Guida alla lettura Ricorrono quest’anno (maggio 2015) cento anni dall’inizio della Grande Guerra e la mostra ha lo scopo di ricordarla, con particolare riferimento al contributo dato ad essa dalla Toscana. La mostra, curata da Lucia Barsanti Calamia, è costituita da sei grandi pannelli ognuno dei quali con otto tavole (42x29,7 cm ciascuna) di foto o testi secondo il filo conduttore di seguito evidenziato. Il primo pannello ha inizio, dopo una breve cronologia, con la chiamata alle armi, introdotta da un testo di Aldo Palazzeschi – poeta-artista scrittore fiorentino nato nel 1885 ed arruolato nel 3° Reggimento Telegrafisti, che ha scritto “Due imperi…mancati” (1920), drammatico diario di una guerra vissuta in prima persona anche se dalle retrovie – e seguita da foto di addio dei militari ai familiari per proseguire con con foto e brani della vita di trincea e dei baraccamenti per le truppe in retrovia. Il secondo pannello continua con la vita in trincea, descrivendo il rancio e il modo per scaldarlo (lo scalda-rancio), per proseguire con una raccolta di cartoline per incitare gli italiani a sottoscrivere il Prestito Nazionale per la guerra. Il terzo pannello contiene alcune testimonianze di soldati (lettere dal fronte) e di eroi: il più famoso è Francesco Baracca (il suo cavallino rampante). Il quarto pannello inizia illustrando il contributo della Regia Marina, ricordando la nascita del Battaglione S. Marco e riportando un brano del diario del suo cappellano per proseguire con un brano di Giampaolo Pansa sulla miserabile vita dei soldati e poi con il volontariato sanitario terminarndo con la descrizione di Firenze sotto la guerra con testi (di Aldo Palazzeschi) e foto. Il quinto pannello inizia con la distruzione, per ordine del Governo, dell’antenna (l’aereo) posta da Padre Alfani tra l’Osservatorio Ximeniano e la cupola del Duomo di Firenze, prosegue con la descrizione delle carte geografiche a cura dell’Isti- tuto Geografico Militare e termina con la citazione delle fabbriche toscane di armamenti; riporta inoltre alcune foto di una curiosa “bicicletta armata” e altre di cannoni. Il sesto pannello illustra l’inizio della emancipazione delle donne che passarono dai lavori della cucina a quelli tradizionalmente maschili (i maschi erano al fronte) con foto e brani di Aldo Palazzeschi e di Aldo Cazzullo, per arrivare alla fine della guerra con un “Foglio di congedo illimitato”. Le ultime quattro tavole sono dedicate al “ricordo”. Il libretto riporta, in formato ridotto, tutte le 48 tavole che compongono i sei pannelli. – Breve cronologia della Prima Guerra Mondiale Giugno-Luglio 1914 Attentato a Sarajevo all’Arciduca Ereditario d’Austria Francesco Ferdinando da parte di uno studente serbo. L’Austria dichiara guerra alla Serbia. Questo episodio provoca lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Agosto 1914 La Germania entra in guerra in aiuto dell’Austria contro la Triplice Intesa (Francia - Gran Bretagna - Russia) che aveva difeso la Serbia. In trincea Le trincee erano lunghe linee di scavo difese da parapetti e da sacchi di sabbia sistemati in modo piuttosto rozzo per difendersi dai colpi del nemico. Si cercava di portare la trincea il più possibile vicino a quella del nemico. In mezzo alle due trincee c’era la terra di nessuno che si cercava di conquistare. Nella trincea si viveva molto male: immersi nella sporcizia e, quando pioveva, immersi nel fango. Non ci si poteva neanche mettere in piedi per non essere raggiunti dai colpi del nemico. Per questo molti non volevano più combattere: o disertavano fuggendo dalla trincea o non si presentavano alle armi quando ricevevano la “cartolina”. Queste disobbedienze venivano punite anche con la fucilazione. 24 maggio 1915 L’Italia, rimasta neutrale nel primo anno di guerra, decide di unirsi alla Triplice Intesa per conquistare Trento e Trieste ancora in mano all’Impero Austriaco. 6 aprile 1917 Gli Stati Uniti entrano in guerra a causa dell’affondamento da parte di un sottomarino tedesco del transatlantico Lusitania al largo della costa irlandese. Erano morti infatti molti passeggeri americani che viaggiavano su quella nave. 24 ottobre 1917 L’Italia subisce una grave sconfitta a Caporetto: l'esercito italiano è costretto a ritirarsi fino al Piave. 