Miniguida: Ostia Antica racconto di vita quotidiana Prima tappa: Ingresso della città La presente visita intende focalizzarsi sugli aspetti concernenti la vita quotidiana degli antichi abitanti di Ostia, soffermandosi sugli aspetti più comuni ed i luoghi più frequentati della città. A questo scopo, si chiede al visitatore un piccolo sforzo d’immaginazione ed un cambio di prospettiva rispetto al comune turista: intendere Ostia antica non come un sito archeologico o un museo all’aperto ma per una città fantasma che, sebbene abbandonata dai suoi abitanti, era un tempo pulsante di vita e gremita di genti d’ogni dove impegnata nelle proprie faccende. Appena superati i tornelli, sulla destra, è collocata una pianta della città che offre l’opportunità di poter parlare della sua storia e del suo sviluppo urbanistico. La mappa mostra l’antica linea di costa in epoca romana ed il precedente letto del Tevere, modificato da una piena del 1557, ad evidenziare lo sviluppo della città fra il fiume ed il mare. Tradizionalmente la fondazione di Ostia è attribuita al quarto re di Roma, Anco Marzio, nel VII° secolo a.C., allora intenzionato a rafforzare la presenza romana sulla riva sinistra del Tevere, iniziata con la conquista dell’antica città di Ficana sita su Monte Cugno (attuale zona Monti di San Paolo), oltre ad assicurarsi lo sfruttamento delle saline presenti. Tuttavia, oltre a scritti romani risalenti già al III° secolo a.C., non esistono attualmente prove archeologiche della presenza di un insediamento prima del IV° secolo a.C., ad eccezione di alcuni sporadici ritrovamenti. Per tale motivo si è ipotizzato che la Ostia regia potesse trovarsi in una diversa posizione, forse in corrispondenza delle antiche saline, poco più a monte. In ogni caso, il primo insediamento ostiense avvalorato da evidenze archeologiche è il cosiddetto “Castrum”, una cittadella caratterizzata dalla tipica forma degli accampamenti militari, fondata nel corso del IV secolo a.C. Intorno a questo primo insediamento con funzioni prevalentemente militari, si sviluppò il tessuto urbano della futura città di Ostia, andando a costituirne il nucleo. Nella cartina, prendendo il foro come centro, è possibile ancora notare una vasta zona di forma quadrata. Nei tre secoli successivi Ostia conosce un progressivo sviluppo, favorito dalla sua posizione di “porta marittima” di Roma, sia dal punto di vista militare che commerciale. A riprova dell’alto valore della cittadina, basti pensare che i suoi cittadini furono dispensati dal servizio militare durante il conflitto contro Pirro e le guerre puniche. Con l’espandersi delle conquiste romane, Ostia divenne uno scalo commerciale sempre più importante, dato che tutte le merci inviate via mare alla capitale transitavano per i suoi magazzini. Il Tevere, anche allora, non era adatto alla navigazione di grandi navi, dunque le merci venivano trasbordate su chiatte per poi, con l’aiuto di animali che le trainavano da terra, risalire la corrente fino allo scalo di Testaccio (altezza monte dei cocci), oppure 1 su carri tramite la via Ostiense. La zona del porto, presumibilmente situata in prossimità dei magazzini repubblicani di “Porta romana” (vicino a cui ci troviamo), dovrebbe trovarsi nell’area nord-est della città, non ancora scavata dagli archeologi. Probabilmente, fu proprio la presenza del porto a provocare uno sviluppo sbilanciato verso est della città, rispetto al primitivo castrum. Il vero e proprio boom edilizio di Ostia avvenne in epoca imperiale, in particolare sotto la dinastia Giulio-Claudia, quindi I° - II° secolo d.C., sotto la quale vennero realizzate le prime grandi opere pubbliche come il Teatro, il piazzale delle corporazioni e l’acquedotto pubblico che consentì la costruzione delle terme, riccamente presenti in città. La densità abitativa divenne tale che, a partire dall’età dell’imperatore Domiziano, il suolo della città fu rialzato di un metro, dato che il suolo sabbioso preesistente non consentiva