file pdf - Osservatorio Ximeniano Firenze

Guida alla lettura
Ricorrono quest’anno (maggio 2015) cento anni dall’inizio
della Grande Guerra e la mostra ha lo scopo di ricordarla, con
particolare riferimento al contributo dato ad essa dalla Toscana.
La mostra, curata da Lucia Barsanti Calamia, è costituita da sei
grandi pannelli ognuno dei quali con otto tavole (42x29,7 cm
ciascuna) di foto o testi secondo il filo conduttore di seguito
evidenziato.
Il primo pannello ha inizio, dopo una breve cronologia, con la
chiamata alle armi, introdotta da un testo di Aldo Palazzeschi –
poeta-artista scrittore fiorentino nato nel 1885 ed arruolato nel
3° Reggimento Telegrafisti, che ha scritto “Due imperi…mancati” (1920), drammatico diario di una guerra vissuta in prima
persona anche se dalle retrovie – e seguita da foto di addio dei
militari ai familiari per proseguire con con foto e brani della
vita di trincea e dei baraccamenti per le truppe in retrovia.
Il secondo pannello continua con la vita in trincea, descrivendo
il rancio e il modo per scaldarlo (lo scalda-rancio), per proseguire con una raccolta di cartoline per incitare gli italiani a sottoscrivere il Prestito Nazionale per la guerra.
Il terzo pannello contiene alcune testimonianze di soldati (lettere dal fronte) e di eroi: il più famoso è Francesco Baracca (il
suo cavallino rampante).
Il quarto pannello inizia illustrando il contributo della Regia
Marina, ricordando la nascita del Battaglione S. Marco e riportando un brano del diario del suo cappellano per proseguire con
un brano di Giampaolo Pansa sulla miserabile vita dei soldati e
poi con il volontariato sanitario terminarndo con la descrizione
di Firenze sotto la guerra con testi (di Aldo Palazzeschi) e foto.
Il quinto pannello inizia con la distruzione, per ordine del
Governo, dell’antenna (l’aereo) posta da Padre Alfani tra l’Osservatorio Ximeniano e la cupola del Duomo di Firenze, prosegue con la descrizione delle carte geografiche a cura dell’Isti-
tuto Geografico Militare e termina con la citazione delle fabbriche toscane di armamenti; riporta inoltre alcune foto di una
curiosa “bicicletta armata” e altre di cannoni.
Il sesto pannello illustra l’inizio della emancipazione delle
donne che passarono dai lavori della cucina a quelli tradizionalmente maschili (i maschi erano al fronte) con foto e brani di
Aldo Palazzeschi e di Aldo Cazzullo, per arrivare alla fine della
guerra con un “Foglio di congedo illimitato”. Le ultime quattro
tavole sono dedicate al “ricordo”.
Il libretto riporta, in formato ridotto, tutte le 48 tavole che compongono i sei pannelli.
–
Breve cronologia della
Prima Guerra Mondiale
Giugno-Luglio 1914
Attentato a Sarajevo all’Arciduca Ereditario d’Austria Francesco Ferdinando da parte di uno studente serbo. L’Austria dichiara guerra alla
Serbia. Questo episodio provoca lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Agosto 1914
La Germania entra in guerra in aiuto dell’Austria contro la Triplice Intesa (Francia - Gran Bretagna - Russia) che aveva difeso la Serbia.
In trincea
Le trincee erano lunghe linee di scavo difese da parapetti e da sacchi di
sabbia sistemati in modo piuttosto rozzo per difendersi dai colpi del nemico. Si cercava di portare la trincea il più possibile vicino a quella del
nemico. In mezzo alle due trincee c’era la terra di nessuno che si cercava di conquistare.
Nella trincea si viveva molto male: immersi nella sporcizia e, quando
pioveva, immersi nel fango. Non ci si poteva neanche mettere in piedi
per non essere raggiunti dai colpi del nemico.
Per questo molti non volevano più combattere: o disertavano fuggendo
dalla trincea o non si presentavano alle armi quando ricevevano la “cartolina”. Queste disobbedienze venivano punite anche con la fucilazione.
24 maggio 1915
L’Italia, rimasta neutrale nel primo anno di guerra, decide di unirsi alla
Triplice Intesa per conquistare Trento e Trieste ancora in mano all’Impero Austriaco.
6 aprile 1917
Gli Stati Uniti entrano in guerra a causa dell’affondamento da parte di
un sottomarino tedesco del transatlantico Lusitania al largo della costa
irlandese. Erano morti infatti molti passeggeri americani che viaggiavano su quella nave.
24 ottobre 1917
L’Italia subisce una grave sconfitta a Caporetto: l'esercito italiano è costretto a ritirarsi fino al Piave.
24 ottobre 1918
Un anno dopo l’Italia riporta una grande vittoria a Vittorio Veneto.
«Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920
Aldo Palazzeschi
brani scelti
4 novembre 1918
L’Austria firma l’armistizio. L’Italia ottiene Trento e Trieste. L’Impero
Austro-Ungarico viene diviso in tanti Stati.
Firenze,
chiamata alle armi
[…]
Il giorno 16 luglio alle ore 8 era la presentazione alle armi.
Le reclute dovevano trovarsi per quell’ora al convento di S.
Gaggio e venire poi indrappellate in piazza S. Spirito al Distretto militare per l’assegnazione al corpo.
Domenica.
Una delle più limpide mattine d'estate.
[…]
Uscii di corsa.
Per la via S. Monica, la via dei Serragli, fui in poco sulla
piazza Romana. L'orologio della Calza segnava le otto meno
cinque, ero perfettamente in orario.
Un tranvai mi strisciò davanti ricolmo di giovani che facevano un gran rumore, le reclute che andavano a S. Gaggio.
Molti ve ne erano per l’erta su alla spicciolata.
Giunsi alla porta del convento, entrai nel cortile sassoso alto
di erba. Presso una porticina si accalcavano parecchie centinaia d'uomini, e sempre ne giungevano via via .
Ogni tranvai si fermava e si svuotava.
Altri in comitiva venivano dalla parte della campagna, in diligenze, su calessi, o in vetture ricoperte di polvere.
Giovani, non più giovanissimi tutti più vicino ai trenta che ai
venti.
Si accalcavano alla porta tenuta dai carabinieri, aspettando
che fosse aperto.
[…]
Fiesole là in faccia splendeva al sole.
«Due imperi mancati», diario pieno di angoscia di una guerra vissuta nelle caserme
dei distretti e nella retrovie
Primo Pannello
I baraccamenti
Nelle posizioni arretrate, per le truppe in riserva o a riposo, si cercò innanzi tutto di trarre il maggior profitto dagli accantonamenti, senza disturbo delle popolazioni.
Le risorse disponibili non erano molte, sia per la povertà degli abitati,
propria delle regioni montuose, sia per la sistematica distruzione fattane dagli Austriaci con il bombardare i villaggi a portata di cannone.
Tuttavia, mediante un disciplinato lavoro di ricostruzione e di risanamento, fu possibile alloggiare non poca parte delle truppe in caseggiati.
Ma il mezzo principale di ricovero fu costituito dai baraccamenti, che
sorsero a decine di migliaia; d’ogni tipo, d’ogni dimensione e forma, in
mattoni, in blocchi di cemento, in legno, a doppia parete nelle zone più
rigide.
In questi ricoveri le truppe hanno potuto trovare un più sano e comodo
alloggio ed efficace difesa dal freddo e dall’umidità.
Eppur si mangia…
Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell’alimentazione. La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti
nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così
facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano
in trincea come blocchi collosi.
Il problema della qualità era parzialmente sopperito dalle quantità distribuite.
A differenza infatti del rancio austro-ungarico, l’esercito italiano dava
ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di
carne e pasta (o riso), frutta e verdura (a volte), un quarto di vino
e del caffè. L’acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno.
Per coloro che si trovavano in prima linea la gavetta (o gamella) era
leggermente più grande. Prima degli assalti inoltre venivano distribuite
anche delle dosi più consistenti con l’aggiunta di gallette, scatole di
carne, cioccolato e liquori.
Oggi in diversi musei si possono ancora ammirare i contenitori di metallo che custodivano i 220 grammi di carne o, a volte, delle alici sott’olio e frutta candita. Ogni scatola era decorata con motti patriottici
come “Savoia!” o “Antipasto finissimo Trento e Trieste”.
Cucinare in retrovia
Casse di cottura
Costituite da una marmitta e da un fornello che servivano per iniziare la cottura e da una cassa in legno, foderata di materiale coibente, dove la cottura si
completava. Un sistema ingegnoso per utilizzare il calore stesso del cucinato
per garantire la cottura.
La marmitta contenente gli alimenti da bollire veniva messa sul fornello acceso, si portava tutto a temperatura, si garantivano i primi dieci minuti di cottura e poi si spegneva il fornello. A questo punto si riponevano marmitta e
fornello bollenti nella cassa di cottura e si chiudevano ermeticamente sia la
marmitta che la cassa. In circa due ore la carne ed il brodo erano pronti e si
conservavano caldi per circa 24 ore.
Senza fiamme e senza fumo
Le trincee dei due schieramenti erano molto vicine. A vista e a tiro d’artiglieria. Qualsiasi bersaglio che potesse fare da riferimento al nemico doveva
essere evitato. In trincea era vietato pertanto l’uso del fuoco e non si doveva
provocare fumo.
Niente cucina da campo e niente fuochi per cuocere o riscaldarsi. Venne comunque studiato un espediente per riscaldate il cibo quasi senza fiamme e
senza fumo: lo scaldarancio.
