Parte II Termodinamica di non equilibrio 10 Generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio 10.1 Introduzione Le teorie scientifiche nascono sempre in rapporto all’esigenza, concettuale o pratica, di dare risposta e sistematizzazione all’osservazione di un insieme di fenomeni fisici. Non è quindi casuale che, mentre le prime teorizzazioni della cinematica risalgano alla fisica aristotelica, la termodinamica nasca solo nella seconda metà del Settecento, producendo il suo principale apparato teorico nel XIX e nel XX secolo. L’invenzione del motore a vapore viene correntemente fatta risalire al lavoro di Stephenson. Va tuttavia osservato che i primi tentativi di utilizzare l’espansione dei gas per produrre lavoro meccanico datano al periodo ellenistico, ove si narra di esperimenti intesi a sfruttare l’espansione dei composti dovuta al cambiamento di fase (da liquida a gassosa) per generare lavoro meccanico. In particolare l’eolipila di Erone, una sfera cava di metallo riempita d’acqua con bracci tangenziali dotati di fori di uscita, consentiva di porre in rotazione una sfera quando, scaldando dell’acqua liquida, questa vaporizzava — e il vapore usciva da fori ponendo in rotazione la sfera stessa (Fig. 10.1). Successivamente sono noti i tentativi di usare il vapore da parte di Leonardo da Vinci (1452 – 1519) con una macchina detta Archituono come pure i successivi esperimenti che nel 1606 furono condotti da Giovanni Battista della Porta (1535 – 1615) per utilizzare il vapore come forza motrice. Esperimenti analoghi a quelli del Della Porta vennero compiuti anche dall’ingegnere de Caus, che nel 1615 pubblicò un trattato su un sistema contenente una pompa a vapore. In tempi più recenti, gli esperimenti di Papin (1647 – c. 1712) con la sua ‘pentola a pressione’ (1679) consentirono di concepire le prime idee su come impiegare il vapore al fine di produrre forza motrice. All’inizio del XVIII secolo l’esigenza di individuare tecniche atte al pompaggio dell’acqua dalle miniere condusse Savery (c. 1650 – 1715) all’impiego del vuoto creato dalla condensazione del vapore immesso in un recipiente per sollevare acqua fino a circa 10 metri di altezza. In seguito, grazie al- 118 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Figura 10.1: L’eolipila di Erone (I secolo a.C.), probabilmente la prima macchina in grado di convertire calore in lavoro. l’invenzione del sistema cilindro-pistone (attribuita a Papin), divenne possibile convertire l’energia del vapore in lavoro meccanico. Il primo esempio di applicazione industriale di questo concetto fu la macchina di Newcomen (1705). Solo più tardi però, grazie all’invenzione del condensatore esterno, della distribuzione a cassetti e del meccanismo biella–manovella, tutte attribuite a James Watt (1765), fu possibile passare da applicazioni sporadiche ad un utilizzo generalizzato del vapore nei trasporti e nelle industrie. La macchina di Watt, riducendo costi, dimensioni e consumi, consentì di aumentare la potenza disponibile (da 4.4 kW a 0.4 MW nelle prime locomotive). Il motore a vapore, consentendo potenze assai maggiori di quelle fino ad allora disponibili, svolse un ruolo essenziale nella rivoluzione industriale. George Stephenson (1781–1848) progettò la sua prima locomotiva nel 1814 usando un motore semovente (detto Blucher) destinato al trasporto del carbone in miniera. Il successo del nuovo sistema di locomozione condusse Stephenson alla progettazione della prima linea ferroviaria britannica (circa 13 km) cui, nel 1821, seguì la progettazione della ferrovia tra Stockton e Darlington. Il giorno dell’inaugurazione (il 27 settembre 1825) Locomotion percorse, con Stephenson stesso alla guida, 15 km con un carico di 80 tonnellate di carbone e farina all’eccezionale velocità di 39 km/h. La possibilità di convertire calore in forza motrice sollevò negli stessi anni questioni di natura più fondamentale (anche se non meno pratiche): 1. esiste un limite al lavoro meccanico ottenibile da un motore termi- generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio co? 2. quanta energia meccanica è possibile generare utilizzando una definita quantità di calore? 3. come è possibile quantificare il lavoro meccanico ottenibile da una macchina termica? 4. come deve essere costruito un motore termico al fine di generare la massima quantità di lavoro meccanico? La termodinamica di equilibrio nasce cercando di dare risposte a queste domande. Come ben noto, il primo principio della termodinamica (‘La trasformazione di un corpo racchiuso da una parete adiabatica da un definito stato iniziale ad un definito stato finale richiede la stessa quantità di lavoro indipendentemente dal modo in cui il processo è condotto’), stabilendo una connessione funzionale tra lavoro meccanico ed energia termica, stabilisce anche un limite superiore alla quantità di calore convertibile in calore (e viceversa) identificando una equivalenza fondamentale ancorché empirica tra le due forme di energia. L’impossibilità di convertire quantità arbitrarie di calore in energia meccanica è notoriamente l’oggetto dell’enunciato provvisorio di Clausius del secondo principio della termodinamica (‘È impossibile operare un trasferimento di calore da un termostato a temperatura uniforme e ottenere una quantità di lavoro equivalente senza provocare una alterazione nello stato di qualche altro corpo’). Tale enunciato sottende la necessità del cosiddetto principio zeresimo della termodinamica (‘Se due corpi sono entrambi in equilibrio termico con un terzo corpo, allora essi sono anche in equilibrio termico tra loro’) che definisce la possibilità che esista una grandezza non meccanica in grado di predire la direzione di flusso del calore. È tuttavia la quarta questione che impone l’attuale assetto della termodinamica e ne definisce l’impostazione prevalente nel XIX e nella prima metà del XX secolo. L’osservazione di Carnot che la massima efficienza di una macchina termica è ottenibile se e solo se il ciclo termico che essa percorre viene condotto in condizioni quasi–statiche tra due trasformazioni isoterme e due trasformazioni adiabatiche stabilisce un criterio variazionale (dS ≥ 0) che condizionerà lo sviluppo della termodinamica per più di un secolo, circoscrivendo il dominio della termodinamica classica ai processi emulabili in condizioni quasi–statiche. È naturalmente ben noto che la termodinamica classica di equilibrio (tce) è ottimamente in grado di predire l’evoluzione di sistemi che percorrono trasformazioni in condizioni non quasi–statiche. Lo stato di un sistema all’equilibrio è infatti completamente determinato dall’energia interna e dall’entropia del sistema, due potenziali che non dipendono dal cammino percorso. Tuttavia per sua impostazione la tce non 119 120 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio si pone come obiettivo quello di determinare né il lavoro richiesto per condurre una trasformazione in condizioni non quasi–statiche né, limite più rilevante, di determinare l’evoluzione di sistemi mantenuti fuori equilibrio da opportune condizioni al contorno. A titolo di esempio, si consideri una macchina termica operante tra due corpi in grado di erogare flussi termici a temperature costanti. La tce non consente di determinarne l’efficienza dato che il sistema si trova stabilmente fuori dalle condizioni di equilibrio, e la soluzione del problema può essere ottenuta solo facendo ricorso a relazioni termologiche empiriche quali le equazioni di Fourier. Anche a seguito dell’impressionante sviluppo delle scienze della vita intorno alla metà del secolo scorso si è assistito quindi ad un crescente sforzo di sistematizzazione della termodinamica dei sistemi fuori equilibrio – ovvero dei fenomeni di trasporto (di