la realizzazione di fondamenta tali da poter sostenere edifici di diversi piani. A causa del continuo insabbiamento, nell’area non fu inizialmente possibile la realizzazione di un porto, nonostante il tentativo imponente dell’imperatore Claudio. Fu sotto il regno di Traiano che giunse la svolta, con la realizzazione di un lago artificiale nell’attuale area di Fiumicino (Isola sacra), collegato sia al mare che al Tevere per poter ospitare il nuovo scalo. Lo sviluppo della città di Portus contribuì inizialmente allo sviluppo di Ostia ed ai suoi commerci. Seconda tappa: il pozzo e i portici Addentrandoci per circa duecento metri lungo il decumano massimo, ci avviciniamo al centro della città fino ad incontrare un pozzo situato al centro della strada. Ci troviamo sulla via principale e proprio ai suoi margini sono situati i portici sotto i quali, in una qualunque giornata, avremmo trovato una vasta varietà di attività commerciali. Quindi, se non risulta affatto difficile immaginare il luogo pieno di semplici passanti, carri carichi di mercanzia, bambini e persone dirette ad appuntamenti o intente a fare acquisti, risulta inspiegabile la presenza di un pozzo ad ostacolare la viabilità su una strada del genere. Dopo il periodo di grande espansione che portò la città a toccare circa 50.000 abitanti durante il regno di Antonino Pio, durante il III° secolo gli interventi pubblici si limitarono al mantenimento e restauro delle opere già esistenti, senza edificane di nuove. A causa dei grandi sconvolgimenti economici e politici dell’impero, la crisi sopravvenne nella città: cessò la manutenzione di molti magazzini imperiali, la caserma dei vigli del fuoco fu abbandonata e molte insulae, anche nelle zone centrali della città, si svuotarono completamente dei loro abitanti. I governi stabili di Diocleziano e Costantino diedero nuovo respiro al tessuto urbano, tuttavia il trasferimento dei traffici e delle attività commerciali nella vicina Portus avevano reso Ostia un mero centro amministrativo, in cui molte famiglie agiate costruirono delle domus signorili di rappresentanza e villeggiatura. Ormai gli interventi si concentravano sulle vie principali ed intere zone erano abbandonate al degrado. La fine della città sopraggiunse lentamente ed in modo differenziato nelle sue varie zone. Infatti, se nel V° secolo sorsero costruzioni grossolane sulle strade, in alcuni punti si rialzò il livello stradale con detriti per utilizzare i primi piani di edifici del II° secolo e sorsero diversi pozzi, come quello presso cui ci troviamo, per compensare il danneggiamento dell’acquedotto durante il saccheggio dei vandali del 455 d.C., è pur vero che le terme di Porta Marina furono restaurate all’inizio del V° secolo sotto Teodorico. 2 Il definitivo abbandono della città corrisponde convenzionalmente con la fondazione di Gregoriopoli (l’attuale borgo di Ostia Antica) nell’827 da parte di Papa Gregorio IV. All’interno del nuovo borgo, fortificato per far fronte alle continue incursioni saracene, confluirono le poche anime che ancora abitavano le città di Ostia e Portus. Terza Tappa: Chiesa di San Ciriaco Pochi metri prima di giungere all’ormai famoso teatro di Ostia Antica, nonostante non ne resti più molto, merita una piccola tappa l’oratorio cristiano, conosciuto anche come chiesa di San Ciriaco, costruita nei primi anni del V° secolo: si tratta di uno dei pochissimi edifici cristiani presenti all’interno della città. Infatti il cristianesimo, anche per la forte presenza aristocratica, tardò a diffondersi, circostanza testimoniata dal restauro di templi pagani ancora alla fine del IV° secolo. Secondo la tradizione, nell’oratorio fu traslato il corpo del vescovo Ciriaco, martirizzato assieme a Santa Aura (a cui è invece dedicata la chiesa del vicino borgo). Documentazioni medievali testimoniano l’utilizzo dell’edificio ancora durante il 1162, grazie alla devozione dei fedeli che, giungendo da Gregoriopoli, attraversavano una città