Definizione di attenzione
«L'attenzione selettiva si riferisce all'elaborazione differenziale di sorgenti simultanee
di informazione» (Johnston & Dark, 1986, pag. 44).
«L'attenzione selettiva è il processo grazie al quale un parte dell'informazione
disponibile è selezionata da un array sensoriale per ulteriori elaborazioni, in particolare
per la ricognizione o per dei compiti mnemonici» (Niebur, Koch & Rosin, 1992).
L'attenzione è un fenomeno che coinvolge il vissuto esperenziale di ogni individuo.
Ognuno ha, almeno implicitamente, la sensazione di vivere immerso in un ambiente
formato da innumerevoli oggetti. A questi oggetti possiamo decidere di prestare, o
meno, il nostro interesse; ma gli stessi oggetti, grazie alle loro caratteristiche di
salienza, possono in qualche modo imporsi al nostro interesse o, viceversa, possono
mimetizzarsi.
Noi tutti abbiamo la capacità di ascoltare una persona fra molte che parlano
contemporaneamente: riusciamo a far emergere la sua voce e a portare in secondo
piano le altre. Ma se qualcuna delle altre persone pronuncia il nostro nome essa si
impone alla nostra coscienza: riusciamo ad accorgerci che si parla di noi anche se non
stavamo ascoltando. E' la tipica situazione nota come cocktail party.
Se chiedessimo all'ipotetico uomo della strada una definizione di attenzione questi
probabilmente ne parlerebbe come della capacità di decidere quali parti del mondo (e
dei nostri stessi pensieri) far emergere a livello della coscienza. Una definizione non
molto dissimile a quella data, un secolo fa, da William James: «la mia esperienza è ciò
a cui decido di prestare attenzione» (citato in Bagnara, 1984). Detto in altri termini,
se la coscienza è la nostra telecamera sul mondo l'attenzione è il regista che decide
quali inquadrature effettuare.
Il rapporto coscienza/attenzione ha condizionato il ruolo di quest'ultima nella storia
della psicologia (Bagnara, pag. 12). Nell'era pionieristica della psicologia, durante il
periodo a cavallo fra il XIX ed il XX secolo, la coscienza era considerata uno degli
argomenti centrali della materia, ed al problema dell'attenzione veniva di conseguenza
attribuita molta importanza.
In seguito, con l'avvento del comportamentismo, la coscienza venne considerata un
assunto metafisico non solo inutile, ma addirittura dannoso e lo stesso concetto di
attenzione fu ripudiato in virtù degli assunti mentalisti che veicolava.
Quando il cognitivismo restituì dignità e cittadinanza al mentalismo si incominciò a
parlare nuovamente di attenzione ed a studiare il fenomeno con i mezzi conoscitivi
che, nel frattempo, erano stati sviluppati.
Oggi l'attenzione è uno degli argomenti trattati non solo della psicologia generale, ma
anche della neuropsicologia sperimentale, della neuropsicologia clinica, dalla
psicofisiologia e dalla neurofisiologia (Johnston & Dark, 1986, pag. 45).
L'attenzione selettiva consiste nella capacità, da parte di un agente, di selezionare, in
base ad un qualche criterio, un solo oggetto fra quelli presenti nel suo ambiente. Essa
può essere considerata un filtro che seleziona le informazioni in input e decide quali di
queste debbano essere ulteriormente elaborate e quali, viceversa, debbano essere
ignorate.
Complementare all'aspetto selettivo vi è il fenomeno della focalizzazione, che consiste
nella capacità di sottoporre lo stimolo selezionato ad ulteriori elaborazioni. Nel
paragrafo 2 ci occuperemo dell'attenzione selettiva, mentre il paragrafo 3 introdurrà
l'attenzione focalizzata.
Le funzioni dell'attenzione selettiva
Per spiegare l'esistenza ed il funzionamento del processo attentivo è necessario
rispondere alle seguenti domande:
1) a che cosa serve il filtro, ovvero per quale motivo è necessario eliminare parte
dell'informazione disponibile;
2) dov'è collocato all'interno del flusso;
3) com'è fatto e come funziona;
4) in base a quali criteri seleziona le informazioni.
Le questioni sono fra loro collegate: non è possibile, ad esempio, pensare che la
selezione dell'informazione si basi su criteri semantici se si colloca il filtro in uno stadio
precedente l'analisi semantica.
