Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon M3. LE RADICI DEL MONDO OCCIDENTALE (2): LA CIVILTÁ DI ROMA ANTICA 1. Introduzione 2. Il territorio italiano prima delle conquiste di Roma. 2.1 Un insieme di popolazioni di diversa origine 2.2 Le popolazioni che occupavano le diverse regioni d’Italia nei secoli VII-VI a.C. 3. Breve storia di Roma antica 3.1 Le origini APPROFONDIMENTO “Il mito delle origini” 3.2 L’età regia (753-509 a.C.) 3.3 La Repubblica (509-27 a.C.) 3.4 L’età imperiale (27 a.C. – 476 d.C.) 3.5 Le invasioni barbariche e la fine dell’impero romano d’Occidente 4. Istituzioni e struttura sociale 4.1 L’organizzazione istituzionale in età monarchica 4.2 L’organizzazione istituzionale in età repubblicana e in età imperiale 5. Lo sviluppo del diritto in Roma antica 5.1 Età monarchica: norme consuetudinarie e leggi 5.2 Le XII Tavole (metà del V sec. a.C.) 5.3 Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. 5.4 L’universalismo giuridico dell’età imperiale 5.5 L’eredità del diritto romano: il Corpus Iuris Civilis 6. Forme di vita sociale e aspetti di vita materiale 6.1 Forme di vita sociale 6.2 Aspetti di vita materiale 7. Il sistema economico produttivo 7.1 L’età monarchica 7.2 Età repubblicana 7.3 L’Impero APPROFONDIMENTO “Strade e acquedotti nell’impero di Roma” 8. L’esperienza religiosa 8.1 La forma religiosa arcaica 8.2 Gli influssi greci ed etruschi 8.3 L’evoluzione delle esperienze religiose nell’età della Repubblica 8.5 La religiosità in età imperiale: il culto dell’imperatore e l’avvento delle religioni orientali di mistero e salvezza APPROFONDIMENTO “Nascita e sviluppo del Cristianesimo negli anni dell’impero: da religione perseguitata a religione imposta” M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 1 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon 1. Introduzione Nel momento del suo massimo splendore (durante l’impero di Traiano, 98-117 d.C.) Roma imperiale era arrivata ad estendere il proprio dominio su gran parte del mondo allora conosciuto. Dalla Gran Bretagna all’Egitto esisteva un’unica lingua ufficiale (il latino) e un unico sistema amministrativo, i principi del diritto romano erano imposti in tutto l’Impero, il sistema viario e lo stretto controllo del territorio (opera dell’esercito romano) avevano notevolmente facilitato gli scambi commerciali e culturali tra popoli che prima quasi non si conoscevano. Mai prima d’allora si era verificato un fenomeno simile e mai più si verificherà successivamente. Le conseguenze dello straordinario sviluppo dell’impero di Roma sono ben presenti anche ai nostri giorni: Per la lingua parlata innanzitutto (francesi, italiani, rumeni e spagnoli parlano tutti delle lingue che si definiscono “romanze” proprio perché derivate dalla lingua dei Romani: il latino) L’uso da parte della Chiesa Cattolica del latino quale lingua ufficiale è legato proprio al carattere universalistico che tal lingua aveva assunto Termini scientifici in latino (quando nel Settecento gli studi naturalistici iniziarono a classificare tutti gli esseri viventi ritennero opportuno usare la lingua latina, dato che questa era allora conosciuta da tutti gli uomini di cultura; il nome scientifico per indicare il gatto divenne perciò “Felix”, dal termine latino usato per indicare questo animale) Nel diritto (lo studio del diritto romano è ancora oggi praticato dagli studenti di giurisprudenza a dimostrazione dell’importanza che quegli studi hanno avuto per lo sviluppo successivo del diritto; molti giudici, nelle loro sentenze, ancora oggi inseriscono espressioni latine) Vediamo quindi la storia di questa civiltà che in pochi secoli si è trasformata, passando da semplice comunità di pastori a grande impero (il più vasto dell’antichità). 2. Il territorio italiano prima delle conquiste di Roma 2.1 Un insieme di popolazioni di diversa origine Il termine “Italia” con il quale viene chiamato il nostro paese deriva da “Itali” il nome di un popolo d’origine indoeuropea stabilitosi sul finire del II millennio a.C. in Calabria. Furono i Greci a chiamare Italia il territorio occupato dagli Itali e quindi, nei secoli, per estensione, tutto il territorio della penisola venne chiamato Italia. Nei secoli della fondazione e del primo sviluppo di Roma il territorio della penisola è occupato da popolazioni di origine diversa. Schematizzando possiamo affermare che le diverse popolazioni residenti in Italia nei secoli VIII-V possono ricondursi ai seguenti gruppi d’appartenenza: Indoeuropei (arrivati in Italia nel corso del II millennio a.C. e agli inizi del I) Greci (contatti con il mondo greco si hanno già nel corso del II millennio a.C. e i primi insediamenti Greci in Italia sono attestati dall’inizio del I millennio a.C., tuttavia una vera e propria colonizzazione del territorio dell’Italia meridionale si ha solo nei secoli VII e VI a.C.) Mediterranei (sono le popolazioni discendenti dagli abitanti della penisola dell’età del Bronzo) Punici (colonie cartaginesi sorte in Sicilia e Sardegna dal VII sec. a.C.) 2.2 Le popolazioni che occupavano le diverse regioni d’Italia nei secoli VII-VI a.C. Italia nord-occidentale L’Italia nord-occidentale è occupata da popolazioni legate alla stirpe dei Celti, gruppo d’origine indoeuropea che si era espanso in Francia, Spagna, Gran Bretagna e Italia con successivi movimenti migratori. Le popolazioni d’origine celtica occupano territori del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia. Sempre nell’Italia nord-occidentale abbiamo la presenza della popolazione dei Liguri di origine mediterranea (come dimostrerebbe la loro lingua). I Liguri hanno i loro principali centri lungo le coste del mar Tirreno, occupano territori della attuale Liguria e della costa francese, parte delle Lombardia e del Piemonte. Italia nord-orientale Nell’Italia nord-orientale abbiamo la popolazione dei Cenomani (d’origine indoeuropea) tra Lombardia e Veneto. Dei Veneti (sempre d’origine indoeuropea) nel territorio della regione omonima e parte del Friuli. Dei Reti nel territorio corrispondente all’attuale Trentino Alto Adige e degli Etruschi che occupano, nel periodo della loro massima espansione, anche parte del Veneto. Per l’Italia nord-orientale è da segnalare la M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 2 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon presenza presso il centro veneto di Adria di Etruschi e Greci (il nome “Adriatico” è stato dato dai Greci al mare che consentiva loro di raggiungere la città di Adria), ad Adria avvenivano notevoli scambi commerciali. Italia centrale L’Italia centrale è divisa in due parti dalla catena appenninica, sul versante tirrenico domina la civiltà etrusca (in Toscana, Emilia, parte del Lazio e della Campania), sul versante adriatico abbiamo la popolazione dei Piceni. La fascia appenninica è occupata da popolazioni d’origine indoeuropea definite “italiche”, sono, a partire dal Nord: Umbri, Sabini, Sanniti. Tra Lazio e Campania abbiamo diversi popoli d’origine indoeuropea: Latini, Equi, Volsci, Ausoni. Sulle coste campane troviamo le prime colonie greche a Cuma, ad Ischia, a Posidonia ed Elea. Italia del sud e Sardegna Nella regione pugliese si sono stabilite le popolazioni degli Apuli, dei Dauni, degli Iapigi e dei Messapi. Anche in Puglia vi sono delle colonie greche, le più importanti sono a Otranto (Idrunte), Gallipoli e Taranto (Taras). Nel Territorio della Basilicata vi sono i Lucani (nelle zone interne) e colonie greche sul mare (Metaponto, Eraclea, ecc.). Il territorio calabrese e quello siciliano si caratterizzano per la presenza nelle zone interne di popolazioni d’origine italica (Bruzi in Calabria, Sicani e Siculi in Sicilia) e per la diffusione sulle coste di colonie greche: Sibari, Crotone, Reggio, Metauro ecc. per la Calabria e Naxos, Catania, Siracusa, Taormina, ecc. per la Sicilia. Sempre in Sicilia vi sono delle colonie d’origine cartaginese sulla punta nord-occidentale (Selinunte e Panormo, oggi Palermo, ecc.). Il territorio sardo vede la presenza sulle coste del sud di colonie cartaginesi (Nora, Sulcis, ecc.) e nel territorio centrale l’occupazione della popolazione dei Sardi. In questi secoli si vanno definendo, in tutto il territorio italiano, gli insediamenti urbani che daranno origine alle moderne città dove viviamo. I gruppi umani che occupano il territorio italiano, dai Celti alle popolazioni d’origine fenicia, sono, come abbiamo avuto modo di vedere, profondamente diversi per civiltà, cultura, esperienze. Questa profonda eterogeneità durerà però ancora solo per qualche secolo, già nel II secolo a.C., infatti, tutto il territorio italiano sarà controllato da una unica grande forza, la potenza di Roma. 3. Breve storia di Roma antica 3.1 Le origini Un popolo, destinato a governare su gran parte del mondo conosciuto, difficilmente poteva accettare d’avere delle origini da gruppi di pastori-agricoltori, come tanti altri che popolavano l’Italia agli inizi del primo millennio a.C. Per tale motivo ai ragazzi romani veniva raccontato che i fondatori della loro città, Romolo e Remo, erano diretti discendenti di Enea, l’eroe troiano fuggito dalla propria città (Troia o Ilion) a causa della distruzione della stessa ad opera degli Achei. In realtà le origini di Roma non hanno nulla di “eroico”, ma sono legate come tanti altri eventi storici, ad una particolare mescolanza di condizioni favorevoli, fortuna, valore. Il sito sul quale ebbe origine il nucleo originario della città si trova in prossimità del fiume Tevere, a poca distanza dal mare, nel punto in cui un ansa e la presenza di un’isola al centro consentivano un più facile guado. Proprio per la relativa facilità con la quale si poteva attraversare, quel luogo divenne centro di convergenza per le vie che univano Nord e Sud (anche gli Etruschi usavano tali percorsi) e il mare con le zone interne (alle foci del Tevere esistevano già dall’antichità delle saline e il loro prezioso prodotto veniva trasportato e venduto nel territorio dell’interno, la strada che passa per Roma e che unisce il mare con l’interno si chiamerà “Salaria” proprio per la tipologia di prodotto soprattutto trasportata). Non bisogna poi dimenticare che lo stesso fiume rappresentava uno strumento di viabilità molto usato nei tempi antichi. La condizioni favorevoli del sito consentirono, tra la fine del secondo millennio e l’inizio del primo, il formarsi di un luogo nel quale avvenivano gli scambi commerciali: il “Foro boario”. Nelle vicinanza di questo luogo di pianura, piuttosto acquitrinoso e malsano, si trovavano dei colli che proprio per la loro struttura sopraelevata offrivano un ambiente ideale per il sorgere del villaggio. Abbiamo così che sul colle Palatino (poco distante dal fiume), luogo già abitato in età arcaica da gruppi dediti alla pastorizia, si intensifica la presenza umana e gli insediamenti. In particolare arrivano gruppi, di origine latina, provenienti dai Colli Albani. Ben presto sorsero altri villaggi sul colle Celio e sull’Esquilino, Roma come città non era M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 3 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon ancora nata, ma gia si erano formati i “romani” (nel linguaggio locale il fiume si chiamava “rumon”, e il termine con il quale si chiamavano coloro che vivevano vicino al fiume era “ramnes” da qui “romani”). I villaggi formatisi sui colli ebbero in origine una forma di aggregazione federativa (il Septimontium), solo nell’VIII secolo, con l’insediamento di gruppi Sabini sul colle del Quirinale si ebbe una profonda trasformazione. I gruppi sabini, molto numerosi, entrarono presto in contrasto con i gruppi già insediatisi negli altri colli (nell’ambito di questi contrasti si colloca la leggenda del “Ratto delle sabine”) e il loro prevalere diede origine ad un’unica realtà: la città di Roma. APPROFONDIMENTO ........ IL MITO DELLE ORIGINI Secondo la leggenda quando Troia venne conquistata dagli Achei (verso la fine del II Millennio. a.C.), uno dei pochi difensori della città che riuscì a fuggire fu Enea, figlio di Anchise e della dea VenereAfrodite. Enea nella sua fuga portò con sé il padre, Anchise, e il figlio, Ascanio, (la moglie era morta durante l’assalto finale alla città di Troia). Dopo diversi anni di viaggio, e dopo aver vissuto molte avventure, finalmente Enea arriva sulle coste dell’attuale Lazio, qui sposa Lavinia, figlia del re locale, e con lei fonda una città (a cui darà lo stesso nome della moglie), anche Ascanio, il figlio di Enea, fonda una città Alba Longa. Ebbene fu proprio una contesa per la successione sul trono della città di Alba Longa a dare origine a quella serie d’eventi che si concluderanno con la fondazione di Roma, vediamo come andarono le cose secondo la leggenda. Dopo otto generazione dall’arrivo di Enea (quindi circa 200 anni dopo, ossia all’inizio del secolo VIII a.C.) i due figli del re di Alba Longa si misero al litigare per la successione al trono, in particolare Amulio contestava al fratello Numitore, legittimo successore al trono, il diritto alla sovranità. Amulio arrivò al punto di rovesciare Numitore, legittimo sovrano, uccidendone quindi tutti i figli tranne una ragazza: Rea Silvia, questa fu obbligata ad entrare nel collegio delle vestali e quindi a fare il voto di castità. Avvenne, però, che un giorno mentre Rea Silvia si era addormentata lungo le rive del fiume, passasse il dio Marte il quale innamoratosi di lei la mise incita senza nemmeno svegliarla. Lo zio Amulio si arrabbiò moltissimo per questo fatto e appena Rea Silvia partorì raccolse i due gemelli appena nati e li pose in una cesta abbandonandoli sulle acque del Tevere, lasciando andare i due bambini alla deriva. I due piccoli, piangendo rumorosamente, richiamarono l’attenzione di una lupa che invece di mangiarli li allattò (per questo la lupa è rimasta quale simbolo di Roma), furono quindi trovati da un pastore che li raccolse e li fece crescere come figli propri. I due gemelli, chiamati Romolo e Remo, una volta cresciuti vennero a conoscenza della loro storia e decisero di tornare ad Alba Longa per vendicare la madre e il nonno, e così fecero. Ritornarono nella città, uccisero Amulio e rimisero sul trono il legittimo regnante Numitore. Dopo aver compiuto la vendetta decisero di fondare una nuova città che chiamarono Roma, per tradizione la data è il 753 a.C. Per delimitare la zona che doveva racchiudere la nuova città scavarono, con l’aiuto di due buoi, un profondo solco, fatto il solco giurarono che avrebbero ucciso chiunque avesse osato oltrepassarlo senza il loro permesso. Avvenne però che Remo, arrabbiato con il fratello, osasse passare il solco prima tracciato senza chiedere il permesso a Romolo e questi lo uccise. Possiamo osservare come la leggenda cerchi di trovare delle straordinarie origini ad una città destinata a diventare straordinaria. Enea è un eroe troiano; Venere-Afrodite e Marte sono due divinità, la prima simboleggia l’amore, la seconda la guerra, entrambe queste due componenti sarebbero quindi state presenti nell’animo dei cittadini romani. 