abbandonata ed in rovina. Quarta tappa: il teatro Il teatro è certamente l’edificio maggiormente conosciuto di Ostia Antica, tuttavia il suo aspetto attuale non è dovuto a una miracolosa conservazione ma ad un sostanziale restauro attuato dal regime fascista nel 1927. Ad esempio, sono state ricostruite quattro delle ventuno arcate del portico laterizio, che doveva essere a due ordini. La costruzione del teatro è attribuita ad Agrippa, fidato amico e cognato dell’imperatore Ottaviano Augusto, morto all’incirca nel 12 d.C. Originariamente il teatro era in grado di ospitare ben 3000 spettatori e fu realizzato in opera reticolata. Si tratta di una tecnica di costruzione in cui le pietre che formavano il paramento del muro venivano preparate prima della messa in opera a forma irregolarmente piramidale a base quadrata e disposte quindi con la base in vista, mentre la punta affondava nel cementizio. La disposizione veniva a creare un irregolare reticolo diagonale sulla superficie della parete (vedi figura a lato). Esempio di muro realizzato con la tecnica di “opera reticolata” Sul finire del II° secolo, l’imperatore Commodo, figlio di Marco Aurelio, dispose una generale opera di restauro del teatro che innalzò la capienza a ben 4000 posti. L’ultimo intervento di ristrutturazione dell’edificio avvenne sul finire del IV° secolo, ad opera di Ragonio Vincenzio Celso, allora prefetto dell’annona. Tale intervento portò ad un adattamento del 3 teatro per ospitare spettacoli acquatici, durante i quali venivano impersonate Nereidi e ninfe della mitologia classica. All’interno del portico è possibile osservare un giro di tabernae alternate a scalinate conducenti alle gradinate superiori. In questi locali erano originariamente ospitate botteghe e attività, come ne troveremmo oggigiorno nei pressi di uno stadio o una sala concerti. Spostiamoci di alcuni passi per entrare dall’ingresso principale, che si apre al centro dei portici. In quest’area sono visibili alcuni interventi del restauro di Commodo. Sulle pareti possiamo osservare la struttura realizzata in “opera laterizia”. In tale tecnica si impiegavano tegole con i bordi sporgenti spezzati, che venivano suddivise in forme triangolari mediante dei tagli obliqui. I triangoli così ottenuti erano sovrapposti in file con il lato lungo verso la superficie del muro e legati con malta. In modo analogo all'opera reticolata, tra i due paramenti delle facce del muro veniva quindi colato il cementizio che ne costituiva la struttura. Esempio di muro realizzato con la tecnica di "opera laterizia" Sul soffitto, nonostante il quasi totale crollo, ancora oggi è possibile vedere stucchi con medaglioni ornati con rosette e cigni. In particolare, si può scorgere una figura raffigurante Ercole, impugnante una clava e vestito con pelle di leone. La devozione dell’imperatore verso il semidio greco era particolarmente fervida, tanto che egli stesso si esibì con gli stessi panni a Roma. La tecnica dello stucco era particolarmente diffusa ad Ostia, tanto da arrivare a sostituire il marmo in numerose abitazioni, grazie alla sua leggerezza e malleabilità. Sul finire del II secolo la maestria degli artigiani ostiensi divenne tale da arrivare ad assumere caratteri fortemente scultorei e a formare una tecnica artistica autonoma. Sul pannello illustrativo affisso alla parete, si trova uno schema della realizzazione delle decorazioni a stucco. Nella parte centrale del corridoio, alla base delle pareti, è possibile osservare le bocche da cui fuoriusciva l’acqua per allagare l’orchestra. Le cisterne erano situate nelle due tabernae laterali. Al termine del corridoio, si esce sull’orchestra, di forma semicircolare e pavimentata in marmo, sulla quale convergono le gradinate della cavea, interamente ricostruita, sulla base delle antiche tracce. Attualmente il teatro viene utilizzato nel periodo estivo per spettacoli teatrali ed è in grado di ospitare 2700 spettatori. La differenza nella capienza è dovuta alla