Nelle fasi preattentive della percezione l'agente elabora tutta l'informazione in arrivo
nei propri canali sensoriali, indipendentemente dal numero di oggetti percepiti. Nelle
fasi postattentive, viceversa, l'agente elabora soltanto i dati riguardanti l'oggetto
selezionato. Il primo tipo di operazioni è compiuto in parallelo, in quanto alcune
operazioni sono effettuate contemporaneamente nei confronti della rappresentazione
di innumerevoli oggetti; le elaborazioni postattentive sono, viceversa, seriali, poiché si
applicano ad un solo oggetto alla volta. La perdita di informazione costituisce
sicuramente uno svantaggio in quanto, potendo, sarebbe meglio poter elaborare in
maniera completa tutti i dati in ingresso.
Per capire a che cosa serve l'attenzione selettiva è necessario allora chiedersi perché
l'elaborazione smette, ad un certo punto, di funzionare in parallelo elaborando tutte le
informazioni in ingresso.
L'elaborazione delle informazioni può avvenire in due modi:
· nell'elaborazione parallela tutti i dati vengono computati contemporaneamente da un
numero di unità di elaborazione pari almeno al numero di informazioni da elaborare;
· nell'elaborazione seriale i dati vengono invece computati uno alla volta (od un
gruppo alla volta).
Usando uno stesso tipo di unità di elaborazione l'elaborazione parallela è banalmente
più potente di quella seriale, in quanto la capacità computazionale di molte unità di
elaborazione è almeno pari alla capacità di una sola unità di elaborazione. In genere,
però, le unità di elaborazione tipiche delle architetture parallele sono meno potenti
delle unità di elaborazione tipiche delle architetture seriali. In questo caso è più
difficile stabilire quale sia l'architettura più appropriata per compiere una data
operazione. Nel caso si debbano compiere operazioni molto semplici e fra loro non
ordinate (e dunque non vincolate ad una precisa sequenza) un'architettura parallela
appare più appropriata. Qualora le operazioni da compiere debbano essere eseguite in
una precisa sequenza l'architettura parallela è superflua, in quanto in ogni istante t un
solo elaboratore può operare. Qualora le operazioni possano essere eseguite solo da
unità di elaborazione molto potenti l'architettura parallela può rivelarsi utile ma
eccessivamente costosa in termini di potenza computazionale. Un primo svantaggio
nell'elaborazione contemporanea di tutte le informazioni disponibili può dunque
consistere nell'eccessivo carico computazionale che una simile operazione comporta.
Un secondo tipo di problemi legati alle architetture parallele è dato dalla possibilità
che sorgano delle interferenze fra i processi o fra le rappresentazioni.
Vi è un'interferenza fra i processi qualora il compimento di un'operazione da parte di
una unità comprometta in qualche modo la possibilità, da parte di un'altra unità, di
compiere in maniera corretta il compito che era tenuta ad eseguire. Se consideriamo,
un poco impropriamente, i due muscoli antagonisti di un arto come due unità di
elaborazione, ci accorgiamo che essi non possono operare contemporaneamente, pena
l'inefficacia delle loro azioni. E' dunque necessaria, per il loro corretto funzionamento,
la presenza di un meccanismo (una specie di semaforo) che decida quale dei due
muscoli debba essere attivato.
L'interferenza a livello di rappresentazioni è possibile (ed addirittura frequente)
qualora l'elaborazione parallela operi su informazioni codificate in maniera distribuita.
In quest'ultimo caso, infatti, la codifica contemporanea di due o più dati può portare
ad effetti di sovrapposizione e dunque ad una perdita dell'informazione. La
serializzazione dell'elaborazione potrebbe dunque avvenire per ovviare a quest'ultimo
possibile problema. E' utile sottolineare come, in questo caso, l'elaborazione continui
ad essere parallela ma avvenga sottoponendo ad analisi un solo oggetto alla volta.
L'abbandono di un'elaborazione parallela a favore di una di tipo seriale può dunque
essere dovuta ai seguenti motivi:
1) Il primo vincolo può essere legato alle unità di elaborazione: se il numero delle
unità è inferiore al numero di dati da elaborare, tali dati non potranno essere elaborati
contemporaneamente. I personal computer, ad esempio, dispongono di una sola unità
di elaborazione, e riescono dunque a fare un'operazione alla volta (anche se a velocità
elevatissime). Questo verrà definito il problema delle risorse limitate.