3.2 L’età regia (753-509 a.C.) L’anno 753 a.C. come data di fondazione della città ha valore solo per la tradizione, non esiste, infatti, un momento esatto nel quale la città viene fondata. Possiamo dire che nel VIII sec. a.C. le genti che vivevano sui colli vennero radunate sotto il potere di un unico re, affiancato da un senato (la parola “senato” deriva dal termine “senex” che significa “vecchio”, e in effetti il senato era formato dalle persone più anziane, considerate più sagge) costituito da esponenti delle famiglie più importanti. Il sistema monarchico era non ereditario ma elettivo. Secondo la tradizione furono sette i re di Roma, tuttavia se si considera l’ampio intervallo di tempo dell’età regia (244 anni) si comprende come il numero dei re deve essere stato superiore. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 4 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Delle figure conosciute dei sette re solo Romolo ha carattere leggendario, di tutti gli altri vi sono notizie storiche che ne confermano l’esistenza. I quattro re di origine Sabina I quattro re successivi a Romolo: Tito Tazio, Numa Pompilio, Tulio Ostilio e Anco Marzio, sono tutti di origine sabina. Durante la reggenza di questi re gli eventi più significativi furono: la distruzione della vicina città di Alba Longa (che ormai era diventata rivale di Roma) la conquista del territorio alle foci del Tevere (importante per la presenza delle saline e perché consentiva un diretto accesso al mare) costruzione di un ponte stabile sul Tevere sfruttando l’isola Tiberina (alla fine del VII sec. a.C.) Il periodo dei tre re d’origine etrusca All’inizio del VI secolo un nobile d’origine etrusca (Tarquinio Prisco era nato a Tarquinia) riuscì, grazie ad una congiura di palazzo, ad assumere il potere a Roma, sostenuto dalla classe dei commercianti e artigiani (il carattere non ereditario del titolo monarchico consentiva una tale assunzione di potere). Con Tarquinio Prisco la civiltà di Roma venne in diretto contatto con quella etrusca (che allora era al massimo splendore), grazie a questo rapporto Roma si trasformerà in una città vera e propria (gli Etruschi erano degli abili costruttori di città). Ai regnati d’origine etrusca si devono, infatti, diversi lavori di sistemazione urbanistica: il livellamento del Foro Boario lo scavo di un canale di scolo all’interno della città (la cloaca Massima) opere di bonifica e prosciugamento costruzione di una cinta muraria difensiva di 7 Km attorno al centro abitato (nel quale presumibilmente vivevano 15-20.000 persone) Con Tarquinio Prisco e i suoi due successori Servio Tullio e Lucio Tarquinio detto il Superbo, ebbe un notevole impulso anche l’attività di espansione e controllo territoriale, tanto che con Tarquinio il superbo la città aveva raggiunto ormai una vera e propria supremazia sull’intera regione laziale. 3.3 La Repubblica (509-27 a.C.) 3.3.1 Dalla monarchia alla repubblica Le continue lotte intraprese da Tarquinio il Superbo per l’espansione territoriale e il suo aver favorito la plebe (il termine ”plebe” deriva dal latino “plus” che significa “moltitudine” e indica quanti non appartengono ai gruppi familiari dei “padri” fondatori della città: i “patrizi”) spinsero gruppi di patrizi a ribellarsi al re durante una sua assenza da Roma. Tarquinio si rivolse allora a Porsene, re della città etrusca di Chiusi, per avere un aiuto. Nonostante la tradizione romana non ammetta la sconfitta, e anzi approfitta della scontro per suscitare l’amor patrio (è in questo ambito che vengono collocate le gesta di Orazio Coclide che riesce, da solo, a fermare su un ponte l’avanzata dell’esercito etrusco; e di Muzio Scevola che si brucia volontariamente la mano che ha sbagliato, non essendo riuscito ad uccidere Porsenna il re etrusco), Porsenna riuscì a sconfiggere i Romani. Poco dopo, però, lo stesso Porsenna venne sconfitto dall’esercito delle popolazioni latine, alleate con i Greci della città di Cuma, e si ritirò da Roma. Dopo l’allontanamento del re il potere a Roma fu assunto da due consoli (naturalmente il senato rimase quale istituzione fondamentale del sistema, anzi con l’età repubblicana acquisì maggior forza). Sulla neonata Repubblica intanto incombeva un grave pericolo: bande di Volsci ed Equi dalla fascia appenninica avevano iniziato a premere con intenti ostili sul territorio del Lazio. 3.3.2 Dalla conquista del Lazio al controllo di tutto il territorio della penisola Come abbiamo visto nel IV sec. a.C. il territorio italiano è abitato da popolazioni d’origine diversa, i Romani, nella loro attività di conquista, arriveranno a scontrarsi con molte di queste popolazioni (con molte altre trovarono degli accordi, magari per combattere contro nemici comuni, è il caso dei Veneti che fecero un patto con i Romani per combattere i Celti, comuni nemici). Gli anni della Repubblica furono anni di scontri, di vittorie e sconfitte, le popolazioni che fecero maggior resistenza alle conquiste romane furono: a. I popoli della fascia appenninica (Volsci, Equi, Sanniti) b. Gli Etruschi (residenti nel Lazio settentrionale, in Toscana e in Emilia) M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 5 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon c. I Celti (o Galli, stabilitisi nell’Italia nord-occidentale e in parte dell’Emilia) d. Le colonie greche dell’Italia meridionale e. I Punici (colonie cartaginesi insediatisi in Sicilia e Sardegna) a. Gli scontri con i popoli della fascia appenninica I rapporti ostili con le popolazioni degli Equi e dei Volsci sono legate più che alla volontà di conquista dei Romani, alla minaccia che questi gruppi rappresentarono per la stessa sopravvivenza di Roma. Nel corso del V secolo, infatti, gruppi di Equi e Volsci si spostarono dalla regione appenninica verso il territorio laziale occupando i colli Albani. Uniti con i Latini i Romani combatterono per alcuni decenni contro Equi e Volsci finché riuscirono ad avere la meglio. Molto più contrastato fu lo scontro con la popolazione dei Sanniti (questo popolo risiedeva nei territori compresi tra Campania e Puglia), in questo caso si trattava di una vera e propria guerra di conquista da parte dei Romani. Dopo aver firmato, nel 354 a.C., un patto di amicizia che garantiva ai Romani la supremazia sul Lazio, la popolazione sannitica arrivò nei suoi spostamenti verso al costa campana a minacciare la città di Capua, i Capuani chiesero aiuto ai Romani che non potevano intervenire volendo mantenere fede al trattato del 354 (anche se a molti ricchi cittadini romani l’idea di estendere la propria egemonia sui territori campani era molto gradita). Si uscì dalla difficile situazione grazie ad uno stratagemma: la città di Capua (abitanti, edifici pubblici e privati, e tutti gli altri beni) si consegnò a Roma dichiarandosi proprietà dello Stato romano, a questo punto lo scontro divenne inevitabile (prima guerra sannitica), durò solo pochi anni e quindi si ristabilì tra le due popolazioni un clima di pace. Purtroppo la pace durò molto poco, ben presto iniziarono nuove ostilità che portarono ad un conflitto che durerà per più di trent’anni e che mise a dura prova l’esercito di Roma, in questa seconda guerra sannitica i Romani subirono una vera disfatta nel 321 a.C. alle Forche Caudine, dove vennero umiliati dai nemici vittoriosi. Solo nel 304 a.C. l’esercito di Roma riuscì ad avere la meglio su quel popolo guerriero (quasi invincibile tra le sue montagne), distruggendo il principale centro sannitico: Bovianum. b. L’annessione delle città etrusche Nel corso del V secolo la presenza dei Romani sui colli Albani ebbe gravi ripercussioni nei rapporti con le città etrusche, in particolare con la città di Veio. I Romani seppero approfittare della rivalità esistente tra le diverse città etrusche per conquistarle o annetterle, Veio fu conquistata e distrutta nel 396 a.C., dopo 10 anni di lotte senza che nessun’altra città amica portasse aiuto. Dopo Veio tutte le città etrusche esistenti nel territorio attorno a Roma, e non solo, passarono sotto il diretto controllo dei Romani. La relativa facilità con la quale i Romani presero possesso delle città è legata alla rivalità esistente tra le diverse città, come è dimostrato dal fatto che queste furono incapaci di costituire un’unica forza contro la potenza avversaria. c. I Celti (o Galli) Originari dell’Europa centrale, l’arrivo in Italia di tribù appartenenti al gruppo dei Celti inizia nel secolo X a.C. e si intensifica nei secoli VI-V. Stanziatisi nella pianura Padana le tribù celtiche non avevano propensione per il lavoro della terra, vivendo secondo forme di seminomadismo. Dal IV secolo a.C. si osserva un assestamento negli insediamenti delle varie tribù, è in questi anni che i centri di Milano e Bologna ricevono un notevole impulso allo sviluppo proprio grazie alla presenza celtica. I Romani vennero a conoscenza dei Celti (da loro chiamati Galli) in modo tragico nel 390 a.C., quando una tribù dal versante adriatico emiliano puntò decisamente verso Roma senza quasi incontrare ostacoli. L’esercito inviato dai Romani non riuscì a fermare l’avanzata di guerrieri che impressionarono i soldati per la loro ferocia e audacia. Roma, ormai senza difesa, venne abbandonata da donne e bambini che furono inviati nella vicina città etrusca di Caere; gli uomini ritiratisi nella rocca capitolina resistettero per alcuni mesi poi dovettero arrendersi e consegnare ai Galli un ingente tesoro, la città venne incendiata e quindi i Galli proseguirono verso il meridione, nella regione dell’Apulia. Dopo la tragica esperienza del 390 a.C. per diversi anni tra Romani e Galli non vi furono scontri, questi ripresero nel III secolo, quando spostamenti di popolazioni dal nord Europa spinsero altre tribù celtiche in Italia, qui, assieme alle tribù residenti (Boi, Insubri, Taurisci nella zona di Torino quest’ultimi, ecc.), mossero verso il centro Italia, (solo i Cenomani, assieme a i Veneti rimasero fedeli a Roma). L’esercito, composto da 200.000 soldati, mandato da Roma riuscì a sconfiggere i nemici a Talamone (vicino a Grosseto) nel 224 a.C.. Dopo Talamano, al fine di evitare il ripetersi di tali pericolosi movimenti ostili, i Romani decisero di occupare la pianura Padana combattendo le tribù nemiche, e così fecero, ben presto M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 6 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon quasi tutto il territorio del nord Italia (mancherà solo il Piemonte e la Liguria) sarà sotto il diretto controllo di Roma e le tribù celtiche avversarie allontanate dal territorio della penisola italiana. Lo scontro tra Romani e tribù celtiche continuerà anche nel secolo successivo, ma solo sul territorio francese e tedesco. d. Le colonie greche dell’Italia meridionale La presenza di colonie greche nell’Italia meridionale è testimoniata già dall’VIII sec. a.C., nel corso del VII e VI secolo gli insediamenti aumentarono notevolmente di numero occupando quasi completamente le coste calabre e parte delle coste pugliesi e siciliane. L’occupazione fu talmente diffusa che questa parte d’Italia venne chiamata “Magna Grecia” (“Grande Grecia”), le colonie mantenevano stretti rapporti con le città d’origine (o città madri). I Romani vedono con suggestione e rispetto le colonie greche, riconoscendo la superiorità della civiltà greca. Agli inizi del III sec. a.C. i rapporti tra Romani e Greci era improntato a principi di amicizia e rispetto (d’altra parte nel loro conflitto con i Sanniti i Romani fecero un grande favore alle colonie, costantemente minacciate da quel popolo guerriero), avvenne però che nel 282 a.C. la colonia greca di Thurii sentendosi minacciata dal popolo dei Lucani decide di chiedere aiuto ai Romani, l’esercito romano interviene, vince i Lucani e lascia a presidio della zona delle guarnigioni in diverse città (Thurii, Reggio, Locri, Crotone, ecc.), la presenza dell’esercito di Roma non è però gradita alla colonia greche più importante della zona: la città di Taranto. E proprio con Taranto, dopo alcuni atti provocatori, si arriverà al conflitto. La colonia chiede aiuto a Pirro re dell’Epiro (territorio nell’attuale Albania). Pirro sbarca in Italia nel 280 a.C. con un esercito di 25.000 sodati e una ventina di elefanti, le popolazioni della Magna Grecia si allinearono dalla sua parte. Il primo scontro tra Pirro e l’esercito romano avvenne ad Eraclea (sulla costa ionica) e fu vittorioso per il re dell’Epiro, anche altri scontri successivi furono per lui vittoriosi, non solo, considerate le sue vittorie venne chiamato anche dalle colonie greche in Sicilia per combattere i Cartaginesi, e anche in Sicilia risulta vittorioso. Tuttavia ritornato sul territorio della penisola si trovò in una condizione di isolamento e ciò consentì all’esercito romano di affrontarlo e sconfiggerlo in modo definitivo nel 275 a.C. presso la città di Maleventum (dopo la vittoria ribattezzata dai Romani Beneventum). e. Lo scontro con le colonie puniche di Sicilia Il termine “punico” deriva dal latino “poenus” che a sua volta deriva dal greco “phoiniks”: fenicio. In effetti le colonie puniche siciliane sono d’origine fenicia dato che furono fondate dai cittadini di Cartagine, città d’origine fenicia sorta sulle coste africane in una posizione molto vicina all’isola siciliana. L’insediamento di coloni cartaginesi in Sicilia inizia già dal VII sec. a.C., in concorrenza con gli insediamenti greci (saranno proprio i cartaginesi a limitare l’espansione territoriale in Sicilia dei Greci). Nel 509 a.C. Romani e Cartaginesi firmano un accordo secondo il quale i Romani non dovevano interferire con le questioni relative alla Sicilia, altri trattati di pace furono stipulati nei secoli successivi, ancora nel 360 a.C. i romani riconoscono il diritto d’influenza cartaginese sulla Sicilia. I rapporti pacifici tra Roma e Cartagine non potevano però durare a lungo, Roma era ormai divenuta la principale potenza in Italia e Cartagine rappresentava la principale potenza nel mar Mediterraneo, lo scontro era inevitabile, mancava solo l’occasione per iniziare le ostilità. Questa occasione si presentò nel 264 a.C. quando Messina chiese a Roma aiuto per difendersi dagli attacchi dei Cartaginesi di Sicilia. Ben presto si comprese che lo scontro non si sarebbe limitato alla conquista da parte dei Romani dei territori siciliani, ma sarebbe arrivato alla distruzione di una delle due potenze in lotta. Ciò che era in gioco non era il controllo della Sicilia, ma la supremazia su tutto il mare Mediterraneo. 