mancanza di un terzo ordine di posti non ricostruito. La scena è caratterizzata da un’alternanza fra nicchie curvilinee e rettangolari; al di là di essa si vedono resti del portico in tufo che divideva il teatro dal pizzale antistante, inoltre sono visibili alcune statue rinvenute durante i lavori di scavo del teatro. Quinta tappa: il piazzale delle corporazioni 4 Al di là della scena del teatro, si apre un ampio piazzale chiamato “delle corporazioni”. Questo complesso, progettato in continuità col teatro in epoca augustea, è un esempio unico nel suo genere e racconta molto dei commerci di Roma attraverso i suoi mosaici. Originariamente la struttura era delimitata da un muro esterno in opera laterizia, di cui si intravedono anche alcune parti. Su tre lati presentava un camminamento coperto, poi trasformato in portico in età claudia, con undici ingressi a pilastri aperti verso il Tevere. Il tempietto situato al centro del piazzale, in posizione rialzata, è datato all’epoca domizianea grazie ai bolli sui mattoni. Non è certa la divinità a cui fosse dedicato, l’attribuzione alla dea Cerere non ha di fatto alcun fondamento, come quelle al Pater Tiberinus o a Vulcano. Tutt’intorno al tempio possiamo immaginare un piccolo parco fiorito, decorato di statue marmoree ormai perdute. Avvicinandoci al percorso tracciato, possiamo notare la divisione in “stationes” del porticato, e la presenza di ricchi mosaici in ognuna di esse. Proprio alla loro presenza, è dovuto il nome del piazzale, in quanto ciascuno rappresenta una delle corporazioni attive nella città di Ostia. Nell’impero romano le corporazioni, detti “collegium”, erano una sorta di associazioni, di natura religiosa o economica, aventi lo scopo di tutelare gli interessi dei propri associati. Grazie alle documentazioni, è certa l’importanza politica rivestita da tali enti, capaci d’incanalare consenso, oltre che economico-sociale, erano soliti commissionare anche opere pubbliche. La funzione del Piazzale delle corporazioni, nonostante le numerose ipotesi, rimane un mistero. Secondo alcuni ricercatori potrebbe trattarsi di uffici di rappresentanza delle corporazioni locali, secondo altri si tratterebbe di uno spazio fruibile dagli spettatori del teatro durante le pause o la pioggia ed i mosaici costituirebbero una sorta di concessione pubblicitaria o, più banalmente, dei punti di appuntamento ben riconoscibili per gli stranieri in transito. Qualunque fosse la funzione del complesso il suo valore testimoniale è enorme. Infatti, scorrendo i mosaici, possiamo farci un’idea ben precisa delle merci che transitavano per la città e che, quindi, arrivavano a Roma. Il visitatore potrà scorgere fra le incisioni nomi di città di tutto il Mediterraneo e raffigurazioni accattivanti delle merci trattate dalle corporazioni. Lungo il percorso si trova un pannello didattico, su cui è possibile osservare (e toccare) gli strati che compongono i mosaici e le sue fasi di lavorazione. Sesta tappa: Il panificio di via dei mulini o “Molino Silvano” Terminato il percorso del piazzale, ci dirigiamo nuovamente sul Decumano massimo, proseguendo in direzione mare, per poi svoltare a destra per via dei mulini. Subito dopo l’incrocio con via Diana, sulla sinistra, possiamo trovare il Molino Silvano: si tratta di uno dei due maggiori panifici scoperti nell’area di Ostia, basti pensare che nel periodo di piena attività il suo pane contribuiva anche al fabbisogno di Roma. A questo punto, merita una piccola parentesi il tipo di pane che avremmo potuto trovare quando il forno era in funzione. Il pane era vario anche nell’antica Roma e non mancava mai sulla tavola dei romani. L’uso, però, sembra divenuto generale soltanto al principio del II secolo a.C. Prima di tale periodo veniva preparato nelle case mentre in seguito gli artigiani e i cuochi aprirono delle 5 panetterie attrezzate con forni e mulini. Inizialmente preparato solamente con il farro, che a quei tempi era il cereale più coltivato, il pane