8 Uomo e donna mangiarono del frutto dell’albero Nella storia biblica del «peccato originale» il primo uomo si lascia prendere dall’illusione di essere il centro di tutto e di non avere limiti; dalla pretesa di non avere bisogno di Dio. Tutto ciò provoca una serie di guai: il mondo si fa ostile e la morte è amara condanna. A bbiamo già sottolineato che la rappresentazione del «giardinoparadiso» piantato ad Oriente non è un resoconto scientifico, informativo, «obbiettivo» in senso moderno. Quella della Genesi è una narrazione «eziologica», che cioè vuole motivare qualcosa che appare bisognoso di spiegazione. L’autore prende le mosse dal dolore e dall’insufficienza della creazione di Dio. Lo tormenta la domanda sulla provenienza del peso del lavoro, dell’infruttuosità del suolo, dei dolori della madre nel parto, della dipendenza della donna dall’uomo (nell’antica cultura semitica), della paura della morte. Tutto ciò non può venire da Dio perché Dio è buono e tutto ciò che ha creato deve essere stato buono sotto ogni aspetto. Egli non può essere responsabile delle sofferenze dell’uomo. Così nel nostro testo l’autore delinea un quadro delle origini nel quale i mali suddetti mancano. Questo sguardo retrospettivo di Israele alle origini ha un senso religioso: il testo discolpa Dio e attribuisce la responsabilità della miseria del mondo all’uomo che, nella libertà, ha scelto il peccato. Da tutto ciò nascono le affermazioni sull’«albero del bene e del male» e sul primo peccato. Affermazioni che sono simboli bisognosi di decodificazione. Tre sono i momenti del dramma presentati dal brano che leggiamo stasera (Gen 3, 1-24): la tentazione, la caduta, la sentenza di Dio che è anche annuncio di salvezza. Per l’autore sacro, la responsabilità del male ricade sul serpente e non sul comando di Dio o su Dio stesso. Per questo il racconto colloca l’inizio del male fuori dall’uomo. Fin da epoche molto antiche questo racconto della Genesi è stato interpretato come la descrizione di un peccato di superbia: l’uomo tentato ha voluto «diventare come Dio», decidere da solo ciò che è bene e ciò che è male»; ha voluto darsi la propria legge morale non accettando di essere «creatura». Comprendete che, come ogni peccato, non è un gesto che infrange una regola ma una scelta di fondo che porta a finalizzare tutto a sé. In quanto poi alla sentenza di Jahwé essa è, in primo luogo, giudizio di condanna sul serpente che ha vinto ma la cui vittoria non è definitiva. In secondo luogo, il castigo della donna e quello dell’uomo, indicano che si è prodotta una ferita nel più profondo del loro essere e che, infranta l’amicizia con Dio, tutto si deteriora. Ora l’umanità guarderà il mondo con occhi diversi e offuscati e lo troverà duro e penoso. Pur sapendo che questi racconti non intendono soddisfare la nostra curiosità storica o scientifica, la fede cristiana ci invita a prenderli sul serio. Il testo ci mette di fronte alla nostra situazione di umanità «decaduta», in lotta con il male e ci dice chiaramente non solo che Dio non è responsabile del male, ma che vuole la nostra salvezza. Forse per questo la Chiesa all’inizio della veglia pasquale, nell’Exultet, quando canta con gioia la luce del Cristo risorto, proclama senza esitazione: «Felice colpa che meritò un così grande redentore. Senza il peccato di Adamo, Cristo non ci avrebbe redenti…» Il racconto del peccato originale così come è raccontato nel capitolo terzo del Genesi. LA BIBBIA - 37 Dal libro della Genesi capitolo 3, 1-24 Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?». 2 Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3 ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete». 4 Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5 Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». 1 Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7 Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. 8 Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9 Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11 Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12 Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». 14 Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché tu hai fatto questo, sii tu maledetto più di tutto il bestiame e più di tutte le bestie selvatiche; sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. 