focus economia Gestire il cambiamento in tempo di crisi: l’equilibrio non è stasi Un’analisi originale, che non segue gli schemi tradizionali, ma che si spinge oltre: il territorio parmense visto come “persona”, alla luce di chiavi interpretative tipiche delle scienze sociali. PARMA economica FOCUS ECONOMIA Guido Caselli “S e si raccolgono abbastanza dati, qualsiasi cosa può essere dimostrata con metodi statistici”. L’aforisma contenuto nelle “leggi di Murphy” descrive efficacemente il clima di confusione che aleggia attorno al tema della crisi economica: sono sufficienti pochi decimali di differenza per far propendere l’ago della bilancia verso il bel tempo o la tempesta. Forse in questi giorni è opportuno chiamarsi fuori dalla guerra delle percentuali e cercare di comprendere le dinamiche che sottostanno ai numeri. In queste pagine vorrei tentare di farlo seguendo un filo narrativo un po’ fuori dagli schemi tradizionali, considerando il territorio di Parma come se fosse una «persona» e, conseguentemente, analizzarlo con gli strumenti e le chiavi interpretative adottati dalle scienze sociali. Un viaggio attraverso e oltre i numeri, nella speranza di fornire una 12 lettura originale di quanto sta avvenendo e di evocare suggestioni utili ad alimentare il dibattito sul futuro, sociale ed economico, del nostro territorio. Riconoscere e interpretare i cambiamenti Il punto di partenza è il cambiamento. Stiamo vivendo anni nei quali siamo attraversati da una profonda trasformazione, sociale ed economica; cambiamenti che spesso non riusciamo a cogliere a fondo né, tantomeno, a misurare. Una possibile spiegazione risiede nel fatto che il nostro territorio è un sistema complesso, cioè un sistema dove le relazioni tra le parti che lo compongono sono l’aspetto più importante, tanto che, se analizziamo le singole componenti, non capiamo nulla del funzionamento complessivo. Del resto è così anche per una persona, non possiamo farla a pezzi e analizzarne l’anatomia, un piede piuttosto che una mano, per capire come funziona nella sua interezza. Per quanto bravi a vivisezionare non riusciremmo a prendere in considerazione, ad esempio, la sfera emotiva e relazionale che, come sappiamo, è essenziale per capire come funzioniamo. Se ammettiamo che il territorio come le persone siano sistemi complessi, le analogie sono tante. Per esempio, come si affrontano i cambiamenti importanti, come quelli portati da uno stato di crisi? Una persona di fronte a una seria difficoltà o a uno stato di crisi può reagire in maniera differente: rimanere completamente paralizzato e incapace di agire; oppure mettere in campo azioni volte ad affrontare i pericoli che di volta in volta si presentano, guidato dall’istinto alla sopravvivenza e in attesa di tempi migliori; o ancora operare delle scelte forti e spesso rischiose che consentano di superare definitivamente la difficoltà. Un sistema territoriale complesso di fronte a uno stato di crisi può avere le medesime reazioni: non fare nulla, cercare di sopravvivere, reagire. Stare in equilibrio, in movimento Dire che siamo un sistema complesso non è solo un esercizio di classificazione fine a sé stesso, ma implica una serie di cose e un salto culturale non indifferente. Per esempio la teoria della complessità afferma che “in un sistema complesso, equilibrio, simmetria e stabilità significano crisi”. Pensiamo a noi, alle persone. Coerentemente con la nostra visione e i nostri valori ci poniamo degli obiettivi di equilibrio che mirano a conciliare aspetti tra loro apparentemente contrastanti, per esempio famiglia e lavoro. È un equilibrio per natura instabile e in perenne riconfigurazione, in quanto cambiamo noi, cambiano gli altri, muta l’ambiente nel quale viviamo. Per riuscire a mantenere l'equilibrio occorre ricercarlo e rinnovarlo continuamente, perché se non fossimo in grado di farlo evolvere, parallelamente ai cambiamenti, e rimanessimo ancorati al concetto di equilibrio che avevamo in passato, probabilmente, come afferma la teoria della complessità, vivremmo uno stato di crisi. Come persone riusciamo a far evolvere il concetto di equilibrio, come sistema territoriale facciamo più fatica. Se pensiamo a un sistema territoriale, i nostri numeri e - soprattutto - il percorso logico con il quale affrontiamo i cambiamenti vanno alla ricerca e danno valore a un