Scaldarancio
Gli scaldarancio erano cilindretti di carta avvolta e pressata imbevuti di paraffina. Grossi come un rullo di pellicola fotografica del tempo. La carta, arrotolata a più strati e legata stretta, veniva immersa nella paraffina o nel grasso
per diverse ore fino ad impregnarsi.
Una volta accesi, gli scaldarancio sviluppavano calore senza fiamma per circa
15 minuti. Buona parte della produzione venne garantita da quello che è stato
chiamato “fronte interno”. Le iniziative, cioè, della popolazione a sostegno
dei combattenti. Questi compiti venivano affidati a donne e bambini dei comitati di assistenza.
Secondo Pannello
brani scelti
«La sementa», giornale di Montevarchi inviato ai soldati al fronte nella guerra 1915-18
Lettere dal fronte
Lombardo Leone Lombardi - soldato
Giovanni e Pietro,
stesso ardimento
stesso destino
Francesco Baracca,
aereo o matita,
comunque un asso
Il quadro Madre con bambino conservato nell’archivio dei Padri Scolopi di Firenze rappresenta un disegno giovanile di Francesco
Baracca, studente-convittore nel collegio degli
Scolopi alla Badia Fiesolana.
Baracca diventato un “eroe” dopo le imprese
condotte dalla 91a squadriglia, detta “degli
assi”, fu abbattuto, col suo aereo, il 19 giugno
1918. Fu decorato con una medaglia d’oro al
valor militare, con due d’argento e con una di
bronzo.
Sul suo aereo era riportato un cavallino rampante, che lui vi aveva dipinto, superando l’usanza che voleva che, al
quinto aereo nemico abbattuto, il pilota acquisiva il diritto a dipingervi
l’insegna di quest’ultimo.
[…]
Anche i 15 giorni della mia licenza invernale sono velocemente trascorsi e io sono nuovamente quassù fra le vette nevose delle Dolomiti maestose.
Al mio ritorno trovo la topografia dei luoghi assolutamente
irriconoscibile: la neve ha livellato tutto, riempiendo valloni
e precipizi, facendo scomparire camminamenti e trincee, inabissando i reticolati; è un altro mondo da quello che lasciai,
anche allora c’era molta neve, ma i reticolati austriaci spuntavano da essa allora, oggi no, quei maledetti reticolati non si
vedono più.
Purtroppo però esistono ancora…
[…]
La primavera scioglierà le nevi e ricompariranno reticolati e
trincee: l’inverno prossimo non si vedranno più reticolati
come adesso, ma non saranno più nemmeno sotto la neve e la
primavera seguente farà fiorire solo il biancospino ed il pesco:
vinceremo i nemici e la guerra.
[…]
Nel ricovero ben riparato contro le granate austriache, ma non
dal freddo, i soldati stanno silenziosi: hanno il fucile fra le ginocchia già carico. Nessuno dorme ma nessuno parla. Fra
qualche ora sarà Pasqua e il nostro pensiero vola alle nostre
case… Di fuori nella notte lunare tutta bianca di neve le vedette bianche anch’esse vigilano..
VERIFICATO PER CENSURA
… lascio quassù la mia vita
e ho fatto solo il mio dovere
Baracca, Ferrari
e il cavallino rampante
Pietro Calamia da Gibellina, appena
ventenne, è caduto da eroe nella memorabile giornata del 20 Settembre
sull’Isonzo straziato da numerose e
gravissime ferite.
Non parole nostre ma le sue stesse
lo fanno rifulgere più bello e più
grande nello stuolo degli italici eroi;
ed ecco la lettera che dirigeva al
padre questo figlio ventenne, questo
giovine siciliano correndo incontro
alla guerra ed alla gloria:
Ma perché Francesco Baracca
scelse il cavallino rampante? Era
certamente rimasto impressionato
dalla vicenda del Capitano Federigo Caprilli che per primo al
Concorso ippico internazionale di
Torino (24 maggio 1902) col suo
cavallo Melope, aveva superato il
limite, ritenuto insuperabile, dei
due metri di altezza.
E Francesco Baracca che era
bravo nel disegno, dipinse un cavallino rampante e lo collocò sul
suo aereo.
Il 17 giugno 1923, Enzo Ferrari,
al primo circuito del Savio, vinse
la corsa con l’Alfa Romeo Rltf.
Pochi giorni dopo, la mamma di
Francesco Baracca, la contessa
Paolina consegnò a Ferrari il cavallino rampante che si era salvato dall’aereo del figlio.
Enzo Ferrari non collocherà quel
simbolo sulle Alfa Romeo, ma
sulle sue Ferrari della Società
Anonima Scuderia Ferrari, fondata proprio nel novembre 1923.