carica, calore, materia, ecc.) determinati da condizioni termodinamiche al contorno tali da non garantire condizioni di equilibrio complessivo del sistema. La termodinamica dei sistemi non in equilibrio (sia di quelli prossimi all’equilibrio sia, in misura minore, di quelli operanti fortemente fuori dall’equilibrio) ha raggiunto quindi una maturità concettuale che ne rende sensata l’introduzione anche nei corsi universitari come una naturale estensione della tce. 10.2 Strumenti metodologici della termodinamica di non equilibrio La termodinamica di non equilibrio (tne) fornisce uno schema concettuale generale per la descrizione macroscopica di processi irreversibili. Nel fare questo, essa incontra altre discipline come la fluidodinamica e la teoria elettromagnetica, che sono anch’esse teorie che studiano fenomeni di non equilibrio. Di conseguenza, la teoria termodinamica che verrà sviluppata dovrà fornirsi anch’essa di strumenti che consentano di analizzare fenomeni sul continuo, trattando i parametri di stato del sistema come variabili di campo, cioè come funzioni continue delle coordinate spaziali e del tempo 1 . Pertanto, diversamente che nella termodinamica di equilibrio, tutte le funzioni di stato dovranno essere qui espresse come funzioni esplicite delle coordinate spaziali e del tempo, e anche le equazioni di stato dovranno essere riscritte in maniera tale che esse contengano soltanto quantità riferite a singoli punti nello spazio e nel tempo — cioè nella forma di equazioni locali. Lo studente è già abituato a forme funzionali di questo tipo nello sviluppo della teoria elettromagnetica (cf. equazioni di Maxwell). Nella termodinamica di equilibrio questa formulazione locale non è invece generalmente richiesta, dato che le variabili di stato sono di norma indipendenti delle coordinate spaziali. A titolo esemplificativo, si consideri il caso 1 Nell’Appendice B lo studente può trovare i richiami essenziali dei concetti di base di calcolo vettoriale utilizzati in questi Appunti. generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio di un gas perfetto monoatomico contenuto all’interno di un recipiente cubico non–adiabatico di volume V (Fig. 10.2). Se il sistema è in equilibrio termico con l’ambiente ad una temperatura T è noto che la sua energia interna U è pari a 3nRT /2 (dove n è il numero di moli del gas). Se lo stesso gas è posto in contatto con due bagni termici a temperature differenti T1 e T2 attraverso due facce opposte del recipiente (mentre le altre facce sono rese adiabatiche), come già visto la tce non consente di predire il valore della sua energia interna. Leggi fenomenologiche ci permettono tuttavia di asserire che la temperatura del gas all’interno del contenitore varierà punto a punto, portandosi gradualmente da T1 a T2 man mano che ci spostiamo da una faccia del recipiente a quella opposta. Se quindi resta valida localmente la relazione tra energia interna e temperatura assoluta (ovvero se il sistema può essere considerato localmente in equilibrio), la sua energia interna potrà essere definita puntualmente. Occorrerà quindi introdurre una energia interna locale u(r) 2 che consenta di scrivere u(r) = 3 (n/V )RT (r) 2 (10.1) che, nel limite di equilibrio, fornisce come atteso Ú V u(r)d3 r = 3 3 (n/V )RT V = nRT = U 2 2 (10.2) 121 2 In tce le lettere minuscole sono talora impiegate per indicare funzioni di stato molari in sistemi ad un solo componente (ad es. u ≡ U /n dove n è il numero di moli). In tne le lettere minuscole sono invece usate per indicare le funzioni di stato locali. Lo studente non sia tratto in inganno dalle due diverse convenzioni. s dove V è l’integrale esteso sul volume del contenitore. È immediato osservare che u è una densità di energia interna. Figura 10.2: (sopra) Un gas perfetto monoatomico contenuto all’interno di un recipiente cubico rigido non– adiabatico di volume V è posto in equilibrio termico con l’ambiente ad una temperatura fissata. La sua energia interna U è esattamente definita. Se il contenitore (sotto) è posto in contatto con due bagni termici a temperature differenti, l’energia interna U non è definita mentre è necessario introdurre una energia interna puntuale u(T ). 122 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Mentre per l’energia interna l’equazione di bilancio è ottenibile inserendo il calore nell’equazione di conservazione dell’energia scritta per sistemi non isolati, per l’entropia l’equazione di bilancio deve essere ottenuta dai principi della tce e deve esprimere il fatto che l’entropia di un elemento di volume cambia con il tempo per due ragioni. La prima è che l’entropia fluisce all’interno dell’elemento di volume per scambio con l’ambiente; la seconda è che l’entropia può cambiare a causa di processi irreversibili all’interno dell’elemento di volume. La formulazione locale del secondo principio della termodinamica impone quindi che la produzione di entropia sia sempre una quantità non negativa mentre i flussi di entropia dovuti allo scambio con l’ambiente hanno segno arbitrario. Entrambi i termini dipendono in generale dallo scambio (di massa, carica, energia, etc.) con l’ambiente. Gli scambi (flussi) sono determinati dalle condizioni al contorno ma devono in ogni caso soddisfare i principi di conservazione della massa, del momento e dell’energia. Tali condizioni devono essere imposte localmente, cioè in forma differenziale, utilizzando il concetto di entropia locale s(r). Vi sarà modo di vedere che la produzione di entropia ha una forma matematica semplice dato che è la somma di termini ottenuti moltiplicando i flussi che caratterizzano ciascun processo irreversibile con quantità, dette forze termodinamiche, che misurano la non–uniformità del sistema (ad es. il gradiente di temperatura). Da ultimo, le equazioni di bilancio termodinamiche devono verificare i principi di invarianza, restando sempre della stessa forma nei sistemi di riferimento inerziali. Quindi per la generica trasformazione A → B e per il potenziale termodinamico generico φ(r), per due osservatori solidali ai sistemi inerziali OI e OII dovrà essere II φ(rIB ) − φ(rIA ) = φ(rII B ) − φ(rA ) (10.3) La teoria che scaturirebbe da una estensione del secondo principio della termodinamica a sistemi non uniformi risulterebbe comunque sostanzialmente inutilizzabile se essa non fosse completata da un insieme aggiuntivo di equazioni fenomenologiche in grado di correlare i flussi irreversibili e le forze termodinamiche. Questo non è strano, se si considera che una analoga necessità sorge naturalmente in meccanica quando si vogliono impiegare le equazioni di conservazione di massa, momento ed energia per prevedere ad es. la dinamica di un fluido comprimibile3 . Come si vedrà meglio in seguito, in prima approssimazione i flussi (di energia, massa, carica, etc.) sono funzioni lineari delle forze termodinamiche. Questo è noto sperimentalmente ad esempio nei processi diffusivi (legge di Fick), nella trasmissione del calore (legge di Fourier) e nello studio dei processi di trasporto elettrico (legge di Ohm). Relazioni lineari di questo genere verranno quindi adottate, estese e generalizzate considerando anche possibili contributi 3 Una analogia non solo formale di questa necessità può essere riscontrata in tce considerando l’introduzione di modelli specifici ed espliciti del potenziale chimico per ottenere predizioni del comportamento di sistemi reali. generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio 123 incrociati tra forze e flussi termodinamici. Anche in quest’ultimo caso esistono evidenze sperimentali quali ad es. l’effetto termoelettrico che supportano una simile estensione. La assunzione di linearità in queste relazioni ha naturalmente soltanto una valenza fenomenologica e definisce il campo di applicabilità della teoria che verrà sviluppata. Ove tale linearità venisse violata, la termodinamica di non equilibrio uscirebbe dal regime lineare e risulterebbe necessaria lo sviluppo di una teoria più generale, detta termodinamica dei fenomeni fortemente fuori equilibrio. Tale teoria, attualmente ancora incompleta, sarà oggetto di cenni al termine di questi Appunti. 