3.3.3 La supremazia sul Mediterraneo, le conquiste in Spagna, nei Balcani e in Asia Minore La supremazia sul mar Mediterraneo: lo scontro con Cartagine Agli inizi del III sec. a.C. lo Stato cartaginese aveva raggiunto una notevole grandezza e potenza (la popolazione era di circa 4.000.000 di abitanti, contro 1.000.000 circa di cittadini romani) lo scontro con Roma per il controllo del mar Mediterraneo era inevitabile ora che Roma aveva occupato buona parte dei territori d’Italia. Lo scontro tra le due grandi potenze durò per più di 100 anni (dal 264 al 146 a.C.) concentrato in tre momenti diversi: le tre guerre puniche (264-241 a.C.; 218-202 a.C.; 149-146 a.C.). M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 7 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Prima guerra punica (264-241 a.C.) Come abbiamo visto l’occasione per l’inizio delle ostilità fu la richiesta d’aiuto da parte della città siciliana di Messina. Dopo notevoli incertezze i Romani decisero di intervenire, e così nel 264 a.C. passarono lo stretto di Messina ed entrarono nel territorio siciliano. Dopo una serie di scontri favorevoli l’esercito romano riuscì a scacciare dalla Sicilia i Cartaginesi, ma non soddisfatto, convinti della necessità distruggere Cartagine, apprestarono una grande flotta (230 navi) e partirono contro la città africana. In mare aperto la flotta romana si scontrò con quella cartaginese e i Romani ebbero la meglio tanto da decidere di sbarcare in Africa per distrugge la città ostile. Sul territorio africano l’esercito romano venne però sconfitto e pochi superstiti ritornarono in patria, intanto però Sicilia e Sardegna erano passate sotto il controllo di Roma. Seconda guerra punica (218-202 a.C.) Nel 221 a.C. ricominciarono le ostilità tra Roma e Cartagine, in quell’anno, infatti, venne eletto capo dell’esercito cartaginese Annibale, questi essendo profondamente antiromano e volendo vendicare le sconfitte del precedente conflitto trovò nel 218 una scusa per dichiarare guerra a Roma. La strategia d’attacco di Annibale lascerà esterrefatti i Romani, egli infatti decise di partire dai territori cartaginesi di Spagna per occupare, attraversando le Alpi, il territorio italiano controllato dai Romani. Gli eserciti romani inviati per fermare l’invasione vennero battuti (anche per l’aiuto dato ai Cartaginesi dai Galli), l’esercito di Annibale, con i suoi elefanti, scese quindi lungo la costa adriatica fino alla Puglia, creando uno stato di grande apprensione a Roma. Nel frattempo i Romani contrattaccarono sbarcando un esercito guidato da Scipione l’Africano in territorio africano, qui nella battaglia di Zama del 202 a.C. i cartaginesi vengono sconfitti e costretti a chiedere la pace. Le condizioni della pace saranno severe per Cartagine: perdita di tutti i territori non africani privazione della flotta privazione dell’esercito i territori cartaginesi della Spagina meridionale sarebbero diventati provincia romana Terza guerra punica (149-146 a.C.) Con il trattato di pace successivo alla seconda guerra punica si era stabilito che Cartagine non potesse ricostituire un esercito. Nonostante questo divieto gli attacchi della vicina Numidia spinsero i Cartaginesi a non considerare quella clausola del trattato, ricostituendo un esercito di 50.000 uomini. I Romani, che probabilmente aspettavano l’occasione opportuna per distruggere definitivamente la rivale, considerata la violazione del trattato si sentirono autorizzati ad inviare l’esercito che pose l’assedio alla città e ai suoi 300.000 abitanti. L’assedio durò per alcuni anni, fino a quando la città venne conquistata e distrutta, i pochi sopravissuti vennero venduti come schiavi. Per la potenza di Cartagine fu la fine definitiva. La conquista della penisola Iberica Gli sviluppi della seconda guerra punica avevano portato diversi eserciti romano-italici in Spagna a combattere i Cartaginesi, con la sconfitta cartaginese i territori della Spagna meridionale diventarono provincia romana. Quindi nel corso del III sec. a.C., gradualmente, tutto il territorio della penisola iberica passò sotto il controllo di Roma. L’espansione nei Balcani e in Asia Minore I Romani erano venuti a conoscenza della civiltà greca grazie alle colonie presenti in Italia, ed erano rimasti affascinati da una cultura che riconoscevano superiore. Così nel 201 a.C. quando le città di Rodi e Pergamo (in Asia Minore) chiedono aiuto a Roma per affrontare il re di Macedonia, questa accetta. L’intervento di Atene (nel 200 a.C.) a fianco di Roma fa si che l’intervento romano assuma anche un valore ideale, l’esercito di Roma che si trova a difendere il patrimonio culturale e di civiltà che avevano saputo esprimere le poleis greche. Nel 197 a.C., in Tessaglia, l’esercito romano ebbe la meglio su quello di Filippo (re della Macedonia). Filippo dovette rinunciare alle sue mire di conquista, pagare una grossa indennità di guerra, ridurre l’esercito a non più di 5000 uomini e consegnare la flotta. Il profondo rispetto che i Romani avevano per le poleis greche si manifestò nell’elevato grado di libertà e autonomia loro concesso. Quando la pace sembrava ristabilita, Antioco III, re di Siria, tenta di conquistare i territori della Grecia, ma anche lui viene sconfitto dai Romani, non solo, questi lo inseguono in Asia Minore dove si era ritirato e lo sconfiggono in modo definitivo a Magnesia nel 189 a.C.. Roma in tal modo arriva a controllare i territori della Grecia e di parte dell’Asia Minore. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 8 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Nella seconda metà del II sec. a.C. dei tentativi di rivolta in Macedonia e Grecia vennero repressi dall’esercito di Roma, la Macedonia venne trasformata in provincia di Roma e nelle città greche venne notevolmente ridotta l’autonomia. Ormai il controllo romano del bacino del mar Egeo era completo. 3.3.4 Le conquiste dell’ultimo periodo della Repubblica (secc. II-I a.C.) Dopo le conquiste nei paesi balcanici e in Asia Minore, nonostante l’ultimo secolo della Repubblica sia travagliato da gravi crisi interne, continuano le conquiste in Asia Minore: Frigia, Bitinia, Ponto (territori dell’attuale Turchia) Cilicia Siria in Africa: Cirenaica (sulla costa africana del mar Mediterraneo) Numidia (odierna Tunisia) in Europa: Gallia (territori dell’attuale Francia e Belgio) Ormai i territori controllati direttamente o indirettamente da Roma coincidevano con buona parte del mondo allora conosciuto. Le ricchezze, legate ai bottini di guerra, erano immense, la velocità con la quale si era formato un tale impero ebbe però delle gravi ripercussione sul sistema di governo repubblicano e in qualche modo preparò il terreno per l’avvento del sistema imperiale. 3.3.5 La crisi del sistema repubblicano, il malcontento e la guerra sociale (I sec. a.C.) Se la potenza militare aveva consentito a Roma la conquista di immensi territori, la loro conservazione e amministrazione fu possibile grazie alla perfetta organizzazione dello Stato repubblicano. Tale sistema resse per più di quattro secoli, tuttavia quando nella città iniziarono ad arrivare immense ricchezze successe quello che può succedere in una famiglia che vive in armonia e unità nel momento della difficoltà economica, e che, dopo la vincita di una grossa somma di denaro, si trasforma l’armonia diventa lotta e l’unità contrasto. Il sentimento dominante diventa la rabbia per la percezione di una ingiusta distribuzione delle ricchezze, e con ciò il malcontento. Le cause del diffuso malcontento tra i cittadini di Roma Le conquiste del II sec. a.C. ebbero delle forti ripercussioni innanzitutto in campo economico e sociale. L’economia agricola diffusa nei territori romani era nei secoli iniziali della Repubblica una economia caratterizzata dalla piccola proprietà, con le conquiste territoriali e l’aumento delle ricchezze in mano a pochi, la piccola proprietà venne gradualmente sostituita nella lavorazione della terra dalla grande proprietà, nascono le “ville” e soprattutto i “latifondi”; l’agricoltura si trasforma, da agricoltura di consumo ad agricoltura di produzione (con colture particolari destinate alla vendita). Questa trasformazione è imputabile, oltre che alla concentrazione di ricchezza, alla grande disponibilità di schiavi (soprattutto prigionieri di guerra) usati per i lavori nei campi. Ora il diffondersi del latifondo costrinse molti piccoli proprietari a cedere la proprietà e a cercare nell’urbe (a Roma) una possibilità di sopravvivenza, è in questo periodo che Roma si riempie a dismisura con un proletariato urbano facilmente strumentabilizzabile nelle lotte tra fazioni in lotta. I tentativi di risolvere la crisi: le leggi agrarie dei fratelli Gracco Proprio per porre un limite alla diffusione della grande proprietà terriera a danno della piccola proprietà, e per rispondere così al diffuso malcontento, Tiberio Gracco (eletto tribuno della plebe nel 133 a.C.) propose una riforma agraria che poneva un limite per legge alla grandezza del latifondo che poteva essere posseduto da una persona (il limite indicato fu di 500 iugeri, più 250 per figlio fino ad un massimo di 1000 iugeri, circa 250 ettari), il territorio recuperato sarebbe stato distribuito ai nullatenenti in lotti di 30 iugeri (sette ettari e mezzo) ciascuno, in cambio di un canone minimo pagato allo Stato. Nonostante le proteste dell’aristocrazia senatoria, la legge venne approvata (Tiberio Gracco venne però ucciso nel 132 a.C.). L’applicazione della legge venne attuato dal fratello di Tiberio, Gaio, questi, nel 122 a.C., emanò altre leggi a favore della plebe, ma anche lui venne ucciso. La riforma agraria dei due fratelli rispose, almeno in parte, al diffuso malcontento della classe più povera, la fine tragica dei due fratelli dimostra però quanto la classe più ricca, legata ai propri privilegi, fosse avversa alle riforme che toccavano i suoi interessi. La netta divisione che si andava così costituendo tra le diverse classi sociali sarà la causa prima delle guerre civili del I sec. a.C. e del futuro avvento della struttura imperiale. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 9 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon La “guerra sociale” e l’estensione della cittadinanza romana ai popoli italici (90-88 a.C.) Con i primi movimenti di espansione territoriale si creò all’interno del territorio governato da Roma una distinzione, indipendente dal censo e dalla classe sociale d’appartenenza, tra quanti erano cittadini romani e quanti non lo erano. Essere cittadini romani comportava una serie di vantaggi notevoli (tra questi la possibilità di ricevere parte delle terre conquistate dall’esercito). Ora i popoli italici alleati (detti “soci” da qui “guerra sociale”, ossia guerra contro i “soci”) di Roma, che avevano combattuto assieme ai Romani le truppe di Annibale in Italia, durante la seconda guerra punica, facevano sempre più fatica ad accettare la condizione svantaggiosa derivante dalla mancata cittadinanza e iniziarono un movimento di protesta. La protesta degenerò ben presto in scontro armato vero e proprio (al movimento di ribellione non aderirono le popolazioni dei Latini, degli Etruschi, degli Umbri e delle città greche meridionali), e quindi assunse la fisionomia di un movimento separatista. Gli scontri tra le popolazioni ribelli e l’esercito si susseguirono per circa un anno, poi i Romani proposero la cittadinanza a quanti fossero passati dalla loro parte e questa proposta scompaginò il fronte italico, molti decisero di arrendersi e così l’esercito di Roma poté sconfiggere le popolazioni ribelli rimanenti. Nonostante la sconfitta i romani riconobbero il diritto alla cittadinanza romana anche a chi non era romano e così questa venne estesa a tutte le popolazioni italiche. 3.3.6 Dalla Repubblica all’Impero (I sec. a.C.) Le guerre civili Apparentemente il sistema repubblicano era riuscito a ritrovare un proprio equilibrio rispondendo al malcontento mediante la riforma agraria e l’estensione della cittadinanza romana, in realtà i motivi della divisione erano ancora presenti nella società romana e non avrebbero tardato a farsi sentire in quelli che possono essere definiti i “peggiori conflitti”, gli scontri tra cittadini in quelle che vennero definite “guerre civili”. Di “guerre civili” ce ne furono diverse dall’89 al 31 a.C., 60 anni di conflitti per il potere tra generali, consoli, capi dell’esercito, mentre il potere del senato veniva ridotto sempre di più. Lo scontro tra Mario e Silla (89-78 a.C.) Il primo scontro aperto tra cittadini romani si ebbe tra Mario e Silla (il console Mario era vicino alla classe popolare, mentre Silla, in un primo tempo suo luogotenente, sosteneva gli interessi della classe aristocratica). La lotta per il potere tra Mario e Silla fu veramente senza esclusione di colpi. Mentre Silla era impegnato nella guerra in Asia Minore, Mario fece uccidere tutti i principali sostenitori dell’avversario e ne fece sequestrare i beni, stessa cosa fece Silla quando, ritornato in Italia, riuscì a battere l’esercito nemico ritornando al potere. Silla addirittura emanò una vera e propria lista di proscrizione, quanti erano indicati nella lista potevano essere uccisi (si sarebbe ricevuto un compenso dallo Stato) e i beni confiscati. Circa 5000 persone vennero uccise, e i loro beni confiscati andarono ad arricchire quanti erano vicini a Silla. Silla rimase al potere solo due anni nei quali cercò di riformare lo Stato per renderlo più stabile, quindi si ritirò a vita privata, morì nel 78 a.C. Pompeo, Crasso, Cesare (il primo triumvirato 60-44 a.C.) La riforma di Silla a favore del senato non riuscì ad impedire che altri due generali divenuti consoli, Pompeo e Crasso, assumessero poteri enormi e che tra loro nascessero invidia e gelosia, che tanti danni avevano fatto pochi anni prima con Mario e Silla. Il crescente potere di Pompeo e Crasso venne contrastato da Giulio Cesare, i tre nel 60 a.C. stringono un accordo con il quale si impegnano a mantenere la pace tra loro, l’accordo durerà poco. Nel 58 a.C. Cesare ottiene un esercito per conquistare la Gallia e dopo alcuni anni di combattimenti ritorna vincitore. I suoi successi suscitano le invidie di Pompeo e del senato, Crasso era nel frattempo morto, e quando il conquistatore della Gallia ritorna in Italia si vede privato, da Pompeo, dei poteri che gli erano stati conferiti, un nuovo scontro era inevitabile. Nel mese di gennaio del 49 a.C. attraversato il fiume Rubicone (al confine tra Gallia Cisalpina e Stato romano) Cesare marciò con il suo esercito verso Roma. Pompeo si spostò allora in Grecia con il proprio esercito e qui avvenne lo scontro decisivo. Sconfitto, Pompeo scappo in Egitto presso la corte di Tolomeo, ma qui venne ucciso. Cesare si spostò quindi in Egitto dove riuscì ad imporre Cleopatra (figlia di Tolomeo) quale regina, si trattenne quindi presso di lei per nove mesi e dalla loro unione nacque un figlio (Cesarione). I poteri assunti da Cesare, ora che gli altri due triumviri erano morti, erano enormi, ottenne nel 46 la dittatura per dieci anni (carica fino ad allora solo temporanea e collegata a gravi emergenze), e nel 44 la M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 10 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon trasformò in dittatura a vita. Assunse quindi il titolo di “imperator” e padre della patria, ebbe inoltre facoltà di riprodurre la propria immagine sulle monete, assunse i massimi poteri anche in campo religioso (pontefice massimo). Il senato aveva ormai assunto un atteggiamento servile nei confronti dell’uomo, l’instaurarsi di una forma di governo monarchico sembrava ormai vicina quando Cesare venne ucciso(nel marzo del 44 a.C.), su Roma ripiombò l’incubo delle guerre civili. Antonio, Lepido, Ottaviano (il secondo triumvirato 43-31 a.C.) Dopo la morte di Cesare, nonostante i contrasti tra Antonio (guida dei sostenitori di Cesare), Ottaviano (nipote di Cesare e suo erede universale) e Lepido (comandante delle truppe della Gallia transalpina) si forma, nel 43 a.C., un secondo triumvirato, anche questo destinato a durare molto poco. In nome della memoria di Cesare i tre si accordano per sopprimere quanti erano stati contrari al dittatore ucciso, si formano così nuovamente delle liste di proscrizione (i congiurati assassini di Cesare erano nel frattempo scappati in Grecia) degli avversari da eliminare e dei beni da incamerare (lo stesso Cicerone venne ucciso). Un atmosfera di terrore si diffuse nuovamente a Roma e in tutto il territorio dello stato romano. Nel frattempo la posizione ambigua di Lepido fece si che questi venisse emarginato (successivamente estromesso), a vantaggio di Antonio e Ottaviano. I due, dopo aver sconfitto i principali responsabili dell’uccisione di Cesare decisero di spartirsi il controllo dell’impero. A Ottaviano l’Occidente e ad Antonio l’Oriente. Antonio si unì a Cleopatra, regina d’Egitto, e si avvicinò ai costumi orientali. Proprio su questa debolezza puntò Ottaviano, che voleva eliminare il rivale, convinse l’opinione pubblica e il senato di Roma che Antonio voleva trasferire la capitale ad Alessandria d’Egitto e far diventare Cleopatra regina dell’impero. Anche in questo caso si arrivò allo scontro. Gli eserciti di Ottaviano, da una parte, e di Antonio e Cleopatra, dall’altra, si scontrarono nella battaglia navale di Azio (vicino alla coste dell’Epiro nella penisola balcanica) nel 31 a.C., Ottaviano ne uscì vincitore e Antonio e Cleopatra si uccisero, anche l’Egitto divenne una provincia di Roma. Con la morte di Antonio, Ottaviano era rimasto solo al potere, egli cominciò da subito una grandiosa opera di riorganizzazione dello Stato romano, dando inizio all’era del principato, pur non mutando nella forma le istituzioni, diede vita, di fatto, alla trasformazione della Repubblica in Impero. 