1 –Origini e caratteristiche dello stato liberale 1.1 Dallo stato

7 –L’EVOLUZIONE POLITICA: L’OTTOCENTO. L’AFFERMAZIONE DELLO STATO LIBERALE
1 –Origini e caratteristiche dello stato liberale
1.1 Dallo stato parlamentare allo stato liberale: le rivoluzioni borghesi
1.2 Le caratteristiche dello stato borghese
1.3 I luoghi, i mezzi e le caratteristiche della vita politica nello stato liberale (vedi 3.1 Modalità della
vita politica dopo la Rivoluzione Francese)
2 –La formazione delle ideologie politiche: liberalismo e democrazia rivoluzionaria
2.1 Elaborazioni teoriche ed esperienze di riferimento
2.2 I gruppi sociali di riferimento
2.3 I principi di riferimento
2.4 Il progetto di società
2.5 Le forme di stato
2.6 I modelli di rapporto stato-società
2.7 I principi di uguaglianza
2.8 I modelli di governo
2.9 I modelli del processo di cambiamento
2.10 Le scienze economiche: Smith, Ricardo, Bentham
3 –Le modalità della vita politica ottocentesca
3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese (vedi anche “1.3 I luoghi, i mezzi e le
caratteristiche della vita politica nello stato liberale”)
3.1.1 Movimenti politici e clandestinità
3.1 2 Il nazionalismo nella prima metà dell’Ottocento
3.2 L'evoluzione della vita politica dal 1815 al 1848
3.2.1 I moti degli anni '20
3.2.2 I moti degli anni '30
3.2.3Le rivoluzioni del 1848
3.3 Le rivoluzioni del 1848 e le nuove modalità della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento
(vedi anche 3.1 Modalità della vita politica dopo la Rivoluzione Francese)
3.3.1L’allargamento dell’area liberale e lo scontro liberali - democratici
3.3.2 La spaccatura tra liberali e democratici
- Il 1848 in Francia: la sconfitta dei socialisti e dei democratici radicali
3.3.3 I nuovi protagonisti e i nuovi luoghi della politica
3.3.4 I mutamenti ideologici (vedi 4 - I mutamenti ideologici)
3.4 L'evoluzione della vita politica nella seconda metà dell’Ottocento: l’affermazione dello stato
liberale
3.4.1 Il processo di unificazione nazionale in Italia e Germania
3.4.2 Lo stato liberale: il modello inglese
3.4.3 Il caso italiano
3.5 I rapporti internazionali nella seconda metà dell’Ottocento
Tra la metà del seicento e la metà dell’ottocento, nell’Europa occidentale e negli Stati uniti
d’America, vennero superate le forme dello stato assoluto. Il nuovo modello di stato può essere
definito stato parlamentare in quanto il parlamento tende ad assumere una funzione centrale
nella vita pubblica e nel funzionamento dello stato.
Lo stato parlamentare è all’origine dello stato liberale o borghese che si affermerà nel corso
dell’ottocento. Gli avvenimenti determinanti per la formazione dello stato parlamentare sono
considerati, dagli storici, le due rivoluzioni inglesi del seicento e, nel settecento, la rivoluzione
americana e quella francese. Nel secolo successivo i moti degli anni ’20 e ‘30 e le rivoluzioni
del 1848 porteranno all’affermazione dello stato liberale. L’insieme di tali avvenimenti viene
caratterizzato come le rivoluzioni borghesi in quanto l’imporsi dello stato liberale dell’ottocento
1
coincise con l’imporsi della borghesia come classe sociale promotrice dello sviluppo
economico, con l’industrializzazione, e di quello culturale.
Lo stato liberale ottocentesco è caratterizzato dall’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge
e dalla possibilità per una minoranza dei cittadini di partecipare, attraverso dei rappresentanti,
alla formazione delle leggi, compito principale del parlamento.
Inoltre adotta una carta costituzionale, costituita da un documento scritto e pubblico che regola
il funzionamento e i compiti delle istituzioni statali e stabilisce i diritti del cittadino che lo stato
riconosce. Tra questi diritti lo stato liberale riconosce l’uguaglianza giuridica, diritto che
eliminava i privilegi della nobiltà e del clero e i cosiddetti diritti individuali, che vengono fatti
coincidere con le libertà personali e con il diritto della proprietà privata.
Lo stato liberale ottocentesco non riconosce invece né l’uguaglianza politica dei cittadini,
poiché riserva la possibilità di eleggere i propri rappresentanti al parlamento a un’élite, stabilita
in base al censo (suffragio ristretto), né l’uguaglianza sociale, in quanto individua il proprio
compito nel garantire le condizioni per il libero sviluppo dell’iniziativa privata e della
concorrenza e non nell’assicurare ai cittadini i servizi sociali o pari opportunità di sviluppo.
All’interno dello stato liberale i luoghi deputati alla politica erano, da un lato, il parlamento,
nella misura n cui acquisiva le funzioni legislativa e di controllo sul governo, e i giornali come
rappresentanti dell’opinione pubblica. Vita politica ancien régime:
Secondo
il
liberalismo
- luogo: ___________
ottocentesco, l’opinione pubblica
- soggetti: ______________________________con
era una collettività di individui
obiettivi simili (____________________________)
- forme:
capaci sia di acquisire e di valutare
__________________________________________
le opinioni espresse da altri, che,
non solo di farsi una propria
Vita politica società moderna :
opinione, ma anche di esprimerla.
- luoghi: a - ______________________________
In base a quest’immagine, il primo
b - _____________________________
mezzo di comunicazione di massa,
- soggetti: _____________________________ che
la stampa, aveva la funzione non
hanno __________________________________
di guidare o manipolare l’opinione
( ideologie politiche)
pubblica, ma di rappresentarla.
L’opinione pubblica, in quanto costituita da coloro che leggevano i giornali, era una la
minoranza istruita della popolazione, socialmente rappresentata soprattutto dalla borghesia delle
professioni, avvocati, medici, farmacisti e, più, tardi ingegneri, geometri, o dalla borghesia
possidente. I democratici, invece, il cui gruppo sociale era costituito dalle masse popolari non
istruite tendevano a vedere nei giornali soprattutto un mezzo per educare il popolo.
All’interno dello stato liberale si definì anche il modello di scontro politico che ha caratterizzato
le società occidentali per tutto l’ottocento e il novecento.
La vita politica dell’ancien régime si svolgeva a corte ed era caratterizzata dallo scontro fra
fazioni rivali rappresentanti un ristretto numero di famiglie aristocratiche dunque, omogenee dal
punto di vista economico sociale, perciò con obbiettivi simili, comunque volti a difendere i
propri privilegi.
L’allargamento della partecipazione alla vita politica modificò il modello della lotta politica,
che divenne uno scontro fra gruppi sociali che hanno un diverso progetto di società, consono ai
propri interessi. Il problema principale divenne quello di conquistarsi l’appoggio dei gruppi
sociali di riferimento facendoli diventare soggetti attivi della vita politica.
Tra la Rivoluzione francese e i primi decenni dell’ottocento vennero elaborate le prime
ideologie politiche ispirate da progetti di società e di stato diversi e destinate ad essere un punto
di riferimento costane per la vita politica contemporanea. Tali ideologie, che non
rappresentavano ancora delle correnti, dei movimenti politici veri propri quanto invece un
orientamento ideale, una visione del mondo, erano costitute dal liberalismo e dalla democrazia
rivoluzionaria.
Esse, all’inizio dell’ottocento, avevano alle spalle, una elaborazione teorica, costituita, per i
liberali, soprattutto dall’opera di J. Locke (1632-1704) e di alcuni illuministi quali ad esempio
Montesquieu (1689-1757) e, per i democratici, dall’opera di un altro illuminista francese J.J.
