PER LA STORIA DELLA .LIBERTAS ECCLESIAE»
A cura di
ALFONS M. STICK.LER
OVIDIO
CAPITANI - HORST FUHRMANN
- MICHELE MACCARRONE
RUDOLF SCHIEFFER - RAFFAELLO VOLPINI
XIII
LAS - ROMA
ALFONS
M.
STICKLER
I PRESUPPOSTI STORICO-GIURIDICI
DELLA RIFORMA GREGORIANA
E DELL'AZIONE PERSONALE DI GREGORIO VII
Il gesto del Cristo nel Giudizio Universale della Cappella Sistina si comprende solo guardando tutto il vasto panorama dell'affresco di Michelangelo.
Similmente, per comprendere l'azione di qualsiasi grande personaggio della
storia c'è bisogno di vederlo sullo sfondo di una situazione che abbracci non
solo tutta la vita di quel tempo ma anche le singole componenti che, in tempi
più o meno lunghi e in spazi più o meno vasti, hanno contribuito a creare
quel quadro nel quale è inserita l'azione del personaggio che è nel centro e
che lo condizionano negli aspetti fondamentali.
Ora penso che si possa dire senza timore di errare che poche vicende che
hanno condizionato l'azione di un grande personaggio storico siano state eosl complesse come quelle che hanno determinato la vita, l'attività, la personalità di Gregorio VII nella riforma della Chiesa che da lui ha preso comunemente il nome. Mi pare perciò giusto, anzi necessario, iniziare questo Congresso che ricorda il nono centenario della sua morte con uno sguardo sintetico sui presupposti storico-giuridici di questa riforma e dell'azione personale
gregoriana nella quale, condizionato precisamente da questi presupposti, si
è dovuto impegnare il nostro. Con ciò vorrei quasi dipingere anche lo sfondo
su cui si svilupperanno, quali scene e particolari del grande quadro, le singole
relazioni, comunicazioni e discussioni del Congresso.
Se parlerò dei presupposti storico-giuridici, intendo anzitutto mettere in
rilievo le due componenti storiche più importanti delle vicende della Riforma Gregoriana ed insieme i due piani non distinti o, ancora meno, separati,
ma due elementi condizionanti tutta la situazione che si compenetrano e condizionano a loro volta a vicenda sl da costituire uno sfondo unico per quanto
variopinto.
Alfons M. Stickler
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I.
1. Il primo presupposto è costituito dai rapporti tra le due autorità che
presiedono ai due ordini che caratterizzano quei secoli, quello ecclesiastico
e quello civile. Dal tempo della conversione al cristianesimo dei vari popoli
di origine germanica un pilastro della vita pubblica è la collaborazione tra
le due autorità. Essa è assai viva ed influenza e determina la politica e continua ad essere il fulcro dei regni che lentamente si formano e consolidano: nella Spagna, nelle Gallie, nell'Inghilterra, nell'italia. In modo particolare però
questa collaborazione si sviluppa ed acquista importanza costitutiva nella parte
orientale del regno di Carlo Magno e successori, nella Germania, in quanto
diventa elemento determinante nello sviluppo del sistema di potere dei re i
quali devono impostare la loro politica nel consolidamento della loro autorità reale, del potere regio, attraverso i rapporti sempre più stretti con la Chiesa dopo il fallimento del tentativo di fondarlo sui rapporti familiari sotto Ottone I. Vescovi ed abbati diventano cosl anche - e spesso principalmente principi civili. Il diritto di designazione delle persone che dovevano occupare
gli uffici ecclesiastici superiori diventava di conseguenza nella mente dei re
una loro prerogativa indispensabile soprattutto da quando tutto il sistema di
governo regio cominciava a poggiare sulla gerarchia ecclesiastica alla quale,
con i compiti di governo ecclesiastico, incombeva, dunque, anche - e spesso
in modo eminente - il potere temporale.
fatto poi che i re franchi diventavano i protettori dei papi e con Carlomagno, incoronato nell'800, imperatori del mondo occidentale, dignità rin- .
navata e perpetuata con lo stesso Ottone I che aveva poggiato tutto il sistema
di governo nel suo regno sui dignitari ecclesiastici, questo fatto ha consolidato al massimo la reciproca collaborazione nel Sacro Romano Impero della
nazione germanica, ma ha conferito ancheal re-imperatore una consacrazione ecclesiastica ed un diritto-dovere di azione dentro la Chiesa e per la Chiesa
con tutto il carisma della autorizzazione data dallo stesso sommo pontefice
nell'atto dell'incoronazione.
Un primo e fondamentale elemento dei presupposti storico-giuridici è costituito dunque da questa, più che collaborazione, quasi convivenza delle autorità ecclesiastica e temporale-civile nelle persone costituenti la gerarchia ecclesiastica e degli interessi vitali coesistenti in una tale situazione.
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2. Un secondo elemento, anch' esso fondamentale, è costituito dal diritto
di proprietà materiale del tempo con le sue molteplici conseguenze ed implicanze. A questo riguardo occorre far un primo richiamo alla situazione patrimoniale della Chiesa di allora. Dopo le grandi conversioni in massa e la pene-
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trazione dello spirito religioso cristiano in tutti gli strati, soprattutto in quelli abbienti, si moltiplicarono le donazioni alla Chiesa da parte di tutti sia durante la vita sia anche, e spesso soprattutto, in occasione della morte a favore
della propria anima.