10.3 Leggi di conservazione nei sistemi continui Una definizione forte di sistema continuo è assai complessa e non priva di ambiguità. Ai fini di questa trattazione si definisce sistema continuo un sistema costituito da un numero elevato di particelle distribuite in un volume di spazio caratterizzato da bordi la cui posizione varia eventualmente nel tempo e nella cui descrizione sia possibile definire grandezze variabili con continuità nello spazio e nel tempo. Esempi di sistemi continui sono un gas posto in un contenitore, un solido deformabile, una porzione di liquido non confinata. Come contro– esempio, non è un sistema continuo una collezione di punti materiali (per la quale non è possibile o utile definire ad es. una funzione densità di massa continua sulle coordinate spaziali)4 . È noto che ogni sistema fisico verifica tre principi di conservazione: della massa, dell’energia e del momento. Di seguito tali principi saranno brevemente richiamati e riscritti per sistemi ad n componenti tra le quali siano possibili r reazioni chimiche. Grandezza ρ |v| νkj Jj e, ψ, u |Jk | s σ ck 10.3.1 Unità MKS Kg m−3 m s−1 Kg s−1 m−3 J Kg−1 Kg m−2 s−1 J K−1 Kg−1 J K−1 m−3 s−1 1 Grandezza ρk |vk | Mk |Fk | |Je |, |Jq | v |JS | Aj µk Unità MKS Kg m−3 m s−1 Kg J m−2 s−1 ≡ m s−2 J m−2 s−1 ≡ m s−2 m3 Kg−1 J K−1 m−2 s−1 J J Kg−3 4 Si osservi che la definizione data non discerne tra oggetti reali ma tra oggetti fisici (rappresentazioni di oggetti reali). Infatti nessuna porzione di materia è strettamente continua a ragione della sua natura atomica. Tabella 10.1: Dimensioni delle principali grandezze usate in questa Parte degli Appunti. Conservazione della massa Sia V il volume occupato dal sistema. Per il componente k-simo il rateo di variazione della sua massa potrà essere espresso come5 5 Cf. Appendice C 124 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio d dt Ú ρk dV = V Ú V ∂ρk dV ∂t (10.4) dove ρk è la densità del componente k-simo. Tale variazione può essere riscritta separando il flusso in ingresso e uscita vk del componente dalle variazioni collegate a reazioni chimiche: Ú Ú r Ú Ø ∂ρk ρk vk · dΩ + νkj Jj dV (10.5) dV = − ∂V V V ∂t j =1 dove dΩ è un vettore normale all’elemento infinitesimo di superficie, orientato verso l’esterno e di modulo pari all’estensione dell’elemento stesso; νkj /Mk (dove Mk è la massa molecolare della specie k-sima) sono i coefficienti stechiometrici della reazione j-sima relative al componente k-simo; e Jj è il rateo della reazione j-sima. Nella precedente equazione è stata introdotta la notazione ∂V per indicare il bordo s della porzione di spazio di volume V e l’integrale ∂V è da intendere come un integrale di superficie. Ricordando che, in virtù del teorema della divergenza6 , per un qualsiasi vettore H Ú Ú H(r) · dΩ = (∇ · H(r))dV (10.6) ∂V V è immediato riscrivere la (10.5) come una equazione di bilancio: r Ø ∂ρk = −∇ · (ρk vk ) + νkj Jj ∂t (10.7) j =1 q Dato che nk=1 νkj = 0 per ogni reazione (j = 0, · · · , r), sommando su k le (10.7) si ottiene ∂ρ = −∇ · (ρv) (10.8) ∂t qn (dove la velocità baricentrica v è definita come k=1 ρk vk /ρ) che estende la legge di conservazione della massa ai sistemi reattivi. 10.3.2 Conservazione del momento Una trattazione rigorosa della legge di conservazione del momento implicherebbe di necessità l’utilizzo di una notazione tensoriale per le componenti del momento legate alla tensione meccanica (stress) di un corpo deformabile. Dato che l’algebra tensoriale non rientra nelle competenze degli studenti di chimica, la presente trattazione trascurerà tali componenti e sarà quindi valida solo in assenza di termini di momento connessi a sforzi meccanici non idrostatici. L’equazione del moto di un sistema continuo può essere scritta, in accordo con la seconda legge di Newton, come ρ n Ø dvα ρk Fkα = dt k =1 (10.9) 6 anche detto teorema di Gauss generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio dove α = x, y opp. z e Fkα è la componente lungo α della forza per unità di massa che agisce sul componente chimico k-simo.7 10.3.3 Conservazione dell’energia Sia V il volume occupato dal sistema. Il principio di conservazione dell’energia prescrive che l’energia contenuta nel volume possa variare nel tempo solo per flussi che attraversino il bordo del sistema. Pertanto, detta e l’energia per unità di massa risulta Ú Ú ∂ρe d dV (10.10) ρedV = dt V V ∂t ovvero d dt Ú ρedV = − Ú Je · dΩ (10.11) ∂V V dove Je è il flusso dell’energia (per unità di superficie e di tempo). Applicando il teorema della divergenza al termine di destra della (10.10) è immediato ricavare che ∂ρe = −∇ · Je ∂t (10.12) È interessante applicare il risultato appena ottenuto all’energia interna di un sistema u. In termini di energie specifiche (per unità di massa) l’energia e può essere scritta come una somma e= 1 2 v +ψ+u 2 (10.13) q dove 12 v2 è l’energia cinetica del sistema, ψ ≡ l ψl racchiude i termini di energia potenziale a lungo raggio (campi elettrici, gravitazionali, etc.) e ovviamente u descrive l’energia associata all’agitazione termica e alle energie di interazione a corto raggio (interazioni intermolecolari). Si osservi che l’energia del sistema non coincide con la sua energia interna (come accade invece nella tce) dato che il sistema (e ciascuno dei suoi componenti) non è in generale in quiete. Di conseguenza l’energia totale comprende anche un termine cinetico e uno associato ai potenziali a lungo raggio. Analogamente il flusso Je può essere ripartito come Ø Je = ρev + ψl Jl + J q (10.14) l dove i termini ψl Jl descrivono i flussi delle componenti dell’energia potenziale (ad es. del potenziale elettrico) dovuti alla diffusione dei singoli componenti; e Jq , flusso associato a u, è il flusso di calore. Riordinando la (10.13) e derivandola rispetto al tempo si ottiene ∂ρ( 12 v2 ) ∂ρu = −∇ · Je − ∂t ∂t (10.15) 125 7 Da qui in avanti, salvo che sia diversamente indicato, lettere greche al pedice e nelle somme indicheranno sempre coordinate spaziali. Ad es. vα sarà genericamente una delle componenti qvx 2o vy o vz del vettore v: |v|2 = v ; etc. β β 126 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio dove si è assunto che ψ non dipenda dal tempo. La (10.15) può essere ulteriormente rielaborata osservando che, in generale d ∂ = +v·∇ (10.16) dt ∂t Pertanto, per una generica quantità a (scalare o componente di un vettore) ∂a da = ρ + ρv · ∇a (10.17) ρ dt ∂t Essendo ∂a ∂ρ ∂ρa = ρ +a ∂t ∂t ∂t la (10.17) può essere riscritta come ρ da ∂ρa ∂ρ = −a + ρv · ∇a dt ∂t ∂t (10.18) Sostituendo la (10.18) nella (10.8) si ricava allora ρ ∂ρa da = + a∇ · (ρv) + ρv · ∇a dt ∂t (10.19) Osservando peraltro che ∇ · (ρav) = ρa∇ · v + v · (ρ∇a + a∇ρ) (10.20) è immediato verificare che ρ ∂ρa da = + ∇ · (ρav) dt ∂t (10.21) Si utilizzi questo risultato del tutto generale per esprimere l’energia cinetica ρv 2 /2. Moltiplicando la (10.9) per vα e sommando su α: Ø ρvα α ØØ dvα ρk Fkα vα = dt α (10.22) k Pertanto ρ Ø d 21 v 2 = ρk Fk · v dt (10.23) k Peraltro, osservando che il flusso Jk è il prodotto della densità della specie k-sima moltiplicata per la differenza tra la velocità della specie e quella baricentrica del sistema: Jk = ρk (vk − v) (10.24) risulta ρ d 12 v 2 dt = = − Ø k Ø k ρk Fk · (v − vk + vk ) Ø ρk Fk · vk Fk · Jk + k (10.25) generalità sui sistemi in equilibrio e fuori equilibrio Il termine di sinistra della precedente equazione