il cervello del giocoliere

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Il cervello del giocoliere
Nel gioco delle tre carte - indovina dove si cela la regina di cuori?
(ma ci sono altre varianti) - la massima attenzione è focalizzata sulla
carta designata. Invece il giocoliere, che tiene sospese in aria sei,
otto, dieci palline in una vorticosa girandola, è concentrato soltanto
nella destrezza e rapidità dei movimenti. A nessuna delle palline
riserva un qualsivoglia interesse. Anche se le palline fossero tra loro
tutte diverse, e magari qualcuna di esse fosse dotata di proprietà
magiche, durante l’esibizione nessuna potrebbe godere di uno
sguardo particolare.
Ecco, attenzioni (curiosità, riguardi, affetti) necessitano di limitazioni
di campo e tempi di dedizione appropriati.
L’intelligenza è una facoltà della mente che si espande e consolida
attraverso le medesime modalità; presuppone una fruizione lenta,
centellinata, in cui l’attenzione è la chiave essenziale che facilita
l’assorbimento di elementi aggiuntivi, e rende più radicati fatti o
nozioni già acquisiti.
Nicholas Carr, nel suo libro - Internet ci rende stupidi? Come la rete
sta cambiando il nostro cervello, - paragona la capacità di crescita
dell’intelletto a una vasca da bagno che viene riempita, a poco a
poco, da un ditale. Ossia l’intelligenza, la memoria di lungo termine,
è alimentata dalla cosiddetta memoria di lavoro. La quale ha sede
nella parte di cervello frontale che si cimenta con la quotidianità.
Essendo essa immersa nel carosello visivo degli stimoli correnti, è
continuamente distratta poiché rappresenta, tra l’altro, il target
preferito del bailamme seduttivo e roboante dei media. Secondo
recenti studi l’essere connessi provoca una perdita delle capacità
riflessive che alla lunga trasformano in profondità il cervello stesso.
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Ed è proprio questo il messaggio di fondo del libro di Carr, anche se
la materia è tuttora oggetto di indagine.
Internet è diventato un canale multiuso tramite il quale passano
gran parte delle informazioni che, attraverso la vista e l’udito,
arrivano alla scatola cranica dei suoi adepti. Ciò provoca vantaggi e
svantaggi: sta cambiando qualcosa su come assimiliamo la
conoscenza? Una enorme quantità di dati è a nostra disposizione
pronta per essere consultata. Perché allora arrovellarsi il cervello
per imparare? Se pescare formule e nozioni già pronte all’uso sta
diventando sempre più facile, e la conoscenza è a portata di mouse.
Un gioco appunto. Nella Rete si trova ormai di tutto, dalle modalità
per confezionare una bomba alle rivelazioni dei traguardi raggiunti
per affrontare una malattia incurabile. Perché abbonarsi a un
quotidiano o passare dall’edicola quando c’è una enormità di notizie
in internet? E infatti i giornali registrano un continuo calo di vendite.
Inoltre anche i libri sono disponibili in formato digitale. Cambiando il
medium di comunicazione della conoscenza, può cambiare il modo
di essere, e di pensare?
Ogni invenzione, ogni conquista tecnologica determina anche un
passaggio evolutivo per effetto del quale le capacità manuali e
intellettuali vengono alterate, dove accanto agli innegabili progressi
ci sono delle perdite. In agricoltura l’introduzione del trattore (e dei
mezzi meccanici in generale) ha eliminato pressoché del tutto la
fatica. Ed è un bene! Ma come effetto collaterale, il fisico
dell’agricoltore di oggi non è paragonabile a quello del contadino di
un secolo fa.
Nel libro Gli strumenti del comunicare, Marshall McLuhan con
visione lungimirante - siamo nel 1964! - avverte: “La nostra reazione
convenzionale a tutti i media, secondo la quale ciò che conta è il
modo in cui vengono usati è l’opaca posizione dell’idiota
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tecnologico ... Il contenuto di un medium è paragonabile a un
succoso pezzo di carne con il quale un ladro cerchi di distrarre il
cane da guardia dello spirito.”
