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BOLLETTINO
D ’ ARCHIVIO
DELL’UFFICIO STORICO
DELLA MARINA MILITARE
Anno XXVII
dicembre 2013
BOLLETTINO
D’ARCHIVIO
DELL’UFFICIO STORICO
DELLA MARINA MILITARE
Anno XXVII
dicembre 2013
BOLLETTINO D’ARCHIVIO
DELL’UFFICIO STORICO DELLA MARINA MILITARE
Periodico trimestrale - Anno XXVII - dicembre 2013
Editore
MINISTERO DELLA DIFESA
Direttore responsabile
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Direttore editoriale
Amministrazione
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Marina Pagano
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Partita IVA: 02135411003
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Archivio
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Redazione
Maria Rita Precone
Alessandra Venerosi Pesciolini
Direzione e Redazione
Ufficio Storico della Marina Militare
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La collaborazione alla Rivista è aperta a tutti.
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Un fascicolo singolo/arretrato 6,00 € più spese postali Spedizione in contrassegno
Il Bollettino d’Archivio è consultabile on line al sito:
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© Copyright - Ufficio Storico della Marina Militare
INDICE
7
Editoriale
SAGGI
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La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei
documenti tedeschi (maggio 1941)
Augusto de Toro
71
La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo
l’8 settembre 1943
Gabriele Faggioni
129 La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
Angelo Savoretti
AVVERTENZA
In questo numero la sezione archivio non è presente poiché le archiviste sono state impegnate nell’allestimento della mostra per il Centenario dell’Ufficio Storico “La storia della Marina Militare attraverso i
documenti conservati nel suo Archivio”, tenutasi presso il Complesso
del Vittoriano - Sacrario delle Bandiere dal 16 al 29 settembre 2013,
e il cui catalogo è attualmente in corso di edizione a cura delle medesime.
EDITORIALE
A conclusione del XXVII anno di vita del Bollettino d’Archivio, come ormai
tradizione, viene di seguito presentato un breve resoconto sull’attività svolta
dall’Ufficio Storico della Marina durante il 2013, anno che ha visto proseguire le ormai note difficoltà dei tempi recenti, soprattutto in campo editoriale, ma che è anche stato particolarmente significativo, in quanto ha visto
il compimento del centesimo anno di vita dell’Ufficio, istituito il 29 agosto
1913 con il R.D. n. 1123.
Anche nel 2013 il Bollettino è stato pubblicato solo on-line sul sito web
della Marina: la versione cartacea, infatti, continua a soffrire la mancanza di
risorse dedicate alla stampa, ragion per cui la testata editoriale è stata divulgata nella sola versione informatica, ormai giunta al suo terzo anno di vita.
Gli argomenti storici trattati nel corso del 2013 hanno continuato in
quella linea editoriale da tempo consolidata di ampio respiro, che accanto
alla trattazione di temi noti vede affrontare ed approfondire argomenti meno conosciuti, ma non per questo meno significativi e coinvolgenti.
La vitalità del Bollettino è poi testimoniata dal fatto che anche quest’anno si sono aggiunti nuovi Autori, e non solo italiani: Frederick Charles
Schneid, con un interessante saggio sulle condizioni e le operazioni della
Marina sarda durante la seconda Guerra d’Indipendenza nel 1859, Mikko
Huhtamies, con uno scritto sugli Ufficiali svedesi delle galere nel Mediterraneo del XVIII secolo, Valeria Isacchini, che ha scritto un articolo sull’episodio dell’eccidio dei marinai dell’Ettore Fieramosca durante la colonizzazione italiana dell’Eritrea, ed infine Angelo Savoretti, già vincitore alcuni anni
or sono di un premio al Concorso nazionale per Tesi di Laurea sulla Marina
militare, con un saggio che descrive la Marina mercantile italiana durante il
Ventennio fascista.
Per quanto riguarda la sezione Archivio è proseguito il lavoro di riordino del fondo Marisegrege del quale, terminata la schedatura delle ultime serie Bilancio e Demanio, si avvieranno nel 2014 le prime fasi dell’editing.
Per quanto attiene la sezione Editoria, la perdurante carenza di risorse
per la stampa dei libri ha consentito la realizzazione di un solo volume, pe-
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raltro di particolare pregio: Tra memoria e futuro. Il centenario dell’Ufficio
Storico della Marina Militare, Autrice la Dottoressa Ersilia Graziani, storica
collaboratrice dell’Ufficio e profonda conoscitrice del suo Archivio. Il volume rappresenta un doveroso riconoscimento alla storia centenaria dell’Ufficio, custode istituzionale della memoria e delle tradizioni della Marina, raccontata in particolare attraverso immagini, in gran parte inedite, che fanno
parte del patrimonio iconografico presente nella fototeca dell’Archivio. Ulteriori impegni editoriali, attualmente in corso di realizzazione con risorse
interne, sono la stampa della 5a edizione riveduta e corretta dei Mezzi d’assalto nella seconda guerra mondiale, di Carlo De Risio, e del volume Eliso
Porta, La mia guerra fra i codici ed altri scritti, scritto dalla figlia, Dottoressa
Umberta Porta, che prosegue il filone della Storia della Marina raccontata
in prima persona dai suoi protagonisti.
Per quanto attiene infine alle manifestazioni, il principale evento cui ha
partecipato l’Ufficio, e da esso direttamente curato ed organizzato, è stato
sicuramente la celebrazione del Centenario della costituzione dell’Ufficio
Storico. Tale evento si è sostanziato in due avvenimenti principali: una mostra documentaria nel Settore Marina del Sacrario delle Bandiere delle Forze
Armate al Vittoriano, durante la quale sono stati esposti dal 16 al 29 settembre alcuni documenti particolarmente significativi conservati nell’Archivio Storico e di cui è in corso la stampa del catalogo, ed una Giornata di
studi incentrata sull’Ufficio, che ha avuto luogo il 25 settembre presso il
Circolo Sottufficiali della Marina di Roma, nel corso della quale sono state
effettuate presentazioni sulla realtà dell’Ufficio Storico e sui rapporti da esso
intrattenuti con i corrispondenti Uffici delle altre Forze Armate e Corpi Armati dello Stato.
Le altre manifestazioni cui ha partecipato l’Ufficio, poi, sono state: il
XXXIX Congresso Internazionale di Storia Militare, tenutosi a Torino, dal
1° al 6 settembre, nel quale il Capo Ufficio Storico ha tenuto due relazioni:
una dal titolo L’Archivio Storico della Marina militare italiana, ed una dal titolo L’Operazione “United Shield” e il 26° Gruppo Navale italiano, e il convegno su Gabriele D’Annunzio soldato, che si è tenuto a Pescara il 27 settembre, nel corso del quale il Capo Ufficio Storico ha esposto una relazione
su Gabriele D’Annunzio combattente al servizio della Marina.
L’Ufficio Storico ha poi partecipato allo Yacht Med Festival, a Gaeta, dal
20 al 28 aprile, al Salone internazionale del libro, a Torino, dal 16 al 20 maggio, e infine alle manifestazioni di contorno della Barcolana, a Trieste, dal 5
8
al 13 ottobre, del Centenario dell’Aviazione di Marina, a Roma, dal 20 al 27
ottobre, ed alla Mostra espositiva della Forza Armata, sempre a Roma, dal 16
al 24 novembre.
Desidero esprimere un ringraziamento agli Autori per i sempre eccellenti saggi forniti, nonché ai Collaboratori per il consueto, esemplare livello
al quale hanno saputo mantenere il nostro Bollettino d’Archivio.
A essi e a tutti i nostri fedeli Lettori, che con la loro stima e le costanti
espressioni di stimolo e di apprezzamento hanno incoraggiato il nostro lavoro, auguro un sereno e felice anno 2014.
Il Direttore
Con il mese di dicembre 2013 si conclude la mia esperienza di Capo
dell’Ufficio Storico della Marina e Direttore Responsabile del Bollettino
d’Archivio. Un’avventura unica, di grande spessore umano e professionale,
che nel corso di questi sei anni mi ha consentito di approfondire la conoscenza della Marina e di concorrere a diffondere la cultura storica militare
navale e marittima.
Mi sia permesso, in tale occasione, di ringraziare tutti coloro che con il
loro continuo supporto ed incoraggiamento mi sono stati vicino nell’espletamento di questo compito: dai Collaboratori, interni ed esterni, dell’Ufficio, agli Autori ai Lettori.
Al capitano di vascello del Genio Navale Giosuè Allegrini, che mi sostituisce nell’incarico, i migliori auguri di buon lavoro.
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Purtroppo anche all’ultimo dobbiamo annunciare la scomparsa di una persona che ha legato il proprio nome in maniera indissolubile alla Storia Navale in generale e a quella della Marina italiana in particolare, il professor
Alberto Santoni, stimatissimo collaboratore dell’Ufficio Storico. Ci pare la
maniera migliore per rendergli omaggio pubblicare di seguito un ricordo
personale del professor Mariano Gabriele.
“Avevo da poco l’incarico di Storia e Politica Navale all’università di Scienze
Politiche a Roma, quando trovai ad aspettarmi, nel giorno dedicato alle tesi, un giovane educato e gentile, che mi mostrò le ricerche già da lui compiute sulla guerra russo-giapponese del 1904-1905 e mi propose una tesi
sulla battaglia di Tsushima come punto d’arrivo di un processo politico e
militare che avrebbe avuto conseguenze di lungo periodo. L’esperienza ebbe
grande successo poiché il testo finale, premiato dal massimo in sede di discussione, rivelava già una vocazione alla storia e un amore per quella navale
che chiamavano a un destino di vita.
Solo dopo diversi anni Alberto Santoni riprese quel tema (La battaglia
di Tsushima, Roma, Ateneo, 1985), cui peraltro già prima, nella sua Storia
generale della guerra in Asia e nel Pacifico (1937-1945), aveva riconosciuto
una premessa importante di successivi eventi politici e militari, come pure
di eredità strategiche. Nel frattempo si occupò, insieme a Francesco Mattesini, della Partecipazione tedesca alla guerra aeronavale nel Mediterraneo
(1940-1945) e scovò negli archivi dell’Ammiragliato londinese le decrittazioni navali che l’apparato informativo britannico aveva fornito alle forze
combattenti. Poiché negli anni ’80 del sec. XX non si era ancora spenta l’eco delle accuse di tradimento lanciate contro la Regia Marina, parve titolo
idoneo Il vero traditore: il ruolo documentato di ULTRA nella guerra del Mediterraneo (Milano, Mursia, 1981), idoneo – come scrissi nella prefazione –
proprio per far giustizia di alcune turpi insinuazioni del passato. Altre opere
riguardano la storia generale navale da Lepanto ai giorni nostri (5 volumi);
decrittazioni britanniche di trasmissioni navali tedesche durante la prima e
la seconda guerra mondiale – in quest’ultimo caso utilizzate per la caccia ai
corsari – come pure quelle della Marina italiana durante la guerra civile
spagnola (3 volumi), e infine aspetti operativi di particolari vicende belliche
durante il conflitto 1940-1943 (2 volumi). Ma per conoscere veramente il
11
contributo dell’Autore alla storia navale, oltre alle 14 opere (per 17 volumi)
ricordate, occorre fermarsi sui saggi e gli articoli – più di 100 – che la Società Italiana di Storia Militare, di cui Santoni era vice-presidente, ha raccolto con lodevole e certosina precisione. Dal lunghissimo elenco emergono naturalmente, come più frequenti, lavori dedicati a guerre e ad episodi
bellici fra il XVIII e il XX secolo come pure alla tecnica (navi, armi, equipaggiamenti, eserciti, flotte). Anche questo Bollettino lo ha avuto tra i suoi
collaboratori, pubblicandone tra il settembre 1989 e il settembre 2004 dodici saggi su questioni strategiche, battaglie, ecc., spesso corredati da documenti inediti.
Alberto Santoni era stato nominato tenente di vascello ad honorem per
meriti storici – è stato poi anche consulente storico dello S.M. della Marina
– e per lunghi anni è stato titolare nell’Università di Pisa della cattedra di
Storia Militare e docente di Storia Navale nell’Accademia di Livorno, oltre
che membro della Commissione Italiana di Storia Militare e del Comitato
Consultivo dell’Ufficio Storico della Marina. Aveva partecipato a più di 80
Congressi nazionali e internazionali ed era molto stimato all’estero, dove
varie sue opere erano state tradotte. Quando, insieme ad Elena Aga Rossi e
ad altri, andammo a Londra per incontrarvi una delegazione di Oxford e
discutere della guerra passata, la considerazione dei colleghi stranieri per
Alberto si toccava con mano.
Mi si consenta ancora un ultimo ricordo personale. Nella fredda chiesa
di Santa Maria del Carmine, durante i funerali di Alberto (che si è spento
nella notte di Natale), ho chiuso per un momento gli occhi e ho rivisto il
ragazzo che amava le navi e le faceva amare, l’assistente che portava a Napoli gli studenti per vedere la portaerei Coral Sea; e ho rivisto il ricercatore
scrupoloso, il professore che gli studenti cercavano perché si rendevano
conto che era votato alla conoscenza della verità con coscienza catara; l’amico che si era commosso a Plymouth davanti alla nave di Nelson, che si era
interessato a Greenwich alle snelle fiancate del Cutty Sark non ancora combusto, che aveva condotto una sorta di pellegrinaggio fino a Yokosuka per
vedere la Mikasa, nave ammiraglia di Togo”.
Mariano Gabriele
12
SAGGI
LA PARTECIPAZIONE DELLA MARINA ITALIANA
ALL’INVASIONE DI CRETA
NEI DOCUMENTI TEDESCHI
(MAGGIO 1941)
AUGUSTO DE TORO
La partecipazione della Regia Marina all’operazione “Merkur”, l’invasione
tedesca di Creta nell’ultima decade del maggio 1941, è essenzialmente conosciuta per i mancati sbarchi via mare culminati nelle valorose azioni delle
torpediniere Lupo e Sagittario; lo è un po’ meno per lo sbarco, tutto italiano, nel settore orientale dell’isola, a Sitia, il 28 maggio; ancora meno sul
mancato concorso della Squadra navale italiana a sostegno diretto o indiretto delle operazioni aeree e navali condotte dalle altre forze dell’Asse. Sotto
altro aspetto, in Italia il ruolo stesso della Regia Marina all’operazione Merkur, che vide impegnate le proprie forze navali schierate in Egeo, in parte
alle dipendenze del comandante navale tedesco in quel settore – l’Admiral
Suedost (Ammiraglio Sud Est), amm. Karl Georg Schuster – è, per lo più,
noto dalla prospettiva italiana, poco, però, da quella tedesca.
L’autore di queste pagine si è cimentato in passato sugli assetti navali in
Grecia e in Egeo, derivati dell’intervento tedesco nell’aprile 1941, sulla genesi dell’occupazione tedesca di Creta e sulla diversa valenza strategica attribuitale da Hitler e dall’alto comando navale germanico, la Seekriegsleitung
(Skl), e sugli sviluppi del ruolo assunto da Creta sotto il profilo politico negli anni a seguire nel quadro delle relazioni italo-tedesche.(1) Qui eviterà di
(1) Si veda, anche per i fondamentali rimandi documentari e bibliografici, A. de
Toro, “Supermarina, la Seekriegsleitung e i Balcani nella primavera 1941”, RID-Rivista
Italiana Difesa, novembre 1992, p. 86-97, e dello stesso autore “Il ‘promemoria di Creta’ (28 luglio 1942). Le aspirazioni della Seekriegsleitung sull’Egeo e sul Mediterraneo
15
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
tornare su argomenti già affrontati e, tanto meno, si asterrà dall’illustrare
l’attività della Marina italiana nell’ambito dell’operazione Merkur, ma si
propone di condurre l’attenzione su una serie di documenti, che integrano e
precisano il quadro di conoscenze di parte italiana, testimoniando come sia
stata vista e valutata dalla Kriegsmarine l’opera della Marina alleata e quali
fossero le proprie visioni nella condotta delle operazioni navali – perché al
suo interno ve ne furono più d’una – in quello specifico contesto.
Il punto di vista della Skl sulla praticabilità di sbarchi dal mare, e il giudizio sull’azione delle torpediniere italiane
Nella versione finale il piano tedesco per l’invasione di Creta – il cui comando Hitler affidò al comandante in capo della Luftwaffe (Oberbefehlshaber der Luftwaffe, Ob.d.L.), maresciallo del Reich Hermann Goering, e
questi ne assegnò l’esecuzione al colonnello generale Alexander Loehr, comandante della 4a Flotta aerea – prevedeva che i paracadutisti della 7a Divisione dell’XI Corpo aereo occupassero nelle prime 36 ore dall’inizio dell’operazione (giorno X, infine fissato il 20 maggio 1941) le piste di atterraggio
di Iraklion (Candia), Maleme e Retimo sulla costa centrale e occidentale
della grande isola; quindi, una volta preso possesso di almeno una pista, vi
sarebbero affluiti reparti aviotrasportati della 5a Divisione di montagna, i
quali avrebbero dovuto prendere possesso di un porto o punti di approdo
nella zona corrispondente; dopo di che avrebbero preso avvio gli sbarchi via
mare di altri reparti ancora dell’Esercito, principalmente Cacciatori delle
Alpi, con armi ed equipaggiamenti pesanti, quali artiglieria, autocarri e carri
armati leggeri. In questo il compito della Kriegsmarine, praticamente priva
di proprio naviglio da guerra, sarebbe consistito, oltre che nell’organizzare e
assicurare tutti i rifornimenti via mare necessari all’intera operazione, anche
nell’apprestamento ed esecuzione delle missioni di sbarco a supporto delle
forze sbarcate dall’aria.
Le tre fasi avrebbero dovuto realizzarsi già entro la giornata del 20 per il
settore di Maleme, ed entro il 22 per gli altri settori.(2)
orientale durante e dopo la vittoriosa conclusione della guerra”, Bollettino d’Archivio
dell’Ufficio Storico della Marina Militare, marzo 2006, p. 13-60.
(2) Per memoria si rammenta che l’ordine d’operazioni n. 1 del 17 maggio 1941
dell’Admiral Sued-Ost (Ammiraglio Sud-Est), amm. Karl Georg Schuster, prevedeva
16
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Sull’organizzazione dei convogli e su quanto ne seguì si avrà modo di
ritornare. Qui serve ricordare che prima dell’inizio dell’intera operazione la
Skl aveva manifestato al Comando superiore della Wehrmacht (Oberkommando der Wehrmacht, OKW) e al comandante in capo della Luftwaffe, i
propri dubbi circa la possibilità di eseguire trasporti via mare, specie se eseguiti con naviglio lento, a sostegno delle operazioni di aviosbarco, senza che
la Luftwaffe avesse prioritariamente conseguito il dominio sulle acque a
l’esecuzione delle seguenti operazioni:
a) agguato di due sommergibili in ciascuno dei due passi d’accesso a Est e a Ovest di
Creta, ma senza ingresso in Egeo;
b) agguato di M.A.S. nel Canale di Caso nei giorni X (inizio dell’operazione Merkur),
X+1 e X+2;
c) ricognizione aerea diurna nel Mediterraneo orientale;
d) missione di sbarco di 20 motovelieri scortati da una torpediniera da Milo a Maleme
nel giorno X;
e) missione di sbarco di 30 motovelieri scortati da una torpediniera da Milo a Maleme
nel giorno X+2;
f ) dragaggio della Baia di Suda da Milo ad opera di dragamine ausiliari scortati da una
torpediniera nel giorno X+2;
d) dragaggio degli accessi a Candia (Iraklion) ad opera di quattro dragamine ausiliari
scortati da una torpediniera nel giorno X+2.
AUSMM, fondo Supermarina. Scontri navali e operazioni di guerra, b. 32, Operazione
“Mercurio”. Occupazione di Creta – Maggio 1941, f. R. Torp. “Sagittario” – Scontro al
largo di Milos – 22 maggio 1941 XIX. “Ordine d’operazione n. 1 per l’impresa ‘Mercurio’ del 17 maggio 1941” dell’Ammiraglio Sud-Est.
Si rammenta anche che le operazioni che videro la partecipazione di forze navali italiane
nella fase cruciale dell’operazione Merkur fra il 20 e il 23 maggio 1941 furono:
a) i due falliti tentativi di sbarco di truppe tedesche su altrettanti convogli di piccoli
natanti guidati dalle torpediniere Lupo e Sagittario del 21 e del 22 maggio 1941, che
portarono ad altrettanti scontri con prevalenti forze navali britanniche;
b) l’agguato di due sommergibili, l’Onice e il Galatea, a Sud del Canale di Caso, che
non portò ad alcun avvistamento di forze navali nemiche;
c) l’agguato di M.A.S. (MAS 546, MAS 523, MAS 536, MAS 541 e MAS 520) nel Canale di Caso, che portò a un attacco infruttuoso a forze navali di superficie nemiche
nella notte sul 21 maggio;
d) il dragaggio delle zone di approdo a Suda e a Candia (Iraklion) da parte di altrettanti gruppi di dragamine, guidati ciascuno da due torpediniere (Alcione e Aldebaran) e
accompagnati da squadriglie M.A.S., da eseguirsi immediatamente prima dello sbarco via mare di truppe tedesche, il 21-22 maggio, ma non realizzato per la presenza
di forze navali britanniche a Nord di Creta e l’incerto andamento dei combattimenti
a terra;
17
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
nord di Creta e fosse in grado di esercitare un’efficace ricognizione sulle rotte di accesso a questa zona di mare. Essa si basò, infatti, sul presupposto,
poi rivelatosi esatto, che la Mediterranean Fleet si sarebbe impegnata a fondo con incrociatori e cacciatorpediniere per impedire qualsiasi sbarco navale. Fino a che, quindi, l’aviazione tedesca non avesse conseguito il controllo
di quelle acque, i trasporti dovevano essere circoscritti alla modalità aerea o,
se proprio necessario, all’impiego di naviglio leggero italiano (in pratica torpediniere), a condizioni, però, che vi fossero le possibilità di sbarco. Aveva
anche avvertito gli altri alti comandi che gli sbarchi dal mare con naviglio
lento avrebbero potuto essere condotti nell’osservanza di due precondizioni
e, cioè: che l’isola fosse stata occupata nei suoi punti salienti, e che le forze
navali britanniche fossero state cacciate dalla Luftwaffe e questa avesse assunto almeno transitoriamente la supremazia di quella zona di mare.(3)
Dunque, la prima sola di esse per la Skl non sarebbe stata sufficiente.
Alla fine della prima giornata nessuno dei tre obiettivi di lancio dei
paracadutisti era stato raggiunto, mentre le perdite di personale erano state
elevatissime; solo la pista di Maleme era stata occupata, anche qui a prezzo
di gravi perdite, ma continuava ad essere battuta dalle artiglierie britanniche
installate sulle sovrastanti alture. La criticità della situazione spinse il Comando della 4a Flotta aerea a rinunciare agli obiettivi di Iraklion e di Retimo e a concentrare gli sforzi su Maleme con aviosbarchi e sbarchi dal mare,
confidando che la supremazia aerea della Luftwaffe potesse tenere lontana la
Mediterranean Fleet. La mattina del 21 maggio l’Ammiraglio Sud-Est fu informato dall’XI Corpo aereo che un tratto di costa davanti Maleme era libero dal nemico, e l’ammiraglio Schuster, nonostante qualche personale esitazione, fu alfine convinto a tentare lo sbarco dal mare prima con il convoglio
guidato dalla torpediniera Lupo, al comando del cap. freg. Francesco Mimbelli, poi con il convoglio guidato dalla gemella Sagittario, al comando del
e) la missione di sbarco di truppe imbarcate sui cacciatorpediniere Francesco Crispi e
Quintino Sella e delle torpediniere Lince, Libra e Monzambano, il 22 maggio, interrotta per la presenza in mare di prevalenti forze navali britanniche.
Per un quadro d’insieme di parte italiana v. P.F. Lupinacci, La difesa del traffico con l’Albania, la Grecia e l’Egeo, Roma, USMM, 1965 (collana La Marina italiana nella seconda
guerra mondiale, vol. IX). Inoltre, nelle settimane immediatamente precedenti e occupate dai preparativi dell’operazione Merkur le forze navali italiane dipendenti dall’Ammiraglio Sud-Est furono intensamente impiegate nell’attività di protezione del traffico
in Egeo, incluso quello proveniente dai Dardanelli.
(3) Vedi appendici A, B e C.
18
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
capitano di fregata Giuseppe Cigala Fulgosi, avendo entrambi come punto
di riunione e partenza l’isola di Milo. Sia l’uno sia l’altro tentativo – è noto
– fallirono.
La Skl, nel commentare i fallimenti dei due primi tentativi di sbarco,
eseguiti con lenti motovelieri nella sera del 21 maggio e nella mattina del
22, quelli, cioè, rispettivamente, guidati e scortati dalle torpediniere Lupo e
Sagittario, non si stupì più di tanto; li giudicò evitabili e li attribuì all’errore
di averli condotti senza che si fossero verificate le condizioni preliminari. In
altre parole, si pronunciò negativamente sull’operato del Comando superiore dell’operazione, ma anche con disappunto nei confronti dell’Ammiraglio
Sud-Est, che aveva assentito alle di lui richieste anziché attenersi alla propria
istruzione di autorizzare la partenza dei convogli solo dopo che si fosse accertato che quelle acque fossero libere dalle forze navali nemiche, e ribadì il
concetto che la responsabilità dei trasporti via mare rimaneva in capo ad es-
Acque di Milo, 19 maggio 1941. La torpediniera Sirio è fotografata con un mototrabaccolo nella fase iniziale della missione di sbarco a Maleme. Di lì a poco il Sirio per avaria
a un’elica sarà sostituito dalla torpediniera Lupo, dopo che la torpediniera Monzambano
era a sua volta saltata su una mina greca davanti al Pireo. La Skl fu da subito assai scettica sull’organizzazione di queste operazioni di sbarco, eseguite con mezzi lentissimi e di
scarsa efficienza, senza la piena certezza dell’assenza di reparti navali britannici nelle acque a nord di Creta. (Coll. P. Schenk)
19
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
so, pur dovendo questo sentire il Comando della 4a Flotta aerea. Peraltro,
come si può rilevare dalla lettura del rapporto dell’Ammiraglio Sud-Est sull’azione condotta dalle due torpediniere italiane del 23 maggio, qui pubblicato all’appendice D, anche Schuster, come il Comando della 4a Flotta aerea, era pervenuto sin da questa data alla medesima conclusione.
Viste le cose a posteriori, non v’è dubbio che i fatti davano ragione alla
Tirpitz Ufer (sede a Berlino della Skl). Ma non si vede come, nel frangente
in cui il margine fra riuscita e fallimento dell’intera operazione era sottilissimo, l’ammiraglio Schuster avrebbe potuto responsabilmente sottrarsi alle richieste del Comando della 4a Flotta aerea. Del resto, in tutto il conflitto la
stessa Skl non si dimostrò restia a richiedere l’assunzione di rischi alle proprie armi e a quelle italiane di fronte a situazioni altrettanto critiche e, strategicamente, meno importanti.
La nave da battaglia britannica Valiant e, in secondo piano, l’incrociatore leggero australiano Perth a Suda nel febbraio 1941. Qualche mese dopo le due unità furono intensamente impiegate nella battaglia di Creta, la prima con la Forza A ad occidente dell’isola
in copertura contro un’eventuale sortita della flotta italiana, la seconda con la Forza B a
contrasto delle operazioni di sbarco dal mare a nord dell’isola, che nelle previsioni britanniche avrebbero costituito la principale forma d’invasione. Il mattino del 22 maggio
il Perth fu una delle unità britanniche maggiormente impegnate dalla torpediniera Sagittario in difesa del secondo convoglio per Maleme. (Coll. A. de Toro)
20
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Nessun addebito l’alto comando navale germanico mosse, invece, all’operato delle due torpediniere italiane, di cui rilevò il grande coraggio e il
senso di responsabilità dei comandanti. Va detto che il positivo apprezzamento cadeva quasi contestualmente al verificarsi degli eventi, quando,
cioè, l’entità delle perdite dei due convogli, specie del primo, appariva superiore a quella poi accertata con precisione. Si tratta – va aggiunto – di uno
dei rari casi in tutto il conflitto nel Mediterraneo in cui l’alto comando navale tedesco in presenza d’insuccessi o d’incompleti o mancati successi non
ne imputò la prima responsabilità alle armi italiane. Sul positivo giudizio
può avere influito anche il fatto che le due torpediniere agivano sotto il comando dell’Ammiraglio Sud-Est, vale a dire in quella organizzazione di comando navale in Egeo che essa aveva perseguito e raggiunto in Egeo al termine della campagna di Grecia (aprile-maggio 1941) e che in varia maniera
cercò di estendere, sia pure con scarsissimo successo, a tutta la condotta della guerra navale in Mediterraneo.
Le divergenti visioni strategiche fra l’Ammiraglio Sud-Est e la Skl dopo
l’operazione Merkur
Sono molte le considerazioni che si possono fare sul rapporto conclusivo
dell’Ammiraglio Sud-Est sulla parte avuta dalle forze navali al suo comando
durante l’operazione Merkur (appendice E). Il documento risale al 16 giugno 1941, quando l’operazione Merkur era da tempo conclusa. Da un punto di vista storico, due sono le considerazioni che sembrano imporsi rispetto
ad altre:
a) l’insufficienza e l’inadeguatezza di uomini e mezzi e la conseguente improvvisazione cui l’Ammiraglio Sud-Est dovette far ricorso per assolvere
ai compiti assegnati nelle poche settimane antecedenti l’avvio dell’operazione;
b) le sue conclusioni circa le prospettive operative nel settore dell’Egeo dopo la conquista dell’isola.
Circa il primo aspetto Schuster fu presto consapevole della gravità del
problema. Ma nonostante le tante e notevoli difficoltà tecniche e organizzative nonché le incertezze di ogni genere che dovette affrontare, non se la
sentì, di fronte all’acuta crisi in cui versavano le forze tedesche discese a
Creta nei primissimi giorni dell’invasione dall’aria, di sottrarsi alle sollecitazioni del Comando della 4a Flotta aerea, senza, perciò, tener conto delle
ammonizioni della Skl.
21
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
Prime fra queste difficoltà figuravano la lentezza e la disomogeneità del
naviglio, la carenza di personale preparato per la navigazione e l’inadeguatezza delle attrezzature marinaresche e del servizio comunicazioni in entrambi i convogli di motovelieri; fattori questi che concorsero non poco al
fallimento di entrambe le missioni. Tuttavia, va osservato che, a guerra conclusa, è raro leggere espressioni di compatimento, di ironia o di sarcasmo
sulla sproporzione fra mezzi e fini di una tale operazione, come di solito
viene riservato all’impreparazione e improvvisazione italiane, nella fattispecie riguardanti lo sbarco il 28 maggio a Sitia, nell’estremità orientale di Creta, altrettanto rischioso per le minacce in mare, ma infine riuscito grazie anche a un po’ di fortuna.
Quanto al secondo aspetto, va detto per precisione che la Skl dichiarò
appieno il proprio disappunto sulla visione espressa da Schuster circa i possibili sviluppi operativi nel settore dell’Egeo. Questa era stata manifestata
già precedentemente alla data del documento qui pubblicato in traduzione
e, cioè, il 23 maggio, quando la battaglia per Creta era al culmine e l’esito
incerto. In questo apprezzamento l’Ammiraglio Sud-Est sostenne, simil-
I cacciatorpediniere britannici Isis, in primo piano, e Janus, sullo sfondo, qui fotografati
nella prima metà del giugno 1941 nelle acque siriane durante l’invasione anglo-gollista
di quella colonia francese. Poche settimane prima entrambi erano stati impegnati nelle
acque di Creta, dove, come temuto dalla Skl, la Mediterranean Fleet non badò a perdite
pur di assicurarsi il massimo controllo delle stesse. (Coll. R. Pellegrino)
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
mente a quanto poi fatto a campagna conclusa, che i principali compiti, da
perseguirsi in concorso con l’alleato italiano, consistessero nella costituzione
e difesa delle linee di rifornimento e di traffico in Egeo e fra il Mar Nero e i
Dardanelli nonché nella difesa del traffico lungo le coste greche dalle insidie
portate dall’aviazione, dai sommergibili e dalle azioni di sabotaggio britanniche. E a tal scopo egli auspicava l’adozione di una serie di misure così riassumibili:
- mantenimento nel settore dell’attuale consistenza delle forze navali italiane;
- costituzione di reparti di naviglio ausiliario tedesco (Sicherungsflottille,
“flottiglie di sicurezza”);
- dislocazione di reparti aerei per la ricognizione e la vigilanza delle linee di
traffico;
- costituzione di difese costiere con batterie e sbarramenti di mine, incentrate sul Pireo, su Suda, su Lemno e su Salonicco;
- rapida installazione di un servizio di comunicazioni lungo le coste per la
loro sorveglianza nonché per quella del traffico marittimo;
- disponibilità di un adeguato tonnellaggio di naviglio mercantile.(4)
La Skl, appena ricevuto il documento, criticò con severità le vedute di
Schuster con argomenti che si riportano testualmente, in quanto riassumono bene il pensiero riguardo alla funzione strategica che essa assegnava alla
conquista di Creta.
La Skl deplora che l’Ammiraglio Sud-Est nel suo apprezzamento della situazione non veda proprio altro che compiti difensivi, i quali, per di più,
rientrano in gran parte in quelli del Comando Marina [tedesca, n.d.t.]
Grecia, e che non riconosca i grandi compiti offensivi che si prefigurano nel
verso di minacciare e di arrecare costantemente danno al nemico nel Mediterraneo orientale.
L’occupazione di Creta è di decisiva importanza per la condotta della guerra nel Mediterraneo orientale, offrendo la possibilità di esercitare dal settore
dell’Egeo una fortissima influenza sugli eventi in quello scacchiere. Il compito principale risiede, dunque, nella riunione e nell’impiego di tutte le for(4) Kriegstagebuch der Seekriegsleitung/Operationsabteilung 1939-1945, parte A,
(KTB 1.Skl, A), Herford-Bonn-Berlin, Mittler&Sohn, 1988 ss., vol. 21: Mai 1941,
23.05.1941, p. 354 sg. Le conclusioni della relazione di Schuster contestata dalla Skl
sono molto simili a quelle del documento di pari data di Schuster qui pubblicato all’appendice D.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
ze disponibili per sfruttare nella massima misura possibile la nuova situazione strategica che ne è derivata. Il predominio del Mediterraneo orientale,
l’eliminazione di qualsivoglia minaccia all’Egeo e al Nord Africa da parte
delle forze navali britanniche, fino all’espulsione degli inglesi dal Mediterraneo sono gli obiettivi strategici da perseguire.
Questi obiettivi possono essere raggiunti solo se si indirizzano e si impiegano
all’unisono le nostre forze, quelle della Luftwaffe e dell’alleato italiano. Pertanto, lo sforzo dell’Ammiraglio Sud-Est deve essere quello di influire sulla
condotta della guerra marittima entro questa logica e di impiegare le forze
messe a sua disposizione – invero, purtroppo, deboli – in questa direzione.
I compiti difensivi rappresentati nell’apprezzamento della situazione dell’Ammiraglio Sud-Est, a giudizio della Skl, trovano contestualmente la migliore soluzione svolgendo il compito principale che è stato indicato.(5)
Il documento pubblicato all’appendice E dimostra come, anche dopo il
richiamo della Tirpitz Ufer, l’Ammiraglio Sud-Est non abbia cambiato opinione. A ben vedere, la visione da lui espressa sulla guerra in Egeo, durante e
subito dopo la conclusione dell’operazione Merkur, si collocava nel solco
delle finalità che Hitler vi aveva assegnato e, cioè, di baluardo e messa in sicurezza da Sud della regione balcanica in vista dell’imminente campagna
contro l’Unione Sovietica. Al contrario, per l’alto comando navale germanico l’occupazione della grande isola costituiva l’occasione per l’estremo tentativo di far valere la propria strategia mediterranea in alternativa alla guerra ad
Est e, se questo – come ben sapeva – non era possibile, di sfruttare al massimo il successo ottenuto con l’occupazione di Creta per colpire e tenere in
scacco i britannici nel Mediterraneo orientale, in attesa che vi si riprendesse
un’offensiva in grande stile dopo la conclusione della guerra a Oriente.(6)
La mancata partecipazione della Squadra Navale all’invasione di Creta
Quando, il 1° maggio 1941, il capo dello stato maggiore di collegamento
della Marina germanica presso lo stato maggiore della Regia Marina (Verbindungsstab beim Admiralstab der koeniglichen italienischen Marine),
(5) Naturalmente la Skl trasmise il suo punto di vista riportato sul proprio diario
anche all’Ammiraglio Sud-Est. Ibid., p. 355 sg.
(6) L’argomento è stato affrontato dall’autore nel saggio “Supermarina …”, cit.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
c.amm. Eberhard Weichold, comunicò a questo l’imminente invasione di
Creta, nel sottoporgli l’argomento della partecipazione della Marina italiana
all’operazione dichiarò che l’entità delle forze navali in Egeo appariva, al
momento, sufficiente, posto che la Luftwaffe avrebbe garantito dall’aria il
dominio di quelle acque.(7) Le forze navali in Egeo – serve ancora ricordare
– erano quelle che rientravano nei recenti accordi fra le Marine dell’Asse dell’aprile 1941 per quel settore, e che dipendevano dall’Ammiraglio Sud-Est.
In effetti, sin dalla fase preparatoria dell’operazione Merkur la Skl non
fece affidamento su un diretto concorso della flotta italiana a copertura degli sbarchi dal mare, pur essendo certa dell’attività d’interdizione della Mediterranean Fleet. Su questa rinuncia pesò non poco la recente esperienza
dell’operazione Gaudo e del tragico epilogo di Capo Matapan alla fine del
marzo 1941, di cui la Skl sentì di portare la responsabilità morale, avendo
fortemente insistito per una sortita offensiva della flotta italiana nel Mediterraneo orientale contro il traffico nemico fra l’Egitto e la Grecia.(8) A metà
maggio 1941 la Skl chiese a Supermarina attraverso Weichold solo informazioni su come la Marina italiana si sarebbe regolata in una tale circostanza.
La risposta del Lungotevere delle Navi si conosce solo attraverso quanto
riferito da Weichold alla Tirpitz Ufer, non essendo stata rintracciata la documentazione di prima mano; ma non v’è ragione di dubitare sui contenuti, anche per quanto si dirà appena oltre. La presa di posizione del Lungotevere delle Navi (sede dello stato maggiore della Regia Marina e di Supermarina a Roma) fu del seguente tenore:
1. oltre alle forze navali già poste al comando dell’Ammiraglio Sud-Est, venivano messe a disposizione di esso tutte le forze pronte dell’Egeo (presumibilmente due cacciatorpediniere, tre-quattro torpediniere, alcuni
(7) Comunicazione del capo dello stato maggiore di collegamento della Marina
germanica presso lo stato maggiore della Regia Marina (Verbindungsstab beim Admiralstab der koeniglichen italienischen Marine), c.amm. Eberhard Weichold,
01.05.1941, AUSMM, fondo Supermarina. Scontri …, cit., b. 32, cit., f. R. Torp. “Sagittario” …, cit.
(8) Sugli apprezzamenti e sul senso di colpa della Skl per quanto accaduto a Capo
Matapan cfr. A. de Toro, “Il convegno di Merano nelle relazioni navali italo-germaniche, RID-Rivista Italiana Difesa, maggio 1992, p. 88-97, qui p. 97. Sul medesimo argomento v. pure W. Baum, E. Weichold, Der Krieg der Achsenmaechten im Mittelmeerraum. Die Strategie der Diktatoren, Goettingen-Zuehrich-Frankfurt, Musterschmidt,
1973, p. 154 sg. Agli effetti psicologici prodotti dai fatti di Matapan gli autori aggiungono la scarsa propensione al rischio della Marina italiana.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
M.A.S., tre-quattro sommergibili);
2. non sarebbe stato possibile l’impiego delle forze navali italiane fuori delle acque metropolitane, poiché escluso il naviglio silurante indispensabile per le correnti necessità di scorta al traffico con la Libia, altro al momento non era disponibile, e la sospensione di questo traffico non era
per il momento sostenibile, avuto riguardo alla situazione in Nord Africa;
3. Supermarina non aveva alcuna conoscenza dei piani operativi dell’Ammiraglio Sud-Est;
4. a giudizio di Supermarina, il nemico sarebbe venuto tempestivamente a
conoscenza dell’eventuale partenza delle forze navali italiane, con la conseguente immediata uscita in mare della Mediterranean Fleet, e reputava
che la cosa non fosse nell’interesse di una rapida e risolutiva esecuzione
dell’operazione Merkur.(9)
Ma in quei giorni non fu solo la Tirpitz Ufer a sondare le intenzioni dei
vertici della Regia Marina. Lo fece anche lo stato maggiore generale italiano
(Stamage) in una direttiva del 14 maggio in cui fissava i compiti di massima
delle forze navali poste alle dirette dipendenze dell’Ammiraglio Sud-Est e
autorizzava l’intervento della flotta, “secondo le possibilità del momento”, nel
caso in cui la Mediterranean Fleet cooperasse alla difesa di Creta.(10) Si può
leggere la risposta del 17 maggio del capo di stato maggiore della Regia Marina, amm.sq. Arturo Riccardi all’appendice F. Riccardi, concludendo di
non poter intervenire con la Squadra navale; concorda, ma con argomentazioni meglio sviluppate, con la risposta già data a Weichold due giorni prima, e aggiunge di non poter assumere il rischio d’impegnarsi a fondo contro la flotta nemica per difendere i convogli ed evitarne la distruzione, poiché dopo una simile azione ne sarebbe uscita pregiudicata la futura condotta della guerra marittima e la possibilità di assicurare a sufficienza le comunicazioni con la Libia e con lo stesso Egeo. Non sarebbe stato, dunque, indispensabile che Supermarina conoscesse i piani dell’Ammiraglio Sud-Est
per comprendere che il nocciolo del problema risiedeva proprio nel proba-
(9) KTB 1.Skl, A, vol. 21, 15.05.1941, p. 216. Il piano d’operazioni dell’Ammiraglio Sud-Est fu noto al Lungotevere delle Navi (sede di Supermarina) al più tardi il 17
maggio 1941, v. nota 2.
(10) Il sottocapo di stato maggiore generale, gen. Alfredo Guzzoni, a Supermarina,
“Operazione “Mercurio” (Candia)”, 14.05.1941, AUSMM, fondo Supermarina. Scontri…, cit., b. 32, cit., f. R. Torp. “Sagittario” …, cit.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
La nave da battaglia Duilio in navigazione verso la metà del 1941. Supermarina non intese impiegare, né direttamente, né indirettamente, la Squadra navale a sostegno dell’operazione Merkur, nonostante il quasi assoluto dominio dell’aria da parte della Luftwaffe e
alcune sollecitazioni da parte dei comandi navali tedeschi e del Comando supremo. La rinuncia lasciò qualche malumore all’interno della stessa Marina italiana. (Coll. F. Bargoni)
bile scontro con la Mediterranean Fleet per la difesa dei convogli nelle acque a nord di Creta.
Il 19 maggio, vigilia dell’avvio dell’operazione Merkur, resosi conto che
non vi sarebbe stato alcun intervento diretto della flotta italiana nelle acque
di Creta, e preoccupato della minaccia rappresentata dalle forze navali britanniche, l’Ammiraglio Sud-Est chiese, sempre attraverso Weichold, un’azione diversiva della stessa, in modo da vincolare a ovest di Creta le forze
britanniche che erano state avvistate in mare, e allontanarle, così, dalle acque cretesi. Secondo quanto riferito da Weichold alla Skl, dal Lungotevere
delle Navi non pervenne risposta su possibili operazioni della Squadra navale concomitanti all’invasione di Creta.(11)
La Squadra navale non si mosse da Taranto, della qual cosa i tedeschi
non si sorpresero più di tanto. Ma va detto che la minaccia in potenza da
(11) KTB 1.Skl, A, vol. 21, 19.05.1941, p. 278.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
essa rappresentata indusse le forze pesanti della Mediterranean Fleet a intraprendere crociere di vigilanza e copertura a occidente di Creta, esponendole
a pesanti attacchi della Luftwaffe con gravi perdite in termini di naviglio affondato e danneggiato. Ciò nonostante, negli ambienti della Marina italiana il mancato intervento lasciò qualche amarezza, anche perché faceva di
poco seguito al mancato contrasto all’operazione britannica Tiger, con l’attraversamento da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio che le sole aeronautiche dell’Asse e forze navali insidiose non erano riuscite a contrastare
con sufficiente efficacia.
Nel dopoguerra l’ammiraglio Romeo Bernotti riconobbe l’effetto che la
flotta in potenza italiana ebbe sull’andamento delle operazioni, ma aggiunse
che l’atteggiamento di attesa aveva fatto perdere a questa “l’occasione unica
per affrontare la battaglia col vantaggio della scelta del momento e col concorso
indiretto (però di sicura efficacia) di una poderosa armata aerea” e che “la situazione in cui la flotta italiana avrebbe potuto impegnarsi sarebbe stata del
tutto diversa da quella dello sfortunato scontro di Matapan, essendo il nemico
obbligato ad agire nella zona in cui l’Asse aveva il dominio aereo assoluto.”
Inoltre, sotto il profilo strategico, per Bernotti “a queste circostanze vantaggiose si aggiungeva il fatto che l’andamento generale della guerra imponeva di
affrontare il nemico. Infatti la battaglia di Creta” – prosegue nel suo commento – “offriva prospettive ben più importanti del possesso territoriale dell’isola: il grosso della flotta italiana, se impegnato in correlazione con l’arma aerea
germanica avrebbe avuto la possibilità di infliggere alla flotta nemica un colpo
decisivo, tanto da decidere le sorti dell’assedio di Tobruk, delle comunicazioni
marittime con il Mar Nero [problema questo, comunque, subito risolto,
n.d.a.] e influire sul problema di Malta. Un successo sul mare avrebbe dimostrato, in conformità di quanto presumeva il grande ammiraglio Raeder, la necessità di continuare l’offensiva in Mediterraneo”.(12) Su quest’ultimo aspetto
si può rilevare che non dipendeva da Raeder la prosecuzione dell’offensiva
nel Mediterraneo orientale e che difficilmente Hitler si sarebbe fatto smuovere dai suoi convincimenti politici e strategici da un successo di più ampia
portata nelle acque di Creta.