24 ottobre 1918 Un anno dopo l’Italia riporta una grande vittoria a Vittorio Veneto. «Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920 Aldo Palazzeschi brani scelti 4 novembre 1918 L’Austria firma l’armistizio. L’Italia ottiene Trento e Trieste. L’Impero Austro-Ungarico viene diviso in tanti Stati. Firenze, chiamata alle armi […] Il giorno 16 luglio alle ore 8 era la presentazione alle armi. Le reclute dovevano trovarsi per quell’ora al convento di S. Gaggio e venire poi indrappellate in piazza S. Spirito al Distretto militare per l’assegnazione al corpo. Domenica. Una delle più limpide mattine d'estate. […] Uscii di corsa. Per la via S. Monica, la via dei Serragli, fui in poco sulla piazza Romana. L'orologio della Calza segnava le otto meno cinque, ero perfettamente in orario. Un tranvai mi strisciò davanti ricolmo di giovani che facevano un gran rumore, le reclute che andavano a S. Gaggio. Molti ve ne erano per l’erta su alla spicciolata. Giunsi alla porta del convento, entrai nel cortile sassoso alto di erba. Presso una porticina si accalcavano parecchie centinaia d'uomini, e sempre ne giungevano via via . Ogni tranvai si fermava e si svuotava. Altri in comitiva venivano dalla parte della campagna, in diligenze, su calessi, o in vetture ricoperte di polvere. Giovani, non più giovanissimi tutti più vicino ai trenta che ai venti. Si accalcavano alla porta tenuta dai carabinieri, aspettando che fosse aperto. […] Fiesole là in faccia splendeva al sole. «Due imperi mancati», diario pieno di angoscia di una guerra vissuta nelle caserme dei distretti e nella retrovie Primo Pannello I baraccamenti Nelle posizioni arretrate, per le truppe in riserva o a riposo, si cercò innanzi tutto di trarre il maggior profitto dagli accantonamenti, senza disturbo delle popolazioni. Le risorse disponibili non erano molte, sia per la povertà degli abitati, propria delle regioni montuose, sia per la sistematica distruzione fattane dagli Austriaci con il bombardare i villaggi a portata di cannone. Tuttavia, mediante un disciplinato lavoro di ricostruzione e di risanamento, fu possibile alloggiare non poca parte delle truppe in caseggiati. Ma il mezzo principale di ricovero fu costituito dai baraccamenti, che sorsero a decine di migliaia; d’ogni tipo, d’ogni dimensione e forma, in mattoni, in blocchi di cemento, in legno, a doppia parete nelle zone più rigide. In questi ricoveri le truppe hanno potuto trovare un più sano e comodo alloggio ed efficace difesa dal freddo e dall’umidità. Eppur si mangia… Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell’alimentazione. La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in trincea come blocchi collosi. Il problema della qualità era parzialmente sopperito dalle quantità distribuite. A differenza infatti del rancio austro-ungarico, l’esercito italiano dava ogni giorno ai suoi soldati 600 grammi di pane, 100 grammi di carne e pasta (o riso), frutta e verdura (a volte), un quarto di vino e del caffè. L’acqua potabile invece era un problema e raramente superava il mezzo litro al giorno. Per coloro che si trovavano in prima linea la gavetta (o gamella) era leggermente più grande. Prima degli assalti inoltre venivano distribuite anche delle dosi più consistenti con l’aggiunta di gallette, scatole di carne, cioccolato e liquori. Oggi in diversi musei si possono ancora ammirare i contenitori di metallo che custodivano i 220 grammi di carne o, a volte, delle alici sott’olio e frutta candita. Ogni scatola era decorata con motti patriottici come “Savoia!” o “Antipasto finissimo Trento e Trieste”. Cucinare in retrovia Casse di cottura Costituite da una marmitta e da un fornello che servivano per iniziare la cottura e da una cassa in legno, foderata di materiale coibente, dove la cottura si completava. Un sistema ingegnoso per utilizzare il calore stesso del cucinato per garantire la cottura. La marmitta contenente gli alimenti da bollire veniva messa sul fornello acceso, si portava tutto a temperatura, si garantivano i primi dieci minuti di cottura e poi si spegneva il fornello. A questo punto si riponevano marmitta e fornello bollenti nella cassa di cottura e si chiudevano ermeticamente sia la marmitta che la cassa. In circa due ore la carne ed il brodo erano pronti e si conservavano caldi per circa 24 ore. Senza fiamme e senza fumo Le trincee dei due schieramenti erano molto vicine. A vista e a tiro d’artiglieria. Qualsiasi bersaglio che potesse fare da riferimento al nemico doveva essere evitato. In trincea