concetto statico di equilibrio. Non è un caso che da decenni ci affanniamo nel rincorrere, attraverso vecchi modelli e modalità non più efficaci, condizioni economiche e sociali raggiunte in passato e progressivamente smarrite. E, la conseguenza di questo nostro guardare all’indietro è che di fronte ai cambiamenti portati dalla globalizzazione ci spaventiamo e ci lamentiamo del fatto di non riuscire a trovare più una stabilità tra crescita economica e coesione sociale, come se le due cose non potessero più andare insieme. Non necessariamente è così. Dobbiamo guardare a un nuovo concetto di equilibrio, dobbiamo guardare e guidare il territorio come se fossimo in bicicletta. In bicicletta per non cadere è necessario combinare due polarità apparentemente impossibili da mettere insieme, il movimento e la stabilità. Sei stabile perché ti muovi, ma le due cose 13 PARMA economica Di fronte alla crisi è necessario superare la tentazione di rincorrere via passate ed “evolvere” da un concetto di equilibrio statico: il cambiamento è nuovo equilibrio FOCUS ECONOMIA focus economia focus economia sono viste come impossibili da tenere insieme, un po’ come la crescita economica e la coesione sociale. L’instabilità oggi tocca i livelli logici più alti: le convinzioni, i valori, l’identità PARMA economica FOCUS ECONOMIA In bicicletta si ha un equilibrio instabile e proficuo. Un equilibrio in movimento. Quello che dobbiamo cercare di avere come sistema territoriale e come persone. per la realizzazione della nostra visione – quando questi livelli sono allineati, quando vi è coerenza tra ciò che siamo e ciò che facciamo. Proviamo ad applicare questo modello all’analisi di un sistema territoriale. Per semplicità espositiva li ho raggruppati in tre livelli: 1. Analizzare il sistema territoriale secondo «i livelli logici» del cambiamento Su come tentare di raggiungere tale «equilibrio in movimento» ci vengono in aiuto le scienze sociali. In particolare, secondo Robert Dilts, i cambiamenti di una persona agiscono e possono essere sistematizzati all’interno di sei «livelli logici». Si parte dall’ambiente che è il contesto nel quale ci muoviamo, dove le nostre azioni producono i loro effetti. Con l’ambiente interagiamo attraverso il comportamento e le azioni, azioni che dipendono dalle nostre strategie e dalle nostre capacità. Capacità e strategie derivano dalle nostre convinzioni, dai nostri valori che a loro volta discendono dalla nostra identità, dal chi siamo. Sopra l’identità c’è un ulteriore livello, dato dalla nostra visione, dal nostro spirito. Vi è un evidente ordinamento gerarchico tra questi livelli, ciascuno dipende da quello sopra. Le cose funzionano – siamo presenti a noi stessi, operiamo correttamente 14 2. 3. Il primo livello è l’ambiente. L’ambiente rappresenta il contesto di riferimento nel quale siamo chiamati a muoverci e interagiamo. Per esempio in questo livello vediamo gli effetti della globalizzazione, misuriamo lo sviluppo raggiunto in termini di PIL o di ricchezza per abitante. Il secondo livello include tutte le azioni che impattano sul primo livello, il cosa facciamo proattivamente per cambiare l’ambiente o quali comportamenti adottiamo in seguito a modificazioni esterne. Come riusciamo a mettere in campoquesteazionieconqualeefficacia, alla luce delle nostre capacità, delle strategie adottate, delle conoscenze, dell’abilità e del talento delle persone. Per esempio, cosa e come esportiamo, quali percorsi seguiamo per innovare, quali strategie adottiamo per assistere gli anziani, sono tutte modalità di comportamento che rientrano in questo secondo livello. Il terzo livello riguarda le motivazioni che sono alla base delle azioni intraprese; le convinzioni e i valori che ci guidano, l’identità e la visione. Chi siamo, quali Una prima riflessione che nasce dalla semplice osservazione di questo modello è che probabilmente oggi avvertiamo lo stato di instabilità in misura maggiore rispetto al passato perché - a differenza di quanto probabilmente accaduto negli anni precedenti - a esserne interessati sono anche i livelli logici più alti, quelli che riguardano i valori, le convinzioni, l’identità. Quale elemento di ulteriore instabilità, va aggiunto che i cambiamenti in questi livelli non stanno avvenendo per un cambio di visione (quindi dall’alto), ma perché le trasformazioni nei