può essere riscritto osservando che 46 53 d 21 v 2 ∂ρ 21 v 2 1 2 ρ (10.26) = +∇· ρv dt ∂t 2 ∂ρ 21 v 2 dalla preceLa (10.15) può essere quindi riscritta sostituendo ∂t dente a dare 53 46 d ( 1 v2 ) ∂ρu 1 2 = −∇ · Je − ρ 2 +∇· ρv (10.27) ∂t dt 2 ovvero 46 53 Ø Ø 1 2 ∂ρu = −∇ · Je + ρv (10.28) Fk · Jk − ρk Fk · vk + ∇ · ∂t 2 k k Trascurando ancora il contributo dell’energia potenziale a lungo raggio il termine di energia cinetica può essere riespresso come ρv2 /2 = ρe − ρu. Pertanto 46 53 Ø Ø ∂ρu 1 2 ρk Fk · vk + ∇ · Fk · Jk − = −∇ · [Je − (ρe − ρu)v] + ρv ∂t 2 k k (10.29) che, in vista della (10.14), porge Ø Ø ∂ρu = −∇ · (Jq + ρuv) + Fk · Jk − ρk Fk · vk ∂t k (10.30) k che mostra come in tne l’energia interna del sistema non si conserva q a causa della presenza del termine di flusso k Fk · Jk . Questo è dopotutto ovvio dato che u , e. Infine definiamo il calore q ponendo ρ dq = −∇ · Jq dt (10.31) Allora la (10.30) può essere riscritta osservando che ∂ρu du = ρ − ∇ · (ρuv) ∂t dt (10.32) Quindi ρ Ø Ø du = −∇ · Jq + Fk · Jk − ρk Fk · vk dt k o anche ρ (10.33) k Ø dq Ø du =ρ − ρk Fk · vk + Fk · Jk dt dt k (10.34) k il principio di conservazione dell’energia può essere riscritto in una forma che richiama più strettamente il primo principio della termodinamica: Ø dq dv du Jl · Fl (10.35) = −p +v dt dt dt l 127 128 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio (dove v ≡ ρ−1 è il volume specifico8 ) in cui al termine di lavoro meccanico p dv dt si aggiunge, come atteso, un termine di flusso attraverso i bordi del sistema. 8 Si osservi che v (scalare) è un volume specifico mentre v (vettore) è una velocità. Il rango tensoriale della grandezza consente l’uso della stessa lettera senza ambiguità. 11 Bilancio entropico in sistemi fuori equilibrio 11.1 Estensione del secondo principio Come ben noto, il secondo principio della termodinamica impone che in un sistema isolato la variazione di entropia associata ad un processo sia una quantità non negativa. Tale principio si applica ovviamente anche ai sistemi non in equilibrio, per i quali è tuttavia opportuno distinguere tra la variazione di entropia associata a processi interni al sistema di S e la variazione di entropia dovuta a scambi (di energia e di materia) con l’ambiente de S. Risulta quindi dS = de S + di S (11.1) di S ≥ 0 (11.2) con La condizione di non negatività del differenziale dell’entropia si applica quindi solo ad uno dei due componenti di dS. Per un sistema chiuso dq ¯ (11.3) di S = T per cui dq ¯ dS = de S + di S ≥ (11.4) T Per un sistema aperto non risulta quindi possibile utilizzare immediatamente la (11.3) per determinare il flusso di entropia a causa dell’esistenza di un termine aggiuntivo connesso agli scambi di materia con l’ambiente. Restano tuttavia valide la (11.1) e la (11.2). Uno degli obiettivi della termodinamica dei processi irreversibili è quello di esprimere la produzione di entropia di S dovuta ai processi irreversibili che hanno luogo all’interno del sistema, definendo di conseguenza la possibilità che essi sottostiino al vincolo (11.2). A questo scopo è opportuno riscrivere le (11.1)–(11.2) in forma locale come segue: Ú S= ρsdV V (11.5) 130 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio de S =− dt e Ú JS,tot · dΩ (11.6) ∂V Ú di S σdV (11.7) = dt V dove abbiamo introdotto il rateo di produzione di entropia per unità di volume σ. Usando il teorema della divergenza, la (11.1) può essere riscritta come 4 Ú 3 ∂ (ρs) + ∇ · JS,tot − σ dV = 0 (11.8) ∂t V che, essendo valida per qualsiasi volume V , fornisce la forma locale del secondo principio della termodinamica: ∂ (ρs) = −∇ · JS,tot + σ (11.9) ∂t σ ≥ 0 In virtù della (10.21) ds ∂ (ρs) = ρ − ∇ · (ρsv) ∂t dt (11.10) per cui ρ o anche ds = −∇ · (JS,tot + ρsv) + σ dt ∂s ρ = −∇ · JS + σ ∂t JS = JS,tot − ρsv σ ≥ 0 (11.11) (11.12) Può essere opportuno precisare che, come in ogni formulazione locale della tne, i volumi considerati sono assunti essere infinitesimi su scala macroscopica ma sufficientemente grandi da contenere un numero di particelle bastantemente elevato da rendere possibile definire per essi (anche in termini statistico–meccanici) una entropia. 11.2 Ipotesi di equilibrio locale L’applicazione della (11.12) ai sistemi fuori equilibrio richiede una definizione analitica del concetto di entropia stesso nei sistemi fuori equilibrio. All’equilibrio, infatti, l’entropia è una funzione di stato, ovvero è un potenziale il cui valore è funzione delle variabili si stato del sistema stesso: s = s(u, v; . . . , ck , . . .) (dove ck è la frazione di massa del componente k–simo). Si può quindi scrivere ad esempio che, essendo Ø µk dck du = dq ¯ −dw ¯ = T dS − pdV + k bilancio entropico in sistemi fuori equilibrio allora T ds = du + pdv − Ø µk dck 131 (11.13) k dove p è la pressione di equilibrio e µk è il potenziale chimico del componente k–simo. In condizioni di non equilibrio tale definizione di s non è tuttavia valida, in generale, dato che lo stato del sistema dipende esplicitamente dal tempo1 . È pertanto necessario introdurre qui una ulteriore ipotesi fondamentale relativa allo stato locale del sistema. Tale ipotesi consiste nell’assumere che anche in un sistema non in equilibrio esistano elementi di volume (eventualmente piccoli) all’interno dei quali si realizzino condizioni di equilibrio locale; e nei quali sia pertanto lecito, pur restando valide le (11.1) e (11.2), trattare s come una funzione dello stato locale del sistema (u, v; . . . , ck , . . .) (ipotesi di equilibrio locale). Pertanto, sotto tale ipotesi, T du dv Ø dck ds = +p − µk dt dt dt dt (11.14) k L’ipotesi di equilibrio locale non è conseguenza di alcuno dei principi della termodinamica di equilibrio né consegue da altre leggi della fisica. La sua validità potrà essere valutata (corroborata) solo sulla scorta della coerenza della teoria che ne conseguirà rispetto alle evidenze sperimentali. In questo senso, essa potrebbe essere considerata l’equivalente di non equilibrio del postulato di esistenza e accessibilità della condizione di equilibrio per un sistema isolato in tce. Pertanto, così come la tce descrive il comportamento macroscopico di sistemi il cui macrostato non evolve ulteriormente nel tempo su una scala dei tempi non limitata, la teoria della tne che consegue alla ipotesi di equilibrio locale descrive il comportamento macroscopico di sistemi localmente descrivibili da potenziali (u e s) la cui dipendenza dal macrostato locale (u = u(p, v; . . . , ck , . . .) e s = s(u, v; . . . , ck , . . .)) non è distinguibile da quella di un sistema all’equilibrio. Pertanto anche nella teoria che stiamo sviluppando vige un principio di auto–limitazione: se la tce non predice il comportamento di tutti i sistemi stazionari ma solo di quelli effettivamente in equilibrio, parimenti la tne basata sull’ipotesi di equilibrio locale descriverà solo il comportamento dei sistemi localmente in equilibrio. Di fatto, tale ultima limitazione restringe l’ambito della teoria ai soli sistemi ‘prossimi’ all’equilibrio — e definisce de facto l’ambito di competenza della cosiddetta termodinamica lineare (tl). Occorre ora procedere ad esplicitare la (11.12) riscrivendola in termini di flussi distinti. Inserendo la (10.31) nella (10.35) si ottiene Ø ∇ · Jq dv du Jk · Fk =− −p +v dt ρ dt k (11.15) 1 Si consideri ad es. il caso di una miscela reattiva che non ha raggiunto la condizione di equilibrio. 