2 - PRINCIPI FISICI DELLA RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE I cambiamenti dell’attività neurale del cervello sono associati ai cambiamenti delle richieste energetiche: quanto maggiore è l’attività funzionale di un distretto cerebrale, tanto maggiore sarà il suo metabolismo e conseguentemente, le sue richieste energetiche aumenteranno. Una delle tecniche non invasive e più sofisticate che sfruttano le variazioni emodinamiche prodotte dall’attività neuronale per identificare le aree attivate del cervello è la risonanza magnetica funzionale (fMRI). Questo metodo di indagine si basa sul cambiamento del segnale MRI, in seguito alla risposta emodinamica e metabolica in una regione in cui si ha un’attivazione neuronale indotta da stimoli interni o esterni. La risonanza magnetica (MRI) ha lo scopo di ottenere immagini dettagliate dell’anatomia cerebrale sfruttando le proprietà nucleari di certi atomi in presenza di campi magnetici. Attraverso tecniche di rilevamento dei dati è possibile acquisire immagini che possono seguire lo svolgimento di alcuni fenomeni metabolici. Utilizzando questa metodologia è possibile: visualizzare le variazioni dell’ossigenazione delle regioni corticali; ricostruire la mappa di attivazione del cervello per funzioni sensoriali, mentali e motorie, con un’alta risoluzione spaziale. Cenni sul segnale di risonanza magnetica. Il segnale MRI nel normale uso clinico, deriva quasi interamente dai protoni dell’acqua contenuti nei tessuti. L’intensità dell’immagine dipende, in primo luogo, dalla densità dei protoni ma può essere profondamente influenzata dall’ambiente locale delle molecole d’acqua. Ciascun protone possiede una carica ed ha la caratteristica di ruotare attorno al proprio asse, cioè possiede uno spin. Questa rotazione produce un dipolo magnetico con orientamento parallelo all’asse del nucleo ed è caratterizzato da un momento magnetico. In assenza di campo magnetico esterno, i dipoli sono disposti casualmente nello spazio. Quando il tessuto viene posizionato all’interno di un campo magnetico statico (B0), i protoni, nel giro di pochi secondi, si ordineranno secondo la sua direzione, assumendo verso parallelo (up) o antiparallelo (down); tale orientamento dipende dall’energia dei nuclei stessi in quanto i versi up e down rappresentano due situazioni di livello energetico diverse. In particolare il livello up richiede minor energia da parte dei protoni rispetto a quello down; quindi il verso antiparallelo è meno probabile poiché necessita di maggior energia da parte dei protoni. L’insieme dei nuclei formerà una magnetizzazione netta M0 , avente come direzione e verso quello del campo magnetico statico e come risultante la somma vettoriale tra i nuclei. Aumentando l’intensità di B0 cresce, proporzionalmente, anche quella del vettore M0 con conseguente aumento della quantità del segnale utile per le immagini RM. Inoltre tali nuclei, che già possiedono un movimento di rotazione, acquistano un altro moto rotazionale lungo la superficie di un cono ideale attorno al proprio asse. Tale movimento, detto di “precessione”, è costante per ogni specie nucleare; questa costante viene detta giromagnetica (γ) e dipende direttamente dall’intensità del campo magnetico statico B0 nel quale i nuclei sono immersi; i nuclei che noi consideriamo sono i protoni (H+) dell’atomo di idrogeno (H) del tessuto biologico da esaminare. La condizione indispensabile affinché si verifichi il fenomeno della risonanza magnetica è che deve essere inviata un’onda a RF specifica, cioè a frequenza uguale a quella di precessione dei protoni di H secondo la legge di Larmor ω=γ B0 , dove ω è la frequenza di precessione e γ è la costante giromagnetica. In questo modo si produce un’eccitazione sul sistema protonico; l’energia fornita al tessuto dall’impulso di eccitazione a radiofrequenza (RF) sarà tanto maggiore quanto più lunga è la durata dell’impulso stesso. I nuclei risentono della transizione energetica, e quindi perdono la loro situazione di equilibrio. 