ENEA - Camera dei Deputati

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AGENZIA NAZIONALE PER LE NUOVE TECNOLOGIE, L’ENERGIA
E LO SVILUPPO ECONOMICO SOSTENIBILE - ENEA
Audizione ENEA nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla green economy
Ing. Giovanni Lelli Commissario ENEA
Commissioni Riunite Attività Produttive e Ambiente
Camera dei Deputati
Roma, 21 novembre 2013
Rivolgo un saluto e un ringraziamento ai Presidenti e ai Deputati delle Commissioni riunite
Ambiente e Attività Produttive per l’opportunità di questo incontro che costituisce un momento per
noi fondamentale per rappresentare l’impegno dell’ENEA nell’articolato e attuale processo della
green economy che non declina solo il passaggio da una economia tradizionale ad una economia
verde, ma ipotizza un cambiamento radicale nella struttura, nella cultura e nelle azioni che
caratterizzano la collettività.
La legge di riforma del 2009 ha affidato all’ENEA nuove funzioni di Agenzia, in aggiunta a quelle
tipiche di Ente di ricerca, rafforzandone il mandato verso il sistema della produzione e dei servizi a
supporto del decisore pubblico e del sistema imprenditoriale, per l’individuazione di politiche
energetiche e ambientali e per lo sviluppo, l’identificazione e il sostegno a processi di innovazione
necessari per uno sviluppo sostenibile e competitivo. La stessa legge aggiunge lo sviluppo
economico sostenibile alle mission tradizionali di ENEA su energia, ambiente e nuove tecnologie,
in accordo con le strategie europee da Lisbona e Goteborg in poi.
Centrale nelle politiche per lo sviluppo sostenibile è, in particolare, l’idea che gli interventi sui
sistemi produttivi e sui servizi realizzati siano all’origine di importanti ricadute, non solo ambientali
ma anche economiche e sociali, e che tali interventi siano indispensabili per la competitività e la
crescita dei sistemi economici. Altrettanto centrale è l’idea, ormai ampiamente condivisa, che tali
interventi non possano essere esclusivamente di natura tecnologica propriamente detta, né possano
essere esclusivamente di natura “energetica”, ma debbano essere frutto di un approccio integrato in
grado di condurre i sistemi produttivi verso la sostenibilità con politiche, tecnologie, metodologie,
sistemi di gestione, logistica ed altro.
E’ in questo quadro che l’ENEA, per mission e anche per la sua tradizionale capacità ad affrontare
problemi complessi in maniera integrata e sistemica nonchè per la sua tradizionale collaborazione
con il mondo delle imprese e dei servizi, si propone tra i principali attori in grado di indirizzare il
nostro Paese sui percorsi virtuosi, necessari al sistema della produzione e dei servizi, per dare piena
attuazione ai principi della green economy.
Il concetto di economia si sta rapidamente trasformando a favore di un benessere socio-economico
che sia più equo e condiviso a livello globale. I nuovi modelli di sviluppo socio-economico non
possono prescindere dall’innovazione dei sistemi di produzione a favore di una maggiore efficienza
energetica, di un uso più sostenibile delle risorse, di una riduzione dei costi di gestione che sia
compatibile con le istanze di diminuzione dell’impatto ambientale, e di un miglioramento della
qualità dei prodotti, con la creazione di nuove figure professionali e positive ricadute
sull’occupazione. Anche il nostro Paese è ormai maturo per questo nuovo modello di mercato
ecosostenibile e ha bisogno di attivare un percorso di rinnovamento attuando sinergie tra il mondo
industriale e quello della ricerca e dell’innovazione tecnologica.
Il ruolo specifico e unico che riveste l’ENEA nel quadro della ricerca pubblica comprende insieme
funzioni di Ente di ricerca tecnologica, dedicate alla ricerca e innovazione a supporto del sistema
della produzione, dei servizi e della qualità della vita, e funzioni di “Agenzia” a supporto delle
scelte strategiche e degli interventi sul territorio del “sistema Paese” (Pubblica Amministrazione,
sistema della produzione e dei servizi, cittadinanza).
Tale posizione, se da una parte genera la necessità di una sempre maggiore focalizzazione delle
attività di studi, ricerche e servizi tecnologici sulle esigenze del Paese, dall’altra aggiunge
credibilità ed efficacia ai processi di trasferimento tecnologico e alle attività sviluppate
congiuntamente con l’impresa e a supporto del decisore pubblico.