livelli più bassi si stanno ripercuotendo su quelli superiori, con esiti difficilmente prevedibili e controllabili. Il primo livello. L'ambiente: l'effetto Paese, la trasformazione demografica e il futuro possibile Proviamo a entrare in questi tre livelli, partendo dal primo: l'ambiente.. Per descriverlo credo sia necessario partire da quello che chiamo “effetto Paese”. Ci hanno raccontato che abbiamo resistito alla crisi meglio di altri. Qualche perplessità ce l’ho, se guardiamo ai dati OCSE: guardando alle variazioni del PIL di 182 Paesi, dal 2001 a oggi, solo lo Zimbabwe ha fatto peggio di noi. Nel 2009 siamo tornati alla ricchezza creata nel 2000, un salto indietro di nove anni; nessun altro Paese ha fatto un salto indietro così grande. Il problema dell’Italia non va ricercato - non solamente - nella crisi del 2009, ma ha radici ben più profonde, aggrovigliate a un decennio di mancata crescita. Dunque siamo cresciuti meno di tutti. Riusciremo a ripartire meglio, più in fretta degli altri, come si sente ripetere da più parti? Sembrerebbe di no, ancora una volta il confronto con gli altri Paesi è impietoso. Dei 182 Paesi di cui sopra, solo sette, da qui al 2014, cresceranno meno di noi. Non solo siamo cresciuti meno di tutti negli anni passati, anche per quelli a venire siamo destinati a inseguire. Inseguire a grande distanza. È vero che il PIL spiega sempre meno dello sviluppo di un Paese, però rimane un bel termometro per capire come vanno le cose. E se si allarga lo sguardo ad altri indicatori, le “cattive notizie” sembrano prevalere sulle “buone notizie”; non emergono elementi in grado, se non di ribaltare, di rendere meno fosco lo scenario dipinto dal PIL. Anche il tasso di disoccupazione spesso citato come fattore di forza rispetto ad altre realtà europee, perché leggermente inferiore, è principalmente dovuto a un tasso di occupazione e di attività che è di circa dieci punti percentuali inferiore alla media europea. Semplificando, non è che in Italia sia più facile trovare lavoro, semplicemente è maggiore la quota di persone che per differenti ragioni ha rinunciato a cercare occupazione (e, quindi non figurare tra i disoccupati). Si potrebbe proseguire a lungo nel raccontare il ritardo accumulato dall’Italia rispetto agli altri Paesi e di come questo divario si stia ampliando ogni giorno di più. Il ritardo dell’Italia si ripercuote pesantemente sulle dinamiche provinciali e regionali. Se 15 PARMA economica sono le nostre vocazioni, manifatturiere piuttosto che turistiche, in cosa crediamo e la nostra visione del territorio per i prossimi anni. FOCUS ECONOMIA focus economia focus economia PARMA economica FOCUS ECONOMIA confrontiamo l’Emilia-Romagna con le altre regioni dell’Unione Europea, ci accorgiamo che continua a essere una delle aree più ricche d’Europa, ma, al tempo stesso, è tra quelle che negli ultimi anni sono cresciute meno. In questo contesto, appare evidente che la provincia non può avere una dinamica che si differenzi sensibilmente da quella regionale e nazionale. Il valore aggiunto nel 2009 a Parma è tornato sui livelli raggiunti nel 2003; un salto indietro di sei anni, non di nove come registrato a livello nazionale. Per raggiungere e superare il valore massimo raggiunto nel 2007 occorreranno diversi anni di crescita apprezzabile. Inoltre, da un lato il PIL cresce poco, dall’altro assistiamo a una trasformazione demografica che ha portato nella provincia di Parma a quasi 39.000 nuovi abitanti negli ultimi cinque anni. Oggi un residente ogni dieci proviene da altri Paesi e oltre un quinto dei nuovi nati è straniero. Numeri destinati ad aumentare ancora nei prossimi anni: nel 2030 oltre un quarto degli abitanti con meno di 50 anni sarà di nazionalità non italiana. A ciò si aggiunge il progressivo invecchiamento della popolazione. Il risultato di questi due effetti congiunti, bassa crescita del PIL e aumento della popolazione fa sì che negli ultimi cinque anni se lo sviluppo economico ha viaggiato a cento chilometri orari, il benessere dei cittadini – sempre misurato in termini economici – ha viaggiato a 27 chilometri orari, una velocità quasi quattro volte inferiore. Sembra di poter dire che la nostra «bicicletta territoriale» sta iniziando ad 16 arrancare e a sbandare pericolosamente. Verrebbe da dire che, di fronte all’effetto Paese o alla trasformazione