1 L’impulso di eccitazione a RF ha due funzioni: fornire l’energia necessaria ai protoni per allinearsi in modo perpendicolare alla direzione del campo statico B0; riallineare le fasi di oscillazione di precessione dei singoli protoni. Al cessare dell’impulso di eccitazione a RF, il sistema protonico si trova in una situazione di non equilibrio, dovuta alla quantità di energia assorbita e ad un conseguente aumento dell’energia potenziale che genera instabilità e tendenza al ripristino delle condizioni iniziali. All’eccitazione protonica segue quindi una fase durante la quale gli spin tenderanno a liberarsi dell’energia in sovrappiù fino a tornare nella condizione iniziale che è assai più stabile e più probabile. La magnetizzazione ritorna al suo equilibrio secondo un processo di decadimento con andamento esponenziale nel tempo. Il vettore magnetizzazione precessa nel piano perpendicolare alla direzione del campo magnetico statico, decadendo esponenzialmente con una costante di tempo detta di “rilassamento trasversale” T2 (Figura 1); questo meccanismo è dovuto alla dispersione di fase “incoerente”, dovuta all’interazione spin-spin. Figura 1: rappresentazione grafica, per diversi tipi di tessuto, del fenomeno del decadimento (rilassamento) trasversale del vettore magnetizzazione, che avviene con costante di tempo T2. Inoltre se le particelle paramagnetiche producono una variazione spaziale (disomogeneità) del campo magnetico statico B0 nell’oggetto, si verifica un’ulteriore dispersione di fase (oltre a quella dovuta all’interazione spin-spin) che produce un ancor più rapido decadimento del segnale. La costante di tempo relativa a questo rilassamento trasversale addizionale è indicata con T2'. Questi due effetti producono il fenomeno del decadimento trasversale complessivo, la cui costante di tempo T2* vale: 1 1 1 T2 T2 T2' Infine, la magnetizzazione ritorna al suo stato di equilibrio allineandosi alla direzione del campo magnetico statico B0 con una costante di tempo detta di “rilassamento longitudinale” T 1 (Figura 2): 2 Figura 2: rappresentazione grafica, per diversi tipi di tessuto, del fenomeno del decadimento (rilassamento) longitudinale del vettore magnetizzazione, che avviene con costante di tempo T1. Il segnale fMRI. L’aumento dell’attività elettrica neuronale ha come conseguenza una maggiore richiesta da parte dei neuroni di energia con conseguente maggior necessità di ossigeno. Questo fenomeno causa una variazione del segnale MRI attorno ai vasi che irrorano la corteccia. Durante un aumento dell’attività cerebrale, quindi, si ha un aumento localizzato del flusso sanguigno, con conseguente aumento locale della quantità di ossigeno. La molecola trasportatrice dell’ossigeno è l’emoglobina (Hb). Nello stato inattivo, le cellule nervose prelevano una certa quantità di ossigeno dall’emoglobina ossigenata (ossiemoglobina, HbO2), che quindi diviene emoglobina deossigenata (deossiemoglobina, Hbr). Nello stato attivo la richiesta, da parte dei neuroni, di ossigeno aumenta e quindi il flusso sanguigno porterà una quantità di emoglobina ossigenata maggiore rispetto allo stato inattivo. Nelle aree attivate, quindi, ci sarà un netto aumento della concentrazione di ossiemoglobina. Sebbene l’aumento regionale del flusso sanguigno sia un indicatore dell’aumento dell’attività elettrica cerebrale, non è ancora chiaro il meccanismo legato al controllo della richiesta di un maggiore flusso sanguigno. Le ipotesi più probabili sono: il rilascio di fattori chimici come l’ossido nitrico, l’adenosina, gli ioni idrogeno o potassio; una stimolazione nervosa diretta della muscolatura vascolare. Figura 3: aumento regionale del flusso sanguigno dovuto ad un aumento dell’attività neuronalesinaptica regionale, con conseguente aumento locale della concentrazione di ossiemoglobina (risposta emodinamica). 