crebbe nelle sue varietà cn l’espandersi dei commerci. Si divideva essenzialmente in tre qualità principali: il pan nero di farina setacciata rada che veniva consumato principalmente dai poveri, il pane bianco (panis secondarius), migliore del precedente ma con grani ancora un po’ grossolani, e il pane bianco di lusso (panis candidus, mundus), fatto con farina finissima. L’edificio era collegato, tramite arcate sormontati la strada ai grandi Horrea (ampi magazzini di proprietà statale per l’approvvigionamento di grano), dai quali riceveva un continuo ed enorme rifornimento tale da giustificarne le dimensioni. Si ipotizza che qui dovessero avvenire addirittura delle distribuzioni gratuite di pane. L’edificio, di età adrianea, è rimasto in funzione sino al III° secolo d.C. e mai più ricostruito probabilmente per via della situazione di declino economica e demografica che già la città iniziava ad accusare. Sul lato della strada, sono presenti sei tabernae probabilmente allestite per la vendita al dettaglio. Sulla più lontana, è presente un’incisione raffigurante attrezzi da lavoro, forse ad indicare la presenza di una bottega per la costruzione e manutenzione delle attrezzature impiegate nel forno. Gli spazi interni si presentano pavimentati in basoli, come le strade, fatto ricorrente per i luoghi di produzione. Nell’ambiente principale troviamo le macine in pietra lavica. Erano composte da due elementi: uno superiore a doppia svasatura e uno inferiore a cono rovesciato. La parte superiore, in cui veniva introdotto il grano, veniva fatta ruotare da animali. Invece, nella stanza attigua troviamo le vasche per impastare la farina. Sul retro del panificio si trova un piccolo corridoio al cui termine è situato il forno: basta una piccola occhiata alle sue dimensioni per poter immaginare quanto calore dovesse produrre in funzione. Settima tappa: Thermopolium Veniva chiamato dai romani popina (thermopolium era un termina greco) e consisteva in una specie di bar tavola calda dei nostri tempi. L'aspetto attuale risale al 3°secolo. Aveva tre entrate: la prima dava accesso alla sala da pranzo, la seconda dava sul bancone e permetta ai passanti di farsi un'idea di cosa il thermopolium offrisse; la terza si affacciava sulla cucina. Questa era la sala dove i clienti potevano sedersi su delle sedie e tavolini di legno o su delle panche in muratura che ora non ci sono più, mentre non vi erano i triclinii, infatti i cittadini ostiensi ne usufruivano soprattutto per il pranzo. I pasti principali nell'antica Roma erano la colazione e la cena, mentre il pranzo era frugale e consumato velocemente. Nella seconda sala Il banco di mescita è completamente di marmo e al di sotto presenta delle vasche, anch'esse di marmo, che fungevano da lavandino per lavare le stoviglie. Una condotta lo alimentava con un rivolo d'acqua, garantendo un minimo di corrente continua, ma l'igiene del posto era assolutamente scarsa, infatti sappiamo che l'acqua era molto sporca di resti di cibo e olio, nonostante il continuo apporto di acqua che era minimo. Inoltre durante i pasti era pieno di insetti come mosche o scarafaggi. I pranzi erano principalmente a base di legumi,uova sode, olive, formaggi, alici,pesce grigliato e fichi. Abbiamo un esempio con questa natura morta dipinta a parete che mostrava ai clienti quanto il thermopolium potesse offrire, ovvero qui sono rappresentati dei legumi, un bicchiere e forse due formaggi appesi ad un chiodo, mentre alcuni pensano si tratti di strumenti musicali. Era solito infatti l'accompagnamento musicale duranti i pasti. In questi ambienti non era insolito l'uso del gioco d'azzardo, praticato illegalmente. Principalmente veniva usato il gioco dei dadi: in cui un giocatore avrebbe dovuto indovinare che cifra sarebbe uscita dal lancio dei dadi, oppure si poteva vincere con un numero più alto del rivale ottenuto dal lancio dei dadi. Un altro gioco d'azzardo consisteva nella morra. Nella sala di destra c'è la cucina con un fornello in muratura e un dolio infossato, tecnica usata per mantenere al fresco le vivande oppure per conservare meglio l'olio od il vino in un vaso (dolio). 