Anche l’ammiraglio Angelo Iachino, all’epoca comandante in capo della
Squadra Navale, non nascose a guerra conclusa un certo rammarico per l’assenza di questa nella battaglia di Creta. E, se non ravvisava un intervento
(12) R. Bernotti, Storia della guerra nel Mediteraneo (1940-1943), Roma, Vito
Bianco, p. 175 sg.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
immediato delle stesse, si domandò in uno dei suoi libri di memorie “se negli ultimi giorni dell’evacuazione di Creta non sarebbe stato conveniente far intervenire il grosso della nostra Squadra, che ormai era diventato preponderante
di forze, e che poco aveva da temere dagli aerei nemici, dato il dominio del cielo
in mano tedesca”, e proseguì criticando l’atteggiamento assunto da Supermarina, che “non volle invece riprendere in esame l’apprezzamento della situazione che aveva fatto dieci giorni prima [si tratta sempre della lettera di Riccardi
a Stamage del 17 maggio, di cui all’allegato F, n.d.a.]”, lasciando le forze navali inattive a Taranto. “Il nostro morale” – concluse – “non fu certamente avvantaggiato, specialmente quando ci trovavamo a contatto con i colleghi della
Marina germanica, giustamente fieri dei successi della Luftwaffe a Creta”.(13)
I falliti sbarchi tedeschi a Creta e le azioni delle torpediniere italiane.
Lo sbarco italiano a Sitia
Le missioni di scorta delle torpediniere Lupo e Sagittario dei primi due convogli di motovelieri e le azioni a fuoco contro le preponderanti forze navali
britanniche sono estremamente note, e la documentazione tedesca non apporta significativi elementi di differenziazione rispetto a quella italiana sul
piano fattuale. Su quello, invece, della loro importanza nel contesto generale dell’operazione Merkur sì.
La grandiosità dello sbarco aereo, il primo nella storia in grande stile,
l’aspro confronto fra il potere aereo (la Luftwaffe e in misura molto minore
la Regia Aeronautica) e il potere marittimo (la Mediterranean Fleet), conclusosi con la vittoria della prima, e il fatto che le operazioni a terra siano
state, infine, decise dalle truppe tedesche aviotrasportate senza, in pratica,
alcun altro apporto, può portare legittimamente a concludere sulla marginalità delle operazioni di sbarco tentate dal mare. La documentazione che
qui si propone, ancorché non cospicua, dimostra invece che in sede di pianificazione e di sua attuazione da parte tedesca si diede molta importanza a
questo tipo di operazioni, che avrebbero dovuto integrare i lanci di paracadutisti e gli sbarchi aerei e consentire alle forze tedesche di combattere anche con armi e mezzi pesanti. Diversamente non si spiegherebbe l’insistenza
del Comando della 4a Flotta aerea di tentare le prime due missioni pro(13) A. Iachino, Operazione Mezzo Giugno. Episodi dell’ultima guerra sul mare, Milano, Mondadori, 1955, p. 165 sg.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
grammate, sebbene non vi fossero le premesse di eseguirle con un tasso di
rischio accettabile. Non vi è dubbio, infatti, che se le sorti della battaglia di
Creta rimasero per lungo tempo in bilico, ciò fu dovuto in buona misura alla mancanza degli attesi rinforzi dal mare e a una certa rassegnazione dei comandi britannici, che non seppero apprezzare fino in fondo lo stato di crisi
delle forze tedesche discese a terra protrattosi per più giorni.
Di entrambe le missioni l’Ammiraglio Sud-Est fece una relazione riassuntiva che qui si pubblica (appendice D). Porta la data del 23 maggio
1941 ed è, quindi, di pochissimo posteriore agli eventi di cui tratta, ed è addirittura coeva ai rapporti di missione dei capitani di fregata Herbert Devantier, imbarcato quale capo convoglio e comandante delle operazioni di
sbarco sul Lupo, rimanendo il comando militare e marinaresco in capo al
comandante di quest’ultima, il cap. freg. Francesco Mimbelli, e di Hans
von Lipinski, imbarcato con identiche funzioni sul Sagittario, al comando
da cap. freg. Giuseppe Cigala Fulgosi. La si è preferita a quelle dei due uffi-
La torpediniera Lupo, al comando del capitano di fregata Francesco Mimbelli, il 4 giugno 1941, di rientro a Taranto dopo la valorosa azione notturna che nella notte sul 22
maggio la vide da sola impegnata contro la Forza D in difesa del primo convoglio per
Maleme. L’azione riuscì a evitare la completa distruzione del convoglio, ma non il fallimento della missione. Visibili i segni di alcuni dei colpi ricevuti – in tutto 18 – fortunatamente con scarse conseguenze per la nave e per il suo personale. (Foto: A. Fraccaroli)
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Una bella immagine dell’incrociatore leggero britannico Ajax, qui alla fine di aprile 1941
in navigazione fra il Pireo e Suda. Fu una delle unità della Forza D che attaccò il convoglio difeso dal Lupo. (Coll. A. de Toro)
ciali tedeschi imbarcati sulle torpediniere perché più organica e sistematica
sotto il profilo narrativo, grazie anche al più alto punto di osservazione che
poteva avere l’Ammiraglio Sud-Est, il quale nella sua esposizione ha tenuto
anche conto delle relazioni verbali dei due ufficiali tedeschi imbarcati. Oltretutto, sotto il profilo della ricostruzione degli eventi questi ultimi non
aggiungono molto alla documentazione di fonte italiana sulle medesime
missioni.(14)
(14) Cap. freg. Herbert Devantier, “Berichtueber West-(Maleme) Staffel des Unternehmens ‘Merkur’ [Rapporto di missione del convoglio di ponente (Maleme) dell’operazione ‘Merkur’]”, 23.05.1941, Bundesarchiv-Militaerarchiv, RM 35, III/121: Merkur; Hans Lipinski, “Bericht ueber die Taetigkeitder Gruppe Heraklion in der Zeit vom
19.22.5.1941”, ibid. Quanto alle azioni delle torpediniere si veda da parte italiana: il
comandante del Lupo, cap. freg. Francesco Mimbelli, “Rapporto di missione della R^
Torp. ‘Lupo’”, AUSMM, fondo Supermarina. Scontri …, cit., b. 32, cit., f. R. Torp.
“Lupo”. Scontro al largo di Capo Spada (Creta) – Notte sul 22 maggio 1941-XIX; il
comandante del Sagittario, cap. freg. Giuseppe Cigala Fulgosi, “Rapporto di navigazio-
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
La torpediniera Sagittario, qui in Egeo nel 1941. Il mattino del 22 maggio, al comando
del capitano di fregata Giuseppe Cigala Fulgosi, fu protagonista dell’efficace difesa del
secondo convoglio per Maleme, integralmente salvato dall’attacco della Forza C anche
grazie all’incisivo intervento di reparti aerei della Luftwaffe, senza, però, che la missione
potesse essere portata a compimento. (Foto: A. Fraccaroli)
I rapporti di Devantier e von Lipinski, comunque, restano una fonte tedesca di prima mano a testimonianza:
- dell’improvvisazione, imputata alla carenza o inadeguatezza di mezzi,
personale e dotazioni nell’organizzazione dei due convogli;
- dell’osservazione, purtroppo solo illusoria, del siluramento di un incrociatore nemico da parte di entrambe le torpediniere italiane nei due distinti fatti d’arme che le videro protagoniste contro le più che prevalenti
forze nemiche;
- dell’ardimento e dell’efficacia dell’azione nel salvataggio – parziale nel caso del Lupo, quasi totale nel caso del Sagittario, ancorché soccorso dagli
attacchi dei reparti della Luftwaffe alle unità britanniche – dei due convogli di motovelieri.
ne della R^ Torp. ‘Sagittario’ relativo alla missione svolta nei giorni 20-21-22 maggio
1941.XIX”, AUSMM, fondo Supermarina. Scontri …, cit., b. 32, cit., f. R. Torp. “Sagittario” …, cit.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Su quest’ultimo punto, così si espresse testualmente nel suo rapporto
Devantier, imbarcato sul Lupo:
La collaborazione sulle due torpediniere italiane con i comandanti, gli ufficiali e gli equipaggi è stata ottima.
Il supporto fu dato sotto ogni riguardo con spirito cameratesco.
Il capitano di fregata Mimbelli con il suo pronto e risoluto attacco e il siluro messo a segno ha agito in modo egregio.
Per questo motivo una consistente parte delle forze nemiche fu trattenuta
dal condurre altri attacchi al convoglio per effetto dell’azione di copertura
ovvero della caccia al “Lupo”. Di conseguenza ho potuto ricondurre a Milo
la maggior parte del naviglio.
Propongo rispettosamente il conferimento della Croce di Ferro di I classe al
capitano di fregata Mimbelli e ai suoi ufficiali – quanto meno all’ufficiale
alle armi subacquee, all’ufficiale di rotta, al Capo servizio GN – il conferimento della Croce di Ferro di II classe.
Più succintamente riferì nel proprio rapporto Lipinski, testimone dell’azione dal Sagittario:
Il Comandante della torpediniera “Sagittario”, c.c. [rectius c.f.] Giuseppe
Cigala Fulgosi, con il suo comportamento ha impedito, a mio giudizio, un
attacco degli inglesi, che poco prima avevano incendiato l’ “S 109” del
gruppo di Maleme e che, addirittura, avevano aperto il fuoco con mitragliere sui battelli pneumatici, e successivamente ha salvato la vita a molti
soldati tedeschi. Lo propongo per la concessione di un adeguato riconoscimento.
Alla fine, però, il grande ammiraglio Erich Raeder, comandante in capo
della Kriegsmarine, concesse loro [formalmente l’atto di concessione era del
Fuehrer] solo la Croce di Ferro di II classe, mentre da parte italiana entrambi i comandanti furono decorati con la Medaglia d’Oro al Valore Militare.
Infine è altrettanto utile rilevare che né in questi, né in altri successivi
documenti o pubblicazioni di parte tedesca, che si siano occupati delle due
azioni, è dato scorgere un differente apprezzamento sulla condotta di Mimbelli e su quella di Cigala Fulgosi. Pare, dunque, essere questa una disputa
tutta italiana – in vero, più parlata che scritta – basata sul fatto che il primo
avrebbe perso dieci unità del proprio convoglio, mentre il secondo nessuna,
e che il primo si sarebbe prioritariamente preoccupato di attaccare le navi
nemiche, mentre il secondo si sarebbe prima occupato di occultare il convo33
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
glio mediante la distensione di una cortina di fumo.(15) Dalla relazione riassuntiva dell’Ammiraglio Sud-Est (appendice D) si apprende che von Lipinski avesse particolarmente apprezzato la manovra eseguita da Cigala Fulgosi,
cosa di cui, però, non si ha riscontro nel rapporto scritto di von Lipinski,
ma resta nell’insieme la constatazione che per gli osservatori e i comandi tedeschi, solitamente piuttosto critici verso le Armi dell’alleato italiano, l’opera svolta dalle due torpediniere non avrebbe potuto essere più fruttuosa in
entrambe le circostanze.
Il fallimento dei primi e più importanti tentativi di sbarco dal mare
portò alla sospensione delle altre analoghe missioni già programmate, che,
fra l’altro, avrebbero dovuto portare sull’isola ben 83 carri armati. Tuttavia,
sotto la pressione degli eventi a terra, dove i reparti discesi dall’aria combattevano senza armi e mezzi pesanti, Schuster organizzò il 25 maggio il trasporto per mare di almeno due carri armati leggeri, tipo Panzer II, imbarcati su una bettolina di legno trainata da un rimorchiatore, dal Pireo a Castelli, nell’omonimo golfo, quasi all’estremità occidentale di Creta. La piccola e
isolata missione, questa volta tutta tedesca e con solo una modesta copertura aerea, riuscì, e il 27 maggio il minuscolo convoglio prese terra indisturbato nella prescelta località. Un’analoga missione fu reiterata fra il 28 e il 29
maggio, sempre con destinazione Castelli e con pari successo. In quest’ultimo caso, però, i carri sbarcati non fecero in tempo a intervenire nei combattimenti, essendo, ormai, la lotta a terra decisa a favore delle armi tedesche.(16)
Fra queste due missioni e, quindi, in un frangente considerato ancora
critico agli occhi del comando superiore tedesco, si colloca temporalmente
lo sbarco italiano a Sitia, all’estremità nord-orientale dell’isola.
Il 26 maggio l’OKW, su sollecitazione dello stesso Goering, il quale alla
vigilia dell’operazione Merkur aveva rifiutato l’aiuto italiano all’invasione di
Creta offerto da Mussolini, formulò la “pressante” richiesta dell’invio di un
(15) Finora solo Alberto Santoni, in un recente scritto, ha messo nella giusta luce
la scarsa utilità di tali raffronti; valutazione su cui si concorda, tenuto anche conto della
diversità di situazioni tattiche e di luce dei due fatti d’arme. A. Santoni, “Egeo, maggio
1941”, Storia Militare, novembre 2011, 53-64, qui p. 57.
(16) Su queste due missioni v. R. Kugler, Das Landungswesen in Deutschland seit
1900, Berlin, Oberbaum, 1989, p. 140 ss. nonché, anche per le splendide e rare immagini della prima delle due missioni, P. Schenk, Kampfum die Aegaeis, Hamburg-BerlinBonn, Mittler&Sohn, 2000, p. 25 e 26.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Il cacciatorpediniere Francesco Crispi in Egeo nel 1941. Fu sede del capitano di vascello
Aldo Cocchia, Comandante in mare dell’operazione di sbarco italiana a Sitia il 28 maggio 1941. L’operazione era stata richiesta due giorni prima dall’OKW al Comando supremo per le perduranti difficoltà nella battaglia di Creta. (Foto: A. Fraccaroli)
contingente di truppe italiane nel settore orientale dell’isola, allo scopo di
alleggerire la pressione sulle forze tedesche nella parte opposta. Il fatto era
che, se il giorno 23 maggio i tedeschi erano riusciti a occupare tutto il settore di Maleme, stavano ancora incontrando notevoli difficoltà e perdite
nell’avanzata verso Est e, in particolare attorno alla cittadina di Galata; inoltre, la pista di aviazione di Maleme continuava a essere battuta dal nemico,
questa volta da reparti della Royal Air Force insediatisi a Iraklion. Nello sviluppo dei combattimenti i tedeschi riuscirono a sfondare le linee britanniche e a occupare il 26 maggio il punto chiave della Canea. Nonostante
questo successo, al Comando della 4a Flotta aerea era sfuggito che per i comandi britannici non vi erano più le condizioni per continuare utilmente la
lotta per la difesa di Creta: il 26 maggio il comandante in capo delle Forze
britanniche per la difesa di Creta (Creforce), gen. Bernard Cyril Freyberg,
aveva manifestato ai propri superiori l’impossibilità di proseguire la lotta senza cospicui rinforzi, e il 27 maggio il comandante in capo delle Forze britanniche nel Medio Oriente, gen. Archibald Wavel, e lo stesso Churchill assentirono e lo autorizzarono a procedere allo sgombero dell’isola
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
Un motopeschereccio e un motoveliero a San Nicola (Creta) pochi giorni dopo lo sbarco
italiano a Sitia. Se l’operazione non fu determinante per le sorti della battaglia, permise
all’Italia di stabilirsi permanentemente nella parte orientale dell’isola, cosa non prevista
nei piani originali tedeschi. (Coll. A. de Toro)
dal mare.(17)
In conseguenza all’esplicita richiesta dell’OKW, accettata di buon grado
da Mussolini, nonostante il diniego tedesco di alcuni giorni prima, il 27
maggio iniziò da Rodi la missione di sbarco via mare, interamente condotta
da armi italiane di un contingente di oltre 2600 uomini, che prese terra in
prossimità di Sitia il 28 maggio. In altre parole, se lo sbarco del contingente
italiano e la sua successiva e quasi indisturbata avanzata verso ovest e sudovest si realizzò quando le sorti della battaglia erano ormai decise e non in(17) Cfr. D. Vogel, “Das eingreifen Deutschlands auf dem Balkan”, in G. Schreiber, B. Stegemann, D. Vogel, Der Mittelmeerraum und Suedosteuropa. Von der “non belligeranza” Italiens bis zum Kriegseintritt der Vereinigten Staaten (serie Das Deutsche
Reich und der Zweite Weltkrieg, vol. 3), p. 506.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
La nave da battaglia Barham e, in secondo piano, il cacciatorpediniere Havock a Suda
nell’inverno 1940-1941. La Barham fu impegnata in crociere di vigilanza e di copertura
che determinarono altre perdite nella Mediterranean Fleet, anche durante l’evacuazione
britannica di Creta dal 27 maggio al 1° giugno. (Coll. R. Pellegrino)
fluì sulla sua vittoriosa conclusione, la richiesta di soccorso tedesca era avvenuta prima della decisione britannica di evacuare l’isola e, soprattutto,
quando il Comando della 4a Flotta aerea non aveva percepito la crisi delle
forze britanniche. Non trovano, quindi, fondamento le voci diffusesi sin
d’allora e protrattesi nel dopoguerra di un attacco italiano condotto solo a
cose fatte, quando, cioè, la vittoria tedesca appariva sicura.(18)
Serve anche rammentare che il tasso di rischio dell’operazione di Sitia
non fu minore di quello occorso alle prime due missioni del 21 e 22 mag-
(18) Sull’insorgere di questi commenti e sulla loro confutazione da parte dell’addetto militare tedesco a Roma, gen. Enno von Rintelen, v. E. Rintelen, Mussolini l’alleato. Ricordi dell’addetto militare tedesco a Roma (1936-1943), Roma, Corso, 1952, p.
132. Quanto al loro perdurare dopo la guerra si veda, a titolo di esempio, K. Gundelach, “Der Kampf um Kreta 1941”, in AA.VV. Entscheidungsschlachten des zweiten Weltkrieges, Frankfurt am Main, Bernard & Graefe, 1960, p. 129 sg.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
gio, avendo quella ugualmente corso il rischio di venire intercettata e distrutta da forze navali britanniche ben prevalenti; in questo ebbe, dunque,
più fortuna. Anche il tasso d’improvvisazione fu analogo e, anzi, fu un po’
inferiore, se si considera che nei giorni precedenti (20-25 maggio) per ogni
evenienza erano state compiute alcune esercitazioni di sbarco a Rodi e che il
naviglio da trasporto impiegato, parte del quale sommariamente attrezzato
allo specifico scopo,si rivelò più omogeneo e un po’ più veloce, come ben
emerge da un raffronto dei rapporti di missione dei comandi italiani in
Egeo(19) con la documentazione di fonte tedesca qui pubblicata. In questa
circostanza almeno – ma non poteva essere differentemente data la genesi
dell’operazione Merkur e la sottovalutazione della reazione della Royal Navy
– l’improvvisazione italiana appare inferiore a quella tedesca.(*)
(Traduzioni di Augusto de Toro)
(19) Giova ricordare che già prima della richiesta dell’Oberkommando der Wehrmacht al Comando supremo del 26 maggio erano intercorsi contatti per un’operazione
di sbarco nell’estremità orientale di Creta fra il Comando della 4a Flotta aerea e il Comando Gruppo navale italiano Egeo settentrionale, v. de Toro, “Il ‘promemoria di Creta’ …”, cit., p. 21. Sulla preparazione e lo svolgimento dell’operazione di sbarco a Sitia
v. Comando superiore Forze Armate delle Isole italiane dell’Egeo a Supermarina, “Spedizione sbarco costa Est CRETA”, 31.05.1941, AUSMM, Supermarina. Scontri …, cit.,
b. 32, cit., f. R. Torp. “Sagittario” …, cit.; Comando Zona militare marittima dell’Egeo
al Comando superiore Forze Armate Isole italiane dell’Egeo, “Spedizione di Creta”,
27.06.1941, ibid.; in questo rapporto il c.amm. Luigi Biancheri, comandante della Zona, tenne a evidenziare la riuscita dello sbarco a Sitia rispetto al fallimento delle due
precedenti missioni tedesche, nonostante le perdite [solo presunte, n.d.a.] inflitte al nemico dal naviglio insidioso, di superficie e subacquee italiane; Comando Marina “Creta” al Comando Zona militare marittima dell’Egeo, “Rapporto di missione”,
04.06.1941, ibid. Il Comando Marina “Creta” fu istituito lo stesso 28 maggio 1941 e
transitoriamente affidato al cap. vasc. Aldo Cocchia, che ebbe il comando in mare dell’operazione.
(*) L’autore ringrazia il dott. Peter Schenk e il Civico Museo del Mare di Trieste per
il contributo prestato ai fini della realizzazione del presente lavoro.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Appendici
App. A. Condotta della guerra in Mediterraneo. 20 maggio 1941.
App. B. Situazione del nemico. 22 maggio 1941.
App. C. Conferenza presso il Capo della Seekriegsleitung. 23 maggio 1941.
App. D. Breve rapporto sulle operazioni dei convogli di motovelieri Maleme-Iraklion. 25 maggio 1941.
App. E. Relazione sulla preparazione e l’esecuzione dell’operazione “Merkur”. 16 giugno 1941.
App. F. Supermarina, operazione Mercurio.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
App. A
20 maggio 1941
– omissis –
Condotta della guerra in Mediterraneo
===========================
…
Settore dell’Ammiraglio Sud-Est/Egeo
Il compito prioritario dell’Ammiraglio Sud Est consiste per il momento
nel sostenere la 4a Flotta aerea nell’esecuzione dell’occupazione di Creta
attraverso il reperimento di naviglio mercantile, l’apprestamento e l’esecuzione di trasporti e i rifornimenti.
-------------------------------Operazione “Merkur”: Inizio prime ore del 20 maggio. Secondo le informazioni in possesso della Sklin serata, il primo lancio di paracadutisti
e del reggimento d’assalto (7a Divisione aerea) è riuscito secondo i piani.
Isola di Cerigotto occupata alle 05.00 dalla 5a Divisione corazzata. Lanci di paracadutisti e aviosbarchi su Creta hanno fatto seguito all’eliminazione delle difese antiaeree nei punti di sbarco per effetto di violenti attacchi di Stuka a Canea/Maleme, Retimo e Iraklion. Contemporanee
incursioni su obiettivi navali nella baia di Suda (3 piroscafi incendiati).
In serata aeroporto e postazioni a Maleme in mano tedesca. L’aeroporto
si trova ancora sotto il tiro dell’artiglieria nemica; a Retimo l’aeroporto
sembra occupato; dal gruppo di Iraklion nessuna comunicazione. Sorpresa tattica del nemico apparentemente riuscita.
Gruppi d’incrociatori e navi da battaglia attaccati da formazioni di bombardieri e aerosiluranti tedeschi e italiani. Gli italiani comunicano il siluramento di un incrociatore di 10.000 t nel canale di Caso. Incrociatore
sbandato.
L’Ammiraglio Sud-Est riunisce al Pireo piroscafi per rifornire Creta. Finora dei 12 piroscafi provenienti dall’Italia solo 5 sopraggiunti. Altri 3
in viaggio da Taranto (vedi telescritto 1315).
A giudizio della Skl per ora non v’è da fare alcun conto sull’esecuzione
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
di trasporti via mare per Creta. Per prima cosa gli inglesi tenteranno tutto con incrociatori e cacciatorpediniere per impedire ogni trasporto via
mare per Creta. Pertanto, al momento, trasporti e rifornimenti in sicurezza sono possibili solo per via aerea.
L’Ammiraglio Sud-Est considera particolarmente importante la permanente occupazione dell’isola di Milo, quale tappa sulla via per Creta, e
ne chiede la protezione e l’installazione di artiglierie. Chiede anche che
Milo sia difesa da truppe tedesche. La richiesta viene esaminata dall’OKW.
Sulla situazione a Creta vedi anche la comunicazione dello Stato Maggiore della Luftwaffe e i telescritti 14.15, 17.30 e 22.00.
Kriegstagebuch der Seekriegsleitung/Operationsabteilung 1939-1945, parte
A (KTB 1.Skl, A), Herford-Bonn-Berlin, Mittler & Sohn, 1988 ss., vol.
21: Mai 1941, 20.05.1941, p. 296 sg.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
App. B
22 maggio 1941
– omissis –
Situazione del nemico
Nel Mediterraneo orientale il grosso delle forze navali nemiche si trova
in mare nel settore di Creta. Il nemico è, indubbiamente, intenzionato a
impedire con tutti i mezzi, mettendo anche in conto pesanti perdite ad
opera della Luftwaffe, un cospicuo afflusso a Creta di rifornimenti tedeschi di personale e materiali via mare a rinforzo delle nostre posizioni
sull’isola.
La formazione di incrociatori e cacciatorpediniere, che alle 23.00 del 21
maggio ha in gran parte distrutto nei pressi di Capo Spada il 1° convoglio di motovelieri, si è mantenuta fin verso mezzogiorno del 22 maggio
nelle acque a Nord di Creta e si è allontanata poi verso Sud-Ovest. Secondo informazioni della Luftwaffe un incrociatore è stato affondato,
uno di sicuro danneggiato e un altro probabilmente.
Alle 08.40 la torpediniera italiana “Sagittario” a 12 miglia dall’isola di
Policandro (a Sud-Est di Milo) segnala 3 incrociatori con rotta 180° e
ne affonda uno (fumaioli inclinati, grandi sovrastrutture prodiere) con
due siluri.
Alle 13.20 si trova a Sud dell’isola di Citeria un imprecisato numero di
incrociatori pesanti e cacciatorpediniere.
La 4a Flotta aerea, sulla scorta di segnalazioni della ricognizione, stima
che le unità pesanti inglesi presenti in mare consistano in 4 navi da battaglia, 11 incrociatori, 18 cacciatorpediniere e una cisterna.
La torpediniera italiana “Lupo” durante l’attacco inglese della sera del
21 maggio a un convoglio di motovelieri ha, a sua volta, risolutamente
attaccato gli incrociatori inglesi e, secondo quanto riferito dal capitano
di fregata Devantier imbarcato sul “Lupo”, ha messo a segno due siluri
su un incrociatore della classe “Leander”. Incrociatore fortemente sbandato e in fiamme. In base a quanto testimoniato da componenti della
Compagnia di propaganda tedesca, ugualmente a bordo, sono seguite
delle esplosioni. La “Lupo” ha potuto disimpegnarsi dal nemico dopo
un’ora e mezza.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Di 24 motovelieri del 1° convoglio si è potuto finora metterne in salvo
solo 9. Di 2.300 uomini, che si trovavano sul convoglio, 300, secondo
le segnalazioni sin qui giunte dai motovelieri stessi, sono sbarcati nel Peloponneso. Numerosi naufraghi sono stati recuperati dai motovelieri e
dalle torpediniere italiane. Complessivamente, secondo fonti dell’Esercito [tedesco, n.d.t.] 770 uomini sono stati tratti in salvo.
Negli sviluppi della situazione le torpediniere italiane “Lupo” e “Sella”
[quest’ultimo cacciatorpediniere, n.d.t.] sono state attaccate e danneggiate da nostri aerei. Sul “Sella” 4 morti e 23 feriti; metà delle perdite sono tedeschi del battaglione di Cacciatori delle Alpi imbarcati su questa
unità.
Le 5 torpediniere italiane, che dovevano trasportare a Creta un battaglione di Cacciatori, sono state richiamate per l’incertezza sulle forze nemiche.
In conclusione, la situazione al 22 maggio si presenta come segue.
L’operazione “Merkur” poteva proseguire secondo i piani fintanto che si
trattava di una questione di aviosbarchi. Il primo tentativo di trasporto
di uomini e rifornimenti la sera del 21 maggio con motovelieri da Milo
è fallito. Questa mattina gli inglesi sono nuovamente penetrati con notevoli forze di incrociatori e cacciatorpediniere per distruggere i trasporti
marittimi tedeschi. Il 2° convoglio è dovuto essere richiamato e i programmati trasporti con i cacciatorpediniere italiani differiti. Il nemico si
mantiene con forze pesanti a Ovest e Sud-Ovest di Creta, allo scopo di
compiere incursioni nelle acque a Nord dell’isola a interdizione del traffico tedesco. Quanto all’importanza attribuita a Creta dal nemico, questo impiega a fondo le proprie forze navali e accetta le più gravi perdite.
In tal senso, la sera del 22 maggio, l’Ammiraglio Sud-Est ha comunicato
che la supremazia navale inglese perdura anche durante molte delle ore
diurne, nonostante il più intenso impiego della Luftwaffe, fintanto che
la flotta inglese accetta di sostenere le perdite che ne derivano. Evidentemente, almeno per il momento, l’incondizionato impiego della flotta inglese dipende dal mantenimento di Creta. Tale attività andrà a diminuire quando Creta sarà completamente in mano tedesca e, pertanto, di essa non vi sarà più ragione. Sino ad allora anche l’utilizzo di torpediniere
con a bordo soldati i quali, comunque, non possono portare con sé
equipaggiamenti pesanti, è inopportuno, poiché gli inglesi in ogni momento possono penetrare in Egeo e contrastare lo sbarco. D’altra parte,
le torpediniere sono urgentemente necessarie per la difesa del traffico,
ora sicuramente intensificato, a supporto dell’operazione “Merkur” e al43
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
tri compiti ancora, così che anche qui vi sono limitazioni a un loro impiego incondizionato. La collaborazione con la 4a Flotta aerea è considerata dall’Ammiraglio Sud-Est buona sotto ogni aspetto. Va, però, osservato che i reparti aerei non sono addestrati per la guerra marittima nella
misura che la situazione richiede a causa della nostra nettissima inferiorità navale. Difficoltà nelle comunicazioni, incerti avvistamenti e alcuni
errati riconoscimenti – vedi gli attacchi degli Stuka alle navi italiane –
rendono difficile il comando, il quale è già reso molto difficoltoso sotto
l’aspetto delle comunicazioni dalla mutevole composizione dei reparti
sottoposti. Per questo l’Ammiraglio Sud-Est ha chiesto alla Luftwaffe attraverso la [4.] Luftflotte reparti addestrati alla guerra marittima, come,
ad esempio, [quelli composti da] Dornier Do 18 e Heinkel He 115. Le
torpediniere italiane hanno finora dimostrato grande coraggio e senso di
responsabilità.
Dallo sviluppo della situazione la Skl vede confermato il proprio punto
di vista illustrato prima dell’operazione “Merkur”. Essa scorge un radicale errore nel tentativo di dar corso ai primi trasporti via mare già la sera
del secondo giorno dell’operazione, quando la ricognizione aerea aveva
ancora accertato la presenza di forze navali pesanti e leggere nelle acque
di Creta (anche se – come pare – non in prossimità delle zone interessate), tanto più che i trasporti non dovevano essere eseguiti da veloci torpediniere, bensì da lenti motovelieri. Le perdite ora intervenute, a giudizio della Skl, potevano essere evitate. Prima dell’operazione la Skl ha
espresso ai comandi interessati la sua opinione sui trasporti via mare, nel
senso che questi potevano essere presi in considerazione quando fosse
stata completata l’occupazione dell’isola nei suoi punti salienti e fino a
che le forze navali nemiche fossero state espulse dalla nostra Aviazione e
in modo che la supremazia in mare venisse transitoriamente esercitata
dalla Luftwaffe.
KTB 1.Skl, A, vol. 21, 22.05.1941, p. 329-333.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
App. C
23 maggio 1941
Conferenza presso il Capo della Seekriegsleitung
1) Discussione sull’invasione di Creta e sugli avvenimenti che nella notte fra il 21 e il 22 portarono alla distruzione del 1° convoglio leggero
Milo-Maleme.
Nell’apprezzamento della situazione, che prima dell’operazione Merkur
fu trasmessa dalla Skl all’OKW e al Ob.d.L, la Skl richiamò l’attenzione
sulla dipendenza delle possibilità di trasporto via mare dal conseguimento del dominio marittimo, anche se transitorio, da parte della Luftwaffe
e rimarcò l’insufficienza della scorta delle navi di superficie italiane dei
trasporti marittimi di fronte a un deciso attacco britannico. Un’estesa ricognizione anche sulle rotte di avvicinamento a Creta è necessaria in relazione alla durata della complessiva esecuzione dei trasporti. Continuando di questo passo, i successi sin qui ottenuti dalla Luftwaffe contro le forze navali nemiche promettono di conseguire il dominio, dapprima temporaneamente limitato, del mare a Nord di Creta e, quindi, la
possibilità di eseguire trasporti marittimi anche con naviglio lento.
Il Capo della Sklribadisce che fino al raggiungimento di questo obiettivo attraverso l’attività della nostra Aviazione i trasporti devono essere
circoscritti alla via aerea e, in caso di necessità, a missioni veloci con unità navali leggere italiane, il cui presupposto è, comunque, dato dalle
possibilità di scarico.
La responsabilità della decisione dei trasporti via mare va mantenuta in
capo all’Ammiraglio Sud-Est dopo aver sentito i comandi della Luftwaffe (4a Flotta aerea).
In una nota all’OKW/W.F.St e all’Ob.d.L. la Skl ha espresso nuovamente il proprio punto di vista.
KTB 1.Skl, A, vol. 21, 23.05.1941, p. 338 sg.
45
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
App. D
Ammiraglio Sud-Est
25.05.1941
Prot. 830/41 gKdos
Segreto [stampigliato]
Alla Seekriegsleitung
p.c. Allo Stato Maggiore di collegamento Roma
Breve rapporto sulle operazioni dei convogli di motovelieri
Maleme - Iraklion
1. Gruppo Maleme. In tutto 25 motovelieri di cui 4 (in realtà 5, n.d.t.)
della Marina italiana attrezzati per il dragaggio messi a disposizione dall’Ammiraglio di Patrasso [Comando Militare Marittimo in Grecia occidentale, Marimorea, Patrasso, n.d.a.]. A bordo circa 2.250 uomini fra Cacciatori delle Alpi, difesa antiaerei, servizio comunicazioni e varie altre unità con materiale leggero e medio. Su ogni motoveliero circa 3-4 uomini della Kriegsmarine per la manovra dell’unità
e il controllo dei motori. I comandanti greci sono in genere rimasti
a bordo. Su ogni unità abbondanti dotazioni di cinture di salvataggio e battelli pneumatici; dotazioni marinaresche del tutto improvvisate. Naviglio non provato e parecchie unità all’ultimo momento
sono venute a mancare. Comando tedesco c.f.Devantier imbarcato
sulla t.p. “Lupo” e s.t.v. Oesterlin Comandante del Gruppo di dragaggio.
2. Gruppo motovelieri Iraklion. In origine circa 28 motovelieri con a
bordo circa 4.000 uomini ripartiti in modo analogo al gruppo di Maleme. Personale, equipaggiamento e condizioni delle unità analoghi al
gruppo di Maleme. Comando tedesco c.f. von Lipinski, imbarcato
sulla t.p. “Sagittario”
3. Comunicazioni. Solamente dalla stazione radiotelegrafica italiana dell’Ammiraglio Sud-Est alle torpediniere di scorta. Non è stata possibile
l’installazione di apparati radiotelegrafici sui motovelieri.
4. L’arrivo del gruppo di Maleme era previsto per il pomeriggio del gior46
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
no X+1, dopo che si era dovuto rinunciare al piano originale di approdare alle 16 del giorno X a causa della poco chiara situazione a terra. Già il primo trasferimento notturno da Atene a Milo aveva dato
come velocità del convoglio 2 nodi solamente. Con una tale velocità
non si poteva confidare con certezza che l’approdo a Maleme potesse
avvenire ancora nelle ore diurne. Si era messa in conto la possibilità
che gli inglesi avrebbero potuto attaccare i motovelieri dopo il tramonto, mentre erano ancora in navigazione o erano in procinto di
approdare. Malgrado queste circostanze e in relazione alla situazione
generale, l’impresa ha dovuto essere rischiata.
Conformemente agli ordini, il convoglio fu fatto partire da Milo in
maniera che potesse raggiungere alle ore 08.00 un punto a 40 km
[sic] a Sud-Ovest di Milo sulla rotta per Maleme. In tale punto doveva attendere il risultato dell’esplorazione aerea, qualora non fosse ancora noto in quel momento. Poiché detto riscontro non era ancora
pervenuto, alle 08.00 fu fatto fermare e poi, in seguito alla comunicazione che navi nemiche erano state avvistate a Nord di Creta, il convoglio ebbe ordine d’invertire la rotta per allontanarsi dal nemico.
Circa un’ora e mezza più tardi giunse la comunicazione che tutta la
zona a Nord di Creta era ormai libera da unità nemiche. Era dunque
evidente che il convoglio, ricevuto l’ordine di dirigere per Maleme
avrebbe raggiunto la sua meta, nel caso più favorevole, poco prima
del tramonto.
Al Comando generale delle operazioni [4a Flotta aerea, n.d.t.] si contava, ad ogni modo, sul fatto che in base alle previsioni del tempo
venti da Nord e Nord-Ovest avrebbero aumentato la velocità del convoglio fino a 5-6 nodi. Come si è potuto constatare in seguito, la cifratura italiana è così complicata che già per tale inconveniente si è
verificato un notevole ritardo nell’emanazione degli ordini. Inoltre,
poiché, in realtà, il vento soffiava abbastanza forte da Sud-Ovest, non
solo la velocità del convoglio risultò inferiore al previsto, ma anche il
tratto percorso dopo l’inversione di rotta fu alquanto maggiore; infine, non potendosi radiotelegrafare e poiché le comunicazioni dagli
aerei relative al convoglio giungevano scarse e con notevoli ritardi, il
percorso compiuto dalle unità poteva essere apprezzato solo con la stima.
Per quanto riguarda i segnali di posizione dati dagli aerei occorre anche tenere presente che essi contenevano sempre notevoli incertezze,
dato che i reparti aerei impiegati non erano sufficientemente adde47
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
strati per questi compiti. Le preoccupazioni relative a eventuali pericoli notturni del trasporto via mare hanno dovuto essere messe in secondo piano di fronte alle notizie più recenti che giungevano da Creta, secondo le quali la situazione era tale che ogni possibilità di portare aiuto doveva essere sfruttata.
Il “Lupo” ebbe l’ordine di dirigere su Maleme con la massima velocità
consentita, portando con sé le unità più veloci, senza preoccuparsi di
quelle meno veloci. Durante il tardo pomeriggio e in base ai segnali
di posizione allora giunti si poteva supporre che i primi sbarchi avrebbero potuto avvenire ancora intorno al tramonto. Con l’inizio dell’oscurità non vi erano più unità nemiche in queste acque dell’Egeo, né
avrebbero potuto, in base agli ultimi avvistamenti, trovarsi a Maleme
prima delle 22.00. Ad ogni modo, secondo i calcoli del Comando generale delle operazioni, supposto che il vento soffiasse da Nord o da
Nord-Ovest, si pensava ancora che il convoglio avrebbe doppiato capo Spada prima delle 22.00 e che sotto la protezione delle coste
avrebbe potuto raggiungere inosservato a Maleme.
Alle 22.34 giunse un segnale del “Lupo” che diceva semplicemente
“Lupo 22.34”. Si ritiene che il “Lupo” volesse con tale segnale significare la felice riuscita dello sbarco e l’inizio del suo ritorno. Un’ora più
tardi giunse dal “Lupo” il segnale che, insieme a 16 motovelieri, si
trovava in contatto con 3 incrociatori e 4 cacciatorpediniere, che aveva colpito un incrociatore con un siluro e, dopo un’ora e mezza d’inseguimento, era riuscito a disimpegnarsi. Dopo tale segnale era da ritenere che la massima parte dei motovelieri del gruppo Maleme, 16
unità, era andata perduta. Si nutriva tuttavia la speranza che con il riuscito attacco del Comandante del cacciatorpediniere [sic] “Lupo”,
l’avversario si trovasse almeno in parte nell’opera di soccorso dell’incrociatore danneggiato e nella caccia alla torpediniera e che, forse
preoccupato di eventuali ulteriori attacchi, non avrebbe insistito a
continuare energicamente l’attacco ai motovelieri. Questa speranza ha
trovato in seguito piena conferma.
Era, inoltre, da attendersi che gli inglesi, in base alle probabili dichiarazioni dei superstiti e per la constatazione fatta della nostra intenzione di effettuare dei trasporti via mare, si fossero preparati all’incontro
di altri convogli durante la notte. Pertanto fu dato per radio l’ordine
di rientrare a Milo al gruppo Iraklion che, in base alla situazione determinatasi a terra, doveva dirigere a Maleme e non più a Iraklion e
che durante la notte si trovava già in rotta a Sud di Milo.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Poiché apparentemente il traffico radiotelegrafico italiano non è così
rapido come sulle nostre unità, questo segnale, lanciato due volte,
non è stato ricevuto come fu più tardi dimostrato, di modo che il
gruppo di Iraklion durante la notte ha continuato la navigazione verso Maleme. Lo Stato Maggiore dell’Ammiraglio Sud-Est aveva già
cercato di togliere durante la notte dalla rada di Milo i dragamine che
attendevano a loro volta di essere impiegati, perché non era da escludere che in base alla situazione notturna, gli inglesi si sarebbero spinti
fin lì. Fu, pertanto, ordinato anche al gruppo di Iraklion di non rientrare a Milo, bensì di dirigere a Nord o Nord-Ovest dell’isola e di rientrare solamente a giorno fatto. Tale ordine, però, come già detto,
non è stato ricevuto.
5. Il giorno 22, le prime comunicazioni del mattino già dimostravano
che, contrariamente alle precedenti abitudini, gli inglesi all’alba non
avevano abbandonato la zona a Nord di Creta in direzione di Levante
e Ponente, ma la perlustravano, invece, con notevoli forze. Alle prime
ore del mattino gruppi leggeri nemici di incrociatori e cacciatorpediniere si spingevano senz’altro fino alla zona di Milo. Da varie stazioni
giungeva la comunicazione di avvistamenti di unità in fiamme, di
naufraghi e di zattere di salvataggio. Si pensò in un primo tempo che
si trattasse di ritardatari del gruppo diMaleme che erano stati attaccati
dal nemico durante la notte o al primo mattino. Solamente più tardi
il Comando poté constatare che anche il secondo gruppo (di Iraklion)
condotto dal “Sagittario”, correva grande pericolo, poiché si trovava
apparentemente ancora molto a Sud di Milo. In seguito ai segnali di
avvistamento per ordine del Comando della 4a Flotta aerea, tutte le
forze disponibili dell’’VIII Corpo aereo [tedesco, n.d.t.], furono impiegate contro i gruppi inglesi per salvare i motovelieri la cui distruzione appariva inevitabile. Per effetto di questi attacchi, entro le ore
12.00, i gruppi di unità inglesi furono cacciati con gravi perdite dalla
zona a Nord di Creta. L’impiego della flotta inglese soggetto a perdite
tanto gravi può spiegarsi solamente col fatto che esso abbia avuto ordine d’impegnarsi a fondo e che pertanto abbia voluto intercettare i
trasporti malgrado la supremazia della flotta aerea tedesca. Sembra
non da escludere che anche quel giorno gli inglesi avessero la convinzione che l’occupazione dell’isola di Creta dovesse avvenire soprattutto con truppe trasportate per mare, anche perché non avevano ancora
un’idea ben chiara sulla forza delle truppe paracadutiste. Ciò ammesso si spiega anche l’utilità operativa di tenere durante il giorno il gros49
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
so delle forze navali nella zona a Ponente di Creta in posizione di attesa e dell’impiego di sommergibili contro il traffico fra l’Italia e Patrasso.
Nel corso del pomeriggio e della sera la situazione si era chiarita tanto
da poter constatare che, con l’impiego dell’Arma aerea e delle torpediniere italiane, tutto il gruppo di Iraklion è riuscito a uscire incolume
da questo illimitato campo di battaglia e che le perdite erano state
subite durante il mattino fra le unità del gruppo di Maleme che erano
scampate all’attacco nei pressi di capo Spada ed erano ormai in rotta
verso Nord. A queste devono aggiungersi i ritardatari del gruppo di
Maleme, i quali per mancanza di collegamento radiotelegrafico hanno
probabilmente continuato tranquillamente la loro navigazione verso
Maleme. Uno di questi ritardatari è stato affondato presso capo Spada
dagli inglesi solamente nella notte sul 23. Le perdite del gruppo Maleme, stimate in principio per assai rilevanti, sono poi di molto diminuite sia per il salvataggio di molti motovelieri operato con l’impiego
esemplare e particolarmente degno di menzione del servizio di salvataggio marittimo e con l’impiego altrettanto lodevole delle torpediniere [in realtà del solo Sagittario, essendo stato il Lupo subito richiamato al Pireo, n.d.t.] e dei M.A.S. italiani effettuato, in parte, nel
giorno del combattimento e, in parte, oggi. Non si conoscono ancora
cifre esatte [10 motovelieri affondati e 297 caduti del gruppo di Maleme; nessun motoveliero affondato e nessun caduto del gruppo di
Iraklion, n.d.t.]; tutto il gruppo di Iraklion con i resti del gruppo Maleme è attualmente ancora in rotta per il Pireo e molti superstiti si
trovano ancora in altri siti, per esempio al Peloponneso, sulle isole e
probabilmente anche a Creta. Con ogni riserva il numero dei tratti in
salvo, compresi molti feriti, può essere apprezzato in 1.400, ma un ulteriore incremento pare ancora possibile.
6. Tengo ancora a evidenziare quanto segue e che risulta dai rapporti
verbali fattimi dai comandanti italiani e anche dagli ufficiali tedeschi
imbarcati sulle unità italiane.
a) Durante il combattimento notturno presso capo Spada il Comandante del cacciatorpediniere [sic] “Lupo” si è trovato improvvisamente
con il suo gruppo più veloce di 16 motovelieri davanti a un nemico
che lo circondava a semicerchio. La zona del combattimento fu per
qualche minuto talmente illuminata dai bengala inglesi che il gruppo
dei motovelieri era chiaramente riconoscibile. Il Comandante decise
subito di attaccare l’incrociatore che gli era più vicino e con un attac50
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
co deciso e aggressivo lanciò a distanza di poche centinaia di metri
due siluri sull’incrociatore inglese che, come risulta dalle dichiarazioni
concordanti degli ufficiali italiani e tedeschi, si è immediatamente fermato con forte sbandamento e si sono osservati una fiamma azzurra
e, successivamente, un incendio. Il Comandante del “Lupo” crede di
aver colpito con uno dei suoi siluri, mentre l’ufficiale tedesco reputa
probabile che ambedue i siluri abbiano colpito data la breve distanza.
