Aperiodico on-line di attualità e cultura
reg. del tribunale di Potenza n° 363 del 3 luglio 2007
<<Sez. Conoscere>>
Mercoledì 30 Dicembre 2009 “uscita n. 5”
Che cos’è il Fondamentalismo? Cause ed effetti dell’integralismo islamico
di Raffaella Faggella
Terrorismo e integralismo
1.Alcuni ritengono e giustamente che il terrorismo, la cui definizione1
unitaria è abbastanza difficile, non debba essere esclusivamente quello di
matrice islamica. In effetti non è politicamente corretto aggiungere in
assoluto alla parola terrorismo la voce islamico, in quanto una tale
attribuzione potrebbe innanzitutto scatenare la reazione di diversi milioni
di musulmani moderati che, per quanto non sia possibile negare che il
fondamentalismo sia una delle colonne portanti dello scenario arabo
attuale, non sono disposti a condividere fino in fondo gli atteggiamenti
estremisti di quelli che professano la violenza in nome della fede.Inoltre
nel mondo contemporaneo si registrano anche molteplici forme di
terrorismo diverse da quello islamico, che hanno tenuto e tengono in
apprensione i paesi nei quali si è svolta la loro azione eversiva o
separatista (si pensi ad esempio alle nostre “brigate rosse” o al
terrorismo basco in Spagna); ma non si può negare che quello di matrice
islamica risulta caratterizzato da maggiore pericolosità, in quanto il
terrorismo delle BR e quello spagnolo, cui potremmo aggiungere per
analogia anche quello palestinese, malgrado la gravità delle loro
manifestazioni, hanno comunque a che fare con situazioni locali o
nazionali, mentre il terrorismo islamico, a partire dall’11 Settembre,
costituisce un pericolo non semplicemente locale ma un’autentica
“minaccia globale” che ha scatenato una crisi internazionale di ampie
dimensioni e dagli esiti incerti. La minaccia del terrorismo islamico è in
effetti un grave pericolo per il mondo occidentale che non ha ancora
Il concetto di terrorismo è quanto mai ampio e generalmente poco condiviso, a tal punto che neppure nell’Onu si è
giunti ad una definizione unitaria e condivisa da tutti i paesi. Tuttavia, potremmo in generale far corrispondere alla
parola terrorismo tutte le azioni armate, compiute da gruppi irregolari ( cioè che non indossino divise o altre insegne
distintive) tese a colpire semplicemente non tanto le forze armate degli avversari quanto quelle che si preoccupano di
spargere il terrore fra le popolazioni civili con risultati distruttivi.
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superato lo shock dell’attentato alle Twin Towers (torri gemelle) di New
York, la cui caduta ha svelato drammaticamente la vulnerabilità delle
strutture e delle economie globali di fronte all’evento minimo di un
attentato “kamikaze”.
Abbiamo appreso dagli esperti di cose militari che di fronte ad una tale
minaccia non servono i grandi apparati bellici; neppure è sufficiente
un’efficace difesa aerea o terrestre quando si ha a che fare con un
nemico invisibile e difficile da scovare. Non bisogna pensare che un
kamikaze islamico sia vestito all’orientale con il turbante e la veste araba,
ma potrebbe essere uno qualsiasi di quegli arabi occidentalizzati che,
perfettamente mimetizzati in mezzo a noi, prendono la metropolitana,
magari mangiano hamburger e bevono coka cola. Dal punto di vista
strategico è inoltre impensabile l’idea di poter difendere tutti gli
obbiettivi. E’ possibile sì presidiare alcuni obbiettivi sensibili, ma chi ci
garantisce che ciò non serva semplicemente a spostare il bersaglio degli
attentatori ad altri oggetti precedentemente individuati.
Che cos’è il fondamentalismo?
2.Per capire fino in fondo l’entità del terrorismo globale, per intendere
oggettivamente i caratteri essenziali del fondamentalismo islamico e i
pericoli legati all’integralismo religioso (i due termini sono secondo noi
strettamente congiunti tanto da poter essere usati in modo
interscambievole) occorre partire dall’attentato dell’11 Settembre 2001,
che è secondo noi una soglia storica essenziale per arrivare ad una
completa comprensione del fenomeno. Ma prima di parlare di questo
tragico avvenimento della storia contemporanea è necessario innanzitutto
definire sinteticamente per i nostri lettori l’origine e il significato della
parola fondamentalismo.