6 Questa stanzetta veniva usata come un odierno frigo perchè particolarmente fresca. Presentava anche un cortiletto interno con una fontana e della panche per sedersi, per offrire ai clienti il piacere di mangiare all'aperto. Questo ambiente molto probabilmente veniva usato come dispensa. Ottava tappa:Foro Analizzando l'aspetto della vita quotidiana non potevamo escludere il fulcro della civiltà romana, il centro della vita politica, giuridica, economica, sociale e religiosa. Dal punto di vista urbanistico il foro era uno slargo posto all’incrocio tra le due più importanti strade delle città romane: il cardo e il decumano massimi. Queste due strade perpendicolari davano origine all’impianto urbanistico a scacchiera delle città romane di nuova fondazione, riprendendo la classica disposizione degli accampamenti militari. Il primo nucleo della città di Ostia si sviluppò proprio all’incrocio fra queste vie, senza tuttavia mai realizzare una vera e propria piazza di rappresentanza. All’atto di fondazione di una colonia i romani procedevano sempre attraverso le stesse tappe: si aprivano le due strade principali (cardo e decumano), si cingeva l’area dell’insediamento con delle mura (quelle del castrum ostiense sono del IV secolo a.C.) e si costruiva presso il foro il maggiore il più importante fra tutti i luoghi di culto appartenenti alla religione ufficiale romana: il tempio della Triade Capitolina. Il foro e il tempio che oggi si ammirano non appartengono alla prima fase di vita della colonia ostiense; infatti fino al I° sec qui c'erano solo degli edifici ammassati, e solo sotto Tiberio si cercò di dare una soluzione organica e monumentale al problema del centro cittadino. Si costruì allora il Tempio di Roma ed Augusto e l'area antistante fu liberata dagli edifici repubblicani per dare alla facciata dell'edificio una dovuta area di rispetto. In tal modo si posero le premesse per la successiva sistemazione del Foro, avvenuta invece con Adriano che ristruttura tutto il quartiere dal foro al Tevere. Probabilmente il foro era dedicato ad Anco Marzio ed era percorribile con i carri solo sul decumano mentre dal cardo era praticabile solo a piedi, dato che Adriano fece costruire tutto il porticato a sud. Era centro della vita politica perchè era nel foro che si costruiva la curia. Nona tappa: Curia Dove si riuniva il senato o gli esponenti con più potere della città. Si pensava che quell'edificio a est possa identificarsi con la curia, ma recenti studi hanno smentito questa teoria per il fatto che l'edificio fosse troppo piccolo per contenere 100 persone e perchè non si sono ritrovati le tre fila di sedili che sono presenti di norma in una curia. Decima tappa: Basilica Giudiziaria posta nel lato ovest, era centro di vita giuridica. Venne costruita tra il I e il II sec. Consisteva in una sala ad unica navata con lunghi colonnati. L'ingresso principale consisteva in un portico con archi e poi c'erano due ingressi laterali sul decumano. Sulla parete di fondo vi è un banco sopraelevato per i giudici. Rimasti pochi frammenti della decorazione marmorea. Fungeva da corte giudiziaria anche se non esistevano giudici professionali, ma giudicare era una carica onorifica e un obbligo sociale dei membri più importanti della società. Molte persone si riunivano per assistere a processi o a discussioni. Il foro era centro religioso perchè come abbiamo detto era solito edificare il tempio più importante della città; qui ne abbiamo due, uno di fronte all'altro. Analizziamo prima quello che è stato costruito prima: Undicesima tappa: Tempio di Roma e Augusto Costruito sotto Tiberio nel I° sec; è un tempio pseudo-periptero alto 16 m. Ciò che ne rimane è una struttura con sostruzioni in opera reticolata che formano un corridoio lungo il quale si aprono delle stanze. Sul tetto