capograssi coscienza [1]

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La coscienza del soggetto agente
nell’opera di Giuseppe Capograssi (1889-1956)
di Giovanni Lodigiani
Il filosofo del diritto Giuseppe Capograssi (1889-1956), direttore della
“Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto” negli anni 1939-1943 insieme
ad A. Giannini, ha dedicato un’ampia parte della sua produzione scientifica
all’indagine dell’esperienza giuridica e dell’esperienza morale. In tale indagine
non mancò di analizzare l’uomo come soggetto agente. In particolare la
considerazione del rapporto tra dimensione morale e dimensione giuridica e, in
modo più approfondito, la relazione del giuridico con il metagiuridico1, che
investe la categoria del diritto naturale, è finalizzata ad impostare tale analisi
sotto una visuale ampia, al fine di consentire un approfondimento delle varie
dimensioni del soggetto implicato e del suo essere, dagli elementi esteriori alle
più profonde inclinazioni della sua stessa vita.
L’impegno ad osservare l’interiorità del soggetto agente, definibile anche
come esame fenomenologico della coscienza, è presupposto da Capograssi in
vari testi2, ed è esplicitato nell'
opera Analisi dell'esperienza comune3 dedicata
alla vita pratica.
1
L’aggettivo "metagiuridico" fa riferimento alla concezione antropologica, entro cui iscrivere questa concezione
del diritto, ed ai rapporti con le altre dimensioni dell'
esperienza. Su quest'
uso si può consultare E. OPOCHER,
Sull'ultima fase della filosofia del diritto di Giuseppe Capograssi, in Giuseppe Capograssi filosofo del nostro
tempo, Milano, 1991, p. 98-110, dove specialmente si segnalano le novità della posizione al riguardo del
rapporto con la filosofia della politica.
2
Troviamo riferimenti alla coscienza, ed in particolare alla coscienza comune, non solo in Analisi
dell’esperienza comune, ma anche nel Saggio sullo Stato, in Opere I, Milano, 1959, p. 21-23, dove si accomuna
coscienza comune e coscienza empirica; in Il problema della scienza del diritto, in Opere II, Milano, 1959, p.
418 che specifica la coscienza comune come coscienza di agire per i fini di vita dell'
individuo, specialmente in
riferimento al diritto, e come punto prospettico per osservare il lavoro della scienza giuridica. Quest'
ultima idea è
1
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In quest’opera Capograssi intende descrivere l'
impatto dell'
individuo
comune con la realtà del mondo umano. Troviamo subito nella prima parte del
testo - che costituisce il primo approccio alla dimensione del soggetto,
preliminarmente ad ogni riflessione e categorizzazione precisa -
la
presentazione della coscienza come realtà profonda ed unificante il soggetto
umano: « Ora la coscienza è l'
individuo, l'
individuo che noi siamo, l'
individuo
che noi amiamo, l'
individuo che è e fa la nostra felicità e la nostra infelicità »4.
A questo primo livello di vita il soggetto incontra un mondo che è già dato e
formato, nel quale deve immettersi con tutte le sue capacità e possibilità.
Questo punto di partenza viene chiamato da Capograssi coscienza
comune: è il momento in cui il soggetto vivendo nell'
esperienza si incontra e
scontra con tutta la realtà5.
Il contatto con la realtà dà luogo alla conoscenza6, grazie alla quale il soggetto
cerca di discernere l'
unità necessaria delle cose ed il loro reciproco rapportarsi.
L’ordine di questi elementi iniziali illumina ogni esperienza in modo costitutivo.