A causa di questa tendenza enormi estensioni terriere entrarono in pro{'rietà della Chiesa, cioè dei vescovadi, dei monasteri e delle chiese inferiori.
E sintomatico a questo riguardo la lamentela del re Chilperico (561-584)riferita da Gregorio di Tours nella sua Historie Francorum: «Ecce pauper remano
sit fiscus nosier; ecce divitiae nostrae ad ecclesias sunt translatae» (Hist. Francorum VI, 46: PL 71, 413s). Queste ricchezze erano in quell'epoca di economia
agraria precisamente i grandi fondi agricoli e terrieri. Ma possiamo dire in
genere che la proprietà immobiliare era in quell' economia non ancora monetaria centro e sostanza di ogni patrimonio.
Questo fatto economico determina in quell' epoca storica la situazione
ecclesiastica-civile in maniera decisiva sotto diversi aspetti.
a) Di un primo aspetto dobbiamo occuparci soprattutto: è il fenomeno
complesso e fondamentale della «chiesa propria •. Secondo il diritto romano
che nel periodo della personalità delle leggiveniva osservato anche dalla Chiesa
(ricordiamo il testo della Lex Ribuaria [ca. 630], 58,1: Ecclesia vioit iure romano) il proprietario del suolo diventava proprietario di tutto ciò che vi si impiantava: «natura (oppure) iure naturali superficies solo cedit» o ancora: «aediflcium solo cedit», «ornne quod inaedificatur solo cedit», afferma il diritto romano. Perciò la chiesa costruita su fondo privato diventava proprietà del signore del fondo con rutti gli accessori immobili (casa canonica, cimitero etc.),
ma anche con gli accessori mobili quali le decime, le primizie, le oblazioni
dei fedeli. Perciò tutte le cose materiali inerenti al bene materiale del fondo
ed inoltre, per lo stesso principio giuridico, anche le cose spirituali derivanti
da questo bene materiale attraverso il servizio prestato dalla chiesa ivi costruita,
diventavano proprietà del signore del fondo. È vero che tutte queste cose rimanevano unite alla chiesa sicché non potevano essere alienate separatamente; ma tutta la chiesa privata propria poteva essere, con tutte le sue pertinenze, venduta, donata, trasmessa ad altro proprietario privato.
Dalla metà del sec. VII il numero di queste chiese proprie era in forte
aumento in tutto il regno dei Franchi ove questi signori proprietari, oltre i
re, principi, nobili, ricchi privati, potevano essere anche vescovi ed abbati,
diocesi e monasteri. La chiesa propria era cosi per molti, ecclesiastici e laici,
un investimento fruttifero, una specie di banca, come ora possiamo ben comprendere.
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Alfons M. Stickler
b) A questo istituto, in quanto condizionato dal concetto di proprietà
nel diritto romano, si unì presto un'altra concezione che proveniva piuttosto
dall'ordinamento giuridico germanico: i popoli germanici, venendo dall'est
e entrando nelle vaste regioni dell'Europa, non portavano con sé il concetto
di proprietà privata dei fondi occupati. Solo man mano che questi popoli si
fermavano definitivamente fondando i vari regni o unità politiche statali, anche il'possesso dei fondi da parte delle famiglie potenti si trasformò in proprietà conservando però sempre la sua funzione sociale. Anzi, ed in più: mancando a questi popoli, che avevano una concezione giuridica piuttosto primitiva, la possibilità di astrazione, per cui si poteva concepire un ufficio pubblico in astratto con i suoi diritti e doveri, condensati nelle funzioni di governo
pubblico ed inerenti all'ufficio, essi uniscono queste funzioni al possesso dei
grandi beni fondiari rimasti vincolati al concetto di servizio collettivo pubblico. Infatti conte, cioè funzionario ed esercente dei poteri pubblici di governo in una regione, diventava ehi aveva già notevoli beni fondiari in quella
regione o a cui, nominandolo conte, si conferivano questi beni immobili nella regione. Abbiamo di questo fatto delle testimonianze esplicite giuridiche
come p. es. l'editto di Clotario II di Parigi del 614 che sand che solo i proprietari dei fondi potevano essere i conti delle rispettive regioni.