2) Il secondo vincolo può sorgere a livello del processo, nel momento in cui alcune
operazioni sono fra loro incompatibili, oppure producono risultati opposti. In questo
caso è necessario che l'elaboratore compia una scelta fra le operazioni potenzialmente
eseguibili. Questo verrà definito il problema del conflitto della risposta.
3) Il terzo vincolo può sorgere a livello della rappresentazione ed è noto in letteratura
come binding problem (Hinton, McClelland & Rumelhart, 1986, pag. 93): il binding
problem sorge qualora il campo recettivo di un neurone abbia una dimensione tale da
poter percepire simultaneamente più di un oggetto, e dunque vi sia la possibilità che
la codifica di due o più elementi possa causare delle interferenze; in questo caso è
necessario che gli elementi siano rappresentati uno alla volta in un processo di tipo
seriale.
Una teoria dell'attenzione si pone, come obbiettivo, di spiegare il motivo che sta alla
base dell'elaborazione seriale delle informazioni. Abbiamo delineato tre possibili
motivi: risorse limitate, conflitto nelle risposte, conflitto nella codifica (o binding
problem). Analizzeremo ora tre classi di teorie dell'attenzione: la teoria dell'attenzione
per risorse limitate, la teoria dell'attenzione per conflitto delle risposte, e la features
integration theory (che, per amore di simmetria, potremmo definire la teoria
dell'attenzione per conflitto nella codifica).
Le teorie dell'attenzione per risorse limitate
Secondo la prima ipotesi la mente funziona, ad un certo punto, in maniera sequenziale
poiché le unità di elaborazione sono insufficienti ad elaborare tutte le informazioni
contemporaneamente:
«L'immagine dell'attenzione come uno sforzo mentale deriva dall'assunzione comune
che le capacità di elaborazione di qualche meccanismo centrale siano limitate»
(Johnston & Dark, 1986, pag. 44);
«Quando le computazioni eseguite dal cervello sono faticose, nel senso che elementi
esterni competono per una risorsa comune a capacità limitata, gli psicologi etichettano
questi elementi come richiedenti attenzione» (Posner & Presti, 1987, pag. 13).
«Nonostante sia chiaro che il parallelismo sia necessario per processare il massiccio
numero di dati che rappresentano l'input visivo in un lasso di tempo relativamente
breve, il parallelismo completo non è possibile, poiché richiede troppi processori e
connessioni. Piuttosto, bisogna trovare un compromesso [...] Un mezzo per
implementare questo compromesso è di processare tutti i dati in parallelo nei primi
stadi della visione, e poi selezionare parte dei dati disponibili per l'ulteriore
elaborazione dei livelli successivi. A questa serializzazione della computazione verso i
livelli di elaborazione più alti ci si riferisce con il nome di attenzione.» (Sandon, 1990).
L'ipotesi delle risorse limitate è stata presentata per prima se non altro per motivi
storici: Broadbent formulò la prima teoria moderna dell'attenzione proprio muovendo
da questa idea (Bagnara, 1984, pag. 49). Il modello di Broadbent suggeriva che
l'informazione di ogni canale fosse inizialmente processata in parallelo, ma ad un certo
punto convergesse in un dispositivo a capacità limitata (un collo di bottiglia) deputato
all'identificazione degli stimoli e all'elaborazione semantico, operazioni ritenute
computazionalmente pesanti.
La teoria del collo di bottiglia supponeva che la selezione attenzionale fosse un filtro,
di tipo tutto-o-nulla, localizzato negli stadi iniziali dell'elaborazione, e che operasse in
base a criteri di tipo fisico quali la locazione spaziale, il colore, la luminosità. Si
riteneva infatti che l'elaborazione dei dati di tipo fisico (fra cui la localizzazione
spaziale) fosse precedente all'analisi semantica, che veniva considerata posteriore e
computazionalmente pesante. Una selezione precedente l'analisi semantica (l'ipotesi
early selection) sollevava dunque il sistema dall'onere di un lavoro troppo gravoso.
Alcuni esperimenti (ascolto dicotico, effetto Stroop) dimostrarono che l'ipotesi del filtro
tutto-o-nulla era falsa, poiché si scoprì che le informazione presentate nel canale o
nella modalità disattesi venivano comunque elaborate addirittura al livello semantico.