3 Stato basale: Flusso normale; Livello basale [Hbr]; Volume del sangue (CBV) basale; Segnale MRI normale; Stato attivato Aumento del flusso; Diminuzione di [Hbr]; Aumento di CBV; Aumento del segnale MRI. L’emoglobina ossigenata e la non ossigenata hanno proprietà magnetiche diverse, in particolare l’ossiemoglobina è diamagnetica e la deossiemoglobina è paramagnetica. La presenza della Hbr paramagnetica causa la distorsione del campo magnetico statico B0; gli spins in un campo magnetico non uniforme (disomogeneo) precessano a frequenze diverse causando una maggiore dispersione di fase e perciò un decadimento trasversale più rapido del segnale MRI. Questo effetto, responsabile delle variazioni dei segnali MRI, è detto BOLD [Ogawa, 1998] (blood oxygenation level dependent). La variazione dell’ossigenazione nel sangue causa una variazione del parametro T2* (costante di tempo che tiene conto del decadimento trasversale della magnetizzazione dovuta sia al campo magnetico non omogeneo che all’interazione spin-spin) che a sua volta porta ad una variazione dell’intensità dell’immagine T2*-weighted (Figura 4). Figura 4: rappresentazione grafica dell’effetto BOLD. 4 La tabella 1 mostra come variano i parametri dovuti all’attivazione corticale: Parametri MR Flusso sanguigno Consumo di O2 Livello di O2 nel sangue Livello di deossiemoglobina Distorsione di B0 Dispersione di fase di M Velocità effettiva del decadimento (1/T2*) Segnale T2*- weighted Variazione Tabella 1: variazione dei parametri MR dovuti all’attivazione corticale. La fMRI non produce immagini dirette di quello che avviene nel cervello. Questo succede non solo perché queste immagini raffigurano un effetto indiretto (risposta emodinamica) dell’attività neuronale (che è molto più rapida), ma anche perché, più che delle istantanee, sono in realtà delle mappe di distribuzione statistica di questo effetto indiretto su tutto il cervello. In un esperimento di fMRI con un campo di 1.5 T, l’effetto BOLD (Figura 5) determina, infatti, una variazione del segnale dell’ordine del 5-8%, ancora troppo debole perché si possa essere sicuri di riconoscerlo nell’evento singolo (il segnale BOLD non fornisce una misurazione assoluta dell’attività neurale, ma relativa). Figura 5: andamento temporale del segnale BOLD. Durante una sessione d’esame, perciò, vengono acquisite immagini funzionali in assenza di stimoli, che serviranno come immagini di confronto (livello basale, di riposo del segnale BOLD); inoltre, durante il periodo di acquisizione, vengono presentati degli stimoli che possono essere: sensoriali, motori o task cognitivi. Lo stesso task viene ripetuto periodicamente in modo da fare una media statistica di tutti i valori delle immagini relativi all’attivazione. L’immagine finale si ottiene facendo una sottrazione mediata tra l’immagine acquisita durante l’assenza di stimoli e l’immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo. In questo modo si ottiene un’immagine statistica parametrica, che va poi sovrapposta all’immagine anatomica (Figura 6). 5 Figura 6: rappresentazione grafica di come si ottiene la mappa dei parametri statistici, cioè l’immagine statistica parametrica (sottrazione mediata tra l’immagine acquisita durante l’assenza di stimoli e l’immagine acquisita durante la presentazione dello stimolo), che viene poi sovrapposta all’immagine anatomica per ricavare l’immagine finale. Il rumore. La differenza di suscettibilità magnetica tra il sangue totalmente ossigenato e quello deossigenato è molto piccola (circa 0.002 10-6 unità cgs), di conseguenza, nella tecnica BOLD, i cambiamenti di intensità sono generalmente piccoli. Le prove sperimentali hanno dimostrato che la variazione nel tasso di rilassamento T2*, associato alla diminuzione del segnale, aumenta all’aumentare del campo magnetico statico dello scanner. Da ciò si deduce che sarebbe conveniente aumentare il campo magnetico statico per una migliore visualizzazione e per migliorare il rapporto segnale rumore (SNR) che è direttamente proporzionale all’intensità del campo statico. Il rumore nelle immagini fMRI è dovuto a diversi fattori quali: il rumore termico dovuto al soggetto; le bobine di ricezione; i pre-amplificatori e gli altri componenti elettronici; il rumore di quantizzazione nel convertitore A/D; il ciclo cardiaco e respiratorio; i movimenti della testa; eventi neuronali spontanei e incontrollati. Le soluzioni hardware per ridurre il rumore sono: 1) usare speciali bobine di ricezione, ad esempio realizzate per ricevere segnali da parti specifiche del cervello; 2) usare alti campi magnetici statici, che aumentano la magnetizzazione e di conseguenza aumentano la non uniformità del campo dovuta all’effetto paramagnetico della deossiemoglobina. Si possono