Nella linea di questo concetto germanico si collocano e spiegano anche
due altri fenomeni economico-sociali-giuridici:la cosiddetta immunità che sottrae il proprietario di estesi fondi terrieri al potere pubblico di altri, almeno
in parte, per portare poi, attribuendo al signore proprietario positivamente
l'esercizio dei poteri pubblici, alla cosiddetta Signoria fondiaria (Grundherr-
schaft)·
c) Ma un terzo concetto si inserisce qui per la costituzione e poi per
la comprensione delle condizioni di vira pubblica, sia civile che ecclesiastica,
in quel tempo che precede, prepara, causa la Riforma Gregoriana: il fenomeno del feudalesimo. Oggi si sa che esso era un fenomeno pressoché universale
come concetto generico. Si deve però anche dire che il feudalesimo europeo
così come è vissuto e ha dominato nell'Europa medievale è profondamente
plasmato e determinato dal germanesimo, cioè da concetti di vita pubblica,
sociale ed economica dei popoli germanici. Questo feudalesimo si compone
di due elementi costitutivi: quello personale della fedele sequela ad un signore
liberamente scelto come capo e quello materiale dei beni materiali, generalmente possedimenti terrieri (con le inerenti funzioni pubbliche di cui sopra),
che il signore dava in compenso al suo fedele seguace o vassallo; ma in feudo,
vale a dire solo per l'uso a vira.
l presupposti storico-giuridici
della riforma gregoriana
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Avendo individuato così le pietre fonda~entali e principali che costituiscono il materiale di costruzione dell' edificio del mondo sociale pubblico dall'alto medioevo in poi.vale a dire il sostrato civile e temporale della vita della
Chiesa di quel tempo, possiamo anche comprendere ciò che sotto altro aspetto è stato ripetutamente constatato: bisogna dire cioè che, mentre l'ordinamento giuridico romano, sopra il quale era nata la Chiesa e vi aveva vissuto
i primi secoli, distingueva bene il mondo privato da quello pubblico, gli ordinamenti germanici nei quali si sviluppava questa vita non conoscevano questa distinzione e confondevano e mescolavano concetti, funzioni e diritti privati e pubblici.
3. Ciò premesso, possiamo ora comprendere come e perché i re franchi
e poi gli altri principi europei, dopo le guerre, potevano compensare i loro
fedeli vassalli con terre anche ecclesiastiche di cui, come abbiamo detto, la
Chiesa era molto ricca. Secondo la loro mentalità lo potevano fare in quanto
il feudo non era una proprietà ma solo un precario dato in uso e usufrutto
alla persona durante la vita. Non si trattava perciò di una privazione radicale
del diritto di proprietà ecclesiastica e si teneva inoltre conto della funzione
sociale dei fondi terrieri che rimane tale anche nei fondi ecclesiastici. D' altra
parte un re o principe temporale poteva, senza urtare contro la mentalità del
tempo, trasferire funzioni di governo pubblico temporale ad un ecclesiastico
(vescovo, abbate etc.) che teneva il possesso di un esteso patrimonio terriero,
farlo perciò anche principe temporale delle popolazioni di cui era già il signore fondiario con molti diritti inerenti di governo pubblico (immunità, signoria fondiaria). Cosi era aperta anche la strada a quel sistema politico di collaborazione costitutiva tra imperatore e vescovi-abbati che ha sviluppato maggiormente Ottone I dopo le delusioni che gli erano venute dalla politica basata sui vincoli di sangue e di parentela. E chiaro poi che non poteva essere
indifferente, per il sovrano temporale, chi occupava questi uffici, insieme ecclesiastici e civili: doveva essere un uomo capace e volenteroso a curare gli
interessi del sovrano anche sotto l'influsso della mentalità di fedeltà feudale.
4. Un'altro aspetto ancora diventa assai importante in questa collaborazione ecclesiastica temporale: le chiese superiori, che non potevano, certo, almeno quelle più antiche non fondate da principi civili, chiamarsi chiese proprie, si trasformavano anch' esse - in quanto proprietarie di estesi fondi con
le loro funzioni sociali anche temporali-civili - sempre più in tali attribuendo le prerogative del proprietario delle chiese inferiori, che spesso era un laico, alle chiese superiori. I sovrani e principi temporali potevano cosi vivere
nella convinzione, soggettivamente legittima, di poter disporre della nomina
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dei vescovi ed abbati, come i proprietari delle chiese proprie inferiori che nominavano il plebano, il sacerdote della propria chiesa, il quale acquistava con
ciò anche l'alloggio e il sostentamento collegato con la chiesa e ciò a vita.
A causa dell'importanza dell'elemento materiale, quasi costitutivo, sia dei
possedimenti fondiari delle chiese superiori sia di questi beni inerenti al ministero nelle chiese inferiori il rapporto si inverte: il conferimento dell'annesso
bene materiale conferisce praticamente anche l'ufficio, ecclesiastico e temporalecivile: ehi ha il bene materiale ha anche le funzioni dell'ufficio collegato. Questo
conferimento pubblico dei beni ed uffici superiori si chiama «investitura». Il
concatenamento pratico tra elemento spirituale, cioè ufficio, e quello materiale, cioè beneficio, introduce in questo periodo storico nella Chiesa il diritto beneficiale per cui sono non solo connessi strettamente ufficio e beneficio
ma, a causa dell'importanza costitutiva di quest'ultimo, avviene veramente
che ehi riceve il beneficio riceve anche l'ufficio: il rapporto ottiene la sua espressione significativa nel noto adagio: «officium sequitur beneficium» e non viceversa, e si inaugura il sistema che il famoso cultore di storia del diritto canonico, Ulrich Stutz, chiama la materializzazione dell'ufficio ecclesiastico e del
diritto canonico medievale.
II.