L’ENEA svolge queste funzioni su un vasto numero di temi cruciali per lo sviluppo della green
economy: dall’approvvigionamento sostenibile dell’energia (sviluppo di fonti rinnovabili) all’uso
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sostenibile della stessa (risparmio ed efficienza energetica), dallo sviluppo di modelli e scenari
energetico-ambientali alla individuazione di politiche e misure per l’adattamento e la mitigazione,
dalla caratterizzazione ambientale agli studi e tecnologie per la messa in sicurezza del territorio,
dallo sviluppo di nuovi materiali allo sviluppo e implementazione di ICT, dalla gestione sostenibile
del ciclo dei rifiuti e della risorsa idrica a studi e tecnologie per la qualità dell’aria, dal recupero e
riciclo di materie prime seconde da prodotti a fine vita alla sostituzione di materie prime nei cicli
produttivi, dallo sviluppo di tecnologie per l’agroindustria di qualità allo sviluppo di tecnologie
abilitanti, dagli strumenti di gestione ambientale basati sul ciclo di vita alle certificazioni e alle
etichettature ambientali, etc.
Tutti questi temi sono appunto cruciali per lo sviluppo di una green economy nel nostro Paese, ma
va superata la tendenza posta in atto di affrontarli separatamente e settorialmente, anche in funzione
delle emergenze che si creano o delle risorse che si rendono disponibili.
Nella trasformazione del nostro territorio e dei nostri sistemi produttivi in chiave sostenibile è
necessario mettere a sistema tutto il bagaglio di conoscenze di cui il Paese dispone in un approccio
integrato e olistico, l’unico adeguato ad affrontare i problemi della sostenibilità.
Tematiche quali i cambiamenti climatici, le smart cities, la sostenibilità e competitività dei sistemi
di produzione di beni e servizi, le bonifiche e la riqualificazione di siti contaminati, l’edilizia e il
turismo sostenibile sono solo alcuni esempi di nodi cruciali per lo sviluppo della green economy da
affrontare con un approccio sistemico in grado di utilizzare e integrare politiche, strategie,
tecnologie, metodologie, modelli e strumenti di gestione ambientale, economici e sociali.
Questo è l’approccio che per mission, storia e tradizione, ENEA sta già attivamente utilizzando nei
suoi interventi sul territorio sui temi sopra elencati attraverso le sue Unità Tecniche e i Centri di
ricerca presenti in diverse regioni italiane (Nord, Centro e Sud) e in stretto e continuo contatto tra
loro.
Il perimetro della green economy
Le molteplici crisi in atto in questi anni - economiche e sociali, ecologiche e climatiche - hanno
evidenziato l’urgenza di passare da un modello economico basato sull’utilizzo non sostenibile delle
risorse naturali e sulla scarsa attenzione agli impatti delle attività antropiche su ambiente, società e
qualità della vita, ad un nuovo modello di sviluppo, basato su un uso sostenibile delle risorse
naturali e su una riduzione drastica degli impatti ambientali e sociali ai fini di un miglioramento
generalizzato della qualità della vita.
La green economy, che non solo riconosce i limiti del pianeta, ma li rimarca come confini
all’interno dei quali deve muoversi il nuovo modello economico, può rappresentare questo nuovo
tipo di sviluppo. Infatti, non è semplicemente la parte “verde” dell’economia, operante
esclusivamente all’interno del settore della cosiddetta “industria ambientale”, cioè di quella parte
dell’economia riferita, in particolare, al settore della protezione ambientale e delle energie
rinnovabili - tanto da rendere quasi intercambiabili i termini green economy e green/renewable
Energy - ma un nuovo modello di sviluppo tout court.
Il concetto di green economy, così come quello di sviluppo sostenibile, si basa su tre dimensioni economia, società e ambiente - e rappresenta uno strumento di sviluppo sostenibile fondato sulla
valorizzazione del capitale economico (investimenti e ricavi), del capitale naturale (risorse primarie
e impatti ambientali) e del capitale sociale (lavoro e benessere). Esso va applicato a tutti i settori
della produzione di beni e servizi, oltre che alla conservazione e all’utilizzo sostenibile delle risorse
naturali, ai fini di una transizione verso un nuovo modello di sviluppo in grado di garantire un
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migliore e più equo benessere per tutto il genere umano, nel rispetto dei limiti del pianeta.
Un’economia verde riconosce e investe nel capitale naturale, considerando la biodiversità come il
tessuto vivente proprio del nostro pianeta, che contribuisce al benessere umano e fornisce le
economie di risorse preziose sotto forma di servizi elargiti gratuitamente. Questo cosiddetto
“ecosistema di servizi” è rappresentato principalmente in natura da beni pubblici, che sono invisibili
economicamente e per questo motivo sottovalutati e mal gestiti.