3.4 L’età imperiale (27 a.C. - 476 d.C.) 3.4.1 L’impero di Ottaviano-Augusto (31 a.C.–14 d.C.) Se gli ultimi decenni della Repubblica erano stati un susseguirsi di guerre, i primi decenni dell'Impero furono dedicati all'edificazione della pace. Ottaviano, rimasto senza rivali dopo la vittoria di Azio del 31 a.C., evitò di proclamarsi re, accettando i titoli di: Imperator (comandante dell'esercito) Princeps (primo cittadino) Augustus (degno d'onore) apparentemente le istituzioni repubblicane sopravvivevano perché sopravvivevano le cariche, ma la loro accumulazione nella persona di un solo individuo ne testimonia la perdita di significato. L'intelligenza politica di Ottaviano-Augusto si rivelò ben presto nelle riforme orchestrate abilmente per consolidare, senza clamore, il potere imperiale. Alla disoccupazione e alla miseria, Augusto tentò di ovviare da una parte promuovendo una colossale edilizia pubblica (furono gli anni in cui Roma si arricchì di alcuni tra i più celebri edifici, dall'Ara Pacis al teatro di Marcello, dal Pantheon al mausoleo di Augusto), dall'altra organizzando per i poveri una forma di regolare assistenza (con elargizioni di pane) e vari divertimenti. Se le riforme di Augusto garantirono la pace militare e la pace sociale al suo lungo regno (dal 31 a. C. al 14 d. C.), non valsero però a conservare la stabilità politica dopo la sua morte, mancò infatti ai successori la capacità di perseverare nelle sue geniali intuizioni (per esempio l'alleanza tra potere e cultura realizzata dall’amico Mecenate). 3.4.2 Dinastia Giulio-Claudia (14 – 68 d.C.) Lo stesso Augusto aveva stabilito che l'imperatore designasse il suo successore o nel figlio biologico o in un figlio adottivo e così, alla sua morte, salì al trono il figlio della moglie Livia, Tiberio, cui seguirono altri sovrani della dinastia Giulio-Claudia (Caligola, Claudio, Nerone). Questi diedero inizio ad un uso personale e disinvolto dell'immenso potere imperiale, toccando abissi di assurda crudeltà e di follia (ricordiamo la persecuzione dei cristiani, accusati dell’incendio di Roma, fatta da Nerone nel 64 d.C.) M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 11 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon 3.4.3 Dinastie dei Flavi, Antonini, Severi (69-235 d.C.) Tra i Flavi (69-86) si distinse Vespasiano, abile amministratore. Tra gli Antonini (96-192) ricordiamo: Traiano (98-117 d.C., con lui l'impero romano raggiunse la massima estensione); il coltissimo Adriano (117-138 d.C.) e il filosofo Marco Aurelio (161-180 d.C.). Tra i Severi (193-235) emerse Caracalla, promotore della Constitutio antoniniana (del 212 d.C.) che concedeva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero. Con i Severi (III secolo d.C.) ebbe inizio una crisi tanto grave da minacciare la sopravvivenza stessa dell'impero, tra le cause principali di tale crisi possiamo indicare: l'eccessivo potere dei militari (in particolare dei pretoriani, le guardie dell'imperatore) da cui dipendeva in sostanza la designazione del nuovo imperatore la tendenza delle province a ribellarsi al potere centrale l'impoverimento delle campagne e quindi delle città ove la miseria generò criminalità l'aumento dei prezzi la forte pressione delle popolazioni barbariche alle frontiere 3.4.4 Il governo in mano alla forza militare (235 – 268 d.C.) Dal 235 e per un trentennio si visse un periodo di grave instabilità politica, gli imperatori, generali sostenuti da gruppi diversi di militari, si susseguirono a getto continuo (ben 5 solo nel 238 d.C.) e ciò condusse l’impero in una situazione di grave crisi. 3.4.5 La restaurazione imperiale: Diocleziano e Costantino (268 – 379 d.C.) Con Aureliano (270 -275 d.C.) l’imperatore cerca di recuperare il prestigio perduto e soprattutto cerca di rimettere insieme un impero che andava sempre più disgregandosi. Per il periodo che va dal 268 al 279 d.C. sono da segnalare due imperatori che, per la loro opera riformatrice ebbero grande importanza nella storia della civiltà romana: Diocleziano e Costantino. Ad affrontare la crisi del III secolo si adoperò l'imperatore Diocleziano (284-305 d.C.), con una riforma che mirava soprattutto a diminuire la centralità del potere imperiale. Egli dispose che il governo dell'impero fosse suddiviso tra due "augusti", ciascuno dei quali coadiuvato da un "cesare" (la cosiddetta tetrarchia, ossia governo a quattro). Egli, inoltre, si convinse che una delle principali cause dei mali dell’impero era da ricercare nell’abbandono della religione dei padri a favore delle nuove religioni orientali (tra queste la più pericolosa era il cristianesimo, diffuso anche tra i soldati, per il successo che aveva ottenuto), per tale motivo fu il promotore di una delle più feroci persecuzioni contro i cristiani (303-305 d.C.), l’ultima. Per ripristinare l'autorità imperiale, Diocleziano reintrodusse anche l'adorazione del sovrano come Dio, chiaramente inaccettabile per tutti i cristiani.. Nonostante tutte le iniziative di Diocleziano la decadenza dell'impero continuava sempre più grave. Il suo successore Costantino (306-337 d.C.) innanzitutto cambiò radicalmente il rapporto tra potere imperiale e cristiani (ora piuttosto numerosi), egli infatti con l'editto di Milano del 313 d.C. riconobbe ai cristiani e ai seguaci di ogni altro culto il diritto di professare liberamente la propria religione Un altro elemento di radicale mutamento portato da Costantino fu l’aver portato la capitale dell’impero a Costantinopoli (l’antica Bisanzio da Costantino stesso fatta ingrandire e abbellire e chiamata Costantinopoli, in suo onore). Sempre a proposito del rapporto tra potere imperiale e cristianesimo dobbiamo ricordare che nel 380 d.C. l'imperatore Teodosio impose, con l’editto di Tessalonica, il cristianesimo quale unica religione di Stato). 3.4.6 La divisione dell’Impero (Teodosio 379-395 d.C.) Nel 395 d.C., alla morte dell’imperatore Teodosio I, l’Impero Romano venne diviso tra i suoi due figli: Onorio e Arcadio. Si formarono così un Impero Romano d’Occidente con a capo Onorio, e un Impero Romano d’Oriente con a capo Arcadio. Questa distinzione rimarrà nei secoli successivi, ma mentre l’impero romano d’Occidente avrà vita molto breve, l’impero romano d’Oriente continuò ad esistere per tutto il medioevo e fino agli inizi della modernità (Costantinopoli venne conquistata dai Turchi solo nel XV secolo). 3.5 Le invasioni barbariche e la fine dell’impero romano d’Occidente 3.5.1 Le invasioni barbariche (410, 452, 455 d.C.) Come abbiamo avuto modo di vedere, per i Romani quanti vivevano al di fuori dei confini (il “limes”) dell’impero erano considerati “barbari”, termine avente anche un senso dispregiativo di rozzo, incolto. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 12 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Eppure i rapporti con queste popolazioni non erano solo conflittuali, nell’età imperiale, anche a causa dell’immensità dei territori da controllare, con alcune tribù barbare vennero fatti degli accordi, in qualche modo furono gli stessi barbari, amici dei Romani, a difendere i confini dell’impero. Avvenne però che la popolazione degli Unni, proveniente dalle regioni asiatiche, si spostasse nei territori occupati dalle popolazioni germaniche appena oltre il “limes” e con ciò spingesse le popolazioni lì residenti ad occupare i territori dell’impero. E’ evidente, in ogni caso, che lo spostamento fu possibile anche per la debolezza nella difesa dei confini, ormai il governo di Roma non era più in grado di opporre una valida difesa per mantenere i territori precedentemente conquistati. Inizia in tal modo una serie di invasioni che porteranno nell’arco di qualche decennio alla fine dell’Impero Romano d’Occidente e alla nascita di nuove strutture organizzative dello stato i “regni romanobarbarici”. I movimenti d’invasione che ebbero gli effetti più devastanti si verificarono: nel 410 quando i Visigoti con a capo Alarico invadono l’Italia e saccheggiano Roma nel 452 quando Attila a capo degli Unni scende in Italia (dove viene convinto da papa Leone I ad andarsene in cambio di un tributo annuale) nel 455 i Vandali partendo dall’Africa (dove avevano creato un loro regno) saccheggiano Roma 3.5.2 La fine dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. Dopo la morte di Onorio, avvenuta nel 423, a Roma venne nominato imperatore Giovanni, un alto funzionario della cancelleria imperiale. Nel frattempo Galla Placidia, sorella di Onorio, partì da Costantinopoli, sede dell’imperatore romano d’Oriente, per recarsi in Italia con il figlio Valentiniano per far valere i propri diritti imperiali di successione sul trono dell’Impero romano d’Occidente. Giunta ad Aquileia, Placidia affermò il suo potere di imperatrice e dopo aver sconfitto Giovanni lo mise in ridicolo, lo espose alla folla e lo fece decapitare. Placidia rimase reggente dell’Impero d’Occidente dal 425 al 437 finché il figlio Valentiniano raggiunse la maggiore età. Valentiniano III rimarrà imperatore dell’Impero d’Occidente dal 437 al 455, la sede imperiale scelta fu Ravenna. Durante il regno di Galla Placidia, di Valentiniano, e nei decenni successivi, le invasioni da parte dei popoli barbarici continuarono, come abbiamo visto, finché nel 476 d.C. Odoacre, principe sciro alla corte di Attila, destituì l'ultimo imperatore romano d'Occidente Romolo Augustolo e si proclamò re al suo posto, questo momento viene considerato come l’atto finale dell’Impero romano d’Occidente (e dagli storici anche come l’anno conclusivo dell’età antica), ma per quanti vissero in quegli anni non credo vi fosse una reale sensazione di un cambiamento così radicale. Odoacre, nonostante lo cercasse, non ottenne mai il riconoscimento ufficiale da parte dall'imperatore romano d'Oriente. In questo modo si conclude la storia della civiltà di Roma antica in Occidente, tuttavia non bisogna lasciarsi ingannare, i barbari che occuparono i territori prima romani subirono una notevole influenza dalla civiltà di Roma, in qualche modo, pur non rinnegando le loro origini, subirono l’influenza della cultura romana, vi si adeguarono e in essa cercarono una giustificazione al mantenimento del potere. La tradizione di Roma non si era perciò persa, si era solo fusa con una cultura diversa a formare assieme lo spirito del Medioevo. 4. Istituzioni e struttura sociale 4.1 L’organizzazione istituzionale in età monarchica Nell’età monarchica erano tre gli elementi istituzionali sui quali si reggeva lo Stato: comizi curiati (o assemblee curiate) senato re Comizi curiati Come tradizione tra i popoli antichi anche i Romani erano divisi in tribù, tre per la precisione: Tities (rappresentanti dei gruppi Sabini), Ramnes (rappresentanti dei Romani), Luceres (rappresentanti altri gruppi insediatisi in zone di periferia). Per una migliore organizzazione ognuna di queste tribù venne suddivisa in dieci “curie”. Nelle trenta curie complessive erano iscritti tutti i maschi delle famiglie patrizie (ossia di quelle famiglie che derivavano dai “patres” i padri fondatori di Roma). M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 13 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Teoricamente l’assemblea degli iscritti alle Curie, i “comizi curiati”, rappresentavano l’organo fondamentale dello Stato essendo questo ad eleggere il re e ad approvare le leggi. In realtà il potere dei comizi curiati era solo formale, nella pratica il potere effettivo era nelle mani del re e del senato. Senato Un ulteriore organo istituzionale fu il senato, assemblea di anziani: i “patres”, discendenti dei fondatori della città (cento per ogni tribù per complessive 300 persone). Il termine “senato” indica proprio la caratteristica che contraddistingueva gli esponenti di tale assemblea, “senex” in latino significa anziano. “Patres” si diventava solo alla morte del proprio padre. In età monarchica il senato aveva solo carattere consultivo. Il re Di carattere elettivo e non ereditario, la nomina a re veniva assegnata spesso ad esponenti non legati alle “gens”(o famiglie) romane originarie, non a caso gli ultimi tre re erano d’origine etrusca. 4.2 L’organizzazione istituzionale in età repubblicana e in età imperiale In età repubblicana vi sono, rispetto all’età precedente, delle grandi innovazioni: sparisce la figura del re (ovviamente) appaiono delle nuove forme organizzative dei cittadini: i comizi centuriati e i comizi tributi il senato acquista maggior potere si ampliano e si definiscono meglio le magistrature, vero strumento di gestione del sistema statale 4.2.1 Comizi centuriati e comizi tributi Agli inizi dell’età repubblicana (nel V sec. a.C.) venne riformato il sistema per il reclutamento militare, i cittadini vennero divisi non più in base alle tribù d’origine, ma a seconda della ricchezza posseduta, ossia in base al censo, anche in considerazione del fatto che chi prestava servizio militare doveva essere in grado di provvedere al proprio equipaggiamento (per questo solo una parte dei cittadini accedeva al servizio militare). La divisione in base al censo portò al formarsi dei “comizi centuriati”, questi assunsero sempre maggiore importanza nella vita dello Stato, mentre i “comizi curiati” scadevano sempre più verso una funzione solo formale. Parallelamente alle assemblee centuriate, iniziarono a i diffondersi le assemblee della plebe (i “comizi tributi”), nelle quali venivano eletti dal V secolo a.C. i tribuni della plebe. Con l’età imperiale le diverse forme assembleari persero ogni valore, e anche questo testimonia come l’età dell’impero rappresenti un momento di decadenza rispetto alla Repubblica. 