2
Rousseau (1712-78). Avevano, inoltre, contribuito alla loro elaborazione anche alcune concrete
esperienze politiche costituite, a loro volta dalle fasi, moderate delle rivoluzioni inglesi e
francesi e dalla rivoluzione americana per i liberali e dalle posizioni dei livellatori inglesi e dai
giacobini francesi per i democratici.
Essi inoltre avevano gruppi sociali di riferimento che nella situazione di inizio ottocento erano
socialmente, economicamente e culturalmente assai diversificati. Infatti, essi erano costituiti per
i liberali dalla borghesia, avviata a farsi promotrice dello sviluppo economico con
l’industrializzazione e interessata a promuovere il passaggio dagli ordinamenti feudali a quelli
richiesti dall’economia di mercato e, comunque, in forte ascesa sociale. Per i democratici il
gruppo sociale di riferimento era costituito dalle masse popolari ancora difficilmente
raggiungibili, perché in gran parte disperse nelle campagne, poco istruite e socialmente assai
deboli. Situazione che, evidentemente, poneva maggiori difficoltà ai democratici che ai liberali.
Il liberalismo e la democrazia identificano lo scopo dello stato nella libertà politica. Ma questa
consonanza nasconde importanti differenze. Essi intendono infatti la libertà politica
diversamente: il liberalismo la intende come indipendenza privata politicamente garantita, la
democrazia come partecipazione collettiva al potere politico. Per il primo siamo politicamente
liberi se lo stato ci assicura una sfera di decisione personale sufficientemente ampia, per la
seconda siamo politicamente liberi sé abbiamo una sufficiente influenza sulle decisioni dello
stato. Queste differenti concezioni hanno le loro radici in un differente modo di concepire i
rapporti tra individuo e comunità. Spesso coloro che optano per la visione privatistica della
libertà politica hanno una concezione individualistica o atomistica della società. Coloro che
adottano la visione partecipazionistica della libertà politica hanno di solito una concezione organicistica della società. I primi cioè pensano la società alla stregua di una macchina, come uno
strumento artificiale che individui autonomi si danno al fine di meglio perseguire i loro
interessi. I secondi considerano invece la società come condizione di esistenza degli stessi individui,
così come l’organismo è condizione di esistenza delle sue membra. In altri termini, i primi vedono
la società come un’entità collettiva verso la quale gli individui hanno obblighi solo parziali e
comunque strumentali; i secondi come un’entità che socializza integralmente gli individui e
impone loro degli obblighi che hanno priorità sugli interessi personali. Ciò che accomuna al di là
delle pur diverse preferenze chi fa riferimento all’area liberale è sicuramente costituto dall’enfasi
posta sulle libertà individuali, mentre per l’area democratica è costituto dall’enfasi posta sulla
partecipazione dei cittadini.
Dal diverso modo di concepire la società e la libertà politica conseguono anche differenti
concezioni dello stato. I liberali hanno, infatti, un atteggiamento formalistico in quanto ciò che
legittima lo stato sono le regole (forme) di funzionamento dello stato. Lo stato per essere legittimo
deve essere retto dal principio del garantismo per cui garantisce il rispetto dei diritti dei suoi
membri. Da Locke, che è considerato uno dei padri del pensiero liberale, in poi tali diritti sono
compendiati dal diritto di proprietà privata. Infatti, secondo Locke, lo stato sorge per rendere
sicuro il diritto naturale di proprietà, la cui difesa nello stato di natura finisce per determinare uno
stato di guerra di tutti contro tutti.
In quanto tutore dei diritti dei suoi membri e in primo luogo del diritto di proprietà lo stato deve
essere uno stato minimo, ovvero restringere la sua attività alle funzioni di protezione dalla
violenza e dalla frode.
Da un punto di vista teorico la presenza di uno stato garantista e minimo rende poco importante il
problema, invece essenziale per la prospettiva democratica, della partecipazione politica e
conseguentemente dei diritti politici.
Tali diritti erano di fatto nello stato liberale dell’ottocento limitati alla borghesia benestante che
costituiva anche il gruppo sociale di riferimento delle correnti liberali. I liberali non vedevano nel
suffragio ristretto una limitazione alla libertà dei cittadini e comunque ritenevano le masse
incapaci di una partecipazione responsabile in quanto il fatto stesso di non possedere beni
costituiva il segno dell’incapacità di prendere decisioni responsabili.
L’atteggiamento formalistico dei liberali si rivela anche per quanto riguarda il problema
dell’uguaglianza dei cittadini, dal momento che essi fanno propria la sola uguaglianza di fronte
alla legge (uguaglianza giuridica), ignorando il fatto che la legge era fatta da pochi e che di fatto la
legge trattava in modo uguale soggetti che erano diversi.
Dello stato, invece, i democratici avevano una visione decisamente sostanzialistica per cui
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ritenevano importante, non il problema delle forme di funzionamento dello stato, ma il
problema di chi esercitava il potere e consideravano legittimo lo stato solo se esprime la volontà
popolare. Diventava quindi essenziale estendere il diritto di voto per ottenere il suffragio
universale, e ridurre il più possibile la mediazione rappresentativa, promuovendo forme di
democrazia diretta: essi miravano quindi a espandere la partecipazione politica.
L’atteggiamento sostanzialistico dei democratici si manifesta anche nella loro concezione
dell’uguaglianza. Infatti i democratici si fanno promotori non della sola uguaglianza giuridica
ma anche di quella politica, promuovendo il suffragio universale e ponendo il problema della
partecipazione alla vita politica. Per i democratici rivoluzionari, che si richiamavano ai
giacobini francesi, lo stato doveva intervenire a favore dei gruppi sociali più deboli per
promuovere anche un’effettiva uguaglianza sociale.
A tale posizione si opponevano i liberali che vedevano nell’intervento dello stato
un’inaccettabile superamento delle sue prerogative (stato minimo). Infatti secondo i liberali, che
si fecero promotori del liberismo economico in nome dello stato minimo, lo stato doveva
limitarsi a creare le condizioni perché la libera iniziativa individuale si potesse esprimere, il
libero mercato avrebbe provveduto a armonizzare con “una mano invisibile” gli interessi
individuali. Infatti, mentre la richiesta del mercato di un determinato prodotto, meccanismo che,
per i liberisti, rivela l’utilità sociale del bene, incentiva la sua produzione, al contrario avviene a
un prodotto meno richiesto e quindi meno utile socialmente. Anche in questo caso viene
mantenuto, quindi, un atteggiamento formalistico ignorando che non tutti i soggetti hanno lo
stesso potere sul mercato.1
1
La fondazione delle scienze economiche è contemporanea al processo di sviluppo del sistema capitalistico. Per l’aristocrazia
latifondista la produzione è solo un mezzo per potersi dedicare alle attività ritenute superiori, adatte alla propria condizione sociale
(attività militari, culturali e politiche). Per la borghesia capitalista, invece, l’attività produttiva ed economica è al centro dei propri
interessi e considera la produzione principalmente come un mezzo per moltiplicare il capitale. Le prime teorie economiche espresse
dalla borghesia sono sicuramente i principi del mercantilismo che, coerentemente con gli interessi mercantili e finanziari della
borghesia seicentesca, poneva al centro delle sue analisi gli scambi economici e non tanto l’attività produttiva, facendo dipendere la
ricchezza delle nazioni dalla disponibilità di moneta e dall’andamento dei prezzi (bilancia commerciale).
Nel settecento, a seguito del fatto che la borghesia impegnava sempre più massicciamente i suoi capitali direttamente nelle attività
produttive, dapprima agricole e poi industriali, quest’ultima diventa centrale per l’analisi economica.