«… Si ricordi che oggi la guerra è
soprattutto prova della padronanza
che l’individuo ha sulle sue azioni e
chi, oltre che della sua risponde
della vita altrui, questa padronanza
deve avere piena, completa, assoluta. Non mi turbino quindi con timori insensati, con paure vane, con
vani terrori, se è necessario che io lasci quassù la mia vita non avrò
fatto che il mio dovere di Italiano e di ufficiale e poi si ricordi che tutto
è inutile di fronte alla forza ineluttabile delle cose, è inutile e sarebbe
vano per di più volersi schermire; poi che ci hanno posto nella condizione di dovere difendere la nostra stessa indipendenza morale e territoriale ogni cittadino d’Italia deve fare il suo dovere ed io sento di
poterlo assolvere pienamente e completamente. Sia di ciò orgoglioso e
non lamenti la mia sorte che io la benedico».
«La storia del cavallino rampante è
semplice e affascinante. Il cavallino
era dipinto sulla carlinga del caccia
di Francesco Baracca, l'eroico aviatore caduto sul Montello, l’asso degli
assi della prima guerra mondiale.
Quando io vinsi nel ’23 il primo circuito del Savio, che si corre a Ravenna, ivi conobbi il conte Enrico
Baracca, padre dell’eroe; da quell’incontro nacque il successivo, con
la madre, contessa Paolina. Fu essa
a dirmi un giorno: «Ferrari, metta
sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà
fortuna».
Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori, in
cui mi affidavano l’emblema. Il cavallino era ed è rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che è
il colore di Modena.
(dal libro «Le mie gioie terribili» di Enzo
Ferrari)
Il corpo di Francesco Baracca, e forse anche il pezzo di tela col cavallino rampante, venne recuperato da una pattuglia di cui faceva parte
Vittorio Pellizzari (da una testimonianza raccolta da Aldo Cazzullo e riportata nel suo libro: La guerra dei nostri nonni)
Alla memoria sua e al dolore del padre prof. Pietro Calamia, l’Italia
s’inchina riverente.
Giornale di Sicilia 4-5 dicembre 1915
Terzo Pannello
brani scelti
Giampaolo Pansa
«Eia eia alalà», Rizzoli 2014
Diario del Cappellano Capo Antonio Giordani, 1917-1918
L’attesa del nemico
e le sensazioni strane
di un cappellano
L'idroscalo venne poi intitolato ad Agostino Brunetta, guardiamarina
pluridecorato che si era distinto durante il conflitto.
Negli anni trenta, divenuto di proprietà della costituita Regia Aeronautica fu la base da cui partirono le celebri imprese aviatorie atlantiche
condotte da Italo Balbo.
Nel 1859 a S. Martino e Solferino, una delle
più sanguinose battaglie della seconda guerra
di indipendenza italiana, un giovane svizzero, Jean Henry Dunant, si trovò coinvolto nel
massacro e da quella esperienza nacque in lui
l’idea di creare una organizzazione di infermieri volontari: la Croce Rossa. In Italia fu il
medico milanese Cesare Castiglioni a istituire
quella italiana.
In realtà la prima ad organizzare il soccorso
infermieristico sui campi di battaglia fu, durante la guerra di Crimea, l’inglese Florence
Nightingale nata a Firenze nel 1820: la città
la ricorda con un
monumento nella Livorno, 11 Marzo 1915
Basilica di Santa
Croce.
Nel 1908 nacque
formalmente a Roma, per iniziativa
della regina Margherita, il corpo
delle Crocerossine, infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana.
Durante la Grande Guerra oltre 7000 infermiere volontarie, provenienti
da tutta la nazione, furono presenti nei 240 ospedali di campo alla frontiera, nei treni-ospedale e nelle città che accoglievano i feriti dal
fronte.
Al suono della fanfara
sfilavano piangendo
…organizzazione, coraggio,
abnegazione e sacrificio
[…]
Il giorno che è cominciata anche la nostra guerra avevo compiuto da pochi mesi venticinque anni. Se devo rammentare quel
che ho visto, ancora oggi sono aggredito da una folla di incubi che non riesco a scacciare. Per primi mi vengono addosso i
volti dei soldati caduti in battaglia, qualcuno non sembrava neppure morto: aveva la faccia e le mani rosa gli occhi brillanti.
Ma gli altri erano putrefatti: viola, gialli, neri…
[…]
Un altro incubo che mi perseguita è la schifezza merdosa della trincea. Il sole a picco, la pioggia battente, il fango, la neve,
il gelo, i pidocchi, i topi, le feci, il piscio, l'odore della cancrena, la puzza dei compagni che si aggrappano a te, il fetore insopportabile della loro paura. Poi tutto si confonde nell'inferno che esplode quando viene ordinato l'assalto contro un nemico che non vedi, ma ti aspetta per ucciderti…
[…]
I soldati erano quasi tutti poveri cristi, quasi sempre contadini,
spesso analfabeti. L'esercito li aveva condannati alla pena di
combattere una guerra che sentivano estranea ai loro interessi. Vedevo ragazzi più giovani di me e uomini ben più anziani
che marciavano a testa bassa verso la prima linea. Seguivano
la fanfara del reggimento in capo alla colonna. La fanfara non
smetteva di suonare e loro sfilavano piangendo.