Una giusta economia, in questo caso davvero green, stima il valore economico di questi ecosistemi
e li introduce, così come gli altri beni, nel mercato economico. Risorse naturali come foreste, laghi,
zone umide e bacini fluviali sono componenti essenziali del capitale naturale ed assicurano la
stabilità del ciclo dell'acqua e dei suoi benefici per l'agricoltura e per le famiglie, del ciclo del
carbonio e il suo ruolo nel clima mitigazione, la fertilità del suolo e il suo valore alla produzione
delle colture, i microclimi locali per gli habitat.
In tale quadro la green economy può essere valutata dunque come un’opportunità per superare i
tanti limiti ed uscire dalla crisi dell’attuale modello di crescita, ma rappresenta soprattutto il collante
necessario a predisporre interventi integrati per gli obiettivi di sostenibilità. La green economy può
essere interpretata, infatti, come l’insieme delle misure economiche, ambientali e sociali necessarie
a indirizzare verso un modello di società a impatto ridotto in termini di emissioni. In tale percorso,
la low-carbon society può rappresentare la tappa intermedia, nella quale anche i singoli
comportamenti possono concorrere significativamente a ridurre sia l’impatto ambientale che il
consumo delle risorse. L’importanza della dimensione energetica per la crescita verde è alquanto
evidente. L’energia è alla base dell’economia globale. L’uso delle fonti fossili, peraltro in aumento
con la crescita delle economie emergenti, costituisce una delle cause di maggiore pressione
ambientale. Le decisioni in ambito energetico possono essere dunque il fattore determinante per
invertire il corso delle suddette crisi e dei rischi connessi, per contenere gli effetti del climate
change e per garantire una crescita verde più equa e inclusiva.
Lo stretto legame tra energia, ambiente ed economia, impone che gli obiettivi per la lotta al
cambiamento climatico o i piani di intervento in risposta alla crisi finanziaria, non siano pensati in
maniera isolata ma inseriti all’interno di una strategia basata sull’integrazione delle misure. Si
possono in tal modo definire nuovi e ambiziosi obiettivi di sviluppo, e tendere verso l’ideale di
massimo disaccoppiamento tra crescita economica e impatto ambientale (minori emissioni) e tra
crescita economica e sfruttamento delle risorse (maggiore produttività).
Impatti economici della green economy
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Gli investimenti mondiali in R&S rivolti alla green economy rappresentano ancora una parte
relativamente modesta del totale di investimenti in R&S (da pochi punti percentuali a meno del
15%) ma il trend degli ultimi anni conferma il rapido aumento degli stessi.
La prepotente crescita economica di paesi come Cina e India con il relativo miglioramento delle
condizioni economiche, e quindi di consumo della loro popolazione, ha determinato una rapida
ridefinizione delle prospettive di sviluppo legate alla disponibilità delle risorse naturali e alle
modalità/tecniche della loro gestione per limitarne gli effetti negativi sull’ambiente. In tale
prospettiva le tecnologie ambientali (o “clean tech”), nell’ambito della green economy, diventano
centrali nell’affrontare tale problema.
Le politiche ambientali non costituiscono più un vincolo oneroso al processo produttivo, ma
diventano uno stimolo per l’innovazione e l’aumento della competitività.
L’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, sostiene che il 2% del PIL mondiale
annuo, da investire fino al 2050 nei settori chiave sopra ricordati, basterebbe per uscire dalla crisi
economica e ambientale e per favorire la transizione verso un’economia “verde”.
In questo modo, nel breve periodo, il PIL crescerebbe leggermente di meno rispetto allo scenario
BAU (Business As Usual), ma nel medio e nel lungo periodo crescerebbe significativamente di più.
Rilevanti vantaggi si avrebbero inoltre in termini di riduzione della domanda di energia, di acqua, di
suolo e in generale di “impronta” ecologica sul pianeta.
La stima delle dimensioni economiche dell’attuale industria ambientale o più in generale della
green economy non è semplice a causa della disomogeneità dei dati disponibili. Un recente studio
commissionato dalla CE, in parte basato su dati Eurostat, ha stimato il valore del settore europeo
delle eco-industrie, nel 2008, pari a circa 319 miliardi di euro per un totale di circa 3,4 milioni di
addetti. Un analogo studio britannico - utilizzando una definizione molto estesa di “clean tech” sino
ad includere i servizi di consulenza - ha stimato il valore del settore a livello mondiale in 3.840
miliardi di euro nel 2010.