Si tratta infatti per Capograssi, globalmente parlando, di quell'
«elemento
divino della conoscenza» che rappresenta la verità iniziale e originaria del
conoscere, non solo dal punto di vista speculativo, ma anche dal punto di vista
pratico. Tale elemento rappresenta lo stimolo interiore che muove il soggetto ad
ripresa anche in Studi sull’esperienza giuridica, in Opere II, Milano, 1959, p. 220-221, specialmente indicando
la capacità della coscienza comune di intendere il diritto come idea umana. Tutto il primo capitolo (p.219-241) è
articolato sull'
esperienza giuridica nella coscienza comune. Nell'
opera Il diritto dopo la catastrofe,in Opere V,
Milano, 1959, p.178-179, parla della coscienza comune di fronte allo stato totalitario.
3
G. CAPOGRASSI, Analisi dell’esperienza comune, in Opere, II, Milano, 1959. Da ora AEC.
4
AEC, II, 7.
5
II frutto di tale incontro rappresenta un dato fondamentale per il soggetto, che così Capograssi sintetizza in
AEC, II, 25: «Questa percezione viva e immediata delle cose non presenta dubbi; essa è talmente viva come
nettezza e precisione di immagine talmente imperativa come innegabilità e inevitabilità di affermazione che la
certezza di essa resta come la certezza tipica nella coscienza comune».
6
Per una schematica presentazione del concetto di idea si può vedere AEC, II, 27. Su questa pagina viene
compiuta una ricostruzione sintetica dell'
ontologia classica, in essa implicita, da parte di R. BOZZI, Premesse
allo studio di Capograssi, Napoli 1965, p. 13-19.
2
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agire; si tratta di qualcosa di infinito, riflesso dell'
Assolutezza vivente - sostiene
Capograssi - che mostra l'
essere finito nella sua infinita molteplicità7. È la
condizione del soggetto di essere posto in un mondo già dato, e con il quale sta
in una relazione accidentale, a determinare il problema della conoscenza. Il
soggetto coglie alcune linee del progetto universale, rimanendo comunque
lontano dal possesso completo.
La deriva idealistica è criticata da Capograssi che vuole attenersi al dato
dell'
esperienza conoscitiva umana8, determinata dal limite e dal finito. La
coscienza comune caratterizza il soggetto - il quale non è distinto ma è dentro la
creazione - che non viene a contemplare dall'
esterno, bensì a vivere nella
continua unione di vita con vita e «in questa compenetrazione reciproca di vita
con vita, di azione con azione, di operazione con operazione, in questa
risoluzione della creazione in vita e realtà operante consiste la formazione della
coscienza reale che costituisce la vera operazione fondamentale del soggetto, il
suo vero atto di vita»9.
Per determinarsi a queste unioni, il soggetto possiede una fiducia, o
meglio una fede fiduciale,
che potremmo definire generica
la quale,
mantenendolo nella realtà, gli permette di avviarsi alla vita con tutto quello che
essa offre. È appunto nell'
incontro con la realtà che avviene una particolare
comunicazione la quale si vela come intuizione della verità10.
A partire da tale intuizione il soggetto muove per la vita. Si tratta di un
sapere ancora contrassegnato da limiti, perché non ha in sé il principio proprio
di spiegazione, sebbene sia sufficiente a dare una consistenza alla realtà e al
7
Cfr. AEC, II, 28-29.
Il riferimento all'
esperienza, in tutta l’opera di Capograssi, non è mai esclusivamente empirico, in quanto
contiene in sé un elemento di conoscenza pur essendo, chiaramente, immediatamente irriflessa.
9
Op. cit., 35.
8
3
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pensiero. Nel seguire questa fiducia la volontà interviene «a fermare la
persuasione del soggetto alle verità fondamentali che gli bastano, a trattenerlo
nella via delle ricerche estreme che sono disperate se astratte dall'
intera vita e
dall'
intera esperienza. E questo atto fondamentale di moderazione, questo vero
atto essenziale della vita volontaria e cosciente, avviando il soggetto
all'
esperienza, gettandolo nella vita, costringendolo a vivere lo avvia senza
saperlo al vero appagamento di quella sete di spiegazione totale, perché questa è
la legge del soggetto finito, che per conoscerla, occorre che la verità sia
vissuta»11.