Durante il successivo combattimento che si è protratto per un’ora e
mezza il “Lupo” è riuscito a disimpegnarsi, ricevendo 18 colpi di vario calibro per fortuna senza gravi danni. Con due morti e numerosi
feriti gravi la torpediniera ha potuto la mattina seguente rientrare al
Pireo.
Insieme agli ufficiali tedeschi che hanno partecipato all’azione sono
del parere che il Comandante del cacciatorpediniere [sic] “Lupo”, che
si era già distinto nell’occupazione delle isole nonché per il suo elevato spirito aggressivo, abbia quella sera con la sua manovra salvato gran
parte dei motovelieri. Anche secondo le notizie del nemico gli inglesi
hanno impegnato relativamente pochi motovelieri durante questo
combattimento. Il fatto che i motovelieri sfuggiti al combattimento
siano, purtroppo, stati distrutti al mattino e nel corso della mattinata
seguente dalle forze leggere rimaste nella zona nel corso della mattinata, non cambia per niente lo stato delle cose.
b) la torpediniera italiana “Sagittario”, che fino alle prime ore del
mattino era all’oscuro della situazione del nemico, non avendo ricevuto i messaggi radiotelegrafici, fu solamente avvertita alle 08.00 della minaccia da un nuovo messaggio dell’Ammiraglio Sud-Est e solo
allora invertì la rotta. Secondo quanto ora risulta, essa si trovò poco dopo in vista e in contatto con forze inglesi e assisteva anche agli
attacchi che erano in parte in corso contro le forze inglesi durante
il suo combattimento. L’ufficiale presente a bordo, capitano di fregata von Lipinski, mi ha segnalato il comportamento deciso e intelligente di questo comandante. Egli ha prima di tutto sottratto alla visibilità del nemico tutto il gruppo dei suoi motovelieri con la distesa
di una densa cortina di nebbia, di modo che le unità inglesi che erano
già contestualmente occupate nella difesa contro gli attacchi aerei
in corso, non hanno potuto attaccare incisivamente questo gruppo.
Il “Sagittario” stesso provò quindi ad attrarre il nemico verso Ponente,
lontano dal convoglio, e vi riuscì. Durante questa corsa egli fu per
ben 35 minuti centrato da salve ben aggiustate che cadevano fino
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
a 100 m a dritta e a sinistra. Durante il combattimento, a una distanza di circa 7.000 m, lanciò i suoi siluri contro un incrociatore della
classe “Leander”, osservando poco dopo un’esplosione a bordo. Poiché erano in corso contemporaneamente intensi attacchi aerei su questo incrociatore inglese, non può stabilirsi con sicurezza se il suo affondamento non sia dovuto all’effetto concomitante dell’arma aerea e
del siluro. Secondo il mio parere, l’alta colonna dell’esplosione e il rapido affondamento debbono piuttosto attribuirsi all’effetto di un siluro.
Ad ogni modo, il comandante eseguì il suo compito con spirito aggressivo. Dopo aver accompagnato il convoglio dei motovelieri a Milo, la torpediniera usciva nuovamente e, dirigendo su varie posizioni
segnalate dal servizio di salvataggio marittimo, salvava alcuni naufraghi e li conduceva al Pireo.
c) Dai rapporti finora pervenuti risulta che il comportamento dei piccoli equipaggi dei motovelieri e delle truppe imbarcate fu fino alla fine virile e da veri soldati. Queste piccole imbarcazioni usarono le loro
armi leggere nella lotta contro le unità leggere inglesi e quelle, specialmente, che si erano trovate isolate e tagliate fuori agirono risolutamente. Si deve a questo fatto se alcuni dei motovelieri e i loro equipaggi si sono salvati.
d) In molti casi gli inglesi investirono semplicemente i motovelieri; in
alcuni casi risulta che li abbiano affondati a cannonate e che abbiano
sparato anche sui soldati che si trovavano nelle zattere di salvataggio.
Per quanto si può finora rilevare, sembra che gli inglesi non si siano
affatto preoccupati del salvataggio del personale. Durante tutta la
giornata di oggi è continuata da parte nostra l’opera di salvataggio e,
secondo le informazioni sin qui pervenute, gli inglesi non hanno tenuto affatto a fare dei prigionieri.
e) Purtroppo, in questa situazione non sempre chiara dei combattimenti e per la confusione delle proprie unità con quelle nemiche si
è dovuto lamentare qualche erroneo attacco di Stuka contro unità italiane. Il cacciatorpediniere Sella ha riportato danni in vari punti della
murata per una bomba di Stuka caduta nelle vicinanze e necessita di
riparazioni. Inoltre, il mitragliamento di un aereo ha causato a bordo
6 morti e 23 feriti gravi, dei quali 1/3 fra i Cacciatori delle Alpi imbarcati. Questo aereo, che ha commesso l’errore nella rovente atmosfera del concitato combattimento non è rientrato alla base.
f ) Le operazioni di salvataggio proseguirono anche nella giornata del
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
23 da parte del servizio di sicurezza e di 3 M.A.S. Gli aerei del soccorso marittimo hanno salvato numerosi soldati nelle immediate vicinanze della costa cretese e con notevoli difficoltà a causa delle non facili condizioni del mare.
Anche il cacciatorpediniere [sic] italiano “Lira” ha potuto salvare 18
superstiti dal relitto di un motoveliero, dopo che la sera precedente il
servizio di salvataggio marittimo aveva prelevato dallo stesso numerosi superstiti con aerei sovraccarichi. Questa opera di salvataggio merita particolare riconoscimento perché il cacciatorpediniere [sic] italiano
ha dovuto avvicinarsi fin sotto la costa di Creta ancora occupata dal
nemico. Con opportuni provvedimenti presi dalla Luftwaffe il cacciatorpediniere [sic] fu subito messo al sicuro da eventuali sorprese; esso
poteva trovarsi, tuttavia, in condizioni difficili, qualora gli inglesi
avessero eseguito nuovamente, sia pure a prezzo di gravi perdite, come nel giorno prima, un’incursione diurna in Egeo e questa volta con
cattiva visibilità. Da una tale impresa il nemico ha dovuto desistere
perché in quel giorno la Luftwaffe, fin dal primo mattino, aveva ripulito la zona dai cacciatori nemici.
7. Dagli avvenimenti degli ultimi giorni debbo concludere, d’accordo
con la 4a Flotta aerea, che il trasporto a mezzo di lenti gruppi di motovelieri non è possibile, fintanto che il nemico è deciso a intercettarli
sulle rotte per lui pericolose anche con il massimo impegno. Il motivo
più forte per un tale impegno verrà meno solamente quando Creta
sarà nelle nostre mani, sebbene si debba naturalmente contare anche
allora su un continuo impiego da parte del nemico di tutti i mezzi navali e aerei adatti per agire contro il nostro traffico di rifornimenti. La
condizione per proteggere il nostro traffico, il quale per un certo tempo necessiterà sempre di una notevole scorta navale e aerea, è quella
di approntare a Creta difese portuali. A tale scopo occorre bonificare
gli accessi da mine e da altre ostruzioni e posare qualche sbarramento.
Si può per ora prevedere che queste operazioni richiederanno diversi
giorni. Fino ad allora tutti gli sbarchi debbono avvenire sulla costa
aperta ed è pertanto impossibile effettuarli dai piroscafi. Intanto, comunque, si sta costituendo un gruppo di imbarcazioni veloci, selezionate fra i due gruppi di motovelieri che stanno rientrando; saranno
ben armati di personale e materiale e saranno impiegati isolatamente
durante il giorno per missioni di trasporto e avranno così, in un certo
qual modo, la funzione di rompere il blocco. Con questi mezzi dovrà
essere trasportato il materiale più importante senza personale. Poiché
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
anche la flotta inglese non potrà essere impiegata per lungo tempo
nella stessa maniera e con conseguenti forti perdite e dovrà, del resto,
prendersi qualche pausa per rifornirsi e per i danni riportati, si prevede di poter avviare il necessario trasporto di materiali. L’approntamento sollecito dei porti con batterie e altre opere difensive, come
pure il rifornimento del materiale pesante per le truppe di occupazione a Creta, sarà possibile in proporzioni maggiori solamente quando si potrà disporre dei porti e quando i piroscafi potranno compiere
rapide missioni di rifornimento diurne con opportuna scorta. Occorre, tuttavia, precisare che, anche impiegando tutti i mezzi possibili
e lavorando intensamente, la sistemazione di batterie in efficienza,
che già in condizioni normali richiede parecchie settimane, quaggiù,
lavorando intensamente, necessiterà di un tempo notevolmente superiore. Tuttavia, sarà possibile assicurare una difesa adeguata già prima
con mezzi ridotti, così come è prevedibile che gli inglesi non si decideranno a una controffensiva in grande stile (ad esempio, uno sbarco)
una volta che l’isola sia completamente in mano tedesca. Si è potuto ora constatare che Milo con la sua piccola rada sia una base passeggera di notevole importanza. Con la collaborazione della 4a Flotta aerea essa sarà provvisoriamente armata e attrezzata a punto di appoggio. Si provvederà, inoltre, ad approntare a Cerigo e Cerigotto un piccolo porto di rifugio. L’installazione di batterie pesanti su queste isole
rocciose, sprovviste di qualsiasi approdo, non è possibile in breve
tempo nelle attuali condizioni, né sarebbe di sicura riuscita perché
l’insufficiente gittata dei pezzi non consentirebbe di dominare completamente il transito di forze navali leggere particolarmente insidiose
(esempio ne è lo stretto di Dover di uguale larghezza con le coste
francesi assai ben guarnite). Per la protezione del traffico che ora si
svolge assai intensamente anche con il Mar Nero è necessario mantenere in efficienza una forte aliquota di forze navali, non sufficienti per
tutti i compiti assegnati, e una considerevole aliquota di reparti della
Luftwaffe.
Oltre ai suddetti compiti si dovrà probabilmente iniziare quanto prima l’importante traffico di forniture di combustibili dal Mar Nero all’Italia, che richiederà, a sua volta, il continuo impiego di forze di
scorta. Infine, il sollecito approntamento delle basi di appoggio e relative sistemazioni (in primo luogo il Pireo, Creta, Salonicco Lemnos) è
condizione necessaria per una prolungata condotta della guerra. Questo compito viene svolto con tutti i mezzi a disposizione, ma per ora
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
può essere portato avanti solo con quanto disponibile, finché l’operazione “Merkur” terrà impegnati gli ultimi mezzi e il personale della
Marina [tedesca, n.d.t.] presenti in questa zona.
Schuster
Bundesarchiv-Militaerarchiv (BA-MA), RM 7/941: Merkur. Di questo
documento esiste una valida traduzione in lingua italiana, ma non il testo tedesco, che l’autore ha utilizzato come traccia per la presente traduzione. AUSMM, fondo Supermarina. Scontri navali e operazioni di guerra, b. 32: Operazione “Mercurio”. Occupazione di Creta, f. R. Torp.
“Sagittario” – Scontro al largo di Milos – 22 maggio 1941 XIX.
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
App. E
16 giugno 1941
Relazione sulla preparazione e l’esecuzione dell’operazione “Merkur”
A. Preparazione
1°) Innanzi tutto la preparazione dell’operazione “Merkur” pose la
Kriegsmarine di fronte a due problemi:
a) La sicurezza degli approvvigionamenti di armi (in primo luogo bombe), combustibile, benzina avio, nafta per le navi da guerra, carbone
per le navi mercantili, apparecchiature per gli aerei e vettovagliamenti
necessari allo svolgimento delle operazioni. La gran parte di questi
materiali doveva essere trasportato e scortato dal Mar Nero a Salonicco e al Pireo attraverso i Dardanelli. L’approntamento dei piroscafi,
fra i quali rumeni, bulgari e italiani, provocava notevoli difficoltà che
venivano accresciute dall’insicurezza e dalla carenza dei mezzi di trasporto terrestri. Lo stato dei trasporti, per questo costantemente mutevole, imponeva continue modifiche e causava ritardi che, di riflesso,
influivano sul già scarso tempo a disposizione per i preparativi della
“Merkur”. Ciò nonostante, si riuscì a portare in tempo e in sicurezza
il materiale necessario all’impiego nei porti di destinazione, in modo
da porre le basi per l’avvio dell’operazione. Con l’intenso impiego
delle torpediniere italiane e della Luftwaffe fu possibile assicurare la
scorta ai piroscafi nonostante la presenza più volte accertata di sommergibili nemici, senza subire perdite dirette ad opera del nemico. Solo il piroscafo tedesco “Larissa” finì su uno sbarramento di mine posato di recente e non ancora individuato, affondando, e andò perduto
un dragamine ausiliario tedesco durante l’attività di dragaggio.
b) La preparazione dei “trasporti per la Merkur”
Pertanto, subito dopo lo sbarco dei materiali la ridotta disponibilità
di naviglio rese necessario destinare i piroscafi all’operazione “Merkur”. A rinforzo di questi furono subito messi a disposizione 12 piroscafi sottratti dal traffico con l’Africa. La riunione delle forze navali
poste a disposizione dall’Italia all’Ammiraglio Sud-Est e dei primi piroscafi dipendeva dal libero uso del canale di Corinto, che dopo
un’altalenante variazione del termine fu ottenuto il 16 maggio per il
naviglio sottile. Nell’incertezza di un tempestivo approntamento dei
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
piroscafi si cercò, innanzi tutto, di utilizzare per l’operazione “Merkur” il piccolo naviglio a uso costiero in qualche modo requisibile e
in efficienza e di inviare a Creta il primo convoglio, non appena si
fossero trovati in nostre mani i primi punti di sbarco prestabiliti. L’utilizzo di questi piccoli mezzi apparve all’Ammiraglio Sud-Est particolarmente favorevole, anche perché avrebbe frazionato il rischio su un
grande numero di piccole navi. In principio si pensò a questi motovelieri solo per il rifornimento di materiali, mentre il trasporto di truppe avrebbe dovuto avvenire per via aerea. Solo nel caso in cui non fosse stato possibile eseguire lo sbarco dall’aria, programmato per il secondo giorno, sarebbero stati approntati 4 piroscafi scarichi per l’ormai indispensabile e urgente trasporto via mare. Nei pochi giorni di
preparazione emerse, però, di continuo la necessità da parte del Comando Marina Grecia, dell’XI Corpo aereo e del Comando trasporto
marittimo [tutti comandi tedeschi, n.d.t.] di provvedere al trasporto
di sempre maggiori quantità di truppe con motovelieri. L’Ammiraglio
Sud-Est, così come la 4a Flotta aerea da lui interrogata avevano ben
chiaro l’altissimo grado d’improvvisazione di questi preparativi.
I mezzi furono riuniti e approntati in fretta, senza poter nemmeno
verificare l’affidabilità degli apparati motori. Gli equipaggi greci in
gran parte si dileguarono e dovettero essere integrati o rimpiazzati da
personale della Kriegsmarine. Con molta difficoltà questo personale
fu fatto affluire dalla Germania, dalla Romania, dalla Bulgaria e da località greche in buona misura per via aerea, poiché il trasporto del
personale tanto atteso non poteva giungere tempestivamente attraverso la lunga modalità ferroviaria. Su alcune unità ci si dovette accontentare di personale marittimo che in normali condizioni non sarebbe
stato all’altezza delle esigenze di navigazione e marinaresche per difetto di preparazione. Le dotazioni marinaresche, come bussole efficienti
e carte nautiche, erano insufficienti e, in parte, mancavano del tutto.
Fino all’ultimo non fu certo se, per via aerea, potesse giungere in tempo il numero necessario di giubbotti di salvataggio. Assai gradito fu
l’apporto di 6 motovelieri della Marina italiana ben attrezzati, che il
Comando Marina [italiana, n.d.t.] di Patrasso mise a disposizione di
propria iniziativa. Essi furono contestualmente approntati per formare un gruppo di dragamine ausiliari per il dragaggio nella fase di sbarco. L’installazione di apparecchi radio e di segnalazione non fu possibile per i tempi imposti dallo stato di urgenza. Anche le piccole navi
soccorso greche appena reperite e in corso di rapido approntamento
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
non poterono essere rese operative in tempo.
A ciascuno dei due gruppi di motovelieri destinati a Maleme e Iraklion fu assegnata una torpediniera italiana, i cui comandanti avevano
il comando militare e marittimo. A bordo di ciascuna si trovava il comandante tedesco del convoglio. Alle torpediniere italiane era assegnato il compito di tenere riunita la formazione, di guidarla durante
la navigazione, di proteggerla da sommergibili e da fungere da stazione radiotelegrafica per l’intera formazione. Per la difforme composizione dei singoli gruppi e per l’incerta, e, presumibilmente, diversa
velocità fu, inoltre, ordinato di non attendere i ritardatari e di lasciarli
a sé stessi.
Che in pochi giorni, quasi senza alcun ausilio dei comandi delle tre
Armi della Wehrmacht di ciò incaricate, si fosse riusciti a costituire
nella misura raggiunta i gruppi di motovelieri, va considerato un risultato di tutto rilievo. E per apprezzare correttamente il lavoro svolto
vanno messi in conto non solo i precari collegamenti nei territori occupati e le grandi distanze fra i singoli comandi, ma anche il mancato
ripristino nelle zone da poco occupate di officine, cantieri, impianti
portuali e di altri mancanti mezzi ausiliari (rimorchiatori, bettoline,
gru).
2°) In questa situazione, il giorno X, i preparativi erano ultimati, al punto che tanto gli approvvigionamenti quanto gli apprestamenti per la
navigazione dei mezzi di trasporto della “Merkur” erano stati portati
a termine nella piena consapevolezza delle debolezze esistenti. Ciò
nonostante, la situazione generale era tale che una qualsivoglia perdita, ad esempio di una bettolina di nafta avrebbe comportato gravi
conseguenze, poiché nella maggior parte dei casi non sarebbe stato
possibile alcun sollecito rimpiazzo. La fortuna del soldato, come accade spesso in questa guerra marittima, doveva supplire alla mancanza di mezzi.
B) Esecuzione dell’operazione “Merkur”
3°) In via generale i movimenti dei convogli furono concepiti in maniera che, una volta messi in movimento dai porti di riunione di Atene
e Lavrion e dalla tappa intermedia del porto di Milo, i due gruppi di
“Maleme” e “Iraklion”, potessero sbarcare a Maleme nel pomeriggio
del giorno X+1 e a Iraklion nel pomeriggio del giorno X+2. Contemporaneamente furono fatti affluire a Milo due gruppi di dragamine italiani per liberare rapidamente da mine le rotte di accesso alla
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
baia di Suda e al porto di Iraklion, una volta occupati, affinché i piroscafi approntati dal giorno X+2 potessero salpare in convoglio dal
Pireo scortati da altre torpediniere italiane. Il cronoprogramma di
tutti i movimenti fu predisposto in modo tale che al crepuscolo mattinale i singoli gruppi si trovassero ancora così lontani dai porti di
destinazione, da poter entro il mattino, cioè, vero le 09.00 essere fermati, deviati o fatti rientrare. La limitata velocità dei natanti, tuttavia, obbligò di spostare il punto di attesa del mattino molto vicino
alla costa cretese, poiché altrimenti il porto di destinazione sarebbe
stato a stento raggiungibile il giorno stesso. Si contava anche che
massicci attacchi della Luftwaffe riuscissero a tenere a distanza le forze attaccanti inglesi.
Lo sbarco del gruppo di Maleme era originariamente previsto per il
pomeriggio del giorno X, alle 16.00; però, per desiderio dell’XI Corpo aereo [tedesco, n.d.t.] fu differito al giorno X+1 per poter garantire in piena sicurezza il controllo del punto di sbarco. L’effettivo sviluppo delle cose ha avvalorato in seguito questo apprezzamento.
4°) I movimenti dei due gruppi di motovelieri, ciascuno al comando di
una torpediniera italiana, e dei due gruppi di dragamine, parimenti
guidati da torpediniere italiane, si svolsero fino a Milo secondo i piani. Qui, però, ci si accorse che a causa del cattivo tempo la velocità
delle formazioni si era in parte ridotta a 2 o a 3 nodi e già allora alcuni natanti erano rimasti indietro, riuscendo, però, durante la sosta
a Milo (notte dal giorno X al giorno X+1) a riunirsi nuovamente, taluni con l’aiuto di rimorchiatori inviati all’uopo, altri a rimorchio
delle torpediniere italiane.
5°) Quando la sera del giorno X divenne chiaro che l’operazione di aviosbarco a Creta non poteva essere condotta a termine con l’auspicata
rapidità e che, soprattutto, la situazione a Iraklion e a Retimon rendeva desiderabile impiegare prioritariamente tutte le restanti forze a
Ovest presso Maleme, per procedere da lì alla conquista dell’isola,
anche il gruppo di Iraklion fu indirizzato a Maleme.
6°) Secondo previsione, il giorno X+1 nella navigazione da Milo a Maleme il gruppo di Maleme si unì con la torpediniera “Lupo”, che aveva
rilevato nel comando la torpediniera “Sirio” per un’avaria di quest’ultima. Quando verso le 09.00, la situazione in mare non aveva
molto chiarito se la navigazione potesse proseguire, come programmato, fu ordinato al gruppo di fermarsi e, subito dopo, d’invertire la
rotta, quando il comando operativo [il Comando della 4a Flotta ae59
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
rea tedesca, n.d.t.] e l’Ammiraglio Sud-Est si formarono l’opinione
che fosse da escludere proseguire la navigazione nel giorno stesso a
causa della presenza di forze inglesi nella zona di mare a Nord di
Creta. Circa un’ora e mezza dopo la ricognizione aerea poté comunicare che il settore a Nord di Creta era senz’altro libero dal nemico.
Di conseguenza, poté essere presa la decisione di porre di nuovo il
gruppo in marcia verso Maleme. Determinante per l’ordine che ne
derivò furono i seguenti punti.
a) Sulla base delle segnalazioni meteorologiche si fece conto su vento da
Nord e da Nord-Ovest, dunque su vento nei quartieri poppieri, per
cui la formazione poteva raggiungere una velocità di 5 o 6 nodi e, una
volta riunita, giungere a Maleme sì in ritardo, ma sempre prima del
sopravvenire dell’oscurità. In conseguenza delle previsioni sulla direzione del vento il comando operativo calcolò di aver percorso solo un
breve tragitto [a ritroso, n.d.t.] verso Nord. Come, invece, emerse
successivamente, vi fu vento forte da Sud-Ovest che causò l’effetto
contrario.
b) Il comando operativo si rese conto che una nuova inversione di rotta
avrebbe aumentato sensibilmente il rischio dei convogli per Maleme
per i molti fattori d’incertezza, quali la velocità non calcolabile, l’indeterminatezza della posizione, il distacco dei ritardatari. Pertanto,
l’Ammiraglio Sud-Est pose al comando operativo espressamente il
quesito se, alla luce della non favorevole situazione che si andava profilando nella giornata, dovesse essere assunto un rischio ormai molto
cresciuto o se era accettabile differire di 24 ore la prosecuzione della
navigazione. In ogni caso, si sarebbe dovuto mettere in conto che per
la mancanza di collegamenti una parte dei motovelieri, che presumibilmente sarebbe rimasta arretrata, non avrebbe ricevuto gli ordini di
ritornare indietro e dei continui mutamenti di rotta. Il comando operativo si pronunciò per l’assunzione del rischio. Di conseguenza, il
cacciatorpediniere [sic] “Lupo” ricevette l’ordine di dirigere con la sua
formazione verso Maleme senza alcun riguardo per chi fosse rimasto
indietro.
7°) Fino a sera il comando operativo si attendeva che il gruppo Maleme
potesse raggiungere Capo Spada attorno alle 21.00 e con ciò la protettiva vicinanza della terra, quando dal cacciatorpediniere [sic] “Lupo” giunse un messaggio radio che alle 21.00 si sarebbe trovato a capo Spada. Le forze navali inglesi, infine, avvistate dalla ricognizione
aerea serale secondo calcoli prudenziali potevano trovarsi in prossi60
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
mità del capo attorno alle 22.00, di modo che con un po’ di fortuna
l’operazione avrebbe potuto riuscire finanche ai ritardatari. Poco prima delle 23.00 giunse un radiotelegramma del “Lupo”: “Lupo
22.34”, che per il momento fu interpretato come segnale del riuscito
sbarco. Circa un’ora dopo risultò da un lungo radiomessaggio del
“Lupo” che il gruppo di Maleme con circa 16 piccole unità era stato
intercettato da incrociatori e cacciatorpediniere britannici ed esposto
a distruzione. Lo stesso “Lupo” aveva ottenuto uno o due centri con
il siluro su un incrociatore e dopo un’ora e mezza d’inseguimento,
nel corso del quale aveva incassato 18 colpi, poté rompere il contatto
con il nemico. Sulla base di questa comunicazione si doveva mettere
in conto la perdita del gruppo di Maleme e probabilmente anche dei
ritardatari che ancora seguivano e non poterono essere informati della mutata situazione. Poiché v’era anche da supporre che gli inglesi
per la presenza del gruppo di Maleme e forse anche per le dichiarazioni dei prigionieri si dirigessero verso altri natanti e già nel corso
della stessa notte potessero condurre una sortita verso Nord per intercettare altro traffico, il 2° gruppo di Iraklion, già in marcia verso
Maleme, ricevette l’ordine via radio di dirigere verso le isole a NordEst e sul far del giorno portarsi a Milo. L’immediato ripiegamento
verso Milo non apparve opportuno, essendo prossimo il pericolo che
gli inglesi nella sortita verso Nord potessero penetrare anche nella
sguarnita baia di quell’isola. A causa del traffico radiotelegrafico, già
intensissimo secondo i parametri della Kriegsmarine, l’ordine di rientrare, trasmesso per radio al “Sagittario”, unità capoconvoglio,
non ebbe effetto. Come emerse successivamente, il radiotelegramma
non fu ricevuto dal “Sagittario”, così che questo con il suo gruppo
continuò durante la notte ad avanzare e solo al mattino poté invertire la rotta dopo un rinnovato messaggio dell’Ammiraglio Sud-Est.
8°) Il mattino del 22 maggio (giorno X+2) presentava il sorprendente
quadro di un nemico che, nonostante l’intensissima attività aerea tedesca, non avendo sostenuto gravi perdite, svolgeva ancora nelle ore
mattinali opera di rastrellamento dei velieri segnalati o avvistati nelle
acque fra Milo e Creta. Molti dei mezzi di trasporto segnalati in
fiamme o affondati e l’assoluta incertezza sulle posizioni dei due
gruppi di motovelieri, dei quali neppure la ricognizione aerea aveva
fornito un chiaro quadro per la dispersione e la frammentarietà delle
formazioni, fecero crescere nel corso della mattinata il timore che
entrambi i gruppi di motovelieri fossero stati in gran parte vittime
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
dell’incursione nemica. Un certo conforto era offerto solo dal pensiero che il nemico avesse pagato questa sua azione con pesantissime
perdite provocati dai colpi degli attacchi aerei e anche del “Lupo” e
del “Sagittario”. Verso mezzogiorno il nemico abbandonò le acque a
Nord di Creta sotto continui attacchi dell’VIII Corpo aereo, che nel
corso dell’intera giornata non lo mollò e gli causò altre dure perdite.
Il quadro si chiarì poi nel corso del pomeriggio, quando poté essere
rilevato in salvo il secondo gruppo di motovelieri al comando della
torpediniera “Sagittario”, benché esso si fosse trovato al centro di un
confuso scontro. La sua immediata salvezza è in gran parte certo da
ascriversi al comportamento della torpediniera “Sagittario”, la quale
coprì con una cortina di nebbia l’intero convoglio di motovelieri,
sottraendolo alla vista del nemico, e attaccò con il siluro il gruppo di
incrociatori e cacciatorpediniere, mettendo con buona probabilità
un colpo a segno. Per i contemporanei attacchi condotti dagli Stuka
il nemico non provò più a occuparsi di questo gruppo di motovelieri. Del pari, nel corso della stessa giornata risultò che, grazie in primo luogo all’azione del cacciatorpediniere italiano “Lupo”, la maggior parte dei motovelieri del gruppo di Maleme non era stata distrutta durante la notte, ma solo il mattino successivo, mentre in
gran parte cercavano isolatamente di allontanarsi verso Nord.
Dal comportamento del nemico si può concludere che in questo
giorno avesse ancora l’intenzione di tenere Creta, impegnando al
massimo le proprie forze navali senza badare a perdite. La situazione
a terra, in questo stesso giorno ad esso ancora favorevole, lo ha probabilmente rafforzato in tale determinazione. Si deve tener conto
che anche in futuro il nemico procederà con tutti i mezzi a sua disposizione contro il traffico e, soprattutto, terrà sotto costante osservazione i punti di sbarco a lui già noti. Per questo motivo appare, in
primo luogo, errato proseguire nell’impiego di gruppi di motovelieri
in formazione e devono essere cercate altre vie per portare a Creta i
materiali più importanti. I due gruppi di motovelieri furono ricondotti al Pireo, contemporaneamente ai dragamine italiani, per i quali
a causa della situazione determinatasi non era dato intravedere alcun
impiego a Creta e che per la mancanza di combustibile non potevano rimanere a Milo. Il richiamo dei piccoli natanti fu anche necessario per rigenerare le truppe imbarcate per la faticosa navigazione e il
corso degli avvenimenti. Da tutti i rapporti a disposizione si può accertare che, così come le torpediniere, le quali oltre all’impiego belli62
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
co hanno preso parte molto efficacemente al salvataggio dei naufraghi, anche gli equipaggi dei motovelieri con i loro piccoli distaccamenti di marinai e le truppe imbarcate si sono distinti al massimo. Il
risoluto e accorto comportamento di singoli ufficiali e soldati potrà
essere apprezzato non appena saranno disponibili i rapporti conclusivi.
9°) Sin dal corso dei movimenti di entrambi i gruppi di motovelieri fu
presa la decisione di portare a Creta in specifiche missioni i materiali
più importanti, in primo luogo carri armati. A tal fine dovevano essere ricercati e impiegati i mezzi più idonei a tale attività di traffico.
Per il più urgente trasporto di due carri fu destinato il tenente di vascello Oesterlin, il quale già nel corso degli eventi navali in Egeo aveva dato straordinaria prova ed era rientrato sano e salvo con il suo
natante ad Atene [sic]. Subito dopo il rientro ricevette l’ordine di
imbarcare i due carri su una maona trainata da un rimorchiatore e di
sbarcarli a Castelli. Analoghi trasporti furono approntati per approvvigionamenti e munizioni, al pari della costruzione di un pontile a
Castelli per il trasporto di materiali con il piccolo piroscafo tedesco
“Cordelia”. I rifornimenti così avviati sono stati realizzati senza perdite e proseguono. A tal riguardo, deve essere messo in chiaro che,
senza dubbio alcuno, a seguito del favorevole andamento degli sbarchi gli inglesi hanno preso, al più tardi il 28 giugno, la decisione di
abbandonare Creta e che, quindi, difficilmente avrebbero intrapreso
un’iniziativa come quella del giorno 22. Grazie alla stretta collaborazione con la 4a Flotta aerea e per la precisa pianificazione ogni singola unità di trasporto si è trovata sotto la necessaria scorta e copertura
aerea.
La base dell’isola di Milo fu debolmente rinforzata con due cannoni
da 37 mm dal momento che non fu data altra possibilità di portarvi
armi più pesanti. Del pari furono portati a Cerigo cannoni da 88
mm che sono in postazione.
10°) Dopo l’occupazione della Canea e della baia di Suda vi furono avviati le motosiluranti [rectius M.A.S.] e i dragamine italiani a protezione del primo convoglio di piroscafi la cui partenza dal Pireo è
prevista per il 31 maggio.
C) L’Ammiraglio Sud-Est formula infine il seguente apprezzamento della situazione
1°) Dopo che gli inglesi hanno deciso di evacuare Creta, difficilmente
63
A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
tenteranno di stabilirvisi di nuovo. Se avessero avuto le forze necessarie le avrebbero senza dubbio portate a Creta già nei giorni critici.
Tentativi di sbarco in grande stile appaiono, inoltre, senza prospettiva, stante l’attuale entità delle forze presenti a Creta. Peraltro, gli inglesi, i quali sono ben consapevoli della necessità dei rifornimenti oltremare, si adopereranno per turbare costantemente il traffico con
Creta e nel resto dell’Egeo: in primo luogo, cercheranno d’insidiarlo
con sommergibili e mine nelle acque attorno a Creta, ma durante la
notte anche mediante incursioni di cacciatorpediniere. Inoltre, si deve tener conto che condurranno attacchi aerei sugli aeroporti, come
pure sui porti. Il pericolo costituito da questi tentativi di disturbo
inglesi non può essere sottovalutato per l’esiguità di mezzi disponibili in Egeo. Al nemico non può sfuggire il ritiro di consistenti reparti
aerei e già questo lo incoraggerebbe a contrattaccare. Noi dobbiamo
concludere che i rifornimenti si trovano sotto sicura minaccia e che
sopraverranno anche perdite. Queste, prescindendo da quelle di materiali e uomini, sono particolarmente gravose sotto il profilo della
scarsità di naviglio mercantile disponibile. Se anche fino a oggi siamo riusciti a difendere il traffico dagli attacchi diretti del nemico,
sono 6 i piroscafi sinora andati persi per la sua attività indiretta e per
la gran mole di improvvisazione. Poiché si tratta non di occupare
territori, ma anche di mantenerne il possesso, il costante approntamento delle forze aeree e navali necessarie alla sicurezza dei collegamenti marittimi deve costituire il presupposto per la successiva condotta della guerra, poiché anche dopo l’occupazione del continente e
delle isole il settore dell’Egeo resterà teatro di guerra marittima. Finché gli inglesi resteranno nel Mediterraneo orientale e a Malta, non
si potrà mai parlare di linee di comunicazione sicure.
2°) L’Ammiraglio Sud-Est sottolinea come solo attraverso una strettissima e costante collaborazione con la 4a Flotta aerea e reparti dipendenti e con il Comando della 12a Armata [tedesca, n.d.t.] potranno
essere superate le difficoltà sopra descritte. Lo stretto collegamento
di tutti i comandi e la reciproca e comprensiva collaborazione furono i presupposti dei successi conseguiti e del rapido appianamento
degli insuccessi.
Per futuri, analoghi compiti deve essere rimarcata l’incondizionata necessità di una più lunga preparazione. I compiti assegnati alla Wehrmacht in altri settori operativi e le grandi difficoltà di trasporto hanno impedito che dalla Patria potesse essere inviato un sollecito soste64
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
gno in uomini e materiali nella misura che sarebbe stata necessaria in
funzione dei compiti assegnati. Senza dubbio i 4Siebel-Faehre, da
tempo richiesti dall’Ammiraglio Sud-Est, come pure dal Comando
della 12a Armata e della 4a Flotta aerea, avrebbero agevolato l’intero
problema dei rifornimenti e il rapido afflusso di materiale a Creta
senza il verificarsi delle attuali perdite. Le comunicazioni spesso precarie nei paesi di transito da poco occupati, la carenza di ufficiali ed
equipaggi della Kriegsmarine, la mancanza di mezzi ausiliari a terra,
come rimorchiatori, armi, mezzi di trasporto sono svantaggi che potrebbero essere meglio superati con una preparazione più lunga di
quanto sia stato ora possibile. Da parte della Kriegsmarine, inoltre, si
deve porre particolare importanza al fatto che per tutti i compiti inerenti alle operazioni navali devono essere disponibili reparti [aerei]
specificatamente addestrati, poiché altrimenti non può essere ottenuto alcun risultato corrispondente al nostro impegno di fronte alla più
forte flotta inglese, e si ripeteranno le deplorevoli perdite e menomazioni per la nostra Aviazione [la Luftwaffe, n.d.t.]. Non si tratta tanto
di reparti da bombardamenti, quanto di ricognizione, che possono
primariamente proteggere e assicurare le importanti linee di comunicazione. Essi sono il presupposto per la necessaria rapida guida delle
nostre navi di fronte alla minaccia nemica.
AUSMM, fondo Marina germanica in Italia, titolo II, coll. A, f. 2/B
[vecchia collocazione]
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
App. F
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
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A. de Toro - La partecipazione della Marina italiana all’invasione di Creta nei documenti tedeschi
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
AUSMM, fondo Supermarina. Scontri…, cit., b. 32, cit., f. R. Torp. “Sagittario”…, cit.
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LA GUERRA AERONAVALE TRA
IL GOLFO DI VENEZIA E LA COSTA DALMATA
DOPO L’8 SETTEMBRE 1943
GABRIELE FAGGIONI
Con la caduta del governo di Mussolini (25 luglio) iniziò il processo di riorganizzazione dei partiti democratici, fino a quel momento operanti in clandestinità. Il 3 settembre il nuovo governo, guidato dal maresciallo Badoglio,
sottoscrisse un armistizio con gli Alleati, ma l’accordo stipulato venne reso
noto solo l’8 settembre; i reparti dell’Esercito, privi di direttive chiare e convincenti, sbandarono e non poterono attuare un’efficace resistenza alla
Wehrmacht.
Dopo l’8 settembre 1943 le province di Trieste, Gorizia, Udine (oltre a
quelle di Fiume, Pola, Lubiana e altri territori occupati in Dalmazia) furono
amministrate direttamente dal Terzo Reich, che le riunì nell’Adriatisches
Küstenland (Territorio costiero dell’Adriatico). Ugualmente sottratte all’autorità italiana furono le province di Belluno, Trento e Bolzano riunite
nell’Operationszone Alpenvorland (Zona d’operazione delle Prealpi).
Venezia
Il 9 settembre l’ammiraglio di divisione Emilio Brenta era divenuto il nuovo comandante in capo dell’alto Adriatico, perché il principe-ammiraglio
Ferdinando di Savoia-Genova aveva ricevuto l’ordine dal re Vittorio Emanuele III di trasferirsi nell’Italia meridionale. L’ammiraglio Brenta era assistito nel comando della piazza dal contrammiraglio Franco Zannoni.
La sera dell’8 settembre si trovavano a Venezia la nave trasporto aerei
Miraglia, il cacciatorpediniere Sella, la torpediniera Audace (1365 t), la cor-
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
vetta Colubrina (740 t), il posamine Laurana (115 t), una motosilurante, la
nave scuola Marco Polo (720 t, ex Jadran), le cisterne Aniene (254 t), Vippacco (269 t), Isarco (269 t) e Pescara (72 t), sei rimorchiatori, i dragamine
ausiliari Addis Abeba (21 tsl, B 497), Adria (45 tsl, B 436), Maria Leone (36
tsl, B 539), 17 motovelieri e 14 mercantili, fra cui i transatlantici Conte di
Savoia (con equipaggio ridotto), Saturnia e Vulcania. Nei cantieri veneziani
si trovavano per il completamento delle riparazioni il cacciatorpediniere Sebenico, la motosilurante MS 75, la cisterna Pellice (ex Delia, 80 t), 20 fra
mercantili e navi ausiliarie. Nei cantieri navali di Breda erano in costruzione
le corvette Bombarda, Carabina, Scure, Spingarda, Zagaglia e Clava, della
classe “Gabbiano”, e in altri cantieri i dragamine RD 127-RD 134 (100 t).
Il mattino del 9 settembre, l’ammiraglio Brenta dispose l’immediata
partenza da Venezia di tutte le navi in grado di navigare (6 unità da guerra,
14 mercantili e 20 motovelieri) con l’ordine di dirigersi verso sud. Da Monfalcone giunsero il 9 settembre i sommergibili Nautilo e CM 1, in avanzato
allestimento, e il giorno seguente il MAS 518, che venne poi sabotato il 12
Motovedette tedesche in un canale di Venezia dopo il loro trasferimento dal Mar Ligure.
(Archivio Autore)
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
settembre. I due sommergibili non erano in grado di eseguire lunghe navigazioni, quindi furono catturati dalle forze tedesche. La motosilurante MS
74 partì la sera del 9 settembre, arrivando a Brindisi tre giorni dopo, mentre
la nave appoggio aerei Miraglia raggiunse Malta il 12 settembre.
La motonave Vulcania (24 648 tsl) lasciò Venezia verso le 2 del 10 settembre per dirigersi a Brioni, dove giunse poche ore dopo. Sulla motonavepasseggeri s’imbarcarono gli allievi di complemento. Il direttore dei corsi, il
capitano di vascello Enrico Simona, ritenne inopportuno far partire la nave
verso l’Italia meridionale, perché l’equipaggio del mercantile non era ritenuto affidabile e non vi era un’adeguata scorta che gli garantisse una buona
protezione contro eventuali attacchi della Luftwaffe e dei temuti sommergibili. Inoltre gli studenti erano privi di valide nozioni marinaresche. L’ammiraglio di divisione Gustavo Strazzeri, comandante della Piazza di Pola, autorizzò lo sbarco degli allievi; purtroppo molti di loro andarono a finire in un
campo d’internamento in Germania. La Vulcania fu incagliata nei dintorni
di Brioni, ma nei giorni successivi i tedeschi la disincagliarono e costatarono
che lo scafo non era seriamente danneggiato. Il 16 settembre numerosi soldati italiani catturati nella zona di Pola vennero fatti salire sulla Vulcania,
che li trasportò a Venezia. La motonave rimase inoperosa in questo porto fino alla fine della guerra. Verso le ore 6 del 10 settembre partì la torpediniera Audace (giunta da Trieste) con a bordo Ferdinando di Savoia, ma dovette
rientrare a Venezia il mattino seguente a causa di gravi avarie ai ventilatori
delle caldaie. Nelle ore pomeridiane un Cant Z 506 trasportò il principe a
Brindisi, dove si trovavano il re e i suoi familiari. Nel frattempo le truppe
tedesche avevano già occupato Marghera e il ponte sulla laguna, che era l’unico collegamento di Venezia con il retroterra. Nella stessa giornata, gli aerei tedeschi lanciarono sulla città volantini, che minacciavano gravi rappresaglie nel caso di sabotaggi.(1)
Il pomeriggio dell’11 settembre partì da Venezia il cacciatorpediniere
Quintino Sella; durante la navigazione incontrò diversi mercantili, tra cui il
piroscafo Pontinia (715 tsl), dietro il quale si trovava la motosilurante tedesca S 54 della 3a Flottiglia, che lanciò due siluri contro il cacciatorpediniere.
Questi ordigni colpirono il Sella, provocandone il rapido affondamento.
(1) La sera del 10 settembre l’ammiraglio Brenta e il contrammiraglio Zannoni decisero di avviare trattative con le forze di occupazione tedesche, perché era impossibile attuare un’efficiente resistenza armata, considerando l’esiguo presidio militare di Venezia.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Motosilurante tedesca nei dintorni di Venezia. (Archivio Autore)
Verso le 17:00 gli Ju 87 Stukas attaccarono nell’avamporto di Chioggia
i piroscafi Dubrovnik e Scarpanto, provenienti da Fiume, con a bordo personale dell’Intendenza della 2a Armata e familiari di militari. Il Dubrovnik (ex
iugoslavo Dedinje, 996 tsl) andò a fondo dopo esser stato colpito da bombe.
Nell’affondamento perirono circa 100 persone. Sei bombardieri in picchiata
colpirono con bombe incendiarie la grande nave passeggeri Conte di Savoia
(48 502 tsl), ormeggiata nel Canale di Malamocco, sulla quale divamparono devastanti incendi, che furono spenti con molta fatica dal personale dei
reparti antincendi della locale base navale.
Le motosiluranti S 54 e S 61 (con a bordo il comandante della 3a Flottiglia) arrivarono verso le ore 19:00 a Venezia. Un’ora dopo giunse alla stazione un treno carico di soldati e ufficiali, tra cui il maggiore Schmid, che
era stato nominato nuovo comandante della Base navale di Venezia.
Il 12 giugno nel porto veneziano si autoaffondò il dragamine ausiliario
Petronio (192 tsl), che fu recuperato e riprese servizio nella Kriegsmarine
dopo le necessarie riparazioni. Nella mattinata, una delegazione di ufficiali
tedeschi, comprendente anche il maggiore Schmid, s’incontrò con quella
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
italiana, formata dall’ammiraglio Brenta, dal contrammiraglio Zannoni e da
altri ufficiali. Durante l’incontro i tedeschi richiesero: di non far partire nessuna nave; di sospendere qualsiasi atto di sabotaggio; di disarmare tutti gli
uomini non appartenenti alle forze dell’ordine e di riunire nel Piazzale Roma tutti i militari presenti a Venezia. Tra la sera del 12 e il 15 settembre,
l’ammiraglio Brenta, il contrammiraglio Zannoni, il comandante Minotti,
altri ufficiali e circa 3000 soldati stanziati a Venezia furono fatti prigionieri
dai tedeschi, che li trasferirono dapprima in una caserma di Mestre e in seguito in un campo di internamento in Germania.(2)
Trieste e Monfalcone
Trieste fu il principale sbocco al mare dell’Impero austro-ungarico. Da questa città di antichissime origini transitarono nel corso della guerra importanti contingenti di soldati tedeschi destinati a essere impiegati in Grecia,
Iugoslavia e in Albania. Questi reparti venivano ospitati nel grande porto
triestino, dove la sera dell’8 settembre erano presenti la corazzata Conte di
Cavour, alla quale occorrevano ancora sei mesi per terminare l’approntamento, la torpediniera Audace, l’incrociatore ausiliario Ramb III, la corvetta
Berenice, la cannoniera Lido (230 t), il posamine Fasana (540 t), la nave
scuola Palinuro (ex iugoslava Vila Velebita, 260 t), il transatlantico Rex, la
nave passeggeri Duilio (23 636 tsl), il piroscafo tedesco Knudsen, altri 25
mercantili e le navi requisite impiegate nel servizio di vigilanza foranea e nel
dragaggio.
Nei rinomati cantieri di San Marco, di San Rocco a Trieste e nel Cantiere navale triestino a Monfalcone, che facevano parte della società Cantieri
(2) Le forze tedesche catturarono le seguenti unità: il cacciatorpediniere Sebenico
(ex iugoslavo Beograd, rinominato TA 43); la torpediniera Audace (TA 20); la corvetta
Colubrina (U.J. 205), le corvette in costruzione Spingarda (U.J. 208), Bombarda (U.J.