Un ipotesi più morbida fu presentata da Treisman nel 1960 ed accettata dallo stesso
Broadbent: questo modello assumeva che sia i canali attesi che disattesi fossero
processati, ma che il segnale, nel canale disatteso, fosse in qualche misura attenuato.
Questa formulazione riusciva a tenere conto dei dati sperimentali che misero in
difficoltà il modello precedente, ma veniva meno al principio dell'economicità, in
quanto, come sottolineato da Norman (cit. in Bagnara, pag. 56), la riduzione del peso
sull'elaboratore centrale determinata dalla attenuazione di alcuni canali è effimera,
poiché tutti i segnali in arrivo devono essere comunque elaborati.
La teoria dell'attenzione per risorse limitate si fonda su alcune assunzioni piuttosto
forti sull'architettura ed organizzazione dell'elaborazione (Allport, 1992, pag. 187). Ne
verranno qui elencate alcune e ne verrà analizzata la validità.
a) L'assunzione secondo cui l'elaborazione dell'informazione segua una sequenza
lineare, ordinata ed unidirezionale di operazioni che vanno dall'input sensoriale alle
risposte motorie esplicite, piuttosto che, ad esempio, operare attraverso vie multiple,
parallele e magari reciproche. Solo in una singola serie, lineare e ordinata di
operazioni di elaborazione possiamo determinare con certezza quali operazioni sono
precedenti e quali successive.
b) L'assunzione che l'elaborazione degli attributi fisici di carattere spaziale sia
precedente all'elaborazione degli attributi categorici o semantici.
c) L'assunzione che vi sia un solo locus dell'attenzione selettiva, collocato fra
l'elaborazione fisica e quella semantica (early selection) e un unico ed uniforme
processo computazionale, e che esista, nel cervello, un sistema centrale unitario, di
capacità limitata, che può essere bypassato solo dalle operazioni automatiche.
Allport analizza tali assunzioni e le verifica sulla base di alcuni dati. La prima
assunzione, secondo cui l'elaborazione dell'informazione visiva avviene secondo una
sequenza lineare, strettamente seriale, totalmente ordinata ed unidirezionale è
smentita da numerose osservazioni di carattere neuroanatomico:
1) Non è seriale ma avviene attraverso almeno due vie di elaborazione parallelo:
· un sistema ventrale, che include buona parte del lobo temporale inferiore, cruciale
per i processi di identificazione degli oggetti;
· un sistema dorsale che proietta verso la corteccia parietale posteriore ed è
essenziale per la visione spaziale e la coordinazione visuomotoria.
2) Non è unidirezionale: il numero dei collegamenti backward è quasi equivalente a
quello delle connessioni forward.
3) Non è strettamente sequenziale: ogni area implicata ha dei legami diretti con i
sistemi motori, e l'attivazione di ogni area corticale può indurre una disposizione
comportamentale all'azione, saltando dunque le sequenze successive (o presunte tali).
La presenza di due vie visive parallele, l'una deputata all'analisi spaziale, l'altra
all'identificazione delle caratteristiche degli oggetti, rende obsoleta l'idea che la
codifica spaziale sia in qualche modo precedente ad altri tipi di codifica, di tipo
categoriale e semantico. Al contrario, la codifica di relazioni visuospaziali e la
modulazione attenzionale a tali rappresentazioni avviene a differenti livelli di
elaborazione visivo e controllo visuomotorio.
Infine l'idea di un unico centro attentivo sembra contraddetta dal fatto che la
modulazione attenzionale selettiva di tipo spaziale è stata riscontrata in molteplici loci
anatomico-funzionali, fra i quali i sistemi corticali e subcorticali implicati in funzioni di
carattere premotorio.
Il problema del locus dell'attenzione selettiva nel processo computazionale è stato
posto in maniera semplicistica, ritenendo che tutto ciò che ha a che fare con la
dimensione spaziale avvenga nei primi stadi di computazione: le dimostrazioni
sperimentali dell'influenza della componente spaziale sull'efficienza della selezione
visiva venivano considerate una conferma dell'ipotesi dell'early selection.
Va invece sottolineato come la rappresentazione spaziale dell'ambiente implichi una
serie di operazioni piuttosto complesse. Molti dei fenomeni visivi proposti quali
indicatori della cosiddetta early selection possono essere dunque ridefiniti, più
precisamente è più appropriatamente, semplicemente quali indicatori di selezione
spaziale, selezione che non necessariamente deve avvenire ai primi stadi
dell'elaborazione. Questo fatto pone però dei problemi alle teorie delle risorse limitate,
che postulano che la selezione avvenga precocemente nel corso dell'elaborazione.