demografica, dinamiche sulle quali poco o nulla possiamo fare in ambito locale, la nostra capacità di incidere sulle traiettorie di sviluppo sia alquanto limitata. Recentemente ho affermato che il futuro non si prevede, si fa. Un’affermazione che nasceva dalla convinzione che i numeri che racconteranno il territorio nei prossimi anni dovranno essere quelli che pianifichiamo oggi, quelli che modelleremo nel tempo se saremo in grado di operare delle scelte. Può sembrare un’affermazione contraddittoria e priva di contatto con la realtà: come possiamo infatti essere artefici del nostro futuro se vi sono vincoli che non dipendono da noi? Però in passato lo abbiamo fatto. In passato abbiamo creato un modello virtuoso di sviluppo nonostante ci fossero ostacoli e vincoli ambientali. Lo abbiamo fatto con un’operazione che spesso i coach utilizzano per accompagnare le persone ad affrontare i cambiamenti. Abbiamo preso coscienza delle nostre debolezze, delle nostre ombre e, invece di tentare di nasconderle le abbiamo portate alla luce e guardate da una nuova prospettiva, cercando di cogliere il loro valore e la loro utilità. Pensiamo per esempio alla piccola dimensione delle imprese: da punto di debolezza ne abbiamo fatto un punto di forza che ha fatto il nostro successo per tanti anni. Se immaginiamo il nostro territorio come una squadra sportiva, fino ad oggi abbiamo ottenuto risultati eccellenti nonostante fosse composta da giocatori buoni o discreti, non da grandi campioni. I risultati sono venuti perché L’Emilia Romagna resta una delle aree più ricche d’Europa, ma i suoi ritmi di crescita sono tra i più lenti. In passato la piccola impresa e la filiera hanno permesso la svolta. Ora il sistema territorio deve puntare sul nuovo Il secondo livello. Le azioni: resistere, decidere e saper cambiare Negli ultimi mesi da più parti ci hanno ricordato l’etimologia della parola “crisi”. Ha origine dal greco krino, che significa separare, decidere (recidere?). Ha quindi una valenza non negativa, indica la possibilità di scegliere. Analogamente in cinese la parola “crisi” è composta da due ideogrammi, uno rappresenta il pericolo, l'altro l'opportunità. La nostra capacità di reagire positivamente ai cambiamenti portati dalla crisi dipende da come e in quali tempi si riesce a vedere oltre il pericolo e a cogliere le opportunità che questa crisi porta con sé. Abbiamo ricordato i differenti comportamenti che persone o sistemi territoriali possono avere di fronte a una crisi. Se penso al sistema territoriale, mi sembra di poter dire che - almeno in questo territorio - azioni e risorse economiche nel corso del 2009 sono state indirizzate principalmente – così come doveva essere fatto - agli ammortizzatori sociali (come testimoniano i dati della cassa integrazione guadagni) e al sostegno all’accesso al credito; interventi che si configurano come di breve periodo rispondenti a una logica di sopravvivenza, pensati con l’obiettivo di contenere il più possibile i danni provocati dalla recessione mondiale. L’etimologia della parola “crisi” rimanda a “scelta” e quindi anche a nuova opportunità Anche in questo 2010 la priorità sembra essere la gestione dell’emergenza: evitare la chiusura di numerose imprese, garantire l’occupazione, sostenere le persone e le famiglie che, con il perdurare della crisi, stanno pericolosamente scivolando oltre la soglia della povertà. È del tutto evidente che assicurarsi la sopravvivenza non può che 17 PARMA economica c’era lo spirito di squadra, ruoli ben definiti e aiuto tra i compagni per coprire i limiti e far brillare le eccellenze. Il sistema distrettuale o di filiera, il nostro modulo di gioco, ci ha consentito di sopperire al limite della piccola dimensione. Era un sistema vincente perché c’era un forte legame relazionale, c’era, come si dice in gergo sportivo, «amalgama di squadra». Purtroppo l’amalgama nel nostro territorio sta venendo meno. Dobbiamo evitare che venga meno anche la capacità di guardare da una prospettiva nuova. Allora l’affermazione “il futuro non si prevede. Si fa”, assume forma e sostanza se ricominciamo a guardare da una prospettiva nuova, senza paure e chiusure alle novità portate dai cambiamenti, possiamo governare i cambiamenti se accettiamo - come sistema territoriale, collettivamente - la sfida di accogliere e portare a valore i flussi