La ricchezze delle nazioni venne quindi identificata dapprima nella terra e nell’agricoltura (i fisiocrati) e in seguito nel lavoro. Così la
riflessione teorica di A. Smith ( 1723-90) vedeva come fattore ultimo della "ricchezza delle nazioni" non la fertilità della terra,
ma il valore creato dal lavoro applicato alla produzione condotta in vista dello scambio. Non i proprietari terrieri, che
approfittavano del loro controllo giuridico su un bene naturalmente limitato come la terra, ma i capitalisti impegnati nella
produzione manifatturiera erano il vero motore dello sviluppo economico. Smith vedeva nella divisione e specializzazione del
lavoro il presupposto principale dello sviluppo, con la conseguente crescita della produttività e del volume della produzione e la
parallela crescita del mercato. Se gli uomini fossero stati messi in grado di perseguire liberamente i propri interessi, per quanto
egoistici questi potessero essere, il risultato finale conseguito sarebbe stato un aumento del benessere universale. Fra
sviluppo dei valori sociali e individualismo economico non vi è necessariamente incompatibilità: “Cercando per quanto può
di impiegare il suo capitale a sostegno dell'industria interna”scriveva Smith “e di indirizzare questa industria in modo che il suo
prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo contribuisce necessariamente quanto può a massimizzare il reddito
annuale della società... Egli mira soltanto al proprio guadagno e in questo, come in molti altri casi, egli è condotto da una
mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue intenzioni. Né per la società è un male che questo fine non
entrasse nelle sue intenzioni. Perseguendo il proprio interesse, egli spesso promuove quello della società in modo più efficace di
quando intende realmente promuoverlo”.
Sull’ottimismo di Smith si costituirno le teorie economiche liberiste che facevano del nascente capitalismo industriale la
migliore società umana possibile e del libero mercato l’unico vero regolatore della società. Per questo lo stato doveva
limitarsi a togliere tutti gli ostacoli che possono interagire con l’iniziativa privata, tutelare la proprietà privata e lasciare che
il mercato si regolasse da solo: le regole del mercato avrebbero da sole regolato l’intero meccanismo economico e sociale.
Già nei primi decenni dell’ottocento l’ottimismo di Smith venne in parte rivisto da nuove analisi economiche e nuove teorie
sociali, che sono ben rappresentate da D. Ricardo (1772-1823), nelle cui analisi l’armonia degli interessi privati e collettivi
viene sostituita da un’analisi degli interessi contrastanti delle diverse classi sociali. Le categorie necessarie per studiare il
sistema economico sono, secondo Ricardo, la rendita, il profitto e il salario, sulla base dei quali si e definiscono tre gruppi
sociali: i proprietari terrieri, i capitalisti industriali e i lavoratori salariati. Tra di essi si distribuisce la ricchezza globale e da ciò
nasce la conflittualità economica e sociale. Secondo Ricardo il profitto è la molla del nuovo sistema: ne deriva quindi che una
sua compressione dovuta a benefici eccessivi sul versante della rendita fondiaria o del salario intralcerebbe lo sviluppo generale.
J. Bentham (1748-1832) fa dell’utilità il parametro fondamentale non della sola attività del singolo, ma anche di quello delle
istituzioni. Infatti, come l’utilità è alla base dell’attività morale del singolo allo stesso modo alla base dell’azione delle istituzioni vi
deve essere l’utilità, la felicità del massimo numero possibile di persone; utilità che non può essere raggiunta spontaneamente dal
mercato ma deve essere ricercata attivamente dalle istituzioni, come volevano i democratici.
4
A questa visione i democratici contrapponevano invece una visione per cui lo stato deve
perseguire l’utile sociale che non coincide necessariamente con l’utile individuale, anzi spesso è
in contrasto con esso.
Anche per quel che riguarda le forme di governo vi era una profonda divergenza. Per i liberali la
miglior forma di governo era costituita da una monarchia parlamentare e costituzionale il cui
modello era costituito dalla monarchia inglese. Per i democratici, invece, la miglior forma di
governo era costituita dalla repubblica in quanto tale ordinamento, non ammettendo poteri
ereditari, consentiva alla sovranità popolare di esprimersi più compiutamente.
L’indicazione di un diverso modello di forma di governo è da mettere in relazione ad un’altra
fondamentale divergenza tra liberali e democratici relativa al modo in cui realizzare il nuovo
modello di stato.; infatti mentre i liberali propendevano per le riforme i democratici per la via
rivoluzionaria. Per i democratici la rivoluzione costituiva un’occasione di mobilitazione delle
masse popolari, il loro gruppo sociale di riferimento, presentandosi inoltre come un importante
momento di educazione per il popolo. Al contrario i liberali vedevano nella rivoluzione un
pericolo perché essa comportava la mobilitazione delle masse ignoranti, irresponsabili e dunque
non degne di agire attivamente sulla scena politica.
All’indomani del 1815, dopo la sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna, si ristabilirono
sui troni europei le vecchie case regnanti, il cui ritorno significava non solo la restaurazione dei
sovrani spodestati ma anche delle gerarchie sociali tradizionali, degli ordinamenti
prerivoluzionari, dei modi di governare tipici dell’assolutismo.
In questa condizioni la vita politica, che nei vent’anni di guerre napoleonica aveva acquisito le
caratteristiche dello scontro pubblico, spesso anche cruento, fu costretta a riorganizzarsi nella
clandestinità, all’interno delle sètte segrete, tra le quali, ad esempio, la Carboneria che agiva
soprattutto in Italia e Spagna.
La clandestinità a cui era costretta l’opposizione ai regimi restaurati comportò un ulteriore
restrizione della partecipazione alla vita politica, infatti la base sociale delle sètte segrete era
costituita da pochissimi artigiane ed esponenti di altri ceti popolari, qualche membro
dell’aristocrazia liberale, qualche rappresentante della borghesia del commercio e delle
professioni, ma soprattutto intellettuali, studenti e militari. Furono i militari, in particolare ufficiali
e sottufficiali formatisi nel periodo napoleonico, a fornire alle sètte i nuclei più preparati e
intraprendenti; essi d’altra parte erano i soli che, disponendo di una forza armata, fossero in grado
di minacciare seriamente la stabilità di troni e governi.
Un’altra conseguenza della clandestinità era costituita dalla mancanza di dibattito, non solo
evidentemente pubblico, ma anche all’interno delle sètte.
Questo, insieme alla presenza di un nemico comune a tutti gli orientamenti politi costituito dagli
stati restaurati, fece sì che nella pratica le divergenze tra i diversi orientamenti si affievolissero
facendo prevalere gli obiettivi comuni. La linea divisoria fra liberali e democratici, molto
netta sul piano teorico, si faceva assai più sfumata nella pratica della lotta contro i regimi
assolutisti. La costituzione, il parlamento elettivo, la garanzia delle libertà fondamentali
erano obiettivi comuni, validi .per gli uni come per gli altri. Questi obiettivi - che si possono
genericamente
definire liberali - costituirono il programma minimo e il terreno comune di lotta
per tutte le forze politiche che si battevano contro i governi della Restaurazione.