avere diverse soluzioni per migliorare il rapporto segnale rumore; un possibile modo, ad esempio, può essere quello di ridurre la risoluzione spaziale aumentando la dimensione dei singoli voxel ma ciò porta a modesti miglioramenti dei dati fMRI; l’altro modo è aumentare il campo magnetico statico B0. Per minimizzare gli effetti indesiderati del ciclo cardiaco, respiratorio e dei movimenti della testa si usa una tecnica di acquisizione rapida come l’echo-planar imaging (EPI) [Bandettini, 1992]; l’immagine rapida permette di “congelare” i movimenti fisiologici: in questo modo il loro contributo sull’immagine diventa inconsistente. 6 Registrazione dei dati fMRI. I dati fMRI sono una serie temporale di immagini (2D o 3D); queste sono combinate con la conoscenza degli stimoli presentati al soggetto durante un run di imaging. È necessario utilizzare almeno 2 stimoli diversi in modo da evocare differenti risposte neuronali. Esistono varie tecniche per ottenere una mappa di attivazione funzionale da questi dati; prima di applicarle, però, è necessario pre-processare i dati per minimizzare l’effetto delle sorgenti di rumore e l’effetto dei movimenti del soggetto. Il cambiamento del segnale, perfino per piccoli movimenti (al di sotto di 1 mm), può essere maggiore del 5-8% della risposta BOLD a 1,5 T. Se il movimento del soggetto avviene nello stesso istante dello stimolo, la variazione del segnale causa un aumento di “false attivazioni” rilevate. La registrazione delle immagini, cioè il loro allineamento, può essere fatta in 2D (slice per slice) o in 3D (volumetrica). In 2D i movimenti rigidi sono descritti con tre parametri: x-traslazione, y-traslazione e rotazione. In 3D i movimenti rigidi sono descritti da sei parametri: traslazione e rotazione rispetto a tutti gli assi. In generale si preferisce usare una registrazione 3D, dato che il movimento del soggetto avviene in ogni direzione. La tecnica più comunemente utilizzata per ridurre i movimenti della testa è quella di registrare le immagini (2D o 3D), confrontarle, poi, con un’ immagine di base e quindi stimare lo spostamento (rotazione e traslazione) rispetto all’immagine di base. Successivamente ogni immagine viene poi ricampionata in modo da ottenere una nuova matrice che è allineata con l’immagine di base. Questo metodo non elimina completamente l’effetto del movimento della testa, è infatti impossibile stimare i parametri del movimento in modo accurato. Un altro effetto, dovuto al movimento, è la lenta deriva nella serie temporale, dell’intensità del segnale sul tempo di scanning; anche questo è risolvibile parzialmente nella fase di pre-processing. Un’altra sorgente di rumore è la distorsione in fase nelle immagini echo-planar (EPI); questa dipende dalla non uniformità del campo magnetico causato dalle diverse proprietà magnetiche locali del tessuto. Il modo migliore per risolvere questo problema è quello di acquisire una “mappa del campo magnetico” usando una sequenza MRI particolare. Altre sorgenti rumorose sono i cicli cardiaci e respiratori. Il ciclo cardiaco varia la velocità del flusso sanguigno nelle varie slices e questo causa una variazione del livello di magnetizzazione longitudinale disponibile per la conversione in magnetizzazione trasversale. Le sorgenti di rumore di natura fisiologica possono essere filtrate; l’approccio più semplice, per fare ciò, è quello di misurare (o stimare) le frequenze del ciclo respiratorio e/o cardiaco e poi eliminare, dalla serie temporale, tutti i dati relativi a queste frequenze. Lo svantaggio di questo metodo è il fenomeno di aliasing che rende impossibile distinguere, in dati campionati, frequenze che differiscono di multipli di (Δt)-1, dove Δt è l’intervallo di campionamento. Un modo per evitare il problema è quello di misurare le frequenze e sistemare poi il TR (tempo di ripetizione), della sequenza di acquisizione utilizzata, in modo da evitare l’aliasing vicino alle frequenze dello stimolo. Un modo più complesso per filtrare il rumore fisiologico, prevede di misurare il ciclo cardiaco e respiratorio per tutta la durata dell’esperimento e alla fine sottrarre le componenti dei dati che sono correlate con la misura dei cicli fisiologici. 7