che arrivano sul nostro territorio (e che arrivano indipendentemente dalla nostra volontà) e allo stesso tempo di accompagnare con modalità nuove - in tale processo di cambiamento le persone e le imprese locali. Cosa e come farlo, attiene al secondo livello del cambiamento, quello delle azioni. FOCUS ECONOMIA focus economia PARMA economica FOCUS ECONOMIA focus economia essere il primo obiettivo. L’impressione che si ha leggendo i numeri relativi alle azioni delle aziende è che le imprese abbiano colto che da questa crisi si uscirà diversi da come si è entrati e siano consapevoli della necessità di riposizionarsi per vedere oltre il pericolo. In questo cammino che porta fuori dalla sola logica della sopravvivenza, vi sono poche imprese che stanno procedendo a forte velocità, competono su scala internazionale e spesso guidano il processo di cambiamento del mercato. Vi sono altre aziende che questa strada l’hanno imboccata – o la stanno imboccando – forti di scelte importanti, spesso coraggiose. Per esempio è positivo che sia in crescita il numero delle piccole imprese che esportano: molte aziende hanno infatti visto venir meno il tradizionale rapporto di committenza subfornitura con le imprese locali e tentano di affacciarsi in prima persona sui mercati esteri. Però la grande maggioranza delle imprese percorrono strade che si snodano ai margini o hanno smesso di avanzare e attendono di vedere cosa accadrà, alla prossima curva. Un atteggiamento dovuto al fatto che la volontà di riposizionarsi, di percorrere la via alta dello sviluppo – fatta dalla qualità del lavoro, dall’innovazione, dalla capacità di operare sui mercati esteri – si scontra con ostacoli di natura strutturale, con la carenza di competenze professionali necessaria per competere nel nuovo contesto. Allora, da un lato i dati che abbiamo visto nel primo livello ci hanno raccontato come siano in atto profondi cambiamenti che 18 stanno seriamente mettendo in discussione il modello economico e sociale che sino ad oggi abbiamo sperimentato. La crisi mondiale ha solo reso maggiormente evidenti le contraddizioni del nostro modello, in realtà sono anni – almeno dalla seconda metà degli anni Novanta – che esso sembra non rispondere più efficacemente ai bisogni del territorio. I numeri ci dicono che quello che stiamo facendo è tentare di sopravvivere, in attesa di tempi migliori. Come imprese, come territorio e, in molti casi, come persone. Probabilmente ho una visione un po’ pessimistica, però mi sembra di poter affermare che non possono esserci tempi migliori, se non siamo noi a crearceli. E questa logica di sopravvivenza può rivelarsi inutile se non supportata da una strategia di più ampio respiro, che sappia vedere oltre il pericolo, che sappia andare oltre la gestione dell’emergenza. Però per fare questo sono necessari comportamenti e azioni che richiedono capacità che sembrano essere fuori dalla nostra portata. Almeno singolarmente. Il punto è che non possiamo perpetuare a lungo navigazioni a vista. O si trova la propria collocazione - la propria identità, il proprio ruolo – nel mondo dei flussi, oppure si è fuori. Se, come sembra, non siamo in grado di farlo individualmente, la domanda diventa: siamo capaci di farlo collettivamente? Siamo cioè capaci, su basi nuove, di riscoprire quella dimensione relazionale - quell’amalgama di squadra - che in passato ci ha consentito di affrontare i cambiamenti in maniera vincente, Il terzo livello. Le motivazioni: avere un'identità, valori e una visione del mondo Il profitto, da mezzo e misura dell’efficienza economica, si è imposto come fine e l’economia ha perso il senso del sociale e dell’etico Introduciamo l’ultima parte, quella dei cambiamenti nei valori, nell’identità e nella visione ripercorrendo quello che è stato il cammino del nostro modello economico e sociale sino a oggi. Nel perpetuo processo di metamorfosi strutturale e organizzativa alla ricerca della competitività, vi sono due punti fermi, «due fili rossi» che ricorrono costantemente. Il primo filo rosso è che il successo di un territorio nel corso dei decenni è sempre stato correlato all’emergere di imprese leader che hanno fatto da traino a un vasto sistema di piccole imprese, attraverso un forte legame di subfornitura. Il secondo filo rosso riguarda un'altra tipologia di rete, quella sociale. La rete