Ora che abbiamo tratteggiato la situazione illuminata dalla considerazione dei presupposti generali ed oggettivi storici e giuridici nelle regioni d'Europa che determinarono la sua storia, cominciando dal medio evo, possiamo
rivolgerei alla riforma che ha poi preso nome da Gregorio VII ma che ha le
sue radici nelle condizioni della Chiesa che si erano create attraverso i secoli
precedenti di convivenza con e nel mondo medievale europeo.
Non è e non può essere mio compito descrivere ora tutto il vasto quadro
e panorama della situazione interna nella e della Chiesa che rese necessaria
la riforma. Mi limito alle cause principali, derivanti dalla descritta situazione,
e che sono i tre famosi capi principali di accusa e di lotta riformatrice che
si spiegano, nelloro sorgere, crescere ed operare, precisamente alla luce dei
presupposti sin qui brevemente illustrati: la simonia, il nicolàismo ossia il concubinato dei chierici, l'investitura laicale negli uffici ecclesiastici.
1. L'ufficio ecclesiastico, a causa del suo concatenamento con beni materiali temporali, o quali semplici fonti di onesto sostentamento o quali possibilità di considerevoli poteri economici, sociali e politici, era desiderato da
molti e non sempre da persone che avevano le disposizioni dispirito, la preparazione e perciò le attitudini necessarie per il ministero spirituale pastora-
I presupposti storico-giuridici della riforma gregoriana
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le, proprio del sacro ministro. Anzi, più di uno non aspirava tanto all'ufficio
spirituale ecclesiastico quanto al beneficio materiale o all'ufficio temporale
civile collegato con quello ecclesiastico, ed era disposto, pur di entrarne in
possesso, sia di versare considerevoli somme a ehi lo poteva conferire, sia di
prestare in compenso desiderati favori. Tutto questo era considerato sin dai
tempi degli apostoli un gravissimo crimine ed era sempre stato severamente
punito. A causa del concatenamento spiegato uno poteva mirare non direttamente alla compera del bene spirituale dell'ufficio ecclesiastico, ma piuttosto.
o soprattutto o anche esclusivamente al bene materiale connesso o all'ufficio
temporale collegato. Proprio per questo anche il senso storico degli stessi ecclesiastici poteva o meno avvertire sin dall'inizio e anche in seguito il realizzarsi della simonia vera e propria a tutto danno del ministero spirituale. Nelle chiese superiori poi, proprio a causa della collaborazione stretta e pacifica,
diventata sistema, tra le autorità ecclesiastiche e civili, più di uno poteva aspirare a tali cariche ecclesiastiche per puro desiderio di realizzazioni temporali
e non avendo le qualità richieste allo scopo dell'ufficio ecclesiastico, ma avendo addirittura di quelle controindicate.
Comunque, la simonia era uno dei vizi avvertiti che portava l'assegnazione dei vari uffici ecclesiastici a persone non adatte o anche indegne con tutte
le conseguenze per il ministero ecclesiastico. Le riforme pregregoriane, vale
a dire quelle promosse dai monasteri e poi quelle locali e regionali, volute
e sostenute da buoni vescovi e anche da buoni principi, conoscono e combattono un tale vizio nella Chiesa come dimostra p. es. uno sguardo al Decreto
di Burcardo (ca. 1020-25). Ma non conoscono i rimedi radicali che solo i riformatori gregoriani adottarono. Per questi si tratta di una lotta senza quartiere contro quella che chiamano la simoniaca haeresis, considerata una delle
radici più pericolose dei mali della Chiesa.
2. Il secondo punto centrale della Riforma Gregoriana è il cosiddetto nicolaismo, vale a dire la violazione del celibato ecclesiastico o il concubinato
dei ministri sacri. Anche della diffusione vasta di questo male abbiamo una
spiegazione nei presupposti appena indicati. I proprietari delle chiese proprie
inferiori, spesso laici e, se ecclesiastici superiori, non di rado indegni, badavano, nel conferire il servizio ministeriale nelle loro chiese, al proprio tornaconto scegliendo persone che si accontentavano delloro sostentamento, garantito dai beni uniti all'ufficio sacro, ma che spesso erano poco colti, poco
atti a difendere le prerogative spirituali, permettendo così al signore l'usufrutto
indisturbato e completo delle pertinenze della chiesa propria.
La Chiesa, non sufficientemente cosciente delle gravi conseguenze necessariamente derivanti da questa prassi, aveva accettato un tale sistema e ne ab-
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Alfon« M Stickler
biamo più di una prova. Così p. es. quando nello stesso Concilio Romano
dell'821 (can. 21) e qualche anno più tardi nel Concilio Romano deII'853 (can.