La vita dell’uomo, che si realizza nell'
unione con il resto dell’ambito
vitale, necessita dell'
incontro con gli altri per acquisire se stessa. Il cammino
dell'
autocoscienza12 passa attraverso la costruzione di un mondo sociale di
rapporti, il quale consente di organizzare, e considerare in modo riflesso, la
propria esperienza. Capograssi non intende il cammino verso l'
altro come
l'
opposizione all'
io di un non io, in cui si ricomprendano anche gli altri soggetti;
così sarebbe improbabile cogliere il significato dell'
altro, in quanto si prescinde
dalla concretezza del cammino di conoscenza13.
L'
incontro avviene per via pratica e fa sì che al soggetto agente l'
altro appaia
come la realtà che a lui è più adatta nel complesso del mondo creato.
Il processo della vita, che sta scoprendo in lui, è presente anche nell'
altro e
dunque non è solo in questa esperienza. L’incontro accade attraverso la parola e
l'
azione: nella parola i soggetti si sentono partecipi di una verità comune.
10
In AEC, II, 37 si dice che «questo primo e immediato fatto fondamentale si mostra nell'
evidenza inevitabile e
innegabile della verità che rivela sé stessa».
11
Op. cit., 38.
12
Capograssi riconosce il grande valore dell'
autocoscienza riconoscitiva nel pensiero hegeliano, in modo
particolare sottolineando come il processo della conoscenza si operi attraverso il movimento totale della vita del
soggetto, cfr. AEC, II, 47 nota 1.
13
Cfr. op. cit., 43-44 e nota 2 p. 43.
4
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Nell'
incontro reciproco tra soggetti, a differenza dell'
incontro con le altre vite, si
coglie l'
azione nella sua verità profonda e dunque la si scopre come
realizzazione di sé attraverso l'
altro soggetto14.
L'
incontro con l'
altro è lo scopo, la finalità, di questi incontri parziali di parole e
azioni; essi non fanno altro che mostrare quell'
unica realtà che è l'
altro.
In questo processo conoscitivo si distingue l'
amore che, con la sua forza
sintetica, riesce ad unificare i diversi fattori dell’esistenza15.
Il soggetto in quest'
incontro però non trova solo l'
altro, ma percepisce anche la
differenza tra
l'
altro
e
se stesso,
riconoscendo
così
l'
esclusività
e
l'
inconfondibilità del proprio essere e dunque la radice della propria
individualità.
In questo processo, lungo e precario, per giungere al riconoscimento di sé, si
evidenzia il carattere finito e limitato dell'
individuo il quale ha bisogno del
mondo per conoscersi; al tempo stesso esprime anche l’affermazione di sé per
conoscere il mondo16.
La problematica legata alla coscienza ed alla conoscenza di sé si pone in
modo inequivocabile nella valutazione del tempo e in particolare della morte.
Quest’ultima svolge la funzione di costitutivo della vita personale: il passare del
tempo porta una divisione nell'
esperienza, un'
impossibilità a vederla nella sua
interezza, in cui la morte è la vera essenza del fluire. Il soggetto finito ne ha
paradossalmente bisogno, per ritrovare un equilibrio che la vita stessa non riesce
a dare.Alla morte, come dimensione universale del pensiero, è legata la
14
Cfr. op. cit., 41-42; e così ulteriormente specifica a p. 42: «Il fatto della comprensione dell'
altrui pensiero
traverso la parola e il fatto dell'
affezione reciproca tra vita e vita traverso l'
azione sono le due grandi vie traverso
le quali il soggetto fa la solenne scoperta - nella immensa molteplicità ed esteriorità delle cose della creazione di altre vite simili a quella sua, di altri soggetti simili a sè».
15
Cfr. op. cit., 45: «Il vero oggetto dell'
amore è proprio questa realtà e questa vita, e questi aspetti queste azioni
e queste parole valgono solo in quanto riportate a quella realtà e a quella vita».
