queste sensazioni, spiega Democrito, sono
1
Da lui introdotto per escludere ogni causa del movimento degli atomi separata
dagli atomi stessi e dai loro vortici, il caso di cui parla Democrito è molto diverso
dal caso di cui parlano gli uomini, contro cui, infatti, egli scrive con fine ironia: «Gli
uomini si sono creato l idolo del caso come una scusa per la propria mancanza di
senno. Poiché raramente il caso viene in contrasto con la saggezza, mentre il più delle volte nella vita è lo sguardo dell uomo intelligente quello che dirige le cose.»
22
modificazioni dei nostri organi di senso, prodotte in noi da flussi di
atomi; provenienti dai corpi che ci circondano, questi atomi modificano i nostri organi di senso, in quanto, penetrando in essi, vi imprimono
le immagini (èidola) dei corpi da cui provengono. Così, noi non percepiamo i corpi esterni al nostro corpo, ma le modificazioni che i flussi di atomi provenienti da essi producono nei nostri sensi.
Oltre a questa forma di conoscenza rappresentata dalle sensazioni
che Democrito considera «oscura», perché per suo mezzo «noi in realtà non conosciamo nulla che sia invariabile, ma solo aspetti mutevoli
secondo la disposizione del nostro corpo e di ciò che penetra in esso o
gli resiste» esiste un altra forma di conoscenza «genuina», che è
propria di un «organo più fine», e i cui oggetti, rappresentati dal vuoto
e dagli atomi, sono troppo piccoli per essere percepiti dalla conoscenza «oscura» dei sensi. Questo «organo più fine» dei sensi è l intelletto, che è l unico a poter andare oltre le opinioni legate alle sensazioni,
per conoscere la verità di tutte le cose. Pertanto, Democrito scrive:
«Opinione il dolce, opinione l amaro, opinione il caldo, opinione il
freddo, opinione il colore; verità gli atomi e il vuoto.»
3. L etica. Democrito scrisse anche libri sull etica, cioè sul comportamento (èthos) umano, in cui sostenne che «il fine supremo della
vita è la tranquillità dell animo»; e che essa «ci è procurata dalla misura nei godimenti e dalla moderazione in generale nella vita». In questi
suoi scritti, Democrito insiste anche sulla necessità di ricevere e di
fornire una buona educazione, «perché l educazione trasforma l uomo e, trasformandolo, ne costituisce la natura».
Quanto al contrasto tra anima e corpo, che l anima spesso accusa e
rimprovera, Democrito scrive: «Se il corpo la chiamasse in giudizio a
motivo dei dolori e delle sofferenze che esso ha provato durante tutta
la vita, e io mi trovassi ad essere giudice della lite, volentieri condannerei l anima per tutte queste cause: per aver essa danneggiato il corpo
con le sue trascuratezze; per averlo estenuato con le sbornie; per averlo rovinato e trascinato di qua e di là con le bramosie dei piaceri.»
23
7. Eclettici
Connesso con il verbo eklègein, cioè, in greco, raccogliere scegliendo, il termine eclettico fu usato per primo da Diogene Laerzio,
quando definì eklektikè (eclettica) la scuola di un certo Potamone di
Alessandria, «il quale scelse da ciascuna scuola le massime che gli
piacquero». Dal punto di vista filosofico, dunque, cioè come ricerca
della causa, la posizione eclettica è debole, perché sceglie in base al
proprio gusto; dal punto di vista storico, invece, cioè come diffusione
delle idee, essa fu molto importante, perché preparava la visione del
mondo fisico come organismo animato, che troviamo anche in Platone, ma che sarà tipica soprattutto dello stoicismo ellenistico.
1. Diogene. Attivo ad Atene tra il 440 e il 420, Diogene di Apollonia insegnava che «tutte le cose risultano dalla alterazione della stessa
cosa e sono la stessa cosa», perché «né mai pianta potrebbe nascere
dalla terra né animale né alcun altro essere, se non fossero composte
in modo da essere lo stesso» archè. Questo archè universale secondo
Diogene, che qui riprende Anassimene, deve essere aria, perché «gli
uomini e le altre creature vivono respirando aria».