si ergeva una statua della Vittoria che ora si trova vicino ad un muro moderno insieme a dei resti del frontone postico. La parte anteriore veniva usata come tribuna da cui si poteva parlare ad un ristretto pubblico, e ne facevano uso oratori e giudici. Da un'iscrizione 7 rinvenuta si è compreso che il consiglio si riuniva qui. Alla cella si accedeva per mezzo di scale laterali. In qualità di responsabile di culto veniva nominato un sacerdote , spesso un liberto della città. Da un'iscrizione rinvenuta sappiamo anche un nome di uno di questi: Ostiensis Felix. Dodicesima tappa:Capitolium Il tempio più importante della città, è un tempio prostilo ed esastilo interamente costruito intorno al 120 in mattoni su alto podio e rivestito da preziosi marmi. La decorazione marmorea è stata asportata. E' preceduto da un altare in muratura rivestito di lastre di marmo decorato a rilievo con armi. Si trovava fuori dalla cella perchè questa doveva rimanere luogo sacro e puro, e non doveva contaminarsi con il sangue dei sacrifici (era persino inaccessibile se non a degli addetti legati al culto). In merito a questo è interessante l'uso che si fa ancora oggi dell'incenso sempre connesso ad una sfera di sacralità perchè veniva usato per purificare l'aria. In passato durante le funzioni pubbliche si ammassava molta gente , anche poveri e mendicanti che avevano un odore sgradevole per via della scarsa igiene; il profumo dell'incenso avrebbe ricoperto questi cattivi odori restituendo all'ambiente un'area di sacralità. Era dedicato a Giove Giunone e Minerva, la triade capitolina, infatti nella cella, a cui si accedeva tramite una porta di bronzo, erano presenti tutte e tre le statue delle divinità. La Triade Capitolina era il simbolo stesso della città di Roma, ed è per questa ragione che alla fondazione di ogni colonia i romani rinnovavano la loro devozione nei confronti delle tre divinità. La parete di fondo con podio con tre sostruzioni a volta perchè era appunto dedicato alla triade capitolina. La decorazione marmorea è stata asportata soprattutto dal 394 d C, dopo che il Cristianesimo divenne religione ufficiale dell'impero, quando il tempio venne chiuso e Con la decadenza negli anni e le frequenti inondazioni del Tevere nel IX sec Ostia venne ricoperta di detriti. Rimase insieme al teatro uno dei pochi resti visibili e venne trasformato in un ovile e assunse il nome di casa rossa. Il foro era centro di vita sociale ed economica perchè in ogni momento della giornata era attraversato da molte persone che si riunivano per accordarsi su degli affari, anche per via delle diverse botteghe, o semplicemente per parlare e partecipare alla vita pubblica della città. Tredicesima tappa:Terme del Foro Altro luogo importante in cui i romani potessero scambiare idee o affari. Nelle case romane quasi si nessuno si lavava la mattina se non velocemente. La concezione del lavarsi era attribuita ad un determinato luogo, le terme sia private che pubbliche, che venivano frequentate per lo più dopo pranzo. Queste terme sono le più grandi e le più ricche di ostia. L'ingresso aperto nel IV sec. E grazie a delle iscrizioni sappiamo che i grandi restauri siano stati apportati grazie alla liberalità di M Gavio Massimo, prefetto del pretorio. Il percorso si iniziava solitamente da un vestibolo e dagli spogliatoi. Non rimanevano nudi alcuni rimanevano con la tunica per non prendere freddo in seguito agli edifici in palestra, altri rimanevano con una specie di perizoma nero di cuoio, ma quasi tutti indossavano una fascia alla vita di lino. E' curioso capire come funzionava il pagamento per usufruire dei servizi: il prezzo medio era di un asse (un quarto di sesterzio equivalente a 0.50 centesimi) ma le donne pagavano di più, forse perchè le donne erano frequentatrici meno assidue degli uomini; mentre l'entrata era gratis per i bambini, per i soldati e per gli schiavi. Dopo essersi spogliati molti andavano subito in palestra per il riscaldamento o perchè