5
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problematica relativa al dolore come atto sintetico di conoscenza della realtà e
del soggetto stesso.
Di fronte alla contraddizione dell'
esistenza l'
uomo non è indifferente,
perché coglie un desiderio di vita profondo «un altro pensiero, un'
altra vita con
la quale va misurando la realtà che ha, la realtà nella quale vive, e la conosce
difettiva e ne patisce, e questa conoscenza e questo patimento sono dolore, che
si insinua in tutti i sentimenti dell'
animo come sfondo e quasi come elemento
universale»17.
A questo punto nasce, per Capograssi,
l'
idea di perfezione come
conoscenza, che si affianca a quella conoscenza della realtà, già posseduta dal
soggetto. Egli vive nel desiderio che la vita salga fino a quel nuovo livello.
Questa idea, essendo semplicemente riflesso di un vero Altro rispetto al
soggetto, indica «una realtà nella quale quella perfezione è veramente reale e
viva»18. L'
idea di Dio, quindi, compare nel pieno dell'
azione e della sofferenza,
questa idea «non sta nell'
animo con chiarezza consapevole e piena: essa si rivela
piuttosto in uno stato di desiderio e di timore»19. Come tale, dunque, è causa
prima dell'
azione, ma è anche sottoposta alla condizione di essere la conoscenza
più debole, più fragile e più facile a rinnegarsi nel cuore dell'
uomo. Il suo ruolo,
però, è esaurientemente apprezzabile soltanto al termine di tutto l'
itinerario
dell'
azione. Attraverso questo risulterà come, senza quel faro interiore, tutto lo
svolgimento non sia possibile e comprensibile, ma anche come attraverso
quell'
idea si sia rimandati alla «Infinita Presenza che essa manifesta»20.
16
Cfr. op. cit., 49-50. Capograssi mostra questo carattere di limitatezza attraverso il confronto col pensiero
kantiano, che viene indicato come «l'
inventario della finitezza essenziale del soggetto».
17
Op. cit., 54.
18
Op. cit., 56.
19
Op. cit., 57.
20
Op. cit., 58. In nota mostra come questa idea di Dio sia fondamentale nell'
opera vichiana che, appunto, la
pone al centro del sorgere della civiltà e della storia, non considerandola una tra le altre idee presenti nel
6
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Si pone così l'
approccio tipico di Capograssi, centrato sull'
individuo comune,
con la sua filosofia implicita all'
azione. Non si tratta di un IO astratto, ma in
carne ed ossa che ha in sé la capacità di universalizzarsi. Per Capograssi bisogna
partire dall'
individuo ma, ribaltando la posizione idealista che egli assume nella
rilettura crociano-gentiliana di Hegel, non si tratta di spiegare l'
esistenza
dell'
individuo, poiché esso c'
è. Solo in questo modo è possibile ritrovarlo anche
alla fine della riflessione, proprio perché esso ne è al principio21.
L'
essere nel mondo del soggetto agente è il suo punto di partenza di questa sua
personale esistenza. Essendo la sua esistenza già nell'
essere, in un mondo dato,
non ci si può occupare direttamente delle incompiutezze della sua fisionomia,
ma va considerato ciò che questo implica e le connessioni che comporta22.
Questa filosofia si compone nella dimensione interiore del soggetto; è il
soggetto concreto che, vivendo, costruisce il suo mondo, seguendo dinamiche
proprie da individuare ed esplicitare. E’ l'
esperire la vita esplicitandola a se
stessi che fa scoprire l’intrinseca necessità di condurla orientandosi verso una
meta stabile. Capograssi difende questa visione e la vede chiaramente
manifestata in un verbo della lingua italiana che contemporaneamente esprime
desiderio di vita e di incolumità personale: è il «campare» che esprime la
funzione pratica del soggetto23.