206), Carabina (U.J. 207), Scure (U.J. 209), Spingarda (U.J. 208), Zagaglia e Clava; i
sommergibili Nautilo, CM 1, la cannoniera Lido, il posamine Laurana, la motosilurante
MS 75, il MAS 518, due dragamine ausiliari (Addis Abeba, Adria), i dragamine in costruzione RD 127, RD 134, la nave scuola Marco Polo (ex Jadran), il transatlantico Saturnia, oltre 18 mercantili (tra cui Sabaudia, Scarpanto, Pontinia, Leopardi, Arengario,
Tampico, Santa Maria, Benvenuto Cellini, Ernesto, Jolanda, Luigi Martini), le cisterne
Pellice (ex Delia, 80 t), Aniene (254 t), Vippacco (269 t), Isarco (269 t) e Pescara (72 t), i
rimorchiatori Pozzi (100 t), N 78 (44 t), N 94 (38 t) e R.L. 1-3, 9 (48 t).
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Riuniti dell’Adriatico (C.R.D.A.) costituita il 18 settembre 1930, erano in
costruzione la corazzata Impero (46 215 t), gli incrociatori antiaerei Etna
e Vesuvio (6000 t), i cacciatorpediniere Comandante Botti e Comandante Ruta (2950 t) della classe “Comandanti Medaglia D’Oro”, sei torpediniere
(Alabarda, Lancia, Daga, Gladio, Pugnale, Spada) della classe “Spica 2a
serie”, quattro corvette (Egeria, Euridice, Melpomene, Tersicore) della classe
“Gabbiano”, nove sommergibili (Cromo, Ferro, Piombo, Potassio, Rame, Zinco, Bario, Litio, Sodio), tre sommergibili da trasporto (R 7-R 9, 2200 t), sette sommergibili tascabili (CM 1-CM 3, CB 17-CB 20), otto dragamine
(RD 115-RD 122, 120 t), tre rimorchiatori (Sant’Antonio, San Biagio e San
Cesario, 350 t) e almeno sette mercantili. Negli stessi cantieri erano in riparazione i sommergibili Argo (794 t), Beilul (683 t), Nautilo (905 t), il MAS
518, le motosiluranti MS 76 (69 t) e MS 41 (ex Orjen, 62 t) e il trasporto
Pluto (ex Dalesman). I cantieri di Monfalcone erano difesi da sette batterie
antiaeree.
Dopo l’annuncio dell’armistizio, il cap. vasc. Lorenzo Stallo, che dirigeva il Comando Marina di Trieste, ordinò a tutte le navi mercantili e militari
in grado di navigare di lasciare questo porto per evitare la cattura. Stallo ordinò all’Audace di uscire dal porto, e alla torpediniera Insidioso, proveniente
da Pola, di rimanere nella rada. Le motonavi Vulcania e Saturnia, i sommergibili Nautilo, CM 1, la cannoniera Lido, la motosilurante MS 76 e il MAS
518 si diressero a Venezia, dove giunsero tra il 9 e il 10 settembre.
Verso le ore 06:20 del 9 settembre le artiglierie tedesche aprirono il fuoco contro le sopraccitate torpediniere, che dovettero allontanarsi dalla rada
per evitare di essere colpite.
Tra le 06:30 e le 07:30 i soldati tedeschi, presenti nel porto, catturarono
il transatlantico Rex, l’incrociatore ausiliario Ramb III e altri sei mercantili.
Gli equipaggi degli altri 18 mercantili, tra cui quello del piroscafo passeggeri Duilio di 23 636 tsl, ebbero il tempo di sabotarli. I soldati tedeschi s’impadronirono inoltre di una batteria antiaerea da 76/40 e dei cannoncini antiaerei da 20 mm e da 37 mm dislocati sui moli. Verso le 07:30 la corvetta
Berenice tentò di lasciare il molo n. 6 per dirigersi verso Sud, ma i tedeschi
iniziarono a sparare con i cannoni antiaerei sistemati sulle alture, con l’artiglieria in dotazione al piroscafo armato Knudsen e forse anche dal Ramb III
(attraccati al molo n. 5) e con i cannoncini antiaerei presenti nel porto. La
corvetta rispose al fuoco, ma venne colpita da numerosi proietti di vario calibro che ne provocarono l’affondamento e la morte di almeno 50 uomini
dell’equipaggio. Il relitto della corvetta fu recuperato nei primi mesi del
1951.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
La torpediniera Audace e il sommergibile costiero Ambra, CM 1.
Il mattino del 10 settembre il Palinuro s’incontrò con le navi scuola
Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci, provenienti da Brioni, per proseguire
assieme il viaggio verso un porto dell’Italia meridionale. Il Palinuro non
aveva sufficiente carburante per portare a termine il trasferimento, quindi si
recò a Ortona, dove giunse la sera. L’equipaggio dovette tuttavia sabotare la
nave, perché le truppe tedesche stavano per occupare la città marchigiana.
Tra il 10 e l’11 settembre i reparti tedeschi completarono l’occupazione
di Trieste e di Monfalcone, riuscendo a catturare le navi presenti nel porto e
quelle in riparazione o in costruzione nei vari cantieri.(3)
(3) Le truppe tedesche catturarono: la corazzata in riparazione Cavour; l’incompleta Impero; gli incrociatori in costruzione Etna e Vesuvio (entrambi sabotati); i cacciatorpediniere appena impostati Botti e Ruta (demoliti dai tedeschi); le torpediniere in costruzione Gladio, Spada, Daga, Pugnale, Lancia e Alabarda (rinominate TA 37- TA 42),
le corvette in costruzione Egeria, Melpomene, Tersicore ed Euridice (U.J. 201-U.J. 204),
il sommergibile Beilul, i sommergibili in costruzione Cromo (demolito), Ferro
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Pola
Durante la seconda guerra mondiale Pola ebbe una certa importanza, perché vi erano numerose scuole destinate alla formazione del personale della
Regia Marina (telemetristi, cannonieri, motoristi, sommergibilisti, corsi per
gli ufficiali di complemento, ecc.) e l’importante base dei sommergibili usata anche dagli U-Boot della 29a Flottiglia. Dal giugno 1943 la Piazza di Pola era comandata dall’ammiraglio di divisione Gustavo Strazzeri, e da lui dipendevano i Comandi Marina di Trieste, Monfalcone, Fiume e Cherso-Lussino.(4) Questa importante base navale era sotto la giurisdizione del XIII
Corpo d’Armata, e assegnata alla 2a Armata (comandata dal generale Rebotti). La sera dell’8 settembre erano presenti a Pola cinque unità della Kriegsmarine (i sommergibili U 81, U 407, U 453 e le motosiluranti S 30 e
S 33) e circa 350 soldati e marinai tedeschi, che erano alloggiati sull’isolotto
di Scogli Olivi, collegato alla terraferma da un ponte. Tuttavia solo l’U 407
era in grado di partire, perché le altre unità erano sottoposte a riparazioni.
Nel porto erano presenti la corazzata Giulio Cesare, le torpediniere Sagittario e Insidioso, le corvette Urania e Baionetta, le cannoniere Cattaro e
Aurora, i sommergibili Serpente, Vettor Pisani e Goffredo Mameli, alcuni
M.A.S., le cisterne Verbano (602 t), Stige (1.364 t), Pertinace (ex Silnj, 200
t), tre mercantili, sei rimorchiatori, una flottiglia di dragamine ausiliari formata da motopescherecci requisiti dalla Regia Marina.
Il MAS 423 (13,8 t), impossibilitato a muoversi, si autoaffondò l’11
(UIT 12), Piombo (UIT 13), Potassio (UIT 10), Rame (UIT 11), Zinco (UIT 14), Bario
(UIT 7), Litio (UIT 8), Sodio (UIT 9); i sommergibili da trasporto in costruzione
R 7-R 9 (UIT 4-6); i sommergibili tascabili in costruzione CM 1 – CM 2 (UIT 17-UIT
18), CM 3 (demolito), CB 17 – CB 20, la motosilurante MS 41 (ex Orjen, sabotata), i
dragamine in costruzione RD 115-122 (120 t), quattro rimorchiatori, 26 mercantili e
altri sette in costruzione o in trasformazione, tra cui la N. 175 (1500 tsl), la Zaule (689
tsl), la motocisterna Antonio Zotti (6200 tsl), la motonave Ausonia (9300 tsl in trasformazione in nave ospedale). La moderna cisterna Illiria (8201 tsl) e la nave recuperi Arpione (320 tsl) si autoaffondarono nel porto di Trieste. Il sommergibile Argo, impossibilitato a muoversi, fu affondato dal suo equipaggio a Monfalcone.
(4) Dal 1943, Pola era difficilmente raggiungibile via terra, perché la linea ferroviaria era stata sabotata dai partigiani, che attuavano spesso agguati lungo le strade dell’Istria. Il rifornimento di acqua e di viveri era eseguito dalle navi cisterna della Regia Marina. Nel settembre la città e le sue infrastrutture militari erano difese da 20 batterie antiaeree e costiere e da diversi cannoncini antiaerei collocati in punti strategici.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
settembre. L’unità fu recuperata e riparata dai tedeschi, che la denominarono S 604. Nel cantiere di Pola erano in costruzione o ai lavori i sommergibili tascabili CB 7, CB 13, CB 14, CB 15, CB 16 e CB 21 (36 t).
Come previsto nelle condizioni dell’armistizio, tutte le navi in grado di
navigare lasciarono il porto per dirigersi verso sud. La torpediniera Sagittario e la corvetta Urania partirono assieme alla corazzata Giulio Cesare. Verso
le ore 12 del 10 settembre nel Canale d’Otranto le tre unità furono attaccate da dieci aerei da combattimento della Luftwaffe. Solo una bomba esplose
a breve distanza dalla corazzata, come si può leggere nel diario della Marina
tedesca. Il Giulio Cesare e il Sagittario nei giorni successivi raggiunsero Malta e l’Urania Taranto. Il sommergibile U 407 era pronto ad attaccare la corazzata nel porto, ma, come è ben descritto nel diario della Kriegsmarine,
gli fu impedito dalla presenza delle ostruzioni retali. I comandi italiani non
consentirono alle motosiluranti S 30 e S 33 e al citato U-Boot di salpare.
La corvetta Baionetta salpò il mattino seguente, e durante la navigazione ricevette l’ordine di raggiungere Pescara, dove imbarcò Vittorio Emanuele III, il maresciallo Badoglio, il governo e i capi di stato maggiore con il loro seguito. La corvetta ripartì per Brindisi, dove giunse il pomeriggio del 10
settembre.
La cannoniera Aurora salpò il 9 settembre per dirigersi a Sebenico, ma
raggiunta Zara il comandante venne informato che i reparti tedeschi avevano già occupato la città, e quindi decise di recarsi ad Ancona. Il giorno 11
la cannoniera fu attaccata al largo della città marchigiana dalle motosiluranti tedesche S 54 e S 61, che stavano risalendo l’Adriatico. L’Aurora fu affondata da un siluro lanciato dalla S 61. Le due unità tedesche recuperarono i
sopravvissuti. La torpediniera Insidioso scortò il 9 settembre alcune navi tra
Pola, Trieste e Venezia. Il mattino seguente dovette cedere parte del carburante alla motonave passeggeri Vulcania in partenza da Brioni, ma poi non
partì. La torpediniera fu sabotata e abbandonata dal suo equipaggio. I sommergibili Serpente, Pisani e Mameli lasciarono Pola il 9 settembre. Il Serpente si autoaffondò nei dintorni di Ancona il pomeriggio del 12 settembre,
mentre gli altri sommergibili raggiunsero l’Italia meridionale.(5)
(5) I tre mercantili lasciarono tra il 9 e il 10 settembre il porto istriano per dirigersi
verso Sud, tra cui la nave passeggeri Eridania (7095 tsl con a bordo il personale delle
scuole dei sommergibilisti e motoristi navali), che giunse a Sebenico la sera del 10 settembre. Il comandante della Marina comunicò che le forze tedesche erano poco lontane
dalla città dalmata, quindi il mattino seguente ripartì per dirigersi verso Ancona. Verso
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Il mattino del 12 settembre i soldati tedeschi della 71a Divisione fanteria entrarono a Pola senza grandi difficoltà. Poco dopo le ore 15:00 il Comando tedesco prese il controllo della città istriana. L’ammiraglio di divisione e il capo di stato maggiore furono fatti prigionieri e trasferiti in un campo di internamento in Germania.(6)
Il 14 settembre il comandante di Pola richiese al Comando della Marina tedesca l’invio urgente di navi italiane di grande stazza per il trasferimento di 30 000 prigionieri, perché il trasporto via terra era impraticabile. La
motosilurante S 30 scortò il 16 settembre la motonave Vulcania con a bordo migliaia di soldati italiani fatti prigionieri da Pola a Venezia, dove giunse
il giorno seguente.
Fiume
In questa città portuale esisteva un Comando della Regia Marina che era
retto nel settembre dal 1943 dal cap. vasc. Alfredo Crespi. Fiume era sotto
la giurisdizione del V Corpo d’Armata (generale Squero) assegnata alla 2a
Armata (comandata dal generale Mario Robotti). Nel porto di Fiume la sera
dell’8 settembre si trovavano i sommergibili Ametista, Otaria e Ruggero Settimo, la nave appoggio sommergibili Quarnerolo (usata dalla locale scuola),
l’incrociatore ausiliario Mocenigo, dieci piroscafi e almeno quattordici motovelieri.
Il cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, le torpediniere Giuseppe Dezza e
T 3, e il rimorchiatore Pianosa (160 t) erano sottoposti a lunghe riparazioni
nei locali cantieri, dove erano in costruzione le torpediniere Balestra,
Fionda, Spica e Stella Polare della classe “Spica 2a serie” e la motonave Vittorio Locchi (4573 tsl). La notte fra il 9 e il 10 settembre il generale Gastone
Gambara assunse il comando della 2a Armata al posto di Robotti. Il matti-
mezzogiorno o nel primo pomeriggio del 12 settembre tre Ju 87 Stukas la costrinsero a
recarsi a Zara, dove attraccò alle ore 15:00, trovandola già conquistata dai reparti tedeschi.
(6) I tedeschi catturarono la torpediniera Insidioso (rinominata TA 21), la cannoniera Cattaro (ex Niobe, ex Dalmacija, 3200 t, a Pola per l’esecuzione di alcuni lavori), i
sei sommergibili tascabili (CB 7, CB 13-CB 16 e CB 21), le tre cisterne (Verbano, Stige,
Pertinace), il piroscafo Dea Mazzella (3082 tsl), cinque rimorchiatori e due dragamine
ausiliari.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
no seguente il nuovo comandante dell’Armata trattò con i tedeschi i termini
della resa. Al termine delle trattative Gambara ordinò al cap. vasc. Crespi di
evacuare i funzionari civili italiani presenti nella città, di allontanare tutti le
navi presenti nel porto e di rimpatriare i fondi della Banca d’Italia.(7)
La tarda sera del 10 settembre erano rimasti nel porto la vecchia torpediniera T 3 (ex iugoslava T 3) e tre mercantili sabotati dai loro equipaggi e
probabilmente riusati dai tedeschi dopo le necessarie riparazioni.
Il 12 settembre la città venne occupata dalle truppe tedesche senza grosse difficoltà.
EVENTI NEI PORTI E LUNGO LE ISOLE DELLA DALMAZIA
Spalato e le isole di Pelagosa e di Lagosta
Nell’antica città di Spalato esisteva nel settembre del 1943 il Comando marittimo militare della Dalmazia, comandato dall’ammiraglio di divisione
Antonio Bobbiese, dal quale dipendevano il Comando militare marittimo
di Sebenico (capitano di corvetta Riccardo Lesca) e quattro Comandi Marina (Spalato, Ragusa, Ploce e Zara). Il compito di questo Comando era di
assicurare la difesa del traffico costiero lungo le coste dalmate.
L’ammiraglio Bobbiese predispose come nelle altre basi finora descritte
tutti i provvedimenti necessari affinché tutte le navi in grado di partire per
rientrare in Italia potessero lasciare questo porto commerciale, dove erano
presenti la torpediniera T 5, l’avviso scorta Ernesto Giovannini, la cannoniera Illiria, la nave appoggio sommergibili Curzola, un posamine, il MAS 431
(7) Il 10 settembre partirono da Fiume i sommergibili, l’incrociatore ausiliario, la
nave appoggio Quarnerolo, sette piroscafi (tra cui il Leopardi con a bordo 700 soldati,
Iadera con il tesoro della Banca d’Italia, Dubrovnik e Scarpanto con a bordo civili e militari dell’Intendenza, Lanciotto Padre) e i 14 motopescherecci. I sommergibili Otaria,
Ruggero Settimo e il Mocenigo raggiunsero Taranto, e la nave appoggio Quarnerolo Brindisi. La motonave Leopardi venne catturata dalla motosilurante S 54 non lontano da
Venezia; il piroscafo Dubrovnik fu affondato dagli Ju 87 Stukas nell’avamporto di
Chioggia la sera dell’11 settembre, mentre il piroscafo Lanciotto Padre (225 tsl) lasciò
Fiume per dirigersi a Taranto, ma andò perso verso le ore 10 del 16 settembre in seguito
alla deflagrazione di una mina probabilmente italiana nel Golfo di Taranto. Il sommergibile Ametista si autoaffondò assieme al Serpente a poca distanza dal porto di Ancona.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
(impossibilitato a muoversi), alcuni piroscafi, una cisterna d’acqua, due motovedette e altrettanti motovelieri requisiti dalla Regia Marina per la vigilanza foranea.(8)
Il mattino dell’11 settembre i velivoli della Luftwaffe, in particolare gli
Ju 87 Stukas, attaccarono le navi che stavano tentando di uscire da Spalato.
Verso le ore 10:20 il vecchio piroscafo da carico Nicolò Martini (634 tsl) s’inabissò nei pressi di questo porto dopo essere stato colpito da alcune bombe aeree.
Rimasero a Spalato il cacciatorpediniere in costruzione Spalato (ex Split,
2700 t), il MAS 431 (sabotato), il piroscafo San Luigi (4356 tsl), due rimorchiatori, la motovedetta Saba (42 t), tre motovelieri che erano impossibilitati a muoversi o di scarso valore.
L’ammiraglio Bobbiese, terminati i suoi compiti, lasciò nella notte fra
l’11 e il 12 settembre Spalato con i suoi collaboratori e con altri ufficiali del
Comando, usando un motoscafo dell’Illiria, che si era allontanata dalla zona poche ore prima. L’ammiraglio raggiunse l’isola di Cazza, dove poté
prendere contatto con il Comando Marina di Lagosta (cap. corv. Alfredo
Verra), dove erano presenti la torpediniera T 5, tre cacciasommergibili e alcuni dragamine delle squadriglie di Ragusa e di Lagosta.
Il pomeriggio del 13 settembre gli aerei della Luftwaffe bombardarono
e mitragliarono le navi presenti nel porticciolo. Nelle ore notturne tutte le
navi lasciarono Lagosta per recarsi a Brindisi; alcune di esse fecero una breve
sosta a Vieste.
I partigiani della 1a e della 4a Brigata dalmata ebbero sufficiente tempo
per trasferire nelle regioni montagnose grossi quantitativi di materiale bellico sottratti alle nostre truppe dislocate a Spalato e di reclutare molti suoi
abitanti.
Il 17 settembre un convoglio italiano, formato dai piroscafi Ulisse, Borsini, Pallade e dal rimorchiatore Capodistria, raggiunse Pelagosa e Lagosta
sotto la protezione della corvetta Pomona, evacuando molti militari italiani
presenti su queste splendide isole adriatiche.
Quattro motovelieri, messi a disposizione dai partigiani fra il 18 e il 22
(8) La sera del 9 settembre le due torpediniere, il posamine, la cisterna, due rimorchiatori e le navi requisite della Regia Marina salparono per dirigersi verso i porti dell’Italia centrale e meridionale. Nella stessa giornata gli idrovolanti della R. Marina si trasferirono agli idroscali di Brindisi e Taranto. Il 10 settembre partì la nave appoggio
Curzola per raggiungere Brindisi.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
settembre, e sei piroscafi (Diocleziano, Ston, Corfù, Persani, Borsini, Risagno), che facevano parte di un convoglio proveniente dall’Italia, portarono
in salvo una parte dei marinai e dei soldati della Divisione Bergamo presenti a Spalato. Il convoglio fu scortato dalla torpediniera Aretusa e dalla corvetta Chimera.
Verso le ore 7:30 del 24 settembre alcuni Ju 87 Stukas danneggiarono il
piroscafo Diocleziano (2527 tsl), provocando la morte di 300 militari italiani. La corvetta Chimera assistette il piroscafo, che dovette essere incagliato
presso l’isolotto Bussi a SW di Lissa. Alle 9:30 una seconda formazione di
Stukas attaccò il piroscafo danneggiato e la corvetta, che riuscì ad abbattere
due velivoli tedeschi. Pochi minuti dopo il convoglio subì un secondo attacco aereo mentre stava proseguendo il viaggio verso Bari, dove giunse la sera
del 25 settembre. Il piroscafo Borsini fu colpito da una bomba che per fortuna non esplose. La corvetta rientrò a Bari con 240 naufraghi del Diocleziano. Nei giorni successivi il rimorchiatore Capodistria e tre motovelieri
raggiunsero il Diocleziano, prestando soccorso ai militari presenti ancora sul
piroscafo, che vennero trasportati a Bari dalle quattro imbarcazioni.
Lagosta aveva bisogno di essere urgentemente rifornita di acqua e di viveri. I Comandi militari inviarono dapprima la cisterna Mincio, che il 24
settembre trasportò un rifornimento d’acqua al presidio militare presente
sull’isola, mentre i piroscafi Ulisse e Fanny Brunner, sotto la protezione della
torpediniera Cosenz, provvedevano a portare le razioni di viveri, che giunsero a Lagosta verso le ore 19 del 25 settembre. Dopo aver scaricato le provviste, sui due piroscafi si imbarcarono altri militari; verso le ore 21:30 erano
pronti a ripartire, ma pochi minuti dopo l’Ulisse speronò accidentalmente la
torpediniera sul fianco sinistro, provocando una falla in prossimità del locale della macchina di poppa. I lavori di tamponamento durarono alcune ore.
Nel frattempo la Fanny Brunner intraprese il viaggio per rientrare in Italia,
la danneggiata torpediniera non poté esser portata in salvo dall’Ulisse, perché nei due giorni successivi i bombardieri tedeschi, in particolare gli Stukas, eseguirono diverse incursioni contro le navi presenti a Lagosta. Le deflagrazioni delle bombe causarono a bordo della torpediniera altre falle e diversi incendi che non poterono esser spenti. Il Cosenz andò a fondo verso le
ore 14 del 27 settembre. Uno dei velivoli nemici fu abbattuto dalle mitragliere antiaeree dalla torpediniera. L’Ulisse rientrò in Italia con a bordo anche l’equipaggio della nave affondata.
Il 27 settembre reparti del 15° Corpo d’armata tedesco ripresero il controllo di Spalato, subendo importanti perdite secondo le fonti iugoslave.
I militari italiani fatti prigionieri furono portati in campi di interna83
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
mento in Germania, tranne i generali Angelo Policardi, Salvatore Pelligra e
Alfonso Cigala Fulgosi, uccisi barbaramente il 30 settembre in prossimità di
Spalato alle fornaci di Signo, e altri 47 ufficiali uccisi anch’essi a colpi di
mitragliatrice nei pressi di Spalato, a Treglia, il 1° ottobre.
Sebenico
A Sebenico, posta in una profonda insenatura alla foce del fiume Krka, esistevano una base navale di una certa importanza e diversi comandi militari,
tra cui quello della Regia Marina (Comando militare marittimo), che era
comandato dal capitano di vascello Pietro Tacchini.
La sera dell’8 settembre erano ormeggiate nel porto le vecchie torpediniere T 6 e T 8, i MAS 430, MAS 433, il posamine Pasman, la cannoniera
Levrera (ex iugoslava Klis), il piroscafo Marino (700 tsl), la cisterna Cherca,
sette rimorchiatori della Regia Marina, le motobarche M.B. 22 e M.B. 25
(ciascuna da 20 t) e tre motovelieri armati assegnati alla 27a Flottiglia Dragamine. Il giorno 10 la torpediniera T 6 ebbe l’ordine di recarsi a Lussino,
ma nel dubbio che l’isola fosse già stata conquistata dai tedeschi preferì recarsi a Cesenatico, dove giunse la tarda mattina dell’11 settembre.
Il comandante della torpediniera (ten. vasc. Guido Suttora) non ebbe
informazioni precise su Ancona, dove avrebbe potuto rifornirsi di carburante per proseguire il viaggio verso sud, quindi si diresse al largo della cittadina romagnola, dove affondò la sua nave verso le ore 18.
La T 8 venne affondata dai velivoli della Luftwaffe il pomeriggio dell’11
settembre a Punta Olipa nei canali dalmati. Il MAS 433 raggiunse il porto
di Brindisi, dove il 14 dicembre fu radiato assieme al MAS 434. Il piroscafo
Marino (700 tsl) salpò da Sebenico per l’Italia del Sud, ma non vi giunse
mai: probabilmente andò a fondo dopo aver urtato una mina. Il mattino
dell’11 settembre le truppe motorizzate tedesche entrarono in città, confiscando in un cantiere il piroscafo San Luigi (4356 tsl), e nel porto il posamine Pasman, il MAS 430, i rimorchiatori, le motobarche e il motoveliero.
Zara e gli altri porti dalmati
Zara, centro di antichissime origini, era stata attribuita all’Italia nel 1920
come previsto dal Trattato di Rapallo.
Nel settembre del 1943 questa città e le isole circostanti erano presidia84
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
te dai soldati della Divisione Zara, assegnata al XVIII Corpo d’armata, comandato dal generale Umberto Spigo, i cui reparti erano sempre più impegnati a contrastare l’attività della guerriglia.
Il 10 settembre, un reparto della 114a Divisione cacciatori (114. Division Jäger), comandato dal maggiore Teissl, prese il controllo della città, e
un altro contingente della stessa divisione, guidato dal capitano Strozer, occupò l’importante aeroporto di Zemunik. Nel porto vennero anche catturati la cannoniera Levrera e il motoveliero Freccia Nera (29 tsl). Sempre il 10
settembre le truppe tedesche occuparono i porti di Metcovich e Ragusa
(Dubrovnik) senza incontrare grosse difficoltà. A Gravosa i tedeschi presero
possesso della torpediniera T 7 (ex iugoslava T 7, 338 t) e del rimorchiatore
PE 107 (ex iugoslavo R 5, 30 t).
Teodo e le Bocche di Cattaro
Nel settembre del 1943 a Teodo, posta all’interno delle Bocche di Cattaro,
esistevano un arsenale della ex Marina iugoslava e il Comando Marina, retto dal capitano di vascello Mario Azzi, che dipendeva in quel momento da
Marialbania, nonostante Cattaro sia geograficamente parte della Dalmazia.
La divisione di fanteria Emilia, comandata dal generale Buttà, del XIX Corpo d’Armata (appartenente alla 9a Armata), aveva giurisdizione su questo
splendido territorio.
Il mattino dell’8 settembre si rifugiò nelle Bocche di Cattaro un convoglio – formato dalla motocisterna Annarella, dal piroscafo Milano (4028 tsl)
e dalle torpediniere T 1 e Giuseppe Cesare Abba – che doveva raggiungere
Durazzo, perché era stata segnalata la presenza di un sommergibile alleato.
A Teodo e nell’arcipelago erano ormeggiati il dragamine R 27, la MS 47, il
MAS 434, i piroscafi Fanny Brunner, Teodo, Borsini e almeno dieci rimorchiatori e due motovelieri requisiti.
Il pomeriggio del 10 settembre gli Ju 87 Stukas attaccarono la motocisterna Ardor (8960 tsl), provocando gravi danni e la morte del comandante
e di metà dell’equipaggio. Il mercantile andò alla deriva nonostante i tentativi di rimorchiarlo e infine s’incagliò sulla costa.(9)
(9) Il piroscafo Diocleziano, che si trovava a poca distanza dall’Ardor, giunse all’interno dell’insenatura senza esser stato attaccato dai velivoli nemici. Il mattino dell’11
settembre nove Cant Z 501 della ricognizione marittima si trasferirono a Taranto.
85
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
La sera il generale Buttà comunicò al comandante Azzi che stava per
giungere una colonna tedesca, autorizzata a prendere in consegna le batterie
costiere e le artiglierie tedesche.(10) Il 12 settembre il mercantile danneggiato
fu definitivamente affondato dai bombardieri tedeschi, nel frattempo aumentò la tensione tra i nostri militari e i soldati tedeschi.
Poco dopo le 5:00 del 14 settembre 190 marinai e carabinieri e una
compagnia di mitraglieri attaccarono il contingente di truppe tedesco a Lepetane. Nelle stesse ore altre unità dell’Esercito stavano combattendo i reparti tedeschi giunti a Cobila, attorno all’aeroporto di Gruda e a Teodo con
il supporto di alcune batterie. I combattimenti proseguirono fino al tardo
pomeriggio del 15 settembre, quando le nostre forze furono sopraffatte dai
contingenti germanici provenienti anche dall’entroterra.(11)
LA FORTUNATA MISSIONE DELLE MOTOSILURANTI TEDESCHE S 34 E S 54
La sera dell’8 settembre nel Mar Piccolo a Taranto erano attraccate le
motosiluranti tedesche S 54 (sottoten. vasc. Klaus-Degenhard Schmidt)
e S 61 (Obermaat Blömker) e la motozattera tedesca F 478. Poche ore
dopo l’annuncio dell’armistizio, gli equipaggi tedeschi salparono dal
porto pugliese come ordinato dalle autorità militari italiane con a bordo
un carico di 32 mine magnetiche tedesche, che posarono senza farsi notare nel Mar Grande e lungo le rotte di accesso, mentre lasciavano Taranto.
(10) Nelle ore successive il comandante Azzi ordinò la partenza delle torpediniere e
della motosilurante, che avevano a bordo 400 militari, e inviò ad Antivari il MAS 434 e
due dragamine ausiliari per portare in salvo il personale della capitaneria e di alcune stazioni di vedetta. L’11 settembre il piroscafo Teodo, il dragamine R 27 e due rimorchiatori salparono dalle Bocche di Cattaro con a bordo 250 soldati italiani e il giorno seguente i motovelieri Dessiè e Saturnia col personale di una batteria costiera. Queste imbarcazioni stracariche di militari italiani partirono senza le dovute autorizzazioni per fuggire
dall’imminente arrivo del nemico.
(11) In totale perirono o rimasero feriti circa 200 militari italiani, mentre i tedeschi
ne persero oltre 170. Il capitano Azzi fu ferito alla spalla e dovette essere ricoverato nel
nostro ospedale di Meline, dove fu fatto prigioniero e trasferito in Germania assieme ai
nostri militari che non poterono lasciare Cattaro a bordo dei piroscafi Borsini, Diocleziano, Annarella e Fanny Brunner salpati la sera del 15 settembre, raggiungendo un porto italiano. In totale dalle Bocche di Cattaro giunsero in Italia circa 6200 persone.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Alle ore 5:00 le due motosiluranti e la motozattera raggiunsero il
mare aperto e si diressero verso il Canale d’Otranto, navigando non lontano dalla costa pugliese. Le tre unità viaggiavano a una velocità di appena 9 nodi, ma quando apparve all’orizzonte l’incrociatore leggero Scipione Africano, che si stava dirigendo a Pescara per portare in salvo a
Brindisi il re, Badoglio e i membri del governo, la motozattera venne autoaffondata dall’equipaggio che si trasferì sulle motosiluranti.
Nei pressi di Santa Maria di Leuca le motosiluranti fermarono il
motoveliero requisito Vulcania (91 tsl), usato dalla Regia Marina nel
dragaggio, che venne affondato verso le 12:45 con una carica esplosiva.
Nelle ore pomeridiane del 10 settembre le unità anglo-americane,
che attuarono l’Operazione Slapstik destinata a trasportare la 1a Divisione aviotrasportata a Taranto, raggiunsero il porto pugliese, subendo la
perdita del moderno incrociatore-posamine Adbiel (2650 t), che si inabissò in seguito alla deflagrazione di una o più mine posate dalle unità
tedesche; purtroppo 168 dei 400 soldati imbarcati sull’incrociatore-posamine perirono nell’affondamento. Sulle temibili mine tedesche andò
perso il 28 settembre anche il dragamine ausiliario Sperone (170 tsl).
Il mattino dell’11 settembre la cannoniera Aurora si scontrò con le
due motosiluranti al largo di Ancona. Il siluro lanciato dalla S 61 provocò l’affondamento dell’Aurora. Settanta sopravvissuti vennero salvati
dalle due unità.
Nella stessa zona la S 54 fermò la moderna motonave Leopardi
(4572 tsl, completata nel 1943), proveniente da Fiume, che aveva a bordo oltre 700 militari e alcune decine di civili. Sul mercantile salirono alcuni soldati armati che costrinsero l’equipaggio a proseguire la navigazione in direzione di Venezia. Poco dopo la S 61 fermò la motonave da
carico Sabaudia (1800 tsl) nella posizione 44° 08’ N, 14° 05’ E, come
riportano le fonti tedesche.
Il pomeriggio a circa 30 miglia a sud di Venezia la S 54 fermò il piroscafo Pontinia (715 tsl), e verso le 17:45 affondò con due siluri il cacciatorpediniere Quintino Sella (proveniente da Venezia), per dirigersi poi
verso sud.
La sera la S 54 e la S 61 e i mercantili catturati raggiunsero Venezia.
Le due motosiluranti, pressoché prive di carburante e di siluri, parteciparono all’occupazione della città.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Sin dalla seconda metà di settembre, otto motosiluranti britanniche
della 20a e della 24a Flottiglia furono dislocate nel porto di Taranto per
operare nell’Adriatico meridionale e nel Canale d’Otranto. I comandi della
Royal Navy pianificarono un’incursione contro il porto di Valona, dove si
trovavano ancora numerosi mercantili sotto controllo dei tedeschi. Presero
parte a quest’operazione cinque motosiluranti (MTB 85, 89, 287, 290 e
295), che eseguirono l’incursione la notte del 21 settembre.
Le MTB 85 e MTB 89 della 24a Flottiglia operarono nella parte settentrionale del Golfo di Valona, le altre tre unità della 20a Flottiglia nella parte meridionale. Il tenente Scott, imbarcato sulla MTB 89, avvistò tre mercantili all’ancora vicino a una batteria costiera; uno dei mercantili era leggermente separato dagli altri. L’ufficiale ordinò alla MTB 85 di silurare il
mercantile isolato, mentre gli altri due mercantili furono attaccati dalla
MTB 89. Una di queste navi era carica di munizioni, che esplosero quando
l’unità, probabilmente il piroscafo italiano Rovigno (451 tsl), fu colpita da
un siluro. Anche la MTB 295 lanciò un siluro, che colpì una delle navi.
Non sicure dei risultati ottenuti, le motosiluranti eseguirono due attacchi
con le bombe di profondità, che arrecarono altri danni ai due mercantili superstiti. A questo punto le batterie costiere entrarono in funzione, perciò le
unità britanniche si dovettero ritirare per evitare di essere colpite; ma la
MTB 295 fu danneggiata da un’ostruzione sommersa, segnalata nelle carte
navali fornite dalla Regia Marina. L’unità riuscì comunque a raggiungere la
base a una velocità di 9 nodi; più tardi fu rimorchiata dal cacciatorpediniere
Ilex. La notte successiva, le MTB 296 e 298 attaccarono senza successo l’incrociatore Niobe a NW di Zara.
Dopo pochi giorni le due flottiglie di motosiluranti si spostarono a
Brindisi, dove il 28 settembre arrivò la nave appoggio Vienna della Royal
Navy, usata dal personale delle due flottiglie. L’8a Armata britannica riuscì a
liberare il 27 settembre Foggia, e il 1° ottobre il piccolo porto di Manfredonia. In seguito le motosiluranti delle due flottiglie e la nave appoggio si trasferirono a Bari, ma non conseguirono nessun successo nelle successive settimane, poiché i convogli tedeschi navigavano soprattutto nella parte settentrionale dell’Adriatico.(12)
(12) Nel frattempo gli ufficiali della Royal Navy presero contatto con le forze insurrezionali iugoslave e albanesi che stavano combattendo contro le truppe tedesche. Il
16 ottobre tre motosiluranti (MTB 242, MTB 81, MTB 97) della 24a Flottiglia furono
trasferite temporaneamente sull’Isola di Lissa per ispezionare le attrezzature del piccolo
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Ottobre 1943
Nell’ottobre del 1943 i velivoli alleati svolsero ben 42 000 sortite contro
obiettivi nell’Italia centro-settentrionale, sganciando ben 16 000 t di bombe. Il giorno 2 la cisterna Emilia (175 tsl) fu catturata dai partigiani di Tito
nei pressi dell’isola di Veglia (Dalmazia).
Negli ultimi giorni di settembre, alcuni mercantili requisiti dai tedeschi
nei porti dell’Italia settentrionale, come la motonave Pozarica, i piroscafi
Merano e Dea Mazzella, erano partiti da Trieste con destinazione Cattaro.
L’artiglieria dei partigiani iugoslavi bersagliò questi mercantili a sud di Sebenico. Pozarica e Merano dovettero interrompere la navigazione e rientrare a
Trieste, mentre il piroscafo Dea Mazzella (3082 tsl) sarebbe stato affondato
da una batteria costiera partigiana, come si può leggere nel diario della Marina tedesca. Nelle fonti italiane è indicato che il mercantile fu affondato
dal sommergibile polacco Sokol il 4 ottobre. Il vecchio incrociatore Cattaro
(ex tedesco Niobe) fu usato dalla Kriegsmarine nel mese di ottobre come
batteria antiaerea per proteggere Trieste.(13)
Alle ore 07:40 del 7 ottobre il sommergibile Sokol affondò il piroscafo Eridania (7095 tsl), in navigazione da Pola a Fiume, nei pressi di Capo
Promontore (Pola) e il pomeriggio non riuscì a silurare i piroscafi Sansego
e Ugliano. Il Sokol emerse e sparò con il cannone da 100 mm contro l’Ugliano, che rispose al fuoco con l’artiglieria in dotazione, colpendo con diversi proietti di mitragliatrice il ponte del sommergibile.
Alle ore 7 del 10 ottobre i velivoli alleati attaccarono le navi presenti
nella rada di Cattaro, provocando alcuni danni al piroscafo Boccaccio. I cannoncini antiaerei della petroliera Knudsen abbatterono un aereo nemico.
Durante il mese i cacciatorpediniere Tyrian e Tumult della 24a Flottiglia
eseguirono alcuni pattugliamenti nel basso Adriatico e lungo le coste albanesi. Alle ore 17 del 14 ottobre i due cacciatorpediniere britannici affondarono all’altezza di Lissa il piroscafo da carico Olimpia (6040 tsl), catturato a
Trieste il 9 settembre, in navigazione verso il basso Adriatico, e alle ore
porto di Komiza, che diventerà una base avanzata per le forze costiere britanniche nel
1944.
(13) L’incrociatore era dotato di sei cannoni antiaerei da 83,5 mm, quattro da 47
mm, quattro cannoncini da 20 mm, due da 13,2 mm e 14 mitragliatrici. Nel diario
della Kriegsmarine è riportato: “Kreuzer Cattaro ist als schwimmende Flak-Batterie für
Triest vorgesehen”.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
00:30 del 15 ottobre intercettarono il piroscafo passeggeri Merano (3705
tsl) tra l’isola di Cazza e l’isolotto di Cazziol. L’equipaggio tedesco iniziò a
sabotarlo, ma due ore dopo il piroscafo fu affondato a cannonate dai cacciatorpediniere. Il mercantile si stava dirigendo da Zara a Cattaro.
Sin dalla fine di settembre gli Alleati controllavano gran parte dell’Italia
meridionale, e i partigiani di Tito numerose isole e alcuni tratti del litorale
tra la Dalmazia e l’Istria. Il capitano britannico Hans V. Tofte e il tenente di
vascello Robert S. Thompson dell’Office of Strategic Services (OSS), che aveva
una sede a Bari, organizzarono l’Operazione Audrey, destinata a far giungere
ai partigiani di Tito e ai cetnici di Draza Mihailovic grandi quantitativi di armi e rifornimenti che prima venivano trasportati dagli aerei, quindi in quantità molto limitate. L’operazione iniziò il 15 ottobre e terminò solo nel gennaio 1944. Oltre trenta mercantili, messi a disposizione dal governo iugoslavo in esilio e dagli Alleati, trasportarono in Dalmazia nel periodo sopraccitato oltre 11 600 t di rifornimenti e circa 2000 partigiani della Brigata Oltremare, mentre portarono in salvo in Italia 700 feriti e migliaia di rifugiati.
Il 15 ottobre la torpediniera Missori, alla quale i tedeschi non avevano
ancora assegnato la sigla TA 22, protesse con il suo tiro i reparti dell’Esercito tedesco impegnati lungo il litorale a est di Fiume. Inoltre eseguì pattugliamenti nel Canale di Morlacco e nei dintorni dell’isola di Veglia (Krk).
L’artiglieria dei partigiani cannoneggiò la torpediniera, che subì perdite fra
il personale, com’è riportato nel diario della Kriegsmarine.
I velivoli alleati danneggiarono il 16 ottobre il piroscafo San Gigi (3666
tsl) a Ragusa, e il giorno seguente a Cattaro la motonave Potestas (5237 tsl).
Il 18 ottobre il mercantile tedesco Elisabeth Henrik Fisser (5145 tsl) andò perso lo stesso giorno in seguito all’esplosione di una mina nei dintorni
di Ragusa, come afferma il noto storico Jürgen Röhwer. Lo stesso girono lo
stato maggiore dei partigiani iugoslavi decise di creare una propria Marina
(Mornarica Narodnooslobodilaãke Vojske Jugoslavije - NOVJ), scegliendo come comandante il tenente colonnello Josip Cerni. In quel momento la Marina partigiana aveva a disposizione 9 o 10 navi armate, 30 navi pattuglia e
un buon numero di navi ausiliarie di ridotte dimensioni, 6 batterie costiere
e circa 3000 partigiani dislocati sulle isole. Il 26 ottobre 1943 la Marina
partigiana istituì cinque settori costieri e marittimi (Pomorsko Obalskih
Sektora - POS).(14)
(14) Le navi armate (NaoruÏani brodovi - NB) erano in precedenza motovelieri, pescherecci e piccoli piroscafi, che entrarono in servizio nella Marina NOVJ dopo l’armi-
90
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Il 21 ottobre le truppe tedesche occuparono senza combattere le isole
croate Prvic e Tijat e una moderna batteria, dotata di cannoni 94,3 mm, a
nord di Fiume. La notte fra il 21 e il 22 ottobre il piroscafo Bojana (249
tsl), in navigazione da Durazzo a Teodo, fu affondato dal cacciatorpediniere
Tumult con cariche esplosive.
Il sommergibile U 453 (Ten. vasc. von Schlippenbach), salpò il 21 ottobre da Pola per andare a posare uno sbarramento di 24 mine nei pressi di
Brindisi. Lo sbarramento fu collocato la sera del 24 ottobre, ma non causò
nessuna perdita. Il sommergibile rientrò a Pola sei giorni dopo.
Tra il 23 e il 24 ottobre i reparti tedeschi presero il controllo delle isole
di Cirje e Murtes nei dintorni di Sebenico. In queste due operazioni le unità della Kriegsmarine catturarono quaranta piccole imbarcazioni.
Novembre 1943
Durante questo mese i velivoli della Mediterranean Allied Air Force sganciarono altre 7870 t di bombe nell’Italia centro-settentrionale.
Verso le ore 15:30 del 2 novembre, dieci velivoli britannici danneggiarono gravemente il piroscafo Marco (1487 tsl), ormeggiato a Spalato. Nella
stessa giornata la splendida città di Zara venne per la prima volta bombardata dagli aerei alleati, che nel giro di un anno la distrussero quasi completamente.
Il piroscafo Esterina (1213 tsl), impiegato dai tedeschi lungo la costa
dalmata, andò a fondo il 6 novembre dopo esser stato colpito da alcune
bombe durante un’incursione aerea britannica su Spalato.
In novembre le motosiluranti S 54 e S 61 della 3a Flottiglia furono trasferite nel Dodecaneso per attaccare le navi alleate presenti in quel settore
del Mar Egeo, mentre in Adriatico rimasero solo due unità (S 30 e S 33)
che svolsero missioni lungo le coste adriatiche italiane e in Dalmazia.
La cattura di diverse navi da guerra italiane, dopo l’8 settembre, permise alla Kriegsmarine di trasformare l’11a Flottiglia di sicurezza portuale
nell’11a Flottiglia di sicurezza. Il comando della flottiglia fu assegnato al capitano di corvetta Kleist, che era già comandante della sopraccitata flottiglia
stizio italiano. I partigiani le armarono con i cannoncini da 40 cm (2 libbre) di provenienza britannica, da 20 mm e con numerose mitragliatrice di produzione italiana. Soltanto due navi erano costruite in acciaio. Le navi pattuglia erano piccoli pescherecci e
motobarche che vennero dotati di mitragliatrici di vario calibro.
91
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
di protezione portuale istituita a Trieste nel maggio del 1943. La flottiglia
svolse diversi tipi di missioni: la scorta ai convogli, la protezione delle coste,
la posa di campi minati e la lotta antisommergibile.(15)
Il sommergibile U 81 salpò il 10 novembre da Pola per andare a svolgere una missione nel Mar Ionio e nel Golfo di Taranto, dove il 18 novembre
mandò a fondo il mercantile britannico Empire Dunstan (2887 tsl). L’U 81
rientrò a Pola il 23 novembre.
Il sommergibile U 453, proveniente da Pola, posò nelle prime ore
dell’11 novembre 24 mine TMB al largo del porto di Bari. Su questo campo minato il 15 novembre rimase gravemente danneggiato il cacciatorpediniere britannico Quail di 1705 t, e andarono persi il 20 novembre il mercantile iugoslavo Jela (335 tsl) e il 22 novembre il dragamine britannico Hebe (835 t). Lo stesso sommergibile collocò il 28 novembre un secondo campo minato (24 mine TMB) al largo di Brindisi, ma questo non provocò
nessuna perdita.