Pensavo che la guerra fosse l'errore più tragico che gli esseri
umani potessero compiere…
In Toscana si contavano 42 Ospedali Territoriali funzionanti, di cui 14
nella sola Firenze.
“Eia eia alalà”, una ricostruzione storica della prima metà del 900, dalla prima guerra alla nascita e fine del fascismo.
A Firenze fu preziosa anche l’opera della Pubblica Assistenza Fratellanza Militare.
La storia della Pubblica Assistenza Fratellanza Militare si lega fortemente a quella dell’Italia.
Essa fu fondata a Firenze nel 1876 con l’invito all’adesione di “tutti coloro che pugnarono sui campi della gloria dal 1848 al 1870 sia sotto gli
ordini di Vittorio Emanuele che sotto gli auspici di Giuseppe Garibaldi.”
Lo scopo dell’Associazione era inizialmente il mutuo soccorso morale
e materiale tra gli iscritti, ma lo statuto prevedeva anche la costituzione
di una compagnia di volontari di pubblica assistenza, compagnia che acquistò con il tempo importanza sempre crescente specie nei momenti
più critici, come furono quelli della guerra.
Quarto Pannello
brani scelti
Notevole impulso ebbe nel corso del conflitto la componente aerea delle
Forze Armate che comprendeva dirigibili, idrovolanti e aerei terrestri.
Nel 1918 la Regia Marina istituì ad Orbetello una base aerea degli idrovolanti del Medio Tirreno ed anche la Scuola di Navigazione Aerea di
Alto Mare.
Il primo impianto, costruito nella zona retrostante il forte bastionato
della cittadina, era costituito da sei aviorimesse contigue a sei campate
comunicanti dotate di piazzali, scivoli e imbarcaderi.
Firenze “città ospedale,
concentramento
di prigionieri e profughi”
Aldo Palazzeschi
Con l'entrata in guerra dell'Italia la Regia Marina ebbe il compito di adottare una stretta sorveglianza del mare Adriatico per contrastare la Marina
Austriaca.
Per attaccare le basi navali austriache nell'alto Adriatico furono realizzati
nuovi mezzi: i MAS (Motoscafo Anti Sommergibile), unità leggera, veloce, armata con
una mitragliera,
due siluri e
bombe antisommergibile, per
effettuare azioni
a sorpresa anche
in acque ristrette.
Ma la Regia Marina dette un notevole contributo
anche alla guerra
sul fronte terrestre perché, dopo
Caporetto, quattro battaglioni di marinai furono inviati
a terra a formare il Reggimento Marina,
allo scopo di difendere dal nord Venezia .
Terminata la guerra il reggimento, a cui
Venezia volle dare la propria bandiera
con il leone di S. Marco, assunse il
nome di “Reggimento Marina S.
Marco” con Regio Decreto 17 Marzo
1919 n. 444.
Il volontariato
per l’assistenza ai feriti…
[…]
Non vi fu città come questa deturpata dalla guerra.
Non vi fu città come questa abbandonata nella guerra.
La mancanza di ogni cosa di prima necessità dai primissimi
tempi, la cattiveria del pane in nessun luogo furono sentite
come in questo. Le città del fronte erano piene di vita e di
gaiezza al suo cospetto.
Negli albori della primavera tragica interminabili file di donne
attendevano ore ed ore per avere poche gocce di latte o d'olio,
due tizzi di carbone. E tutto questo fatto a forza, senza fede o
rassegnazione, inghiottendo amarezza ora per ora.
[…]
Mia Firenze, azzurro fresco e velino delle mattine di primavera, luce rosea del tramonto sulle vecchie pietre dei tuoi edifizi, sui ponti del tuo Arno di smeraldo; Firenze città meno
militare di questa terra, dove si è abituati a ragionare troppo
prima di ubbidire, buongustai del bello, saccenti amatori di
linee e di colori, esteti naturali, critici fino alla sterilità, nessuna come te fu sì malconcia nella veste del sacrifizio.
[…]
“Il fronte è rotto.”
[…]
Incominciarono nella notte ad arrivare i treni carichi dei poveri friulani.
La chiesa di S. Maria Novella, locale grande prossimo alla
ferrovia, ne fu in poco ricolma. Nella notte. Al chiarore delle
candele sparse qua e là come quelle di un sepolcreto, le agili
colonne delle arcate domenicane si alzavano su cotesto immane cumulo di stracci e pena.
«Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920
Dirigibili e idrovolanti
all’Idroscalo di Orbetello
brani scelti
La Marina Militare
nella Grande Guerra
Paura di bombardamenti.