L’analisi del sistema economico italiano mostra un significativo miglioramento degli indicatori di
sostenibilità economica più direttamente legati alla produzione industriale, sia in termini di maggior
produttività delle risorse naturali impiegate, sia in termini di miglioramento dei processi produttivi
in una prospettiva eco-compatibile, nonchè di investimenti diretti per la protezione ambientale.
Nel nostro Paese risulta chiara la grande valenza strategica dell’investimento in tecnologie, processi
e prodotti “green” da parte delle imprese che si prefiggono il triplice obiettivo di migliorare
l’efficienza del processo produttivo, ampliare il proprio mercato con nuovi prodotti e potenziare la
propria competitività di lungo periodo.
La percentuale di imprese che investono in tecnologie ambientali è fortemente cresciuta,
attestandosi intorno al 57%, quasi raddoppiando nel biennio 2010-11 sia tra le piccole che nelle
medie imprese. Di queste, il 55% ha come obiettivo il miglioramento dell’efficienza nella gestione
delle risorse (materie prime ed energia), mentre gli investimenti finalizzati al processo produttivo
sono relativi al 35% delle imprese, di cui il 10% investe in clean tech per il miglioramento del
prodotto.
Il potenziamento della competitività delle imprese “green” trova riscontro in due indicatori: la
presenza di imprese esportatrici e la propensione ad assumere e formare figure altamente
qualificate. Le imprese maggiormente coinvolte nelle iniziative della green economy risultano aver
maggior propensione e successo in campo internazionale (alta propensione all’export) e ad
aumentare le competenze aziendali tramite l’assunzione di personale altamente qualificato e la
formazione dei neo assunti.
Se si considerano i dati ISTAT su “Gli investimenti per la protezione dell’ambiente delle imprese
industriali”, il valore che emerge è positivo, anche se solo parzialmente, in quanto il generale
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incremento delle spese per la protezione ambientale indica ancora un eccessivo sbilanciamento
verso le attività “end of pipe”, mostrando come ancora non si investa pienamente in tecnologie
ambientali di processo per rimuovere l’inquinamento all’origine.
La conversione brown/green del nostro sistema produttivo
Attualmente la grande maggioranza degli investimenti in green economy, sia a livello internazionale
che nazionale, si distribuisce in maniera significativa soltanto nei settori della cosiddetta industria
ambientale e della produzione sostenibile di energia, mentre pochi investimenti si registrano nel
settore dell’industria manifatturiera e di altri settori industriali.
L’industria manifatturiera è comunque responsabile di circa il 35% dell'elettricità globale impiegata,
di oltre il 20% delle emissioni mondiali di CO2, di più di un quarto di estrazioni di risorse primarie,
di circa il 10% della domanda globale di acqua (un dato questo destinato a crescere a oltre il 20% al
2030), di circa il 17% dell’inquinamento atmosferico responsabile di danni per la salute umana (con
costi stimati tra l’1 e il 5% del PIL globale).
Alla luce di questi dati, non sembra opportuno concentrare gli sforzi sull’approvvigionamento
sostenibile dell’energia, trascurando l’uso spesso insostenibile che se ne fa, e sul disinquinamento,
trascurando gli interventi sui sistemi di produzione di beni e servizi.
La sfida verso la green economy passa certamente attraverso il rafforzamento della cosiddetta
industria ambientale (rinnovabili e protezione ambientale), ma soprattutto attraverso la
riconversione dei settori produttivi brown in settori green, a cominciare dal manifatturiero, senza
tralasciare settori altrettanto strategici per il nostro Paese quali il chimico, il siderurgico, l’edilizia,
il turismo.
Tutte le industrie del settore manifatturiero presentano un significativo potenziale di miglioramento
dell'efficienza energetica, sia pure in vario grado e con diversi requisiti di investimenti.
Guardando al futuro, gli scenari finanziari indicano che gli investimenti verdi in efficienza
energetica per i prossimi quattro decenni potrebbero ridurre il consumo di energia industriale di
quasi la metà rispetto allo scenario BAU.
I processi chimici con l'uso di sostanze pericolose, e i rischi connessi, prevedono ampi spazi per
interventi verdi: in questo contesto vi sono grandi sfide di eco-innovazione di processo volte a
ridurre le tossicità associate ad esempio ai processi di concia dei prodotti, ai processi di
sbiancamento della carta, ai processi ad alta temperatura nei quali la formazione di sottoprodotti o le
emissioni di metalli pongono notevoli problemi.
Per rendere verde questo settore bisogna inoltre estendere la vita utile dei manufatti attraverso una
più attenta progettazione, che consideri il ricondizionamento e il riciclaggio, fasi di una produzione
a ciclo chiuso, in un’ottica di riduzione drastica dei rifiuti.