La sera del 12 novembre partì da Pola un gruppo navale per andare a rioccupare tre isole della costa dalmata. Nell’operazione furono impiegati alcuni reparti tedeschi della 71a Divisione di fanteria, che s’imbarcarono su
tre pontoni (Siebel-Fähren), sulla Ramb III e su alcune navi di limitate dimensioni. La scorta fu eseguita dall’incrociatore Niobe, dalla TA 21 e dalla
nave di vigilanza costiera Najade. L’indomani mattina i reparti furono sbarcati sulle isole di Veglia, Cherso e Lussino, che vennero occupate senza incontrare grosse difficoltà, perché i partigiani contrastarono flebilmente la
loro avanzata. I tedeschi catturarono numerosi combattenti, fra cui otto britannici che furono portati in un campo di prigionia. Nel frattempo la TA
21 e il Niobe bloccarono diversi motovelieri usati dai partigiani per allontanarsi dalle isole. La sera del 14 novembre il gruppo navale tedesco rientrò a
Pola senza aver subito attacchi da parte degli Alleati.
Le isole di Asinello, Sansego e Unije furono occupate il 15 novembre
dalle truppe tedesche senza dover combattere. Verso le ore 13:30 gli aerei al(15) L’8 novembre entrò in servizio nella Marina tedesca la torpediniera Insidioso,
alla quale fu assegnato il nome di TA 21 (Torpedo Ausland). I lavori di trasformazione
vennero eseguiti nei cantieri di Trieste. Alla Flottiglia furono assegnati anche il vecchio
incrociatore Nioben (ex Cattaro ed ex Dalmacija) e l’incrociatore ausiliario Ramb III,
che venne inizialmente impiegato come trasporto truppe, ma in seguito fu trasformato
in posamine. Il 15 febbraio 1944 riprese servizio nella Kriegsmarine con il nome Kiebitz, posando ben 5000 mine nell’Adriatico prima del suo affondamento il 4 novembre
1944.
92
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
leati bombardarono le batterie costiere e le infrastrutture portuali di Durazzo, provocando questa volta danni molto limitati. La sera del 16 novembre
l’Esercito tedesco terminò l’occupazione della penisola di Pelje‰ac (Sabbioncello), ponendo fine all’Operazione Herbstgewitter I.
Nelle prime ore del 22 novembre alcuni reparti della 114a Divisione
cacciatori e della 264a Divisione di fanteria sbarcarono in alcuni punti dell’isola di Ugljan per attaccare le postazioni dei partigiani. L’operazione si concluse il 25 novembre con una brillante vittoria delle forze tedesche, che costrinsero i partigiani a trasferirsi nella vicina terraferma. Negli ultimi giorni
del mese i soldati della Wehrmacht presero il controllo dell’isola di Pasman.
Dal 1° dicembre ciascun’isola era presidiata da una compagnia di soldati.
Il giorno 28 i bombardieri britannici colpirono nuovamente Zara. Durante l’incursione andarono perduti il piroscafo misto Sebenico (864 tsl) e la
nave armata Cigno. La motosilurante tedesca S 61 catturò nella notte fra il
28 e il 29 novembre a circa 20 miglia a ovest di Zara un motoveliero partigiano, che venne affondato con una carica esplosiva.
Dicembre 1943
La flottiglia di protezione costiera dell’Adriatico settentrionale (Kustenschutzflottille Nord-Adria) fu sciolta il 2 dicembre e sostituita dall’11a Flottiglia di sicurezza.
Il piroscafo Marbianco (8846 tsl) rimase gravemente danneggiato il 7
dicembre dall’esplosione di una mina magnetica nel Canale di Srednje (sud
di Zara), riuscendo tuttavia a raggiungere il porto di Zara.
La Marina tedesca il 7 dicembre aveva a disposizione 24 mercantili per
un totale di 39 100 tsl, sei petroliere per altre 9343 tsl e circa 100 motovelieri per circa 5000 t di stazza. Nei cantieri italiani erano in costruzione 72
motovelieri in legno per un totale di 3000 t di stazza. Il loro completamento era previsto nella primavera del 1944.
L’11 dicembre le truppe tedesche occuparono la strategica cittadina di
Biograd, così il Canale di Pasman poté essere percorso con maggiore sicurezza dalle navi tedesche.
La torpediniera TA 22 (ex Missori) completò il 14 dicembre i collaudi e
quindi entrò in servizio nell’11a Flottiglia di sicurezza. Il giorno seguente
cinque Ju-87 Stukas mandarono a fondo due piccole imbarcazioni dei partigiani nella zona di Curzola. Ventiquattro bombardieri statunitensi attaccarono nuovamente Zara. Durante l’incursione il piroscafo da carico Mar
Bianco (8846 tsl) subì altri gravi danni, mentre il piroscafo Isto rimase leg93
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
germente danneggiato. Sessanta caccia Spitfire condussero il 16 dicembre
diversi attacchi tra Zara e Mostar.
La sera del 17 dicembre il Niobe, il TA 20, TA 21 e TA 22 salparono da
Trieste per andare a fornire il loro importante supporto alla prevista riconquista dell’isola di Curzola. A causa di un problema il TA 20 dovette rientrare a Trieste per le necessarie riparazioni. Le altre unità proseguirono la
navigazione verso l’isola di Pasman, dove la sera seguente s’incontrarono
con un altro gruppo di navi tedesche.
Il Gruppo Sud comunicò che l’inizio dell’Operazione Herbstgewitter II
era posticipato per la mancanza di un’adeguata protezione aerea. Durante
la navigazione, l’incrociatore Niobe s’incagliò nei pressi dell’isola di Selvo
(circa 27 miglia a NW di Zara). Nelle ore successive il rimorchiatore Parenzo salpò da Fiume per andare a salvare il Niobe, che verso le ore 19 fu attaccato da 24 velivoli alleati, che sganciarono diverse bombe, ma non causarono nessun danno. Uno degli aerei fu abbattuto dai cannoni dell’incrociatore.
I cacciatorpediniere britannici Tyrian, Tuscan, Tumult della 24a Flottiglia operarono nell’Adriatico dal dicembre 1943 al febbraio 1944 per la
scorta ai convogli e per appoggiare l’avanzata lungo il litorale adriatico dei
reparti della 1a Divisione canadese e dell’8a Divisione indiana. Il 20 dicembre il posamine Pasman(16) fu catturato dal personale della motozattera tedesca SF 193 nel porto di Sebenico.
Nella notte fra il 21 e il 22 dicembre il rimorchiatore Parenzo stava tentando di liberare il Niobe dall’incaglio, ma verso le ore 2 le due unità furono
attaccate dalle motosiluranti britanniche MTB 226 e MTB 228, che riuscirono ad affondare entrambe le navi con i loro siluri. Nel siluramento perirono 19 marinai, e altri 25 rimasero gravemente feriti.
La motocisterna Donatella (145 tsl), completata nel 1943, venne attaccata dai partigiani iugoslavi e italiani nel porto di Rogosnitza il 23 dicembre. La nave di vigilanza foranea, che scortava il mercantile, fu affondata dagli assalitori. La Donatella ripartì alle ore 17:00 con destinazione Sebenico.
Il giorno 28 reparti del V Corpo britannico s’impadronirono di Ortona grazie anche all’appoggio delle navi della Royal Navy.
(16) Il Pasman era il posamine iugoslavo Mosor costruito nel 1931. Aveva un dislocamento di 142 t, mentre le sue dimensioni erano 30 x 8 x 1,6 m. La sua velocità raggiungeva i 9 nodi, mentre l’armamento era limitato a un cannone da 47/44 e mine. Fu
catturato il 22 aprile 1941 a Sebenico dagli italiani.
94
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
L’Operazione Herbstgewitter I-II-III
Come abbiamo riportato per il mese di ottobre, due battaglioni della 7a Divisione SS “Prinz Eugen” sbarcarono a Crkvice il 23 ottobre per rioccupare
la penisola di Pelje‰ac (Operazione Herbstgewitter I), sorprendendo i partigiani della 13a Brigata Dalmata, che dovettero abbandonare le loro postazioni. Questa penisola fu liberata dai ribelli solo il 16 novembre. I comandi
tedeschi organizzarono la complessa Operazione Herbstgewitter II, che aveva come obiettivo di riconquistare Curzola.
Quest’isola era un eccellente punto di trasbordo dei rifornimenti provenienti dall’Italia. L’operazione prese avvio la sera del 22 dicembre con lo
sbarco di due contingenti di truppe tedesche, provenienti dalla penisola di
Pelje‰ac. Le tre torpediniere della Marina tedesca (TA 20, TA 21 e TA 22)
non parteciparono alla missione, perché non erano operative. La 1a e la 13a
Brigata Dalmata e il locale distaccamento di partigiani cercarono di contrastare l’avanzata dell’invasore. Il 23 dicembre giunsero sull’isola altri reparti
tedeschi, tra cui diversi carri armati che consentirono di scompaginare la resistenza dei partigiani, i quali si ritirarono in modo disordinato. Ai reparti
partigiani, che continuavano a combattere, venne ordinato di difendere le
teste di ponte attorno a Vela Luka e a Prigradice, da dove migliaia di civili
furono evacuati da una quarantina di motovelieri e velieri che li trasportarono a Hvar. Nei giorni successivi proseguirono i combattimenti e l’evacuazione sotto la protezione dell’aviazione alleata. Nelle ore notturne fra il 26 e
il 27 dicembre le motosiluranti S 36 e S 55, nonostante il mare molto mosso, svolsero una missione nella parte meridionale dell’isola per impedire che
i partigiani fuggissero o giungessero rinforzi.
I caccia BF 109 mandarono a fondo il 27 dicembre la nave armata partigiana NB 5 Ivan (armata con due cannoncini da 20 mm e sei mitragliatrici da 8 mm) e forse una nave da 450 t a ovest di Hvar. Il 29 dicembre i tedeschi presero il controllo di Curzola e la ripulirono dalla presenza dei partigiani. Durante gli scontri le forze tedesche persero circa 100 uomini (tra
feriti e morti), mentre le perdite dei partigiani e britannici furono nettamente più gravi (500 morti, 300 feriti e 212 prigionieri, compresi diversi
britannici), com’è riportato nel diario della Kriegsmarine. Questa fu la più
importante sconfitta subita dalle forze partigiane di Tito in Dalmazia durante l’intera guerra. Da questo momento il Canale di Curzola diventava
transitabile alle navi sotto controllo tedesco. Gli attaccanti catturarono 21
navi costiere, quattro motobarche e altri 160 battelli di piccolissima stazza.
Nelle prime ore del giorno seguente le truppe tedesche sbarcarono sul95
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
l’isola di Mjlet (Operazione Herbstgewitter 3), che fu occupata senza incontrare nessuna resistenza.
In seguito alle gravi perdite, appena accennate, i partigiani decisero di
abbandonare le altre isole dalmate in loro possesso e di ritirarsi verso Lissa,
che era ben difesa da diverse batterie. Alla fine del 1943 l’Esercito tedesco
era riuscito a riconquistare circa 15 isole dalmate, tra cui Curzola, Cherso,
Lussino, San Pietro, Selvo, Melada, Grossa, Isto, Ugliano, in precedenza
sotto controllo dei partigiani iugoslavi, ma durante queste operazioni la
Kriegsmarine perse l’incrociatore Niobe.
Sin dal mese di dicembre i velivoli della 15a Flotta aerea statunitense
(USAAF), decollati dai ripristinati aeroporti pugliesi, incominciarono a
svolgere efficaci incursioni sul territorio tedesco. Il piroscafo Goffredo Mameli (4338 tsl) rimase danneggiato dall’esplosione di una mina il 29 dicembre nei pressi di Zara, il mercantile dovette essere incagliato lungo la costa
per evitare il suo affondamento.
Il 30 dicembre il piccolo posamine Pasman (ex iugoslavo Mosor) si incagliò a causa della fitta nebbia nella Baia di Kozja Draga (isola di Ist), mentre
si trasferiva da Zara a Pola. L’equipaggio, formato da 24 tedeschi e 4 croati,
fu catturato dalla nave armata iugoslava NB 3 della NOVJ. Lo stesso giorno
la splendida città di Zara fu nuovamente bersagliata da 24 bombardieri alleati, che provocarono altre distruzioni e morti fra i civili. Durante l’incursione la nave armata G 105 dell’11a Flottiglia di sicurezza s’inabissò, mentre
la G 101 rimase seriamente danneggiata.
Gennaio 1944
Nel gennaio 1944 entrarono in servizio nell’11a Flottiglia di sicurezza le
torpediniere TA 37 (ex italiana Gladio) e la TA 36 (ex italiana Stella Polare)
della classe “Spica 2a serie”, le corvette U.J. 205 (ex italiana Colubrina), U.J.
201 (ex italiana Egeria) della classe “Gabbiano”, e la nave armata G 102. Il
2 gennaio i tedeschi presero il definitivo controllo dell’isola di Mljet (Meleda), ponendo termine all’Operazione Herbstgewitter 3. Due motovelieri dei
partigiani furono catturati dai tedeschi.
Nelle ore notturne fra il 3 e il 4 gennaio i cacciatorpediniere Tumult e
Troubridge della 24a Flottiglia affondarono con grande probabilità il motoveliero Maria G. I (50 tsl), carico di rifornimenti, nei pressi di Civitanova
Marche. Il pomeriggio del 7 gennaio, i bombardieri B-17 della XV Flotta
Aerea, scortati dai P-38, bombardarono la Whitehead a Fiume, istituita nel
1860, la più antica fabbrica al mondo specializzata nella produzione di silu96
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
ri. Le navi tedesche presenti nella rada non subirono questa volta danni.
L’8 gennaio, otto cacciabombardieri tedeschi Bf 109 attaccarono le navi
ormeggiate nei porti delle isole Hvar e Solta, riuscendo ad affondare tre
motovelieri e a danneggiare una motobarca e altre cinque imbarcazioni. La
sera, le motosiluranti S 36 e S 55 intercettarono tra Hvar e Braã due motovelieri, che avevano appena scaricato un carico di munizioni e di carburante. Gli equipaggi furono fatti prigionieri e i motovelieri vennero affondati
con alcune cariche esplosive. Verso le ore 22 le motosiluranti avvistarono un
terzo motoveliero da carico, che venne fermato. Sul mercantile, che trasportava tre moderni cannoni italiani da 105 mm, mitragliatrici e munizioni,
salì un equipaggio da preda che proseguì la navigazione verso la Baia di Vela-Luka sotto la protezione delle motosiluranti. Nella baia di Curzola queste
unità furono attaccate da due cacciabombardieri. Sulla S 36 ci furono due
morti, mentre l’apparato motore della S 55 rimase danneggiato. Il giorno
seguente, dieci cacciabombardieri mitragliarono le motosiluranti e il motoveliero, che affondò in seguito all’esplosione delle munizioni trasportate.
Verso le ore 17 la S 55 andò a fondo dopo la detonazione dei siluri imbarcati. La S 36 salvò i superstiti della S 55 prima di rientrare alla base. La fortunata motosilurante poteva navigare solo con due motori a causa dei danni
subiti.
Il mattino del 9 gennaio i bombardieri statunitensi B-17 della 15a Flotta Aerea bombardarono la città e la base navale di Pola, dove furono distrutti i sommergibili tedeschi U 81 (sottoten. vasc. Krieg) e UIT 19 (ex italiano
Nautilo), mentre la torpediniera TA 21 rimase leggermente danneggiata. Il
mercantile Diana (3346 tsl), che si trovava in un cantiere, rimase danneggiato dall’esplosione di alcune bombe.
Il piroscafo Gigliola (734 tsl) venne bersagliato dall’artiglieria dei partigiani iugoslavi a sud di Zara senza subire danni, mentre si trasferiva da questa città a Sebenico. La sera le navi ormeggiate nel porto di Zara furono di
nuovo attaccate dai cacciabombardieri alleati (RCAF, SAAF e RAF), che
danneggiarono la motonave Arborea (4959 tsl) e affondarono un motoveliero italiano.
Morgenwind I e II (o Morgenland II)
La sera dell’11 gennaio, nel porto di Traù, 480 soldati tedeschi dell’892°
Reggimento (264a Divisione fanteria) salirono a bordo di una motozattera,
quattro mezzi da sbarco del tipo I e due motobarche che li trasportarono fi97
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
no a Solta. Lo sbarco avvenne in due zone distinte dell’isola: lungo la costa
nordoccidentale alle ore 3:25 e a Maslinica alle 4:00. La scorta fu eseguita
da una nave armata. Una batteria costiera da 100 mm posta sull’isola di
Ciovo fornì il necessario supporto alle truppe impiegate in questa missione.
Dopo la conquista di Maslinica i tedeschi avanzarono cautamente verso le
altre località dell’isola, che furono occupate lo stesso giorno. Il 13 gennaio
Braã fu riconquistata da alcuni reparti della 118a Divisione cacciatori di
montagna senza dover combattere (Operazione Morgenwind I).
Verso le ore 23 del 16 gennaio i cacciatorpediniere Troubridge e Tumult
bombardarono di nuovo Curzola, che era diventata un’importante base per
le forze tedesche. Il 17 gennaio i cacciabombardieri P 40 della XII Flotta
Aerea mandarono a fondo nel porto di Sebenico i piroscafi passeggeri Milano (4028 tsl) e il danneggiato Arborea (4959 tsl). Il mercantile Spalato (ex
Split, 896 tsl), già incagliato, e la motonave armata Rubicone (279 tsl, completata nel 1943) vennero distrutti da alcune bombe sganciate dai P 40 il
18 gennaio nell’area di Metkovic.
Operazioni Walzertraum e Freischütz
Il 19 gennaio prese avvio la riconquista tedesca dell’isola di Lesina (Operazione Walzertraum), difesa dai partigiani dell’11a Brigata. Tutti i comandi
militari iugoslavi avevano già deciso di trasferire la brigata verso Vis (Lissa).
La Kriegsmarine organizzò due convogli di mezzi da sbarco. I partigiani
avevano collocato lungo le strade e sulle spiagge mine anticarro, fornite dagli Alleati; su uno di questi ordigni saltò in aria un mezzo da sbarco tedesco.
Ventuno soldati persero la vita nell’esplosione. Il supporto all’operazione fu
fornito dalle batterie collocate sull’isola di Braã e lungo la penisola di
Pelje‰ac (Sabbioncello). I tedeschi presero possesso dell’isola senza incontrare particolare resistenza.
Walzertraum fu l’ultima della serie di operazioni tedesche che avevano
lo scopo di riconquistare le isole dalmate. La progettata Operazione Freischütz, per la conquista dell’isola di Lissa, venne posticipata a causa della
mancanza di sufficienti reparti e della necessaria protezione aeronavale. Il
giorno 21 i bombardieri B-17 della XV Flotta Aerea colpirono nuovamente
il porto di Rimini. Il motoveliero Dora (137 tsl) andò a fondo dopo esser
stato colpito da una o più bombe.
Tra l’autunno del 1943 e il 1945, le torpediniere italiane svolsero lungo
le coste adriatiche quindici missioni speciali, che ebbero lo scopo di traspor98
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
tare rifornimenti e portare in salvo militari italiani.(17)
Il 22 gennaio 1944 la cisterna Donatella (250 tsl) s’inabissò a Traù dopo
essere stata colpita da una bomba d’aereo. Lo stesso giorno la nave scorta G
107 Electra (633 tsl), appartenuta a Guglielmo Marconi, fu danneggiata in
modo irreparabile durante alcuni attacchi aerei nei pressi di Punta Nika.
Secondo lo storico britannico Leonard C. Reynolds il motoveliero
Francesca da Rimini (281 tsl), carico di munizioni, sarebbe stato affondato
dalla motosilurante MTB 649 e dalla motocannoniera MGB 662 nel canale
di Zara la notte fra il 2 e il 3 febbraio. Nella notte fra il 25 e il 26 gennaio la
TA 22 controllò nuovamente il litorale tra Uljan e Pasman.
I motovelieri Roma (64 tsl) e Folgore (239 tsl) vennero distrutti dalla
motocannoniera MGB 662 della 57a Flottiglia e dalla motosilurante MTB
97 nelle acque di Rogosnizza (a ponente di Spalato) nella notte fra il 29 e il
30 gennaio, mentre si dirigevano verso Spalato. La nave armata G. 102 si
incagliò la sera nei pressi di Sebenico, ma poté essere recuperata e dopo accurati lavori di trasformazione riprese servizio nella Kriegsmarine.
Febbraio 1944
Il 1° febbraio i reparti tedeschi presero il pieno controllo della strategica isola di Pasman dopo aver svolto una perlustrazione antipartigiana durata alcuni giorni. L’11a Flottiglia di sicurezza si rafforzò con l’entrata in servizio il 2
febbraio dei motodragamine R 12, R 15 e R 16 provenienti da Genova; il
12 febbraio della torpediniera TA 38, il 17 febbraio della corvetta U.J. 201,
e il 25 febbraio della corvetta U.J. 202.
Durante questo mese aumentarono tuttavia le incursioni effettuate dai
bombardieri e dai cacciabombardieri alleati contro il naviglio usato dai tedeschi, mandando a fondo sei mercantili, quattro motovelieri e un motopeschereccio.(18)
(17) Ad esempio la notte fra il 21 e il 22 gennaio 1944, la torpediniera Ardimentoso, i MAS 516, MAS 547 e la motosilurante MS 54 effettuarono un’ardita missione a
sud di Valona, concorrendo al recupero di numerosi militari italiani sfuggiti ai Tedeschi.
La torpediniera Indomito eseguì tre missioni di questo tipo lungo le coste albanesi.
(18) I velivoli alleati affondarono: il motoveliero Due Fratelli (15 tsl) il 1° febbraio
nelle acque della Dalmazia; il motopeschereccio Marbianco il 2 febbraio nel porto di
Zara; la cisterna Verbano (602 t, danneggiata in modo irreparabile) il 3 febbraio a Traù;
l’8 febbraio la motonave Pomona (2189 tsl, incendiata da 10 aerei) nella baia di Caselanski (Pola); il piroscafo da carico Gigliola (737 tsl) nella baia di Lucurano (Zara); due
99
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Il 3 febbraio, le truppe tedesche ripresero il pieno controllo delle isole
di Grossa, Eso e Uljan liberandole dalla presenza dei partigiani. Durante
l’operazione furono catturati 30 motovelieri.
Il piroscafo da carico Quadrifoglio (661 tsl) andò a fondo a circa 10 miglia da Spalato in seguito all’esplosione del carburante che stava trasportando, come si può leggere nel diario della Marina tedesca. Le motosiluranti
britanniche MTB 242 e MTB 298 eseguirono una perlustrazione lungo la
costa dalmata.
La motonave armata Cattaro (ex Jugoslavija, 1275 tsl) andò persa in
febbraio per ragioni non precisate lungo le coste dalmate (forse di Cattaro).
I cacciatorpediniere di scorta Bicester, Calpe, Zetland e Lauderdale della
a
59 Flottiglia della Royal Navy operarono sin dall’autunno del 1943 nell’Adriatico per scortare convogli e per appoggiare le operazioni lungo il litorale
italiano e in Dalmazia. La sera del 12 febbraio i cacciatorpediniere Zetland e
Lauderdale bombardarono il faro di Dubrovnich e l’isola di Curzola prima
di rientrare a Brindisi. Nella notte fra il 13 e il 14 febbraio il piroscafo da
carico Guido Brunner (1081 tsl) fu avvistato dalle motosiluranti britanniche
mentre si stava trasferendo da Trieste a Durazzo. Il mattino seguente venne
localizzato e infine affondato dai cacciabombardiere britannici con diverse
bombe lungo la costa dalmata. Dal 14 febbraio i cantieri di Monfalcone
erano difesi da quattro batterie antiaeree, ognuna armata con sei cannoni da
88 mm e due da 20 mm, appartenenti alla Schwere Flakbatterie 573.
Nelle ore notturne fra il 21 e il 22 febbraio, due motocannoniere britanniche operarono nei dintorni di Primosten. Questa fu la prima volta che
le unità leggere della Royal Navy usavano come base l’isola di Lizza. La notte seguente i motodragamine R 187, R 188 e R 190 della 12a Flottiglia partirono da Pola per raggiungere l’Egeo. Il giorno seguente dodici cacciabombardieri danneggiarono seriamente l’R 187 nella rada di Rogoznica. Un
membro dell’equipaggio perse la vita durante il raid. Il motodragamine venne rimorchiato a Pola, dove venne distrutto il 26 febbraio, mentre si trovava
motovelieri (e un altro fu incendiato) l’11 febbraio tra Spalato e Metkowic; il 12 febbraio il motoveliero Pina Rosa (40 tsl, in navigazione da Podgore a Pola) nelle acque
dalmate; il piroscafo Guido Bruner (1081 tsl) il 14 febbraio; un motoveliero il pomeriggio del 16 febbraio a Zara; il piroscafo da carico Promontore (998 tsl) il 24 febbraio al
largo delle coste di Spalato; il 28 febbraio il piroscafo Jadran (5450 tsl) nel porto di Dubrovnik, dove si trovava per alcune riparazioni. Il piroscafo da carico Gigliola era assegnato al Seetransport Haupstelle Split. Il Pomona affondò la sera dell’11 febbraio nella
Baia di Solina.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
in un cantiere per le necessarie riparazioni.
I cacciatorpediniere britannici Tumult e Troubridge, accompagnati da
caccia, bersagliarono la sera del 27 febbraio Vela Luka (Curzola).
Il 28 febbraio il motoveliero Giuseppe Cesira (291 tsl), in navigazione da
Zara a Fiume, fu catturato da tre unità armate della Marina NOVJ. I partigiani si diressero verso l’Isola Grossa, ma a causa del forte fortunale e dell’insufficiente governo s’incagliò sugli scogli delle Punte Bianche. I partigiani incendiarono il motoveliero, perché non era possibile recuperarlo.
Operazione Frechdachs
Nell’ultima decade di febbraio 1944 il Marinegruppekommando Süd organizzò la sfortunata Operazione Frechdachs, volta a trasferire dall’Adriatico
all’Egeo la moderna motonave Kapitän Diedrichsen (ex Sebastiano Venier II,
6310 tsl), il piroscafo Città di Tunisi e alcune unità della scorta per rinforzare la piccola squadra navale presente in quel settore.
Il 27 febbraio il piroscafo ebbe una seria avaria ai motori e quindi non
poté partire. Tra la sera del 28 febbraio e il mattino seguente giunsero a Pola
la motonave e le unità della scorta, cioè le torpediniere TA 36 e TA 37, i
cacciasommergibili U.J. 201 e U.J. 205 e i motodragamine R 188, R 189 e
R 190. Alle ore 18:15 del 29 febbraio questo convoglio lasciò questo porto
diretto verso sud-est a una velocità di 14 nodi. Alle ore 21:00 i grandi cacciatorpediniere francesi Le Terrible e Le Malin della 10a Divisione incrociatori leggeri,(19) che erano salpati da Manfredonia alle 13:45 del 29 febbraio,
localizzarono con il radar il convoglio tedesco a NO di Premuda a una distanza di circa 17 km. Le due unità si avvicinarono al convoglio e alle 21:44
(19) La 10a Divisione incrociatori leggeri, istituita verso la fine del 1943, era composta dai supercaccia francesi Le Terrible, Le Fantasque e Le Malin della classe “Le Fantasque”, che aveva un dislocamento di 2570 t, mentre le sue dimensioni erano 132,4 x
11,98 x 4,30. L’apparato motore era composto da due motori Parsons O Rateau e quattro boiler Penhoët con una potenza complessiva di 74000 cv. La velocità raggiungeva i
45 nodi, ma dopo i lavori di ammodernamento effettuati nei cantieri statunitensi si ridusse a 37 nodi. Durante questo ciclo di lavori furono revisionati i loro apparati motori
e installati due radar, un moderno ASDIC e potenziato l’armamento antiaereo. Nel
1944 l’armamento era composto di cinque cannoni da 138 mm, otto cannoncini da 40
mm Bofors, 10 cannoncini da 2 cm antiaerei e nove tubi lanciasiluri da 550 mm. Furono riclassificati incrociatori leggeri per adeguarli agli standard occidentali.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
aprirono il fuoco a una distanza di 8000 m. Le Terrible diresse il tiro contro
la Kapitän Diedrichsen, mentre Le Malin si occupò delle unità di scorta che
avvistò durante il combattimento. Alle 21:48 la motonave fu colpita da tre
salve nemiche che la ridussero a un relitto. Alle 21:57 la TA 37 rimase seriamente danneggiata da due salve. L’U.J. 201 fu a sua volta danneggiato da
alcuni proietti da 138 mm, che lo immobilizzarono. Poco dopo venne colpito da un siluro del cacciatorpediniere Le Malin, che ne provocò il rapido
affondamento. Tutti i 110 uomini dell’equipaggio perirono nello scontro.
Le torpediniere e le corvette tedesche risposero al fuoco con le artiglierie in
dotazione. Un proietto da 100 mm colpì uno dei cacciatorpediniere, i quali
si allontanarono verso le 22:30, temendo gli attacchi delle motosiluranti,
per le quali avevano scambiato i tre motodragamine. Alle 03:30, il contrammiraglio Lietzmann, al corrente degli avvenimenti, ordinò la sospensione
dell’operazione. La motonave affondò alle 11:45 del 1° marzo, mentre si
tentava di rimorchiarla, tuttavia poté essere salvato quasi tutto l’equipaggio
della motonave. La TA 37, nonostante avesse entrambe le macchine fuori
uso, riuscì a rientrare a Pola con l’assistenza dei rimorchiatori prontamente
usciti da quel porto. La TA 36, solo lievemente danneggiata, e l’indenne
U.J. 205 rientrarono a Trieste con i superstiti della motonave.
Marzo 1944
Nel mese di marzo, gli Alleati intensificarono i loro bombardamenti contro
i porti dell’Adriatico, causando ulteriori gravi danni alle infrastrutture portuali e importanti perdite alla flotta tedesca, che perse sei mercantili (per un
totale di 3622 tsl), 14 motovelieri e una motobarca.(20)
(20) Durante le incursioni anglo-americane andarono persi: il 1° marzo il piroscafo
Luigi Martini (874 tsl) a Chioggia, tre motovelieri e una motobarca a Curzola, un altro
motoveliero a Makarska (altri due rimasero danneggiati); il 3 marzo a Zara il piroscafo
Lagosta (180 tsl) e a Spalato il piroscafo Adriatico (387 tsl) e un motoveliero; il 4 marzo
a Zara la motonave Anna Martini (935 tsl, danneggiata in modo irreparabile), a San
Giorgio il motoveliero Ernani (80 tsl), a Uljan il motoveliero Domenica Elisabetta V (71
tsl) e un altro motoveliero; il 5 marzo il relitto del piroscafo Potestas nella Baia di Cattaro; il 13 marzo il piroscafo Daksa (1246 tsl) a Dubrovnik (Ragusa); il 15/16 marzo a
Zara due motovelieri e altri quattro rimasero danneggiati; il 17 marzo nei pressi di Venezia il motoveliero Seconda Lucia (146 tsl); il giorno 18 a Sebenico il motoveliero Giacomo S. (162 tsl) e un piccolo piroscafo a Primosten; il 21 marzo a Sant’Elpidio (Ascoli
Piceno) il motoveliero Due Rosine (108 tsl) e a Biograd il motoveliero Ave Maria (105
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
I cacciabombardiere alleati inflissero anche importanti perdite alla 10a
Flottiglia da sbarco della Kriegsmarine, mandando a fondo i seguenti mezzi
da sbarco: I-O-72 e I-O-34 il 13 marzo a Curzola; SF 192 e SF 276 il 15
marzo a Jelsa (Hvar); il 21 marzo I-O-42 tra Povlje e Sumartin e la SF 277
nei pressi dell’isola di Pasman; I-0-88 il 24 marzo nei dintorni di Spalato;
SF 272 il 25 marzo a Susura; I-O-45 il 27 marzo presso l’isola di Braã; SF
271 e I-O-8 il 29 marzo nei pressi di Hvar, I-O-85 il 30 marzo a Bol (Braã).
Il 29 marzo andò perso per cause non precisate anche l’I-O-08 nei paraggi
di Hvar, mentre le motosiluranti o motocannoniere britanniche affondarono il mezzo da sbarco I-O-45 nei pressi di Braã. I cacciatorpediniere francesi Le Terrible e Le Fantasque eseguirono nelle ore notturne fra il 2 e il 4 marzo incursioni nella parte centro settentrionale dell’Adriatico e lungo la costa
istriana senza incontrare nessuna nave nemica.
Nelle ore notturne del 7 marzo i cacciatorpediniere britannici Tenacious
e Troubridge della 24a Flottiglia cannoneggiarono alcuni obiettivi militari
tedeschi sull’isola di Curzola.
Le motocannoniere e le motosiluranti britanniche della 57a Flottiglia
eseguirono quattro missioni lungo le coste dalmate nelle notti fra l’8 e il 18
marzo, mandando a fondo tre motovelieri carichi di rifornimenti. La motosilurante MTB 649 affondò per errore la nave pattuglia iugoslava Pâ 59 Lapad il 9 marzo nel canale di Neretvanski.
Il terzo battaglione della Divisione Brandeburgo svolse il 9 marzo un
rastrellamento antipartigiano nei dintorni di Ceranje (Operazione Bora).
La notte dell’11 marzo il motoveliero Rondinella (50 tls) fu affondato
dalle motosiluranti britanniche MTB 674 e MTB 85 lungo il litorale della
penisola di Sabbioncello (Pelje‰ac).
Il trasporto costiero tedesco KT 6 dovette sostenere un combattimento
con le tre motosiluranti britanniche MTB 84, MTB 85 e MTB 674 la sera
del 12 marzo a ovest di Sebenico, riuscendo a evitare ben quattro siluri. La
MTB 85 rimase danneggiata nel combattimento da alcuni proietti di cannoncini.
Le motosiluranti S 36 e S 61 della 3a Flottiglia partirono da Pola il 15
marzo con destinazione Cattaro. Verso le ore 22 le due motosiluranti mandarono a fondo con i cannoncini la nave armata iugoslava NB 2 (80 tsl).
Verso le ore 10 del 18 marzo il Küstenjäger 10 (o Kj 10), in navigazione
tsl) usato dal Seetransportchef Adria; il 27 marzo nell’Adriatico la cisterna Liguria (174
tsl) e nel canale di Diat (Sebenico) il motoveliero Virtus (377 tsl).
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
da Fiume a Zara, fu catturato dai partigiani e dalle unità della NOVY in
una baia dell’isola di Molata (Molat), dove il mezzo si era diretto per riparare un’avaria a uno dei propulsori. Il Kj 10 venne rimorchiato a Lissa. Dopo
le necessarie riparazioni, l’unità riprese servizio nella Marina partigiana, che
la rinominò PC-75. La sera, la motozattera SF 276 abbatté due bombardieri
Mosquitos presso l’isola di Hvar, mentre navigava lungo la costa dalmata.
Operazione Biber
Il posamine tedesco Kiebitz (ex Ramb III, cap. corv. Hansmann) salpò la sera del 18 marzo con un carico di oltre 100 mine che dovevano essere posate
tra la penisola istriana e l’isola di Cres, dove erano presenti alcuni sbarramenti italiani che servivano a proteggere Fiume (Operazione Biber). La
scorta fu eseguita dalle torpediniere TA 36 (ex Stella Polare, con a bordo il
cap. corv. von Kleist comandante dell’11a Flottiglia) e TA 21 (ex Insidioso) e
dal cacciasommergibili U.J. 205 (ex Colubrina), ma alle ore 20:25 la TA 36
urtò una mina appartenente a uno sbarramento italiano che ne provocò il
suo affondamento nella posizione 45° 07’ N, 14° 21’ E. La TA 21 recuperò
i sopravvissuti che vennero portati in salvo a Pola.
Operazione alleata Detained
La sera del 18 marzo, tre LCI e altrettanti LCA salparono da Komiza (Lissa)
con a bordo oltre 400 uomini e alcuni mezzi per un raid. La scorta fu eseguita da sei motocannoniere della Royal Navy. Nella notte l’equipaggiamento e le truppe vennero sbarcate a Tatinja. All’alba gli Alleati aprirono il fuoco contro il presidio fortificato tedesco nel villaggio di Grohota. La resistenza durò oltre mezz’ora. Durante quest’operazione persero la vita due militari
alleati e quattro tedeschi, e altri 15 soldati alleati rimasero feriti. La seguente
sera le truppe alleate, i prigionieri e circa 380 civili evacuati dall’isola furono
trasportati fino a Lissa dai mezzi da sbarco alleati, dalle unità armate della
NOVJ (NB-7 Enare II, NB-8 Kornat e Pâ-71) e dalle motobarche Ban Jelaãiç, Velebit e Lahor.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Operazione Illusion
Gli alti Comandi dell’Esercito tedesco e della Kriegsmarine decisero di includere nel sistema difensivo costiero anche le isole Pago (Pag) e Arbe
(Raab) per garantire una migliore protezione alle navi in transito lungo la
costa dalmata. Per conquistare Raab fu organizzata l’Operazione Illusion,
durante la quale i mezzi del 771° Battaglione Pionieri da sbarco trasportarono i reparti dell’847° Reggimento Granatieri e del 9° Battaglione Ustascia
che sbarcarono nelle prime ore del 19 marzo sull’isola. In poche ore presero
il controllo di Raab, che era stata nel frattempo evacuata dai partigiani. I
cacciabombardieri tedeschi attaccarono le navi iugoslave presenti nelle zone
circostanti allo sbarco e attorno alla strategica isola di Lissa, riuscendo ad affondare tre motovelieri (Bog’s nama, Divna e Ilirija), il 20 marzo le navi armate iugoslave NB 1 (ex HZ 8, 80 tsl) nei pressi di Dugi Otok, e la NB 6
Napredak presso l’isola di Kornat, il 23 marzo la PC-5.
Il 27 marzo il cacciasommergibili U.J. 205 e il motodragamine R 191
andarono persi durante un’incursione su Sebenico, mentre R 188 e R 190
rimasero danneggiati.
Il 30 marzo furono distrutti nei cantieri Breda di Porto Marghera i cacciasommergibili in costruzione U.J. 206 (ex Bombarda) e U.J. 207 (ex Carabina) durante un’incursione alleata.
Alla fine di marzo fu costituita la 6a Flottiglia trasporti (6. Transportsflottille) che si occupava del trasporto di rifornimenti e della bauxite lungo
le coste dalmate. Il comando della flottiglia fu assegnato al capitano di corvetta Richard Pichler, e successivamente al tenente Rolf Herzer.
Aprile 1944
In aprile i cacciabombardieri angloamericani, armati con razzi e bombe, ottennero buoni successi contro il traffico costiero tedesco, riuscendo ad affondare sette mezzi da sbarco, quattro piroscafi, un rimorchiatore e dieci
motovelieri.(21)
(21) Più in dettaglio, gli aerei alleati mandarono a fondo: il 1° aprile nei pressi
Braã ben cinque mezzi da sbarco, tra cui uno del tipo J; il giorno 2 un piccolo piroscafo
ad Ancona; l’8 aprile il piroscafo Enco (545 tsl) a Venezia, il motoveliero Lupi (38 tsl) a
Corfù, tre motovelieri nei pressi di Zara, il motoveliero Jordan lungo le coste istriane e
il mezzo da sbarco Pi-Landungsboot 306 e danneggiarono gravemente il Pi-Landung-
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
In aprile la 1a Divisione motosiluranti della Kriegsmarine disponeva in
Adriatico di sole quattro unità (S 30, S 33, S 36 e S 61), le quali nei primi
giorni del mese si trasferirono a Cattaro. I battelli (S 151-S 157) della 7a
Flottiglia iniziarono a giungere a Venezia dopo aver completato il trasferimento da Genova.(22)
Il 4 aprile i comandi della Kriegsmarine decisero di non trasferire nel
Mar Nero le piccole motosiluranti della 22a Flottiglia, assegnate alla Marina
croata, bensì nell’Adriatico. L’addestramento degli equipaggi croati fu eseguito dalle motosiluranti MS 41 e MS 75.
Nella notte del 6-7 aprile le motocannoniere MGB 661 e MGB 647
catturarono il motoveliero Libeccio (237 tsl) lungo le coste dalmate; in seguito il motoveliero fu consegnato alla Marina NOVJ.
Il Gruppo Sud ordinò alle motosiluranti S 602, S 604 e S 54 di trasferirsi dall’Egeo a Cattaro per essere impiegate nell’Adriatico. La sera del 23
aprile la S 54, durante il trasferimento da Salonicco a Cattaro, urtò una mina presso l’isola di Cefalonia. Il battello fu rimorchiato dapprima a Viscardo
e dopo a Salonicco, dove fu considerato irreparabile.
I bombardieri B 24 della XV Flotta aerea bombardarono il 20 aprile Venezia, Trieste, Mestre e Monfalcone. I cantieri di Monfalcone furono colpiti
da circa 30 bombe, che provocarono l’affondamento del sommergibile in
costruzione UIT 5 (ex R 8) e il grave danneggiamento della corvetta U.J.
203 (ex Tersicore).
Il 21 aprile nei cantieri San Marco avvenne la consegna alla Kriegsmarine del posamine Fasana, che era stato sottoposto a un ciclo di lavori.
La nave antipartigiana tedesca Anton (150 tsl) fu catturata il 26 aprile
sboot 305, che appartenevano al 771° Battaglione; il 18 aprile a Sebenico i piroscafi Enrico Baroni (840 tsl) e Albania (286 tsl); il 24 aprile un rimorchiatore a Cattaro e il 26
aprile il mezzo da sbarco I-O-57 a Trpanj (lungo la penisola di Sabbioncello).
(22) La 7a Flottiglia, costituita il 1° ottobre 1941 a Swinemünde, era dotata delle
seguenti motosiluranti: S 151-S 157 (ex olandesi TM 54-61). Nell’ottobre 1942 iniziò
il loro trasferimento nel Mediterraneo, seguendo il medesimo percorso effettuato dalle
unità della 3a Flottiglia, cioè dapprima un tratto del Reno, poi alcuni canali francesi e
infine il Rodano per arrivare a Port Saint Louis. Si diressero alla Spezia per le necessarie
riparazioni agli scafi e ai motori. Dal 15 dicembre erano dislocate a Porto Empedocle
per essere impiegate lungo le coste tunisine e algerine. Nell’estate del 1943 operarono
senza grandi successi lungo le coste siciliane e in seguito nel Mar Ligure. La S 151 affondò il cacciatorpediniere statunitense Rowan di 1690 t, appartenente al convoglio
SNF 1, nella posizione 40° 07’ N, 14° 18’ E l’11 settembre 1943.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
La corvetta U.J. 203, ex Tersicore. (Archivio Autore)
dai pattugliatori partigiani PC-3 e PC-4 lungo la costa dalmata. L’unità entrò in servizio nella Marina NOVJ con il nome NB 11 Crvena Zvijezda.
Maggio 1944
Il 1° maggio la corvetta in costruzione U.J. 209 (ex Scure) rimase gravemente danneggiata durante un’incursione aerea alleata sui cantieri navali Breda
di Marghera (Venezia). Nei mesi successivi i tedeschi demolirono la torpediniera per recuperare il prezioso metallo.
Il giorno 6 l’U.J. 208 (ex corvetta italiana Spingarda) entrò in servizio
nella 2a Flottiglia cacciasommergibili. Le navi armate della Marina partigiana conseguirono un successo la sera del 6 maggio mandando a fondo il piroscafo Albona a Omisalj (Veglia). La petroliera tedesca Cordelia (ex italiana
Poseidone, 6613 tsl) s’inabissò l’8 maggio nei pressi di Venezia dopo aver urtato una mina probabilmente italiana.
Nelle prime ore dell’11 maggio, le motosiluranti S 30 e S 61 della 3a
Flottiglia svolsero una perlustrazione a nord di Lissa, dove la S 61 mandò a
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
fondo la nave trasporto feriti Marini II (101 tsl) della NOVJ.
La sera dell’11 maggio, ben 66 bombardieri Ju 88 attaccarono la pista
aerea e il porto di Lissa, provocando danni abbastanza importanti.
Nelle ore notturne fra il 14 e il 15 maggio il motoveliero Adriatico, assegnato al Seetransport Haupstelle Split, fu affondato da proietti sparati dall’artiglieria partigiana lungo la penisola di Pelje‰ac.
La notte fra il 19 e il 20 maggio i motodragamine R 38, 178, 185 e 190
ritentarono il trasferimento dall’Adriatico all’Egeo, transitando nel Canale
d’Otranto. La scorta era eseguita da due motosiluranti, che verso le ore 24
ebbero un combattimento con due cacciatorpediniere italiani a circa dieci
miglia a sud di Capo Linguetta. Le motosiluranti riuscirono ad allontanare
le navi italiane. I motodragamine riuscirono verso le ore 5 a raggiungere
Corfù. Un’ora dopo quattro caccia Spitfire danneggiarono gravemente la R
190, che pochi minuti dopo affondò a circa 3,5 miglia a NW di Sarande.
I cacciabombardieri alleati, armati con razzi o con bombe, danneggiarono gravemente il 22 maggio la nave armata G 102 nei dintorni di Fiume, e
il pomeriggio del 23 maggio la cisterna d’acqua Lina Campanella (3400 tsl)
a Cherso.
Il 25 maggio secondo le stime tedesche oltre 50 quadrimotori B-24 della XV Flotta aerea, protetti da caccia, attaccarono Trieste. Nei cantieri di
Monfalcone furono distrutti il sommergibile da trasporto UIT 4 (ex R 7), il
piccolo sommergibile UIT 18 (ex CM 2), il cacciasommergibili in costruzione U.J. 204 (ex Euridice), la moderna cisterna Antonio Zotti (6200 tsl) e
una motozattera (MFP). Altri 13 MFP in costruzione rimasero danneggiati.
Le perdite fra il personale furono per fortuna molto limitate.
Il piroscafo Palermo (ex greco Athinai, 2897 tsl) si inabissò verso le ore
3:30 del 27 maggio nei pressi dell’estuario del fiume Tagliamento in seguito
all’esplosione di una mina forse di uno sbarramento italiano.
Verso le ore 1 del 30 maggio le motosiluranti britanniche MTB 84,
MTB 243 e MTB 674 attaccarono altrettanti mezzi da sbarco del tipo “J”,
ma non provocarono danni rilevanti. Durante il rientro alla base vennero
attaccate dai cacciabombardieri tedeschi, che danneggiarono la MTB 84
nonostante il preciso tiro antiaereo.