15 Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stripe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa 6 38 - LA BIBBIA Il serpente Improvvisamente, nel testo biblico, appare il serpente. Anch’esso è creato ma non viene detto di dove venga la sua malvagità. Questo animale aveva un grande ruolo nella mitologia. In Egitto il serpente si opponeva al dio sole durante la notte per impedirgli di risorgere al mattino. Nei culti cananaici era un idolo molto comune, simbolo della vita, della fecondità e della sapienza. Si ricorderà facilmente come questo animale è presente anche nella mitologia greca quale simbolo di Esculapio, il dio della medicina. Era infatti credenza comune tra gli antichi che il serpente non si ammalasse mai. Così anche oggi le farmacie sono contrassegnate non solo da una croce luminosa ma anche dalla rappresentazione di un serpente che avvolge un bastone con le sue spire. Infine, era il serpente, nell’epopea di Ghilgamesh, che rubava la «pianta della vita» che l’eroe aveva conquistato con tanti sacrifici. Il nostro testo vuole mostrare che il peccato non viene dall’interno dell’uomo, non fa parte della sua natura (l’uomo quindi è responsabile dei suoi atti!) e non viene neppure da Dio: viene dall’esterno. Il serpente diventa così il nemico di Dio e la tradizione biblica ha riconosciuto in esso il diavolo, traduzione greca dell’ebraico satan (cf Sap 2, 24: «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo»). Nel dialogo, il serpente si mostra conoscitore del cuore umano; comincia con una domanda, accende il desiderio del proibito che appare seducente, spinge a commettere il fatto. «PRESE DEL SUO FRUTTO E NE MANGIò» Il gesto di mangiare il frutto dell’albero (v. 6) dev’essere qui interpretato come la realizzazione di quel «diventereste come Dio» del versetto precedente. È la tentazione e il miraggio dell’uomo, la grande menzogna. Pretendere di «essere come Dio» significa voler godere di una situazione di vita in cui tutti i nostri desideri si realizzano e tutti i nostri bisogni sono soddisfatti (si veda 16 17 e tu le insidierai il calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. 18 Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. anche la nota a pagina 35 sull’«albero della conoscenza del bene e del male»). Quindi il gesto di prendere il frutto e di mangiarne è un’immagine che vuole dire ben altro. La colpa dei due esseri umani non fu quella di mangiare una mela squisita. Ma da dove viene allora quest’idea quasi inestirpabile della mela? Essa si fonda forse su un errore di traduzione dalla lingua latina. In essa la stessa parola malum può avere due significati: malum = male, malum = mela. Così l’albero è diventato un melo. Anche l’arte ha avuto la sua parte nella storia della mela visto che il frutto del paradiso terrestre è sempre rappresentato come un pomo. «SI ACCORSERO DI ESSERE NUDI» Qual’è la conseguenza del fatto compiuto? Si «aprirono gli occhi di tutti e due» (v. 7) e invece di un innalzamento sperimentano una degradazione umiliante. Scoprono la loro nudità che sentono ora come una vergogna. La nudità, nell’AT, è infamia sociale; si denudano ad esempio i carcerati, i condannati a morte… Ormai l’uomo non riflette più immediatamente la gloria del Creatore, ha perduto la sua dignità. E la paura entra nella sua vita: teme Dio e fugge il suo sguardo, il suo incontro. I vv. dall’11 al 13 mostrano la paura e la vergogna che accompagnano il peccato. L’uomo attribuisce la colpa alla donna, la donna al serpente. In questo peccato originale non è descritto solo il primo, ma ogni peccato nel suo decorso: tentazione - seduzione - atto - vergogna - paura - dichiarazione di innocenza. «SII TU MALEDETTO…» Nel testo segue la sentenza punitiva di Dio sul serpente, sull’uomo e sulla donna. Per il serpente la sua punizione è la sua singolare forma di vita (strisciare sul ventre, vivere di polvere). «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe»: significa che inimicizia mortale regnerà ora tra l’essere umano e il serpente, guerra aperta su tutti i fronti tra il male e l’umanità. E la stirpe che nascerà dalla donna schiaccerà con il suo calcagno la testa al serpente: fuor di metafora, verrà qualcuno della stirpe umana che vincerà il male, che distruggerà la sua potenza. Questo annuncio è chiamato, a partire dagli antichi Padri della Chiesa, «protoevangelo» cioè «primo evangelo», il primo barlume di salvezza. La traduzione greca dei LXX, traduce il pronome questa (=la stirpe della donna), con questo, al maschile, attribuendo così la vittoria non alla discendenza della donna in generale, ma ad uno dei figli della donna: così è preparata l’interpretazione messianica che molti Padri greci