Il riciclaggio di materiali come l’alluminio, per esempio, richiede solo il 5% della energia richiesta
per la produzione primaria. In questo settore si riscontra un significativo aumento dei livelli
occupazionali: il riciclo in tutte le sue forme impiega già 12 milioni persone in soli tre Paesi
(Brasile, Cina e Stati Uniti); professioni verdi come queste sostengono 10 volte più posti di lavoro
rispetto a discariche o all'incenerimento.
Il nostro Paese rappresenta la seconda industria manifatturiera in Europa e una delle prime al
mondo, e se è vero che l’Italia debba continuare ad essere un Paese ad alta vocazione
manifatturiera con capacità di competizione ad alti livelli nei settori ad elevato valore aggiunto (e
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non a scarso valore aggiunto), allora uno dei suoi obiettivi prioritari è riuscire a coniugare
competitività e sostenibilità del nostro sistema produttivo manifatturiero, ma non solo.
L’eco-innovazione strumento prioritario verso la green economy
Il passaggio alla green economy implica la capacità di innovare non solo cicli produttivi e consumi,
ma anche cultura e stili di vita tramite lo sviluppo e la messa in pratica dell’eco-innovazione che
tenga conto sia del profilo economico, che delle dimensioni sociali e ambientali come componenti
imprescindibili dello sviluppo sostenibile.
L’eco-innovazione può essere definita come l’utilizzo di prodotti, processi, sistemi gestionali,
servizi o procedure nuovi o ripresi dalle buone pratiche della cultura e della tradizione industriale,
attraverso cui si consegue, lungo tutto il ciclo di vita, una riduzione di fattori di pressione
sull’ambiente (riduzione dei flussi materiali, del consumo di energia, dell'inquinamento, etc.) e sulla
società, rispetto alle pratiche correnti, e la capacità di creare ancora valore e assicurare il benessere
dei cittadini migliorandone la qualità della vita e gli standard sociali e ambientali.
L’obiettivo dell’eco-innovazione, come quello della green economy, è quello di un profondo
cambiamento verso nuovi sistemi di produzione e consumo basati su un approvvigionamento ed un
utilizzo sostenibile delle risorse e una riduzione/eliminazione delle emissioni e dei conseguenti
impatti, che porti gradualmente al disaccoppiamento assoluto tra la crescita, misurata secondo i
nuovi canoni “beyond GDP” e l’utilizzo delle risorse e gli impatti sugli ecosistemi.
Lo sviluppo di tecnologie low carbon, di cicli produttivi puliti, di prodotti verdi e “biobased”, di
agricoltura di qualità ecologica, e del recupero e riciclo di materie prime all’interno dei cicli
produttivi, così come nei territori e nelle città, sono le principali frontiere di rilievo per l'ecoinnovazione.
Si possono considerare differenti tipi di eco-innovazione: dalla eco-innovazione di processo a quella
di prodotto, dalla eco-innovazione trasversale a quella macro-organizzativa e di sistema. Ciascun
tipo di eco-innovazione porta a miglioramenti incrementali. Tuttavia, il percorso verso la
sostenibilità necessita la messa a sistema dei vari tipi di eco-innovazione, con i più ampi concetti di
eco-innovazione dei consumi e più in generale tenendo presenti gli stili di vita, culturali e sociali.
Per far ciò, è necessario arrivare ad una futura governance dell’eco-innovazione che sappia gestire
un approccio olistico verso la sostenibilità.
La filosofia del riciclo della materia, non diversamente dal risparmio energetico e dalla riduzione
delle emissioni climalteranti, è un esempio significativo dell’approccio combinato di ecoinnovazione, che tiene insieme eco-innovazione di processo, di prodotto, macro-organizzativa, ma
anche gli stili di vita e di consumo. Attraverso il recupero dei materiali, l’economia del riciclo
contribuisce in maniera sostanziale all’eco-efficienza generale del sistema, determina significativi
risparmi energetici e di uso di risorse non rinnovabili, consente apprezzabili riduzioni delle
emissioni sia nella produzione che nello smaltimento finale, favorisce nuova occupazione, indirizza
stili di vita e approcci culturali nuovi e più sostenibili.