In molti paesi europei, un ulteriore elemento di coesione fra tutti gli avversari del vecchio ordine
era dato dall'esigenza di liberazione da un dominio straniero, dalla rivendicazione
dell'indipendenza nazionale o dell’unità. L'affermazione degli ideali nazionali e la stessa
idea di nazione rappresentarono, nell'Europa del primo ‘800, un’assoluta novità sul piano
politico e culturale: sino alla fine del ‘700, il concetto di nazione aveva infatti un contenuto
generico e dei confini incerti (poteva essere usato in riferimento all'intera Europa come al
Piemonte), e soprattutto non svolgeva un ruolo centrale nella cultura politica e nel sentire
comune. Il senso di appartenenza a una nazione veniva, per importanza, dopo l’affiliazione a
una confessione religiosa e dopo l’identificazione con una comunità locale o regionale: si era
prima cristiani, poi piemontesi (o brettoni o tirolesi), e solo in terzo luogo italiani (o francesi o
tedeschi). L’idea che lo Stato dovesse coincidere con una nazione era poi sostanzialmente
5
estranea alla cultura dell’antico regime (anche se Stati a base nazionale, come la Francia, la
Spagna, 1’Inghilterra, si erano costituiti già in età medioevale).
L'idea moderna di nazione nacque con Rousseau e con la sua concezione dello Stato come
espressione di un popolo, di una comunità di cittadini capace di esprimere una volontà
comune; concezione che la rivoluzione francese avrebbe per la prima volta cercato di
tradurre in realtà e che le guerre napoleoniche avrebbero diffuso in tutta Europa. L’idea di
nazione, nata dunque all’interno dell’area democratica, era comunque condivisa anche
dalle correnti di ispirazione liberale per le quali coincideva con quella di uno stato
costituzionale moderno, nonché con quella di un allargamento del libero mercato, il
quale, attraverso il processo di unificazione, assumeva le dimensioni nazionali, più
consone per l’avvio dei necessari processi di ammodernamento.
Tale concetto di nazione subirà negli ultimi decenni un decisivo cambiamento di
contenuti che lo collegherà al nazionalismo, collocandolo tra i valori ideali della destra
conservatrice per gran parte del novecento i cui ultimi decenni hanno segnato, però, un
declino sia dell’idea di nazione sia di quella di stato nazionale sotto la spinta, da un
lato, dell’imporsi di organismi sovranazionali (Comunita europea) e, dall’altra, di spinte
localistiche (vedi, ad esempio, il disfacimento della Jugoslavia o la presenza della Lega
Nord sulla scena politica nazionale).
Gli avvenimenti decisivi per l’evoluzione politica nella prima metà dell’ottocento sono
costituiti dai moti degli anni ’20, da quelli degli anni ’30 e dalle rivoluzioni del 1848
che costituiscono, come si è visto, gli ultimi episodi delle cosiddette rivoluzioni
borghesi.
I moti degli anni ’20 coinvolsero aree economicamente e socialmente arretrate, quali
l’Europa mediterranea e l’America del sud, ed ebbero un carattere prevalentemente
militare in quanto furono promossi dall’ammutinamento di reparti dell’esercito.
In Piemonte, nel regno di
Napoli e in Spagna l’obiettivo
Moti anni’20
principale dei rivoltosi fu
quello di imporre l’adozione di
Tipologia aree geografiche coinvolte:_____________________
una
carta
costituzionale,
Moti _________________________
Aree coinvolte: _____________________________________
ispirata ad un liberalismo
Promotori:_________________________________________
molto moderato, mentre in
Obiettivi: a - _____________________ ________________
Grecia e in America latina i
riferimento ideologico: _________________________
moti ebbero un carattere
motivi fallimento: 1 _____________________________
indipendentista, volti cioè ad
2 intervento Austri e Francia
ottenere l’indipendenza da i
Moti indipendentisti
turchi, per gli uni, e dagli
Aree coinvolte: _____________________________________
spagnoli e dai portoghesi, per
Obiettivo raggiungimento indipendenza da ______________
gli altri.
________________________________________________
In
Piemonte
dopo
molte
motivo successo: ____________________________________
esitazioni dovute soprattutto ai
contrasti fra i democratici e gli
elementi moderati (che avrebbero voluto agire d'accordo col re ), il moto scoppiò nel
marzo del ‘21, quando alcuni reparti dell'esercito si ammutinarono, inducendo il re Vittorio
Emanuele I ad abdicare in favore del fratello Carlo Felice. Dal momento che il nuovo re si
trovava lontano dal regno, la reggenza fu affidata a l nipote Carlo Alberto, che aveva
manifestato qualche simpatia per la causa liberale ed era da tempo in contatto segreto coi
ribelli. Carlo Alberto sì impegnò dapprima a concedere una costituzione; ma poi,
sconfessato e richiamato all'ordine da Carlo Fe1ice, si unì alle truppe lealiste che, all’inizio di
aprile, con l’aiuto di contingenti austriaci, sconfissero a Novara i rivoluzionari guidati dal conte
Santorre di Santarosa.
La fine prematura dell’esperienza liberale piemontese si inquadrava del resto nella generale
sconfitta delle correnti costituzionali dovuto sia alle resistenze interne, rappresentate dai
difensori dei regimi assoluti e spesso dalla chiesa e dalle masse contadine da essa
influenzate, sia all’intervento dirette di potenze straniere, l’Austria in Italia e la Francia
6
in Spagna, preoccupate di ristabilire l’ordine voluto dal Congresso di Vienna.
Ebbero successo invece i moti indipendentisti con l’ottenimento dell’indipendenza della
Grecia (1829) e degli stati del Sud America nei primi anni ’20. decisivo fu, anche in
questo caso, l’atteggiamento delle maggiori potenze europee, interessate a indebolire
l’impero turco nei Balcani e a creare nuovi equilibri in America latina.
I moti degli anni ’30 coinvolsero sia aree marginali (Italia centrale, Polonia) sia aree
decisamente più progredite (Francia e Belgio). Falliti ancora una volta nelle aree
marginali essi ebbero successo invece in Belgio e in Francia, dove portarono alla
creazione di regimi liberali decisamente moderati e in Belgio all’ottenimento
dell’indipendenza dal Regno dei Paesi Bassi.
Se i moti degli anni ’30 portarono ad una prima apertura dei vecchi regime verso forme
più liberali di stato, furono le rivoluzioni del 1848 a generalizzare il processo di
affermazione dello stato liberale.
Le rivoluzioni del 1848, a differenza dei moti precedenti, coinvolsero l’intera Europa ad
eccezione del paese più arretrato, la Russia zarista, e di quello più avanzato,
l’Inghilterra.
Oltre che più generali gli avvenimenti del 1848 ebbero una partecipazione molto più
vasta in quanto furono diretti oltre che da forze liberali e borghesi, come i moti degli
anni ’20 e ’30, anche da forze democratiche che mobilitarono le masse popolari.
Le rivoluzioni divisero l’Europa in due aree, poiché mentre in Francia l’obiettivo era
costituito da un rafforzamento del regime liberale già esistente, nel resto dell’Europa
(Impero austriaco, Prussia e Italia) gli obiettivi prevalenti delle forze rivoluzionarie
erano costituiti dall’ottenimento dell’unità nazionale e di una carta costituzionale che
desse vita a un regime liberale moderato.
Le rivoluzione del 1848 finirono per delineare il quadro entro cui si collocò la vita
politica europea nella seconda metà dell’ottocento. Infatti, da un lato, determinarono un
allargamento dell’area liberale, in quanto entrarono a farne porte, seppure conservando
molti aspetti decisamente autoritari, la Prussia, l’Impero austro-ungarico, e il Piemonte.
Per quanto riguarda il Piemonte lo Statuto albertino, concesso da Carlo Alberto
all’inizio delle agitazioni, fu mantenuto anche dopo la sconfitta dell’esercito
piemontese, affiancato da quello dei volontari, nella I guerra d’indipendenza nazionale.
Dall’altro lato, nel corso degli avvenimenti del ’48 si manifestò, soprattutto in Francia,
quella spaccatura fra i movimenti politici che prima non era emersa a causa della
repressione e della presenza di un nemico comune e che anche essa rimarrà come una
costante della vita politica europea dei decenni successivi.