economica ha funzionato perché tra i cittadini c’è stata condivisione di valori e obiettivi, coesione sociale, senso di appartenenza e identità. D’altro canto la rete sociale funzionava perché l’economia garantiva livelli elevati e diffusi di benessere, un circolo virtuoso completato da una buona amministrazione del territorio e da un sistema di welfare efficiente. Caliamo questi due aspetti nel contesto socio- economico attuale. Le imprese leader stanno operando una selezione ancora più rigida dei subfornitori (nonché una revisione delle condizioni economiche), alcune di esse stanno spostando la produzione fuori dai confini locali, altre stanno aprendo ad aziende subfornitrici localizzate all’estero. Quello che si sta verificando è un allentamento della rete che unisce le imprese del territorio. Ma, non solo è la rete tra imprese a indebolirsi, come abbiamo visto, la minore competitività associata alla trasformazione demografica sta riducendo la capacità di assicurare benessere diffuso sul territorio. L'economia segue strade sempre più lontane dalle istanze sociali e vi è uno smarrimento generale dovuto anche a un’assenza di valori, a un sistema di rappresentanza che fatica a rappresentare. Leggiamo i cambiamenti da una differente prospettiva. Secondo l’economista Stefano Zamagni, le crisi possono essere classificate in due differenti tipologie, dialettica ed entropica. La crisi dialettica nasce da uno scontro che prende corpo in determinate società e che contiene, al proprio interno le forze per uscirne. La rivoluzione francese è un esempio di crisi dialettica. Entropica, invece, è la crisi che tende a far collassare il sistema per implosione, senza modificarlo. Questo tipo di crisi si sviluppa quando la società perde il senso – cioè, letteralmente, la direzione del proprio incedere. La caduta dell’impero romano; è un esempio di crisi entropica. La crisi attuale ha natura entropica e la perdita di senso è ben visibile in molte 19 PARMA economica siamo in grado di trovare un nuovo modulo di gioco che ci consenta di trasformare le nostre debolezze in eccellenze? Siamo capaci di trovare un nuovo equilibrio che non ci faccia cadere dalla bicicletta? Tentare di rispondere a questa domanda attiene già alla visione, all’identità, al terzo livello di cambiamento. FOCUS ECONOMIA focus economia PARMA economica FOCUS ECONOMIA focus economia sue contraddizioni, dalla separazione della sfera economica da quella sociale, dal lavoro separato al mercato separato, alla democrazia. A valutazioni analoghe giunge Mauro Magatti, secondo il quale negli ultimi due decenni la crescita economica ha avuto come unico obiettivo: un aumento indiscriminato delle opportunità individuali, nell’ipotesi che tale aumento costituisse un bene in sé, da perseguire comunque. Il profitto da mezzo e misura dell’efficienza economica si è imposto come fine in sé stesso e l’economia ha perso di vista qualunque dimensione sociale e di “senso”, 20 cioè qualunque valutazione - di ordine sociale, politico o morale - che non fosse tecnica. Perdita di senso, intesa come direzione smarrita, ma anche come perdita di significato dell’agire, dell’essere. Le fratture alle quali stiamo assistendo, ciò che non riusciamo più a tenere in equilibrio - rete economica e rete sociale, individualismo contro collettività, mercato contro democrazia - derivano da una perdita di una direzione condivisa, da uno smarrimento di identità e di ruolo. Occorre ridare centralità alla dimensione relazionale accompagnate dal sistema territoriale. Pensiamo per esempio ai temi dell’innovazione, dell’internazionalizzazione e a tutti quegli aspetti per i quali le imprese singolarmente non hanno dimensioni e competenze per farcela, ma collettivamente, come sistema sì. Ribaltare il paradigma significa anche iniziare a concepire il welfare non come un costo ma come una risorsa. Le politiche di coesione sociale, oltre alla socializzazione dei rischi individuali, devono avere come obiettivo l’identificazione e la realizzazione di un dividendo sociale, cioè di un insieme di vantaggi dei quali beneficiano tutti gli attori del territorio. Un esempio di investimento sociale è il sostegno a percorsi di transizione alla vita adulta dei giovani per consentire loro di superare gli ostacoli connessi alla precarizzazione e alla rigidità del mercato abitativo. Ribaltare