132 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio che consente di riscrivere la (11.14) come B A Ø ∇ · Jq dv Ø dck dv ds Jk · Fk + p µk −p +v − T dt = − ρ dt dt dt k k Ø Ø ∇ · Jq dc = − +v Jk · Fk − µk k ρ dt k k (11.16) Per esprimere dck /dt come un flusso è possibile procedere come segue. Essendo ∂ρk dρ = k − v · ∇ρk (11.17) ∂t dt in vista della (10.7), risulta anche Ø dρk νkj Jj = v · ∇ρk − ∇ · (ρk vk ) + dt (11.18) Ø dρk = v · ∇ρk − ∇ · (ρk vk ) + νkj Jj dt (11.19) Ø dρk = −ρk ∇ · vk − (vk − v) · ∇ρk + νkj Jj dt (11.20) k ovvero k che può essere riarrangiata a dare k Analogamente si proceda per ρ: in vista della (10.8) risulta dρ ∂ρ = −∇ · (ρv) = − v · ∇ρ ∂t dt (11.21) dρ = −ρ∇ · v dt (11.22) dc ρ dρ dc dρk = k = ck +ρ k dt dt dt dt (11.23) da cui Essendo peraltro è facile verificare che ρ Ø dck = −ρk ∇ · vk + ck ρ∇ · v + νkj Jj − (vk − v) · ∇ρk dt (11.24) j L’unico termine nel membro di destra che non sia un flusso è (vk − v) · ∇ρk . Tuttavia è banale osservare che ∇ · Jk = ρk ∇ · (vk − v) + (vk − v) · ∇ρk (11.25) che consente alfine di esprimere dck /dt unicamente in funzione di flussi: Ø dc ρ k = −∇ · Jk + νkj Jj (11.26) dt j bilancio entropico in sistemi fuori equilibrio Inserendo l’espressione appena ottenuta nella (11.16) si ottiene Ø Ø Ø µk ∇ · Jq ds −∇ · Jk + T =− +v Jk · Fk − νkj Jj dt ρ ρ k j k (11.27) a dare ρ r ∇ · Jq 1Ø 1Ø 1Ø ds Jl · Fl + µk ∇ · Jk − =− + Jj Aj (11.28) dt T T T T l k j =1 dove è stata introdotta l’affinità chimica della reazione j-sima Aj B n Ø (11.29) νkj µk k =1 È immediatamente evidente che l’affinità coincide, a meno del segno, con la variazione dell’energia di Gibbs di reazione. Confrontando ora la (11.28) con la (11.12) è possibile separare i termini di flusso introducendo un flusso di entropia Js definito come B A n Ø 1 (11.30) µk Jk Jq − Js B T k =1 così da poter scrivere σ=− n r 1 2 1Ø 1 1 Ø µk J · ∇T − − F J · T ∇ Jj Aj ≥ 0 − q k k T2 T T T k =1 j =1 (11.31) A prima vista la separazione dei flussi può apparire arbitraria. Anche se la scelta fatta non è unica, essa è tuttavia una delle poche che soddisfino la condizione σ = 0 all’equilibrio e che siano invarianti in ogni sistema di riferimento inerziale. Si osservi inoltre che integrando la (11.31) su un volume V chiuso si ottiene Ú Jq dS ≥− · dΩ (11.32) dt ∂V T recuperando il noto risultato del teorema di Carnot. 133 12 Stabilità dei regimi di equilibrio Il concetto di equilibrio è variamente definito in fisica e in chimica. In generale, in un sistema meccanico la condizione di equilibrio implica la nullità delle forze e dei momenti agenti su un punto materiale. Conseguentemente, un sistema meccanico è in equilibrio quando il gradiente del potenziale totale risulta anch’esso nullo. Questo non implica necessariamente che lo stato di equilibrio meccanico sia stabile dato che non stabilisce alcuna condizione sul valore delle derivate seconde del potenziale. Come infatti noto, in meccanica si parla di equilibrio stabile, equilibrio instabile e equilibrio indifferente a seconda che le derivate seconde del potenziale risultino rispettivamente negativa, positiva o nulla in un intorno della posizione di equilibrio. Il concetto di equilibrio termico, che è il primo concetto di equilibrio introdotto in termodinamica, è ugualmente riferito ai descrittori macroscopici del sistema (ad esempio pressione e volume). La loro invarianza nel tempo consente di enunciare il principio zeresimo della termodinamica e, conseguentemente, di introdurre il concetto di temperatura. Il sistema risulta quindi in equilibrio termico con l’ambiente se la temperatura del sistema risulta identica alla temperatura dell’ambiente. In questo senso, la temperatura gioca un ruolo analogo ai potenziali della meccanica. Più complessa è la definizione di equilibrio termodinamico che, per propria natura, implica la sussistenza di condizioni di equilibrio termico unitamente a condizioni di equilibrio chimico (composizione costante), radiativo (assenza di flussi radiativi) e meccanico. Un sistema infatti è in condizioni di equilibrio termodinamico se e solo se risultano nulli i flussi di materia ed energia attraverso i propri bordi e contemporaneamente non si osservano variazioni della composizione chimica o della struttura delle fasi del sistema stesso. Per un sistema isolato questo implica dS = 0 nel macrostato di equilibrio e dS > 0 in un suo intorno. Per un sistema chiuso operante a pressione costante la condizione di equilibrio è viceversa dG = 0 nel macrostato di equilibrio e dG < 0 in un suo intorno. Quindi, differentemente da quanto accade in meccanica, la 136 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio condizione di equilibrio termico unitamente alla imposizione di flussi nulli di materia ed energia implica immediatamente la stabilità delle condizioni di equilibrio (se il sistema è anche in equilibrio meccanico stabile). In questo capitolo si potrà quindi fare uso della stabilità della condizione di equilibrio termodinamico per determinare il segno di alcuni importanti coefficienti fenomenologici. Questo comporterà una prima analisi del comportamento di un sistema termodinamico in presenza di perturbazioni o generate dall’ambiente o spontanee ed interne. Queste ultime prendono il nome di fluttuazioni, concetto ben noto in Meccanica Statistica ma non proprio della tce. In seguito (Cap. 14) verrà affrontato il problema della stabilità delle condizioni stazionarie in sistemi non in equilibrio. In particolare saranno individuate le condizioni nelle quali un sistema non in equilibrio risulta stabile in presenza di perturbazioni che possono essere originate da modificazioni nello stato termodinamico dell’ambiente o che possono derivare da fluttuazioni dei descrittori macroscopici del sistema stesso. 12.1 Stati di equilibrio In un sistema all’equilibrio l’entropia è massima. Ogni discostamento da tale stato termodinamico comporta conseguentemente una riduzione dell’entropia, ovvero S − Seq < 0 (12.1) Tale disequazione può essere impiegata per stabilire il segno delle grandezze fenomenologiche che sono esprimibili come derivate dei potenziali termodinamici rispetto ai descrittori di macrostato P , V , T e N. 12.1.1 Stabilità termica Si consideri un sistema all’equilibrio caratterizzato da una temperatura T . Si individuino arbitrariamente due regioni del sistema stesso che saranno etichettate come 1 e 2. Si immagini ora che la temperatura delle due regioni subisca una perturbazione δT . Questo comporta necessariamente una variazione δU della energia interna del sistema nel suo complesso. Essendo S = S (T ) = S (T (U )) si può scrivere ∂ 2 S2 -- δU22 ∂S2 -∂ 2 S1 -- δU12 ∂S1 -+ +... δU1 + δU2 + S − Seq = ∂U1 -eq ∂U2 -eq ∂U12 -eq 2 ∂U22 -eq 2 (12.2) dove si è proceduto ad uno sviluppo in serie di potenze su δUi . Se il sistema è chiuso e le pareti che lo delimitano sono rigide (V , N = cost.), allora necessariamente la variazione complessiva dell’energia interna deve risultare nulla: δU1 + δU2 = 0. Ricordando inoltre che stabilità dei regimi di equilibrio ∂U /∂S = T la variazione di entropia rispetto all’entropia dello stato di equilibrio può essere espressa come 3 4 4 3 δU12 ∂ (1/T1 ) ∂ (1/T2 ) 1 1 δU1 + − + +... S − Seq = T1 T2 eq ∂U1 ∂U2 eq 2 (12.3) Il primo termine dello sviluppo è necessariamente nullo all’equilibrio mentre si può scrivere 1 ∂T 1 ∂ (1/T ) =− 2 =− ∂U T ∂U CV T 2 e δU = CV δT Pertanto S − Seq = − 3 1 CV,1 + 1 CV,2 4 eq (CV,1 δT )2 +... 2T 2 (12.4) Per una perturbazione locale su V1 ¹ V2 la capacità termica della regione 1 è ovviamente molto minore di quella della regione 2 (CV,1 ¹ CV,2 ) per cui è legittimo approssimare la capacità termica della regione 2 a quella dell’intero sistema CV . Di conseguenza 4 3 (CV,1 δT )2 CV,1 CV,1 δT 2 S − Seq Ä − 1 + Ä− (12.5) 2 CV,2 eq 2CV,1 T 2T 2 Dato che il sistema viene perturbato rispetto al suo stato di equilibrio termodinamico il secondo principio della termodinamica impone che S − Seq ≤ 0. Pertanto la condizione di stabilità implica che la capacità termica del sistema stesso debba essere positiva: CV > 0. Può essere interessante osservare che ove per assurdo un sistema esibisse un calore specifico negativo ogni fluttuazione di temperatura condurrebbe alla generazione di un flusso termico tale da accrescere la temperatura della regione calda e da diminuire quella della regione più fredda, con una conseguente amplificazione catastrofica della fluttuazione stessa. 