era vietato pertanto l’uso del fuoco e non si doveva provocare fumo. Niente cucina da campo e niente fuochi per cuocere o riscaldarsi. Venne comunque studiato un espediente per riscaldate il cibo quasi senza fiamme e senza fumo: lo scaldarancio. Scaldarancio Gli scaldarancio erano cilindretti di carta avvolta e pressata imbevuti di paraffina. Grossi come un rullo di pellicola fotografica del tempo. La carta, arrotolata a più strati e legata stretta, veniva immersa nella paraffina o nel grasso per diverse ore fino ad impregnarsi. Una volta accesi, gli scaldarancio sviluppavano calore senza fiamma per circa 15 minuti. Buona parte della produzione venne garantita da quello che è stato chiamato “fronte interno”. Le iniziative, cioè, della popolazione a sostegno dei combattenti. Questi compiti venivano affidati a donne e bambini dei comitati di assistenza. Secondo Pannello brani scelti «La sementa», giornale di Montevarchi inviato ai soldati al fronte nella guerra 1915-18 Lettere dal fronte Lombardo Leone Lombardi - soldato Giovanni e Pietro, stesso ardimento stesso destino Francesco Baracca, aereo o matita, comunque un asso Il quadro Madre con bambino conservato nell’archivio dei Padri Scolopi di Firenze rappresenta un disegno giovanile di Francesco Baracca, studente-convittore nel collegio degli Scolopi alla Badia Fiesolana. Baracca diventato un “eroe” dopo le imprese condotte dalla 91a squadriglia, detta “degli assi”, fu abbattuto, col suo aereo, il 19 giugno 1918. Fu decorato con una medaglia d’oro al valor militare, con due d’argento e con una di bronzo. Sul suo aereo era riportato un cavallino rampante, che lui vi aveva dipinto, superando l’usanza che voleva che, al quinto aereo nemico abbattuto, il pilota acquisiva il diritto a dipingervi l’insegna di quest’ultimo. […] Anche i 15 giorni della mia licenza invernale sono velocemente trascorsi e io sono nuovamente quassù fra le vette nevose delle Dolomiti maestose. Al mio ritorno trovo la topografia dei luoghi assolutamente irriconoscibile: la neve ha livellato tutto, riempiendo valloni e precipizi, facendo scomparire camminamenti e trincee, inabissando i reticolati; è un altro mondo da quello che lasciai, anche allora c’era molta neve, ma i reticolati austriaci spuntavano da essa allora, oggi no, quei maledetti reticolati non si vedono più. Purtroppo però esistono ancora… […] La primavera scioglierà le nevi e ricompariranno reticolati e trincee: l’inverno prossimo non si vedranno più reticolati come adesso, ma non saranno più nemmeno sotto la neve e la primavera seguente farà fiorire solo il biancospino ed il pesco: vinceremo i nemici e la guerra. […] Nel ricovero ben riparato contro le granate austriache, ma non dal freddo, i soldati stanno silenziosi: hanno il fucile fra le ginocchia già carico. Nessuno dorme ma nessuno parla. Fra qualche ora sarà Pasqua e il nostro pensiero vola alle nostre case… Di fuori nella notte lunare tutta bianca di neve le vedette bianche anch’esse vigilano.. VERIFICATO PER CENSURA … lascio quassù la mia vita e ho fatto solo il mio dovere Baracca, Ferrari e il cavallino rampante Pietro Calamia da Gibellina, appena ventenne, è caduto da eroe nella memorabile giornata del 20 Settembre sull’Isonzo straziato da numerose e gravissime ferite. Non parole nostre ma le sue stesse lo fanno rifulgere più bello e più grande nello stuolo degli italici eroi; ed ecco la lettera che dirigeva al padre questo figlio ventenne, questo giovine siciliano correndo incontro alla guerra ed alla gloria: Ma perché Francesco Baracca scelse il cavallino rampante? Era certamente rimasto impressionato dalla vicenda del Capitano Federigo Caprilli che per primo al Concorso ippico internazionale di Torino (24 maggio 1902) col suo cavallo Melope, aveva superato il limite, ritenuto insuperabile, dei due metri di altezza. E Francesco Baracca che era bravo nel disegno, dipinse un cavallino rampante e lo collocò sul suo aereo. Il 17 giugno 1923, Enzo Ferrari, al primo circuito del Savio, vinse la corsa con l’Alfa Romeo Rltf. Pochi giorni dopo, la mamma di Francesco Baracca, la contessa Paolina consegnò a Ferrari il cavallino rampante che si era salvato dall’aereo del figlio. Enzo Ferrari non collocherà quel simbolo sulle Alfa Romeo, ma sulle sue Ferrari della Società Anonima Scuderia Ferrari, fondata proprio nel novembre 1923. «… Si ricordi che oggi la guerra è soprattutto prova