4.2.2 Senato Nato come organo consultivo il senato diviene, con la Repubblica, la vera sede di governo, la più alta istituzione politica di Roma. Tutti i magistrati, in carica al massimo per un anno, governano secondo la volontà e le direttive del senato. 4.2.3 Magistrati I magistrati avevano il compito di governare per il bene della collettività, onde evitare che chi era in carica assumesse eccessivo potere le cariche duravano poco (massimo 18 mesi). Vediamo ora quali erano le principali magistrature nel periodo della repubblica e chi aveva il diritto di nomina: Dittatore Consoli Durata della carica 6 mesi 12 mesi Pretori 12 mesi MAGISTRATI SUPERIORI Poteri Pieni poteri Potere militare Potere esecutivo Amministrazione della giustizia M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) Nominato da … Consoli Comizi centuriati Comizi centuriati 14 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon MAGISTRATI INFERIORI Poteri Nominato da … Censori Si occupano del Comizi centuriati censimento della popolazione Edili 12 mesi Lavori pubblici Comizi tributi Questori 12 mesi Gestori del tesoro dello Comizi tributi Stato Tribuni della 12 mesi Amministrazione della Comizi tributi plebe giustizia La carica di dittatore veniva assegnata solo nei casi di grave pericolo, la su carica durava al massimo sei mesi. I consoli erano due e in qualche modo si controllavano a vicenda, perché non assumessero troppo potere, in caso di guerra guidavano gli eserciti. Durata della carica 18 mesi 4.2.4 La struttura sociale: patrizie e plebei, patroni e clienti, schiavi e liberti. Patrizi e plebei Innanzitutto è necessario chiarire come sia sbagliata la diffusa convinzione che identifica i patrizi con gli esponenti ricchi della società romana e i plebei con gli esponenti poveri. Il termine patrizio, come abbiamo già avuto modo di vedere, fa riferimento non tanto alla ricchezza posseduta, ma alle origini della famiglia. Erano patrizi quanti discendevano dai “paters” ossia dai padri della città (gli antichi fondatori), tutti gli altri erano plebei (il termine plebeo deriva da “plebe” ossia “moltitudine”), indipendentemente dalla ricchezza posseduta. Nell’età monarchica i plebei erano considerati un po’ come “cittadini di serie B”, non potevano accedere alle alte cariche dello Stato, non potevano godere delle terre vinte al nemico, non potevano sposare patrizi, e tuttavia dovevano pagare le tasse, ciò porterà a degli scontri nella successiva età repubblicana. La lotta tra patrizi e plebei divenne aspra all’inizio dell’età repubblicana (all’inizio del V sec. a.C.), allora, secondo la leggenda, per protestare contro le ingiustizie i plebei si ritirarono sul monte Aventino dove elessero i tribuni della plebe quali rappresentanti. L’abbandono della città da parte dei plebei mise in difficoltà i patrizi, questi, secondo la leggenda, mandarono Menenio Agrippa per convincere i plebei a ritornare. Menenio sarebbe riuscito a convincere i suoi interlocutori con il famoso esempio dello stomaco (i patrizi) che nutre le membra del corpo che lavorano (i plebei): se è vero che lo stomaco si gode il cibo che le membra procurano, è anche vero che le energie procurate dal cibo consentono anche alle membra di funzionare; Agrippa con questo esempio voleva richiamare l’idea di unità delle parti per un unico fine, quale riferimento per la comunità di Roma. Dopo l’episodio descritto sopra i plebei ottennero diversi riconoscimenti, tra questi la formazione di una commissione di dieci esperti (decemviri), nel 451 a.C., incaricata di mettere per iscritto le leggi di Roma. Queste leggi, scritte su XII tavole di bronzo, furono esposte al pubblico nel Foro, chiunque poteva, in tal modo, conoscere i propri diritti e, quindi, farli valere. Nel 445 a.C. venne abolito il divieto di matrimoni misti; nel 367 a.C., con le leggi Licinie Sestie, si completò il riconoscimento della plebe, con la decisione di dividere la gestione del potere tra patrizi e plebei: quindi un console patrizio e uno plebeo, un censore patrizio e uno plebeo, ecc,. in tal modo gli interessi delle parti erano garantiti e l’intera cittadinanza ne trasse vantaggi. Solo nel settore religioso la distinzione tra le due classi faticò a sparire, rimanendo fino alla fine del IV secolo a.C. prerogativa dei patrizi. Patroni e clienti Nell’antica Roma si venne costituendo una classe sociale del tutto particolare: i “clienti”. Si tratta di persone libere che gravitano attorno alle aziende familiari offrendo i loro servigi e ottenendo in cambio mezzi di sussistenza, protezione e aiuto dai patroni. Il rapporto tra patrono e cliente è regolato da una serie di diritti e di doveri: se il patrono frodava il proprio cliente veniva maledetto; il cliente aveva poi il dovere di aiutare il patrono nel caso questo venisse a trovarsi in difficoltà. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 15 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Schiavi e liberti In età arcaica gli schiavi a Roma erano molto pochi, solo con le conquiste territoriali il numero di schiavi, spesso prigionieri di guerra, aumentò notevolmente, divenendo uno strumento indispensabile per lavorare la terra nelle grandi aziende familiari. Lo schiavo era considerato alla pari di un animale, veniva nutrito e protetto per il lavoro che poteva offrire. Che fosse in tutto e per tutto considerato proprietà del padrone è confermato dalla punizione che veniva inflitta agli schiavi che fuggivano: la crocifissione; a questa pena erano condannati i ladri, e lo schiavo fuggitivo era considerato un ladro, dato che aveva derubato il padrone di una sua proprietà. Condizione diversa era riservata agli schiavi che possedevano una certa cultura, questi, spesso provenienti dalla Grecia, venivano utilizzati dal padrone quali maestri dei propri figli, e trattati con un discreto riguardo. Dalla condizione di schiavitù si poteva venir affrancati, era sufficiente che il proprietario, per i motivi più diversi, decidesse di concedere la libertà. Gli schiavi liberati costituivano la classe dei “liberti”, cittadini che mantenevano una forma minima di dipendenza dal padrone, ma che per il resto erano liberi. I liberti potevano esercitare il diritto di voto anche se non potevano essere eletti quali magistrati o membri del senato. La libertà ottenuta consentiva ai liberti di sfruttare le loro capacità, che spesso erano notevoli, abbiamo così il caso di numerosi liberti che si sono arricchiti. 5. Lo sviluppo del diritto in Roma antica 5.1 Età monarchica: norme consuetudinarie e leggi Durante l’età monarchica i rapporti tra i cittadini romani erano regolati da quelle che possiamo definire “norme consuetudinarie”, è l’usanza, il costume, a dire cose bisogna fare nei diversi particolari casi. Le norme consuetudinarie trovano una prima, rudimentale, formulazione scritta solo verso la fine dell’età monarchica, nel VI sec. a.C., in ogni caso è il re (o un suo delegato) a decidere a chi dare ragione. Da notare come nei casi in cui i reati colpiscono membri di una famiglia che sono sottoposti alla potestà del padre, ad esempio l’omicidio di una donna, allora la competenza giuridica non era del re ma del capo famiglia. Le punizioni per i reati gravi prevedevano l’esclusione del colpevole dalla collettività, solo per reati particolarmente gravi era prevista la pena di morte. 5.2 Le XII Tavole (metà del V sec. a.C.) Verso la fine dell’età regia le norme consuetudinarie si modificarono, soprattutto grazie all’influenza del mondo etrusco e di quello della Magna Grecia (ricordo che la civiltà greca era culturalmente molto più evoluta), ma non vennero ancora codificate (in questo caso la Grecia non poteva essere d’esempio dato che le norme giuridiche nella Grecia antica non avevano trovato formulazione scritta) solo agli inizi dell’età repubblicana si sentirà l’esigenza di un codice scritto. In questo periodo l’amministrazione della giustizia è una prerogativa dei magistrati appartenenti alla classe dei patrizi, ora proprio la mancata codificazione scritta delle diverse norme avvantaggiava la classe dei patrizi, infatti questi applicavano le leggi a loro favore. Solo le giuste proteste dei plebei portarono alla decisione di dare forma scritta, e quindi a tutti nota, delle norme stesse. Così nel 451 a.C. (secondo la tradizione) soppresse tutte le magistrature venne dato l’incarico ad un collegio di magistrati (decemvirato) di codificare in forma scritta le leggi. Le norme così elaborate furono trascritte su XII tavole di bronzo, ed esposte, a disposizione di tutti, nel Foro. Da quel momento la conoscenza della norma non era più riservata a che l’applicava, ma era disponibile a tutti. La legislazione delle XII tavole rimase valida fino all’avvento delle vaste codificazioni di età imperiale, essa si diffuse in tutti i territori conquistati da Roma e quindi possiamo immaginare quale importanza ha avuto per il successivo sviluppo delle concezioni giuridiche di tutta Europa. Le leggi delle XII tavole venivano imparate a memoria nelle scuole, quale fondamento del diritto pubblico e privato, purtroppo di queste leggi, nella loro formulazione originale non ci sono pervenute che parti minime. Nelle tavole le norme civili si mescolano con norme di carattere religioso (troviamo ad esempio la proibizione di deporre offerte d’oro sulle salme). Gli argomenti toccati dalle norme sono i più vari: diritto di famiglia eredità M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 16 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon proprietà immobiliare crimini di varia natura ecc. Tra gli elementi maggiormente caratteristici che emergono da queste leggi sottolineiamo: l’autorità concessa al “pater familias” (egli ha diritto di vita e di morte sulla moglie, sui figli e sugli schiavi, può abbandonare o vendere i figli se lo ritiene opportuno) vi è una netta distinzione nelle forme della proprietà, quella piena e sovrana e il solo possesso (che può diventare proprietà solo dopo un certo numero di anni) il furto (scoperto in flagrante) può essere punito direttamente da chi lo subisce (può arrivare all’uccisione del colpevole) rimane la “pena del taglione” eredità della società arcaica il debitore che non poteva pagare i propri debiti poteva essere ridotto in schiavitù o ucciso Nella legislazione che appare dalle XII tavole non esiste, giuridicamente, distinzione tra patrizie plebei anche se rimane, almeno fino a 445 a.C., il divieto di matrimonio tra rappresentanti delle due classi) 5.3 Le leggi Licinie Sestie del 367 a.C. Un altro momento molto importante per quanto attiene l’evoluzione del diritto romano si ha nel 367 a.C. con l’emanazione delle leggi Licinie Sestie. Queste leggi oltre a reintrodurre il consolato (sospeso dal 449) sono importanti perché: introducono il pretore (magistrato incaricato di amministrare la giustizia) stabiliscono la massima estensione di agro pubblico che un singolo privato può gestire stabiliscono che uno dei due consoli debba essere d’origine plebea vengono attenuate le pene nei confronti dei debitori insolventi 5.4 L’universalismo giuridico dell’età imperiale Il pensiero filosofico, d’origine greca, ebbe nel corso dei secoli sempre maggior influsso sulla formazione giuridica dei Romani. Nell’età degli imperatori si formò così l’idea di un diritto naturale (legato alla filosofia stoica) al di sopra delle realtà regionali, un diritto universale al di sopra dei popoli, delle città e delle differenze sociali. Fonte principale del diritto diventa l’imperatore, è l’imperatore ad emanare editti, decreti, mandati, norme, validi per tutti gli abitanti dell’impero, divenuti, dal 212 d.C. con la Constitutio Antoniniana, tutti cittadini romani. Chiaramente l’imperatore era coadiuvato da consiglieri giuridici e tra questi troviamo dei giuristi di grande valore: Ulpiano; Papiniano, ecc. In questo periodo l’influsso dei principi del diritto naturale (d’origine stoica) portano ad attenuare le norme più severe, che acquistano carattere più umanitario: maggiore indipendenza riconosciuta alle mogli limiti posti alla patria potestà il riconoscimento del reato nel caso di uccisione di uno schiavo la proibizione del lavoro in catene per lo schiavo queste norme mostrano chiaramente l’influenza del pensiero stoico. 5.5 L’eredità del diritto romano: il Corpus Iuris Civilis In età imperiale, anche grazie al lavoro attento e sistematico dei giureconsulti, si formò un patrimonio giuridico immenso, probabilmente la maggiore eredità lasciata dai Romani antichi al mondo medioevale e moderno. La grande produzione giuridica di Roma antica venne raccolta in un’unica opera dall’imperatore dell’impero romano d’Oriente Giustiniano, nel 529 d.C., si tratta del Corpus Iuris Civilis. Il Corpus è distinto in quattro parti: Codice (raccolta di costituzioni imperiali) Digesto (raccolta di testi dei giureconsulti) Istituzioni (trattato elementare di diritto, ad uso scolastico) Novelle (costituzioni, opera dello stesso Giustiniano e dei suoi giureconsulti) Il codice giustinianeo, in una versione successiva a quella del 529 (la versione del 534), è arrivato fino a noi, e ha rappresentato il fondamento del diritto per tutto il mondo Occidentale. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 17 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon 6. Forme di vita sociale e aspetti di vita materiale 6.1 Forme di vita sociale 6.1.1 La famiglia fondamento del sistema sociale Con il trascorrere dei secoli la vita sociale a Roma subì notevoli cambiamenti, tuttavia la famiglia è rimasta, nel corso dei secoli, un punto costante di riferimento, al di là dei mutamenti. Una famiglia patriarcale nella quale il “pater familias” esercitava la propria autorità in forma quasi assoluta: sui figli (aveva la facoltà di non riconoscere i figli, che potevano venire abbandonati o uccisi) sulla moglie (in certi casi si arrivava a dei veri e propri eccessi, una norma del diritto arcaico consentiva al capo famiglia di poter uccidere la propria moglie se scoperta a bere vino) sui servi Nell’ambito della famiglia il padre fungeva da sacerdote (la religione domestica era imperniata sul culto degli antenati) e da giudice (era il capofamiglia a gestire la giustizia all’interno della famiglia, lui a indagare, giudicare, punire). 