12.1.2 Stabilità meccanica Si verifichi il comportamento di un sistema chiuso inizialmente all’equilibrio a seguito di una alterazione locale del volume di una sua parte. In forma più descrittiva si può immaginare una fluttuazione che alteri la densità locale del sistema. Si assuma che il processo decorra in condizioni isoterme. Si consideri quindi una perturbazione δV del volume. Come nel caso precedente la variazione di entropia associata a tale perturbazione può essere scritta come ∂S1 -∂ 2 S2 -- δV22 ∂S2 -∂ 2 S1 -- δV12 S − Seq = + +... δV + δV + 1 2 ∂V1 -eq ∂V2 -eq ∂V12 -eq 2 ∂V22 -eq 2 (12.6) 137 138 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Se sistema nel suo complesso è chiuso e le pareti che lo delimitano sono rigide (V , N = cost.) il volume complessivo si conserva e quindi δV1 + δV2 = 0. Pertanto 3 3 4 4 δV12 p1 ∂ (p1 /T1 ) ∂ (p2 /T2 ) p2 S − Seq = δV1 + − + +... T1 T2 eq ∂V1 ∂V2 eq 2 (12.7) Naturalmente anche in questo caso il termine lineare risulta nullo mentre, essendo T fissata. Ricordando poi che il coefficiente di comprensibilità risulta definito come κ B −(1/V )(∂V /∂p), le derivate parziali nel termine quadratico in δVi possono essere scritte come ∂ (p/T )/∂V = −1/(V T κ). La (12.7) porge quindi 4 3 δV12 1 1 + +... (12.8) S − Seq = − V1 κ V2 κ eq 2T In maniera analoga a quanto fatto nel caso precedente si consideri che la fluttuazioni di densità abbia luogo in una regione di piccolo volume così che V1 ¹ V2 Ä V . Allora 4 3 δV12 δV12 V1 Ä− (12.9) S − Seq Ä − 1 + V2 eq 2V1 κT 2V1 κT Il vincolo imposto dalla secondo principio della termodinamica fornisce quindi di conseguenza che il segno del coefficiente di comprensibilità deve necessariamente essere positivo: κ > 0. 12.1.3 Stabilità chimica Si consideri adesso l’effetto di una perturbazione composizionale in un sistema chiuso reattivo sul quale non possa essere fatto lavoro meccanico. Si assuma che anche in questo caso che l’intero processo decorra in condizioni isoterme. In vista della (11.29) la variazione di entropia associata ad una perturbazione δξ = δN /ν del numero di moli (normalizzato) dei componenti risulta in una modificazione dell’entropia esprimibile come ∂ 2 S -- δξ 2 ∂S -δξ + +... (12.10) S − Seq = ∂ξ -eq ∂ξ 2 -eq 2 Se si assume che le pareti del contenitore siano rigide (V = cost.) e dato che (∂S/∂ξ )U ,V = A/T , risulta 3 4 3 4 ∂ (A/T ) δξ 2 A δξ + +... (12.11) S − Seq = T eq ∂ξ eq 2T Il primo termine è come sempre nullo mentre, essendo T fissata, la condizione di stabilità risulta essere esprimibile come 3 4 ∂A <0 (12.12) ∂ξ eq stabilità dei regimi di equilibrio che esprime il noto principio di Le Chatelier–Braun. Per r reazioni accoppiate è facile verificare che r Ø r r Ø Ø ∂ 2 S -- δξi δξj ∂S -+... δξi + S − Seq = ∂ξi -eq ∂ξi ∂ξj -eq 2 da cui, essendo ∂S/∂ξi = Ai /T Ø 3 ∂Aj 4 Ø 3 ∂Ai 4 dξi dξj < 0 dξi dξj = ∂ξj eq ∂ξi eq (12.14) i,j i,j 12.1.4 (12.13) i=1 j =1 i=1 Stabilità diffusiva Si consideri nuovamente l’effetto di una perturbazione composizionale nelle partizioni 1 e 2 di un sistema chiuso ma non reattivo. Questo può essere ad esempio il caso di un sistema binario in cui la concentrazione locale del soluto si discosti da quella media di equilibrio. La fluttuazione di entropia può essere espressa come: 4 Ø 3 ∂S1 ∂S2 S − Seq = δN1,k + δN2,k ∂N1,k ∂N2,k eq k 3 1Ø ∂ 2 S1 + δN1,k δN1,kÍ + 2 Í ∂N1,k ∂N1,kÍ (12.15) k,k 4 2 ∂ S2 δN2,k δN2,kÍ ∂N2,k ∂N2,kÍ eq + ... Essendo V = cost. e δN1,k = −δN1,kÍ = δNk si ottiene che, a T fissata, Ø 1 µ1,k µ2,k 2 S − Seq = − − δNk T T eq k 3 Ø ∂ (µ1,k /T ) ∂ (µ2,k /T ) 4 δNk δNkÍ − + ∂N1,kÍ ∂N2,kÍ 2 Í eq k,k + ... (12.16) dove si è ricordato che ∂S/∂Nk = −µk /T . Il termine lineare nello sviluppo in serie è nullo per cui, se la fluttuazione decorre in una partizione piccola del sistema (V1 ¹ V2 ), allora è anche vero che ∂ (µ2,k /T ) ∂ (µ1,k /T ) º ∂N1,kÍ ∂N2,kÍ (12.17) Ø 3 ∂ (µ1,k /T ) 4 (12.18) Pertanto S − Seq Ä − k,kÍ ∂N1,kÍ eq δNk δNkÍ 2 La condizione di stabilità dell’equilibrio termodinamico fornisce quindi Ø 3 ∂ (µk /T ) 4 k,kÍ ∂NkÍ eq δNk δNkÍ >0 2 (12.19) 139 140 12.2 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Forze termodinamiche ed equazioni fenomenologiche L’espressione della produzione di entropia (11.31) ricavata nel capitolo precedente ha una struttura evidentemente bilineare. Ogni termine alla destra del segno uguale è infatti il prodotto tra un flusso (Jq , Jk , Jj ) e un termine (lineare) che descrive possibili fattori che determinano il discostamento del sistema dall’equilibrio [(∇T )/T 2 , ∇(µk /T ), Fk /T , Aj /T ]. I termini coniugati ai flussi termodinamici (Ji , Ji ) prendono il nome di forze termodinamiche (Xi , Xi ). Quindi per definizione, se le coppie flusso–forza sono scalari per i = 1, . . . , n e vettoriali per i = n + 1, . . . , m, σ= n Ø i=1 Xi Ji + m Ø Xi · Ji ≥ 0 (12.20) i=n+1 dove la somma è ora estesa a tutte le coppie forza–flusso. In ossequio al secondo principio della termodinamica di S/dt deve necessariamente annullarsi in condizioni di equilibrio termodinamico, e che questo accada è garantito dal fatto che all’equilibrio tutte le forze termodinamiche si annullano. Analogamente è legittimo attendersi che anche i corrispondenti flussi si annullino. È quindi ragionevole assumere che in un intorno dell’equilibrio forze e flussi siano linearmente dipendenti gli uni dagli altri. Pare opportuno sottolineare che tale interdipendenza non è né un postulato addizionale né un risultato ricavabile per via deduttiva. Al contrario, ed esattamente come per l’ipotesi di equilibrio locale, l’esistenza di relazioni lineari tra forze e flussi costituisce una ulteriore clausola definitoria dell’ambito di applicazione della tl. Naturalmente tale clausola ha un ampio supporto empirico, essendo ben note relazioni lineari ampiamente (ma non universalmente!) validate in molti ambiti. A titolo esemplificativo e per singole coppie forza–flusso, la relazione tra flusso di calore e gradiente di temperatura in un conduttore termico è descritta dalla legge di Fourier, della forma Jq = −γ∇T (12.21) dove γ è la conducibilità termica; mentre per i processi diffusivi di materia vale l’equazione di Fick Jk = −Dk ∇ck (12.22) dove D è la diffusività. Non da ultima, la legge di Ohm è una relazione lineare tra flusso di carica JQ (corrente per unità d’area) e campo elettrico (gradiente della potenziale elettrico φ): JQ = ςF = −ς∇φ (12.23) dove ς è la conducibilità elettrica e F è il campo elettrico. La termodinamica lineare di non equilibrio assume quindi che simili relazioni stabilità dei regimi di equilibrio possano essere generalizzate, includendo in linea di principio anche relazioni lineari incrociate tra forze e flussi non coniugati. Si scrive quindi che Ø Ji = Lik Xk i = 1, . . . (12.24) k dove ovviamente Xk è la forza coniugata al flusso Jk . Le (12.24) sono chiamata generalmente equazioni fenomenologiche e i coefficienti Lik sono detti coefficienti fenomenologici. Sostituendo la (12.24) nella (12.20) è immediato ottenere che Ø σ= Lik Xi Xk ≥ 0 (12.25) ik q da cui risulta che ik Lik Xi Xk è una forma quadratica definita non negativa (ovvero definita positiva fuori dalle condizioni di equilibrio). Questo implica che gli elementi diagonali della matrice Lik sono positivi mentre per quelli fuori diagonale valgono le disequazioni Lii Lkk ≥ 1 (Lik + Lki )2 4 (12.26) Effettive istanze di relazioni lineari incrociate tra flussi e forze sono ben note (e lo erano anche prima che la tl fosse modernamente formalizzata). Ad esempio si consideri la generazione di flussi di calore e di carica in presenza di gradienti termici ed elettrici. Si può scrivere, generalizzando secondo la (12.24) le leggi di Fourier e di Ohm: F 1 Jq = Lqq ∇ T + LqQ T (12.27) 1 F J + LQQ Q = LQq ∇ T T dove si è fatto uso del fatto che ∇(1/T ) = −T 2 ∇T . Imponendo F ≡ 0 si ricava immediatamente 1 Jq = Lqq ∇ T (12.28) JQ = LQq ∇ 1 T che prevede l’esistenza di un flusso di carica conseguente ad un gradiente termico (effetto termoelettrico o Seebeck). Per converso, se la temperatura nel sistema è uniforme, allora F Jq = LqQ T (12.29) F J Q = LQQ T per cui un campo elettrico genera un flusso di calore attraverso il sistema (effetto Peltier). 