"sogno simbolico" in Ennio

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ENNIO
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approfondimento
Il “sogno simbolico” in Ennio
Il sogno è una componente costante dell’opera enniana, come testimoniano anche i frammenti che abbiamo riportato, molti dei quali hanno al loro centro proprio il racconto di un’esperienza onirica. Tralasciando i sogni riferiti nel prologo degli Annales e nell’Epicharmus, vorremmo concentrarci su due
testi che paiono significativi per illustrare i caratteri e il retroterra letterario di quella particolare tipologia onirica che potremmo definire “sogno simbolico”.
Cominceremo con il passo dell’Alexander (Scenica 38-49 Vahlen2), che contiene il sogno di Ecuba.
Alla madre Ecuba incinta parve in sogno
di partorire un’ardente fiaccola, perciò il padre
Priamo, il re stesso, colpito nell’animo dal timore per il sogno,
afferrato dagli affanni sospirosi,
faceva continui sacrifici con vittime belanti.
Poi, cercando la pace, domandò ad Apollo
una spiegazione, scongiurando di rivelargli
dove conducessero così gravi presagi di sogni.
Allora con voce divina dal suo oracolo Apollo
affermò che si astenesse Priamo dall’allevare il bambino
che per primo gli fosse da lì in poi nato;
egli sarebbe stato rovina per Troia, peste per Pergamo.
(trad. di S. Dossi)
Si tratta, come si può facilmente dedurre dalla lettura dei versi, di un tipico sogno profetico e simbolico,
simile a quelli che si trovano nella tragedia greca; e la tragedia greca è precisamente il retroterra letterario a cui il sogno di Ecuba rinvia. In forza della sua qualità profetica, questa tipologia di sogni aveva il
compito di rivelare elementi fondamentali del futuro, spesso dolorosamente drammatici, come è il caso
in questione. Tale compito era però svolto in modo enigmatico: il contenuto del sogno era infatti avvolto
in un’atmosfera misteriosa, inquietante, solenne e l’elemento centrale – quello che conteneva il messaggio profetico – era posto in grande rilievo e presentato in modo che alludesse a una data realtà nel
momento stesso in cui la celava, così che la rivelazione del messaggio potesse avvenire solo a seguito di
un’interpretazione oracolare. Si osservi, ad esempio, nel passo in esame come l’elemento centrale sia la
fiaccola ardente, che a Ecuba incinta sembra di dover partorire; è evidente che la cosa in sé è destituita
di fondamento logico e si comprende solo per la forza allusiva che l’immagine contiene: il bambino che
Ecuba si accinge a dare alla luce è Alessandro Paride, che col suo giudizio in favore di Venere e il successivo rapimento di Elena rappresenta in fieri la rovina di Troia. Il sogno però rivela già, seppur in forma
enigmatica, che la fine della città avverrà per mezzo del fuoco, di cui Paride è per così dire il tizzone iniziale: egli è la fiaccola ardente che appiccherà l’incendio mortifero della sua patria. Come si può constatare, tutta questa lunga spiegazione è già contenuta, insieme nascosta e svelata, in una sola immagine,
breve e potentemente concentrata: in questo sta la sublimità drammatica del sogno simbolico.
Una situazione analoga può essere rinvenuta nel sogno di Ilia (Annales, fr. 32 Traglia): anche qui infatti
siamo in presenza di un sogno simbolico e premonitore.
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E quando con mani tremanti la vecchia portò veloce un lume,
allora (Ilia), riscossasi dal sonno, lacrimando, ricorda tali cose:
«O figlia di Euridice, che nostro padre amò,
ora le forze e la vita abbandonano completamente il mio corpo.
Infatti mi sembrò che un uomo bello mi trascinasse per deliziosi
salici e rive e luoghi sconosciuti; così poi, o sorella,
mi sembrava di andare vagando sola,
e di seguire a fatica le tue tracce e di cercarti, e di non poterti
prendere col cuore; nessun sentiero rendeva il piede sicuro.
Poi mi sembra che il padre mi chiami
con queste parole: “O figlia, tu devi dapprima sopportare
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sofferenze, poi la fortuna verrà a te dal fiume”.
Detto ciò, o sorella, il padre rapidamente sparì,
e non si offrì alla mia vista, pur desiderato dal cuore,
benché piangendo più volte tendessi le mani
alle azzurre regioni del cielo e lo chiamassi con dolce voce.
A mala pena mi lasciò il sonno col mio cuore angosciato».
(trad. di S. Dossi)
Rispetto a quello precedente, tuttavia, l’ambito di riferimento questa volta non è più solo la tragedia
greca, qui c’è qualcosa di più e di diverso. L’emozione che solitamente accompagna la narrazione di un
sogno simbolico risulta accentuata. La protagonista del sogno, Ilia, non è solo una spettatrice passiva, ma
diventa soggetto attivo, perché ciò che vede in sogno rappresenta un’esperienza destinata a concretizzarsi nella sua vita, anzi è l’esperienza fondamentale della sua esistenza. Anche questo tipo di sogno è allusivo: personaggi, vicende e paesaggio in esso contenuti sono altrettanti simboli che rimandano a una
realtà ancora misteriosa ma che si percepisce pronta a realizzarsi; la sua realizzazione, però, coinvolge in
modo profondo la protagonista, crea in lei sentimenti di turbamento e smarrimento, provoca nel suo
animo uno stato insieme di desiderio e di ripulsa. Si pensi, a tale proposito, all’immagine del locus amoenus, che allude alla prima esperienza amorosa di Ilia, e al coagulo di sentimenti che inevitabilmente essa
produce. Proprio per questo coinvolgimento profondo della sfera psicologica e per la tecnica drammatica con cui viene esplicitato narrativamente, il sogno di Ilia rinvia – oltre che al mondo della tragedia
greca – all’epica ellenistica. Si confronti, a proposito, il sogno di Medea contenuto nelle Argonautiche di
Apollonio Rodio (III, 616 sgg.), che con quello di Ilia ha molti punti in comune, non ultimo quello di
rappresentare un sogno di realizzazione del desiderio:
Un sonno alleviò dai suoi mali la giovane distesa sul letto. Subito sogni funesti, ingannatori la tormentavano,
quali quelli che sogliono turbare chi è afflitta. Le sembrava che lo straniero 1 affrontasse la prova, non desiderando portar via il vello d’oro, né che fosse venuto per questo motivo presso la reggia di Eeta, ma per condurla nella sua casa come sposa legittima. Vedeva se stessa combattere con i tori e sopportare agevolmente la
lotta; ma i suoi genitori venivano meno alla promessa, poiché non alla giovane ma a lui 2 avevano affidato l’incarico di aggiogare i tori; e sorse tra il
padre e gli stranieri una lite dagli esiti incerti; entrambe le parti si rivolgevano a lei: sarebbe stato così
come avesse desiderato col suo cuore; lei subito
scelse lo straniero abbandonando i genitori; un
enorme dolore colse loro e gridarono furenti. Il
sonno l’abbandonò insieme col grido.
(trad. di S. Dossi)
1. Lo straniero è Giasone, impegnato in Colchide nella conquista del vello d’oro.
2. Si fa sempre riferimento a Giasone.
Marte e Faustolo scoprono i gemelli, figli di Ilia,
allattati dalla lupa capitolina, I secolo d.C., Arezzo,
Museo Archeologico.
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