6.1.2 La donna romana In età arcaica la donna non partecipava alla vita del villaggio, essa era costretta in casa dove si occupava delle faccende domestiche e della crescita dei figli. Non era considerata cittadino a pieno titolo, passava dalla potestà del padre a quella del marito, e se questo moriva passava sotto la tutela di un parente. La scarsa considerazione per la donna si comprende anche dal fatto che fuori dall’ambito familiare le rappresentanti del gentil del sesso venivano chiamate mediante il nome della gens cui appartenevano (Tullia, Giulia, Claudia, Cecilia, ecc.), solo negli ultimi secoli della Repubblica le donne riuscirono ad ottenere maggiori opportunità e diritti. Ebbero una maggiore autonomia, ottennero il diritto alla successione nelle eredità. Arrivarono, anche a causa delle notevoli perdite di uomini per le continue guerre, ad amministrare gli affari e il patrimonio di famiglia, giuridicamente ed economicamente indipendenti. Con i secoli ottennero maggiore libertà nei costumi, potendo partecipare ai banchetti, ai giochi, alla vita di comunità. Le donne più facoltose spesso avevano anche degli amanti. Nell’età imperiale il culto della figura imperiale ebbe quale conseguenza la divinizzazione anche delle donne collegate all’imperatore: la madre, la moglie, le sorelle. 6.1.3 Il matrimonio Dato che nella famiglia è l’uomo il capo indiscusso, l’unione matrimoniale non poteva far altro che sancire la dipendenza della donna dall’uomo. Nell’idea di matrimonio che hanno i Romani dell’età più antica, la donna è un bene di possesso, è da lei che nascono i figli che potranno assicurare la continuità della famiglia. Ora dato che è fondamentale che i figli siano realmente del marito, questi tende a mantenere nascosta la propria moglie, limitando così al massimo le possibilità d’adulterio. In questo contesto il matrimonio rappresenta l’atto pubblico, formale, che rende manifesto il rapporto di dipendenza uomo-donna. Naturalmente alla donna prima del matrimonio è richiesto l’impegno della castità, non lo stesso per l’uomo. Le forme del matrimonio erano sostanzialmente due: manus maritalis sine manu La prima forma sancisce il potere che l’uomo acquista sulla donna (egli in qualche modo si sostituisce al padre della sposa), questa forma si attuava mediante: la “confarreatio” (un vero e proprio atto di carattere religioso, i due sposi seduti su una pelle di pecora consumavano assieme una focaccia di farro, alla presenza di dieci testimoni e un sacerdote) la “coemptio” (atto di acquisto simbolico della sposa dal padre) l’”usus” (si verificava nel caso in cui la coppia avesse abitato sotto lo stesso tetto per almeno un anno) Nei secoli la forma del “manu maritalis” venne sempre più abbandonata, mentre si diffondeva sempre più il matrimonio basato sul consenso degli sposi il “sine manu” (si tratta, in questo caso, di un vero e proprio contratto privato tra un uomo e una donna che si univano coniugalmente, il contratto era valido quando essi avevano l’età e tutti i requisiti per contrarlo, indipendentemente dalle cerimonie che M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 18 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon pubblicizzavano l’avvenuta unione matrimoniale; in ogni caso l’unione poteva avvenire soltanto quando vi era anche il consenso dei rispettivi pater familias). Uno degli atti usati per rendere pubblico il matrimonio prevedeva l’accompagnamento della sposa alla casa dello sposo e la recitazione di una formula rituale di dedizione da parte della sposa: “Ubi tu Gaius ego Gaia” (“Dove sarai tu, Gaio, là sarò anch’io, Gaia”). Tra gli atti tradizionali c’era quello di coprire con un velo il capo della donna, e di prenderla in braccio per non farle toccare la soglia di casa. Spesso i matrimoni erano combinati, soprattutto tra le famiglie più ricche. L’età degli sposi nei matrimoni combinati era piuttosto bassa, tanto che dovettero porre un limite per legge, dodici anni per le ragazze e quattordici per i maschi. L’interruzione del matrimonio era ammessa anche se molto rara, almeno fino a tutta l’età repubblicana. L’uomo aveva il diritto di ripudiare la moglie solo per giusta causa, ossia nei casi di adulterio, di sterilità, di procurato aborto. 6.1.4 L’educazione dei ragazzi Anche i ragazzi, in quanto membri della famiglia, erano sottoposti al potere del padre, questi poteva riconoscere o meno il figlio appena nato (il riconoscimento avveniva con il sollevamento del piccolo posto ai piedi del padre), spesso i figli, in particolare le ragazze, venivano abbandonate divenendo schiave di chi le raccoglieva. Fino al II sec. a.C. l’educazione dei figli rimase compito esclusivo dei genitori. Era il padre (o il precettore nei casi di famiglie ricche) ad insegnare a leggere e a scrivere ai propri figli. Verso la fine del III sec. a.C. apparvero le prime scuole private, a pagamento. Le forme d’apprendimento erano mnemoniche legate alla ripetizione meccanica di formule. Oltre al latino si studiava il greco, quale seconda lingua. Le materie di studio elementare prevedevano la scrittura, la lettura, il dettato e l’aritmetica. L’istruzione secondaria, riservata a pochi ricchi, si basava sullo studio della grammatica, della storia, della geografia, dell’astronomia, della letteratura greca (in particolare Omero) e latina. Il processo educativo si considerava compiuto solo dopo aver appreso l’arte oratoria, il cui insegnamento era assegnato ad un insegnante specializzato. La capacità di tenere delle buone orazioni pubbliche era di fondamentale importanza per il successo nella vita politica e pubblica in genere. Il materiale utilizzato per scrivere era costituito, fino al III sec. a.C., da tavolette di legno coperte di cera e da uno stilo. Dal III sec. a.C. si iniziò ad usare il papiro sul quale si scriveva mediante una penna d’oca e dell’inchiostro (formato da fuligine, nero di seppia, ecc.). I fogli di papiro venivano tra loro incollati e arrotolati a formare il “volumen” (il termine deriva da “volvo” avvolgere). Dal II sec. a.C. si iniziò ad usare anche la pergamena (il nome deriva dalla città di Pergamo, in Asia Minore, dove venne preparata per la prima volta partendo dalla pelle di pecora), i fogli di pergamena non venivano arrotolati ma piegati in quattro formando in tal modo un “quaternio” (da qui il nostro “quaderno”) di otto facciate. Rispetto all’educazione dei ragazzi greci, per quelli romani era del tutto assente la musica e la danza, considerate poco onorevoli, non adatte a dei futuri guerrieri. 6.2 Aspetti di vita materiale Come vivevano la loro quotidianità gli antichi Romani? Per rispondere a questa domanda è necessario innanzitutto chiarire a chi ci si riferisce, un po’ come se dovessimo descrivere come vivevano gli italiani dal secolo X al secolo XVIII, è evidente che il tipo di vita muta: negli anni a seconda della zona (città o campagna) in base al censo (ricco o povero) Nelle righe che seguono ci concentreremo ad osservare la vita in età imperiale, con un’attenzione particolare per i cittadini di Roma. 6.2.1 Le abitazioni Nettamente diverse erano le abitazioni a seconda della ricchezza posseduta. La casa patrizia era costruita attorno ad un “atrium” centrale, quasi interamente coperto dal tetto (veniva lasciata un’apertura centrale per raccogliere l’acqua piovana, che finiva in una vasca sottostante e quindi in un serbatoio di raccolta, e per la luce). Nell’atrium vi era uno spazio apposito che raccoglieva le immagini degli antenati, oggetto di culto. Sempre nell’atrium ardeva il focolare domestico e si ricevevano M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 19 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon gli ospiti; ai lati erano disposte le diverse stanze. La casa con l’atrio solitamente era costruita su un unico piano, ed era munita di giardino. Le case popolari di città erano destinate ad accogliere il gran numero di abitanti cittadini (nel periodo del massimo splendore Roma arrivò ad ospitare quasi un milione di persone !). Per sfruttare al meglio lo spazio le strutture abitative erano formate da grandi complessi abitativi, le “insulae”, alte fino a quattrocinque piani, in questi complessi si trovavano numerosi appartamenti. I piani superiori erano occupati da cittadini spesso in affitto. Le insulae erano strutture poco salubri (scarsa aerazione e poca luce) e molto insicure, i crolli e gli incendi erano all’ordine del giorno. Se si pensa che il solo metodo di riscaldamento e illuminazione era il fuoco, si può facilmente immaginare quanto facile fosse lo scoppio di un incendio nelle grandi città. Lo stesso imperatore Ottaviano Augusto per cercare di limitare il numero degli incendi istituì a Roma un servizio stabile dei vigili del fuoco. Per le campagne le abitazioni più rappresentative erano costituite dalle “villae”, delle costruzioni che si trovavano al centro di grandi appezzamenti dei terreno agricolo. Le villae erano dei complessi di vaste dimensioni che comprendevano, oltre alla abitazione del proprietario e della sua famiglia, anche spazi abitativi per i lavoratori della terra e per gli schiavi, oltre a magazzini e ricoveri per gli animali. 6.2.2 Il cibo Normalmente i Romani facevano tre pasti al giorno, il primo verso le 08-09 del mattino, il secondo dalle 11alle 12, e il terzo verso il tramonto. I primi due pasti erano piuttosto leggeri, costituiti da pane, frutta, formaggi e uova. La cena era il pasto più importante, nelle case dei più ricchi si trasformava spesso in occasione di festa. Le classi agiate cenavano distesi su divani messi a ferro di cavallo con al centro un tavolo sul quale venivano posti i diversi cibi. Gli alimenti venivano presi con le mani. La dieta tipo delle famiglie agiate prevedeva il consumo di legumi, verdure, carni di vari tipi (da ricordare che nei primi secoli era vietato mangiare carne di manzo, dato che questi animali servivano per i lavori nei campi). Nell’età imperiale erano molto diffusi anche i molluschi e il pesce. Il vino era sempre mescolato con acqua e spesso anche con miele per dolcificarlo (lo zucchero non era ancora conosciuto). Molto diffusa era anche la frutta. Si faceva un gran uso di salse aromatiche, usate anche per coprire il cattivo gusto di alimenti spesso mal conservati (non esisteva il frigorifero!). Tra le salse la più diffusa era il “garum” ottenuta dalla macerazione delle interiora di pesce mescolate con erbe aromatiche, miele, aceto e sale lasciati fermentare per 20 giorni. Il pane apparve molto tardi sulla mensa dei Romani (quello lievitato solo dal II sec. a.C.) molto più diffuso, in particolare tra le classi più povere, era il “puls”, una specie di polenta ottenuta mescolando diversi cereali (orzo, miglio e farro), insaporita con erbe aromatiche, e, in alcuni casi, con formaggio e miele. 6.2.3 Abbigliamento, acconciatura, trucchi e profumi Abbigliamento Per l’abbigliamento i Romani erano piuttosto sobri. Uomini e donne indossavano una tunica, costituita da due rettangoli di stoffa (di lana o di lino) uniti tra loro sui fianchi e sulle spalle, senza maniche. Sopra la tunica l’uomo indossava (almeno fino all’età imperiale) la “toga”, un unico pezzo di stoffa avvolto sul corpo, mentre le donne usavano la “stola”, un abito lungo fino ai piedi e pieghettato sul petto, stretto alla vita da una cintura. Quando faceva freddo si portava sopra i vestiti una specie di mantello, con il quale ci si avvolgeva. Acconciatura Tra gli uomini, dopo i primi secoli nei quali si tenevano barba e capelli lunghi, era pratica diffusa radersi la barba e tenere i capelli corti. Un particolare significato assumeva per i giovani il primo taglio della barba, avveniva a 17 anni e indicava il passaggio all’età adulta. Le donne usavano tenere i capelli sciolti fino al matrimonio per poi formare delle trecce che univano attorno al capo. In età imperiale le acconciature femminili divennero sempre più elaborate (naturalmente per le donne ricche), con l’uso anche di parrucche. Trucchi e profumi I trucchi usati dalle donne erano piuttosto elaborati, nulla da invidiare a quelli delle donne d’oggi. Oltre alle maschere di bellezza (in alcuni casi fatte con materiale organico quale sterco, latte, placenta di pecora), usavano il rossetto, si disegnavano le sopracciglia, si marcavano il contorno degli occhi e, naturalmente, usavano l’ombretto. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 20 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Molto diffusi ed apprezzati erano anche i profumi e gli unguenti, usati anche durante le cerimonie. I profumi per uso personale venivano preparati in negozi specializzati, piuttosto diffusi nella Roma imperiale. 6.2.4 I giochi e le terme I giochi Nella vita dei cittadini romani non mancavano di certo le forme di divertimento. Gli svaghi principali erano costituiti dagli spettacoli pubblici o “ludi” (organizzati dallo Stato o da privati facoltosi alla ricerca del favore popolare) organizzati nei casi di ricorrenze religiose o civili (quest’ultime spesso associate a vittorie e conquiste militari). I ludi (spettacoli) erano di tre tipi: ludi scaenici ludi circenses munera gladiatoria I ludi scaenici erano costituiti da rappresentazioni teatrali. I ludi circenses, che si svolgevano nel Circo Massimo (un anfiteatro ovale che misura 500 metri sul lato più lungo), erano degli spettacoli nei quali veniva esaltata l’abilità fisica dei partecipanti; tra le varie forme di esibizioni quelle più gradite al pubblico erano le corse dei carri trainati da cavalli, delle vere e proprie gare nella quali i concorrenti più bravi potevano arrivare a guadagnare delle vere e proprie fortune. Gli spettacoli che maggiormente hanno colpito l’immaginazione dell’uomo moderno sono i munera gladiatoria: i combattimenti tra gladiatori (i gladiatori erano soprattutto prigionieri di guerra, ma non solo, anche molti giovani ambiziosi cercarono il successo mediante i combattimenti negli anfiteatri). Dall’80 d.C. a Roma i munera gladiatoria si tennero nell’anfiteatro Flavio (il Colosseo) capace di 50.000 posti. Sempre al Colosseo si svolgeva anche un altro tipo di spettacolo le “venationes”, delle cacce simulate che mettevano di fronte ai gladiatori delle bestie feroci. Nelle occasioni più importanti i ludi potevano durare anche diversi giorni, con un grande dispendio di denaro pubblico, solo per l’inaugurazione del Colosseo vennero uccise 5000 bestie feroci. Durante l’età imperiale i giochi divennero assieme alla distribuzione gratuita del pane, uno straordinario strumento di potere usato dagli imperatori a loro favore. Le terme La “romanizzazione” delle città conquistate dai Romani prevedeva, tra le altre cose, la costruzione delle terme. L’uso delle terme era, infatti, talmente diffuso tra i ricchi e la classe media che era per loro molto difficile rinunciarvi. Le terme non erano solo il luogo dedicato ai bagni ristoratori (i Romani ritenevano che immergersi in acqua fredda e, subito dopo, in acqua calda avesse un notevole potere tonificante per il corpo, in realtà può fare molto male), era anche il luogo di ritrovo, di letture, di incontri. Alle terme erano spesso annessi biblioteche e giardini. A Roma con le terme di Caracalla si raggiunse il massimo fasto e lusso, in esse si trovavano statue di marmo pregiato e palazzi sontuosi. 