In Francia le forze democratiche e socialiste promotrici dell’insurrezione popolare
scoppiata a Parigi sul finire del febbraio del ’48,che diede il via agli avvenimenti
rivoluzionari, ottennero un forte peso nel governo provvisorio che, oltre ad indire
l’Assemblea costituente da eleggersi a suffragio universale, promosse una serie di
misure a favore delle classi lavoratrici fissando l’orario massimo giornaliero in 11 ore e,
soprattutto, promuovendo il diritto al lavoro, attraverso la creazione delle “officine
nazionali” che pensate come vere e proprie cooperative di produzione si ridussero in
realtà a impiegare i lavoratori in lavori di pubblica utilità.
I gravi problemi finanziari che le officine nazionali posero e la vittoria dei moderati alle
elezioni per l’assemblea nazionale finirono per estromettere dal governo i democratici
più radicali e i socialisti. La reazione popolare a seguito della chiusura delle officine
popolari fu duramente repressa dal governo con l’invio dell’esercito, segnando in questo
modo una decisiva svolta antidemocratica. L’elezioni presidenziali, avvenute nel
dicembre del ’48, vinte dal candidato delle forze conservatrici, Luigi Napoleone
Bonaparte, che un plebiscito quattro anni dopo avrebbe eletto imperatore, chiuse
definitivamente la fase democratica.
Gli avvenimenti del 1848 portarono sulle scene della politica anche quelli che ne
saranno i nuovi protagonisti, ovvero la borghesia liberale e le masse popolari
organizzate dalle forze democratiche e, sempre più nella seconda metà dell’ottocento,
socialiste.
7
Mentre lo scontro tra borghesia e masse popolari si sostituiva allo scontro tra borghesia
e aristocrazia che aveva caratterizzato il periodo precedente e che spesso aveva assunto
le forme dello scontro tra parlamento e re, al parlamento, ora egemonizzato da forze
liberali moderate, quale unico luogo deputato alla politica, si aggiungevano le piazze
quali luoghi in cui si manifestava la partecipazione, o meglio la richiesta di
partecipazione delle masse popolari; si veniva delineando così uno scontro parlamentopiazze che manifestava lo scontro ideologico, tra liberali e democratici e socialisti, e
quello sociale tra borghesia e masse popolari.
Infine a caratterizzare la seconda metà dell’ottocento intervennero anche mutamenti
ideologici che, come vedremo tra poco, porteranno all’affermazione di due nuove
correnti dall’alveo della democrazia rivoluzionari, da un lato, la liberaldemocrazia, e
dall’altro, il socialismo.
Nel periodo compreso tra il 1848 e l’ultimo decenni del secolo si affermarono dunque in
Europa dei regimi borghesi di ispirazione liberale, in quanto la borghesia industriale e
finanziaria aveva ormai affiancato l’aristocrazia quale componente del blocco sociale al
potere. Tali regimi conservavano nell’Europa continentale, ovvero nella Francia
dell’impero di Napoleone III, nella Germania del cancelliere Bismark, nell’impero
austro-ungarico di Francesco Giuseppe o nell’Italia dei governi della Destra e della
Sinistra, caratteri ancora alquanto autoritari, mentre l’Inghilterra della regina Vittoria
continuava a rappresentare il modello di stato liberale.
A caratterizzare il decennio compreso fra il 1861 e il 1871 vi fu il fatto che vennero
portati a termine due importanti processi di unificazione nazionali quali quello tedesco e
quello italiano.
Due nazionalità da secoli divise acquistarono per la prima volta una struttura statale unitaria,
modificando profondamente la carta politica d'Europa e i rapporti di forza fra le potenze.
I due processi in alcuni momenti si
intrecciarono in quanto la terza guerra
Processo di unificazione in Germania e in Italia
d’indipendenza italiana, che coincise con
Analogie:
la prima fase dell’unificazione tedesca,
1- ruolo della Francia:_______________________
vide i due stati alleati contro l’impero
2- presenza di uno Stato _____________________
3- esigenza della borghesia di _________________
austriaco e la presa di Roma avvenne
4- presenza di leader politici forti: _____________
dopo la sconfitta, ad opera dell’esercito
tedesco, della Francia di Napoleone III
Differenze:
che si era sempre opposto sia per motivi
1- ceti borghesi: ___________________________
di politica interna, in quanto questo gli
2- tipo di iniziativa:_________________________
garantiva l’appoggio della chiesa francese
molto
influente
soprattutto
nelle
campagne, sia di prestigio internazionale.
La Francia, che era stata fin allora la maggiore potenza continentale , comunque svolse un ruolo
decisivo in entrambi i processi: come alleata nel caso italiano (intervenne direttamente nella II guerra
d’indipendenza e diede il suo consenso alla conquista del Mezzogiorno), come avversaria in quello
tedesco.
Fra le due esperienze vi sono altri punti in comune. In Italia, con lo stato sabaudo, come in Germania, con la Prussia, il conseguimento dell'unità fu reso possibile dall'esistenza di uno Stato più
forte degli altri economicamente e militarmente, capace di fungere da guida e da nucleo centrale
della nuova compagine statale.. Sia in Italia sia in Germania, un potente stimolo all’unificazione
politica venne dalle esigenze di una borghesia in crescita, desiderosa di creare o di estendere quel
mercato nazionale che era considerato una premessa indispensabile allo sviluppo economico.
Inoltre nell’uno e nell'altro caso fu determinante il ruolo svolto da uomini politici di eccezionale
levatura - Bismarck in Prussia, Cavour in Piemonte - che si trovarono a reggere il potere negli
Stati leader.
Ma le analogie si fermano qui. In Italia i ceti borghesi, per quanto numericamente deboli ed
economicamente meno vitali che in Germania, furono, col sostegno di ampi strati popolari
urbani, gli indiscussi protagonisti della rivoluzione nazionale. In Germania, la borghesia dovette
subire l'iniziativa politica dei rappresentanti dell’aristocrazia terriera e della casta militare. In
8
Germania l’unità fu fatta discendere dall’alto, senza alcuna concessione ai principi di sovranità
popolare e alle ideologie liberai-democratiche. In Italia lo Stato nazionale, consacrato dai
plebisciti, nacque dalla combinazione di un’iniziativa dall’alto (la politica di Cavour e della
monarchia piemontese, determinanti per la II e la III guerra d’indipendenza) e di un’iniziativa dal
basso(le insurrezioni nell'Italia centrale e la spedizione garibaldina, determinanti per la
riunificazione del Mezzogiorno ).
Nell’
incontro fra la componente democratica e quella moderata e dinastica, quest’ultima risultò
comunque nettamente vincente, tant’è che alcuni storici hanno visto nel Risorgimento una
“rivoluzione tradita”, poiché i democratici non seppero sfruttare la mobilitazione popolare,
particolarmente evidente nel caso della spedizione dei Mille, per imporre nuovi equilibri politici. Il
Risorgimento si trasformò così in una conquista regia con la semplice estensione delle strutture dello
stato piemontese, ispirate a un liberalismo alquanto moderato, al nuovo territorio nazionale.
L’impossibilità per la popolazione di far sentire la propria voce all’interno delle strutture statali si
espresse allora in una rivolta, il cosiddetto brigantaggio, che se non arrivò ad avere contenuti politici
impedì per alcuni anni al nuovo stato di esercitare un effettivo controllo su buona parte del Sud.
Come più volte accennato l’Inghilterra ha rappresentato, per tutto l’ottocento, il
modello di stato liberale,fungendo da riferimento per l’evoluzione politica del continente.