della padronanza che l’individuo ha sulle sue azioni e chi, oltre che della sua risponde della vita altrui, questa padronanza deve avere piena, completa, assoluta. Non mi turbino quindi con timori insensati, con paure vane, con vani terrori, se è necessario che io lasci quassù la mia vita non avrò fatto che il mio dovere di Italiano e di ufficiale e poi si ricordi che tutto è inutile di fronte alla forza ineluttabile delle cose, è inutile e sarebbe vano per di più volersi schermire; poi che ci hanno posto nella condizione di dovere difendere la nostra stessa indipendenza morale e territoriale ogni cittadino d’Italia deve fare il suo dovere ed io sento di poterlo assolvere pienamente e completamente. Sia di ciò orgoglioso e non lamenti la mia sorte che io la benedico». «La storia del cavallino rampante è semplice e affascinante. Il cavallino era dipinto sulla carlinga del caccia di Francesco Baracca, l'eroico aviatore caduto sul Montello, l’asso degli assi della prima guerra mondiale. Quando io vinsi nel ’23 il primo circuito del Savio, che si corre a Ravenna, ivi conobbi il conte Enrico Baracca, padre dell’eroe; da quell’incontro nacque il successivo, con la madre, contessa Paolina. Fu essa a dirmi un giorno: «Ferrari, metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna». Conservo ancora la fotografia di Baracca, con la dedica dei genitori, in cui mi affidavano l’emblema. Il cavallino era ed è rimasto nero; io aggiunsi il fondo giallo canarino che è il colore di Modena. (dal libro «Le mie gioie terribili» di Enzo Ferrari) Il corpo di Francesco Baracca, e forse anche il pezzo di tela col cavallino rampante, venne recuperato da una pattuglia di cui faceva parte Vittorio Pellizzari (da una testimonianza raccolta da Aldo Cazzullo e riportata nel suo libro: La guerra dei nostri nonni) Alla memoria sua e al dolore del padre prof. Pietro Calamia, l’Italia s’inchina riverente. Giornale di Sicilia 4-5 dicembre 1915 Terzo Pannello brani scelti Giampaolo Pansa «Eia eia alalà», Rizzoli 2014 Diario del Cappellano Capo Antonio Giordani, 1917-1918 L’attesa del nemico e le sensazioni strane di un cappellano L'idroscalo venne poi intitolato ad Agostino Brunetta, guardiamarina pluridecorato che si era distinto durante il conflitto. Negli anni trenta, divenuto di proprietà della costituita Regia Aeronautica fu la base da cui partirono le celebri imprese aviatorie atlantiche condotte da Italo Balbo. Nel 1859 a S. Martino e Solferino, una delle più sanguinose battaglie della seconda guerra di indipendenza italiana, un giovane svizzero, Jean Henry Dunant, si trovò coinvolto nel massacro e da quella esperienza nacque in lui l’idea di creare una organizzazione di infermieri volontari: la Croce Rossa. In Italia fu il medico milanese Cesare Castiglioni a istituire quella italiana. In realtà la prima ad organizzare il soccorso infermieristico sui campi di battaglia fu, durante la guerra di Crimea, l’inglese Florence Nightingale nata a Firenze nel 1820: la città la ricorda con un monumento nella Livorno, 11 Marzo 1915 Basilica di Santa Croce. Nel 1908 nacque formalmente a Roma, per iniziativa della regina Margherita, il corpo delle Crocerossine, infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana. Durante la Grande Guerra oltre 7000 infermiere volontarie, provenienti da tutta la nazione, furono presenti nei 240 ospedali di campo alla frontiera, nei treni-ospedale e nelle città che accoglievano i feriti dal fronte. Al suono della fanfara sfilavano piangendo …organizzazione, coraggio, abnegazione e sacrificio […] Il giorno che è cominciata anche la nostra guerra avevo compiuto da pochi mesi venticinque anni. Se devo rammentare quel che ho visto, ancora oggi sono aggredito da una folla di incubi che non riesco a scacciare. Per primi mi vengono addosso i volti dei soldati caduti in battaglia, qualcuno non sembrava neppure morto: aveva la faccia e le mani rosa gli occhi brillanti. Ma gli altri erano putrefatti: viola, gialli, neri… […] Un altro incubo che mi perseguita è la schifezza merdosa della trincea. Il sole a picco, la pioggia battente, il fango, la neve, il gelo, i pidocchi, i topi, le feci, il piscio, l'odore della cancrena, la puzza dei compagni che si aggrappano a te, il fetore insopportabile della loro paura. Poi tutto si confonde nell'inferno che esplode quando viene ordinato l'assalto contro un nemico che non vedi, ma