Il termine e il concetto vengono coniati in America all’inizio del ‘900 ad
opera di un autore battista il quale, in polemica accesa nei confronti di
quei protestanti che, professando un’interpretazione più attenuata dei
precetti religiosi, ritenevano di venire a compromesso con l’epoca
moderna, dichiara decisamente di essere pronto a lottare esclusivamente
per i “fondamenti” della sua religione. Con la parola fondamentalismo si
suole indicare, pertanto, un atteggiamento di rigore religioso, di richiamo
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alla purezza e al senso originario di una dottrina, di chiusura nei confronti
delle innovazioni che riguardano il comportamento e la vita quotidiana, di
forte coesione interna del gruppo che condivide la stessa fede, e
soprattutto di attaccamento al testo sacro che appartiene al gruppo
religioso, che, interpretato alla lettera, viene considerato l’unica fonte di
ogni verità. Non si dimentichi che a partire dalla fine dell’Ottocento la
purezza dottrinale del protestantesimo erano state messe in discussione
dalle imponenti trasformazioni della società americana: enorme crescita
economica, accelerata industrializzazione, urbanizzazione selvaggia. A
questi processi la chiesa evangelica, proponendosi di affermare “i
fondamenti della fede” rispose con una critica serrata al liberalismo, al
laicismo e al modernismo religioso.
Anche se il termine ed il concetto di fondamentalismo, come si è visto,
non hanno una matrice araba, negli ultimi decenni la parola
fondamentalismo è stata quasi esclusivamente riferita al mondo islamico
per definire l’atteggiamento antimoderno, conservatore, rigorista e
integralista che nel ventesimo secolo ha caratterizzato alcune realtà
appartenenti al Medio ed Estremo Oriente e all’Africa settentrionale.
La terra che ha dato i natali al fondamentalismo islamico è certamente
l’Egitto, dove ad opera dei Sunniti sorse alla fine degli anni venti il
movimento dei “fratelli musulmani”, caratterizzato da atteggiamenti
anticolonialisti e da un acceso rigorismo religioso. Successivamente,
allorché il movimento fece la scelta di una strategia rivoluzionaria e
terroristica, venne sciolto dal governo egiziano, entrando così nella
illegalità ed espandendosi fuori dell’Egitto in un’ampia area che va dal
Maghreb alla Sira, dall’area saudita al Pakistan e oltre. Ma il paese grazie
al quale il fondamentalismo islamico è diventato pericolosamente famoso
in Occidente è certamente l’Iran della rivoluzione khomeinista che ha
scelto la guerra e il terrorismo per vedere affermato il suo ideale di
totale islamizzazione. Per quanto il programma religioso e politico degli
Ayatollah abbia trovato totale applicazione solo nel modello teocratico
iraniano, è innegabile che l’ideale integralista di tornare alla “legge
rivelata” del Corano costituisce un potente richiamo per qualsiasi società
di fede islamica. I caratteri del fondamentalismo religioso e politico di
matrice komeinista si possono così sintetizzare: a) è una dottrina che si
fonda su una “religione del libro”, per cui il Corano è il testo fondante di
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norme e precetti universali ai quali è necessario aderire totalmente.Tutte
le leggi devono essere approvate da un consiglio di esperti teologi, gli unici
in grado di interpretare correttamente il testo sacro, in quanto ogni
azione politica è valida solo se non contrasta con esso;b) il modello della
società fondamentalista si fonda essenzialmente sul connubio fra politica
e religione, in modo che quest’ultima ispiri tutta quanta la vita associata
degli uomini. Questa concezione impone di conseguenza l’inimicizia nei
riguardi delle tendenze opposte del laicismo e della secolarizzazione che
vengono per questo senza appello condannate e combattute anche con la
forza; c) si individua nell’Occidente (europeo o americano) il primo nemico
da abbattere, sia per l’antica politica colonialistica degli stati europei,
responsabili della decadenza politica dell’Islam, sia per la più recente
azione imperialistica dell’America,ritenuta responsabile dell’asservimento
economico dei paesi arabi.