interessati solo al movimento fisico; molti altri iniziavano il percorso delle stanze e bagni termali. La prima stanza è un solarium, infatti è più esposta ai raggi del sole, e di forma ottagonale. Presentava ampie finestre per permettere al sole di entrare. Le sale sono orientate a scaletta per sfruttare al meglio i raggi del sole. La prossima sala era un sudatorium, di forma ellittica, con banchine marmoree alle pareti dove i clienti potevano sedersi e subire il calore e il vapore presenti nella sala. Un'altra particolarità sono gli ingressi che sono obliqui rispetto alla muratura per evitare la dispersione di calore. Le prossime due sale sono dei Tepidarii praticamente uguali a parte la parete di sud di cui una è curvilinea. Avevano praticamente la stessa funzione del sudatorium con l'eccezione delle vasche di acqua tiepida. Molti saltavano il tepidarium essendosi già scaldati con la palestra. Procedendo si 8 arriva al Calidarium, pieno di vapore e con acqua molto calda. I fruitori dovevano indossa dei sandali speciali con una suola di legno, una sorta di zoccoli dei nostri tempi, perchè il pavimento era bollente. Il calore era generato dall'aria ad alta temperatura che scorreva non solo in un' intercapedine nelle pareti, ma anche sotto al pavimento rialzato grazie a piccole colonne di laterizi che vedremo dopo. Infatti sotto le terme scorrevano una serie di gallerie e cunicoli in cui gli schiavi alimentavano dei veri e propri forni che a loro volta scaldavano l'acqua, che si trovava in alcune cisterne e che sarebbe arrivata alle vasche con temperature altissime, fino a 60°; e generavano calore e fumo che come abbiamo detto raggiungeva le pareti tramite dei condotti in laterizio detti tubuli, che oggi sono visibili; e raggiungeva anche gli spazi vuoti sotto il pavimento che era rialzato da queste colonne. Questo meccanismo intelligente veniva chiamato ipocausto. Si ritorna al frigidarium da cui verso est si aprono le sale fredde (speculari al vestibolo e spogliatoi, con volta a crociera e colonne di marmo cipollino). Il frigidarium aveva due vasche, una delle quali fu adattata ad abside col restauro del IV secolo. Le donne erano solite evitare il frigidarium per via della variazione di temperatura. Le terme erano sempre frequentate e alcuni ripercorrevano l'iter addirittura più volte al giorno. Questo continuo cambiamento di temperatura creava non pochi problemi ai romani. Non ci si meravigliava se qualcuno veniva colto da un infarto durante i bagni termali. Molti hanno sviluppato dei problemi di sordità perchè venivano affetti dalla iperostosi del meato acustico o anche detta sindrome del surfista ,che colpisce chi è abituato a trascorre lunghi periodi in ambienti umidi e freddi. Nel canale dell'orecchio la parete ossea produce un'escrescenza che gradualmente chiudeva il passaggio. Un passaggio portava alla palestra di forma trapezoidale e circondata da portici e anche da botteghe, probabile sede di una corporazione. In palestra oltre ad esercizi ginnici e alla lotta si praticavano dei giochi come il trochius, che consisteva nel rincorrere un cerchio con degli anelli metallici che risuonavano come segnale acustico per aprirsi la strada tra le persone. Era praticato anche il gioco della palla, antenato del beach volley, con una corda tesa da due pali. Le palle potevano contenere piume , sabbia o di aria, con una camera d'aria costituita da un budello animale. Le terme erano dei grandi centri di socialità e la cosa più affascinante è che riuniva indifferentemente tutte le persone anche di ceti molto distanti. La visita ‘Ostia Antica racconto di vita quotidiana’ è stata ideata e realizzata dai volontari in servizio civile nazionale di Agisco Michele Brandodoro e Andrea Pirone. Testo miniguida: Michele Brandodoro, Andrea Pirone Revisione impostazione miniguida: Michele Brandodoro Per maggiori informazioni: 329. 6636084 @sullaviaostiense [email protected] @ViaOstiense www.sullaviaostiense.it SullaViaOstiense 9