Come funziona dunque la nostra mente? “Ogni volta che compiamo
un’azione o sperimentiamo una sensazione, fisica o mentale, un
insieme di neuroni nel nostro cervello si attiva. Se sono vicini questi
neuroni di uniscono attraverso lo scambio di neurotrasmettitori
sinaptici come l’aminoacido glutammato.” Quanto più spesso si
ripetono le stesse esperienze, tanto più questi legami si rafforzano e
si moltiplicano creando le cosiddette sinapsi. Così avvengono dei
cambiamenti fisiologici, come il rilascio di una concentrazione più
alta di neurotrasmettitori, la generazione di altri neuroni o la
crescita di altre terminazioni sinaptiche.
Trova così conferma la regola di Hebb: ‘Le cellule che si attivano
insieme si legano tra loro.’
Si ha evidenza del processo di trasformazione mentale di una
persona cieca mentre impara a leggere il Braille. Il Braille di fatto
rappresenta una tecnologia; è un mezzo d’informazione.
I cinesi sviluppano circuiti mentali per la lettura che sono diversi da
quelli che si trovano nelle persone che impiegano un alfabeto
fonetico. Nell’antichità gli amanuensi scrivevano le parole senza
spazi tra loro. Ciò rifletteva il fatto che fosse predominante la
cultura orale, il parlato. “La storia del linguaggio è anche la storia
[evolutiva] della mente” che conobbe una metamorfosi a seguito
dell’invenzione della stampa.
Verso il 1445 un orafo tedesco, Johannes Gutenberg, lasciò
Strasburgo e aprì bottega a Mainz dove si mise al lavoro per
realizzare le sue idee. Elisabeth Eisenstein, in La rivoluzione
inavvertita - la stampa come fattore di mutamento - scrive che ciò
fu ‘un evento notevole da suggerire l’intervento soprannaturale.’ Si
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narra che il banchiere Johann Fust, che finanziò Gutenberg, quando
si recò a Parigi stracarico di libri stampati, cosa mai vista prima, fu
costretto ad abbandonare in tutta fretta la città scortato dai
poliziotti, perché venne sospettato di stregoneria.
Mente e cultura, con l’avvento della carta stampata, hanno
interagito e avuto uno sviluppo cosiddetto lineare. Il libro, con un
inizio uno svolgimento e una conclusione logica, ha rappresentato
un canovaccio naturale che ha modellato il pensiero e la mente
secondo le medesime modalità. Da questa interazione ed
evoluzione mentale sono scaturite numerose scoperte scientifiche.
Arriviamo all’oggi e troviamo il sapere riproposto in forma digitale.
“Un libro stampato è un oggetto finito... Nel mercato digitale
[invece] la pubblicazione diventa un processo sempre in corso.
Diminuiranno la pressione per raggiungere risultati perfetti e il
rigore artistico imposto da quella pressione.”
Secondo lo scrittore Steven Johnson l’approdo del libro al regno
digitale comporta cambiamenti in profondità più di quanto possa
apparire a prima vista. ‘Temo, aggiunge, che una delle grandi gioie
della lettura dei libri - l’immersione totale in un altro mondo ... sarà compromessa.’ D’ora in poi ci accingeremo a leggiucchiare i
libri come spesso facciamo con riviste e quotidiani, sfogliando qua e
là.
Non è il solo che la pensa così. Lo storico David Bell rivela: ‘Comincio
a leggere [sulla Rete] ma trovo difficile concentrarmi.’ Insomma
racconta di mettersi prima a cercare una parola chiave, poi di fare
un salto su Wikipidia, dare uno sguardo alla posta elettronica,
scorrere il testo in avanti e indietro. Una settimana dopo aver finito
di leggere il libro trova difficile ricordare quello che ha letto.
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La lettura di un ipertesto, con tutti i link che rimandano altrove,
equivale alla consultazione di un libro mentre si fanno le parole
crociate è il lapidario commento di un altro esperto del Web.