espliciteranno. Applicando il testo al Messia, si implicherà anche sua madre e nascerà così una interpretazione mariologica del passo tanto che la traduzione latina del passo «ipsa conteret caput tuum» applicato alla Madonna è divenuta tradizionale nella Chiesa , nella Liturgia oltre che nella statuaria sacra dove l’Immacolata è rappresentata appunto come colei che schiacci il capo del serpente antico. LA SOFFERENZA E LA MORTE Nei vv. 16 e ss., la condanna colpisce i colpevoli nelle loro attività essenziali. La donna come madre e sposa, l’uomo come lavoratore. Naturalmente in testo non può significare che senza il peccato la donna avrebbe generato senza dolore e che l’uomo avrebbe lavorato senza avere il sudore della fronte; o che non c’era la morte fisica. «Tanto LA BIBBIA - 39 Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai!». 19 L’uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi. 21 Il Signore Dio fece all’uomo e alla donna tuniche di pelli e le vestì. 22 Il Signore Dio disse allora: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male. Ora, egli non stenda più la mano e non prenda anche dell’albero della vita, ne mangi e viva sempre!». 20 Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto. 24 Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero della vita. 23 E IL PECCATO «ORIGINALE»? C i siamo accorti che nel testo biblico non abbiamo trovato l’espressione «peccato originale» con il quale abitualmente si designa il peccato dei progenitori raccontato dal capitolo terzo del Genesi con le sue conseguenze sino a noi. Da dove viene allora questa espressione? Se il primo ad utilizzarla letteralmente è forse stato S. Agostino (V sec.), ma il suo senso è già chiaramente presente nel 5° capitolo della lettera di Paolo ai Romani. «Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato» (5,12). Adamo, egli dice, è l’uomo e il suo peccato è anche il peccato di ogni uomo, dell’umanità, del mondo. In questo senso ognuno dei nostri peccati entra nel peccato di Adamo, lo ingrandisce, gli dona consistenza. Così, «per la caduta di uno solo morirono tutti» (5,15). Ma per Paolo, l’affermazione del peccato originale è la conseguenza di una verità molto più importante: noi tutti siamo salvati in Gesù Cristo: «Come per l’opera di uno solo si è riversato su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita» (5, 18). L’essenziale dunque è non dimenticare che noi siamo salvati ma per grazia. Il peccato originale dunque ci ricorda più di ogni altra cosa che noi siamo salvati in Gesù Cristo. 40 - LA BIBBIA varrebbe concludere, dal v. 14 che prima del peccato i serpenti avevano le zampe». Dunque, anche prima del peccato c’era sofferenza e morte, Adamo ed Eva avrebbero sofferto e sarebbero morti, ma avrebbero vissuto questa condizione nella fiducia in Dio, senza angoscia. «Vita» e «morte», in questo contesto, significano dunque vicinanza a Dio e lontananza da lui. Non va intesa la morte fisica, che colpisce senza differenze tutti gli uomini, quelli che osservano i comandamenti di Dio e quelli che non li osservano. Questa «morte» trasferisce l’uomo in una sfera di male nella quale non c’è per lui alcuna amicizia con Dio ma solo la perdita della sua familiarità. CHIAMO’ LA MOGLIE EVA Malgrado la dura punizione, agli uomini rimane un resto di speranza. Questo è mostrato dalla assegnazione del nome alla donna, in ebraico Hawah = Eva = madre di tutti i viventi (v 20). Il miracolo della vita e della maternità continuerà. Li VESTI’ di PELLI Dio punisce la ribellione dell’uomo ma non lo lascia senza protezione, non lo priva del proprio aiuto. La Bibbia si serve spesso dell’immagine del vestito per dire che Dio restaura la dignità dell’uomo (Lc 15,22). Questo versetto sulle tuniche di pelle ha alimentato, in ambito greco, nei primi secoli, molte concezioni strane sullo stato di Adamo e di Eva. Per alcuni pensatori antichi, prima del peccato Adamo ed Eva erano solo la parte spirituale dell’uomo, puri spiriti; il corpo, le tuniche di pelli, sarebbe così stata la punizione pesante della sua mancanza. Una pura e semplice speculazione senza alcun fondamento esegetico. I CHERUBINI CUSTODI Il nome «cherubini» corrisponde a quello dei geni alati le cui raffigurazioni erano poste a custodia dei templi e dei palazzi in Mesopotamia. Con questa immagine e con un linguaggio fortemente mitologico, l’autore sacro sembra voler indicare che l’uomo, con il peccato, si colloca «fuori dal tempio», rompe il suo rapporto con Dio e fugge lontano dalla sua presenza.