7. Il sistema economico-produttivo 7.1 L’età monarchica Le comunità che hanno dato origine alla città di Roma avevano un’economia prevalentemente pastorizia. Nei secoli dell’età regia, dopo le conquiste territoriali nel Lazio, all’economia pastorizia si affianca una economia agricola: piccoli proprietari che lavorano con i propri familiari un podere ridotto, sufficiente ad offrire il necessario per vivere, e un minimo per la vendita ai vicini mercati. In questi anni la produzione agricola consisteva prevalentemente in: farro, miglio, frumento, orzo, viti e frutta. Come per i Greci anche per i Romani l’attività agricola era considerata tra le più nobili, consona agli uomini liberi, degna d’onore, adeguata anche ai grandi uomini. 7.2 Età repubblicana Nei primi secoli dell’età repubblicana le vaste conquiste territoriali resero disponibile ai cittadini una grande quantità di terreno. Questo venne distribuito dallo Stato ai cittadini anche in considerazione dell’importanza della presenza di insediamenti di romani nei territori conquistati, una vera e propria forma di colonizzazione che diede, nei secoli successivi, i propri frutti. La distribuzione delle terre avveniva secondo tre diverse modalità: M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 21 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon ai patrizi lo Stato concedeva terreni in affitto a prezzo molto basso ai soldati venivano concessi terreni quale ricompensa per il servizio svolto a semplici cittadini venivano concessi appezzamenti di terreno piuttosto ridotti (sufficienti per far vivere la propria famiglia), in qualità di coloni In piena età repubblicana le vittoriose guerre contro le popolazioni italiche aumentarono notevolmente la ricchezza dei patrizi romani (parte del bottino di guerra era riservato a questo gruppo sociale), ma anche la classe plebea di Roma ebbe modo di migliorare la propria condizione di vita grazie all’impulso dato all’attività artigianale e all’attività commerciale. Negli ultimi secoli della Repubblica l’economia subì una decisiva svolta grazie alle vittorie di Roma su Cartagine e la conseguente supremazia sul Mediterraneo. Proprio il controllo sul mar Mediterraneo, le conquiste in Spagna, in Africa e nella penisola Balcanica, portarono ad una radicale trasformazione dell’economia, vediamo perché. Le conquiste esterne all’Italia ebbero quale conseguenza l’enorme arricchimento della classe patrizia e il contemporaneo impoverimento dei tanti piccoli proprietari terrieri presenti in Italia centrale e in parte di quella meridionale. L’arricchimento della classe patrizia, che in molti casi portò al formarsi di vere e proprie fortune, fu legato a: incameramento dei bottini di guerra possibilità di avere a disposizione, in affitto a prezzi bassi, i terreni conquistati grande disponibilità di schiavi, prigionieri di guerra, da comperare e far lavorare sui propri terreni possibilità di acquistare a basso prezzo i terreni dei soldati, impegnati in continue guerre L’impoverimento dei piccoli proprietari fu invece legato a: difficoltà nel competere con le grandi tenute dei patrizi disponibilità di produzioni agricole estere (soprattutto Spagna e Africa) a prezzi molto bassi, che misero fuori mercato la produzione dei piccoli proprietari italiani Questi fatti ebbero quali conseguenze: 1. l’abbandono delle campagne a favore della città da parte di molti contadini 2. l’estendersi dell’economia agricola della “villa” 3. l’estendersi dell’economia agricola del “latifondo” Abbandono delle campagne a favore della città da parte di molti contadini Le difficoltà economiche di molti piccoli proprietari li spinsero a cedere la proprietà (quasi sempre ai grandi proprietari) e a trasferirsi in città, dove era più facile sopravvivere (è in questi anni che la popolazione di Roma aumenta a dismisura). La presenza massiccia di persone che vivono con un reddito molto basso e che sono poco impegnate da attività lavorative stabili, quello che venne definito il “popolo” di Roma, avrà una notevole rilevanza nelle guerre civili del I sec. a.C. e nel passaggio dalla struttura repubblicana a quella imperiale. Estendersi dell’economia agricola della “villa” Con il termine “villa” si intende non solo la residenza del proprietario terriero e della sua famiglia, ma anche l’azienda agricola che questo gestisce: un sistema autosufficiente nel quale convivono servi, schiavi, lavoratori liberi della terra (clienti) stipendiati dal proprietario. La villa attua una produzione dei tipo intensivo, sfruttando al meglio le potenzialità del terreno e della manodopera. I guadagni provenienti dalla vendita dei prodotti agricoli venivano reinvestiti. La struttura della “villa” romana sarà alla base del formarsi delle “corti” medioevali. Estendersi dell’economia agricola del “latifondo” In diverse zone d’Italia (in particolare nel Meridione e nelle isole) la struttura tipica della villa si andò progressivamente trasformando in “latifondo”. Nel latifondo la produzione era di tipo estensivo (pascoli, boschi, campi di grano) con bassi investimenti di capitale. Grandissime estensioni terriere affidate ad un fattore, dato che il proprietario risiedeva solo sporadicamente nella proprietà. Considerate le immense dimensioni che poteva raggiungere un latifondo, si decise, per legge, di porre un limite al numero di campi che potevano essere posseduti da una sola persona (una legge in tal senso era stata emanata nel III sec. a.C., ma non rispettata, così Tiberio Gracco nel 133 a.C. fece votare una nuova legge secondo la quale ogni persona poteva possedere al massimo 500 iugeri di terreno, più altri 250 per ogni figlio maschio fino ad M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 22 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon un massimo complessivo di 1000 iugeri di terreno, circa 250 ettari). Il terreno così recuperato venne distribuito tra i nullatenenti. Nell’età repubblicana la ricchezza non rimase una prerogativa della classe patrizia, molti plebei e anche diversi liberti (gli schiavi liberati) arrivarono ad accumulare delle vere e proprie fortune. 7.3 L’Impero Dopo le lotte civili degli ultimi anni della Repubblica, con Ottaviano Augusto si ebbe un periodo di discreta calma e tranquillità in tutto l’impero. Roma e le regioni dell’Italia centrale si arricchirono con i prodotti delle province più lontane e con i commerci che prosperano per tutto l’impero. Una tale situazione di prosperità si raggiunse soprattutto grazie: al controllo del territorio da parte dell’esercito romano allo straordinario sistema viario e portuale esteso su tutto il territorio imperiale (moltissimi dei tracciati stradali messi a punto dagli antichi romani sono utilizzati ancora oggi) grazie all’adozione di un unico sistema monetario Sono questi gli anni nei quali vengono costruiti trionfali monumenti pubblici (il Colosseo è dell’80 d.C.) e splendide ville private, ornate da marmi preziosi e statue provenienti, spesso, dalla Grecia. La diffusa ricchezza ebbe quali conseguenze l’incremento dei commerci e delle attività artigianali, ma anche del lusso e della dissolutezza (il diffondersi del lusso venne considerato negativamente, segno di debolezza e di dissolutezza, da diversi esponenti del mondo filosofico e letterario del tempo). Una situazione di tale diffuso benessere non poteva durare molto a lungo, e difatti nel III sec. d.C. iniziò una grave crisi del sistema che per poco non portò ad un vero e proprio crollo, vediamone le cause: instabilità del potere imperiale (gli imperatori rimanevano in carica per pochi anni, sostituiti, spesso con la violenza, da altri) continue lotte con i barbari ai confini dell’impero difficoltà nel controllare militarmente un territorio vastissimo (con ripercussioni sulla sicurezza dei commerci) ribellione di alcune province stanche di pagare alti tributi al potere di Roma malcontento diffuso tra il “popolo” di Roma ormai abituato ad una vita da parassita (le spese per il mantenimento del “popolo” pesavano moltissimo sulla finanza pubblica) Alla crisi del III secolo cercò di porre rimedio l’imperatore Diocleziano, con opere di riforma politica, economica e fiscale. La riforma di Diocleziano riuscì a ristabilire un’economia in crisi, tuttavia l’enorme peso economico dell’apparato statale e la diffusa corruzione (che consentiva ai più ricchi di evadere il pagamento delle tasse) riportò, nel secolo successivo, una nuova grave crisi economica. Le invasioni barbariche dell’inizio del V sec. d.C. dimostrarono quanto grave fosse la crisi dello Stato romano, ormai mancava anche il denaro per pagare i soldati dell’esercito. Per l’Impero romano d’Occidente la fine era arrivata. APPROFONDIMENTO ........ STRADE E ACQUEDOTTI NELL’IMPERO DI ROMA Un sistema viario che ha trasformato il mondo Abbiamo presentato il territorio dell’impero romano come luogo nel quale fiorivano i commerci, nascevano importanti centri urbani, gli scambi, di varia natura, erano molto diffusi. Ebbene una tale vitalità non sarebbe esistita se non fosse stata supportata da un’opera che pur non avendo l’imponenza delle grandi opere dell’umanità (ad esempio le piramidi egiziane) certo tutte le superava per ciò che riguarda l’impegno di uomini e di mezzi e per l’importanza che ha avuto nel progresso della civiltà. Si tratta del sistema viario messo a punto dagli antichi romani, un insieme di strade che già nel primo secolo a.C. arrivavano a 80.000 km, un sistema che consentiva di collegare con Roma anche la più lontana città dell’Africa o dell’Asia (naturalmente se era all’interno del territorio imperiale). Il detto “tutte le strade portano a Roma” nasce proprio dalla considerazione del sistema di strade creato dai romani antichi. Per comprendere l’importanza che ha avuto il sistema stradale all’interno del territorio dell’impero possiamo paragonare il sistema viario al sistema venoso del corpo umano, come questo consente l’arrivo dell’ossigeno in tutte le parti dell’organismo portando la vita, così le strade consentivano di far arrivare la voce di Roma anche nel villaggio più lontano e sperduto. Il valore dell’opera dei Romani antichi è tanto maggiore se si considera che prima delle opere dei M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 23 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon romani non esisteva nulla, in ambito extra-urbano, che potesse paragonarsi alle nostre strade, esistevano solo dei “tracciati”, dei sentieri battuti, non delle strade vere e proprie, i primi a crearle furono i soldati dell’esercito di Roma. Le difficoltà di movimento nei territori dell’interno, prima delle conquiste di Roma, sono testimoniate anche dal numero particolarmente ridotto di città di notevoli dimensioni lontane dal mare. La costruzione delle strade Sorte per consentire l’agevole spostamento dell’esercito, alla costruzione delle strade, furono impegnati gli stessi soldati, a migliaia Scelto, dagli esperti il miglior tracciato, si scavava fino ad un metro di profondità, fino a raggiungere uno strato più solido, quindi si riempiva il fossato, che si era creato, mediante sassi e pietre tenuti assieme da terra argillosa. Lo strato di coperture era formato da pietre poligonali larghe fino a mezzo metro e con uno spessore di 20 cm; tra loro le pietre erano ben connesse a formare una superficie piana e compatta. Per evitare ristagni d’acqua al manto si dava una forma rialzata al centro (forma detta “a dorso d’asino”), l’acqua piovana veniva raccolta in appositi canali costruiti ai lati delle strade stesse. Il formarsi del sistema viario in Italia La prima strada romana “munita”, ossia costruita secondo i criteri visti sopra, fu la via Appia, strada che collega Roma a Capua. La costruzione di questa strada fu curata dal censore Appio Claudio, da qui il nome, nel IV sec. a.C.. Anche la via Appia venne costruita con finalità militari e solo successivamente venne impiegata anche per altri scopi. Altre strade vennero costruite nel III a.C. mantenendo la pratica di dare alla strada il nome dell’esponente politico che ne aveva promosso e curato la costruzione. Abbiamo così la via Aurelia nel territorio dell’Etruria (Lazio-Toscana), lungo la costa, ad unire città importanti quali: Caere, Tarquinia, Vulci, Populonia, Pisa. La via Flaminia, costruita nel 220 a.C., che collegava Roma con Rimini. La via Emilia, che partendo da Rimini e attraversando tutta la Pianura Padana arrivava fino a Piacenza. Altra importantissima via per le comunicazioni nelle regioni del nord d’Italia (attraversava tutta la Pianura Padana da Genova ad Aquileia, nel territorio friulano, passando per Cremona, Verona, Vicenza, Oderzo) era la via Postumia. Altre importanti vie di comunicazione furono costruite nel territorio del sud d’Italia, tra le più importanti è da ricordare la via Popilia che collegava Capua con Reggio Calabria. Le strade romane nei secoli Con la caduta dell’impero romano d’Occidente, venne a mancare un governo centrale in grado di garantire la manutenzione del sistema viario, e così già nel periodo alto medioevale molte strade andarono in rovina, i loro tracciati vennero però mantenuti e molte delle nostre strade principali ricalcano i percorsi delle antiche strade romane, mantenendone anche il nome (si pensi alle vie Appia, Flaminia, Emilia, ecc.). 8. L’esperienza religiosa 8.1 La forma religiosa arcaica Il sentimento religioso dei primi romani non era diverso da quello di altre popolazioni italiche di quegli anni. Dominava “l’animismo” ossia la convinzione che l’uomo fosse circondato da forze misteriose e sconosciute, forze che bisognava cercare di propiziarsi mediante riti e formule magiche. La famiglia, quale nucleo sociale originario, fu l’ambito nel quale le strutture religiose trovarono il loro naturale sviluppo. Il capo famiglia, il “pater”, era anche il sacerdote. Era lui, grazie ai riti e alla recitazione di formule particolari, a cercare di propiziarsi le forze naturali (detti anche “numina”, ossia ciò che si muove). Il capo famiglia si occupava anche del culto dei defunti come avremo modo di vedere. Parallelamente alla religione familiare si svilupparono, nelle prime comunità, delle forme religiose che interessavano i diversi gruppi umani ( agricoltori, pastori, ecc.). Per ottenere il favore delle forze naturali si attuavano processioni e sacrifici animali. In età arcaica presso la comunità degli antichi romani vi erano 45 feste importanti (ricordo che allora non esisteva un giorno festivo settimanale, questa usanza, di origine ebraica, arriverà in Occidente solo con il Cristianesimo) collegate: alle attività pastorali e agricole alle attività militari M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 24 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon ad eventi passati di rilevanza storica Accanto alle feste di comunità, vi erano dei momenti di carattere religioso collegati alla vita dei singoli individui: nascita, morte, matrimonio, ecc. Molto importanti erano i riti collegati alla commemorazione dei defunti, che si svolgevano nel mese di febbraio. A regolare e presiedere le varie festività religiose si ponevano dei “Pontefici” con a capo il “Pontefice massimo”. Oltre ai pontefici, esistevano i “Flamini”, sacerdoti addetti alle singole divinità, e le “Vestali”, ragazze vergini che si dedicavano alla conservazione del fuoco e dell’acqua (questo incarico richiama le origini della comunità, quando era difficile riprodurre il fuoco, e trovare dell’acqua in caso di siccità). Una funzione particolare era quella degli “Auguri”, gli interpreti della volontà divina mediante la lettura di particolari segni (il volo degli uccelli, le condizioni del fegato degli animali, ecc.). Nessuna azione importante (sia politica che militare) veniva intrapresa prima d’aver consultato le divinità mediante gli Auguri, in caso di parere sfavorevole l’impresa veniva rimandata. 