Il posizionamento italiano in Europa
I dati 2011 dell’Osservatorio europeo per l’eco-innovazione relativi all’Eco-Innovation Scoreboard
(Eco-IS), indicatore composito per valutare le prestazioni dei vari paesi Europei, composto da 16
indicatori provenienti da 8 diverse fonti di dati, posizionano l’Italia al 16° posto (UE a 27) contro il
12° del 2010. L’Italia mostra prestazioni positive, anche sopra la media europea, per i risultati
ambientali e socio-economici (misurati tramite valutazioni di impatto) mentre riguardo più
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specificatamente all’eco-innovazione, gli input, le attività e gli output conseguiti (misurati sugli
investimenti e occupazione R&S, brevetti, etc) sono sotto la media europea.
Una prima valutazione sembra indicare come l’Italia sia particolarmente virtuosa nell’implementare
eco-innovazione sviluppata in altri Paesi per raggiungere obiettivi ambientali e socioeconomici.
Emblematica, in tal senso, è la diffusione in Italia del fotovoltaico che ha conosciuto le più alte
percentuali europee di crescita a fronte di una industria nazionale del settore che per ora è limitata
alla produzione di inverter e all’assemblaggio di celle ed impianti finiti.
E’ di interesse strategico per il nostro Paese riuscire ad affiancare a questa capacità di attuazione di
eco-innovazione, un’adeguata capacità di sviluppo della stessa, puntando su ricerca e sviluppo, con
un significativo incremento della capacità brevettuale italiana, sul trasferimento tecnologico verso
le imprese e su un corrispondente sviluppo della relativa filiera industriale.
Ostacoli e barriere alla diffusione della green economy
La green economy incontra per il suo sviluppo sia ostacoli, che possono essere superati, sia barriere,
più difficili da rimuovere. Le barriere sono varie e differenziate e riguardano, ad esempio, problemi
che vanno dall’incapacità dei mercati nel valutare costi e vantaggi ambientali, alla rigidità delle
strutture economiche, dovute a vincoli infrastrutturali nonché comportamentali, e a incentivi e
sovvenzioni erogati per finalità non compatibili con lo sviluppo sostenibile.
In Italia, i limiti alla diffusione dell’eco-innovazione derivano da numerosi ostacoli: politiche
contraddittorie a vari livelli (PA centrale e locale), carenze culturali (ruolo e opportunità dello
sviluppo sostenibile), finanziarie (investimenti e incentivi), formative (nuove competenze e
riqualificazione professionalità), procedurali (procedure autorizzative farraginose e disomogenee a
livello territoriale) e di supporto alle imprese (trasferimento tecnologico e metodologico); scarsi
collegamenti tra servizi territoriali e aziende/distretti; mancanza di standard condivisi, che
consentano di misurare l'eco-innovazione di un prodotto e di un processo, e di una comunicazione
semplice, efficace ed univoca, sull'eco-innovazione e sui suoi vantaggi ambientali, economici e
sociali, che favorisca l’accettazione sociale di tecnologie, processi, prodotti, servizi e l’incremento
di comportamenti eco-innovativi.
L’eco-innovazione può rappresentare un driver per la rimozione di questi ostacoli purché si
rimuovano gli intralci allo sviluppo dell’eco-innovazione stessa.
Il nostro Paese si trova, insieme agli altri Paesi, nella necessità di affrontare le crisi in un quadro di
profondo cambiamento verso sistemi di produzione e consumo più sostenibili, in grado di ridurre il
prelievo di risorse e gli impatti ambientali, da una parte, e rilanciare l’occupazione e favorire
l’equità e l’inclusione sociale dall’altra, ai fini di un miglioramento generalizzato della qualità della
vita.
E’ necessario riuscire con l’impegno di tutti a transitare dal rischio di un “ciclo vizioso” alla
possibilità di un “ciclo virtuoso”, dove il rischio di “ciclo vizioso” nel nostro Paese è rappresentato,
oggi, da un insufficiente collegamento tra i sistemi produttivi e il territorio, da esigui investimenti in
ricerca e sviluppo che insieme ad una scarsa valorizzazione del capitale umano comportano a loro
volta una modesta innovazione. Ciò può determinare un crollo della competitività con spostamento
verso settori a basso valore aggiunto, ulteriore riduzione di R&S e innesco del “ciclo vizioso”. Per
uscire da ciò occorre un impulso esogeno, che potrebbe discendere, oltre che dal mondo politico e
finanziario anche da quello scientifico e in particolare, per tradizione e mission, dall’ENEA. Infatti,
nel quadro di una rinnovata politica industriale e di principi di sostenibilità, è in grado di favorire lo
sviluppo e l’attivazione di collegamenti tra territorio e impresa e di eco-innovazione direttamente
nelle imprese con conseguente aumento della competitività, dell’occupazione e della valorizzazione
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del capitale umano, verso settori a maggior valore aggiunto. Per far partire il “ciclo virtuoso”,
servirà un ulteriore impulso dalle imprese stesse con benefici sia verso le stesse che verso il
territorio che le ospita.