21) si ammette perfino la nomina del ministro sacro da parte del proprietario
anche laico per la sua chiesa propria. La legislazione ecclesiastica insiste solo
nell' esercizio del diritto di controllo attraverso la visita da parte del superiore
ecclesiastico e nel riprovare rutti gli abusi nonché nella stretta sottomissione
al proprio vescovo nell'esercizio del sacro ministero. Ma è più che naturale
che molti soggetti entrati così nel clero non avevano la forza spirituale necessaria per la vita celibataria e, avendo tutto il necessario sostentamento garantito a vita, mettevano su famiglia. La Chiesa, che aveva solo il diritto di controllo ma non aveva praticamente nessun mezzo efficace di sanzione e meno
ancora di privazione dall'ufficio nei casi di tali detentori indegni, era praticamente impotente sia di fronte all'ecclesiastico come anche al signore proprietario che considerava spesso il sacerdote della sua chiesa propria alla stregua
del fabbro o mugnaio dell'azienda agraria nella quale si trovava la chiesa propria ed era anche contento di avere ulteriori braccia lavoratrici senza altre
spese. Se poi i proprietari erano essi stessi ecclesiastici (vescovi ed abbati) ma
poco spirituali, perché indegni dell'ufficio ottenuto spesso abusivamente, non
erano migliori dei loro colleghi laici nell' esigere la vita celibataria del proprio
clero in sacris. Fino a che punto la decadenza del clero inferiore fosse arrivata
ce lo dice con chiare parole il Liber Gomorrhianus di Pier Damiani. Rimedi
radicali a questo stato di cose erano assai difficilmente da attuarsi a causa delle
ragiom spiegate.
È vero che il concubinato aperto era meno diffuso nell'alto clero: ma anche qui la vita morale lasciava assai a desiderare, cosa ben spiegabile in persone che erano diventate vescovi ed abbati perché così, e spesso solo così, potevano diventare principi. Molti di essi si salvaguardavano anche col non farsi
conferire gli ordini sacri svolgendo le funzioni spirituali attraverso vescovi
ausiliari e introducendo cos1 un abuso assai diffuso e di lunga durata che prova però ad evidenza che i titolari di molti vescovadi e di altre chiese superiori
si consideravano più interessati alle funzioni temporali che non a quelle spirituali del proprio ministero sacro.
Di fronte a questa situazione nella Chiesa e nel clero si può comprendere
perché chiunque mirasse seriamente alla riforma doveva combattere il nicolaismo, come difatti era avvenuto anche nei tentativi precedenti di riforma
particolare. I Gregoriani videro perciò anch'essi in questo punto giustamente
uno dei capisaldi della riforma e cercarono di provvedere anche qui con mezzi radicali, non accettati dalle riforme precedenti.
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I presupposti storico-giuridici
della riforma gregoriana
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3. Arriviamo così al terzo capo della Riforma Gregoriana, l'investitura
negli uffici ecclesiastici da parte dei laici. Abbiamo già visto come, con la stessa autorizzazione o tolleranza da parte della Chiesa, i proprietari laici delle
chiese inferiori potessero scegliere o anche nominare i sacri ministri delle loro chiese. Ma un tale conferimento non viene generalmente sotto il nome
di investitura, riservato piuttosto al conferimento degli uffici superiori dei
vescovi e degli abbati. A causa dei presupposti storico-giuridici sopra descritti, vale a dire della collaborazione stretta tra i principi nei regni, formatisi
nell'Europa, e la Chiesa, l' assunzione di funzioni di governo civile, unito all'ufficio sacro, l'estensione della figura giuridica della chiesa propria alle chiese superiori, il rapporto di feudalesimo, applicato ai beni materiali ecclesiastici o conferiti dalle autorità temporali o confermati con il conferimento di
funzioni di governo temporale a vescovadi ed abbazie già dai tempi dei principi carolingi, l'interesse sociale dei beni terrieri della Chiesa per la comunità
temporale nel sistema politico feudale medievale europeo e specialmente in
Germania e Italia ove l' elemento materiale ha il sopravvento su quello personale e gli uffici di governo si trasmettono sotto la figura del feudo: tutto ciò
aveva portato automaticamente a questo fatto che oggi ci può sembrare assai
strano: si riconosceva anche da parte della Chiesa ai principi civili il diritto
di conferimento, cioè l'investitura nell'ufficio ecclesiastico superiore che univa in sé la funzione pubblica civile-temporale (considerata dal principe civile
naturalmente di interesse principale) e la funzione ecclesiastica che da principale diventava sempre più secondaria. Se i simboli di questa duplice investitura - operata dal principe civile proprio con la consegna di scettro, anello e
pastorale - appaiono come tali solo tardi, è pur vero che il fatto si era introdotto e consolidato da quando l'interesse sociale-temporale dei beni e degli
uffici ecclesiastici si era costituzionalmente unito alle funzioni di governo temporale nei suoi vari uffici superiori.
Ora è più che naturale e logico che il principe conferente, per quanto credente e perfino animato da propositi di una sana riforma ecclesiastica, avesse
sempre presente in prima linea gli interessi suoi, cioè dell'ufficio temporale,
e le qualifiche ad hoc del candidato. La sua scelta non poteva non cadere su
uno che garantisse questi suoi interessi. Egli dava perciò le sue preferenze più
al principe-vescovo che al veseovo-principe. In caso di conflittualità alla Chiesa rimaneva solo un mezzo spirituale di pressione o di sanzione; di fronte
al potere del principe temporale di coazione anche materiale la Chiesa da sé
era inerme.