ti aspetta per ucciderti… […] I soldati erano quasi tutti poveri cristi, quasi sempre contadini, spesso analfabeti. L'esercito li aveva condannati alla pena di combattere una guerra che sentivano estranea ai loro interessi. Vedevo ragazzi più giovani di me e uomini ben più anziani che marciavano a testa bassa verso la prima linea. Seguivano la fanfara del reggimento in capo alla colonna. La fanfara non smetteva di suonare e loro sfilavano piangendo. Pensavo che la guerra fosse l'errore più tragico che gli esseri umani potessero compiere… In Toscana si contavano 42 Ospedali Territoriali funzionanti, di cui 14 nella sola Firenze. “Eia eia alalà”, una ricostruzione storica della prima metà del 900, dalla prima guerra alla nascita e fine del fascismo. A Firenze fu preziosa anche l’opera della Pubblica Assistenza Fratellanza Militare. La storia della Pubblica Assistenza Fratellanza Militare si lega fortemente a quella dell’Italia. Essa fu fondata a Firenze nel 1876 con l’invito all’adesione di “tutti coloro che pugnarono sui campi della gloria dal 1848 al 1870 sia sotto gli ordini di Vittorio Emanuele che sotto gli auspici di Giuseppe Garibaldi.” Lo scopo dell’Associazione era inizialmente il mutuo soccorso morale e materiale tra gli iscritti, ma lo statuto prevedeva anche la costituzione di una compagnia di volontari di pubblica assistenza, compagnia che acquistò con il tempo importanza sempre crescente specie nei momenti più critici, come furono quelli della guerra. Quarto Pannello brani scelti Notevole impulso ebbe nel corso del conflitto la componente aerea delle Forze Armate che comprendeva dirigibili, idrovolanti e aerei terrestri. Nel 1918 la Regia Marina istituì ad Orbetello una base aerea degli idrovolanti del Medio Tirreno ed anche la Scuola di Navigazione Aerea di Alto Mare. Il primo impianto, costruito nella zona retrostante il forte bastionato della cittadina, era costituito da sei aviorimesse contigue a sei campate comunicanti dotate di piazzali, scivoli e imbarcaderi. Firenze “città ospedale, concentramento di prigionieri e profughi” Aldo Palazzeschi Con l'entrata in guerra dell'Italia la Regia Marina ebbe il compito di adottare una stretta sorveglianza del mare Adriatico per contrastare la Marina Austriaca. Per attaccare le basi navali austriache nell'alto Adriatico furono realizzati nuovi mezzi: i MAS (Motoscafo Anti Sommergibile), unità leggera, veloce, armata con una mitragliera, due siluri e bombe antisommergibile, per effettuare azioni a sorpresa anche in acque ristrette. Ma la Regia Marina dette un notevole contributo anche alla guerra sul fronte terrestre perché, dopo Caporetto, quattro battaglioni di marinai furono inviati a terra a formare il Reggimento Marina, allo scopo di difendere dal nord Venezia . Terminata la guerra il reggimento, a cui Venezia volle dare la propria bandiera con il leone di S. Marco, assunse il nome di “Reggimento Marina S. Marco” con Regio Decreto 17 Marzo 1919 n. 444. Il volontariato per l’assistenza ai feriti… […] Non vi fu città come questa deturpata dalla guerra. Non vi fu città come questa abbandonata nella guerra. La mancanza di ogni cosa di prima necessità dai primissimi tempi, la cattiveria del pane in nessun luogo furono sentite come in questo. Le città del fronte erano piene di vita e di gaiezza al suo cospetto. Negli albori della primavera tragica interminabili file di donne attendevano ore ed ore per avere poche gocce di latte o d'olio, due tizzi di carbone. E tutto questo fatto a forza, senza fede o rassegnazione, inghiottendo amarezza ora per ora. […] Mia Firenze, azzurro fresco e velino delle mattine di primavera, luce rosea del tramonto sulle vecchie pietre dei tuoi edifizi, sui ponti del tuo Arno di smeraldo; Firenze città meno militare di questa terra, dove si è abituati a ragionare troppo prima di ubbidire, buongustai del bello, saccenti amatori di linee e di colori, esteti naturali, critici fino alla sterilità, nessuna come te fu sì malconcia nella veste del sacrifizio. […] “Il fronte è rotto.” […] Incominciarono nella notte ad arrivare i treni carichi dei poveri friulani. La chiesa di S. Maria Novella, locale grande prossimo alla ferrovia, ne fu in poco ricolma. Nella notte. Al chiarore delle candele sparse qua e là come quelle di un sepolcreto, le agili colonne delle arcate domenicane si alzavano su cotesto immane cumulo di stracci e