Gli strumenti per perseguire tale obiettivo sono di natura politica, tecnologica, sociale, economica
ed organizzativa e la loro efficacia è tanto maggiore quanto più essi vengono messi a sistema
secondo un approccio olistico. Inoltre, il fattor comune dovrà essere lo sviluppo e la condivisione
dei sistemi della ricerca e della conoscenza che possano portare ad una trasformazione partecipata,
equa ed inclusiva favorendo la cultura della responsabilità.
La centralità del ruolo ricoperto dalla ricerca è riconfermata sia dal documento finale di Rio+20 che
dalla Risoluzione del Parlamento europeo di proposta di una Roadmap Europea della green
economy. In questo quadro sono di rilevante interesse anche le iniziative in corso per la promozione
in Europa di sinergie tra ricerca ed innovazione per arrivare a ridurre il “Time to market” di nuovi
prodotti e processi e massimizzare i benefici e i ritorni per la collettività.
L’Italia vive attualmente una situazione di crisi che penalizza le realtà di eccellenza e i luoghi della
ricerca anche a causa della riduzione delle assunzioni e dei finanziamenti pubblici. Se non si
provvederà ad invertire la rotta del sistema italiano della ricerca, pubblica e privata e ad agire
rapidamente, non si riuscirà ad adeguare la capacità di eco-innovazione del Paese, con il rischio di
vivere la fase di transizione della green economy, nel momento del consolidamento a livello
mondiale, come semplice “mercato di sbocco” piuttosto che da attore principale come la storia e gli
interessi del nostro Paese richiederebbero.
Considerazioni conclusive
Le politiche a protezione e tutela dell’ambiente sono diventate un importante impulso al
rinnovamento dei settori produttivi sia per l’ottimizzazione dei cicli produttivi che per le politiche di
innovazione di prodotto. Le tecnologie ambientali sono lo “strumento” con cui i settori produttivi
affrontano le diverse tematiche ambientali di misurazione, di riduzione e di prevenzione
dell’inquinamento.
Il passaggio alla green economy implica non solo il rafforzamento e lo sviluppo delle cosiddette
filiere verdi, ma anche una riconversione dei settori brown, a partire dal manifatturiero, che sappia
coniugare competitività e sostenibilità dei nostri sistemi produttivi. La transizione verso una nuova
economia che generi il “miglioramento del benessere umano e dell’equità sociale, riducendo in
maniera rilevante i rischi ambientali e le scarsità ecologiche”, prevede un percorso che appare
inevitabile e che è già cominciato sia nei Paesi occidentali che nei cosiddetti BRICS e che l’Italia
dovrà intraprendere da protagonista.
La consapevolezza che questa nuova economia sarà occasione di sviluppo pone la questione di
capire come ciò si traduca in una ricaduta positiva sul Sistema Paese.
Per essere protagonisti, come storia e tradizione del nostro Paese richiedono, servono strumenti
politici, finanziari, normativi, ma anche e soprattutto un rilancio delle infrastrutture di ricerca
italiane in termini di nuovi investimenti e di nuova occupazione.
Per chiarire meglio questa affermazione appare necessario comprendere il processo di sviluppo e
creazione che le imprese – in particolar modo di piccola e media dimensione - dovrebbero
percorrere per un posizionamento efficace nel mercato della green economy.
Il vantaggio competitivo della nostra impresa nazionale prima della globalizzazione derivava
dall’offerta di prodotti e servizi a prezzi più bassi rispetto ai propri concorrenti. Questa circostanza
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determinava la creazione di nuove opportunità di mercato: nuove imprese tentavano di cogliere
opportunità e si agganciavano come subfornitori e l’area territoriale diventava un punto di
riferimento per numerosi clienti e fornitori. Lo sviluppo di impresa a livello locale è derivato da una
crescente concorrenza che ha spinto l’efficienza e la produttività e da una disponibilità della catena
della subfornitura che, basandosi sulla breve distanza, ha consentito di organizzare con investimenti
minimi e costi limitati, cicli produttivi differenziati.
Ci si deve ora chiedere se tale modello di sviluppo sia proponibile per favorire la presenza della
nostra piccola e media impresa italiana nel mercato della green economy. E’ evidente, seppur con
alcuni segnali positivi, il ritardo che l’imprenditoria italiana mostra nei confronti dei competitor
internazionali nello sviluppare una economia basata sulle opportunità offerte sia dalle tecnologie
low carbon che da quelle ambientali e per l’uso sostenibile delle risorse naturali, e pertanto il
precedente modello sembrerebbe non replicabile tout court. Le sfide sono globali e il vantaggio
competitivo del prezzo non riesce più ad essere l’unico fattore guida per il successo di un prodotto.