La situazione concreta si presenta ai riformatori così: la Chiesa aveva subìto l'invasione laica nel suo campo spirituale-ecclesiastico per i motivi fondamentali già spiegati che per altri versi non abbiamo ora tempo e occasione
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Alfons M. Stickler
di completare. Essa aveva, per principio, accettato una tale situazione. Le riforme precedenti, resesi necessarie davanti a tutti, avevano bensì insistito sulla dignità dei candidati agli uffici ecclesiastici soprattutto richiamando costantemente la forma allora unicamente legittima di conferimento ecclesiastico,
vale a dire l'elezione da parte di chi ne aveva il diritto. Ma essendosi esteso
un tale diritto anche ai rispettivi laici la reazione si faceva sentire nei casi più
gravi di abuso e l'azione riformatrice combatteva gli abusi ma non rifiutava
- il sistema di designazione e di ingerenza come tale.
Una conferma di tutto questo si ha nel fatto storicamente bene accertato che
i protagonisti della riforma gregoriana e lo stesso Gregorio
non solo non negavano i diritti di designazione, anzi di investitura da parte dei principi, soprattutto dei re-imperatori germanici, ma le accettavano pacificamente quando non intervenivano evidenti abusi. È vero anche che qualche spirito più avveduto e chiaroveggente, come il cardinale Umberto di Silva Candida aveva già chiaramente
intravisto il ruolo fondamentale che era da attribuirsi a questa investitura e perciò
voleva bandirla dalla Chiesa, senza compromessi, in forma generale. Ma questa
non era la posizione della grande maggioranza dei riformatori e neanche dei papi,
inizialmente compreso lo stesso Gregorio VII.
La storiografia più recente ha messo bene in rilievo come Gregorio VII
abbia incentrato la sua azione riformatrice sull'investitura laic ale, proibendola in modo generale e radicale, solo dai sinodi romani del1078 e 1980 in poi.
Dobbiamo per questo forse dire che la riforma gregoriana è stata chiamata e si chiama a torto la lotta delle investiture? Si è cioè esaltato a torto questo
punto della riforma di fronte agli altri due, simonia e nicolaismo, forse più
imporranti, come sembra essere stato realmente per tutta la prima parte della
lotta riformatrice?
vn
III.
Con la risposta a questa domanda arriviamo al terzo punto della nostra
esposizione ossia alla focalizzazione della riforma attraverso l'azione dello stesso
Gregorio VII.
Sintetizziamo anzitutto i precedenti. La Chiesa, priva di una efficace guida centrale attraverso il papato, che era caduto nelle mani di.famiglie romane
intente ad interessi tutt'altro che spirituali, cominciava a reagire localmente
contro la decadenza della vita cristiana con riforme che partivano da centri
di vita monastica tra cui emerge Cluny, da tentativi di singoli vescovi e dagli
stessi re-imperatori i quali, nella coscienza della loro responsabilità di avvocati e difensori della Chiesa e dei papi, anzi, di consacrati da Dio anche per il
bene della fede e della vita cristiana, diventavano decisi propugnatori della
I presupposti storico-giuridici
della' riforma gregoriana
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riforma. Il più impegnato, Enrico III, si assume la responsabilità di liberare
la Chiesa dai papi indegni nominando lui stesso i successori tra le persone
di sua fiducia.
Questi nuovi papi si assumono ora il compito della riforma di tutta la
Chiesa ed, insieme con l'imperatore e i buoni principi, combattono i due mali considerati le radici di tutti gli altri mali: la simonia e il nicolaismo del clero. I papi e gli stessi imperatori cercano buoni vescovi, sostenuti in ciò dagli
altri principi civili ben intenzionati, i quali non solo non pensano di rinunciare a questo scopo ai loro diritti acquisiti di nomina, riconosciuti anche dalla Chiesa, ma li usano anche per provvedere buoni pastori.
Il primo papa che iniziò con decisione e successo insieme con eminenti
collaboratori questa azione riformatrice in tutta la Chiesa fu l'alsaziano Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg. Designato dall'Imperatore, guidò sotto il nome di Leone IX la Chiesa dal 1049 al 1054. Con lui tornò dalla Germania a Roma Ildebrando, del clero di Roma dalla prima giovinezza, che aveva seguito nell' esilio in Germania il deposto papa Gregorio VI e che sarebbe
stato d'ora in poi uno dei più qualificati e decisi collaboratori dei papi successivi: Vittore II, Stefano IX, Nicolò II e Alessandro II. Arcidiacono della Chiesa Romana, braccio destro cioè dei papi e seconda autorità dopo di loro dal
1059, è la personalità associata più da vicino alla riforma papale ed assume
in prima persona alla morte di Alessandro II nel 1073, quale suo successore
con il nome di Gregorio VII, la guida della riforma e si identifica con essa
per i dodici anni del suo pontificato fino alla morte avvenuta il25 maggio 1085.
Anche la sua lotta si concentra prima di tutto nella simonia e nel concubinato del clero e per questo motivo insiste anche sempre di più nella nomina di buoni vescovi. Ma egli accetta come i suoi predecessori i diritti di nomina da parte dei principi civili e soprattutto dei re, almeno fino al 1075. Ma
anche nel divieto di investitura laicale di quest'anno non abbiamo ancora, secondo i risultati dei più recenti studi storici, una proibizione generale. Questa è ora sicura solo dal famoso sinodo romano tenuto nell'autunno del1078,
e che viene ripetuta nella quaresima del 1080, proibizione che colpiva naturalmente lo stesso re Enrico IV.