Il mondo islamico che oggi condivide le tendenze fondamentaliste non solo
si sente dominato ed egemonizzato dall’Occidente, ma avversa anche il
suo modello morale ed economico di civiltà, che è ritenuto responsabile
dell’attuale crisi politica dei paesi islamici e della loro caduta morale e
storica che contrasta con l’antica grandezza. Il rifiuto totale
dell’Occidente e delle sue concezioni ha prodotto nel mondo arabo una
visione che, con parola nostra, potremmo definire di tipo manicheo, nel
senso che il bene (tutto quello che appartiene al mondo dell’Islam), e il
male (con cui si identifica tutto l’universo dell’Occidente) vengono
separati e contrapposti senza alcuna possibilità di intesa. Se Khomeini,
utilizzando termini teologici, definiva l’America “il grande Satana”, i suoi
eredi con lo stesso rigorismo si scagliano contro il modello capitalistico
occidentale, le sue vetrine scintillanti e il suo benessere accusandolo di
corrompere la purezza dell’Islam. Secondo la loro concezione l’Occidente
è il male, l’egoismo eretto a sistema, l’immoralità che si sostituisce alla
vera ed intima libertà che si ottiene solo con l’espiazione, il ritorno
integrale al Corano, l’espulsione ed il rigetto del cancro occidentale. Ad
onor del vero c’è da dire, però, che l’atteggiamento degli arabi integralisti
verso l’Occidente è anche abbastanza ambiguo, in quanto, se per un verso
combattono il nostro stile di vita, la modernità del pensiero e dei
comportamenti che ci appartengono, d’altra parte il richiamo assoluto alla
tradizione coranica non esclude il consumo dei prodotti del mondo
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industriale, dimostrando con questo di non saper resistere al richiamo
della modernizzazione e del progresso tecnologico, sebbene vengano
avversati a parole.
Lo scontro di civiltà
3.Samuel Huntington, che in parte ha recuperato il metodo vichiano,
rigettando la visione marxiana che considera i fenomeni religiosi solo
come maschera dei fattori materiali, ci ha spiegato in modo convincente
che dietro ad ogni religione esistono le civiltà, le tradizioni, i costumi,
l’identità etnica dei popoli che si svolgono nel corso di secoli; ma non è
escluso, sostiene lo storico americano, che a tutte queste cose si debba
aggiungere anche un magma irrazionale in movimento che potrebbe creare
rigetto reciproco nel caso che due civiltà vengano a contatto, generando
uno scontro come quello che stanno vivendo da diverso tempo mondo
arabo e paesi occidentali. Il testo di Huntington, per quanto sia stato più
spesso criticato che letto, proponendo la tesi dello “scontro di civiltà”, ci
fornisce una spiegazione abbastanza plausibile sia delle cause del
conflitto arabo-israeliano sia degli scontri successivi che i paesi
musulmani hanno sostenuto negli anni contro l’America e l’Occidente,
compreso il fenomeno del terrorismo.
Per capire l’origine e la vera essenza di questi accadimenti, anche per
arrivare ad una possibile soluzione del conflitto di civiltà, conviene porsi
da una duplice prospettiva culturale, osservando gli stessi eventi non solo
dal punto di vista occidentale ma vedendoli innanzitutto dall’angolo visuale
della parte avversa. Bisogna premettere che il nostro mondo occidentale,
a parte qualche eccezione intellettuale, non ha fatto molto per conoscere
l’universo dell’Islam, ma anche quando lo ha fatto per necessità, col
proposito di arrivare ad una spiegazione dei fatti, utilizzando
esclusivamente
le
proprie
categorie
mentali,
ha
commesso
conseguentemente gravi errori di prospettiva. Al contrario non pochi
islamici conoscono a fondo la cultura degli occidentali o perché hanno
svolto la loro formazione nei paesi europei e in America, o l’hanno studiata
a fondo per potersene appropriare ed anche eventualmente sconfiggerla,
come accade ai seguaci di Al Qaeda. Questa premessa ci aiuta a ritenere
che fra il mondo occidentale e l’islam vi siano differenze profonde tale da
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spiegare il costante rapporto conflittuale che ha reso spesso difficile e
problematica una reciproca integrazione.