Notiamo quindi, nella coscienza comune, le due istanze caratteristiche della
filosofia di Capograssi. Secondo queste, lo sviluppo evolutivo della coscienza si
soggetto - come fa, secondo Capograssi, la tarda scolastica -ma «come germe di tutta la vita dell'
anima e quindi
come principio di tutta la storia dell'
azione».
21
Cfr C. VASALE, La filosofia morale di Giuseppe Capograssi, in Giornale di metafisica,22 (1977), p.
660-664.
22
Cfr P. PIOVANI, Un'analisi esistenziale dell’esperienza comune, in La filosofia dell’esperienza comune di G:
Capograssi, a cura di P. Piovani, Napoli, 1976, p. 42.
23
A tal proposito dice Capograssi, nelle Premesse a AEC, II, 8: «Il soggetto non sta nel mondo per attendere alla
sterile conoscenza del mondo, e nemmeno per attendere alla conoscenza di sé stesso. Sta nella vita preparato
7
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trova compreso in quello della azione24, dando così luogo al reciproco
rapportarsi tra analisi dell'
azione e dell'
agente che conduce al compimento
dell'
umanità dell'
individuo.
Nel processo suddetto si può constatare come la vita si trovi saldamente
collegata con la ragione e la sua logica, perché anch'
esse ne fanno parte, per cui:
«la ragione procede come incorporata con la vita, con i fatti stessi della vita del
soggetto, essa arriva alle sue conclusioni per certezze non logiche ma per
certezze morali. Ne deriva che in tutti questi movimenti con i quali il soggetto
conosce, vi è una ragione profonda che non coincide con la ragione ragionante,
ma che è tuttavia la viva e vera ragionevolezza della vita»25.
Alla base dell’ impianto capograssiano c'
è una costante di pensiero: la cosiddetta
polemica contro gli «addottrinati»26. Tale polemica è condotta in opposizione ad
un pensiero autosufficiente e ad un sistema che, alla fine, risulta impenetrabile
alle ragioni più profonde dell'
esistente. Si persegue un'
umiltà speculativa che
esprima il carattere limitato dell'
individuo. Si tratta di partire con quella
moderazione consapevole27, che consente alla volontà di muoversi aderendo alla
reale verità, perché con questo atto di onestà intellettuale ci si può poi aprire ad
una conoscenza sempre più piena dell'
esistenza.
A partire dalla complessa realtà descritta, si delinea la figura della
comprensione umana come una dialettica tra vita e idea della vita che chiede di
intento occupato a portare innanzi la vita, a vivere, a campare secondo la bella e profonda parola italiana nella
quale l'
idea di salvarsi e l'
idea di vivere sono così strettamente collegate».
24
Cfr C. VASALE, La filosofia poetica di Capograssi nei «Pensieri a Giulia», Proposta di una rilettura, in Due
convegni su Giuseppe Capograssi (Roma Sulmona1986). L’individuo, lo Stato, la storia. Giuseppe Capograssi
nella storia religiosa e letteraria del 900, a cura di F. Mercadante, Milano 1990, p. 1161.
25
AEC,II, 38 nota 1.
26
Questa posizione antintellettualista, che in radice si rifà allo stesso Vico, è messa in particolare rilievo, in
relazione speciale con la posizione idealistica, nel primo capitolo di G. ZACCARIA, Esperienza giuridica,
dialettica e storia in Giuseppe Capograssi, contributo allo studio del rapporto tra Capograssi e l’idealismo,
Padova 1976, p. 18-92.
8
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essere sempre esplicitata e mai data per scontata. Il soggetto progredisce in una
dialettica «vitale» che non deve sacrificare il particolare e il finito, come
momenti insufficienti, ma li deve cogliere nella ricchezza dell'
esperienza28.
Quel positivo amore di sé, che sostanzia il procedere della coscienza comune ed
esprime l'
amore alla vita, presenta la duplice caratteristica della totalità e della
infinitezza, essendone investita tutta l'
esistenza.