Dal fin qui detto comprendiamo che da una parte la vera ragione, cioè
una delle principali radici della stessa simonia e del nicolaismo, era in fondo
la possibilità di nomine del clero sia inferiore che superiore da parte di persone che non badavano in primo luogo al fine principale spirituale dell'ufficio
sacro; dall' altra parte però ciò non era avvertito esplicitamente neanche dalle
massime autorità ecclesiastiche, figli delloro tempo che consideravano legittimi i diritti acquisiti in materia dai laici a causa dei presupposti storico- giuridici che abbiamo considerato proprio per questo scopo. Solo fatti particolar-
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Alfons M Stickler
mente gravi e personalità particolarmente sensibili potevano dare una nuova
e decisiva direzione a questa riforma.
I fatti gravi si avverarono nel1076 e la personalità che allora percepì il
nesso causale profondo fu proprio Gregorio VII.
Papa Ildebrando contestò a Enrico IV la nomina di alcuni vescovi dell'Italia settentrionale, ma soprattutto scomunicò alcuni consiglieri del re che
avevano la responsabilità principale nel di lui atteggiamento. E, secondo la
legislazione canonica di allora, a nessuno che non fosse parente e famigliare
dello scomunicato era permesso di avere qualsiasi comunicazione con lo scomunicato: proibizione che il re non osservò. Nella Dieta di Worms del 24
gennaio del 1076 la maggioranza dei vescovi tedeschi, legati al re, ai quali si
unirono poi anche vescovi dell'Italia settentrionale, rifiutarono al Papa l'ubbidienza dichiarando irregolare la sua elezione e poco papale la sua vita. Enrico IV da parte sua indirizzò contemporaneamente
ad Ildebrando e ai romani
un decreto di deposizione del Papa. A quest' azione inaudita del re e dei vescovi Gregorio VII rispose nel sinodo quaresimale del1076 con un'altra azione altrettanto inaudita, non solo scomunicando, con i vescovi, il re, ma interdicendogli l'esercizio del suo potere nella Germania e nell'Italia e sciogliendo
rutti i sudditi dall'ubbidienza, ciò che equivaleva ad una deposizione vera e
propria, e aggiungendo l'anatema, la scomunica solenne, contro Enrico IV.
Quello che seguì in questa lotta estrema è ben noto. A Canossa seguì nel1078
e poi di nuovo nel1080 il già accennato divieto generale di investitura laicale,
la ripresa di Enrico IV, la crescente sfortuna di Gregorio VII e la sua rovina
causata dal suo stesso protettore Roberto il Guiscardo e la sua morte in esilio
qui a Salerno.
La personalità e l'azione di Ildebrando-Gregorio
VII si condizionano e
si spiegano a vicenda. Egli, con l'intelligenza acuta a lui propria e con l'esperienza che ormai aveva nel poter giudicare la situazione della Chiesa e il ruolo centrale del governo papale di tutta la Chiesa, si rese conto che i mali più
appariscenti della decadenza, simonia e concubinato del clero, erano in fondo
conseguenze che procedevano da una radice che ormai aveva identificato nel
conferimento degli uffici ecclesiastici da parte di ehi non aveva la sensibilità
ecclesiastica necessaria, ma perseguiva piuttosto primieramente interessi ternporali di vario ordine, soprattutto politico, economico, sociale. Finché questa radice rimaneva viva e vitale, era inutile ogni sforzo riformatorio efficace
non solo perché il ceppo ed i frutti su di esso cresciuti continuavano a riprodursi, ma soprattutto perché il buon uso del diritto di conferimento degli uffici ecclesiastici dipendeva realmente ed in ultima analisi solo dalla buona volontà delle persone, che poteva anche non esserci, come una vasta esperienza
aveva dimostrato. Anzi, era ormai certo che le posizioni su questo punto fon-
I presupposti storico-giuridici della riforma gregoriana
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damentale si erano fissate su ordinamenti del tutto contrastanti, mentre mancava alla Chiesa un rimedio efficace per impedire il cattivo uso del diritto.
Non rimaneva perciò altra via che sradicare questa radice, ossia togliere questo dirit~o dell'investitura, tornare indietro coraggiosamente senza compromessi.
Gregorio VII, rendendosi conto concretamente di queste posizioni ed essendosi convinto di dover ingaggiare questa lotta, vide e percepì chiaramente
che con essa tutto un mondo cominciava a crollare: la collaborazione tradizionale tra le due autorità era irreparabilmente compromessa e ciò portava
ad una valutazione concettuale e pratica della stessa autorità temporale, diversa da quella riconosciuta finora. Questa situazione esigeva inoltre un approfondimento sostanziale del concetto e della funzione del papato di fronte
alla lotta resasi necessaria in tutta la Chiesa. Ciò implicava un ripensamento
della stessa ecclesiologia come struttura: il rapporto tra il papa e i vescovi,
i religiosi, i laici e di questi tra loro. Implicava inoltre una ricerca di tutti i
mezzi che la Chiesa poteva avere o reperire per la propria difesa e salvaguardia di fronte ad un ormai aperto nemico materialmente assolutamente superiore. Potevano trovarsi questi mezzi sia spirituali che materiali nella stessa
Chiesa? Le risorse soprannaturali provenienti da Cristo stesso, dai santi, dai
sacramenti, dai beni materiali rimasti? Come la Chiesa poteva difendersi contro forze mate~iali eventualmente anche attraverso l'aiuto proveniente dal di
fuori della stessa Chiesa, da alleanze diverse e da vincoli nuovi?