Firenze ripara i suoi gioielli
Firenze, Maggio 1917. L’emblema araldico del Marzocco e la statua
del gigante, detto il «Biancone», riparati per salvaguardarli da possibili
incursione aree.
Padre Alfani e la S.R.T.
La soppressione dell’antenna
Il supporto dell’Istituto
Geografico Militare
Produzioni belliche
Nel 1912 nella notte tra il 16 e il 17 marzo Padre Guido Alfani, Direttore dell’Osservatorio Ximeniano, riceveva per la prima volta l’ora
esatta trasmessa da qualche anno dall’Osservatorio di Parigi. Per facilitare la ricezione Padre Alfani aveva steso un’antenna tra la Cupola del
Duomo e l’Osservatorio Ximeniano.
L’Istituto Geografico Militare (I.G.M.) trae le sue origini dall’Ufficio
Tecnico del Corpo di Stato Maggiore del Regio Esercito che nel 1861
aveva riunito le tradizioni e le competenze degli Ufficio Tecnico del
Regno Sardo, di quello di Napoli e di quello di Toscana.
Trasferito a Firenze da Torino nel 1865 nella sede attuale, fu trasformato in Istituto Topografico Militare nel 1872, per assumere poi l’attuale denominazione.
Il suo compito era, ed è tuttora, quello di fornire supporto geotopocartografico alle unità dell’Esercito Italiano.
Alla fine del XIX secolo Alfred Bernard
Nobel inventò prima
la dinamite e poi la
gelatina esplosiva e
in tutta Europa nacquero fabbriche di
esplosivi. Alla sua
morte Nobel lasciò il
notevole patrimonio
acquisito con i suoi
brevetti ad una fondazione per assegnare cinque premi
ai benemeriti dell'umanità: il premio
Nobel.
Nelle vicinanze di
Carmignano, sulla
strada per Comeana,
un fitto bosco nasconde un centinaio di strutture ormai abbandonate i cui
primi edifici risalgono proprio a fine ’800: si tratta della fabbrica di esplosivi “Nobel” e delle annesse abitazioni per gli operai.
Gli anni della grande guerra furono gli anni d’oro della fabbrica di Comeana con circa 30.000 dipendenti per il rifornimento di esplosivo per le
munizioni dell’artiglieria.
Altre furono in Toscana le fabbriche di esplosivi; la più importante forse
fu quella di Orbetello, la “Sipe-Nobel”, dove prese inizio la lavorazione
della nitroglicerina e della balistite, con derivazioni anche a Forte dei
Marmi per i rifornimenti alla Marina.
L’alta tecnologia
delle Officine Panerai
Produzioni belliche
Officine Panerai: un’impresa artigiana fondata da Giovanni Panerai, divenuta, negli anni, un
punto di riferimento assoluto
nella costruzione e nella realizzazione di strumenti di precisione impermeabili (orologi,
bussole, sistemi applicati ad armamenti di marina ecc.).
La storia comincia nel 1860
quando il fondatore, Giovanni
Panerai apre sul Ponte delle
Grazie a Firenze, la prima bottega di orologeria.
Fu però il nipote di Giovanni,
Guido Panerai, colui che diede
la svolta all’azienda riunendo
tutte le attività di produzione
nella sede di Piazza G. Ferraris e
divenendo fornitore ufficiale
della Regia Marina Italiana.
Erano gli anni tra il 1910 ed il
1920 e le Officine Panerai svilupparono un sistema per rendere auto-luminosi gli strumenti
(quadranti, reticoli per congegni
di mira e cannocchiali), destinati
ai professionisti dell’immersione della Regia Marina Italiana.
Il sito museale SMI si
trova a Campo Tizzoro,
provincia di Pistoia, all'interno del vecchio stabilimento produttivo della Società Metallurgica
Italiana fondato dalla famiglia Orlando nel 1911.
Il percorso espositivo ricostruisce un secolo di
storia della fabbrica e
del paese di Campo Tizzoro e rivela, attraverso
l'esposizione di macchinari per l'assemblaggio ed il controllo delle
munizioni, le varie fasi
del processo di produzione.
La guerra di Libia (1911)
e poi la Prima Guerra
Mondiale dettero un
grande impulso alla produzione, decretando il
successo di un’attività
che richiamò manodoMacchine dei primi del ’900 per la produzione di munizioni
pera da tutta la montagna. Intorno alla SMI cominciò a strutturarsi un agglomerato urbano, primo nucleo di un paese che sarebbe vissuto in simbiosi con la sua fabbrica.
Il laboratorio radiotecnico di padre Alfani all’Osservatorio Ximeniano
In previsione della guerra imminente a Padre Alfani fu intimato di distruggere antenna e stazione ricevente.
Di seguito la trascrizione di alcune pagine scritte a mano da Padre Alfani che riassumono tutte le azioni dallo stesso condotte per evitare il
grave atto. È un documento per i Colleghi. L’aereo era il nome con cui
successivamente sarà indicata l’antenna.