Giugno 1944
Le motosiluranti S 153, S 155, S 156 e S 157 della 7a Flottiglia eseguirono,
nella notte fra il 31 maggio e il 1° giugno, un’operazione a ovest di Lissa, riuscendo ad affondare tre motopescherecci, un motoveliero e una piccola pe108
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
troliera. Inoltre furono fatti prigionieri 159 uomini (britannici, croati, serbi,
russi, italiani e un pilota di un Lightning), 37 donne e cinque bambini. La
notte seguente la 7a Flottiglia eseguì una seconda incursione contro Lissa,
dove mandò a fondo altre tre motobarche cariche di persone. Questa volta
le motosiluranti dovettero sostenere combattimenti con navi armate di cannoncini da 40 mm e da 20 mm, che causarono alcuni danni a due unità. In
totale furono presi a bordo altri 77 partigiani, 2 soldati britannici, 50 donne e 24 bambini.
L’avanguardia della V Armata giunse la sera del 4 giugno a Roma per liberarla dalla presenza tedesca. La motocannoniera MGB 647 e la motosilurante MTB 656 eseguirono nella notte fra l’8 e il 9 giugno una missione nel
Canale di Mjlet, dove attaccarono un pontone dotato di armamento antiaereo e un mezzo da sbarco del tipo “J”, provocandogli seri danni. La motocannoniera subì gravi danni grazie al preciso tiro della nave antiaerea. Quattro marinai britannici morirono e altri cinque rimasero seriamente feriti.
Il giorno 10 i B 17 sganciarono le loro bombe sulle cisterne e sui cantieri di Mestre, mandando a fondo la nave ospedale tedesca Innsbruck (ex
Limbara, 402 tsl) e la motonave Nino Bixio (7137 tsl) in riparazione.
La notte fra l’11 e il 12 giugno, le motosiluranti S 153, S 155, S 156 e
S 157 della 7a Flottiglia eseguirono una perlustrazione al largo dell’isola
Hvar, dove verso le ore 00:50 ebbero un combattimento con i cacciatorpediniere di scorta britannici Blackmoore e Eggesford. Quest’ultima riuscì ad
affondare la S 153 nella posizione 43° 12’ N, 13° 51’ E. Il Blackmore salvò
dieci membri dell’equipaggio della motosilurante.
Verso le ore 21 del 16 giugno partì da Fiume un convoglio, formato
dalla petroliera Giuliana (350 tsl) e dalle motocisterne Toni e Peter, sotto la
protezione dei motodragamine R 14, R 8, R 15 e R 4 della 6a Flottiglia. Il
convoglio procedeva a una velocità di circa 7-8 nodi. Verso le ore 1:30 del
13 giugno i grandi cacciatorpediniere Le Fantasque e Le Terrible della Marine Nationale attaccarono il convoglio, mandando a fondo la petroliera con
diversi proietti da 138 mm. Il piroscafo da carico Rapido (5363 tsl) si inabissò il 15 giugno in seguito alla detonazione di una mina a circa 3 miglia a
sud di Grado. La 2a Flottiglia di scorta fu suddivisa il 16 giugno in due
gruppi operativi. Le moderne torpediniere TA 37, TA 38 e TA 39 fecero
parte del primo gruppo, che il 1° luglio divenne la nuova 1a Flottiglia di
scorta, il cui comando venne assegnato al capitano di fregata Birnbaum. Il
secondo gruppo, composto dalle vecchie torpediniere TA 20, TA 21, TA 22
e TA 35 assunse il 1° luglio il nome di 2a Flottiglia di scorta (comandata dal
capitano di corvetta Thorwest). I comandi delle flottiglie si trovavano ri109
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
spettivamente a Trieste e a Fiume.
Il 30 giugno, a Curzola, i velivoli alleati mandarono a fondo il pontone
armato SF 281.
Nella seconda metà di giugno giunse a Lissa la 57a Flottiglia motosiluranti, che in precedenza aveva operato nel Mar Ligure. La prima missione
fu svolta dalle motocannoniere MGB 659 e MGB 662 e dalla motosilurante
MTB 670 nella notte fra il 24 e il 25 giugno a nord di Murter, dove fu attaccata la vecchia torpediniera TA 34 (ex iugoslava T-7 ed ex k.u.k. 96 F,
230 t). I siluri lanciati dalla MTB 670 mancarono il bersaglio; in seguito le
tre unità britanniche attaccarono con le artiglierie, sparando numerosi
proietti da 40 mm e da 20 mm che causarono gravissimi danni alla torpediniera, che venne incagliata sul litorale dell’isola. Cinque membri dell’equipaggio furono fatti prigionieri. La TA 34 stava svolgendo una perlustrazione
lungo le coste dalmate assieme alle motosiluranti S 157 e S 155, che poterono salvare 21 uomini dell’equipaggio prima di rientrare a Zara.
Dieci cacciabombardieri attaccarono il 25 giugno la TA 22 (ex Giuseppe
Missori) a sud di Trieste, mentre eseguiva dei collaudi. La TA 22 rimase
danneggiata dall’esplosione di due bombe e da diversi colpi di mitragliatrice
sparati dai velivoli, che provocarono la morte di 16 uomini dell’equipaggio
e il ferimento di altri 39. In suo soccorso giunsero verso le ore 14 le torpediniere TA 38 e TA 39, che assicurarono la protezione antiaerea, mentre la
corvetta U.J. 202 procedette al rimorchio della TA 22 fino al cantiere di
San Marco. La torpediniera non fu riparata.
Luglio 1944
Durante il mese di luglio i velivoli della Mediterranean Allied Air Force
colpirono altri 509 centri abitati fra la Linea Gotica e il Brennero, fra cui
Trieste che fu pesantemente attaccata il 6 e il 13 luglio. Durante la prima
incursione vennero distrutte due cisterne di carburante e affondati i transatlantici Duilio (23 636 tsl) e Sabaudia (29 307 tsl) e la nave passeggeri
Italia (5203 tsl). Le navi da guerra della Kriegsmarine non subirono nessun
danno.
Dal 1° luglio, quattro motosiluranti (S 621, S 627, S 628 e S 629) della
a
24 Flottiglia, appartenenti alla seconda e alla terza serie del tipo CRDA da
60 t, erano operative a Grado.(23)
(23) Queste motosiluranti ex italiane erano armate con due tubi lanciasiluri da 533
110
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Il posamine Kiebitz e la 1a Flottiglia di scorta furono incaricati dai comandi della Kriegsmarine di sistemare sei campi minati nell’alto Adriatico
per aumentare la protezione dei vari porti. La sera del 7 luglio le torpediniere TA 37 e TA 38 e il Kiebitz posarono lo sbarramento Maulwurf lungo la
costa istriana e poi rientrarono a Pola.
Il giorno 19 i cantieri di Monfalcone furono nuovamente attaccati dai
cacciabombardieri alleati. La corvetta in costruzione Tersicore, che la Kriegsmarine rinominò U.J. 203, fu colpita e distrutta da alcune bombe. La stessa unità aveva subito seri danni durante l’incursione del 20 aprile.
La 7a Flottiglia motosiluranti della Kriegsmarine svolse in luglio alcune
missioni di scorta a convogli con destinazione le isole dalmate. La notte fra
il 23 e il 24 luglio cinque motosiluranti stavano proteggendo un convoglio,
formato da motovelieri, in navigazione da Ploce a Curzola, quando vennero
attaccate dalle motosiluranti MTB 297 e 372 della 20a Flottiglia e MTB 81
della 24a Flottiglia. Alcuni proietti da 20 mm sparati dalle unità tedesche
danneggiarono il motore della MTB 372, che si fermò. La MTB 81, che navigava a breve distanza, non poté evitare la collisione, subendo seri danni.
La MTB 372 dovette essere abbandonata per i danni considerati irreparabili
e l’equipaggio fu portato in salvo dalla MTB 81. Un membro dell’equipaggio perse la vita nello scontro. Il mattino seguente i cacciabombardieri alleati mandarono a fondo il relitto della MTB 372.(24)
Le motocannoniere MGB 651, MGB 667 e MGB 670 attaccarono la
sera del 26 luglio un convoglio nei pressi di Curzola, riuscendo ad affondare
i motovelieri Vega (333 tsl) ed Enrico (270 tsl, non confermato nelle fonti
tedesche) e a danneggiare gravemente la motosilurante S 151, che fu rimorchiata a Pola, dove venne radiata in conseguenza dei gravi danni subiti.
Cinque membri dell’equipaggio persero la vita nello scontro.
mm (4 siluri), due cannoncini da 20 mm e alcune mitragliatrici e potevano imbarcare
fino a quattro mine tedesche TMB o mine italiane. Le motosiluranti S 622, S 624 e S
625, in costruzione presso il cantiere C.R.D.A. a Monfalcone, rimasero distrutte in un
bombardamento alleato il 14 maggio. Durante la stessa incursione subirono danni le
motosiluranti S 623 e S 626.
(24) Le nove motosiluranti della 24a Flottiglia, dopo due anni di intenso impiego
dapprima nel Mare del Nord e in seguito nel Mediterraneo, avevano sempre più bisogno di lunghi periodi di manutenzione in particolare per i motori, che spesso avevano
guasti, quindi la Royal Navy decise di radiare cinque unità (MTB 81, 86, 89, 226 e
243). Le altre quattro motosiluranti (MTB 84, 85, 97 e 242) vennero assegnate alla
Special Service Flotilla.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Agosto 1944
Il 7 agosto i cacciabombardieri mandarono a fondo il pontone armato tedesco SF 179 a W di Rab. Le torpediniere TA 38 e TA 40 scortarono il posamine Kiebitz (cap. corv. Hansmann), che sistemò nelle ore serali nei pressi
di Umago il campo minato Feh 2. Poco dopo le ore 22:00, la motocannoniera MGB 662 e le motosiluranti MTB 667 e MTB 670 avvistarono due
motozattere del tipo “F” e una piccola nave scorta. Le tre unità attaccarono
con le loro artiglierie la motozattera F 968 (155 t), provocandone l’affondamento verso le ore 22:15. Sull’unità ci furono tre morti. Alle ore 22:26 la
F 963 (155 t) fu invece mandata a fondo con un siluro Mark IV lanciato
dalla MTB 670.
Il giorno 9 la TA 21 (ex Insidioso) venne gravemente danneggiata dal tiro dei velivoli britannici nei pressi Capo Salvore (Istria). La torpediniera fu
rimorchiata a Fiume, dove rimase distrutta durante l’incursione aerea del
5 novembre, prima che potesse essere riparata.
Il giorno 10 il motodragamine RA 260 (ex VAS 312) andò perso nei
Parte dell’equipaggio tedesco della torpediniera TA 21, ex Insidioso. (Archivio Autore)
112
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
pressi di Campo Mortula a causa di un errore di navigazione. Il piroscafo da
carico Giuseppe Dormio (1008 tsl) della Deutsche Mittelmeer Reederei si
inabissò il giorno seguente dopo aver urtato una o più mine di uno sbarramento italiano tra Fiume e Pola. Il 12 agosto il motodragamine R 15 andò a
fondo in seguito alla collisione con la motosilurante S 629 nel porto di Sebenico, ma fu recuperato e rientrò in servizio dopo le necessarie riparazioni.
Il 15 agosto la torpediniera TA 48 (ex T 5) e la nave armata G 104 entrarono in servizio nella Marina croata. La 2a Flottiglia di scorta subì un’importante perdita il 17 agosto; in quel giorno la TA 35 (ex Giuseppe Dezza)
rimase seriamente danneggiata dall’esplosione di una mina nel Canale di
Fasana. La torpediniera non venne riparata a causa dei danni considerati irreparabili.
Nelle ore pomeridiane l’F 619 affondò dopo esser stato attaccato da 11
cacciabombardieri nei dintorni di Chioggia; fra l’equipaggio ci furono due
morti e tre feriti. Il mezzo da sbarco fu recuperato e riparato in un cantiere
veneziano. Il 18 agosto andò perso il piroscafo Numidia (5339 tsl), assegnato alla Deutsche Mittelmeer Reederei, nei dintorni di Parenzo (Istria) in seguito all’urto di una mina, probabilmente tedesca.
La tarda sera del 18 agosto, le motocannoniere MGB 657, MGB 658 e
MGB 670 attaccarono nel Canale di Mljet un convoglio tedesco, formato
dai motovelieri armati Jota e Dora (dotati di mitragliatrici da 37 mm e da
20 mm), dalle motocisterne Helga e Peter e dai mezzi da sbarco I-O-68 e IO-48, scortato a distanza da cinque motosiluranti della 3a Flottiglia. La S
33 dovette rientrare alla base a causa di un guasto ai motori. La MGB 657
era il solo battello dotato di radar in quel momento presente nell’Adriatico.
Le unità alleate mandarono a fondo durante la notte i motovelieri armati
Jota e Dora, il mezzo da sbarco I-O-48 (tre feriti a bordo) e incendiarono la
motocisterna Peter, che venne affondata la mattina seguente dagli Hurricane. Le motocannoniere MGB 657 e MGB 658 rimasero seriamente danneggiate da diversi proietti da 20 mm e da 37 mm.
La notte seguente le motocannoniere MGB 643, MGB 659 e MGB
663 eseguirono una perlustrazione vicino allo stesso canale, dove intercettarono cinque motosiluranti tedesche della 3a Flottiglia, riuscendo ad affondare la S 57.
I cacciabombardieri alleati mandarono a fondo il 20 agosto la motonave Giuseppe (273 tsl), completata nel 1944, e Giuseppe C (79 tsl) nella Baia
di Pago (Canale della Morlacca in Dalmazia). Il piroscafo Addis Abeba (614
tsl) si inabissò il 25 agosto in seguito all’esplosione di una mina, mentre era
in navigazione da Venezia a Trieste.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
La Romania capitolò il 23 agosto e firmò un armistizio con l’Unione
Sovietica e con gli Alleati. Il 26 agosto si arrese anche la Bulgaria. Le truppe
tedesche furono obbligate a lasciare il Paese entro la fine del mese. Il 27, in
conseguenza della precaria situazione nei Balcani, Hitler ordinò alle truppe
tedesche presenti in Grecia di predisporre il ripiegamento.
Settembre 1944
Le torpediniere tedesche TA 41 e TA 45 entrarono in servizio rispettivamente il 31 agosto e il 6 settembre. In quel momento la 1a Flottiglia
di scorta aveva a disposizione cinque unità (TA 37, TA 38, TA 39, TA 41 e
TA 45).
Il 1° settembre i cacciabombardieri alleati affondarono i pontoni SF
262 e SF 109 (armati con un cannone da 75 mm, una mitragliera da 20
mm quadrinata, una mitragliera da 20 singola e mine) rispettivamente nei
pressi di Karlobag e nella Baia di Lukovo.
La notte del 2 settembre, la S 155 e altre tre unità della 7a Flottiglia eseguirono una perlustrazione nel tratto di mare attorno all’isola di Braã, dove
avvistarono un piccolo convoglio della NOVJ. Tutte le motosiluranti aprirono il fuoco, mandando a fondo una motobarca e altri due motovelieri.
Due notti dopo, tre motosiluranti della 7a Flottiglia operarono nella stessa
zona. La S 154 affondò un’altra imbarcazione della Marina partigiana.
La splendida nave passeggeri Rex (51 602 tsl), catturata dai tedeschi
a Trieste, fu affondata la sera dell’8 settembre nei pressi di Capo d’Istria
da dodici bombardieri britannici Beaufighter accompagnati da P 51 North
American Mustang. Nel dopoguerra venne recuperata dagli iugoslavi, che
provvidero alla sua demolizione. La sera del 27 settembre il Kiebitz e le
torpediniere TA 20 e TA 40, mentre andavano a posare gli sbarramenti
Murmel 16-17, vennero attaccati da alcuni aerei, ma non subirono nessun
danno.
Il giorno 10, le motosiluranti britanniche MTB 295 e MTB 374 intercettarono la piccola motonave Sirena (182 tsl), completata nel 1944, nei
pressi dell’isola di Pago. Dopo aver catturato l’intero equipaggio, il mercantile fu affondato con alcune cariche esplosive. Il 10 settembre, 88 bombardieri B-24 della XV Flotta aerea, scortati da P 38 e da P 51, sganciarono le
loro bombe su Trieste. La nave passeggeri Giulio Cesare (21 900 tsl) affondò
nel Golfo di Muggia dopo esser stata colpita da alcune bombe aeree.
Il 12 settembre la Romania firmò l’armistizio con gli Alleati a Mosca. I
reparti tedeschi cominciarono lo stesso giorno a ritirarsi da alcune delle Iso114
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
le Ionie, come Zante, e il 23 ottobre da Corfù. Il giorno precedente era iniziata l’evacuazione delle truppe dislocate nella parte meridionale di Creta.
L’incrociatore antiaereo Delhi (25) giunse il 13 settembre nell’Adriatico
per fornire una buona protezione antiaerea alle unità alleate che stavano
svolgendo rischiose missioni lungo la costa dalmata e per bombardare eventuali obiettivi nemici. Secondo le fonti tedesche i velivoli alleati distrussero
il giorno 16 la motonave passeggeri Ausonia (9300 tsl) in un cantiere di
Monfalcone, mentre era in corso la sua trasformazione in nave ospedale.
Le motozattere F 962 e F 972 si inabissarono verso le ore 16:10 del 17
settembre durante un bombardamento su Zara, mentre la F 926 fu leggermente danneggiata. Il giorno 21 la F 926 saltò in aria in seguito alla detonazione di una mina imbarcata, che fu colpita durante un raid aereo su Zara.
Operazione Odysseus
Il 9 settembre il Marinegruppen Kommando Süd ordinò il trasferimento
di tre torpediniere della 1a Flottiglia di scorta dall’Adriatico in Egeo, dove la
9a Flottiglia era decimata e non poteva più garantire un’adeguata scorta ai
convogli. Il 19 settembre il comandante dell’11a Divisione sicurezza predispose la partenza delle torpediniere TA 37, TA 38 e TA 39, che la sera si trasferirono da Trieste a Pola, dove giunsero alle ore 2 del 20 settembre. Durante la giornata si rifornirono di carburante. Alle ore 19:00 le torpediniere
salparono dal porto istriano assieme alle motosiluranti S 30 e S 36 della 3a
Flottiglia e navigarono a ovest delle isole dalmate a una velocità di 24 nodi.
La TA 38 e TA 39 arrivarono a Cattaro alle 6:30 del 21 settembre. La TA
37 ebbe due guasti ai motori, che rallentarono la sua navigazione. Alle
05:45 due aerei alleati sganciarono cinque bombe e mitragliarono la torpediniera, che non subì danni. La TA 37 giunse a Cattaro alle ore 7:30.
Le motosiluranti, terminata la scorta, rientrarono a Pola. Le riparazioni
ai motori della TA 37 durarono fino alla sera del 21 settembre. Nel frattempo le torpediniere si rifornirono di 100 t di nafta. La sera del 22 settembre
le tre unità ripartirono per dirigersi verso la Baia di Pagania, dove giunsero
alle ore 07:30. Nel Canale d’Otranto ebbero un breve conflitto a fuoco a
(25) Il vecchio Delhi fu convertito nel 1941 in un incrociatore antiaereo, dotandolo di cinque cannoni da 127 mm Dual Purpose, otto cannoncini da 40 mm (2 x 4) e
dieci da 20 mm. I lavori di trasformazione vennero svolti in un cantiere di New York.
115
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
grande distanza con i cacciatorpediniere di scorta britannici Belvoir e
Whaddon della classe “Hunt” ma nessuna nave alleata o tedesca venne colpita. Verso le ore 7:30 del 24 settembre le tre torpediniere raggiunsero il
porto del Pireo, dove entrarono in servizio nella 9a Flottiglia torpediniere.
Il piroscafo da carico Mercurio (1979 tsl) della Deutsche Mittelmeer Reederei si inabissò il 22 settembre nel porto di Parenzo dopo esser stato colpito da alcune bombe sganciate dai cacciabombardieri della BAF. Nel mese di
settembre, la nave ospedale tedesca Tübingen, dislocata sin dal marzo 1944
in Egeo, lasciò il porto del Pireo per rientrare a Venezia con a bordo centinaia di feriti o ammalati.
Ottobre 1944
L’incrociatore antiaereo britannico Delhi scortò in ottobre alcuni convogli
alleati lungo la costa dalmata.
La TA 21, della 2a Flottiglia di scorta, rimase danneggiata il 5 ottobre
durante un’incursione aerea su Trieste. Le motosiluranti MTB 642 e MTB
655 della 56a Flottiglia la notte fra l’8 e il 9 ottobre eseguirono un pattugliamento a sud di Venezia, dove attaccarono con la loro artiglieria quattro
imbarcazioni prive di scorta, riuscendo ad affondare i motovelieri Brio (80
tsl) e Riccardo B. (58 tsl) e a danneggiare altri due velieri. In seguito sostennero un combattimento con alcune torpediniere o corvette tedesche. Alcuni
proietti da 100 mm esplosero a poca distanza dalla MTB 642, provocando
il ferimento di alcuni uomini dell’equipaggio e il danneggiamento delle artiglierie in dotazione.
La motosilurante S 158 affondò con una carica esplosiva un piccolo
motoveliero usato dai partigiani la sera del 9 ottobre nella posizione 43° 25’
N, 15° 40’ W, mentre si stava dirigendo verso Spalato.
La Kriegsmarine organizzò una missione con lo scopo di distruggere le
installazioni militari e il naviglio armato della Marina partigiana presente
nell’isola di Melada.
Nelle prime ore dell’11 ottobre la torpediniera e le corvette distrussero
con le loro artiglierie varie installazioni partigiane, come la stazione radio a
Zapuntello e il faro, mentre le motosiluranti della 24a Flottiglia lanciarono
alcuni siluri contro il porto di Melada. Le esplosioni di questi ordigni crearono gravi danni al molo e distrussero due piccole imbarcazioni. Una delle
motosiluranti, la S 628, fu danneggiata da proietti da 40 mm sparati da un
cannone dei partigiani e dovette essere rimorchiata dalle altre unità.
Alla metà di ottobre, i Comandi tedeschi decisero l’evacuazione dei
116
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
propri reparti della 264a Divisione da Zara, Sebenico e Spalato per effetto
della rapida avanzata delle truppe sovietiche e bulgare in Iugoslavia. La 19a
Divisione partigiana bloccò le due strade costiere nella Dalmazia settentrionale, costringendo i reparti tedeschi a essere evacuati via mare. Fiume divenne la destinazione finale dei convogli salpati dai sopraccitati porti, i quali erano formati da naviglio e da motozattere che avevano a bordo centinaia
di soldati e molto materiale bellico. Le torpediniere TA 20, TA 21, le corvette U.J. 202 e U.J. 208 e il motodragamine R 187 svolsero in totale 37
missioni di scorta e di pattugliamento senza subire nessuna perdita.
Nel mese di ottobre, la Kriegsmarine decise di sciogliere la 1a Divisione
motosiluranti per la mancanza di personale; tutte le unità allora in servizio
vennero assegnate ai tre gruppi della 3a Flottiglia. Per l’esattezza, i battelli
della 3a Flottiglia furono trasferiti al 1° Gruppo, le motosiluranti della 7a
Flottiglia al 2° Gruppo e infine quelli della 24a Flottiglia al 3° Gruppo.
La notte del 16 ottobre le motocannoniere MGB 634, MGB 637, MGB
638 e MGB 662 della 57a Flottiglia attaccarono due convogli di motozattere a nord dell’isola di Vir (Zara), mandando a fondo la motozattera F 625
(44° 19’ N, 14° 49’ E) e danneggiando gravemente altri tre mezzi da sbarco, che furono incagliati non lontano dalla costa. I loro equipaggi li distrussero per evitare la loro cattura.(26)
Il 18 ottobre andarono perse le motozattere F 948 e F 952 in seguito a
una forte tempesta che imperversava nella zona di Pola. Le navi furono re(26) Il 18 ottobre salparono da Trieste le navi ospedali Gradisca e Tübingen con destinazione Salonicco, dove giunsero nei giorni successivi. Verso mezzogiorno del 24 ottobre la Tübingen ripartì con a bordo 1024 feriti tedeschi per rientrare a Trieste, ma lo
stesso giorno la nave fu fermata da unità della Royal Navy nei pressi dell’isola di Chio,
dove venne ispezionata dal personale britannico. Dopo i controlli poté proseguire il suo
viaggio. Tre giorni dopo un cacciatorpediniere di scorta britannico la fermò nuovamente e la accompagnò fino ad Alessandria, dove giunse il 30 ottobre. La nave fu nuovamente ispezionata da una commissione militare. Nonostante i meticolosi controlli non
fu trovato niente di illegale o di non conforme. Il giorno seguente le autorità britanniche obbligarono il personale medico a sbarcare i feriti presenti sulla nave. Poche ore dopo la Tübingen poté ripartire e si diresse verso Bar, dove imbarcò un numero non precisato di feriti tedeschi. Nelle ore successive apparvero all’orizzonte due cacciatorpediniere
britannici che bombardarono il porto montenegrino. Alcuni proietti esplosero a breve
distanza della Tübingen, nonostante fosse ben visibile anche a distanza il segnale della
Croce Rossa dipinto sulla fiancata e su un fumaiolo. La nave ospedale fu catturata da
quest’unità e scortata fino a Bari, dove era già presente la nave ospedale Bonn, anch’essa
catturata, e riusata dagli Alleati.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
cuperate e riparate. La sera la MAL 7, com’è riportato in una fonte tedesca,
venne affondata dalle motosiluranti britanniche nei pressi di Ragusa. Un
Commando della Marina tedesca (Marineeinsatzkommando-MEK) eseguì
un’incursione senza successo contro alcuni obiettivi sull’isola di Lissa effettuati il 20 e il 21 ottobre.
Il pomeriggio del 23 ottobre le corvette U.J. 202 (ex Melpomene) e
U.J. 208 (ex Spingarda) salparono da Fiume per ritornare a Zara. Verso le
ore 21 avvistarono presso l’Isola di Maun (Skrda) un gruppo di motocannoniere britanniche che stavano per attaccare un convoglio tedesco formato
dalle motozattere F 522, F 354, F 433 e F 554 e dai motovelieri Antonio e
Toni, che stavano evacuando le truppe tedesche da Zara a Fiume. Le corvette e le motozattere aprirono il fuoco contro le motocannoniere, che riuscirono ad affondare la F 433.
Il 25 ottobre sei bombardieri britannici Mosquito affondarono nel porto di Sebenico la S 158 del 2° Gruppo (ex 7a Flottiglia) e danneggiarono la
S 156.
Novembre 1944
Nella notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre, la torpediniera TA 20 (con a
bordo il comandante della 11a Divisione di Sicurezza, capitano di fregata
Walter Berger) e le corvette U.J. 202 e U.J. 208 eseguirono una perlustrazione del tratto di costa fra le isole di Silba e Olib, dove spesso operavano le
motosiluranti britanniche, ma non avvistarono nessuna unità. Prima di rientrare a Fiume bombardarono le due isole.
Il 1° novembre i cacciatorpediniere di scorta Avon Vale e Wheatland della classe “Hunt” arrivarono all’isola di Ist con lo scopo di intercettare i convogli tedeschi tra Fiume e Sebenico (Operazione Exterminate). Il capitano
di corvetta Morgan Giles, comandante delle forze navali britanniche nell’Adriatico orientale, venne incaricato di sovrintendere a quest’operazione.
Alle ore 17:00 dello stesso giorno partì da Sebenico un convoglio, formato dalle motozattere F 354, F 433 e F 554 e da una decina di altri mezzi
da sbarco che avevano a bordo soldati e materiali. Nel frattempo erano partiti da Fiume la torpediniera TA 20 (con a bordo il capitano di corvetta
Thorwest), le corvette U.J. 202 e U.J. 208 e il motodragamine R 187 per
andare incontro al convoglio e accompagnarlo fino a Fiume.
La sera le motosiluranti MTB 295, MTB 287 e MTB 384 e le motocannoniere MGB 633, MGB 638 e MGB 640 si posizionarono a nord dell’isola di Pago. I comandi britannici presumevano che i convogli tedeschi
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
transitassero tra le isole di Pago e Lussino. Verso le 19:50 le motosiluranti
informarono i due cacciatorpediniere di scorta britannici di aver avvistato
due “cacciatorpediniere nemici” a SW di Pago.
Pochi minuti dopo, il Wheatland e l’Avon Vale localizzarono con i loro
radar le due corvette, dirette verso sud per unirsi al convoglio. Alle 20:12 i
cacciatorpediniere britannici le avvistarono otticamente, e due minuti dopo, a una distanza di 3400 m, iniziarono a sparare contro le corvette, che risposero al fuoco, riuscendo a danneggiare leggermente l’Avon Vale. Le unità
della Kriegsmarine attuarono una disperata difesa, ma vennero ben presto
colpite da numerosi proietti di vario calibro. Alle 20:50 l’U.J. 202 si capovolse e affondò, mentre in quel momento l’U.J. 208 era avvolta da diversi
incendi. Quest’unità s’inabissò alle 21:43 in seguito a un’esplosione. I due
cacciatorpediniere si avvicinarono ai luoghi degli affondamenti per prestare
soccorso ai sopravvissuti.
Verso le 21:55 iniziò la seconda fase dello scontro, quando i radar dei
cacciatorpediniere localizzarono un nuovo bersaglio, la TA 20, che si stava
avvicinando. Avon Vale e Whetland sospesero i soccorsi e ingaggiarono la torpediniera. Le prime salve dei cacciatorpediniere colpirono alcune sovrastrutture e il ponte comando, uccidendo tutti gli ufficiali presenti in quel momento. La torpediniera affondò alle 22:30 dopo un’eroica resistenza. Le unità britanniche salvarono in totale 71 naufraghi. Nel frattempo, il motodragamine, rimasto in assoluto silenzio radio durante gli scontri, poté proseguire
la navigazione e raggiungere il convoglio nel punto prestabilito. La R 187 e il
convoglio arrivarono il giorno seguente a Fiume senza subire altre perdite.
All’inizio di novembre l’incrociatore antiaereo Colombo giunse in Adriatico per garantire una buona protezione antiaerea alle navi alleate impiegate
nelle operazioni militari che si svolgevano lungo le coste dalmate.
Nelle ore notturne tra il 2 e il 3 novembre il posamine Kiebitz, scortato
dalle torpediniere TA 40 e TA 45 (con a bordo il capitano di fregata Birnbaum), posò il campo minato Lama 3 nell’Adriatico settentrionale.
La sera seguente il Kiebitz ripartì da Trieste per andare a posare uno
sbarramento lungo le coste istriane. La necessaria protezione venne assicurata dalle torpediniere TA 40, TA 41 e TA 45 della 1a Flottiglia scorta. Durante la navigazione le unità furono attaccate da nove cacciabombardieri. La
TA 41 rimase leggermente danneggiata dalle schegge di bombe, e fra l’equipaggio ci furono 21 feriti. Quattro cacciabombardieri vennero abbattuti dai
cannoncini antiaerei imbarcati sulle navi tedesche.
La torpediniera TA 21, il posamine Kiebitz, la nave scorta croata G 104
(ex Salvore, 167 tsl) e la nave recuperi Arpione (320 tsl) affondarono il 5 no119
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
vembre nel porto di Fiume dopo essere stati colpiti da alcune bombe sganciate dai quadrimotori statunitensi. Il posamine collocò nell’Adriatico tra il
marzo e il novembre 1944 circa 5000 mine, in parte assistito anche dal Fasana.
Il 10 novembre i comandanti delle forze tedesche dislocate a Spalato si
arresero a bordo dell’incrociatore Delhi. Il giorno seguente sull’incrociatore
Colombo furono definite le condizioni per la resa delle truppe tedesche operanti nel settore di Zara. Verso le ore 00:30 del 14 novembre il piroscafo
Goffredo Mameli (4370 tsl) rimase per la seconda volta danneggiato dall’esplosione di una mina nei pressi di Capodistria. Le torpediniere TA 40 e TA
45 lo accompagnarono fino alla Baia di Strignano. Il giorno seguente il
mercantile venne rimorchiato a Trieste. Sempre il 17 novembre la nave
ospedale Tübingen ebbe il permesso di ripartire da Bari, e si diresse verso
Trieste, ma l’indomani mattina venne avvistata dapprima da quatto caccia
nei pressi di Capo Promontore e in seguito attaccata da due Beaufighter,
che l’affondarono con una salva di razzi. Nove membri dell’equipaggio persero la vita.
Il 24 novembre le motosiluranti britanniche MTB 287 e MTB 371 si
incagliarono a causa della fitta nebbia nei pressi dell’isola di Levron. Vani risultarono i tentativi di liberarle, e quindi furono considerate perse.
Dicembre 1944
In dicembre l’incrociatore antiaereo Delhi fu trasferito a Spalato per migliorare la difesa della città dalmata contro i temuti attacchi dei mezzi d’assalto
e delle motosiluranti della Kriegsmarine.
Il comandante britannico Morgan-Giles pianificò un attacco contro l’isola di Lussino, che era diventata un’importante base della Kriegsmarine nel
Quarnaro, dove si rifugiavano le motosiluranti e i barchini esplosivi del tipo
“Linsen” (Operazione Antagonise).
L’isola era difesa da una batteria costiera di medio calibro e da postazioni antiaeree. A quest’incursione presero parte i cacciatorpediniere di scorta
Quantock, Brocklesby, Lamerton e Wilton, il LCH 282 (Landing Craft Headquarter-nave comando mezzi da sbarco), tre LCG (Landing Craft Gun), un
LCF (Landing Craft Flak), quattro motocannoniere-motosiluranti del tipo
“Dog Boat” e quattro motolance armate (due ML, due HDML). Il necessario supporto aereo venne fornito dagli Hurricane e da un gruppo di 36
Beaufighter armati di razzi. L’incursione fu svolta durante la notte fra il 2 e
il 3 dicembre. I cacciatorpediniere di scorta Lamerton, Wilton e i LCG
120
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Barchini esplosivi tedeschi “Linsen” nel dicembre 1944. (Archivio Autore)
bombardarono Lussino e dopo Brocklesby e Quantock si avvicinarono alla
Baia di Cigale, dove spararono altri 600 colpi contro le costruzioni e le infrastrutture portuali. La MTB 633 e la MGB 649 entrarono nella baia, dove
avvistarono alcuni barchini esplosivi che tentarono di attaccarli. I cacciatorpediniere di scorta ne affondarono almeno tre. La MTB 633 fu danneggiata
da proiettili di mitragliatrici leggere sistemate sul litorale.
La TA 40 si incagliò il 7 dicembre sui bassi fondali dell’isola di Pago,
subendo seri danni alla prua.
Il 9 dicembre i cacciatorpediniere di scorta Aldenham e Atherstone bombardarono alcuni obiettivi tedeschi sull’Isola di Rab. Quattro giorni dopo
gli stessi cacciatorpediniere di scorta cannoneggiarono una batteria costiera
tedesca nei dintorni di Karlobag e appoggiarono con il loro fuoco lo sbarco
di partigiani a Pag. Durante il viaggio di ritorno, il 14 dicembre l’Aldenham
affondò su una mina tedesca a 30 miglia a nord ovest di Zara approssimativamente nella posizione 44° 30’ N, 14° 34’ E. Circa 126 uomini della nave
persero la vita.
La motosilurante costiera KS 5 (Küsten-Schnellboote) della Marina croata scappò dalla base di Fiume la notte fra il 14 e il 15 dicembre per raggiun121
G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
gere i partigiani iugoslavi. In seguito a questo evento, la Kriegsmarine confiscò tutte le unità militari assegnate alla Marina croata come la TA 48 e le
piccole motosiluranti del tipo KS.
Nella notte fra il 22 e il 23 dicembre due cacciatorpediniere di scorta
della classe “Hunt” bombardarono nuovamente Lussinpiccolo. Parteciparono a quest’operazione, dal nome in codice Antagonise II, anche le motosiluranti MGB 643, MGB 662, MTB 638 e MGB 674.
OPERAZIONI AERONAVALI NEL 1945
Gennaio 1945
Sin dai primi giorni del nuovo anno i dragamine britannici della 19a Flottiglia parteciparono all’Operazione Antagonize III, destinata a sminare le coste dell’alto Adriatico. In gennaio il dragamine Arcturus rimase gravemente
danneggiato dall’esplosione di una mina. L’incrociatore antiaereo Colombo
operò nei primi due mesi del 1945 nell’Adriatico per appoggiare con la sua
artiglieria le operazioni che si svolgevano lungo le coste dalmate e istriane.
La 1a Flottiglia di scorta tedesca aveva a disposizione in gennaio le torpediniere TA 40 (ex Pugnale), TA 41 (ex Lancia), TA 45 (ex Spica II) e il
cacciatorpediniere TA 44 (ex Pigafetta).
La sera del 4 gennaio, le motosiluranti tedesche S 33, S 58, S 60 e S 61,
appartenenti al 1° Gruppo della 3a Flottiglia, eseguirono un’incursione nei
dintorni dell’Isola di Molat. Nella Baia di Bregulie la S 33 affondò con
un siluro la motolancia per la difesa portuale HDML 1163 della Royal
Navy.
La sera del 10 giugno, il 1° Gruppo motosiluranti riprese il mare aperto
per eseguire un’incursione lungo le coste dalmate, ma a causa di un errore
di navigazione le motosiluranti S 60, S 33 e S 58 si incagliarono sui bassi
fondali dell’isola di Unije e non fu possibile salvarle. Il mattino del 16 gennaio alcune motosiluranti e motocannoniere della Royal Navy affondarono
queste unità.
La motosilurante S 154 andò persa il 22 gennaio durante un’incursione
aerea su Pola. La notte fra il 30 e il 31 gennaio il piroscafo Mediceo (5083
tsl) e il traghetto Traù (ex iugoslavo Trogir, 160 tsl) affondarono in seguito
all’urto di una o più mine in prossimità della foce del fiume Tagliamento,
mentre si stavano trasferendo sotto scorta da Venezia a Trieste.
122
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Febbraio 1945
Le motosiluranti MTB 404, MTB 406 e MTB 407 svolsero la notte del
7 febbraio una nuova missione tra Parengo e Umago, dove attaccarono una
nave militare, forse una corvetta. Un proietto da 88 mm danneggiò lo scafo
della MBT 407, che dovette allontanarsi dalla zona dello scontro. Le altre
siluranti eseguirono nelle ore successive un secondo attacco, danneggiando
questa volta il piroscafo Pluto (ex britannico Dalesman, 5500 t), che fu rimorchiato a Parenzo.
Il 10 febbraio il piroscafo Istria I (268 tsl), usato dai partigiani iugoslavi, affondò dopo esser stata colpita da bombe d’aereo di fronte all’Isola di
Veglia.
I barchini esplosivi tedeschi, i famosi Sprengboot, eseguirono la notte del
12 febbraio una brillante incursione contro le navi ormeggiate a Spalato.
Questi mezzi insidiosi riuscirono a superare il sistema difensivo del porto.
L’incrociatore antiaereo Delhi tentò di distruggerli con le sue mitragliatrici
da 20 mm, ma una di queste unità colpì il mezzo da sbarco Landing Craft
Flak 8 (o più semplicemente LCF 8), che saltò in aria in seguito alla detonazione della carica esplosiva, provocando gravi danni all’incrociatore britannico.(27)
Nelle stesse ore le motosiluranti MTB 404, MTB 405 e MTB 407
(sommariamente riparata) stavano svolgendo una nuova missione tra Venezia e Trieste. Poco dopo mezzanotte il radar del MTB 205 segnalò un mercantile, a circa 5 miglia di distanza, che venne attaccato dalle motosiluranti
e probabilmente affondato. L’intelligence britannica ritenne che fosse il piroscafo Mediceo (5000 t) a esser stato distrutto, secondo le fonti italiane il
mercantile affondò alle ore 01:30 del 31 gennaio nei pressi dell’estuario del
fiume Tagliamento dopo aver urtato una mina.
Le motosiluranti britanniche MTB 634, MTB 660 e MTB 710 incontrarono nel Quarnaro la notte del 13/14 febbraio un gruppo di tre motozattere del tipo F, che si stavano dirigendo verso il canale di Arsa. Un proietto
da 88 mm colpì la MTB 710, danneggiando i motori. Fra l’equipaggio ci
furono due morti e altri due feriti.
(27) Il Delhi fu rimorchiato in Gran Bretagna, dove non furono eseguite le necessarie riparazioni per il suo rientro in servizio. Nel 1948 l’incrociatore venne radiato e in
seguito demolito. Questo fu il principale successo conseguito dalla Kriegsmarine nell’Adriatico.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
I bombardieri statunitensi della XV Flotta aerea bombardarono Trieste
e Monfalcone quattro volte durante questo mese (il 7, 17, 20 e 21 febbraio), arrecando ulteriori gravi danni alla città e alle infrastrutture portuali.
Durante l’incursione del 17 febbraio vennero affondati la torpediniera TA
41, che si trovava nel cantiere San Rocco, il cacciatorpediniere TA 44, e le
motozattere F 1195, F 1198, F 1199 e F 1194 (168 t, 1-88 mm, 1-37 mm
Breda, 1-20 mm quadrinata, 1-20 mm Oerlikon), mentre la corazzata Cavour (parzialmente smantellata) subì pochi danni. La petroliera tedesca
Maersk (ex danese, 8271 tsl) rimase danneggiata in modo irreparabile. Il
posamine Laurana, la vecchia torpediniera TA 48 (ex iugoslava T 3) e le
motozattere F 554 e F 952 (nei cantieri di San Marco) andarono a fondo o
rimasero distrutte durante il raid del 20 febbraio. Fu gravemente danneggiata la torpediniera TA 40 (ex Pugnale), mentre l’incompleta corazzata Impero e la Conte di Cavour subirono seri danni. Tra il 23 e il 24 febbraio la
Cavour affondò a causa di infiltrazioni, purtroppo nessuno tentò di salvarla.
Sempre il 20 febbraio, i bombardieri americani della XV Flotta aerea
sganciarono le loro bombe su Fiume, danneggiando gravemente le torpediniere in costruzione TA 46 (ex Fionda) e TA 47 (ex Balestra), le quali furono
catturate al termine della guerra dalle autorità iugoslave che le rinominarono rispettivamente Velebit e Uckla. Il governo di Belgrado ne riprese la costruzione, ma solo la seconda fu completata. I velivoli alleati mandarono a
fondo il 22 febbraio il motodragamine R 4 ad Albona e due giorni dopo la
motonave in costruzione Kuckuck (ex Vittorio Locchi, 4573 tsl) a Fiume.
Marzo 1945
I cacciabombardieri alleati mandarono a fondo il 5 marzo il piroscafo Scarpanto (498 tsl), mentre era in navigazione nel Canale d’Arsa (Istria).(28)
Il motodragamine R 14 e il sommergibile in costruzione UIT 6 (ex R 9)
rimasero distrutti il 16 marzo durante un’incursione aerea alleata su Monfalcone. Nel frattempo, ad Ancona era giunta la seconda divisione (MTB
408, MTB 409, MTB 410 e MTB 411) della 28a Flottiglia. La motosilurante MTB 710 detonò il 16 marzo una mina nel Canale di Arsa, che lo
danneggiò seriamente. Le altre unità lo rimorchiarono fino a Mulat.
Alle ore 15 del 21 marzo, i cacciabombardieri britannici attaccarono le
(28) Per ostruire gli accessi al porto di Venezia, i tedeschi affondarono i piroscafi
Maddalena G. (5212 tsl) e Santa Paola (4262) tsl) rispettivamente il 1° e il 20 marzo.
124
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
navi ormeggiate nell’arsenale di Venezia, affondando la TA 42 (ex Spingarda), la motonave Lia I (223 tsl) e il piroscafo tedesco Otto Leonhardt (ex
greco Arethusa 3682 tsl).
Nella notte del 22-23 marzo, le motosiluranti MTB 674, MTB 655 e
MTB 643 pattugliarono il Canale di Arsa. Verso le ore 3 al largo di Zara, la
MTB 655 urtò una mina che la spezzò in due parti. Nell’affondamento perirono sette uomini dell’equipaggio, mentre gli altri 23 furono salvati dalla
MTB 643. Il pomeriggio del 25 marzo la MTB 705 andò a fondo dopo
aver urtato una mina nel canale di Maknare, mentre si trasferiva da Ancona
a Zara. Due uomini persero la vita e un altro rimase seriamente ferito.
Aprile 1945
La 4a Armata dell’Esercito iugoslavo e i partigiani dell’Esercito di liberazione
sloveno proseguirono l’offensiva contro il 97° Corpo Armata tedesco, riuscendo tra il 16 aprile e il 7 maggio a liberare dopo sanguinosi scontri numerosi centri abitati dell’Istria e le isole di Cherso, Lussino e Veglia. Il 29
aprile la 56a Divisione di fanteria britannica entrò a Venezia, mentre i reparti dell’Esercito iugoslavo occuparono il 1° maggio Trieste e i suoi dintorni.
Il pomeriggio del 2 maggio solo pochi neozelandesi poterono entrare a
Trieste. Il 7 maggio il 97° Corpo Armata tedesco si arrese nell’area di Ilirska
Bistrica.
La nave armata iugoslava NB 11 Crvena Zvijezda (150 tsl) si inabissò il
1° aprile 1945 dopo aver urtato una mina nei pressi di Susak.
La notte del 9 aprile le motosiluranti MBT 633, MTB 634, MTB 638 e
MTB 662 sostennero un violento scontro con quattro motozattere nel canale di Arsa. Un proietto da 88 mm danneggiò la MTB 638 e la MTB 633,
provocando la morte di un marinaio e il ferimento di un altro. La MTB
634 e la MTB 662 attaccarono nuovamente le navi nemiche, questa volta
tre colpi da 88 mm danneggiarono gravemente la MTB 662. L’incursione
dovette essere interrotta, perché il convoglio aveva raggiunto il porto di destinazione.
La MTB 710 della 59a Flottiglia andò persa assieme a una buona parte
del suo equipaggio la sera del 10 aprile non lontano dall’isola di Sansego in
seguito all’esplosione di una mina tedesca. Nelle stesse ore le motosiluranti
MTB 643 e MTB 647 stavano operando nel canale di Planiski, dove attaccarono tre motozattere del tipo F scortate da due motodragamine. La MTB
647 venne raggiunta da un proietto da 88 mm che gli asportò una parte
della poppa.