Nel mondo occidentale, che ha raccolto l’eredità della filosofia politica
dei Greci (non si dimentichi che per Aristotele l’uomo è innanzitutto un
animale sociale) e della concezione fondamentalmente laica di estrazione
illuministica, la quale a sua volta riconosce nel Rinascimento italiano l’inizio
della rivoluzione moderna caratterizzata dal razionalismo e dal recupero
da parte dell’uomo dei suoi principi, anche a costo di sacrificare la
religione, la discriminante è data innanzitutto dalla politica, nel senso che
il funzionamento del vivere associato non comprende di necessità anche la
religione (nelle moderne strutture statuali si fa distinzione fra i fini laici
dello stato e quelli della sfera religiosa, che ha la sua importanza solo
relativamente alla sfera intima del soggetto) che talvolta vi entra per
eccezione o viene in collisione con l’altro in senso problematico (pensiamo
al dibattito sui diritti civili, come il divorzio e l’aborto, o quelli sulla
bioetica).
Nel mondo islamico integralista,che non ha conosciuto la rivoluzione
rinascimentale-illuministica, l’elemento fondamentale e discriminante non
è la politica (come prodotto del pensiero e dell’azione) ma la religione, la
cui centralità ha finito per condizionare fortemente o, nel caso del
fondamentalismo, dominare sia la prassi politica che quello della morale.
La concezione fondamentalmente laica della politica e dello stato, che
spinta alle estreme conseguenze prende il nome di “laicismo” (è questa la
visione che prende le mosse dal pensiero di Machiavelli, che, prevedendo
una totale separazione tra fede e cultura, religione e politica, e negando
al credente il diritto di far diventare la sua fede cultura e di giudicare la
cultura e la politica alla luce della fede, segna un’autentica rivoluzione
rispetto alla concezione teocentrica del Medio Evo) è assolutamente
estranea al mondo islamico. Gli stessi termini di “laicità” e “laicismo”,
sicuramente presenti nelle lingue occidentali, non appartengono al lessico
della lingua araba. La concezione islamica di tipo fondamentalista, al
contrario di quella laicista, prevede che tra fede e cultura, fede e politica
non vi sia distinzione ma indistinta comprensione e fusione.
Questa visione tutta centrata sulla religione, antagonista rispetto all’idea
dello stato moderno e particolarmente avversa al laicismo, ci fa pensare
per analogia alla visione medievale, interamente dominata dalla
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onnipotenza del divino rispetto alla sfera dell’umano.E’ la cosiddetta
“riduzione all’unità”, concezione che riporta esclusivamente al divino anche
l’esercizio del potere politico, come si può ricavare dalla seguente
espressione di Agostino:”Nulla auctoritas nisi a deo”. Il mondo musulmano,
che non ha conosciuto il Rinascimento e la rivoluzione del mondo moderno,
ha un concetto molto simile alla concezione del potere politico che riceve
la sua autorità direttamente da Dio. Questo comporta che anche la legge
preesista al governante che, in quanto “lex animata in terris”, estrae dai
libri sacri leggi e precetti che regolano la vita privata e pubblica degli
uomini.
Se volessimo andare alla radice del problema del radicalismo islamico
dobbiamo ritenere che il fondamentalismo trova la sua matrice storica
nella constatazione dolorosa della condizione di debolezza e penosa
inferiorità in cui il regno dell’islam (“dar al islam”) si trova rispetto al
mondo occidentale cristiano col quale è venuto in collisione a partire dal
Medioevo e che nel tempo mitico degli Abassidi ha realizzato un impero
che comprendeva, oltre all’Africa islamizzata, molte terre del
Mediterraneo occidentale. Accade, però, che da diversi secoli il mondo
islamico si senta profondamente umiliato senza trovare in sé la forza di
rinascere: dopo aver subito l’onta della colonizzazione, ha perso quattro
guerre con il minuscolo stato d’Israele, in ultimo, pur avendo minacciato
“la madre di tutte le guerre” in Iraq, è stato definitivamente sconfitto
dagli Americani. A questo punto non è difficile congetturare che la scelta
fondamentalista sia da porre in relazione sia con il senso di marginalità e
di abbandono subiti dal mondo arabo a partire dal momento della
decolonizzazione, sia con l’insopportabile frustrazione generata dalle
recenti sconfitte.Di fronte alla passata grandezza, che genera l’orgoglio
di essere comunque eredi di una straordinaria civiltà, e partecipi di una
gloriosa tradizione religiosa, la miseria del presente diventa
improvvisamente intollerabile e richiama il gesto estremo di quella
strategia suicida che ha avuto la sua massima espressione nell’attentato
dell’11 settembre a New York.
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