Secondo Capograssi questo desiderio profondo è «incessantemente legato
e inseparabile da ogni movimento del soggetto, da ogni atto della mente, da ogni
sentimento che la vita produce»29. Ritroviamo qui il segreto della capacità
morale del soggetto di riaffermare, attraverso ogni singolo porsi nel concreto
storico, sempre questo dato profondo e ineludibile. Questa spinta non si
caratterizza come una vitalistica e cieca forza traente, ma come «la profonda
volontà di una idea»30. A questo livello sembra già attuarsi una prima sintesi
della rilettura della ontologia classica, che è condensata nel paragrafo iniziale
del capitolo che porta il titolo «L'
elemento divino della conoscenza»31, con la
moderna riconsiderazione della pratica32.
L'
affermazione dell'
idea della vita va ulteriormente differenziata, giacché
per valere essa deve sempre comprendere in se stessa il fatto che «la vita è vita
solo nella unità e totalità delle sue forze in atto e l'
affermazione che queste forze
non sono attività vuote senza oggetto, ma hanno un oggetto proprio e
27
Cfr AEC, II, 37, Capograssi vede espressa questa realtà fondamentale del soggetto nel monito di S. Paolo
secondo cui occorre «sapere sed sapere ad sobrietatem» (Rm 12,3).
28
Cfr G. ZACCARIA, Esperienza giuridica, dialettica e storia in Giuseppe Capograssi, contributo allo studio
del rapporto tra Capograssi e l’idealismo, Padova 1976, p. 97-99.
29
AEC,II, 62. 30
30
Op. cit., 63.
31
Vedi nota 6.
32
Claudio Vasale parla dello «sforzo capograssiano di riprendere una precisa, pre`idealistica'
, concezione
gnoseologica dentro un contesto nuovo, trasponendola insomma nella «filosofia dell'
esperienza» (L'individuo
nell'età dei totalitarismi. Politica,diritto e morale nell’ «Esperienza comune» di Giuseppe Capograssi, Lanciano
1976, p. 41).
9
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connaturale coessenziale, tutto il sistema delle vite e delle verità che la
conoscenza concreta ha rivelato al soggetto»33.
Di fronte alla complessità della vita il soggetto tende a fermarsi, a non
completare il lavoro di costituzione della soggettività attraverso il rapporto con
tutta l'
esistenza, secondo la pluralità di gradi della sua struttura.
E’ a questo punto si fa strada il problema del male come insidia continua
dell'
agire umano nella storia, che irretisce la volontà su di un'
unica dimensione
del vivere. Ad esso si lega la questione del destino dell'
individuo il quale,
nonostante tutti gli esperimenti concreti e gl’insuccessi della vita, non esaurisce
mai la ricchezza dell'
idea.
Con questo bagaglio il soggetto viene affrontando il suo compito. La tematica
della coscienza, nella seconda opera che tratta i medesimi salienti punti della
vita etica, vale a dire Introduzione alla vita etica, non sarà più esplicitato. Ciò è
dovuto, oltre che per la sintesi già raggiunta, anche a quel rigore metodologico34
che si è andato raffinando nella successiva ripresa di temi particolari, fino a
farne permeare lo stile.
Questi contenuti si trovano impliciti nell'
analisi fenomenologica
dell'
azione, a riprova della reciproca implicazione del cammino della coscienza
con quello dell'
azione.
Nello svolgersi esistenziale del tempo, la prosa filosofica mostra il destino
dell'
individuo in un mondo dato e costituito, in cui il soggetto, attraverso
istituzioni sociali, collabora liberamente e responsabilmente.
33
AEC,II, 63.
Cfr C. VASALE, La filosofia morale di Giuseppe Capograssi, in Giornale di metafisica,22 (1977), p. 670,
nota 87 e F. TESSITORE, Capograssi e il collettivismo dell’azione:i contatti ideali con Vico, Hegel, Proudhon e
Marx, in La filosofia dell’esperienza comune di G: Capograssi, a cura di P. Piovani, Napoli, 1976, p. 65.
34
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