Appare allora evidente che la nascita di una nuova economia, in questo caso green, deve basarsi su
su una riforma complessiva del sistema dell’offerta.
In altre parole è necessario intervenire sui diversi fattori che possono accelerare l’aggiustamento
strutturale del Sistema Impresa privilegiando lo sviluppo e la valorizzazione delle filiere. Risulta
quindi fondamentale, favorire le attività produttive già presenti e coerenti con l’ambiente,
migliorare l’articolazione e la competitività del settore d’intervento, attrarre nuovi investitori,
selezionando quelli maggiormente in linea con il modello virtuoso di cui si è in questa sede già
ampiamente parlato.
Si ritiene che la leva per aumentare la competitività industriale, e quindi far ripartire l’economia del
nostro Paese approfittando delle opportunità del greening, è rappresentata in maniera rilevante
anche dallo sviluppo tecnologico, inteso come innovazione nei settori chiave.
In questa ottica, il processo d’innovazione tecnologica può essere inquadrato come un ciclo
composto da cinque fasi principali che vanno dalla scoperta alla maturità della tecnologia e che
sono: ricerca, sviluppo, dimostrazione, creazione del mercato e diffusione della tecnologia. Il
processo d’innovazione è a sua volta al centro del più ampio sistema dell’innovazione stessa dove i
diversi soggetti coinvolti (aziende, università, centri di ricerca, agenzie governative, decisionmaker, istituzioni finanziarie e società civile) interagiscono in forme diverse (partnership, network,
cluster industriali, progetti, ecc.) all’interno della cornice costituita da istituzioni, infrastrutture e
politiche industriali.
L’ineludibilità di avviare un processo di innovazione tecnologica per cogliere efficacemente le
opportunità della green economy, richiama fortemente l’attenzione sul ruolo di una politica di
ricerca pubblica, che integri le diverse competenze, non disperda le risorse umane e strumentali,
ottimizzi le disponibilità finanziarie e che sia determinante nel favorire gli investimenti privati.
La penetrazione delle diverse tecnologie ambientali e energetiche dipende dalle condizioni di
mercato, dallo sviluppo delle conoscenze e dalla disponibilità di risorse umane e strumentali
impiegate per la ricerca. A nostro parere, il nodo principale della promozione dei settori che
possiamo definire driver della cosiddetta green economy, è legato anche alla capacità di offerta
tecnologica, dove l’Italia, purtroppo sconta la mancanza quasi totale negli anni passati di un
approccio capace di una più efficace visione integrata a livello politico del processo d’innovazione
tecnologica.
Va sottolineato infatti come, in un contesto economico produttivo come quello descritto, la capacità
di interazione tra soggetti diversi (pubblici e privati) rappresenta un elemento ancor più
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determinante per lo sviluppo e l’innovazione nei settori della green economy rispetto ad economie
diverse dalla nostra. Oggi il processo innovativo è più rapido e più complesso rispetto al passato,
coinvolgendo numerosi attori e necessitando quindi di ancor più forti interazioni tra mondo delle
ricerca, imprese e decision maker. L’interazione viene spesso lasciata all’iniziativa dei singoli
soggetti rischiando di non utilizzare appieno i vantaggi derivanti da più strette sinergie tra
eccellenze nazionali in grado di valorizzare le nostre filiere produttive, ovvero di crearne di nuove.
Sembrerebbe quindi mancare una sorta di spazio comune d’incontro tra imprese e mondo della
ricerca, che andrebbe stimolato attraverso strumenti operativi come piattaforme tecnologiche
nazionali orientate a sviluppare quelle tematiche e quelle tecnologie in maniera coerente con gli
indirizzi di politica energetica e ambientale dettati dal governo centrale.
In quest’ottica l’ENEA, per la sua mission specifica di Agenzia per le nuove tecnologie, l’energia e
lo sviluppo economico sostenibile, affronta e mette a sistema la diversificata e ricca produzione
scientifica del nostro Paese in maniera interdisciplinare, anche in raccordo con le diverse realtà
industriali del Paese. Quindi, se la conversione “green” può diventare per il sistema nazionale
un’opportunità e un nuovo orizzonte strategico di sviluppo e di crescita, l’ENEA può rappresentare
uno dei principali strumenti del Paese per affrontare questa fase di transizione che è di fatto già
iniziata a livello globale.
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