L'ipotesi delle risorse limitate non è dunque sufficiente a spiegare tutti i fenomeni
collegati all'attenzione selettiva. Questo non significa comunque che sia del tutto falsa.
Nella situazione del cocktail party, ad esempio, prestare attenzione a più persone è un
compito che sicuramente va oltre le capacità computazionali di una persona, anche
senza invocare problemi di interferenza.
Teorie dell'attenzione per conflitto della risposta
Una spiegazione alternativa dell'attenzione selettiva postula che l'elaborazione
sequenziale sia necessaria in quanto alcune operazioni risultano in conflitto fra di loro
e dunque sia necessario scegliere quale operazione effettuare. Le teorie che spiegano
l'attenzione in questi termini vengono definite teorie della selezione per conflitto della
risposta (Bagnara, pag. 57).
La principale teoria elaborata all'interno di questo approccio è la teoria premotoria
dell'attenzione spaziale. Secondo tale teoria lo scopo fondamentale dell'attenzione
consiste nella scelta di un azione specifica diretta verso un dato oggetto, piuttosto che
la selezione di un singolo stimolo fra i molti presenti nell'ambiente. Le assunzioni più
importanti della teoria premotoria sono le seguenti:
· La programmazione degli atti motori e dei movimenti presuppone la localizzazione
degli oggetti nello spazio.
· Le aree in cui vi è rappresentazione spaziale sono coinvolte negli aspetti spaziali
della programmazione motoria.
· Differenti tipi di azione implicano differenti tipi di codifica delle relazioni spaziali: i
movimenti oculari necessitano di rappresentazioni retinotopiche dello spazio distale,
mentre i movimenti di prensione (reaching) presuppongono una codifica centrata sul
corpo e/o sull'arto dello spazio prossimale.
· Una stessa area può essere coinvolta in molteplici funzioni psicologiche quali la
rappresentazione spaziale, l'attenzione selettiva spaziale e la programmazione dei
movimenti (Rizzolatti & Gallese, 1988).
· L'attenzione spaziale può essere prodotta da ognuna delle mappe che codificano lo
spazio, in quanto i meccanismi attentivi sono intrinseci alle mappe semantiche e
dipendono dal programma motorio sviluppato.
· Non esistono entità simili a circuiti di attenzione selettiva definiti come entità
anatomiche separate dalle mappe spaziali: l'attenzione spaziale è una conseguenza
della facilitazione dei neuroni nelle mappe pragmatiche spaziali. La facilitazione
dipende dalla preparazione ad eseguire movimenti codificati in forma spaziale e diretti
ad uno scopo.
· La selezione e la programmazione di un piano motorio produce automaticamente uno
spostamento dell'attenzione verso i settori spaziali dove l'azione deve essere eseguita.
Nella teoria premotoria le mappe spaziali codificano non solo la locazione degli oggetti
nell'ambiente, ma anche la loro la valenza pragmatica, ovvero la possibilità di
compiere, verso tali oggetti, determinate operazioni. Le mappe spaziali vengono per
questo definite mappe pragmatiche (Rizzolatti, Riggio & Sheliga, 1994, pag. 239).
La features integration theory
Secondo la features integration theory la necessità di ricorrere all'attenzione selettiva
spaziale deriva da un'ambiguità potenziale della codifica che può avvenire nelle reti
parallele quando viene codificato più di uno stimolo. In tali reti, infatti, il campo
recettivo delle unità può avere un'estensione tale da percepire simultaneamente più
stimoli, causando problemi di interferenza. L'attenzione viene dunque invocata, in
questa teoria, per risolvere il binding problem.
Nel modello proposto da Treisman e colleghi gli attributi fisici sono codificati in
parallelo, automaticamente già nei primi stadi di elaborazione visiva, mentre gli
oggetti vendono identificati soltanto in un secondo momento e con l'intervento
dell'attenzione selettiva. Il modello assume che la scena visiva sia inizialmente
codificata in base a differenti dimensioni (colore, orientamento, frequenza spaziale,
lucentezza, direzione di movimento). L'elaborazione seriale diviene necessaria al fine
di ricombinare tali rappresentazioni separate e per assicurare la corretta sintesi di
attributi per ogni oggetto in una scena complessa. Ogni attributo presente nella stessa
locazione attentivamente selezionata viene combinato per formare un oggetto unitario
(Treisman & Gelade, 1980, pag. 98).