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G. Faggioni - La guerra aeronavale tra il Golfo di Venezia e la costa dalmata dopo l’8 settembre 1943
Il 12 aprile il comando SNONA inviò le motosiluranti MTB 670 e
MTB 697 e le motocannoniere MGB 643 e 658 a eseguire una missione nel
canale di Planinski, dove la notte transitavano diversi convogli provenienti
da Fiume. Alle ore 2:15 le unità localizzarono con il radar le torpediniere
TA 40 (ex Pugnale) e TA 45 (ex Spica) della 9a Flottiglia che stavano navigando nel canale di Morlacca. Le motosiluranti lanciarono quattro siluri
contro le torpediniere a una distanza 1500 iarde. Due di queste armi colpirono la TA 45, provocandone l’affondamento. Metà dell’equipaggio perse la
vita, mentre la TA 40 rientrò alla base. Il motodragamine R 15 fu affondato
da un siluro lanciato da una motosilurante britannica la sera del 16 aprile
nell’Adriatico Settentrionale.
La notte del 16/17 aprile, la motosilurante MTB 409 della 28a Flottiglia e le motosiluranti iugoslave MTB 217 e MTB 207 eseguirono una missione a Umago lungo la costa istriana. Verso le ore 23 il radar segnalò la
presenza di un convoglio, che era composto di almeno tre motozattere del
tipo “F” e cinque barche cariche di armi e soldati. La MTB 409 lanciò i siluri contro l’ultima motozattera del convoglio che fu colpita e affondata.
Alcuni proietti colpirono la MTB 207, che ebbe a bordo diversi feriti. Nelle
stesse ore le MGB 658, MTB 697 e MTB 633, partite da Rab (liberata due
giorni prima), svolsero una missione a NW di Krk. Vicino alla costa iugoslava la MTB 697 saltò in aria in seguito alla detonazione di una mina tedesca. Nell’affondamento perirono dieci uomini dell’equipaggio.
Il 20 aprile le motozattere F 964, F 949, F 1157, F 1158, F 1160,
F 1201, F 1202, F 1203 (le ultime tre in costruzione), i mezzi da sbarco
I-0-1, I-0-63, I-0-67, I-0-74, I-0-88, I-0-106 e i pontoni armati SF 113,
SF 185, SF 190, SF 224, SF 231, SF 289, SF 286 della Kriegsmarine vennero autoaffondate a Fiume per evitare che venissero catturate dagli iugoslavi. Una motozattera tedesca speronò il 29 aprile il sommergibile tascabile
CB 21 a Pola, mentre tentava di partire per consegnarsi agli Alleati, provocandone l’affondamento.
Maggio 1945
Il 1° maggio le navi superstiti della Kriegsmarine si autoaffondarono a Trieste e a Monfalcone, tra cui il sommergibile Argo, il cacciatorpediniere TA
43 (ex Sebenico) e le torpediniere TA 41 (ex Lancia), TA 40 (ex Pugnale) e
TA 22 (ex Missori. A W di Trieste la motosilurante S 157 andò persa dopo
esser stata colpita da un colpo di artiglieria. Il giorno seguente i motodragamine R 6, R 8 e R 10 si autoaffondarono nell’estuario del Tagliamento. Il 3
126
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
maggio le ultime sette motosiluranti tedesche (S 30, S 36, S 61, S 151, S
152, S 155 e S 156) lasciarono Pola per recarsi ad Ancona, dove si consegnarono agli Alleati.
In maggio gli iugoslavi catturarono i sommergibili tascabili CB 19 e CB
20 (rinominato P 901 Malisan). Quest’ultimo battello venne radiato nel
1950 ed è attualmente esposto nel Museo delle Scienze e delle Tecniche di
Zagabria.
Alla fine del conflitto, le coste dell’Italia e della Iugoslavia erano infestate da mine ormeggiate a urto e da fondo a influenza magnetica-acustica. A
queste bisogna aggiungere il rischio rappresentato dalle mine alla deriva. Solo nell’Adriatico e nel Mar Ionio tre cacciatorpediniere alleati e altri 55 mercantili subirono danni o andarono persi in seguito alla detonazione di questi ordigni fra il 1945 e il 1952.
127
LA MARINA MERCANTILE DURANTE
IL VENTENNIO FASCISTA
ANGELO SAVORETTI
La conformazione geografica della penisola italiana, con la sua smisurata
estensione delle coste, ha da sempre favorito gli scambi commerciali nel
corso dei secoli. Nella prima metà dell’800 il crescere dei traffici marittimi
iniziò a risentire dei limiti di carico, di velocità e regolarità della navigazione
a vela. La rivoluzione industriale coinvolse quasi subito i traffici commerciali marittimi con l’affermazione della propulsione meccanica a vapore, che
però necessitava di notevoli investimenti per garantire linee regolari, requisiti poco adatti ai piccoli stati italiani dell’epoca. Nonostante queste limitazioni, nella prima metà dell’800, la flotta mercantile borbonica era considerata in Europa seconda solo a quella britannica. Fu proprio il napoletano
Giulio Rocco – il primo teorico navale moderno – a parlare di potere marittimo anticipando di ben 80 anni il “Sea Power” di Mahan, e a considerare
la Marina mercantile come una delle sue componenti fondamentali, forse
ancor più della Marina da guerra.
Nel 1861, con l’unificazione del Regno d’Italia, nasceva la prima Marina mercantile italiana sotto la bandiera tricolore, che ereditava circa novemila navi a vela e solo 57 a vapore, per il trasporto di merci e persone, equamente divise tra Regno di Sardegna e Regno delle Due Sicilie. Nonostante il
ritardo della neonata flotta italiana sulle rotte internazionali, il contributo di
ambiziosi armatori come Florio e Rubattino, che già avevano creduto e investito nel futuro della navigazione transoceanica, si rivelò determinante.
Nel 1881 con la fusione delle loro due società, la “Società per la navigazione
de’ battelli a vapore sul Mediterraneo” e la “Società Florio” di Palermo, nac129
A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
que la “N.G.I.” (Navigazione Generale Italiana), che contava 81 piroscafi.
Tuttavia, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, il crescente
fenomeno dell’emigrazione verso mete lontane, come le Americhe, costrinse
la Marina mercantile italiana a puntare più sulla quantità che sulla qualità
dei propri piroscafi, e questa soluzione provocò un cambio di domanda.
Così facendo, la Marina mercantile italiana perse la sua importanza, e la
maggior parte delle sue navi si ridusse a scarti della Marina britannica, riverniciati e ribattezzati. Intorno al 1911, ci fu un tentativo di costruire
grandi transatlantici italiani, come la Principessa Mafalda e la Principessa Iolanda, quest’ultima però naufragò, addirittura, durante il varo, e questo disastro contribuì a frenare il nuovo impulso per le grandi navi.
Il primo massiccio impiego della Marina mercantile si presentò con lo
scoppio della guerra italo-turca, nel 1911-1912, quando vennero requisiti
d’urgenza 8 piroscafi,(1) armati come incrociatori ausiliari, e successivamente
furono noleggiati 96 piroscafi, 21 dei quali in servizi di rifornimento della
flotta e 75 per il corpo di spedizione; inoltre, vennero impiegate altre 23 navi in regime semimilitare postale. Oltre alla “Navigazione Generale Italiana”
e alle “Ferrovie dello Stato” furono interessate anche altre società armatrici.
Ancora maggiore risultò lo sforzo durante il primo conflitto mondiale,
quando la guerra al traffico dei rifornimenti, per la prima volta, assunse un
ruolo determinante: vennero militarizzati 400 piroscafi maggiori e 180 unità minori. Gli attacchi condotti dai sommergibili nemici costarono alla Marina mercantile italiana gravi perdite, con l’affondamento di 10 piroscafi
transatlantici, 16 mediterranei, 46 piroscafi misti, 143 da carico, costituenti
quasi la metà della flotta nazionale, con il risarcimento però, a guerra finita,
di quasi tutte le navi già battenti bandiera dell’ex impero austro-ungarico.(2)
Alla fine della guerra passò sotto la bandiera italiana la Venezia Giulia con il
sostanzioso patrimonio di una marineria di alto livello: il “Lloyd” (non più
Austriaco), i “Cosulich”, l’“S.T.T. - Stabilimento Tecnico Triestino” (con i
cantieri San Marco e San Rocco), l’“Arsenale Triestino” e il grande “Cantiere Navale Triestino” di Monfalcone.(3)
(1) Bosnia, Solunto, Città di Catania, Città di Messina, Città di Palermo, Città di
Siracusa, Duca degli Abruzzi e Duca di Genova.
(2) Archivio Ufficio Storico della Marina (AUSMM), Raccolta di base (R.B.), Tribunale delle prede: pratiche relative ai piroscafi ed unità di altro tipo affondati durante la
Prima guerra mondiale, b. 4, 35, 105.
(3) AUSMM, (R.B.), Pratiche varie del naviglio mercantile nazionale ed estero relative alla Prima guerra mondiale e periodo post-bellico, Titolario 6, p. 5-35.
130
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
L’ascesa di Mussolini
Mussolini, pur non essendo stato un uomo di mare, aveva compreso sin
dalla sua ascesa al potere quanto fosse fondamentale per una nazione, con
aspirazioni marittime come l’Italia, possedere una forte Marina mercantile.
Solo aprendo nuove rotte commerciali o nuove linee di trasporto marittime
si sarebbe riusciti ad avere un primato sul mare. Già nel dicembre del 1919,
Mussolini aveva avviato sul giornale del suo movimento, Il Popolo d’Italia,
una campagna a favore del potenziamento degli armamenti navali e sull’impulso da dare alla Marina mercantile. Nei suoi primi anni di governo affermò che si sarebbe potuto rivelare uno strumento fondamentale poiché: “...
tutti i nostri problemi di rifornimento dipendono in gran parte dal mare, come
già ci venne la vita, potrà anche venirci la fortuna e la prosperità”.(4)
Mussolini, proprio per dare più lustro alla Marina mercantile, ne affidò il dicastero a Costanzo Ciano. Come noto, il Conte di Cortellazzo –
titolo nobiliare acquisito per merito di guerra – si era distinto al comando dei M.A.S. durante il primo conflitto mondiale, compiendo numerose
e rischiose missioni, fra cui la famosa “Beffa di Buccari”, per la quale era
stato decorato della Medaglia d’Oro al Valore Militare. Dopo aver assunto, nel 1919, la carica di sottosegretario di stato per la Regia Marina e
di commissario per la Marina Mercantile, aderì al movimento fascista e,
dopo la marcia su Roma, ricoprì la carica di sottosegretario alla Marina Mercantile dal 19 novembre 1922 al 5 febbraio 1924. Nel corso di questo mandato tentò di ammodernare la flotta fissando premi di navigazione
e di demolizione e introducendo il nuovo Regolamento sulla sicurezza della vita umana in mare (5) abolendo, però, ogni residua libertà sindacale per
i lavoratori del mare.(6) La legge n. 563, del 3 aprile 1926, infatti, proibì
lo sciopero e stabilì che soltanto i sindacati “legalmente riconosciuti”, quelli fascisti (che già detenevano praticamente il monopolio della rappresentanza sindacale, dopo la conclusione del patto di Palazzo Vidoni del
2 ottobre 1925 fra la Confindustria e le corporazioni fasciste), potevano sti-
(4) Dal discorso pronunciato all’Università Bocconi di Milano, il 5 ottobre 1924.
(5) “Le leggi fasciste sulla sicurezza della navigazione”, discorso dell’on. Giovanni
Pala, presidente della “Confederazione Nazionale Fascista Imprese Trasporti Marittimi e
Aerei”, del 27-1-1933.
(6) “L’organizzazione sindacale marinara non può estraniarsi dagli interessi industriali marinari, che tanto da vicino ci toccano”, Gazzetta Livornese, 15-2-1926.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
pulare contratti collettivi.(7) Dopo aver ricoperto l’incarico di ministro delle Poste, dal febbraio al maggio del 1924, venne messo a capo del nuovo Ministero delle Comunicazioni, grande e unico dicastero, che comprendeva la Marina mercantile, le Poste, i Telegrafi e le Ferrovie, carica che ricoprì per circa dieci anni. Con un fedelissimo di Mussolini come Ciano,
la Marina mercantile divenne il simbolo del regime fascista sia in Italia sia
all’estero.(8) A conferma di ciò, nel 1928 si verificò una vertenza tra la
“Confederazione Nazionale fascista imprese trasporti marittimi e aerei” e
la “Federazione fascista autonoma addetti trasporti marittimi e aerei”, presso la Magistratura del Lavoro, relativa all’applicabilità o meno della riduzione salariale del 20% ai dipendenti delle imprese dei trasporti marittimi.
Il dibattito andò avanti per circa una settimana e si risolse nell’ambito
di un’assemblea presieduta proprio dal ministro Ciano, giungendo, “con
spirito di collaborazione e in armonia alle supreme direttive della politica generale del Governo Fascista”, a una “giusta soluzione” che accontentasse entrambe le parti. Evitando l’abolizione del carovita, furono approvate le seguenti norme:
CLASSI LAVORATRICI
RIDUZIONE
DELL’INDENNITÀ
DEL CAROVITA
1) Dipendenti di armatori di
navi da carico
Personale di stato maggiore
ULTERIORE
RIDUZIONE(*)
da 85 a 60 Lit
fino a 50 Lit
dal 12 al 9%
fino all’8%
(*) In seguito a un ipotetico abbassamento del carovita.
(7) “A questo risultato [la ripresa della Marina mercantile] ha potentemente contribuito il ristabilimento della disciplina nei porti e fra la gente di mare”, Corriere Marittimo Siciliano del 7-3-1926, in riferimento a un articolo di Filippo Taiani sul Corriere
della Sera.
(8) “Duce! I ferrovieri, i postelegrafonici, i marinai delle navi del commercio d’Italia, da voi richiamati alla realtà storica della grandezza nazionale, e che ogni giorno nella
loro opera indefessa dànno prove non dubbie del loro stretto attaccamento al Regime,
per mio mezzo vi dicono: comandateci, noi ubbidiremo sempre e dovunque!”, dal discorso di Costanzo Ciano alla Camera del 2-4-1927.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
2) Dipendenti da armatori
di navi da passeggeri e miste
Personale di stato maggiore
e amministrativo
da 150 a 90 Lit
fino a 75 Lit
dal 30 al 20%
fino al 18%
Il rilancio della Marina mercantile
Dopo un periodo di inutili provvedimenti protettivi, nel primo dopoguerra, da parte di governi che cercavano di alleviare la crisi delle costruzioni
navali con provvedimenti transitori, secondo il parere dei sostenitori del
regime, con il decreto Ciano del 1° febbraio 1923 si aprì una nuova epoca per l’industria delle costruzioni navali. Con l’approvazione di questa nuova legge vennero emanate numerose disposizioni: fu elevato il compenso per le costruzioni navali incoraggiando i progressi della tecnica navale come l’adozione dei motori a combustione interna; furono sottratti
i compensi alla fluttuazione della lira, stabilendone il pagamento in oro; fu
stanziata la somma di 126 milioni di lire per la costruzione di 350 000 t
di piroscafi a scafo metallico; fu concessa l’importazione in franchigia, entro
certi limiti, del materiale metallico per gli scafi e le macchine; fu concessa per tre o cinque anni l’esenzione dall’imposta di ricchezza mobile per
il naviglio costruito sotto il regime del decreto Ciano; fu ripristinato il compenso di riparazione e stabilito un compenso di demolizione. Questo indirizzo, anche se un po’ troppo protezionistico, contribuì però al rilancio
della politica marittima in ambito mercantile. La rinascita, infatti, non si
fece attendere, e già nel 1925 la fervida attività nei cantieri navali permise
all’Italia di raggiungere il secondo posto nel mondo fra le nazioni costruttrici con un tonnellaggio di 275 973 t per navi mercantili di stazza lorda superiore alle 100 t, superando la Germania con 234 145 e la Francia con
167 256.(9)
(9) “Nel 1926 furono varati 319 piroscafi, della stazza complessiva di 926.128 t.,
28 dei quali, per 301.000 t. con motrici a turbina; 206 motonavi, per 704.000 t. e 75
velieri per 45.000 tonnellate (escluse le unità inferiori a 100 t.). L’Italia, nel 1926, si
classificò al secondo posto fra gli Stati di maggiore produzione di naviglio mercantile al
secondo posto dietro Gran Bretagna e Irlanda”, Corriere della Sera, 17 aprile 1927.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
NAZIONE
NAVI MERCANTILI
T
1 - Gran Bretagna
218
843 000
2 - Italia
38
298 500
3 - Germania
49
217 000
4 - Francia
351
56 000
5 - Olanda
361
33 600
6 - Stati Uniti
38
118 000
7 - Danimarca
18
59 500
8 - Svezia
18
54 000
9 - Giappone
14
46 000
10 - Spagna
8
44 000
11 - Altri Stati
52
41 000
“L’evoluzione della Marina Mercantile”. (Il Popolo d’Italia, 24-9-1926)
A testimonianza di ciò, il direttore generale della Marina mercantile,
Giulio Ingianni,(10) presentò al ministro delle Comunicazioni i dati che testimoniavano il progresso della Marina mercantile dal 1915 al 1925. Effettivamente l’Italia dall’ottavo posto nel 1914 con 1 430 475 t era passata al
sesto posto nel 1924 con 2 718 000 t e nel 1925 con 2 930 836 t, fino a rag(10) Giulio Ingianni (1876-1958) trascorse gran parte della sua carriera nel corpo
delle Capitanerie di Porto e, dopo la prima guerra mondiale, ricoprì importanti incarichi. Nel 1919 prese parte, in qualità di delegato italiano, alla “Conferenza della Pace” di
Parigi e, tra il 1920 e il 1921, alla “Commissione delle riparazioni di guerra”. Nel 1922
venne nominato Regio Commissario del “Consorzio autonomo del porto di Genova” e,
due anni dopo, Direttore generale della Marina mercantile, incarico che manterrà fino
al 1944. In quell’anno verrà deferito all’Alta Corte di giustizia, nell’ambito delle sanzioni contro il fascismo, con l’imputazione di essere stato tra i “Senatori ritenuti responsabili di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra sia coi loro voti, sia con azioni individuali, tra cui la propaganda esercitata fuori e dentro il Senato”.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
L’ammiraglio Costanzo Ciano, già sottosegretario alla Marina mercantile dal
1922 al 1924. (Fototeca USMM)
giungere nel 1927 il quarto posto
nel mondo con 3 396 000 t, superando quella tedesca e quella francese, (11) e classificandosi dietro
quella britannica, quella statunitense e quella giapponese. Anche il
transito di merci nei porti del Regno era aumentato dal 54% nel
1914, fino ad arrivare al 57,6 nel
1924 e al 63,9 nel 1925.
Il 5 luglio 1928 venne presentato il disegno di legge per la conversione in legge del decreto relativo alla creazione di un Istituto per
il Credito Navale. Costanzo Ciano
in una relazione, a compimento di questa nuova legge, spiegava proprio le
necessità di aver dato luce a tale istituto. Il governo fascista aveva dato un
vigoroso impulso all’industria delle costruzioni navali, all’industria della navigazione e ai traffici marittimi nazionali, favorendo l’aumento del 25% del
naviglio a propulsione meccanica e del 91% la partecipazione della bandiera
nazionale ai traffici dei porti italiani.
Nonostante il miglioramento nella qualità del naviglio da guerra, con
l’entrata in linea di nuove e potenti unità, la flotta mercantile, specialmente
quella da carico, comprendeva ancora vecchie navi che non potevano competere con le loro concorrenti straniere, favorite dalla maggiore capacità finanziaria che i loro governi avevano raggiunto grazie all’adozione di provvedimenti protettivi. Anche per quanto riguarda il servizio passeggeri le vecchie unità dovevano essere interamente sostituite per poter competere in
(11) Dall’estero provenivano apprezzamenti sullo sviluppo della Marina mercantile
italiana. In un articolo di fondo del quotidiano francese Matin, nel 1926, si leggeva:
“La Marina italiana segue ininterrottamente la sua marcia prodigiosa”.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
tonnellaggio e velocità con quelle straniere. Necessitava quindi un programma di rinnovamento del naviglio mercantile capace di poter imprimere un
nuovo vigore all’industria della navigazione e, insieme, delle costruzioni e
della metallurgia, con l’impiego di grandi mezzi finanziari. Perciò, nel 1927,
venne fondato dal finanziere Alberto Beneduce(12) l’ “Istituto del credito navale”, grazie al quale sarebbe stato erogato un contributo diretto dello Stato
che avrebbe diminuito gli oneri per gli armatori. Così, venne ridotto al minimo il tonnellaggio dei velieri e aumentato quello delle navi a propulsione
meccanica con l’impiego del combustibile liquido, incrementando anche il
numero dei piroscafi con caldaie a vapore (2 733 000 t) e delle motonavi
(398 000),(13) di questo tonnellaggio complessivo 1 000 000 t apparteneva
alla Marina per passeggeri e 1 900 000 alla Marina da carico. Notevole fu
anche il contributo delle varie associazioni e federazioni marittime al “Prestito del Littorio”: le ditte armatrici sottoscrissero 17 284 500 Lit in contanti e 34 870 500 in titoli; la “Cooperativa Garibaldi di Navigazione” per
3 500 000 Lit in contanti e convertendo in titoli per 13 800 000 Lit; il personale di mare e degli uffici per 11 470 100 in contanti e 595 300 in conversione; “l’Associazione Marinara Fascista” per 100 000 Lit; la “Cassa malattia marittimi” di Trieste per 56 000, e il “Pio fondo di Marina” di Fiume
per 25 000. Venne adottato anche un disegno di legge per un aumento delle
pensioni per gli iscritti alla “Cassa malattia” per gli invalidi della Marina
mercantile.
(12) Alberto Beneduce (1877-1944) fu un famoso economista e amministratore di
importanti aziende statali durante il fascismo. Entrò in politica nel 1919 e, dopo essere
stato eletto deputato, divenne presidente della Commissione Finanze della Camera; nel
1921 assunse la carica di ministro del Lavoro (amministratore dell’INA, dell’Istituto di
Credito per le Imprese di Pubblica Utilità, nel 1924). Fu il protagonista della ristrutturazione economica italiana dopo la crisi del ’29 e favorì, a tale scopo, la fondazione dell’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) nel 1931, e dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) nel 1933; fu anche il principale ispiratore della legge bancaria del 1936, che
rimase in vigore per 57 anni. Fu uno dei principali consiglieri economici di Mussolini.
(13) “Ma molti percorsi erano resi difficili e lunghi per la navigazione a vela a causa delle bonacce o per la mancanza di vento. Bisognava trovare qualche nuovo mezzo
per vincere gli ostacoli che impedivano il cammino ed applicarlo praticamente. E tale
mezzo lo ritrovò il genio dell’inglese Stephenson che, nel 1906, ideò l’applicazione pratica del vapore ed insieme al Fulton ed al Papin costruì le prime caldaie a vapore ed il
sistema di imprimere il movimento di propulsione alle navi”. Tratto dall’Eco della Stampa del 20-8-1926.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
GRADO
10 ANNI 20 ANNI 25 ANNI 30 ANNI 35 ANNI 40 ANNI(*)
Marinaio
da 840 a da 1680 a da 2205 a da 2730 a da 3430 a
1400 Lit 2800 Lit 3500 Lit 4200 Lit 4200 Lit
da 4130 a
4200 Lit
Nostromo
da 960 a da 1920 a da 2520 a da 3120 a da 3920 a
1600 Lit 3200 Lit 4000 Lit 4800 Lit 4800 Lit
da 4720 a
4800 Lit
Comandante da 2400 a da 4800 a da 6300 a da 7800 a da 9800 a da 11800 a
4000 Lit 8000 Lit 10000 Lit 12000 Lit 12000 Lit 12000 Lit
(*) Anni di navigazione
Nel marzo del 1929 vennero attuati, su proposta del ministro Ciano,
anche una serie di provvedimenti per tutelare la Marina mercantile e il traffico commerciale italiano: una più dura repressione per le usurpazioni dei
beni del demanio pubblico marittimo,(14) una maggiore competenza giuridica dei comandanti dei porti,(15) l’obbligo di dotare tutte le navi mercantili
di impianti radiogoniometrici e radiotelegrafici, trasmittenti a onda corta, e
di apparecchi radiotelefonici riceventi; venne anche riformato il Consiglio
Superiore della Marina Mercantile.(16)
(14) In merito alla modifica dell’art. 159 del Codice per la Marina mercantile,
Ciano si scagliò con queste parole contro le voci provenienti dall’estero che criticavano
il governo fascista: “A quei messeri delle varie internazionali che hanno osato rappresentare il marinaio italiano come oppresso dalla prevalenza capitalistica, il marinaio italiano si presenterà dotato di prerogative che gli stessi messeri sono stati incapaci di conseguire o di ottenere per i marittimi di altre nazioni”. Dal discorso alla Camera del 12
giugno 1929, per l’approvazione del “Bilancio delle Comunicazioni”.
(15) Modifica dell’art. 10 della legge del 31 dicembre 1928.
(16) Nel corso della seduta parlamentare del 19 luglio 1929, sotto la presidenza del
ministro e con l’intervento del sottosegretario Cao, dopo un discorso di Ciano in cui
venivano esposti i compiti che il Consiglio, articolato in due sezioni, doveva assolvere e
l’istituzione del regolamento interno, vennero approvati i seguenti provvedimenti:
- Divieto di imbarco agli allievi ufficiali in sostituzione di ufficiali;
- Divieto di imbarco ai “padroni”, al comando di navi addette al trasporto di passeggeri
in Mediterraneo, al comando di navi da carico a propulsione meccanica di stazza lorda superiore alle 700 t e quali ufficiali sulle navi in viaggio fuori del Mediterraneo;
- Divieto di imbarco a operai meccanici in sostituzione di ufficiali macchinisti.
Inoltre, venne predisposta la chiusura di tutte le immatricolazioni fino a nuovo ordine, con le sole eccezioni per i provenienti dagli Istituti Nautici e dalla Regia Marina
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
La crisi del 1929
A seguito della crisi economica mondiale del ’29, lo sviluppo dei traffici intralciati da ostacoli di vario genere come quelli economici, politici e finanziari, si ripercosse inevitabilmente anche sulle Marine mercantili. La rarefazione dei traffici portò, come conseguenza, una minore attività dei canali di
Suez e di Panama e di quasi tutti i porti del mondo, colpendo ogni settore e
categoria della Marina mercantile. Anche quella italiana subì un brusco freno, e in particolare la Marina da carico, che risentiva maggiormente del rallentamento degli scambi. Mentre la flotta passeggeri non subì eccessivi contraccolpi per via delle navi moderne, la Marina da carico, invece, ebbe forti
ripercussioni negative per i noli bassissimi, una pesante deflessione che non
si verificava dal 1913, di conseguenza molte navi vennero disarmate per evitare perdite troppo forti, e il traffico merci dei porti internazionali fu meno
intenso. Poiché i traffici marittimi sono il termometro dell’economia mondiale, anche grandi nazioni marittime come la Gran Bretagna e gli Stati
Uniti risentirono degli effetti di questa crisi. A questo proposito, l’Italia fascista venne accusata dalla Francia e dalla Gran Bretagna di fare concorrenza
sleale ribassando il prezzo dei noli.(17) Comunque i successi della Marina
mercantile, con i suoi noli attivi nella bilancia dei pagamenti, contribuirono
decisamente alla riduzione del deficit commerciale e al miglioramento dell’Italia con i rapporti di credito e debito con l’estero e alla ripresa della lira.(18)
per orfani marittimi e in casi particolari per il personale dei corsi specializzati di gran
lusso.
(17) “L’attività della Marina Mercantile Italiana – Risposta dell’On. Pala a denigratorie affermazioni straniere”, Il Popolo d’Italia, 16-11-1930.
(18) “Dobbiamo però osservare che, pure sorvolando su altri elementi di paragone
quali potrebbero essere l’accresciuta importanza politica dell’Italia nel dopo guerra, le
sue maggiori attività commerciali ed industriali, la sua popolazione aumentata in modo
notevole, sta di fatto che la nostra Marina mercantile che nell’anno 1914 contava
1.668.296 tonnellate nel 1928 ha raggiunto le 3.541.426 tonnellate, cioè è più che raddoppiata. Questo dato che costituisce per noi giusta fonte di orgoglio dice, nella sua
nudità, quanto siano aumentate di numero e di importanza le nostre linee di traffico e
come il mare sia diventato nell’esistenza del nostro Paese un elemento sempre più vitale.
Siamo con lieve differenza con quella che ci precede e con quella che ci segue, la 5a Marina Mercantile del mondo; questo solo dato, sia pure nella convincente eloquenza delle
cifre, non sarebbe però sufficiente a chiarire l’importanza e le necessità vitali della nostra attività marittima: bisogna ancora considerare che la Marina mercantile italiana serve esclusivamente al nostro traffico perché le linee di navigazione sovvenzionate e libere
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
Le affermazioni della bandiera italiana iniziarono a essere frequenti specialmente nei porti del Danubio e in quelli dell’Egitto. La Marina mercantile italiana, con linee regolari, partecipava ormai sistematicamente al servizio
di emigrazione negli Stati Uniti, in forte concorrenza con quella straniera, e
non solo, ovunque c’era una forte presenza italiana, come nelle colonie africane.
Le navi passeggeri
La Marina mercantile, secondo Mussolini, doveva rappresentare il fiore all’occhiello dell’Italia, in tempo di pace, e dimostrare al mondo intero l’eccellenza della propria capacità cantieristica e marinara. Tra gli anni ’20 e ’30
si iniziò a dedicare particolare attenzione alle navi passeggeri, e le principali
compagnie di navigazione costruirono un complesso di navi di grande prestigio, iniziando così la grande stagione transatlantica italiana. Il “Lloyd Sabaudo” schierava il Conte Rosso, il Conte Verde, il Conte Grande, il Conte
Biancamano, il Conte di Savoia. La “NGI” presentava Orazio, Virgilio, Giulio Cesare, Duilio, Esperia, Roma, Augustus e il famoso Rex. La “Cosulich Line” Saturnia, Vulcania, Victoria, Neptunia e Oceania: queste ultime definite
le navi “incombustibili” grazie a un rivestimento chimico a base silicea che
rivestiva le pareti delle cabine. Se la concorrenza straniera varava navi più
grandi, la genialità italiana aveva compensato lo svantaggio della partenza
dal Mediterraneo con rotte più meridionali e piacevoli, la cosiddetta “Southern Route”, dove il viaggio diventava svago e crociera, invece del freddo e
della severità delle navi di linea britanniche, francesi o tedesche. Le navi
passeggeri delle compagnie di navigazione italiane erano molto apprezzate
dai viaggiatori di buona parte del mondo per la modernità degli scafi, la potenza dei macchinari, l’eleganza degli arredamenti e l’efficienza dei servizi.
Nel servizio passeggeri in Mediterraneo l’Italia salì ai primi posti nel mondo, e l’aver varato navi simili durante la crisi mondiale aveva destato grande
impressione all’estero.
fanno generalmente capo ai nostri porti. Essa non è in prevalenza come altrove, ad
esempio in Norvegia e in Grecia, una attività di carattere quasi industriale che esorbitando dalle necessità del paese si svolge in gran parte fuori dai mari della madre patria”.
Dalla “Relazione sul bilancio della Marina per il 1929-30”, discussa davanti al Parlamento dall’ammiraglio Sirianni.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
Il transatlantico Conte di Savoia al varo. (Fototeca USMM)
Nel 1932 Mussolini,
poiché l’Italia non possedeva una forte compagnia di
navigazione sotto la sua
bandiera, decise di riunire
le tre principali compagnie
italiane, la “N.G.I.” (Navigazione Generale Italiana),
il “Loyd Sabaudo” e la
“Cosulich line”, per dare
vita a una solida compagnia nazionale: l’ “Italia
Flotte Riunite”, denominata in seguito “Società di
Navigazione Italia”. Le prime due ricevettero da subito i finanziamenti per la
costruzione dei due nuovi
supertransatlantici italiani:
il Rex e il Conte di Savoia.
Fino al 1930, tutte le navi di linea più famose in servizio sull’Atlantico
erano britanniche o tedesche, come il Bremen, che si affermavano anche come campioni di velocità. I transatlantici in rotta nel nord Atlantico, infatti,
rappresentavano una vera e propria vetrina internazionale per le nazioni che
le possedevano. Così Mussolini decise che anche per l’Italia, per la prima
volta nella sua storia, era giunto il momento di schierare una coppia di
grandi e moderni transatlantici per competere sulla rotta atlantica; iniziò
così la leggendaria competizione tra il Rex, della “Navigazione Generale Italiana”, e il Conte di Savoia, del “Lloyd Sabaudo”. L’impegno non fu dei più
semplici per l’epoca, perché se nelle navi di tipo normale esisteva un forte
divario tra la costruzione mercantile e quella militare, per quanto riguardava
i transatlantici le differenze si annullavano per l’impiego di materiali speciali, acciai a elevata resistenza e leghe leggere di alluminio, l’uso di apparati
motori potentissimi, dove il peso era ridotto al minimo con l’impiego di
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
caldaie a piccoli tubi, di turbine rapidissime, di alte pressioni di vapore. Anzi, da un certo punto di vista, la nave mercantile rappresentava un problema
ancora più difficile di quella militare, soprattutto perché essa doveva navigare per tutto l’anno, quasi senza interruzione, e doveva sviluppare sempre la
sua massima velocità, mentre la nave da guerra raggiungeva i suoi limiti solo
in casi eccezionali.
Il Rex fu il più grande e più veloce transatlantico italiano mai costruito.
Questo capolavoro dell’ingegneria navale rappresentava uno dei vanti dell’epoca fascista, ed era l’unica nave italiana in grado di competere con i grandi
transatlantici stranieri. Commissionato dalla “Navigazione Generale Italiana” presso i Cantieri Navali di Sestri Ponente (allora “Ansaldo”), la costruzione del Rex durò poco più di un anno, dal gennaio 1930 al 1° agosto
1931, e fu varato nel 1932, in occasione del decimo anniversario dell’ascesa
al potere di Mussolini. Nell’agosto del 1933, il Rex conquistò l’ambito “Nastro Azzurro”,(19) il trofeo assegnato per la traversata atlantica più veloce (in
4 giorni, 13 ore e 58 minuti) con una velocità media di crociera di 28,92
nodi, strappando il record precedentemente detenuto dal transatlantico tedesco Bremen. Il record resistette fino al 3 giugno 1935 quando gli fu strappato dal colosso francese Normandie di ben 83 000 t di stazza e 314 m di
lunghezza. La conquista del “Nastro Azzurro” ebbe una vasta eco in tutto il
mondo, contribuendo ad accrescere la fama del regime fascista.(20)
L’altro vanto della Marina mercantile italiana era il Conte di Savoia.
Questo transatlantico, anche se leggermente più piccolo e meno veloce del
Rex, era considerato frale navi più lussuose dell’epoca e il preferito dalle star
internazionali. Fu anche il primo piroscafo a essere dotato di enormi giroscopi stabilizzatori, da centinaia di tonnellate, per diminuire il rollio in caso
di maltempo; veniva soprannominato come la “nave che non rolla”, un
comfort che però gli costò la conquista del “Nastro Azzurro”.(21)
Con l’entrata in linea dei grandi transatlantici, i servizi sanitari di bordo
furono modernizzati e arricchiti di nuove apparecchiature e impianti, quali
reparti termali per le cure fisioterapiche, sezioni per diatermia e radioscopia,
solarium.
(19) “Un’altra vittoria della Marina mercantile italiana - Il ‘Nastro azzurro’ conquistato dal supertransatlantico ‘Rex’”, Il Popolo d’Italia, 17-8-1933.
(20) “La consegna del nastro azzurro al transatlantico ‘Rex’- Elevato discorso del
deputato inglese Harold Hales”, Il Popolo d’Italia, 21 agosto 1935.
(21) “L’apparato motore e lo scafo del ‘Conte di Savoia’”, Il Popolo d’Italia, 20-61933.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
Il regime fascista dedicò anche particolare attenzione al tempo libero
con l’istituzione di sezioni del “Dopolavoro Interaziendale Marina Mercantile” a bordo di tutte le navi,(22) ispirandosi all’iniziativa presa, poco tempo
prima, dal “Circolo Marina Mercantile Nazario Sauro” di Trieste.
La Marina mercantile italiana, ritemprata dalla cura di Mussolini, tornò
anche a essere presente su rotte che erano state trascurate da Marine straniere, come ad esempio il nuovo servizio passeggeri e merci “Italia-Nord del
Brasile” inaugurato nel 1933; a questa nuova linea vennero destinate due
belle e veloci unità, l’Amazzonia e l’Urania. Per allargare i traffici internazionali venne istituita anche una nuova linea “super-celere” per l’Africa del
Sud. Furono, inoltre, trasportati in Libia 20 000 coloni e rispettive famiglie
con quanto occorreva per farsi una nuova vita.
La Marina da carico
Furono anche risolti i gravi problemi della Marina da carico, migliorando
l’efficienza delle navi, riorganizzando le linee e contribuendo validamente a
combattere la crisi mondiale dovuta alla contrazione del volume del traffico
contrapposto all’aumento del volume del tonnellaggio e al conseguente ribasso dei noli. Tuttavia la flotta da carico continuò per la maggior parte a
operare liberamente, come la “NLT” (Navigazione Libera Triestina), la
“Tripcovich”, la “Navigazione Generale Girolimich”, la “Martinolich”,(23) la
“Messina” e la “Lauro”. La scarsità di materie prime costringeva l’Italia a importare via mare la quasi totalità del suo fabbisogno di combustibile liquido,
(22) “Lo scopo principale del ‘dopolavoro’ sulle navi è l’evoluzione culturale e morale, nonché lo sviluppo fisico e la ricreazione dei naviganti… Su ogni nave verrà istituito un dopolavoro che assumerà la denominazione della nave stessa e sarà presieduto dal
comandante, il quale sarà coadiuvato da un fiduciario di bordo e nominerà un segretario amministrativo. Al fiduciario è lasciata ampia libertà di far svolgere tutto o parte
delle attività dopo lavoristiche, a seconda del tipo di nave, della linea, del numero e delle attitudini dell’equipaggio… Le attività da svolgere a terra o a bordo si possono raggruppare in culturali (biblioteca circolante, conferenze, conversazioni, corsi di lingue
estere, ecc.), sportive (voga, calcio, tennis, atletica leggera, nuoto, palla al cesto, palla a
nuoto, tiro alla fune, lotta, pugilato, scherma), ricreative (cori, orchestrine, fabbricazione di oggetti artistici, gite, danze, feste)… L’attività del dopolavoro sulla nave non deve
minimamente intaccare l’orario di lavoro, né violare in nessuna maniera il contratto di
arruolamento …”, Corriere della Sera, 31-1-1934.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
specialmente il petrolio. Poiché le navi cisterna non erano più sufficienti, l’idea di costituire una flotta di vere e proprie navi petroliere venne nella seconda metà degli anni ’30 quando il tentativo di infliggere sanzioni al regime fascista, come il blocco petrolifero in seguito all’attacco contro l’Etiopia,
aveva messo in luce la necessità di dotare l’Italia di una moderna flotta nazionale di petroliere. Il tonnellaggio aumentò in maniera consistente con
l’A.G.I.P. che, secondo le direttive di Mussolini, ordinò tre grandi motocisterne della portata di 13 500 t ciascuna e di 14 nodi di velocità. Arrivarono
commissioni anche dall’estero, come l’ordinazione di tre grandi motonavi
cisterna da parte della “Standard Oil Company” ai cantieri triestini.
Le infrastrutture marittime
Mussolini era consapevole che il mondo della Marina mercantile non si limitava al solo naviglio ma costituiva un complesso interagente di attività legato al mare che spaziava in diversi settori, dai grandi e piccoli cantieri ai
porti, dai magazzini agli allacciamenti ferroviari per il trasporto delle merci
sul territorio e in numerose attività collaterali interdipendenti. Era necessario intensificare i mezzi atti ad attrarre sulle nostre navi e nei nostri porti
sempre nuove e maggiori correnti di traffico. Con lo sviluppo delle nuove
correnti commerciali e turistiche e la costruzione di navi sempre più grandi,
anche i porti e le varie stazioni marittime dovevano rispondere alle nuove
esigenze, come l’attracco dei grandi transatlantici e l’organizzazione dei servizi di imbarco e sbarco del crescente numero di passeggeri. I porti quindi
dovettero essere attrezzati per poter accogliere questi colossi del mare,(24) au(23) Con queste parole Mussolini ringraziava con un telegramma l’ing. Nicolò
Martinolich, proprietario del cantiere navale di Lussino: “Mentre annunziasi che “Lince” dopo aver risposto obbediente alle mani sicure, le quali diresse là sull’Atlantico verso
Boston, ha attinto lontana mèta, rinnovando col temerario viaggio i fasti delle più audaci imprese nostra gloriosa Marina Mercantile, desidero giunga al geniale costruttore,
al cantiere, donde piccola imbarcazione fu espressa, al comandante, agli equipaggi, all’equipaggio eroico il mio più fervido compiacimento per quest’altra magnifica vittoria
della fede e del coraggio italico”
(24) “Si lavora a sistemare, allargare, attrezzare i porti di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Palermo, Catania, Cagliari, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste,
Fiume. Lo stimolo marinaro ritorna. La Marina mercantile Italiana occupa il secondo
posto nelle gerarchie europee, il quarto nelle mondiali. Dai nostri cantieri operosi sono
143
A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
mentando soprattutto la profondità dei fondali, anche perché il loro costo
d’esercizio era molto alto e un solo viaggio a vuoto avrebbe provocato il fallimento dell’impresa; di qui la necessità di assicurarsi il passeggero. Vennero
ampliati i porti di Genova,(25) Livorno, Civitavecchia, Napoli,(26) Palermo,
Catania, Cagliari, Bari, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste e Fiume. Il 1934
vide i porti italiani accrescere il loro traffico, e la Marina mercantile, in virtù anche del compenso di demolizione, iniziò ad avviarsi verso l’equilibrio
fra volume di stiva e volume di traffico, condizione fondamentale per il ritorno alla normalità.
C’era anche il bisogno di creare nuovi accessi ai porti: ne fu un esempio
la costruzione della dogana di Ravenna per ricongiungere al mare il porto
che, alla fine degli anni ’20, subì un rapido sviluppo fino a superare le
400 000 t di merci con l’allargamento della banchina e della darsena per poter sistemare l’attrezzatura edilizia e meccanica e le installazioni di elevatori
per lo scarico delle merci e il dragaggio del fondale. Proprio in questo senso,
si rafforzarono tutti i settori dei trasporti da carico e delle attività specifiche
quali i mezzi di rimorchio portuale, costiero e d’altura, la pesca d’alto mare,
le unità di salvataggio e recupero,(27) i grandi traghetti delle Ferrovie dello
Stato operanti nello Stretto di Messina e i trasporti in frigorifero dei generi
alimentari. In base a quest’ultima necessità il Ministero delle Colonie creò
la R.A.M.B. (Regia Azienda Monopolio Banane) per trasportare nel territorio metropolitano le banane prodotte in Somalia, all’epoca colonia italiana.
Vennero così ordinate quattro navi frigorifere: due, Ramb I e Ramb III, ai
Cantieri Ansaldo di Genova Sestri, e due, Ramb III (28) e Ramb IV, ai Canusciti giganti come il Roma e fra poco l’Augustus la più grande motonave del mondo”.
Dal messaggio di Mussolini del 28 ottobre 1926: “Lo spirito marinaro ritorna”.
(25) Il traffico del porto di Genova che nel 1913 aveva toccato 7.427.272 t. di
merce sbarcata e imbarcata, dopo la prima guerra mondiale, aveva ripreso a salire arrivando quasi alle stesse cifre nel 1924 di 7.456.094 t. per poi arrivare nel 1925 a
8.248.830”. Dal Corriere della Sera del 25-1-1927.
(26) AUSMM, (R.B.), Base navale di Napoli: progetti di sistemazione del porto mercantile, Titolario 5, Anno 1922-25, busta 1674, fascicolo 5.
(27) Grande notorietà ebbe l’impresa dell’Artiglio, che recuperò, da un alto fondale, l’oro perduto nell’affondamento della nave da trasporto Egypt.
(28) La Ramb III, costruita nel 1938, venne catturata dai tedeschi il 9 settembre
1943, e ribattezzata con il nome di Kiebitz. Fu affondata a Fiume il 5 novembre 1944
durante un’incursione aerea anglo-americana. Venne recuperata dagli iugoslavi e trasformata nello yacht presidenziale iugoslavo Galeb, che fu utilizzato per molti anni dal maresciallo Tito.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
tieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone, che dovevano avere un’autonomia sufficiente per effettuare il percorso da Mogadiscio a Napoli senza soste
intermedie e a pieno carico.(29)
Le innovazioni fasciste
Durante l’epoca fascista furono introdotte diverse novità all’interno della
Marina mercantile. Mussolini volle risvegliare l’assopito spirito marinaresco
e affidò alla Lega Navale la promozione di crociere turistiche, facilitate dal
governo per “diffondere il nome dell’Italia in ogni sponda di mare”.(30) Venivano organizzate con le navi passeggeri crociere, sia estive sia invernali, per
dare una coscienza marinara al popolo italiano e per far conoscere le nostre
colonie oltremare.
Allo stesso tempo, il regime fascista volle anche mantenere uno stretto
rapporto fra la Marina mercantile e quella militare, dando alla prima quell’impronta disciplinare di cui aveva bisogno. Già il 1° settembre 1926, su
proposta del capo del governo Mussolini, primo ministro e segretario di stato per la Marina, era stato attuato uno schema di provvedimento relativo all’imbarco di ufficiali della Regia Marina su piroscafi mercantili, per un periodo non superiore ai sei mesi, “allo scopo di dare incremento alla loro istruzione professionale”. Nel 1928 venne istituito, per iniziativa del ministro della Marina mercantile Ciano, un ente speciale destinato alla gestione delle
navi-scuola per gli ufficiali della Marina mercantile, denominato Nazario
Sauro, e all’istituzione, nel 1932, della nave scuola Patria. I promotori e finanziatori di questo ente e della nave-scuola furono tre: il Ministero delle
Comunicazioni, la “Federazione autonoma fascista addetti imprese trasporti
marittimi ed aerei” e la “Confederazione nazionale fascista imprese trasporti
marittimi ed aerei”.(31) Per addestrare in maniera professionale alla vita e all’attività marinara gli allievi ufficiali della Marina mercantile, questi veniva-
(29) In base a disposizioni legislative precedenti, fin dalla costruzione delle unità,
era prevista la possibilità di trasformarle in incrociatori ausiliari per eventualità belliche,
con quattro pezzi da 120/40 mm in coperta.