141 142 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio L’uso congiunto della (12.24), delle equazioni di bilancio e dei principi di conservazione determina in linea di principio l’evoluzione nel tempo dello stato termodinamico locale di un qualsiasi sistema. Naturalmente questo non implica che l’insieme di queste relazioni possa descrivere lo stato termodinamico di un qualsiasi sistema dato che sono ben note condizioni in cui le equazioni fenomenologiche sono significativamente non lineari. È tuttavia appropriato sostenere che nel limite dei sistemi che rispettino contemporaneamente l’ipotesi di equilibrio locale e quella di linearità delle relazioni fenomenologiche la teoria fin qui sviluppata risulta completa. Da qui in avanti sarà quindi possibile procedere alla analisi, applicazione ed estensione della teoria senza la necessità di introdurre ulteriori postulati o clausole definitorie. 12.3 Principio di Curie Nella scrittura della (12.20) si è implicitamente assunto che non possano esistere contributi a di S derivanti da flussi vettoriali (scalari) accoppiati a forze scalari (vettoriali). Questo è banalmente vero per ragioni matematiche. Si pone tuttavia la questione più sostanziale se nella scrittura della relazione fenomenologica (12.24) possano esistere termini Lik che accoppiano forze e flussi di rango tensoriale differente1 — cioè se possano darsi relazioni della forma J = L(IX ) o JI = LX che non violino il principio di invarianza delle relazioni causa–effetto rispetto alle trasformazioni di simmetria dello spazio (gruppo di simmetria continuo). In effetti ‘Principio’ di Curie: Non è possibile l’accoppiamento di flussi e forze di diverso rango tensoriale. La dimostrazione del ‘principio’ (che in realtà è ovviamente un teorema) discende dall’osservazione che grandezze scalari e vettoriali si trasformano in modo differente sotto l’applicazione di una operazione di simmetria puntuale (rotazione, riflessione o inversione). Detta infatti R una generica operazione di simmetria puntuale, risulta Ra = a ∀a ∈ R Rv = Rv ∀v ∈ R3 (scalare) (vettore) (12.30) dove R è la matrice associata all’operatore R. Ragionando per assurdo, se una forza scalare determinasse un flusso vettoriale l’applicazione della trasformazione R non avrebbe alcun effetto sulla causa (forza) mentre altererebbe l’effetto (flusso). Ne seguirebbe quindi che la stessa causa potrebbe dar luogo a più effetti diversi, in violazione del principio di casualità. Per converso se una forza vettoriale determinasse un flusso scalare l’applicazione della trasformazione R modificherebbe la causa (forza) senza alterarne l’effetto (flusso). Ne seguirebbe quindi che cause differenti (ad es. X e XÍ = RX , X) potrebbero 1 Il rango tensoriale di uno scalare è 0, quello di un vettore è 1, quello di un tensore è ≥ 2. stabilità dei regimi di equilibrio 143 dar luogo allo stesso effetto J. Ma allora l’effetto combinato delle due cause X − XÍ , 0 non darebbe luogo ad alcun effetto, in violazione ancora del principio di casualità. Pertanto se ne deve concludere che la negazione della tesi è falsa. Il ‘principio’ di Curie impone quindi una semplificazione nelle relazioni flussi–forze, consentendo l’associazione solo di grandezze del medesimo rango. Il principio stabilisce tuttavia anche ulteriori limiti nel coniugio tra forze e flussi. Per ragioni analoghe a quelle appena viste esso impone anche che flussi a carattere tensoriale possano determinare solo forze anch’esse tensoriali; e che flussi descritti da vettori assiali (vettori propri; ad es. una velocità) non possano generare forze descritte da vettori polari (come ad es. un campo magnetico). 12.4 Probabilità di una fluttuazione La termodinamica di equilibrio non fornisce strumenti atti ad analizzare la possibilità che un sistema si discosti spontaneamente dall’equilibrio. Questo non implica che discostamenti spontanei dal punto di massima entropia siano impossibili o contrari ai principi della termodinamica stessa, purché eventi di questa natura siano instabili e regressivi. Se tuttavia si vuole procedere ad una descrizione quantitativa delle fluttuazioni intorno all’equilibrio occorre introdurre una ipotesi esterna alla termodinamica stessa e non incompatibile con i suoi postulati che correli un descrittore macroscopico della fluttuazione con la probabilità che esso sia osservabile sperimentalmente. Risulta naturale utilizzare a questo scopo i concetti e i risultati della analisi microscopica dei sistemi a molti corpi ottenuti in Meccanica Statistica. Il descrittore più naturale di una fluttuazione è ovviamente la variazione (negativa) di entropia ad essa associata. Si introduce quindi un postulato relativo alla probabilità P che un sistema isolato inizialmente all’equilibrio manifesti una diminuzione ∆i S di entropia a seguito di una fluttuazione spontanea2 . Esattamente P ( ∆i S ) = s 0 −∞ e e∆i S/R ∆i S/R d( ∆ iS ) (12.31) La distribuzione è ovviamente definita sul dominio ∆i S ≤ 0 ed è caratterizzata da un massimo in ∆i S = 0, come atteso. Si consideri a titolo esemplificativo una fluttuazione di temperatura δT . In vista della (12.5) è immediato ricavare che 3 4 CV (δT )2 P (δT ) ∝ exp − 2 (12.32) Teq 2R Nel caso più generale e ricordando che la probabilità composta di eventi statisticamente indipendenti è il prodotto delle probabilità di 2 È abbastanza evidente come il postulato sia derivato da considerazioni di natura statistico–meccanica. In ogni caso, rispetto alla teoria macroscopica esso non può essere fatto discendere da nessuno dei principi della termodinamica stessa e costituisce quindi un postulato aggiuntivo della termodinamica. 144 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio ogni singolo evento: P (φ1 , . . . , φN ) = Ù P (φi ) (12.33) i le (12.5), (12.9) e (12.18) consentono di riscrivere la (12.31) come P (δT , δV , {δNk }) ∝ exp 1 − − (δV )2 1 CV (δT )2 − 2 Teq 2R 2κRTeq V Ø (δNk )2 ∂µk 2 k (12.34) 2RTeq ∂Nk Osservando peraltro che δS = CV δT , Teq δp = − δV , κV δµk = RTeq δ (ln Nk ) (12.35) risulta possibile esprimere la probabilità di una fluttuazione come q 4 3 δT δS − δpδV + k δµk δNk (12.36) P (δT , δV , {δNk }) ∝ exp − 2RT La relazione appena individuata consentirà di individuare nei prossimi capitoli le condizioni di stabilità di sistemi fuori equilibrio e di stabilire relazioni fondamentali tra i coefficienti fenomenologici. 13 Termodinamica lineare Nel capitolo precedente si è stabilito che nei sistemi fuori equilibrio e sotto l’ipotesi di equilibrio locale la produzione di entropia può essere espressa attraverso una sommatoria di prodotti tra forze e flussi coniugati. In più, in regime lineare forze e flussi sono tra loro correlati attraverso coefficienti fenomenologici costanti. In questo capitolo verrà ricavata una relazione fondamentale che collega tra loro i coefficienti fenomenologici, nota come relazione di reciprocità di Onsager. 