“Decine di studi di psicologi, neurobiologici, educatori e progettisti
Web arrivano alla stessa conclusione: quando andiamo online
entriamo in un ambiente che favorisce la lettura rapida, il pensiero
distratto e affrettato, e l’apprendimento superficiale.” Questa è la
perentoria affermazione dell’autore. “Naturalmente,” aggiunge “è
possibile anche pensare in modo approfondito mentre si naviga in
Rete, proprio come si può pensare in modo superficiale leggendo un
libro, ma non è quello il tipo di pensiero che la tecnologia incoraggia
e premia.” In sostanza è come se la rete catturasse l’attenzione solo
per disperderla.
Quando l’acqua tracima il ditale, cioè quando sovraccarichiamo la
capacità della mente di archiviare ed elaborare dati, non siamo più
in grado di assorbire altro, di creare collegamenti con ciò che
abbiamo appreso nella nostra memoria a lungo termine. “Al
raggiungimento dei limiti della nostra memoria di lavoro diventa
difficile distinguere le informazioni rilevanti da quelle che non lo
sono, il segnale dal rumore. Diventiamo stolidi consumatori di dati.”
Nel mondo digitale di Google e affini non c’è spazio né per la lettura
approfondita né per la contemplazione generica, priva di un preciso
scopo. “L’ambiguità non è l’apertura a una intuizione possibile, ma
un malfunzionamento che va aggiustato. Il cervello umano è
soltanto un computer obsoleto che ha bisogno di un processore più
veloce, di un disco fisso più grande e di migliori algoritmi per
governare il corso dei suoi pensieri.”
In sintesi la funzione cognitiva del cervello si attiva attraverso
l’attenzione cosciente. La quale “parte dai lobi frontali della
corteccia cerebrale ... porta i neuroni della corteccia a spedire
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segnali ai neuroni del mesencefalo che producono il potente neurotrasmettitore dopamina ... Una volta che la dopamina è incanalata
nelle sinapsi dell’ippocampo, essa avvia il processo di
consolidamento della memoria esplicita, probabilmente attivando i
geni che stimolano la sintesi di nuove proteine.” (L’avverbio sta a
indicare quanto il cammino esplorativo sia ancora lungo!).
La baraonda dei messaggi che arrivano dalla Rete non soltanto
affaticano la nostra memoria di lavoro, ma rendono difficile per i
lobi frontali concentrare l’attenzione su un unico oggetto. “Il
processo di consolidamento del ricordo non può neanche partire.
Più usiamo il Web, più alleniamo il cervello a essere distratto... Ciò
spiega perché molti di noi trovano difficile concentrarsi anche
quando sono lontani dal computer. I nostri cervelli diventano abili
a dimenticare.” Si determina quindi un effetto boomerang.
Per il fabbro il martello è parte della sua mano. Quando il soldato
scruta attraverso il cannocchiale del suo fucile, il cervello si adatta e
diventa un prolungamento del mirino dello stesso fucile. Insomma
(Culkin) noi programmiamo i nostri computer dopo di ché essi ci
programmano.
Poiché l’esistenza stessa del libro di cui stiamo trattando sembra
essere in contraddizione con l’approfondita conoscenza del mondo
digitale che l’autore mostra di possedere, Nicholas Carr ammette di
aver dovuto interrompere drasticamente le sue frequentazioni in
Rete, di aver addirittura cambiato casa spostandosi da un quartiere
di Boston “altamente connesso” alle montagne del Colorado, dove
ogni connessione era piuttosto precaria. (E’ stato dimostrato che la
permanenza in ambienti rurali, a contatto con la natura, rafforza
nelle persone la capacità di concentrazione e la memoria stessa.)
Solo quando il libro stava per essere terminato ha ceduto di nuovo
alla tentazione di tenere aperta la mail tutto il tempo, ha riattivato
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lettori RSS e applicazioni varie. A riprova di quanto, l’intrusione della
tecnologia nella nostra vita quotidiana, abbia ormai un effetto
dopante.
E la babele della cultura digitale è appena cominciata.
Antonio Fiorella
Internet ci rende stupidi? Come la rete sta cambiando il nostro
cervello. Autore Nicholas Carr. Raffaele Cortina Editore
Titolo originale: The Shallows (letteralmente: ‘superficiali, leggeri’)
What internet is doing to our brain.
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