pena. «Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920 Dirigibili e idrovolanti all’Idroscalo di Orbetello brani scelti La Marina Militare nella Grande Guerra Paura di bombardamenti. Firenze ripara i suoi gioielli Firenze, Maggio 1917. L’emblema araldico del Marzocco e la statua del gigante, detto il «Biancone», riparati per salvaguardarli da possibili incursione aree. Padre Alfani e la S.R.T. La soppressione dell’antenna Il supporto dell’Istituto Geografico Militare Produzioni belliche Nel 1912 nella notte tra il 16 e il 17 marzo Padre Guido Alfani, Direttore dell’Osservatorio Ximeniano, riceveva per la prima volta l’ora esatta trasmessa da qualche anno dall’Osservatorio di Parigi. Per facilitare la ricezione Padre Alfani aveva steso un’antenna tra la Cupola del Duomo e l’Osservatorio Ximeniano. L’Istituto Geografico Militare (I.G.M.) trae le sue origini dall’Ufficio Tecnico del Corpo di Stato Maggiore del Regio Esercito che nel 1861 aveva riunito le tradizioni e le competenze degli Ufficio Tecnico del Regno Sardo, di quello di Napoli e di quello di Toscana. Trasferito a Firenze da Torino nel 1865 nella sede attuale, fu trasformato in Istituto Topografico Militare nel 1872, per assumere poi l’attuale denominazione. Il suo compito era, ed è tuttora, quello di fornire supporto geotopocartografico alle unità dell’Esercito Italiano. Alla fine del XIX secolo Alfred Bernard Nobel inventò prima la dinamite e poi la gelatina esplosiva e in tutta Europa nacquero fabbriche di esplosivi. Alla sua morte Nobel lasciò il notevole patrimonio acquisito con i suoi brevetti ad una fondazione per assegnare cinque premi ai benemeriti dell'umanità: il premio Nobel. Nelle vicinanze di Carmignano, sulla strada per Comeana, un fitto bosco nasconde un centinaio di strutture ormai abbandonate i cui primi edifici risalgono proprio a fine ’800: si tratta della fabbrica di esplosivi “Nobel” e delle annesse abitazioni per gli operai. Gli anni della grande guerra furono gli anni d’oro della fabbrica di Comeana con circa 30.000 dipendenti per il rifornimento di esplosivo per le munizioni dell’artiglieria. Altre furono in Toscana le fabbriche di esplosivi; la più importante forse fu quella di Orbetello, la “Sipe-Nobel”, dove prese inizio la lavorazione della nitroglicerina e della balistite, con derivazioni anche a Forte dei Marmi per i rifornimenti alla Marina. L’alta tecnologia delle Officine Panerai Produzioni belliche Officine Panerai: un’impresa artigiana fondata da Giovanni Panerai, divenuta, negli anni, un punto di riferimento assoluto nella costruzione e nella realizzazione di strumenti di precisione impermeabili (orologi, bussole, sistemi applicati ad armamenti di marina ecc.). La storia comincia nel 1860 quando il fondatore, Giovanni Panerai apre sul Ponte delle Grazie a Firenze, la prima bottega di orologeria. Fu però il nipote di Giovanni, Guido Panerai, colui che diede la svolta all’azienda riunendo tutte le attività di produzione nella sede di Piazza G. Ferraris e divenendo fornitore ufficiale della Regia Marina Italiana. Erano gli anni tra il 1910 ed il 1920 e le Officine Panerai svilupparono un sistema per rendere auto-luminosi gli strumenti (quadranti, reticoli per congegni di mira e cannocchiali), destinati ai professionisti dell’immersione della Regia Marina Italiana. Il sito museale SMI si trova a Campo Tizzoro, provincia di Pistoia, all'interno del vecchio stabilimento produttivo della Società Metallurgica Italiana fondato dalla famiglia Orlando nel 1911. Il percorso espositivo ricostruisce un secolo di storia della fabbrica e del paese di Campo Tizzoro e rivela, attraverso l'esposizione di macchinari per l'assemblaggio ed il controllo delle munizioni, le varie fasi del processo di produzione. La guerra di Libia (1911) e poi la Prima Guerra Mondiale dettero un grande impulso alla produzione, decretando il successo di un’attività che richiamò manodoMacchine dei primi del ’900 per la produzione di munizioni pera da tutta la montagna. Intorno alla SMI cominciò a strutturarsi un agglomerato urbano, primo nucleo di un paese che sarebbe vissuto in simbiosi con la sua fabbrica. Il laboratorio radiotecnico di padre Alfani all’Osservatorio Ximeniano In previsione della guerra imminente a Padre Alfani fu intimato di distruggere antenna e stazione ricevente. Di seguito la trascrizione di alcune pagine scritte a mano da Padre Alfani che riassumono