Oltre che dal punto di vista politico la
Gran Bretagna rappresentava il più
Linee di tendenza sviluppo stato inglese:
progredito dei paesi europei anche dal
1- Rafforzamento dello stato liberale
punto di vista economico, in quanto era il
a - _____________________________
più industrializzato, Londra era la capitale
allargamento base elettorale
commerciale e finanziaria del mondo e,
b –consolidamento sistema parlamentare
inoltre, gli inglesi possedeva l’impero
_____________________________
coloniale più vasto.
La qualità media della vita era più alta
2 - _____________________________________
rispetto agli altri paesi: gli abitanti
anni ’20:_________________________________
avevano più risorse alimentari a
anni ’30:_________________________________
disposizione e il livello di analfabetismo
anni ’70:_________________________________
era più basso.
anni ’80:__________________________________
A caratterizzare l’evoluzione politica
3 - Adozione di una politica economica _________
inglese fu innanzitutto un rafforzamento
del regime liberali che si realizzò in primo
luogo attraverso una serie di riforme del
sistema elettorale2.
In effetti il nodo principale da sciogliere era quello dell’allargamento del diritto di voto,
allora limitato a una ristretta minoranza della popolazione (poco più del 3%). Un problema
a sé era poi costituito dalle circoscrizioni elettorali disegnate secondo i criteri di un secolo
prima, quando il paese non era stato ancora investito dalla rivoluzione industriale e dai
conseguenti fenomeni di urbanizzazione. Accadeva così che le circoscrizioni urbane (contee)
2
Il sistema elettorale rappresenta uno degli aspetti qualificanti di un sistema politico in quanto dà la misura della partecipazione
politica dei cittadini.
Un qualsiasi sistema elettorale è giudicabile in base a parametri quali: la percentuale di aventi diritto al voto, il rapporto eletti popolazione, ovvero il numero di cittadini rappresentati da un eletto, il tipo si sistema elettorale, proporzionale o maggioritario. Nel
sistema proporzionale ciascun gruppo politico ha un numero di rappresentanti in base alla percentuale di voti, mentre nel sistema
maggioritario chi ottiene la maggioranza di voti viene premiato con un numero maggiore di seggi. Con il sistema proporzionale si
assiste in genere al proliferare dei partiti, ottenendo un parlamento rappresentativo dei molteplici interessi e punti di vista presenti
nel paese, ma anche un governo che si deve reggere su un difficile accordo tra molti partiti, finendo per enfatizzare il peso dei partiti
minori sul cui appoggio diventa indispensabile. Con il sistema maggioritario si ottiene, invece, un governo più stabile ma un
parlamento meno rappresentativo e in generale minori garanzie per le minoranze. Inoltre un sistema elettorale può essere
uninominale o a liste. Un sistema uninominale (il più tipico nell’ottocento) prevede la scelta tra persone diverse, mentre in un sistema
a liste la scelta è prevalentemente tra movimenti politici diversi. Inoltre nel sistema a liste l’elettore può o non può avere la
possibilità di esprimere delle preferenze. Nel caso di un sistema elettorale a liste i partiti tendono a svolgere un ruolo maggiore,
rafforzato nel caso in cui l’elettore non possa esprimere una preferenza tra coloro che sono in lista.
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fossero gravemente sacrificate nella distribuzione dei seggi a vantaggio di quelle rurali,
mentre vi erano collegi rurali ormai abbandonati in cui bastavano poche decine di elettori
per mandare in Parlamento un deputato: con evidente vantaggio per l'aristocrazia terriera,
visto che l'eletto era quasi sempre il signore del luogo. La legge, approvata dal Parlamento nel
1832, allargava il corpo elettorale di o1tre i1 50% e, cosa ancora più importante ridisegnava le
circoscrizioni, aumentando il numero di quelle urbane a scapito di quelle rurali. Il sistema
restava censitario, ma era pur sempre il più avanzato dell’Europa di allora.
L’allargamento del suffragio politico non valse, però, a far tacere la protesta dell'opposizione
democratica, che faceva capo agli intellettuali radicali e agli operai organizzati nelle Trade
Unions (il sindacato inglese). Dalle Trade Unions partì l'iniziativa di una grande agitazione
popolare per imporre alla classe dirigente l'adozione del suffragio universale, visto come il
mezzo più idoneo per far valere gli interessi dei lavoratori nella Camera e nel governo. Nel 1838
fu elaborato un documento in sei punti, la Carta del popolo, che chiedeva, fra l'altro, il suffragio
universale maschile, la garanzia della segretezza del voto e una nuova riforma dei collegi
elettorali. Il movimento cartista , così chiamato appunto dalla Carta del popolo del '38, rimase
attivo anche negli anni successivi, dando vita a una lunga serie di manifestazioni, comizi e
scioperi. Ma non riuscì a ottenere nessuno dei suoi obiettivi, dopo un decennio di lotte, finì con
l'esaurirsi, anche perché i leader delle Trade Unions abbandonarono progressivamente il terreno
delle agitazioni politiche per concentrarsi su quello delle rivendicazioni economiche.
L’allargamento della base elettorale proseguì con due nuove riforme (anni ’60 e ’80), fino ad
ammettere al voto i lavoratori urbani a reddito più elevato, ovvero gli operai qualificati, e la
piccola borghesia.
A rafforzare il regime liberale concorse anche l’azione di consolidamento del sistema
parlamentare3 che nella situazione inglese aveva almeno due limiti: non controllava il governo
che era subordinato più alla fiducia del re che a quella del parlamento. Inoltre a limitare i poteri
del parlamento elettivo concorreva anche la presenza della Camera dei Lord, a cui si accedeva
per nomina regia o per diritto di nascita. Tra questi poteri vi era quello di respingere i bilanci,
controllando in questo modo l’azione del governo.
Mentre quest’ultimo limite non venne superato, in quanto i privilegi della Camera dei Lord
vennero intaccati solo all’inizio del ‘900, già nel corso dell’ottocento il parlamento assunse
sempre di più le funzioni di controllo sul governo tendendo a lasciare al re un ruolo puramente
simbolico.
A caratterizzare l’evoluzione dello stato inglese, insieme al rafforzamento del regime liberale, vi
fu l’adozione delle prime forme di politica sociale. Già nella prima metà dell’ottocento lo stato
liberale inglese si fece promotore di una politica di riforme sociali volta ad allentare la tensione
derivata dalle condizioni di estremo disagio delle classi più povere. Una politica che era tesa a
rafforzare il sistema, evitando i motivi più evidenti di contrasto sociale.
Tra le riforme più significative vi furono, negli anni ’20 il riconoscimento del diritto dei
lavoratori di associarsi in sindacati, negli anni ’30 l’imposizione delle 10 ore lavorative
massime per i giovani sotto 18 anni, e di 8 per i ragazzi sotto i 12, nel 1875 venne riconosciuto e
legalizzato lo sciopero, e nel 1880 resa obbligatoria l’istruzione elementare.
Anche per ciò che riguarda la politica economica le linee seguite dallo stato inglese vennero
riprese dagli altri stati europei, almeno sino agli anni ottanta. Tale politica economica era per
l’Inghilterra ispirata ai principi del liberismo che sostenevano la limitazione dell’attività statale
all’eliminazione di ciò che poteva costituire un impedimento per l’iniziativa privata, nella
convinzione che le leggi del mercato avrebbero provveduto da sole a far coincidere l’interesse
privato con l’utile sociale.