Le vie di elaborazione visive
Nel cervello dei primati vi sono due meccanismi paralleli di elaborazione degli input
visivi:
1) un meccanismo deputato all'identificazione degli oggetti, indipendentemente dalla
loro posizione (via del what);
2) un meccanismo deputato alla localizzazione degli oggetti, indipendentemente dai
loro attributi fisici (via del where).
La possibilità, da parte del meccanismo di identificazione, di ignorare le informazioni
relative alla posizione spaziale dell'oggetto costituisce uno dei principali vantaggi della
divisione dei compiti. Nei compiti di identificazione, apprendimento, riconoscimento e
classificazione è necessario infatti disporre di una codifica centrata sull'oggetto, tale
da poter disporre di valori costanti di forma, dimensione e colore indipendentemente
dalle condizioni di contorno e, soprattutto, invariante rispetto alla posizione nello
spazio tridimensionale ed a quella della proiezione retinica (Desimone & Ungerleider,
1989, pag. 271; Goodale & Milner, 1992, pag. 23). Un mezzo per ottenere l'invarianza
spaziale è quello di ampliare il campo recettivo delle cellule coinvolte:
«È significativo come, in virtù di campi recettivi estremamente larghi, i neuroni
dell'area temporale inferiore (IT) sembrino capaci di assicurare le basi neuronali del
fenomeno noto come equivalenza degli stimoli alla traslazione retinica, ovvero la
capacità di riconoscere uno stimolo come identico a prescindere dalla sua posizione
nel campo visivo» (Mishkin, Ungerleider & Macko, 1983, pag. 415).
Lungo la via del what vi sono delle unità, selettive verso determinati attributi fisici,
con campi recettivi che possono includere un intero emicampo visivo. Questo tipo di
codifica, estremamente efficiente, comporta però degli svantaggi: se molti stimoli fisici
sono presenti nel campo visivo, alcuni campi recettivi rischieranno di percepire più
oggetti ed il pattern di attività di tali unità non riuscirà a discriminare fra le possibili
combinazioni di attributi presenti (Hinton, McClelland & Rumelhart, 1986, pag. 93).
Affinché la codifica sia corretta il diametro dei campi recettivi dev'essere non più
ampio dello spazio che intercorre fra i vari oggetti. In caso contrario, sarà necessario
diminuire il campo recettivo dei neuroni, perdendo però l'effetto di invarianza spaziale.
L'unico mezzo per salvare capra e cavoli è quello di rendere possibile una contrazione
dinamica del campo recettivo delle cellule. L'ipotesi può sembrare assurda ma, come
vedremo nei prossimi capitoli, è proprio questo lo stratagemma utilizzato, reso
possibile proprio attraverso l'attenzione selettiva spaziale (Moran & Desimone, 1985;
Desimone, Wessinger, Thomas & Schneider, 1990).
Secondo la features integration theory l'attenzione selettiva spaziale ha il compito di
disambiguare, nel corso del processo di identificazione, le informazioni relative agli
attributi fisici degli oggetti simultaneamente presenti nel campo visivo, rendendo in
questo modo possibile l'integrazione delle caratteristiche fisiche degli stimoli. Ciò
consentirebbe di superare i problemi di identificazione collegati al tipo di codifica delle
informazioni lungo la via del what.
Nella generazione dei movimenti saccadici l'accuratezza del movimento può essere
drammaticamente danneggiata dalla presenza di un distrattore localizzato vicino allo
stimolo bersaglio. Questo effetto, noto in letteratura come effetto gravità (Sparks,
Lee, Rohrer, 1990), è dovuto al tipo di codifica degli stimoli nel collicolo superiore. In
quest'area subcorticale, infatti, i neuroni presentano campi recettivi ampi e l'esatta
locazione di uno stimolo può essere inferita soltanto in base alla popolazione di
neuroni che costituiscono la mappa. La presenza del distrattore modifica il pattern di
attivazione della rete ed il vettore calcolato andrà a cadere nel punto medio fra i due
stimoli. In questo caso, dunque, il problema dell'interferenza nella codifica emerge
non a livello dell'identificazione degli stimoli ma a quello della loro localizzazione,
danneggiando l'accuratezza della programmazione motoria. Il filtro attentivo ha
dunque anche lo scopo di eliminare l'interferenza causata dagli stimoli distrattori nella
programmazione di atti motori che implicano una precisa localizzazione degli oggetti.