tutte le azioni dallo stesso condotte per evitare il grave atto. È un documento per i Colleghi. L’aereo era il nome con cui successivamente sarà indicata l’antenna. La distruzione della Stazione Radio Telegrafica (S.R.T.) Manoscritto di padre Alfani Esplosivi per cannoni di grosso calibro Assemblaggio e controllo delle munizioni […] Il titolo parla chiaro. La St. ricevente oraria dell’Osservatorio è stata soppressa per ordine della autorità governativa. Ordine e decreto che ha, per il grosso pubblico e, a prima vista, tutte le apparenze della giustezza, e alla quale ad onore del vero mi sono completamente assoggettato con scrupolosa prontezza, ma che ha preso il lato del ridicolo, per usare una espressione benevola, quando il governo volle esagerare al punto di volerla distruggere. […] Per dare un’idea della serietà e della equanimità di tale decreto, ricorderò in quali termini giungesse l’ordine al Direttore locale delle Poste e Telegrafi: ‘Appena la S.V. riceverà la presente, mandi immediatamente a distruggere l’aereo della S.R.T. dell’Osservatorio Ximeniano’. Presso a poco, come i mandati di cattura verso chi ha ucciso o ferito!… […] …ma per dimostrare anche il mio buon volere, offersi di fermare tutto il macchinario ricevente, purchè non fosse distrutto l’aereo teso fra la Cupola del Duomo di Firenze e l’Osservatorio, aereo, che mi costava, date le difficoltà gravi del tenderlo, molti denari e molti sacrifici. Il Direttore rimase tanto persuaso dalle mie giuste e leali ragioni, che telegrafò, almeno così mi assicurò, immediatamente a Roma, alle Direzioni, esponendo le difficoltà e la gravità del caso speciale, e assicurando che l’utilizzazione dell’aereo, come era stato ridotto, risultava impossibile. A nulla valse. [….] Conclusione finale; l’aereo fu distrutto! Quinto Pannello brani scelti Aldo Palazzeschi «Due imperi mancati», Vallecchi; Firenze 1920 brani scelti Aldo Cazzullo Maschi al fronte: le femmine cosa fanno? […] Dunque i maschi, come abbiamo detto già, se ne andavano pacificamente alla guerra, e hanno lasciato le femmine, non è vero? E colle femmine hanno lasciato, anche il posto, quelli che ce l'avevano, l'impiego. Che cosa hanno fatto le femmine? Tutto intero il loro dovere. Al patriottico invito rispondendo piene di entusiasmo, sono corse a colmare i vuoti lasciati dai maschi. Hanno fatto del loro meglio, hanno fatto bene, qualche volta di più, hanno riscosso lo stipendio. E, fuori dal nido, si sono sentite in un’atmosfera più grande, un più ampio e salubre respiro, un più vasto movimento di tutte le membra… […] È la loro conquista. Ora che ritornate alla pace miei ottimi signori, pieni di idee bellicose, c'era d'aspettarselo, me le volete rintuzzare, rincantucciare un'altra volta, a sospirare ad aspettar chi non viene, in cucina me le volete rificcare a rattoppar brache e lavar cenci merdosi, non ci tornano, hanno ragione la schiavitù è finita, noi siamo in dovere di aiutarle a conquistarsi tutta la libertà. […] Vogliono uguali diritti, vogliono governare. Naturalmente. Sentite, come governeranno le donne non lo so, ma assicuratevi che se governeranno male faranno come voi. …le donne guidano i tram senza deragliare […] Le donne assumono abitudini maschili. Fumano. Dopo il lavoro le operaie si ritrovano al bar o al circolo a bere un bicchiere di vino. Cominciano ad uscire da sole, vivere da sole: non a caso è del 1919 la riforma che riconosce alle donne il diritto di comprare e vendere beni senza l'autorizzazione del marito. […] Quando si viene a sapere che a Milano le donne guideranno i tram, i giornali stampano vignette con vetture deragliate: invece non ci sarà alcun incidente… Il popolo canta la guerra fra disperazione e ironia Sui monti "Scarpazi" Quando fui sui monti "Scarpazi" "Miserere" sentivo cantar. T’ho cercato fra il vento e i crepazi Ma una croce soltanto ho trovà. O mio sposo eri andato soldato per difendere l’imperator, ma la morte quassù hai trovato e mai più non potrai ritornar. Le donne si sostituiscono agli uomini nei posti di lavoro e si rivelano capaci. Risultano così un grande sostegno della Nazione. Maledetta la sia questa guerra Che m'ha dato sì tanto dolore. Il tuo sangue hai donato alla terra, hai distrutto la tua gioventù. […] E anche al mi' marito E anche al mi' marito tocca andare a fa' barriera contro l'invasore, ma se va a fa' la guerra e po' ci more rimango sola con