Inoltre, secondo Diogene, che qui riprende Anassagora, questa aria
deve avere intelletto ed essere intelligente, perché «non sarebbe possibile senza intelligenza una divisione tale che realizzi la misura di ogni
cosa: e d inverno e d estate, e di notte e di giorno, e di piogge e di
venti e di sereni; e tutte le altre cose, se uno vuole esaminarle, le troverà disposte nel miglior modo possibile.»
2. Archelao. Discepolo di Anassagora e maestro di Socrate, anche
Archelao di Atene insegnava che l archè è unico; che esso è aria infinita, intelligente e divina; e che da questa aria intelligente, per opera
del caldo e del freddo, si generano tutte le cose percepite dai sensi.
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INDICE GENERALE
INTRODUZIONE
5
FILOSOFIA ANTICA
I. ETÀ PRESOCRATICA
9
1. Scuola di Mileto
9
2. Pitagorici
10
3. Senofane
13
4. Eraclito
14
5. Scuola di Elea
15
6. Pluralisti
19
7. Eclettici
24
II. ETÀ CLASSICA
25
1. Ippocrate
25
2. Sofisti
27
3. Socrate
36
493
4. Socratici
42
5. Platone
50
6. Aristotele
91
III. ETÀ ELLENISTICA
137
1. Epicuro
137
2. Stoicismo
147
3. Scetticismo
158
4. Geometria e Meccanica
165
5. Mediostoicismo
168
6. Eclettici
173
7. Filosofia a Roma
175
IV. ETÀ IMPERIALE
189
1. Religioni rivelate
189
2. Patristica
195
3. Neostoicismo
200
4. Epicureismo
211
494
5. Neoaristotelismo
213
6. Neopirronismo
217
7. Medioplatonismo
220
8. Neopitagorismo
224
9. Neoplatonismo
227
10. Agostino
239
11. Proclo
256
FILOSOFIA MEDIEVALE
I. ALTO MEDIOEVO
267
1. Dionigi
267
2. Eriugena
268
II. BASSO MEDIOEVO
270
1. Dialettici e antidialettici
270
2. Anselmo
272
3. Scuola di Chartres
274
495
4. Scuola di San Vittore
276
5. Disputa sugli universali
276
6. Abelardo
278
7. Giovanni di Salisbury
281
8. Traduzioni dall arabo
282
9. Filosofia araba
282
10. Filosofia ebraica
285
11. Pietro Lombardo
286
12. Università
286
13. Aristotele vietato
288
14. Bonaventura
290
15. Tommaso
291
16. Scoto
295
17. Ockham
297
18. Buridano
298
496
FILOSOFIA MODERNA
I. RINASCIMENTO
303
1. Platonismo
303
2. Aristotelismo
308
3. Libero arbitrio
309
4. Pensiero politico
309
5. Naturalismo
312
6. Scetticismo
314
II. SEICENTO
317
1. Bacone
317
2. Galileo
319
3. Cartesio
321
4. Malebranche
327
5. Pascal
329
6. Spinoza
331
7. Hobbes
335
497
8. Locke
339
9. Newton
341
10. Leibniz
343
III. SETTECENTO
347
1. Berkeley
347
2. Vico
350
3. Illuminismo
354
4. Rousseau
361
5. Hume
370
6. Kant
372
7. Dibattito sul kantismo
395
FILOSOFIA CONTEMPORANEA
I. OTTOCENTO
399
1. Romanticismo
399
2. Idealismo
401
498
3. Destra e Sinistra
417
4. Feuerbach
418
5. Schopenhauer
420
6. Kierkegaard
424
7. Marx
427
8. Positivismo
436
9. Nietzsche
446
II. NOVECENTO
450
1. Contro il Positivismo
450
2. Bergson
453
3. Freud
455
4. Pragmatismo
460
5. Croce
463
6. Fenomenologia
468
7. Heidegger
473
APPENDICE LOGICA
479
499
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