3
Per valutare il ruolo del parlamento occorre far riferimento a criteri quali la rappresentatività (che dipende dal sistema elettorale) e
le funzioni che esso esercita. Funzione che è innanzitutto quella legislativo, la quale può essere esercitato in modo più o meno esteso
a seconda delle modalità di funzionamento del parlamento stesso. Di particolare importanza è il problema dell’iniziativa legislativa
(di chi è il compito di presentare le leggi da discutere) che può essere del parlamento stesso o di altre istituzioni, quali il re o il
governo. Un altro potere che può essere esercitato dal parlamento è il controllo degli altri poteri, quali il potere esecutivo (governo) o
giudiziario.
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Questa politica del “laissez faire” si espresse nell’ambito doganale in una posizione
antiprotezionista che sosteneva la necessità diminuire, o meglio abolire i dazi, al fine di favorire
la circolazione delle merci, presupposto indispensabile per un’economia di mercato.
In Inghilterra negli anni quaranta venne perciò abolito il dazio sul grano in entrata, riforma
significativa in quanto adottata dopo un duro scontro con l’aristocrazia terriera, che temeva un
crollo del prezzo del grano. Tale provvedimento, da un lato, chiamava in causa i bisogni delle
classi popolari, poiché il dazio protettivo manteneva elevato il prezzo dei cereali a esclusivo
vantaggio dei produttori e a scapito dei consumatori; dall'altro esprimeva gli interessi della
borghesia industriale, desiderosa di veder rimossi tutti gli ostacoli che impedivano
l’affermazione dei suoi prodotti sui mercati stranieri. Il dazio sul grano in entrata era uno di
questi ostacoli, in quanto provocava per ritorsione l'imposizione da parte dei paesi esportatori
di cereali di analoghe tariffe sui prodotti industriali inglesi. Inoltre una diminuzione del prezzo
del pane consentiva una diminuzione dei salari, o almeno un impedimento alla loro crescita, dal
momento che i salari tendevano a coincidere con il minimo indispensabile per la sopravvivenza
fisica dei lavoratori e dei loro figli.
Anche in Italia sotto i governi della Destra storica (1861-1876) e della Sinistra storica (18761887) venne costituendosi, dopo il raggiungimento dell’unità, uno stato di stampo liberale.
Il nuovo stato, nato con la proclamazione
La politica dello stato unitario italiano:
del Regno d’Italia avvenuta il 17 marzo
1861, fece sue le istituzioni dello stato
1 –Rafforzamento stato liberale
piemontese, ispirate sin dagli anni
a - interpretazione ________________ dello Statuto albertino
cinquanta, per opera di Cavour, ad un
Trasformismo:
liberalismo moderato. Si trattava di uno
dal modello ________________ al grande __________
stato costituzionale che riservava ampi
mancanza distinzioni ideologiche e _________________
poteri, soprattutto attraverso il controllo
________________ azione governo
del governo, al re. Nella pratica, però,
b –riforma ____________________________
come era già avvenuto con l’avvento al
c - ______________________
potere di Cavour, morto all’indomani
estensione delle leggi _____________ al nuovo stato
della proclamazione del Regno d’Italia, si
affermò un interpretazione parlamentare
2 –_________________________:
dello Statuto albertino che, andando oltre
a -________________ b –presa di Roma
la lettera del testo costituzionale, faceva
dipendere la vita del governo non solo
3 - ___________________________________
dalla fiducia del sovrano, ma anche e
Le tasse gravavano soprattutto ____________________
soprattutto dal sostegno di una
colpendo ________________ (tassa sul macinato)
maggioranza parlamentare.
Per quanto riguarda il sistema elettorale esso era fortemente censitario, in quanto la legge
elettorale piemontese, estesa a tutto il regno, concedeva il diritto di voto solo a quei cittadini
maschi che avessero compiuti i venticinque anni, sapessero leggere e scrivere e pagassero
almeno 40 lire di tasse, ovvero meno del 2% della popolazione totale e del 7% dei maschi
adulti. Grazie all’esiguo numero di votanti e al vigente sistema del collegio uninominale (il sistema
in cui le circoscrizioni elettorali sono di piccole dimensioni e designano ciascuna un solo
deputato), bastavano poche centinaia o addirittura poche decine di voti per mandare un uomo in
Parlamento. Risultava così esasperato il carattere oligarchico e personalistico della vita politica.
Nell'assenza di partiti organizzati nel senso moderno del termine, la lotta politica si imperniava su
singole personalità più che su programmi definiti; era dominata da pochi notabili in grado di
sfruttare la propria influenza e le proprie relazioni per ottenere i suffragi necessari all'elezione;
ed era pesantemente condizionata dalle ingerenze del potere esecutivo, cui non era difficile
favorire la riuscita dei candidati «governativi».
Una nuova legge elettorale venne introdotta solo nel 1882, sotto il governo delle sinistre. Essa
introduceva come requisito fondamentale l'istruzione, concedendo il diritto di voto a tutti i
cittadini che avessero compiuto il ventunesimo anno d'età e avessero superato l'esame finale del
corso elementare obbligatorio, o dimostrassero comunque di saper leggere e scrivere. A causa
dell'alto tasso di analfabetismo, la consistenza numerica dell'elettorato restava sempre
piuttosto esigua: il 7% della popolazione, circa un quarto dei maschi maggiorenni. Il corpo
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elettore risultava tuttavia più che triplicato rispetto alle ultime consultazioni e, quel che più
conta, profondamente modificato nella composizione. Grazie alla nuova legge accedeva alle
urne anche una frangia non trascurabile di artigiani e operai del Nord. Le premo elezioni a
suffragio allargato (ottobre 1882) videro infatti l'ingresso alla Camera del primo deputato
socialista, il romagnolo Andrea Costa.
La riforma elettorale dell'82 segnò il coronamento, ma anche il punto terminale, della breve
stagione di riforme inaugurata con l'avvento della Sinistra. Furono proprio le preoccupazioni suscitate dall'allargamento del suffragio e dal conseguente prevedibile rafforzamento
dell'estrema sinistra a favorire quel processo di convergenza fra le forze moderate di entrambi gli schieramenti che nacque da un accordo elettorale fra Depretis e il leader della
Destra Minghetti e che prese il nome di trasformismo. La sostanza del trasformiamo non
stava - come sosteneva Depretis nella «trasformazione» dei moderati in progressisti, ma
piuttosto nel venir meno delle tradizionali distinzioni ideologiche fra Destra e Sinistra e
nella rinuncia da parte di quest’ultima a una precisa caratterizzazione programmatica. Si
compiva cosa un mutamento irreversibile nella fisionomia della Camera e nei caratteri stessi
della lotta politica. A un modello «bipartitico» di stampo inglese (destra contro sinistra,
maggioranza contro opposizione, conservatori contro progressisti) se ne sostituiva un altro
basato su un grande centro che tendeva a inglobare le opposizioni moderate e a emarginare
le ali estreme (i conservatori più intransigenti da un lato, l'estrema sinistra dall'altro). La
maggioranza non era più definita sulla base di precise discriminanti programmatiche, ma
veniva «costruita» giorno per giorno a forza di compromessi e patteggiamenti: il che
provocava un sostanziale immobilismi nel1’azione di governo, oltre che un netto
scadimento nel tono della vita politica.
Il nuovo stato inoltre era fortemente accentrato, in quanto prevalsero le esigenze pratiche
immediate, le quali spingevano i governanti a stabilire un controllo il più possibile stretto e
capillare su tutto i1 paese, basato su ordinamenti uniformi per tutto il Regno e su una rigida
gerarchia di funzionari dipendenti dal centro.