il paradigma richiede una governance. Quando in un sistema territoriale individualismo e collettività sono allineati si ritrova il senso, la reazione, l’equilibrio Anch’essa deve superare la dicotomia economia-sociale attraverso nuove forme di progettazione e gestione delle politiche; deve rappresentare i bisogni del territorio, deve essere la giusta mediazione tra interessi individuali e collettivi, tra mercato 21 PARMA economica Bisogna essere competitivi come sistema territorio. Solo così si possono coniugare internazionalizzazione e innovazione ad un welfare visto non come costo, ma risorsa e a quella del senso; avere un senso individualmente e collettivamente. La storia ci insegna che non si esce da una crisi entropica con aggiustamenti di natura tecnica o con provvedimenti solo legislativi, ma è fondamentale affrontare di petto e risolvere la questione del senso. Detto in altri termini, possiamo mettere in campo tutte le strategie e le azioni che vogliamo, ma se non partiamo da qui, se non ritroviamo il «senso dell’equilibrio», la bicicletta non cammina. Nel tentativo di recuperare il senso, non vedo grandi alternative, dobbiamo mediare, ritrovare una maggior armonizzazione tra individualismo e collettività, tra mercato e democrazia, tra coesione sociale e sviluppo economico. La visione non è nuova – e di per sé non è negativo, anzi, avere una visione ben definita e stabile nel tempo – devono essere nuove le modalità con le quali perseguirla. Innanzitutto occorre cambiare il paradigma che ci ha accompagnato per anni. Abbiamo sostenuto che imprese competitive fanno il territorio competitivo – e lo dicevamo perché in passato era vero - oggi dobbiamo dire che si è competitivi come imprese e come persone se si è inseriti in un territorio competitivo. Non è un gioco di parole, è un modo completamente differente di vedere le cose, a partire dal modo in cui si pensano le politiche per lo sviluppo. Per esempio ribaltare il paradigma vuol dire che di fronte ad alcuni ostacoli allo sviluppo, le imprese non vanno lasciate sole, ma FOCUS ECONOMIA focus economia PARMA economica FOCUS ECONOMIA focus economia e democrazia. Una governance che sappia riconoscere come prioritaria la centralità della dimensione relazionale e del senso.Vorrei chiudere riprendendo lo schema iniziale e l’analogia tra persona e sistema territoriale. La distinzione tra individualismo e collettività vista nel nostro sistema territoriale la ritroviamo anche analizzando le persone. Secondo Robert Dilts, l’identità di una persona può essere scomposta in due aspetti complementari, l’ego e l’anima. L’ego è la nostra parte individualista ed è orientato alla sopravvivenza, al 22 riconoscimento personale, all’ambizione; ci porta a occuparci di noi stessi. L’anima apre agli altri, è orientata alla visione, all’essere proattiva, al contributo verso la società. La possibilità di dare forma e sostanza alla propria visione, quindi di portare a termine il cambiamento con successo, è tanto più elevata quanto più riusciamo ad allineare l’ego e l’anima, cioè quanto riusciamo a tenere allineati la nostra ambizione personale con la visione complessiva, le nostre capacità distintive con il ruolo che ricopriamo. cambiamenti «insieme», procedendo nella stessa direzione, se risolveremo le tante contraddizioni che ci hanno accompagnato in questi ultimi quindici/vent’anni, forse riusciremo a essere un esempio di sperimentazione di un nuovo modello di coesione sociale e crescita economica, un modello basato su un equilibrio in movimento, instabile e proficuo. Come la bicicletta. Robert Kennedy ha affermato: “Alcuni uomini vedono le cose come sono e si chiedono: Perché? Io sogno le cose come non sono mai state e dico: Perché no?”. 23 PARMA economica Quando ego e anima sono allineati, siamo in equilibrio. Quando individualismo e collettività sono allineati come sistema territoriale, si ritrova il senso. In definitiva sta a noi decidere dove ci vogliamo collocare in tale schema. Se diamo ascolto ai numeri di oggi questi ci dicono che al pallino verde, alla reazione proattiva, e - per continuare la metafora usata - alla bicicletta in equilibrio, ci arriveranno poche imprese e pochi cittadini. Però, come detto inizialmente, sta a noi decidere come gestire i cambiamenti. Se avremo coraggio, se affronteremo i FOCUS ECONOMIA focus economia