quattro creature. Ta pum ta pum ta pum Venti giorni sull’Ortigara senza il cambio per dismontà; ta pum ta pum ta pum E avevano ragione i socialisti: ne more tanti e 'un semo ancora lesti; ma s'anco 'r prete dice che dovresti, a morì te 'un ci vai, 'un ci hanno cristi. Con la testa pien de peoci senza rancio da cosumar ta pum ta pum ta pum Quando poi ti discendi al piano battaglione non hai più soldà; ta pum ta pum ta pum […] Documenti e carteggi di diplomazia e politica L'artefice principale dei complessi giochi politici che portarono l'Italia in guerra nel 1915 a fianco non della Triplice Alleanza ma dell'Intesa fu sicuramente Sidney Sonnino. Nato a Pisa nel 1847, laureato in giurisprudenza, si occupò di agricoltura, diplomazia e politica; fu Ministro delle Finanze, poi del Tesoro, anche Presidente del Consiglio per breve tempo ed infine Ministro degli Esteri dal 1914 al 1919. Ed è in questa veste che, non rinnovando il patto con la Triplice Alleanza, prese accordi a Londra con l'Intesa ottenendo promesse di benefici, in realtà non tutti poi mantenuti. Nominato senatore, si ritirò presto a vita privata e si rifugiò nel suo castello di Montespertoli; morì a Roma nel 1922. Nel 1967 il professore B. Brown rinvenne nel castello 14 bauli contenenti l'intero archivio con tutti i carteggi e i documenti di Sonnino riguardanti i preliminari e lo svolgimento dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1915, nonché quelli relativi ai congressi di Parigi e di Versailles rispettivamente del 1916 e del 1918; tale archivio che è stato recentemente risistemato all'interno del castello è a disposizione di coloro che vogliono approfondire lo studio di quegli avvenimenti. Dal 2005 il castello di Montespertoli, negli edifici presenti che risalgono al XVI secolo (del maniero del XII secolo resta in piedi solo la torre), è sede del Centro Studi Sidney Sonnino grazie alla disponibilità dei discendenti del senatore. L'intero complesso si può visitare previa prenotazione e vi si possono anche gustare i prodotti della fattoria annessa. Il poeta canta la guerra fra amarezza e esaltazione Fratelli (UNGARETTI) Di che reggimento siete fratelli? Parola tremante nella notte Foglia appena nata Nell'aria spasimante involontaria rivolta dell'uomo presente alla sua fragilità Fratelli San Martino del Carso (UNGARETTI) «La guerra dei nostri nonni», Mondadori 2014 I' generà Cadorna le mangia le bistecche: ai poveri soldati gli dà le castagne secche! Bim bom bò non ci dite di no! […] E a te, Cadorna, 'un mancan l'accidenti, ché a Caporetto n'hai ammazzati tanti; noi si patisce tutti questi pianti e te, nato d'un cane, non li senti. […] 4 Novembre 1918 La guerra è finita I' generà Cadorna I' generà Cadorna ha scritto alla regina: «Se vuoi vedè Trieste compra la cartolina!» Bim bom bò e i' rombo del cannò! L’archivio di Sidney Sonnino a Montespertoli Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro Di tanti che mi corrispondevano non è rimasto neppure tanto Ma nel cuore nessuna croce manca È il mio cuore il paese più straziato Sesto Pannello Guerra (GOVONI) Incendiate, incendiate, date fuoco alla terra che diventi un sole devasta sconquassa distruggi, Passa, passa, o bellissimo flagello umano, Sii peste terremoto ed uragano. Fa che una primavera rossa di sangue e martirio sorga da questa vecchia terra, e la vita sia come una fiamma. Viva la guerra! Pel Generalissimo (D’ANNUNZIO) […] Guarda la sua mascella che tien fermo, guarda severità della sua bocca onde il comando ed il castigo scocca, e il lampo a cui la pàlpebra fa schermo gravata sopra il chiaro occhio che scaglia l’anima al segno e il tratto non misura. Sempre in tutt’arme egli è senza armatura. Tutta nel pugno nudo ha la battaglia. […] Alla Caserma Marini di Pistoia, già sede del 2° battaglione del 78° Reggimento Lupi di Toscana, ed attualmente sede del 183° Reggimento Paracadutisti Nembo, vi è un monumento che ricorda la conquista del Monte Sabotino, dell’agosto 1916, avvenuta con il contributo determinante della Brigata Toscana, già allora chiamata Brigata “Lupi” di Toscana. Il distico di Gabriele D’Annunzio “fu come l’ala che non lascia impronta” proseguirebbe con: “il primo grido avea già preso il monte”. Il Monte Sabotino è un monte al confine tra Italia e Slovenia, a nord di Gorizia. Viene ricordato come uno dei monti delle battaglie dell'Isonzo durante la prima guerra mondiale.