La distruzione della Stazione Radio Telegrafica (S.R.T.)
Manoscritto di padre Alfani
Esplosivi per cannoni
di grosso calibro
Assemblaggio e controllo
delle munizioni
[…]
Il titolo parla chiaro. La St. ricevente oraria dell’Osservatorio è stata soppressa
per ordine della autorità governativa. Ordine e decreto che ha, per il grosso pubblico e, a prima vista, tutte le apparenze
della giustezza, e alla quale ad onore del
vero mi sono completamente assoggettato con scrupolosa prontezza, ma che ha
preso il lato del ridicolo, per usare una
espressione benevola, quando il governo
volle esagerare al punto di volerla distruggere.
[…]
Per dare un’idea della serietà e della
equanimità di tale decreto, ricorderò in
quali termini giungesse l’ordine al Direttore locale delle Poste e Telegrafi: ‘Appena la S.V. riceverà la presente, mandi
immediatamente a distruggere l’aereo della S.R.T. dell’Osservatorio Ximeniano’. Presso a poco, come i mandati di cattura verso chi ha ucciso o ferito!…
[…]
…ma per dimostrare anche il mio buon volere, offersi di fermare tutto il macchinario ricevente, purchè non fosse distrutto l’aereo teso fra la Cupola del
Duomo di Firenze e l’Osservatorio, aereo, che mi costava, date le difficoltà
gravi del tenderlo, molti denari e molti sacrifici. Il Direttore rimase tanto persuaso dalle mie giuste e leali ragioni, che telegrafò, almeno così mi assicurò,
immediatamente a Roma, alle Direzioni, esponendo le difficoltà e la gravità
del caso speciale, e assicurando che l’utilizzazione dell’aereo, come era stato
ridotto, risultava impossibile. A nulla valse.
[….]
Conclusione finale; l’aereo fu distrutto!
Quinto Pannello
brani scelti
Aldo Palazzeschi
«Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920
brani scelti
Aldo Cazzullo
Maschi al fronte:
le femmine cosa fanno?
[…]
Dunque i maschi, come abbiamo detto già, se ne andavano
pacificamente alla guerra, e hanno lasciato le femmine, non è
vero? E colle femmine hanno lasciato, anche il posto, quelli
che ce l'avevano, l'impiego.
Che cosa hanno fatto le femmine?
Tutto intero il loro dovere. Al patriottico invito rispondendo
piene di entusiasmo, sono corse a colmare i vuoti lasciati dai
maschi. Hanno fatto del loro meglio, hanno fatto bene, qualche volta di più, hanno riscosso lo stipendio.
E, fuori dal nido, si sono sentite in un’atmosfera più grande,
un più ampio e salubre respiro, un più vasto movimento di
tutte le membra…
[…]
È la loro conquista.
Ora che ritornate alla pace miei ottimi signori, pieni di idee
bellicose, c'era d'aspettarselo, me le volete rintuzzare, rincantucciare un'altra volta, a sospirare ad aspettar chi non viene,
in cucina me le volete rificcare a rattoppar brache e lavar cenci
merdosi, non ci tornano, hanno ragione la schiavitù è finita,
noi siamo in dovere di aiutarle a conquistarsi tutta la libertà.
[…]
Vogliono uguali diritti, vogliono governare. Naturalmente.
Sentite, come governeranno le donne non lo so, ma assicuratevi che se governeranno male faranno come voi.
…le donne guidano
i tram senza deragliare
[…]
Le donne assumono abitudini maschili. Fumano.
Dopo il lavoro le operaie si ritrovano al bar o al circolo a bere
un bicchiere di vino. Cominciano ad uscire da sole, vivere da
sole: non a caso è del 1919 la riforma che riconosce alle donne
il diritto di comprare e vendere beni senza l'autorizzazione del
marito.
[…]
Quando si viene a sapere che a Milano le donne guideranno i
tram, i giornali stampano vignette con vetture deragliate: invece
non ci sarà alcun incidente…
Il popolo canta la guerra
fra disperazione e ironia
Sui monti "Scarpazi"
Quando fui sui monti "Scarpazi"
"Miserere" sentivo cantar.
T’ho cercato fra il vento e i crepazi
Ma una croce soltanto ho trovà.
O mio sposo eri andato soldato
per difendere l’imperator,
ma la morte quassù hai trovato
e mai più non potrai ritornar.
Le donne si sostituiscono agli uomini nei
posti di lavoro e si rivelano capaci.
Risultano così un
grande sostegno della
Nazione.
Maledetta la sia questa guerra
Che m'ha dato sì tanto dolore.
Il tuo sangue hai donato alla terra,
hai distrutto la tua gioventù.
[…]
E anche al mi' marito
E anche al mi' marito tocca andare
a fa' barriera contro l'invasore,
ma se va a fa' la guerra e po' ci more
rimango sola con quattro creature.