Intaccare un mondo esistente in modo così radicale doveva causare un
trauma profondo in tutti ipartecipanti ed implicati nella lotta e, fra tutti, nello spirito dello stesso Pontefice che presagì certamente la ripercussione traumatica su questo stesso mondo nei suoi ordinamenti politici, economici, sociali ed anche religiosi.
Gregorio VII dovette dunque rendersi ben conto delle difficoltà immani
che una tale azione riformatrice comportava. Nel punto centrale dell'investitura si trattava di un diritto acquisito, riconosciuto tale dalla stessa Chiesa
ed esercitato già da lungo tempo: di interessi vitali che costituivano uno dei
fondamenti dello stesso sistema politico-statale vigente; di implicanze economiche per la stessa Chiesa che, privata dei beni fondiari associati ormai agli
uffici ecclesiastici nel loro ruolo politico-temp orale, perdeva anche i mezzi
fondamentali di sussistenza materiale.
Gregorio VII, decidendosi per l'abolizione del diritto dell'investitura laicale, sapeva a quali difficoltà oggettive e a quali resistenze, lotte, difficoltà di
ogni genere andava incontro, non solo di fronte all'imperatore e a tutti gli
altri principi civili, ma anche di fronte agli stessi vescovi nella loro qualità
di principi temporali ed anche di superiori responsabili delle chiese locali. Nella
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Alfons M Stickler
decisione, tardiva e certamente sofferta, del papa per questa drammatica azione si rivela tutta la sua personalità di pontefice riformatore. La sua fede gli
faceva vedere nel suo ufficio di supremo pastore della Chiesa universale, voluto da Colui di cui si doveva considerare vicario in terra, non solo il diritto
a questa azione, ma anche la sua suprema responsabilità di realizzarla in quanto
egli in essa vedeva il mezzo ormai unico ed indispensabile per la vera riforma
efficaceche solo poteva garantire la salute della Chiesa affidatagli. Il suo amore a questa Chiesa gli faceva accettare tutte le sofferenze, lotte e persecuzioni
che con tutta chiarezza vedeva dinanzi a sé provenienti dal di fuori e dal di
dentro della stessa Chiesa. La sua speranza soprannaturale gli dava la fiducia
nell'aiuto di Dio per una riuscita che umanamente doveva apparire impossibile, ma coll'aiuto dell'Onnipotente che la voleva, poteva, anzi doveva riuscire.
La grandezza del suo spirito e la sua forza d'animo si manifestano chiaramente in una tale suprema decisione, ma in particolare si possono scorgere
nel fatto che egli non abbia scelto la lotta più facile contro i signori più deboli, ossia contro gli abusi regnanti universalmente nelle chiese inferiori a causa
dell'istituto della chiesa propria, ma abbia coraggiosamente affrontato la lotta contro gli abusi nelle chiese superiori e con ciò contro i più potenti del
mondo e contro molti membri della stessa alta gerarchia ecclesiastica.
Terminando questa mia relazione generale introduttiva, che doveva avere per oggetto solo i presupposti storico-giuridici della riforma e dell'azione
riformatrice di Gregorio VII, non è mio compito soffermarmi sui risultati
conseguiti dallo stesso papa di cui celebriamo il IX centenario della morte.
Vorrei però mettere in rilievo come nella luce di questi presupposti risulti
veramente giustificata e giustificabile la nomenclatura con la quale la tradizionale storiografia ha identificato questo periodo storico della Chiesa, nonostante i correttivi anche recenti nell'interpretazione dei fatti e dei dettagli.
Si può veramente parlare sia di riforma gregoriana sia di lotta delle investiture,
poiché chi ha individuato il centro della lotta precisamente nell'investitura
laicale e vi ha fatto alla fine convergere tusti gli sforzi è stato realmente il
grande e santo papa Gregorio VII. Se la sua vita terminò con una sconfitta
esterna qui in esilio, la sua causa trionfò e cos1potè somigliare a Colui di cui
era vicario in terra: per la morte alla vira.
Per concludere permettetemi di tornare al principio. Come il Giudizio
Universale di Michelangelo ha richiesto non poco tempo per rivelare alcune
delle sue idee costitutive e molti particolari allo sguardo scrutatore degli storici dell'arte, cos1credo sia giustificato anche il mio fervido augurio che questo Congresso, oggi iniziato, porti il suo contributo per una conoscenza, più
vasta e più profonda, del ricco e ancor velato quadro della riforma che trae
il suo nome dal grande papa Gregorio VII.
l presupposti storico-giuridici
della riforma gregoriana
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