8.2 Gli influssi greci ed etruschi Il carattere animistico della religione romana continuò per diversi anni, quindi mutò profondamente grazie ai sempre più frequenti rapporti con il mondo etrusco e con le colonie greche in Italia. Tra i primi segni di questi influssi vi è la “antropomorfizzazione” delle divinità (ossia il rappresentare il divino in forma umana), come è testimoniato dalla costruzione di diversi templi dedicati alle varie divinità (fenomeno accentuatosi con i re d’origine etrusca). Nascono così Giove (capo degli dei), Marte (dio della guerra), Giunone (dea protettrice delle donne, spose e madri), Vulcano (dio del fuoco), Venere (dea della bellezza e dell’avvenenza femminile), ecc. 8.3 L’evoluzione delle esperienze religiose nell’età della Repubblica Nel 300 a.C., in piena età repubblicana, una legge stabilì che anche i plebei potessero accedere alle cariche sacerdotali (fino ad allora prerogativa dei patrizi) di pontefici ed auguri. Nel corso del III sec. a.C. i frequenti contatti con le città greche dell’Italia meridionale portarono a Roma nuove divinità e nuovi culti d’origine greca. L’influsso della religiosità greca fu tale che nel 212 a.C., dopo la sconfitta nella battaglia di Canne contro Annibale, fu inviato un ambasciatore a Delfi (in Grecia) per consultare l’oracolo del dio Apollo, e al ritorno furono istituiti festeggiamenti in onore della divinità greca. 8.4 L’influsso del pensiero filosofico greco sulla religione romana Negli ultimi due secoli di vita della repubblica, mentre la classe povera rimaneva ben ferma nelle convinzioni dei propri avi, l’aristocrazia subiva influenze di varia natura provenienti dal mondo greco-orientale. Così agli inizi del II secolo a.C. ebbero notevole diffusione il pitagorismo e l’orfismo, movimenti che si caratterizzano per l’organizzazione in confraternite e per la convinzione che l’anima fosse eterna, destinata a rinascere in forme diverse (teoria della “metempsicosi”). Sempre dall’Oriente arrivò una forma religiosa del tutto estranea al mondo romano, il culto del re. 8.5 La religiosità in età imperiale: il culto dell’imperatore e l’avvento delle religioni orientali di mistero e salvezza Il culto dell’imperatore A Roma le prime forme di culto della persona si presentano per un uomo che non diventò imperatore, ma che certo aveva carisma e capacità di affascinare quanti lo circondarono, si tratta di Cesare. Lo stesso Cesare accentuò il fenomeno del culto alla sua persona proclamandosi figlio di Venere. I tentativi compiuti da Ottaviano Augusto per restaurare la religiosità dei padri, e la sua non accettazione del culto dell’imperatore, non riuscirono ad evitare che con gli imperatori a lui immediatamente successivi il culto della figura dell’imperatore assumesse sempre maggiore importanza, fino ad arrivare a forme di vera e propria adorazione, quasi l’imperatore fosse una divinità scesa in Terra. Nella tarda età imperiale i rituali antichi mantennero solo per i ceti rurali la loro suggestione, per la maggioranza della popolazione si erano ridotti a forme vuote, prive di un qualsiasi valore emotivo. L’avvento delle religioni orientali di mistero e salvezza Soprattutto presso gli abitanti delle città le migliorate condizioni di vita portano a riconsiderare l’idea della morte, percepita non più come fatto naturale e ineluttabile, ma cercando una forma di M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 25 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon immortalità individuale destinata a tutti, al di là della propria etnia e appartenenza sociale. Ecco perciò il diffondersi del culto di Iside e di Mitra provenienti dalla Mesopotamia. Sempre dall’Oriente venne diffondendosi, a partire dal I secolo dopo Cristo, una nuova religione, nata in ambiente ebraico, che aveva trovato da subito una grande diffusione nonostante fosse ostacolata dal potere imperiale, si tratta del Cristianesimo. In soli tre secoli questa nuova forma religiosa riuscirà a conquistare il posto dominante in tutto l’impero (nel 380 d.C. Teodosio dichiarò il Cristianesimo religione di Stato), tutte le altre forme verranno considerate eretiche. Uno studio più approfondito sul tema del diffondersi del Cristianesimo in Roma antica si trova nell’approfondimento. APPROFONDIMENTO ........ NASCITA E SVILUPPO DEL CRISTIANESIMO NEGLI ANNI DELL’IMPERO: DA RELIGIONE PERSEGUITATA A RELIGIONE IMPOSTA La novità del messaggio cristiano “Padre nostro che sei nei cieli …”, così recita il Padre nostro, la preghiera che Cristo stesso ha insegnato agli apostoli. Ebbene nell’espressione “Padre nostro”, con la quale ci si rivolge a Dio, sono contenute le più grandi novità del messaggio cristiano: 1. Il riconoscimento che tutti gli uomini, essendo figli dello stesso padre, sono fratelli 2. La consapevolezza della “sacralità” della vita umana, la vita di ogni essere umano, anche del più umile schiavo è sacra (la vita di ogni uomo, essendo figlio di Dio, è sacra). Si comprende il carattere rivoluzionario di queste idee, in un mondo nel quale le divisioni sociali erano nettissime. Oltre che per l’idea della fratellanza universale il Cristianesimo si caratterizzava: 1. Per la scarsa importanza data ai beni materiali rispetto ai valori spirituali 2. Per l’idea di una vita dopo la morte, considerata la “vera vita”, in questa vita “eterna” ognuno sarebbe stato ricompensato o punito a seconda della condotta tenuta durante la vita terrena. Proprio per la sua particolare natura il messaggio cristiano trovò subito molti aderenti, soprattutto tra le classi più umili. L’arrivo a Roma del messaggio di Cristo Il messaggio di Gesù, detto il “Cristo” ossia “l’Unto del Signore” (nel senso di “Consacrato” al Signore), si diffuse ben presto in diverse territori dell’impero di Roma, già nel 49 d.C. troviamo testimonianze della presenza di “Cristiani” tra le comunità ebraiche della stessa Roma (pur avendo profonde radici nell’ebraismo il Cristianesimo si distingue nettamente dal primo perché questi non riconosce la natura divina di Gesù, anche gli Ebrei attendono il Messia, ossia il Salvatore, ma per loro non è Gesù, questi è stato crocifisso proprio perché si è proclamato “Messia”). Ben presto il messaggio di Cristo venne diffuso dai suoi discepoli anche al di fuori delle comunità ebraiche e così troviamo anche Pietro a Roma a testimoniare la “Buona novella” (l’”Euangelion” come si diceva in greco, lingua usata per diffondere il messaggio di Cristo). La presenza di una comunità cristiana a Roma è testimoniata anche dalle “Lettere ai Romani” scritte da Paolo di Tarso (San Paolo) nel 58-59 d.C.. E proprio a Roma trovarono la morte sia Pietro che Paolo a causa delle persecuzioni di Nerone. Dopo la “diaspora” del 70 d.C. (il termine “diaspora” deriva dal greco e significa “seminare qua e là” viene usato per indicare la distruzione del tempio di Gerusalemme e la dispersione del popolo ebraico considerato troppo ribelle, avvenuta appunto nel 70 d.C., ad opera dell’esercito romano) e la conseguente dispersione delle comunità ebraiche, il messaggio cristiano ricevette un notevole impulso alla diffusione, nacquero diverse comunità cristiani (soprattutto in ambito cittadino) sia in Oriente che in Occidente. I rapporti tra Cristiani e potere imperiale fino a Costantino (II e III sec. d.C.) I rapporti tra potere imperiale e comunità cristiane nei secoli II e III d.C. sono piuttosto mutevoli, si va da una sostanziale tolleranza ad una vera e propria persecuzione. Le attività di persecuzione vengono attuate quando i Cristiani rifiutano il culto dell’imperatore o quando viene riconosciuto nell’atteggiamento dei Cristiani un grave pericolo per il mantenimento del favore degli dei tradizionali (ad esempio alcuni sacerdoti, interpreti del volere degli dei, riferirono che le divinità si rifiutavano di aiutare l’esercito perché tra i soldati vi erano alcuni che credevano in divinità straniere). Che fossero queste le motivazioni principali che spingevano a perseguitare i cristiani è testimoniato anche dal comportamento dell’imperatore Diocleziano. Questi, impegnato a riportare all’unità M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 26 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon una struttura imperiale ormai in piena disgregazione, vedeva nel Cristianesimo una forza ostile al suo progetto, proprio per gli atteggiamenti non conformi alla religione tradizionale. Così negli anni 303-304 d.C. l’imperatore emanò degli editti contro i Cristiani che prevedevano: La proibizione del culto cristiano e la distruzione delle chiese L’incarcerazione dei capi delle chiese cristiane L’obbligo dei sacrificio agli dei tradizionali, pena la condanna a morte o l’esilio Le persecuzioni seguite agli editti di Diocleziano furono piuttosto violente, anche se durarono solo pochi anni. Il Cristianesimo nel IV secolo, da religione tollerata a “religione di Stato” Un mutamento radicale nei rapporti tra potere imperiale e Cristianesimo si ebbe a partire dal 28 ottobre del 312, quando il generale romano Costantino vinse la battaglia contro il generale Massenzio, suo antagonista nella lotta per la conquista del potere imperiale. Proprio nel corso di questa battaglia, il futuro imperatore asserì di aver ricevuto l’aiuto del Dio dei Cristiani. Dopo quella battaglia Costantino si sentì in qualche modo obbligato nei confronti del Dio cristiano che l’aveva aiutato e così, nel 313 d.C, riconobbe al Cristianesimo la condizione di “religione licita”, con la conseguente abrogazione di tutte le precedenti norme persecutorie. Dai dati storici in possesso non sembra si possa parlare di una vera e propria conversione da parte di Costantino (che l’imperatore fosse poco ispirato dallo spirito cristiano si può immaginare considerando che questi fu responsabile della uccisione del figlio e della moglie), sembra piuttosto che egli abbia pensato di usare i Cristiani, che ormai costituivano una grande forza, per raggiungere e mantenere il potere imperiale. Con Costantino si vive, quindi, un momento di transizione, permangono i culti pagani1 e il Cristianesimo penetra sempre più tra la popolazione. Lo stretto legame esistente tra potere imperiale e Cristianesimo durante l’impero di Costantino è dimostrato anche dal fatto che è lo stesso imperatore, nel 325 d.C., a promuovere il primo Concilio Ecumenico delle diverse chiese cristiane a Nicea2. Nel 380 d.C. il rapporto tra potere imperiale e religione cristiana muta ancora, in quest’anno, infatti, Teodosio, imperatore romano d’Occidente, prende ufficialmente posizione contro il paganesimo e dichiara il Cristianesimo unica religione dello Stato di Roma. La Chiesa nei primi secoli di vita: da “assemblea di uguali” a struttura gerarchica Il termine “chiesa” deriva dal greco “ekklesia”, che significa assemblea, adunanza, riunione. Ebbene la Chiesa, nei primi anni di vita, è proprio, e solo, questo: un’”assemblea” di persone, unite nella fede in Cristo; disposte ad aiutarsi a vicenda. Già dalla fine del primo secolo dopo Cristo, tuttavia, le cose iniziano a cambiare; all’interno delle diverse comunità, infatti, si vanno definendo sempre più chiaramente delle figure guida. Sono queste a presiedere alle funzioni religiose, a somministrare il battesimo (l’iniziazione alla comunità) a garantire il miracolo del rito eucaristico (la trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue di Cristo) durante la celebrazione. La grande diffusione dei proseliti (fedeli) al messaggio di Cristo se da un lato dimostrava la grande forza di attrazione dello stesso, dall’altro rischiava di frantumarsi in una miriade di interpretazioni e significati, ormai le comunità che si ispiravano al cristianesimo erano sparse su tutto il territorio imperiale, un insieme così eterogeneo poteva rimanere unito solo con la individuazione di una unica “vera” interpretazione del messaggio di Cristo, un unico erede del patrimonio lasciato dai discepoli, qualsiasi altra interpretazione doveva ritenersi errata (e quindi eresia). Nello scontro per il primato della vera ortodossia ebbe la meglio, agli inizi del III sec. d.C. la Chiesa, e il vescovo, di Roma. 1 Il termine “pagano” deriva da “pagi”. Erano questi i villaggi di campagna nei quali che la nuova religione faticava molto nel sostituire le divinità della tradizione, strettamente legate ai riti della terra. 2 Nel concilio di Nicea furono dibattute molte questioni importanti per la Chiesa allora in formazione. Tra queste quella che probabilmente fu più dibattuta è collegata ad una tesi sostenuta da un sacerdote di Alessandria d’Egitto: Ario. Secondo Ario, Gesù, pur essendo la creatura più perfetta che fosse mai esistita, mancava del carattere proprio della divinità, non era della stessa sostanza del Padre (celeste), non poteva perciò considerarsi Dio stesso fatto uomo. Questa idea venne fortemente combattuta dalla ortodossia cristiana, e Ario venne condannato all’esilio. Le idee di Ario non si conclusero con la sua morte, l’Arianesimo, infatti, ebbe notevole diffusione nell’Alto Medioevo, in particolare tra le popolazioni d’origine germanica. Gli stessi Longobardi, almeno per i primi secoli di permanenza in Italia, erano dei seguaci dell’Arianesimo. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 27 Moduli di Storia per la classe quarta degli Istituti Professionali - Marino Martignon Proprio per combattere le diverse eresie la chiesa romana dovette ben presto definire la sua struttura e i principi della dottrina cristiana, le questioni più delicate vennero discusse nei concili ecumenici, formati dai vescovi di tutte le comunità. Con l’aumento degli appartenenti alle comunità aumentarono anche le donazioni (molti furono i testamenti in favore della comunità) e così la Chiesa si trovò a gestire, oltre al patrimonio spirituale, anche un patrimonio materiale che nei secoli divenne enorme, anche grazie alla esenzione dal pagamento delle imposte e la costruzione di chiese con fondi pubblici (la costruzione della prima chiesa di San Pietro si ebbe grazie all’intervento dell’imperatore Costantino nel 326 d.C.). In pochi secoli abbiamo visto come la Chiesa si sia profondamente trasformata. Inizialmente era una semplice assemblea di fedeli, nei secoli successivi, oltre a mantenere il significato originario di comunità di fedeli, divenne anche struttura gerarchica con funzione di guida, e istituzione proprietaria di molti beni materiali. M3. Le radici del mondo occidentale (2): la Civiltà di Roma antica (09/2009) 28