Ta pum ta pum ta pum
Venti giorni sull’Ortigara
senza il cambio
per dismontà;
ta pum ta pum ta pum
E avevano ragione i socialisti:
ne more tanti e 'un semo ancora lesti;
ma s'anco 'r prete dice che dovresti,
a morì te 'un ci vai, 'un ci hanno cristi.
Con la testa pien de peoci
senza rancio da cosumar
ta pum ta pum ta pum
Quando poi ti discendi
al piano
battaglione non hai
più soldà;
ta pum ta pum ta pum
[…]
Documenti e carteggi
di diplomazia e politica
L'artefice principale dei complessi giochi
politici che portarono l'Italia in guerra nel
1915 a fianco non della Triplice Alleanza
ma dell'Intesa fu sicuramente Sidney Sonnino.
Nato a Pisa nel 1847, laureato in giurisprudenza, si occupò di agricoltura, diplomazia
e politica; fu Ministro delle Finanze, poi del
Tesoro, anche Presidente del Consiglio per
breve tempo ed infine Ministro degli Esteri
dal 1914 al 1919. Ed è in questa veste che,
non rinnovando il patto con la Triplice Alleanza, prese accordi a Londra con l'Intesa
ottenendo promesse di benefici, in realtà
non tutti poi mantenuti. Nominato senatore,
si ritirò presto a vita privata e si rifugiò nel
suo castello di Montespertoli; morì a Roma nel 1922.
Nel 1967 il professore B. Brown rinvenne nel castello 14 bauli contenenti l'intero archivio con tutti i carteggi e i documenti di Sonnino riguardanti i preliminari e lo svolgimento dell'entrata in guerra dell'Italia
nel 1915, nonché quelli relativi ai congressi di Parigi e di Versailles rispettivamente del 1916 e del 1918; tale archivio che è stato recentemente risistemato all'interno del castello è a disposizione di coloro che
vogliono approfondire lo studio di quegli avvenimenti.
Dal 2005 il castello di Montespertoli, negli edifici presenti che risalgono al XVI secolo (del maniero del XII secolo resta in piedi solo la
torre), è sede del Centro Studi Sidney Sonnino grazie alla disponibilità
dei discendenti del senatore.
L'intero complesso si può visitare previa prenotazione e vi si possono
anche gustare i prodotti della fattoria annessa.
Il poeta canta la guerra
fra amarezza e esaltazione
Fratelli (UNGARETTI)
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
San Martino del Carso
(UNGARETTI)
«La guerra dei nostri nonni», Mondadori 2014
I' generà Cadorna
le mangia le bistecche:
ai poveri soldati
gli dà le castagne secche!
Bim bom bò
non ci dite di no!
[…]
E a te, Cadorna, 'un mancan
l'accidenti,
ché a Caporetto n'hai ammazzati tanti;
noi si patisce tutti questi pianti
e te, nato d'un cane, non li senti.
[…]
4 Novembre 1918
La guerra è finita
I' generà Cadorna
I' generà Cadorna ha scritto
alla regina:
«Se vuoi vedè Trieste
compra la cartolina!»
Bim bom bò
e i' rombo del cannò!
L’archivio di Sidney Sonnino a Montespertoli
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
Sesto Pannello
Guerra (GOVONI)
Incendiate, incendiate,
date fuoco alla terra
che diventi un sole
devasta sconquassa distruggi,
Passa, passa, o bellissimo
flagello umano,
Sii peste terremoto ed uragano.
Fa che una primavera rossa
di sangue e martirio
sorga da questa vecchia terra,
e la vita sia come una fiamma.
Viva la guerra!
Pel Generalissimo (D’ANNUNZIO)
[…]
Guarda la sua mascella che tien fermo,
guarda severità della sua bocca
onde il comando ed il castigo scocca,
e il lampo a cui la pàlpebra
fa schermo
gravata sopra il chiaro
occhio che scaglia
l’anima al segno e il tratto
non misura.
Sempre in tutt’arme
egli è senza armatura.
Tutta nel pugno nudo ha la battaglia.
[…]
Alla Caserma Marini di Pistoia, già sede del 2° battaglione del 78° Reggimento Lupi di Toscana, ed
attualmente sede del 183°
Reggimento Paracadutisti
Nembo, vi è un monumento che ricorda la conquista del Monte Sabotino, dell’agosto 1916, avvenuta con il contributo
determinante della Brigata Toscana, già allora chiamata Brigata “Lupi” di Toscana.
Il distico di Gabriele D’Annunzio “fu come l’ala che
non lascia impronta” proseguirebbe con: “il primo
grido avea già preso il monte”.
Il Monte Sabotino è un
monte al confine tra Italia
e Slovenia, a nord di Gorizia.
Viene ricordato come uno
dei monti delle battaglie
dell'Isonzo durante la prima guerra mondiale.