(30) E. Squadrilli, L’impero fascista sul mare: la Marina militare, la Marina mercantile, gli Italiani e il navalismo, Roma, Lega Navale Italiana, 1939.
(31) G. Pala, La Marina mercantile in un decennio di regime fascista, Confederazione Nazionale Fascista Imprese comunicazioni Marittimi e Navigazione Aerea, 1932.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
no sottoposti a esami tecnico-pratici e imbarcati per crociere addestrative.
Non si voleva far dimenticare che alcuni decorati della Medaglia d’Oro al
Valore Militare durante la prima guerra mondiale provenivano proprio dalla
Marina mercantile, come Giuseppe Corrias,(32) Giuseppe Aonzo(33) e il leggendario Luigi Rizzo.(34)
Venne poi approvato con R.D. 23 maggio 1932 un regolamento per la
sicurezza delle navi mercantili e della vita umana in mare che si rifaceva a
un altro approvato il 10-8-1928. Quest’ultimo era stato ritoccato in alcuni
punti dopo la conferenza internazionale di Londra del 31 maggio 1929 e
quella del 5 luglio 1930 relativa alla linea di massimo carico delle navi mercantili, perché risultava molto più rigoroso delle norme stabilite da queste
due convenzioni, e pertanto finiva col creare all’armamento italiano oneri
più forti di quelli da cui erano gravati gli armatori stranieri.
Il regolamento italiano prevedeva una serie di prescrizioni cui la nave
doveva rispondere in qualsiasi circostanza, in particolare quelle relative all’idoneità per la navigazione, alle caratteristiche dello scafo, e all’apparato motore; particolarmente curate erano le disposizioni per quanto riguardava le
sistemazioni e i mezzi di salvataggio e l’azione per prevenire e domare gli incendi, la preparazione dell’equipaggio e l’efficienza dei servizi di bordo
per prevenire e fronteggiare i sinistri.
Una dettagliata elencazione di tutte
queste disposizioni era trattata in tre
capitoli diversi, costituiti da ben 43
articoli. In particolare, fu dedicata
una certa attenzione al complesso
Medaglia di benemerenza per gli equipaggi della Marina mercantile che parteciparono alla prima guerra mondiale. (Collezione privata dell’autore)
(32) I Decorati della Marina, vol. II, Le Medaglie d’Oro al Valore Militare, Roma,
USMM, 1992, p. 170 sg.
(33) Ibidem, p. 176 sg.
(34) Ibidem, p. 174 sg..
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
La nave scuola della Marina mercantile, Patria, in navigazione durante una crociera addestrativa. (Fototeca USMM)
delle dotazioni contro gli incendi, costituito da un sistema di avvisatori automatici capaci di avvertire da dove sarebbe stato possibile sia azionare le
paratie tagliafuoco, sia invadere con i gas antincendio la parte della nave interessata tramite una serie di leve direttamente manovrate dal ponte di comando. Tutte queste norme venivano direttamente controllate dal Registro
Italiano Navale ed Aereonautico e dalle Capitanerie di Porto.
Il 27-1-1933, l’onorevole Pala, presidente della “Confederazione Nazionale Fascista Imprese Trasporti Marittimi ed Aerei”, durante una seduta parlamentare prese a pretesto proprio l’incendio scoppiato a bordo che distrusse il transatlantico francese Atlantique,(35) provocando la morte di molti
membri dell’equipaggio, per esaltare l’ingegneria navale e la legislazione italiana che garantiva la “più ampia tutela della vita umana in mare” sulle proprie navi passeggeri e non solo.
(35) Il Mattino illustrato, marzo 1933, p. 1.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
Il positivo bilancio tra le due guerre
Alla vigilia del secondo conflitto mondiale la Marina mercantile italiana
aveva registrato straordinari progressi. Nel 1914 la flotta mercantile consisteva di 1 530 000 t, di cui, durante la prima guerra mondiale, ne erano state affondate ben 880 000 (il 57,5%); nel 1922 era stata ricostituita e contava 2 866 000 t, che arrivarono a 3 566 000 t nel 1925; superata la crisi del
’29, nel 1938 aveva mantenuto all’incirca lo stesso tonnellaggio, 3 433 000,
ma la composizione era completamente diversa in quanto, grazie alla demolizione del vecchio naviglio, era costituita da 3 609 unità, di cui solo 946
costituivano il 95% del tonnellaggio, ovvero i grandi piroscafi e motonavi
prevalevano su tanti piccoli velieri e motovelieri, al contrario della situazione del passato.(36)
La flotta mercantile, che prima della marcia su Roma contava 2968 000
t di navi a propulsione meccanica, nel 1933 arrivò a possederne 3 331 000,
favorita dalla ripresa dei traffici. Dal 1923 al 1933 vennero demolite oltre
600 000 t delle vecchie navi ormai sorpassate dalla tecnica, e le grandi navi
Lo sviluppo della Marina mercantile italiana dal 1915 agli anni precedenti l’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale.
(36) AUSMM, (R.B.), Lo sviluppo della Marina mercantile, Anno 1922-26, b.
1697, f. 4.
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Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
furono destinate per un terzo ai passeggeri e due terzi alle merci. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale la Marina mercantile italiana era arrivata al sesto posto nel mondo dopo la Gran Bretagna, Stati Uniti, Giappone,
Norvegia e Germania. Per quanto riguarda le navi di stazza oltre le 20 000 t
era al secondo posto a pari merito con la Germania. In confronto con le altre Marine, come anzianità, la flotta italiana aveva unità mercantili più vecchie (metà con oltre vent’anni) e navi passeggeri più moderne.(37) L’Italia, a
metà degli anni ’30, arrivò a possedere circa 160 linee di navigazione, così
suddivise geograficamente:
LINEE DI NAVIGAZIONE ITALIANE NEL 1935
Porti italiani
64
Dalmazia e Albania
14
Colonie italiane
12
Porti del Mediterraneo
24
Medio-Oriente (Siria e Palestina)
12
Nord Europa
2
Asia (Golfo Persico, India e Indie Olandesi
8
Australia
1
Nord America
8
Sud America
5
Centro America
7
Africa extra-mediterranea
6
(37) P. Fortini, La Marina mercantile nella depressione economica, nella ripresa nella
guerra(1930-1940), Parte I, Generalità sulla crisi che ha fondamentalmente colpito la Marina da carico, Milano, Istituto per gli studi di politica internazionale, 1941.
149
A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
Nel 1936, in ambito IRI, venne costituita, all’interno di un progetto statale di riorganizzazione e razionalizzazione dei servizi marittimi di
linea, la “Finmare” (Società Finanziaria Marittima) per coordinare, indirizzare e assicurare con i mezzi finanziari più idonei l’attività delle società pubbliche di navigazione: “Italia di Navigazione”, “Lloyd Triestino di Navigazione”, “Adriatica di Navigazione”, e “Tirrenia di Navigazione”. La “Finmare”, che controllava la maggioranza azionaria di queste società, acquisì, nel
1937, anche la società “Libera Triestina di Navigazione” della quale flotta e servizi furono indirizzati alla “Italia di Navigazione” e al “Lloyd Triestino”.(38) L’idea di Mussolini si basava sull’accorpamento delle cosiddette “imprese miste”, che aveva già accennato durante il discorso del Campidoglio in cui tracciò il piano regolatore dell’economia italiana del regime fascista.
La Marina mercantile in guerra
Il complesso del personale che ruotava intorno alla Marina mercantile alla
metà degli anni ’30, stimato in circa 200 000 persone, poteva rappresentare
un completamento della Marina da guerra nel momento del bisogno. Nel
1935 venne attuato un provvedimento che “mirava a disciplinare l’attività
della Marina Mercantile in tempo di guerra dettando norme per la ripartizione
e dipendenza del naviglio, per il censimento e l’armamento delle navi, per il
naviglio ausiliario, per le requisizioni ed il personale di bordo”.
La Marina mercantile produsse un enorme sforzo durante la guerra d’Etiopia, quando furono trasformati e adattati in breve tempo grandi transatlantici per il trasporto di truppe, di materiali e per l’assistenza sanitaria come le navi-ospedale Gradisca, Urania, Tevere, Vienna, Helouan, Cesarea e
Aquileia.(39) Vennero inviati in Africa Orientale 595 000 uomini, oltre
16 000 veicoli e 1 241 000 t di materiali, per cui, in rinforzo al parco navale
nazionale, lo stato dovette acquistare all’estero alcune navi di seconda mano
che vennero raggruppate nella classe “Regioni”: Piemonte, Calabria,
Umbria, Toscana, Sicilia, Liguria, Sardegna, Sannio e Lombardia. Le motonavi Barletta e Adriatico effettuarono una limitata attività come incrociatori
(38) G. Pala, “La Marina mercantile nell’economia dell’impero fascista”, discorso
tenuto presso l’Istituto fascista di cultura di Grosseto il 31 marzo 1937.
(39) Dalla redazione di Storia Militare: “Le navi ospedale italiane 1935-1945”.
150
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
ausiliari, mentre il piroscafo Helouan del “Lloyd Triestino”, di ritorno con
uno scaglione di reduci, subì ad Alessandria d’Egitto un incendio che lo rese
irrecuperabile. La convenzione “Finmare” del 1937 portò al controllo di più
di 200 navi, alcune delle quali erano quanto di meglio poteva dare la cantieristica nazionale.
A seguito della dichiarazione di guerra all’Etiopia il regime fascista dovette incassare le sanzioni internazionali inflitte all’Italia. Tuttavia, la propaganda di Mussolini cercò di trasformare quelle sanzioni in un vantaggio per
l’economia nazionale poiché avrebbero stimolato “qualitativamente la nostra
possibilità economica, sforzandoci a nuove difficoltà e accentuando il ritmo delle preesistenti, come una febbre di crescenza”. Di conseguenza i nuovi successi
della Marina mercantile venivano visti come una potente reazione contro
l’ostilità sanzionistica internazionale, come ad esempio la sostituzione dei
vecchi motori a propulsione (di marca straniera) con altri più potenti di
marca e di costruzione nazionale, gli italianissimi “Fiat”. Inoltre, a seguito
del rifiuto da parte dei Lloyd’s di Londra della riassicurazione di qualsiasi rischio di carichi diretti in Italia, per le sanzioni internazionali in seguito alla
dichiarazione di guerra all’Etiopia, il governo fascista decise di fissare nuove
norme per l’assicurazione del naviglio mercantile, per affrancare il campo
assicurativo marittimo dalle compagnie straniere. Così le compagnie italiane di trasporto formarono tra loro un sindacato che offriva a qualsiasi compagnia, nazionale o estera, l’assicurazione e la riassicurazione dei rischi rifiutati dai Lloyd’s.
Dopo la guerra d’Etiopia e quella di Spagna, venne presa in esame la situazione della Marina mercantile.(40) Durante l’impresa etiopica le società
armatrici avevano fatto incetta di vecchie carrette, per il trasporto e il rifornimento dell’esercito, che avevano aumentato numericamente ma nello
stesso tempo invecchiato, dal punto di vista qualitativo, la flotta mercantile.
Così, per rinnovare la flotta da carico venne emanata la cosiddetta legge
Benni-r.d.l. 10 marzo 1938, n. 330, in base alla quale venivano garantite
agevolazioni ai cantieri navali e agli armatori, con uno stanziamento annuo
di 103 000 000 di lire per dieci anni. Vennero subito ordinate circa cinquanta motonavi dagli armatori italiani, e furono impegnati quasi tutti i
cantieri italiani: “Ansaldo”, “Cantieri Navali Riuniti di Riva Trigoso” e
“Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Monfalcone”. Le società di stato e quelle
(40) AUSMM, (R.B.), Pratiche naviglio mercantile connesse colle esigenze A.O. (Africa Orientale) e O.M.S. (Operazione Militare Spagna), f. Requisizioni, noleggi.
151
A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
private furono così impegnate:
SOCIETÀ
NAVI
Società Italia
6 motonavi da 6200 tsl
Lloyd Triestino
4 motonavi da 7000 tsl
Tirrenia
11 motonavi da 3180 tsl
Garibaldi
4 motonavi da 8000 tsl
Agip
4 motonavi da 10500 tsl
S.i.d.a.r.m.a.
9 motonavi da 6338 tsl
3 motonavi da 8400 tsl
Alla vigilia della seconda guerra mondiale, dal 3 settembre 1939 al 25
maggio 1940, i fermi per controlli imposti da navi britanniche e francesi del
blocco antitedesco ai danni di navi mercantili italiane, furono 1347, provocando sensibili danni economici. Il 20 febbraio 1940, ad esempio, vennero
fermate 10 navi carboniere in viaggio da Rotterdam con carico di carbone
indispensabile all’industria nazionale, perché di provenienza tedesca.
La seconda guerra mondiale
All’inizio della seconda guerra mondiale, la Marina mercantile italiana si
presentava come una delle più grandi al mondo. Le navi con stazza superiore alle 500 t erano 786, per un totale di 3 318 129 tsl, quelle fra le 100 e le
500 tsl erano circa 1000; oltre a migliaia fra rimorchiatori e pescherecci. I
marittimi erano 660 000, tra i quali 230 000 di prima categoria e 430 000
di seconda.
Con lo scoppio del conflitto la Marina mercantile fu chiamata a rivestire un ruolo di fondamentale importanza, a fianco della Marina militare, in
un Mediterraneo che sarebbe divenuto un campo di lotta senza quartiere.
La vera guerra che la Marina italiana combatté durante il secondo conflitto
mondiale fu quella di protezione al traffico mercantile, fondamentale per rifornire i vari teatri operativi nel Mediterraneo come l’Albania, la Grecia, la
Libia e la Tunisia, per mantenere i collegamenti con le varie isole e per assicurare il traffico costiero.
152
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
LIBIA
ALBANIA, GRECIA,
EGEO
TUNISIA
Uomini
206 402 t
982 402 t
77 741 t
Combustibili
599 337 t
134 983 t
132 522 t
Automezzi, corazzati,
blindati e ricambi
275 310 t
79 497 t
73 870 t
Armi e munizioni
171 060 t
145 575 t
92 149 t
1 200 673 t
1 609 997 t
127 628 t
Altri carichi
Uomini e materiali inviati nei vari teatri operativi del Mediterraneo.
I convogli mercantili costituirono l’asse portante dei rifornimenti navali
italiani. Purtroppo la politica navale fascista, nonostante il grande sviluppo
della Marina mercantile e il rafforzamento di quella da guerra, incappò in
clamorosi errori, a cominciare dalla costruzione delle navi: venne data scarsa
importanza al naviglio di scorta che, durante la guerra in Mediterraneo, sarebbe stato fondamentale. Pesante, nonostante fosse stata prevista e perfettamente calcolata,(41) fu la perdita del 30% della flotta mercantile, costituita
(41) Nell’approfondito saggio di Giuliano Colliva, “Ufficio Trasporti Rifornimenti
in guerra: studi per un conflitto (1931-1940)”, Bollettino d’Archivio, giugno 1998, p.
45-95, l’Autore evidenzia fra l’altro che con r.d. n. 21 dell’11 gennaio 1923 erano stati
istituiti la “Commissione Suprema mista di Difesa” e il “Comitato per la preparazione
della mobilitazione nazionale”, che dovevano preparare e organizzare tutte le attività del
paese necessarie a una guerra. La commissione era presieduta da Mussolini, ed era composta dai ministri della Guerra, della Marina, degli Esteri, delle Colonie, delle Finanze e
dell’Industria. Dalle relazioni e dai verbali delle riunioni, che si tennero annualmente
per diciotto anni consecutivi, si ricava un quadro molto chiaro di come i responsabili
civili e militari del regime seguissero i temi della preparazione militare, delle iniziative
portate avanti, e soprattutto della conoscenza effettiva che essi avessero sul delicato argomento. Tutti gli studi dello speciale “Ufficio Trasporti Rifornimenti in Guerra” indicavano che i rifornimenti in caso di guerra dovevano essere effettuati quasi completamente per ferrovia, e infatti particolarmente importante si dimostrò la possibilità di utilizzare durante il conflitto tutti i valichi con i paesi confinanti. Incredibilmente precisa,
fra altre, fu la previsione relativa alla disponibilità di navi mercantili. Le stime di tutti
gli studi della commissione si dimostrarono ragionevoli, e il numero dei piroscafi (che
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
dalle navi migliori, che si trovava sparsa negli oceani.(42) Il 10 giugno 1940
perdemmo 212 navi mercantili, per un totale di 1 216 637 t di stazza lorda
che, per la maggior parte, vennero riutilizzate dagli Alleati per i loro fondamentali traffici.(43) Il primo giorno di guerra rimasero tagliati fuori del Mediterraneo 212 piroscafi, diversi moderni transatlantici, 136 petroliere stazzanti dalle 2 000 alle 6 000 tsl, 64 mercantili tra le 6 000 e le 10 000 tsl, i
più adatti per impiego bellico, per un totale di 1 209 090 tsl, che erano così
sparse nei mari:
LOCAZIONE
Africa Orientale italiana
Europa settentrionale e orientale
Spagna e suoi possedimenti
Colonie portoghesi
Stati Uniti d’America
NUMERO
DI MERCANTILI ITALIANI
33
11
22
3
26
spesso navigavano con metà carico per mancanza di materiale da trasportare) fu sempre
ritenuto sufficiente, e addirittura superiore al necessario perché i mercati del Mediterraneo, gli unici dai quali avremmo potuto effettuare acquisti in caso di guerra, non offrivano le merci a noi indispensabili. Se col proseguire della guerra i mercantili non furono più sufficienti, ciò fu dovuto al prolungarsi delle operazioni e al loro andamento
(n.d.r.).
(42) Nell’agosto del 1939, la Germania, non avendo avvisato preventivamente le
proprie navi mercantili in navigazione in mari lontani, aveva perduto più di metà delle
stesse, rimaste bloccate in porti neutrali, catturate dal nemico o autoaffondate per evitare la cattura.
(43) Le previsioni indicate da tutte le analisi della Commissione Superiore della
Difesa nel documento del 1940 indicavano, prosegue Giuliano Colliva, “... che sarebbero rimaste fuori dal Mediterraneo ... 235 navi mercantili, per 1 238 053 tsl, con uno
scarto rispetto a quanto successe il 10 giugno, del valore in tonnellate dell’1,7 per cento... Le prime disposizioni per evitare la cattura erano già state impartite nel 1931, e
successivamente ancora studiare e migliorate. Per cui è del tutto priva di fondamento
l’affermazione ... che [si] evitò di dare opportune istruzioni per evitare la cattura dei nostri mercantili ... In realtà gli studi della commissione ... erano stati chiarissimi sin dalle
prime edizioni e, soprattutto quelli del 1938-1940, ... non lasciavano speranze: i rifornimenti in guerra sarebbero stati drammatici e quelli dei combustibili liquidi difficilissimi. L’unica speranza era una guerra breve ...” (n.d.r.).
154
Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare - Dicembre 2013
America centrale
Colombia e Venezuela
Brasile
Uruguay
Argentina
Iran
Thailandia
Cina e Giappone
Porti britannici e alleati
Porti francesi
10
8
19
12
15
3
2
5
34
3
Due società della “Finmare”, la compagnia di Stato, furono tra le più
danneggiate: la “Società Italia” perse 16 navi, il “Lloyd Triestino” ben 37,
quasi la metà della flotta sociale.(44) Tuttavia alcune di queste navi mercantili non si rassegnarono a essere catturate e a cedere merci utili alle necessità
belliche dell’Italia, così forzarono il blocco navale e raggiunsero i porti atlantici della Francia in mano ai tedeschi;(45) altre navi furono affondate nel
(44) Alcune di queste navi, per la loro qualità, avrebbero potuto rivestire una notevole importanza dal punto di vista militare, in particolare:
- Il transatlantico Conte Grande, internato a Santos in Brasile nel 1940; venne poi ceduto agli Stati Uniti, che il 16 aprile lo trasformarono nel trasporto truppe Monticello;
- il transatlantico Principessa Maria, bloccato in Argentina;
- alcune ottime navi come la Leme, la Belvedere, la Cellina e la Fella;
- le navi passeggeri Colombo, Nazario Sauro, Tripolitania, Conte Verde, Leonardo da
Vinci, Conte Biancamano, Giuseppe Mazzini, Rodi e Gerusalemme;
- le motonavi Remo, Romolo, Volpi, Sumatra, Ramb I, Ramb II e Ramb IV;
- molte navi cisterna, rimaste bloccate nei porti venezuelani e messicani.
- Per sottolineare l’importanza di queste navi, basti ricordare che la Volpi e la Sumatra,
bloccate a Puket Harbour (Thailandia), erano destinate a diventare, in caso di requisizione, incrociatori ausiliari.
(45) Fra queste unità le più famose furono: la motonave Pietro Orseolo della
“S.I.D.A.R.M.A.” e le motonavi Cortellazzo, Himalaya e Fusijama del “Lloyd Triestino”, che raggiunsero Bordeaux beffando i controlli britannici. Altre unità che riuscirono a fuggire furono i piroscafi Clizia e Capo Lena dai porti atlantici spagnoli, i piroscafi
155
A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
tentativo di sfuggire alla cattura.(46)
Per quanto riguarda la Marina da traffico, la quasi totalità delle navi,
pur restando formalmente proprietà degli armatori, venne gestita dallo Stato, o con requisizioni per scopi di guerra veri e propri (navi scorta, vedette,
dragamine), o con noleggi per convogli e rifornimenti di guerra. Fin dal
tempo di pace i piani di mobilitazione prevedevano l’utilizzo di certe navi
per specifici scopi; per ognuno di questi incarichi erano stabilite le navi più
adatte. Vennero requisite 1700 navi, metà delle quali impiegate nel dragaggio mine (con la sigla B) e nella sorveglianza foranea (sigla F). Le altre furono suddivise tra le navi scorta, antisommergibili (sigla AS), posamine, trasporti truppa con 5 delle navi maggiori, 12 navi ospedale con contrassegni
internazionali ben visibili e 7 navi soccorso (senza il riconoscimento di categoria). Per scortare i convogli, risparmiando così le unità da guerra, vennero
requisiti quei mercantili che, pur avendo un tonnellaggio ridotto, erano in
grado di effettuare una navigazione d’altura a una velocità di 15 nodi, agendo anche come trasporti rapidi. In base a queste caratteristiche, vennero requisite dalla Regia Marina quasi tutte le motonavi postali dell’“Adriatica” e
della “Tirrenia”, e iscritte nei ruoli del naviglio da guerra, diventando così a
tutti gli effetti unità militari. Delle 36 navi convertite in incrociatori ausiliari, contrassegnati dalla sigla militare D e numero progressivo, ben 32 vennero affondate (anche se due furono recuperate nel dopoguerra e rimesse in
servizio).
COMPAGNIA ARMATORIALE
Adriatica
Tirrenia
Fiumana
Eritrea
Istria-Trieste
Regia Azienda Monopolio Banane
Ex iugoslave
INCROCIATORI AUSILIARI
14
8
3
2
2
4
2
Capo Alga, Burano, Todaro, Atlanta, Eugenio C. e Ida dalle Canarie, i piroscafi Frisco,
Mombaldo, XXIV maggio, Butterfly e Africana dal Brasile.
(46) Come i piroscafi Sangro ed Ernani, la motocisterna Franco Martelli e il piroscafo Stella, che venne catturato.
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Le navi passeggeri, invece, furono prevalentemente impiegate per il trasporto di truppe verso i fronti oltremare quali la Libia, l’Albania e, dall’inverno 1942-1943, la Tunisia, per un totale di 1 242 279 militari italiani. Le
navi adatte a queste missioni, requisite ma non militarizzate, provenivano
tutte dalla flotta della “Finmare”, quindi navi dello Stato, e sempre con
equipaggi della Marina mercantile. Inizialmente, nei primi mesi del 1941, il
dispiegamento in Africa del corpo di spedizione tedesco, l’Afrikakorps, può
essere annoverato fra i grandi successi della nostra Marina.
Oltre al trasporto di truppe era vitale anche il rifornimento di armi,
munizioni, viveri e, soprattutto, carburante, per gli eserciti impegnati oltremare. Purtroppo, le navi che avrebbero potuto assolvere al meglio questa
funzione erano proprio quelle unità, le migliori della Marina mercantile,
che rimasero fuori dal Mediterraneo all’inizio del conflitto; di conseguenza i
trasporti vennero affidati a unità vecchie di almeno cinquant’anni, non preparate alle rotte di guerra. Quindi, si cercò di ovviare a queste mancanze
con la costruzione di nuove motonavi che, pur essendo di ottima qualità,
dal punto di vista numerico erano drammaticamente scarse. Queste nuove
unità, ordinate ai cantieri navali alla vigilia della guerra, finirono sotto il
controllo della Regia Marina(47) e costituirono la spina dorsale dei convogli
per la Libia. A causa del loro intenso impiego subirono enormi perdite, così
fu varata la legge 12.5.42, n. 797, e poi il r.d.l. 7.12.42 n. 1808, che obbligava gli armatori di navi perdute a reimpiegare in costruzioni o in acquisto
di nuove navi le indennità di perdita liquidate agli stessi dalle amministrazioni per conto delle quali le navi erano state requisite o noleggiate, o dagli
istituti di assicurazione per le navi assicurate.(48)
Un altro settore della guerra navale nel quale venne fatto largo impiego
di navi civili fu quello del cosiddetto naviglio “minore”. Molti rimorchiatori, motopescherecci e trasporti costieri, circa 2207 unità civili, vennero re-
(47) Completate e fornite d’equipaggio da parte della società proprietaria, venivano dotate d’armamento antiaereo e di un nucleo di marinai del Corpo Reale Equipaggi
Marittimi (C.R.E.M.) per gestire le armi imbarcate; inoltre, come su tutte le unità requisite, veniva affiancato al capitano della nave un ufficiale proveniente, di solito, dalla
riserva della Regia Marina.
(48) Le navi più moderne ebbero un’attività molto intensa e spesso un destino tragico; tra queste vennero affondate la Lerici, dell’armatore Bibolini di Genova, le quattro
motonavi del “Lloyd Triestino”, le tre della “Navigazione Alta Italia” (Monginevro, Monviso e Monreale), dieci della “Tirrenia” e otto – su nove – della “SIDARMA”.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
quisiti per una grande varietà di compiti: Vedette Foranee (V),(49) Compito
Antisom (AS )(50) e Dragaggio (F-B-G-R-DM ).(51)
Molte altre piccole unità vennero requisite per il “pilotaggio” (136, con
la caratteristica P), la guardia alle ostruzioni (118 unità, con la caratteristica
O) e i servizi portuali (94 unità, con la caratteristica Z).
Durante la campagna contro la Grecia furono requisite altre unità per
costituire le “Forze Navali Speciali” da utilizzare in occasione di uno sbarco
nell’isola di Corfù, che poi non venne effettuato. Si cercò, poi, di utilizzare
questa nuova formazione per uno sbarco nell’isola di Malta, anche questo
mai eseguito, utilizzando alcune navi di tipo particolare, come i motoscafi e
i vaporetti di proprietà dell’A.C.N.I.L. di Venezia – cioè quelli della navigazione lagunare – e decine di “bragozzi” dell’Adriatico. Successivamente molte di queste unità vennero utilizzate nel novembre del 1942 per lo sbarco in
Corsica.
Le cause di affondamento delle navi mercantili italiane furono molteplici. Durante la navigazione, la maggior parte degli attacchi alleati con aerosiluranti veniva effettuata verso la sera, quando non erano presenti gli aerei di scorta della Regia Aeronautica e della Luftwaffe. Terribili furono anche i continui bombardamenti aerei cui vennero sottoposti, dal 1940 al
1943, molti porti italiani, come quelli anglo-americani su Napoli, Palermo,
Cagliari e Messina e, dal 1943 al 1945, quelli tedeschi su Genova, La Spezia, Trieste e Bari.(52) Gli attacchi condotti con navi di superficie ebbero mi(49) Il compito ufficiale di queste 260 navi era di preavvisare con anticipo l’avvicinarsi alle coste di velivoli provenienti dal mare; però, potevano svolgerne anche molti
altri come il pilotaggio, la scorta e i collegamenti con le isole o basi minori.
(50) Queste 66 unità, costituite per gran parte da motopescherecci o piccoli piroscafi, erano adibite al pattugliamento di zone costiere e al contrasto dell’attività dei
sommergibili britannici che si spingevano verso le coste italiane per attaccare piccoli
convogli o addirittura pescatori al lavoro. Nonostante un’intensa attività, i loro risultati
furono assai scarsi, sia per la limitata efficienza degli strumenti di ricerca loro assegnati,
sia per la minima potenzialità di quelli di attacco.
(51) Per questo compito venne requisito il maggior numero di unità, circa 983,
con diverse specializzazioni che venivano contraddistinte da una caratteristica distintiva:
la F indicava il dragaggio foraneo, la B indicava il dragaggio ravvicinato, la G il dragaggio d’altura, la R il dragaggio d’altura medio e DM il dragaggio magnetico.
(52) Pesanti conseguenze ebbe l’attacco aereo condotto sul porto di Bari dalla Luftwaffe, nel dicembre 1943, che distrusse quasi venti navi mercantili, italiane e alleate, e
causò centinaia di morti fra marittimi e portuali per l’esplosione di una nave statunitense carica di bombe all’iprite.
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nori conseguenze, anche se gli effetti furono drammatici; ne fu un esempio
la completa distruzione del “convoglio Tarigo”, avvenuta nelle prime ore del
16 aprile 1941, quando cinque navi mercantili italiane e i tre cacciatorpediniere di scorta vennero affondati da una formazione composta da quattro
cacciatorpediniere britannici, dotati di Radar, di cui uno venne affondato.
Nell’autunno del 1941 si registrò un grande aumento degli attacchi aerei e
dei sommergibili britannici. In settembre e in ottobre un sommergibile,
l’Upholder, affondò le grandi motonavi passeggeri Neptunia e Oceania; tuttavia le percentuali di merce consegnata non variarono di molto. Con il
proseguire dei mesi, la pressione sui nostri convogli si fece sempre maggiore, e raggiunse il suo apice fra ottobre e novembre con il sistematico attacco,
permesso anche grazie al sistema di decrittazione britannico ULTRA, alle
navi cisterna italiane da parte di aerei e sommergibili, come la distruzione
del convoglio Duisburg (sette navi mercantili e due cacciatorpediniere affondati).
Tuttavia, durante il conflitto la Marina mercantile incrementò la sua
flotta grazie a una cinquantina di mercantili tedeschi – che rimasti in Mediterraneo all’inizio della guerra, combatterono al fianco degli italiani – e
alla cattura di diverse navi nemiche. Dopo la cattura di due piroscafi britannici nel 1940,(53) la maggior parte delle navi prese al nemico si verificò nella primavera del 1941, dopo le campagne contro la Grecia e la Iugoslavia.
A quest’ultima la Regia Marina requisì diverse navi, fra le quali Cattaro
e Lubiana, impiegate come incrociatori ausiliari, Traù e Giovanni Ingrao
come vedette foranee, Monte Maggiore e Frangipane come unità antisommergibili. Nel novembre del 1942, con l’occupazione della Tunisia, della Corsica e della Provenza le forze dell’Asse entrarono in possesso di tutte le navi mercantili francesi, che si spartirono fra tedeschi e italiani;(54)
a questi ultimi spettarono 80 navi. Comunque, non tutte poterono essere riequipaggiate per far parte dei convogli che facevano la spola con la
Tunisia per rifornire le truppe impegnate a contrastare gli anglo-americani che avanzavano a tenaglia dalla Libia e dall’Algeria. Queste unità, però, vennero requisite dalla Regia Marina e assegnate nominalmente a diverse compagnie armatoriali italiane come la “Finmare” o la “Cooperativa
Garibaldi”, la quale ultima precedentemente, era stata incaricata di gestire
(53) Dalesman, poi ribattezzato Pluto nella Regia Marina, e Ulmus.
(54) Già nel giugno del 1940 la Francia aveva dovuto cedere all’Italia tre navi cisterna, Proserpina, Saturno e Capo Pino come risarcimento di precedenti affondamenti.
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le navi sussidiarie dello Stato.
L’apertura di un nuovo fronte di guerra con l’occupazione della Tunisia,
in seguito allo sbarco anglo-americano in Marocco e in Algeria alla fine del
1942, aggravò ancor di più le difficoltà cui andava incontro la Marina italiana nel garantire le scorte ai convogli diretti in Africa. La cosiddetta “rotta
della morte”, quel corridoio diretto verso Tunisi creato fra due campi minati
posizionati dalla Marina italiana per limitare l’intervento delle navi britanniche, si trasformò in un percorso obbligato che costrinse i convogli italiani
a subire incessanti attacchi aerei da parte di stormi di bombardieri e aerosiluranti alleati, che causarono la distruzione di 154 mercantili e il danneggiamento di altri 138 sui 388 impiegati.
Durante il conflitto la posa di mine fu una delle forme di guerra più
diffuse in Mediterraneo; tutti i belligeranti posizionarono sbarramenti sia
difensivi sia offensivi. A questo compito specifico vennero destinate diverse
unità requisite dalla Marina mercantile: incrociatori ausiliari, piroscafi del
dragaggio foraneo e, soprattutto, alcuni traghetti delle Ferrovie dello Stato,(55) che possedevano una delle caratteristiche più tipiche delle navi posamine: un ponte interamente occupabile dalle mine; di contro, però, essendo
unità di piccolo tonnellaggio e di scarso pescaggio non riuscivano a reggere
bene il mare grosso. Alla fine, la cosiddetta battaglia dei convogli terminò
con l’occupazione britannica di Bengasi e Tobruch e la conseguente caduta
di Tripoli, il 23 gennaio 1943.
All’indomani dell’8 settembre 1943, venne impartito da Roma alle autorità portuali di tutto il paese, agli armatori, ai capitani mercantili, l’ordine
di impedire a ogni costo la cattura delle proprie unità mercantili da parte
dei tedeschi, e di aderire invece alle eventuali richieste di requisizione dei
comandi alleati. Purtroppo nell’Italia settentrionale non poté essere eseguito
il primo ordine per mancanza di tempo: alcune unità si autoaffondarono e
quasi nessuna riuscì a raggiungere i porti meridionali, già liberati, come
quelli della Puglia e della Sicilia.(56) Le navi che prestarono servizio sotto i
(55) Scilla, Cariddi, Villa, Reggio, Aspromonte.
(56) Tra le navi che tentarono questa impresa, ci fu la motonave Vulcania, che partì
da Trieste l’8 settembre per imbarcare a Pola gli allievi di complemento dell’Accademia
Navale. La sera del 10 settembre il comandante dei corsi, capitano di vascello Enrico Simola, non se la sentì di proseguire la navigazione con un equipaggio così inesperto, e il
giorno dopo fece sbarcare gli allievi, che vennero internati quasi tutti in Germania, e fece incagliare la nave nei pressi dell’isola di Brioni ordinando che fosse sabotata; ma l’or-
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Il transatlantico Rex mentre entra in un porto italiano. (Fototeca USMM)
tedeschi furono ben poche, e i marittimi italiani si sottrassero spesso all’imbarco con resistenze e diserzioni, al punto che nel 1944 l’amministrazione
tedesca dovette elevare formale protesta alla Repubblica di Salò, che cercò
di proteggere i marittimi dalle rappresaglie tedesche e di tutelare gli interessi
degli armatori. Molte navi catturate dai tedeschi vennero autoaffondate come sbarramenti nei porti, come la nave passeggeri Marco Polo alla Spezia, o
il transatlantico Augustus a Genova, dove si trovava per essere trasformato
nella portaerei Sparviero.(57) Stessa sorte ebbero le due più famose navi-lido
italiane:
– Il Rex fece il suo ultimo viaggio come transatlantico commerciale nella
dine non venne eseguito. Una settimana dopo la motonave venne presa dai tedeschi,
disincagliata e condotta a Venezia, carica di prigionieri italiani catturati a Pola, dove rimase inattiva fino al termine del conflitto.
(57) L’Augustus, costruita nel cantiere navale Ansaldo di Sestri Ponente, era stata la
più grande motonave passeggeri al mondo.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
primavera del 1940. Sebbene fosse in progetto la trasformazione del Rex
in una portaerei, venne impiegato solo come nave ospedale per il trasporto dei feriti dal nord Africa all’Italia. La sera dell’8 settembre 1944, nelle
acque di Capodistria, venne attaccato con bombe e siluri da aerei angloamericani e bruciò per quattro giorni prima di affondare.
– Il Conte di Savoia venne adibito a nave per il trasporto di truppe verso la
Libia. L’11 settembre 1943 gli toccò la stessa sorte del Rex, bombardato
però da aerei tedeschi mentre era ancorato nel porto di Malamocco, nell’Isola del Lido di Venezia.
Non bisogna poi dimenticare il fondamentale impiego delle navi ospedale per il trasporto dei feriti. Furono utilizzate per questo scopo dodici navi, tutte di società pubbliche,(58) e nove di queste furono perse durante la
guerra: quattro furono affondate per siluramento e due furono catturate dai
tedeschi.(59) Queste navi accolsero 281 260 feriti e malati in 467 missioni di
trasporto e 156 di soccorso in mare aperto. Alcune di queste come l’Aquileia, l’Arno, la California e la Gradisca riportarono in Italia migliaia di feriti
e ammalati; la Gradisca prese parte, nel marzo del 1941, al salvataggio dei
naufraghi dopo la battaglia navale di Matapan. Proprio a questo scopo, durante il conflitto, operarono sette navi soccorso – specializzate nel recupero
di naufraghi, di piloti e di aerei abbattuti – che, nonostante recassero le insegne di navi ospedale, non furono riconosciute come tali dal nemico e vennero attaccate per tutta la durata della guerra.(60)
Un’operazione quasi del tutto sconosciuta riguarda il salvataggio e il
rientro in patria degli italiani dall’Africa Orientale, quasi 28 000 tra donne, bambini e uomini, con l’impiego di quattro transatlantici – Saturnia,
Vulcania, Duilio e Giulio Cesare (61) – e due petroliere – Arcole e Taigete –
sotto l’egida del Comitato Internazionale della Croce Rossa, effettuato
in tre viaggi di circumnavigazione dell’Africa tra il 2 aprile 1942 e l’11 ago(58) Le società di navigazione erano state già avvisate prima della guerra riguardo
le navi che sarebbero state requisite per tale scopo, e negli arsenali erano conservate le
scorte (letti, biancheria, articoli sanitari) per un rapido allestimento delle unità.
(59) Una delle unità sopravvissute al conflitto, la Gradisca, fu perduta per incaglio
nel gennaio 1946.
(60) Sei di queste navi – Epomeo, Capri, Leta, Giuseppe Orlando, San Giusto e Sorrento – furono affondate durante il conflitto, e la settima, la Laurana, venne catturata
dai britannici in Tunisia nel maggio del 1943.
(61) Queste ultime due vennero affondate nel 1944 da bombardamenti aerei nella
baia di Muggia.
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sto 1943. Va ricordato anche lo scambio di prigionieri grandi invalidi italiani, britannici e tedeschi avvenuto davanti a Smirne, in Turchia, tramite le
navi passeggeri Gradisca e Città di Tunisi,(62) che viaggiavano con lo scafo
dipinto di bianco e una grande scritta, “PROTECTED”, sulle fiancate.
L’impegno della Marina mercantile proseguì anche dopo la guerra, quando
il Toscana, un vecchio piroscafo del gruppo “Regioni” acquistato al tempo
della campagna d’Etiopia, imbarcò 46 460 tra feriti, malati, profughi ed
esuli da Pola nel 1947, ed emigranti per l’Australia in una continua attività
con un totale di 54 missioni e viaggi fino al suo disarmo seguito dalla demolizione.
Nonostante gli enormi sacrifici, la Marina mercantile assicurò i collegamenti marittimi effettuando 4500 convogli (una media di quattro al giorno) con il trasporto di 1 200 000 uomini e 4 500 000 t di materiali, subendo perdite del 7%-9% in uomini e del 14%-29% nei materiali, con un
massimo del 29% nei carburanti, particolarmente presi di mira; partecipò ai
servizi di prima linea con 1700 navi maggiori e minori con 25 000 uomini
d’equipaggio contando 7164 caduti. I mercantili assolsero sempre al meglio
le loro missioni, tanto che la catena dei rifornimenti non venne mai meno:
di 4 199 375 t di merci imbarcate, solo 449 225 t non giunsero a destinazione, cioè il 10,5%.
Tuttavia, andò perduto un patrimonio immenso non solo per quanto
riguardava il numero e la qualità delle navi, ma anche, e soprattutto, per le
migliaia di marinai scomparsi in mare, un totale di 7164 Caduti su circa
25 000 naviganti iscritti nei ruoli, fra questi:
CAUSE
A bordo di Navi requisite e non
MARITTIMI CADUTI
3257
A bordo di Naviglio ausiliario
310
Durante la prigionia
537
Quale solenne atto di riconoscimento della Nazione al valore e al sacrificio dei marinai delle navi mercantili, l’11 aprile 1951 la bandiera della
Marina mercantile, per decreto del presidente della Repubblica Luigi Ei-
(62) Riclassificata, per questo, dal precedente ruolo di incrociatore ausiliario.
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A. Savoretti - La Marina mercantile durante il Ventennio fascista
naudi, venne decorata con la Medaglia d’Oro al Valore Militare,(63) consegnata a Genova il 16 settembre successivo.(64)
Conclusioni
Non bisogna mai dimenticare che nella Storia italiana la Marina mercantile
è stata sempre presente nei momenti critici, chiara dimostrazione che l’Italia
non può fare a meno di una flotta adeguata ed efficiente, con infrastrutture
e attenti interventi legislativi di sostegno, tali da poter affrontare ogni evenienza.
In pochi anni la Marina mercantile, durante il “Ventennio”, subì una
grande evoluzione. Rappresentò uno dei motori fondamentali dell’economia italiana, in particolare nel servizio delle navi passeggeri, che da modesto
apparato per viaggiatori meno abbienti, si era trasformato in un superbo catalizzatore internazionale per i più ricchi benestanti. La capacità di attirare
passeggeri dipendeva dalle dimensioni e dalle caratteristiche della nave, la
cui efficienza e grandezza rappresentava un investimento, ma anche esposizione e rischio per l’armatore. La crescita di esperienza e capacità dei cantieri navali italiani attirò sempre più gli armatori, che solitamente commissionavano le proprie navi a cantieri stranieri, permettendo la costruzione in
Italia delle navi più prestigiose, tali da rendere sempre più viva la presenza
italiana sulle rotte internazionali. Già a metà degli anni ’30 la Marina passeggeri era stata dotata di un’intera flotta di nuove navi, che per modernità,
velocità, ricchezza e perfezione tecnica erano considerate fra le migliori del
mondo. Nel corso del decennio, poi, un naturale processo di aggregazione
delle varie compagnie delle grandi navi passeggeri italiane sarebbe continuato fino alla costituzione di una solida flotta nazionale.
Scelte politiche e militari non altrettanto intelligenti contribuirono a
portare la Marina mercantile alla distruzione durante il secondo conflitto
(63) Motivazione: “Per l’eroico valore, la capacità e l’abnegazione dimostrate sui mari
dai suoi equipaggi e per il sacrificio dei suoi uomini migliori e delle sue Navi, nel corso di
un lungo aspro conflitto contro agguerriti avversari. (Zona di Operazioni 10 giugno 19408 maggio 1945)”.
(64) Alla cerimonia facevano da sfondo le motonavi Saturnia Conte Grande e
Italia, l’incrociatore Garibaldi, le corvette Ibis e Chimera, ed era presente, come alfiere,
il capitano di lungo corso Cesare Rosasco, anch’egli Medaglia d’Oro al Valore Militare.
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mondiale. Per quanto riguardava le scelte politiche, il programma di riarmo
navale italiano tra le due guerre, come già sottolineato, puntò esclusivamente sulle corazzate e sui sommergibili, relegando ai margini le navi di scorta
che sarebbero state molto utili nella protezione dei convogli. A fronte dell’imponente sforzo del regime, che creò una forte ed efficiente Marina mercantile, poi, fece riscontro la scellerata decisione politica di entrare in guerra
nonostante la precisa conoscenza di quanta parte della più moderna flotta
mercantile nazionale si trovasse sparsa per il mondo o in porti divenuti ostili, dove venne catturata, privando l’Italia di uno strumento fondamentale
per i trasporti e i rifornimenti.
Alla fine del conflitto, nel maggio del 1945, rimasero solo 95 navi mercantili italiane superiori alle 500 t, per un totale di 336 810 t, il 10% di
quelle esistenti all’inizio del conflitto. I porti italiani vennero in gran parte
distrutti, e ci vollero anni per liberarli dai relitti e ricostruirli; anche la navigazione di cabotaggio, un tempo molto attiva, dovette ripartire da zero.
Tra catture, affondamenti e distruzioni, della grandiosa flotta passeggeri
sarebbe rimasto ben poco alla fine della guerra. Nella maggioranza dei casi
restarono relitti semiaffondati, scafi da ricostruire e cumuli di ferro da demolire. Alla fine del conflitto, l’Italia perse in tutto 31 delle sue 37 navi passeggeri, e le due unità più vecchie della compagnia “Italia Navigazione”, Saturnia e Vulcania, continuarono il loro servizio fino al 1965, quando vennero sostituite dalla Michelangelo e dalla Raffaello; si dovette contare sulle poche navi passeggeri rimaste in servizio per riprendere il traffico civile, fondamentale nei primi mesi del dopoguerra. Nonostante questo, la cantieristica
italiana riprese l’attività nel dopoguerra, e furono messi in servizio altri celebri transatlantici nei decenni successivi. Dopo il naufragio dell’Andrea Doria, nel luglio del 1956, e dopo la crisi che limitò la competitività delle navi
passeggeri e il trasporto nautico sulle grandi distanze tra gli anni ’60 e ’80, a
favore dell’aviazione, negli anni ’90 riprese un nuovo fulgore testimoniato
dal primo posto italiano di “Fincantieri” nel settore delle grandi navi da
crociera che, nonostante lo sciagurato incidente occorso alla Costa Concordia nel gennaio del 2012, continua tuttora.
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