Del resto, le premesse dell'accentramento statale erano implicite nel modo stesso in cui si era
giunti all'unificazione del paese, mediante successive annessioni al Regno di Sardegna, le cui
leggi divennero anche le leggi del nuovo stato unitario . Decisive a questo proposito erano
state alcune leggi varate fra il giugno '59 e il gennaio '60 e riguardanti i settori-chiave della
vita del paese: in particolare la legge Casati, che stabiliva il principio dell'istruzione
elementare obbligatoria (demandandone però l'attuazione ai comuni) e la legge Rattazzi che
poneva i comuni e le province sotto il controllo rispettivamente dei sindaci, di nomina
regia, e dei prefetti rappresentanti del potere esecutivo.
Fra i motivi che spinsero la classe dirigente ad accantonare ogni progetto di decentramento
amministrativo, il principale fu costituito certamente dalla situazione che si era venuta a
creare nel Mezzogiorno. N e l l e p r o v i n c e meridionali liberate dal regime borbonico, il
malessere antico delle masse contadine si sommò a una diffusa ostilità verso il nuovo
ordine, che non aveva portato nessun mutamento radicale nella sfera dei rapporti sociali, anzi
aveva visto la borghesia rurale fare rapidamente causa comune con i «conquistatori». Man
mano che la realtà del nuovo Stato si venne manifestando con i suoi tratti più spiacevoli
agli occhi delle popolazioni meridionali (la pesante fiscalità, il servizio di leva obbligatorio), i
disordini si fecero più estesi e più frequenti, fino a trasformarsi in un generale moto di
rivolta, incoraggiato da una parte del clero e sovvenzionato dalla corte borbonica in esilio
a Roma.
La risposta dello stato al disagio sociale fu una spietata repressione militare che si
concretizzò nell’invio di dell’esercito, la fucilazione di 5000 briganti e l’incarcerazione
di altrettanti. Se il brigantaggio venne sconfitto non venne invece affrontato il
problema della secolare aspirazione dei contadini alla proprietà della terra. La
divisione delle terre demaniali non fu portata avanti e la vendita delle terre requisite
agli enti ecclesiastici si risolse, grazie alle vendite all’asta di grandi lotti, nel
rafforzamento della grande proprietà.
Anche il problema del completamento dell’unità venne affrontato esclusivamente per via
militare per evitare il coinvolgimento delle masse popolari cosa che avrebbe potuto comportare
una messa in discussione dei rapporti sociali.
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Base sociale dei governi unitari:
Fu così che l’annessione del Veneto avvenne grazie
Destra: ____________________
all’alleanza con la Prussia di Bismark e una guerra
Sinistra: ____________________ +
con l’Austria, mentre la presa di Roma venne
Capitalismo industriale
compiuta all’indomani della sconfitta, sempre per
e_______________
opera di Bismark, della Francia che si era opposta,
per ragioni di politica interna.
Il nuovo stato era il frutto di un blocco dominante che era l’espressione, durante i governi della
Destra, soprattutto degli interessi dei grandi proprietari terrieri e, sotto i governi della Sinistra,
di un alleanza tra questi e la nascente borghesia industriale e finanziaria; blocco dominante che
rimarrà, pur mutando gli equilibri interni, costante fino alla seconda guerra mondiale.
In effetti sia gli ingenti costi sia della costruzione del nuovo stato unitario, sia quelli della
costruzione del mercato nazionale finirono per gravare soprattutto sulle classi popolari. La
costruzione del nuovo Stato aveva infatti comportato spese ingentissime, sia nel campo delle
comunicazioni sia in quelli dell'amministrazione pubblica, dell'istruzione e dell'esercito, così
come le infrastrutture (strade e ferrovie) richieste dal creazione del mercato nazionale. Per
far fronte a queste spese, i governi della Destra dovettero ricorrere a una serie di
inasprimenti fiscali, che colpivano soprattutto i consumi (tasse sui sali e i tabacchi, dazi locali sui
generi alimentari). La situazione si aggravò dopo il '66, in conseguenza di una crisi internazionale e
delle spese sostenute per la guerra contro l'Austria. Per rinsanguare le casse dello Stato, i governi
succedutisi fra il '66 e il '69 furono costretti ad appesantire le imposte già esistenti e, nell'estate
del 1868 a vararne una nuova: quella sulla macinazione dei cereali, meglio nota come tassa
sul macinato. Si trattava in pratica di una tassa sul pane, cioè sul consumo popolare per
eccellenza, che colpiva duramente le classi più povere. Inoltre, dovendo essere pagata ai
mugnai all'atto del ritiro della farina, non risparmiava nemmeno quei lavoratori agricoli che
producevano da soli i cereali o li ricevevano come parte del salario. L'introduzione di questa
tassa accrebbe l'impopolarità della classe dirigente e provocò, all'inizio del 1869, le prime
agitazioni sociali su scala nazionale della storia dell'Italia unita La repressione fu anche in
questo caso durissima.
Là politica di duro fiscalismo e di inflessibile rigore finanziario ottenne alla fine gli effetti
sperati. Le condizioni del bilancio statale migliorarono rapidamente fino a raggiungere, nel
1875, l’obiettivo del pareggio. Ma intanto il fronte degli scontenti si allargava. Alla protesta dei
ceti popolari, al cronico malcontento del Mezzogiorno, si aggiunsero le pressioni degli
industriali e dei gruppi bancari e speculativi in favore di una politica economica meno rigida e
restrittiva, che lasciasse più ampi margini alla formazione della ricchezza privata. I1 peso
di questi interessi finì per essere decisivo nel provocare la caduta della Destra (1876), ma
non chiaramente nell’abolizione della tassa sul macinato, che in effetti colpiva le classi
popolari, che avvenne solo nel 1884.
Per quanto riguarda i rapporti internazionali questi rimasero per l’Europa continentale
nel quadro tracciato dal Congresso di Vienna sostanzialmente fino agli anni ’60, quando
ebbe inizio il processo di unificazione tedesca. All’interno di tale quadro l’Austria, la
Francia e la Russia svolgevano un quadro egemone e infatti nei moti degli anni ’20 e
’30 furono loro a riportare l’ordine nelle rispettive zone di influenza.
Nel 1870 portando a compimento il proprio processo di unificazione sconfiggendo la
Francia, che nei decenni intorno alla metà del secolo aveva raggiunto una posizione di
egemonia, la Germania ruppe definitivamente questo quadro dando inizio a quella
“politica di potenza” che, fondata sullo sviluppo degli eserciti permanente e sulla corsa
agli armamenti, sfocerà nella prima guerra mondiale.
Nel periodo che va dal 1870 alla prima guerra mondiale non vi furono comunque mai
scontri diretti tra le grandi potenze europee.
Lo scontro assunse così forme indirette come l’ingerenza in zone marginali dell’Europa,
dove la debolezza dell’impero turco consentiva alle potenze europee di intervenire
sostenendo una delle diverse parti in conflitto.
Anche la politica coloniale divenne un’altra forma di conflitto indiretto che portò
l’Inghilterra, la Francia e, in misura minore, il Belgio e soprattutto la Germania a
dividersi l’Africa e l’Asia in zone di rispettivo controllo. Lo scontento della Germana,
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arrivata ultima nella gara coloniale, costituirà uno dei motivi di attrito tra le grandi
potenze.
Un’ultima forma di scontro indiretto fu rappresentato dalle cosiddette guerre doganali
scatenate dall’abbandono del libero scambio a favore di politiche doganali
protezionistiche 4 che comportò tutta una serie di ritorsioni nei confronti dei propri
concorrenti commerciali. L’abbandono del libero scambio fu una delle prime
conseguenze della grave crisi economica che il sistema industriale europeo attraversò a
partire dagli anni ’80.
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Una politica doganale protezionistica consiste nell’innalzamento delle tariffe doganali come misura di protezione dei
prodotti nazionali dalla concorrenza di prodotti stranieri che risultano gravati dalle tariffe doganali
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