Questa descrizione del fenomeno ha il pregio di mettere in risalto i punti in comune fra
la teoria dell'attenzione per conflitto nella codifica e teoria dell'attenzione per conflitto
nella risposta.
L'attenzione focalizzata
Nel presente lavoro si prenderà in considerazione quasi esclusivamente l'attenzione
selettiva; l'attenzione focalizzata costituisce l'altra faccia del processo attentivo: si
seleziona un oggetto per focalizzare su di questo la propria attenzione. L'attenzione
focalizzata consiste nella capacità di elaborare ulteriormente ed in maniera migliore
l'informazione selezionata. Una simile definizione è però ambigua, in quanto
ulteriormente ed in maniera migliore non sono sinonimi. Con l'etichetta di attenzione
focalizzata si accomunano, dunque, due processi differenti:
1) la possibilità di sottoporre gli oggetti selezionati ad elaborazioni non disponibili nelle
fasi preattentive del processo: identificazione o programmazione di azioni nei loro
confronti;
2) la possibilità di operare, verso gli oggetti o le aree spaziali selezionate, in maniera
più efficace, attraverso una detezione più veloce, migliore capacità discriminativa od
una più alta predisposizione alla risposta. E' interessante notare come questi vantaggi
non si riferiscono alle operazioni sequenziali ad alto livello quanto ai processi
elementari computati in parallelo, ovvero quelli che la teoria del collo di bottiglia
definirebbe preattentivi.
Attraverso la selezione di un oggetto è possibile compiere, nei suoi confronti,
operazioni seriali di alto livello. Attraverso la selezione di un'area spaziale è possibile
avvantaggiare gli oggetti localizzati in tale area anche nell'elaborazione in parallelo
degli stimoli. In maniera simile attraverso la selezione di un attributo fisico è possibile
aumentare la salienza di quegli oggetti che dispongono di tale attributo. L'attenzione
spaziale ha dunque non solo il compito di affrontare i problemi relativi all'interferenza
della codifica nei processi di identificazione e programmazione motoria, ma può essere
invocata anche allo scopo di migliorare l'elaborazione degli stimoli che cadono in una
specifica area spaziale.
Conclusioni
In questo capitolo abbiamo dato alcune definizioni di attenzione selettiva:
· L'attenzione selettiva consiste nella capacità, da parte di un agente, di selezionare,
in base ad un qualche criterio, un solo oggetto fra quelli presenti nel suo ambiente.
· l'attenzione selettiva è l'interfaccia fra un'elaborazione di tipo parallelo ed una di tipo
seriale.
· l'attenzione selettiva è un filtro che seleziona un oggetto a scapito di altri;
La seconda e la terza definizione sono fra loro complementari: il passaggio da
un'elaborazione parallela a quella seriale implica una scelta dell'informazione che
verrà ulteriormente computata e, di conseguenza, la necessità di escludere altre
informazioni dall'accesso. La prima definizione coglie invece un aspetto differente del
fenomeno: data l'impossibilità di processare tutto contemporaneamente stabilisce che
l'agente ha comunque, entro certi limiti, la capacità di decidere a quali oggetti
prestare attenzione. Questa assunzione verrà analizzata nei prossimi capitoli.
Sono state brevemente discussi tre gruppi di teorie che sono state avanzate per
spiegare gli scopi dell'attenzione. La teoria delle risorse limitate è legata soprattutto
agli aspetti semantici dell'elaborazione e, pertanto, in questo lavoro non verrà
ulteriormente presa in considerazione. Ci si occuperà, invece, in maniera abbastanza
approfondita, degli altri due gruppi di teorie: conflitto nelle risposte ed interferenza
nella codifica. Vale comunque la pena di ricordare che le tre diverse spiegazioni non
sono mutualmente escludentisi ma che, piuttosto, sono fra loro complementari. La
teoria delle risorse limitate può spiegare alcuni fenomeni relativi alle operazioni di tipo
semantico, la features integration theory può interpretare alcuni importanti fenomeni
che emergono nei compiti di identificazione mentre la teoria premotoria può essere
invocata nella descrizione della programmazione degli atti motori.