13.1 Relazioni di reciprocità di Onsager Prima di dimostrare il teorema di Onsager è opportuno procedere ad una valutazione separata dei valori di aspettazione delle componenti della diminuzione dell’entropia di S associata a fluttuazioni spontanee dei flussi. (eq ) (f l ) Lemma: La fluttuazione αk = Jk − Jk di un flusso genera una diminuzione di entropia solo per la componente associata alla forza termodinamica ad essa coniugata. Si proceda al calcolo del valore di aspettazione Xk αkÍ del prodotto Xk αkÍ . Per definizione Xk αkÍ = Ú +∞ −∞ ··· Ú +∞ −∞ Xk αkÍ P dα1 · · · dαr (13.1) dove r è il numero di flussi attivi. In vista della (12.31) si può peraltro scrivere che ∂ log P 1 ∂∆i S = (13.2) ∂αk R ∂αk Per altra via, derivando rispetto a αk la (12.20) si ottiene ∂σ = Xk ∂αk (13.3) 146 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio che consente quindi di scrivere Ú +∞ Ú +∞ ··· Xk αkÍ P dα1 . . . dαr −∞ =R Ú −∞ +∞ ··· +∞ −∞ −∞ Ú Ú +∞ Ú dα1 . . . dαk−1 dαk+1 . . . dαr +∞ Ú +∞ −∞ Ú dαk αkÍ P ∂ log P ∂αk +∞ ∂P ∂αk −∞ −∞ −∞ (13.4) Integrando per parti l’ultimo termine dell’equazione precedente si ottiene Ú +∞ Ú +∞ Ú +∞ ∂P ∂αkÍ αkÍ dαk = [αkÍ P ]∞ dα = − − P δkkÍ dαk P k −∞ ∂αk ∂αk −∞ −∞ −∞ (13.5) dove I 1 se k = k Í δkkÍ = 0 se k , k Í =R ··· dα1 . . . dαk−1 dαk+1 . . . dαr dαk αkÍ Pertanto, usando la normalizzazione di P si ottiene che il valore di aspettazione per Xk αkÍ è non nullo solo se k = k Í : Xk αkÍ = −RδkkÍ (13.6) Si può adesso procedere alla dimostrazione del teorema di Onsager1 . La dimostrazione del teorema verrà condotta per semplicità di notazione limitatamente a flussi e forze scalari. L’estensione al caso q vettoriale è banale osservando che Jk = j LXj può essere riscritta q q come (Jk )α = β j Lkjαβ (Xj )β . q Enunciato: In un sistema termodinamico in cui Jk = j Lkj Xj è sempre Lkj = Ljk . Inoltre anche la matrice dei coefficienti cinetici è simmetrica. La dimostrazione della prima tesi discende immediatamente osserq ∂σ = Xi . Peraltro vando che σ = i Ji Xi . Allora ∂Ji Ø Xi = (L−1 )ik Jk (13.7) k per cui Pertanto e quindi ∂Xi = (L−1 )ik ∂Jk (13.8) ∂2σ = (L−1 )ik ∂Jk ∂Ji (13.9) ∂2σ = (L−1 )ki ∂Ji ∂Jk (13.10) 1 Più correttamente di Onsager– Casimir. termodinamica lineare da cui discende immediatamente la prima tesi. Per la seconda tesi: La variazione di entropia conseguente a processi irreversibili all’interno del sistema può essere espressa in base alla (12.20) come Ø Xk Jk σ= k Pertanto la variazione di entropia associata ad una fluttuazione può essere espressa come ∆σ = Ú (fl) Ø (eq ) Xk dJk = Ø (fl) Xk (Jk )(eq) ≡ Xk αk (13.11) k k k Ø dove (eq) e (fl) indicano rispettivamente gli stati di equilibrio e quello relativo ad una fluttuazione e si è usato per brevità di notazione αk ≡ (eq ) (fl) Jk − Jk . In generale ogni Xk dipende da tutti i flussi JkÍ (purché forza e spostamento abbiano la stessa simmetria, in ossequio al principio di Curie). Tale dipendenza è esplicitabile nel limite di piccole fluttuazioni espandendo Xk in serie di potenze: Ø 3 ∂Xk 4 (13.12) α Í Xk (. . . , αkÍ , . . .) = ∂αkÍ (eq) k Í k dove si è osservato che Xk (0, . . . , 0) = 0. La diminuzione dell’entropia conseguente alla fluttuazione può quindi essere espressa come Ø Ø 3 ∂Xk 4 σ= (13.13) Xk (. . . , αkÍ , . . .)αk = α Í αk ∂αkÍ (eq) k Í k kk Definendo una matrice g come gkkÍ B − 3 ∂Xk ∂αkÍ 4 (13.14) (eq ) la (13.13) può essere riscritta come σ=− Ø gkkÍ αk αkÍ (13.15) kkÍ Si proceda adesso a calcolare la funzione di correlazione ritardata tra due fluttuazioni, definita come 1 t →∞ tÍ φij (τ ) B αi (t)αj (t + τ ) = Ílim Ú tÍ αi (t)αj (t + τ )dt (13.16) 0 Il principio di reversibilità microscopica impone che la funzione debba essere invariante per inversioni τ → −τ . Quindi αi (t)αj (t + τ ) = αi (t − τ )αj (t) = αi (t + τ )αj (t) (13.17) 147 148 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio e αi (t)αj (t + τ ) = αi (t − τ )αj (t) = αi (t + τ )αj (t) (13.18) dove la prima uguaglianza nelle (13.17)–(13.18) è ottenuta traslando l’origine dei tempi per −τ . Sottraendo αi (t)αj (t) membro a membro dalla (13.18) e passando ai limiti: lim τ →0 αi (t)αj (t + τ ) − αj (t)αi (t) αi (t + τ )αj (t) − αi (t)αj (t) = lim τ →0 τ τ (13.19) cioè (13.20) αi (t)α̇j (t) = αj (t)α̇i (t) Se la dinamica di rilassamento dei flussi può essere descritta come2 (fl) (eq ) −αi (t) = Ji (t) − Ji (eq ) = Ji (e−t/τi − 1) (13.21) allora ∂Ji ∂t q e quindi −τi α̇i = Ji = k Lik Xk . Pertanto la (13.20) diventa Ji = −τi αi τj−1 Ø Ljk Xk = αj τi−1 Ø (13.22) Lik Xk (13.23) che può essere riscritta come Ø Ø Lik τi−1 αj Xk Ljk τj−1 αi Xk = (13.24) Ma αk XkÍ = −RδkkÍ , per cui Ø Ø Lik τi−1 δjk Ljk τj−1 δik = (13.25) k k k k k k ovvero τj−1 Lji = τi−1 Lij . Il prodotto τi−1 Lij definisce la cosiddetta matrice dei coefficienti cinetici, che è ovviamente simmetrica. È interessante osservare come il teorema di Onsager, che collega tra loro coefficienti fenomenologici e cinetici descriventi le relazioni lineari tra flussi e forze, risulti dimostrabile impiegando la statistica delle fluttuazioni. Questa connessione non ha solo ragioni tecniche ma evidenzia un più profondo collegamento tra fenomeni dissipativi (flussi generati da idonee condizioni al contorno) e fluttuazioni (processi spontanei di natura stocasstica). In meccanica statistica di non equilibrio è in effetti possibile dimostrare che fluttuazioni e processi dissipativi sono sostanzialmente equivalenti. Più esattamente il teorema di fluttuazione–dissipazione permette di dimostrare che a livello microscopico la risposta di un sistema in un processo dissipativo determinato da un flusso imposto dall’esterno è indistinguibile dalla A rigore, la dinamica descrive un rilassamento per t decrescenti. Infatti (eq ) Ji ( 0 ) = J i . 2 termodinamica lineare risposta a flussi non nulli spontaneamente generatisi nel sistema a causa di fluttuazioni statistiche dall’equilibrio di uno o più variabili di macrostato. Il teorema di Onsager stabilisce le relazioni di simmetria Lji = Lij e Lji /τj = Lij /τi sotto due condizioni fondamentali: 1. che i coefficienti fenomenologici siano costanti; 2. che valga l’invarianza di α per inversioni τ → −τ . La prima condizione è particolarmente critica. I coefficienti fenomenologici non devono necessariamente essere indipendenti da qualsiasi variabile fisica perché il teorema di Onsager sia applicabile. È tuttavia essenziale che la loro eventuale dipendenza da campi scalari o vettoriali non introduca non–linearità nascoste nelle equazioni fenomenologiche. Pertanto risulta accettabile che in un processo termodiffusivo in cui flussi di calore e materia sono coniugati a gradienti di temperatura e di densità di massa la presenza di un campo elettrico esterno moduli i coefficienti fenomenologici – ovvero che Lij = Lij (F). Tale dipendenza non è viceversa accettabile nel caso di un processo termoelettrico dato che in questo caso la dipendenza dei coefficienti fenomenologici da F introdurrebbe una superlinearità nella relazione tra flussi (di materia e di carica) e campo elettrico stesso. Ciò implica di necessità che la dipendenza pressoché universale dei coefficienti fenomenologici dalla temperatura, pur trascurata per ipotesi sia nella scrittura delle relazioni fenomenologiche sia nella dimostrazione del teorema di Onsager, stabilisca limiti di validità significativi ad entrambe le relazioni. In linea di principio nessun fenomeno dissipativo associato a forze dipendenti dalla temperatura potrebbe essere esattamente descritto attraverso relazioni fenomenologiche lineari. Di fatto, l’intero impianto della termodinamica lineare (teorema di Onsager compreso) risulta un modello tanto più accettabile quanto meno rilevante è la dipendenza dei coefficienti fenomenologici dalla temperatura. La seconda condizione è verificata se flussi e forze coniugate hanno la stessa parità rispetto all’inversione t → −t e se il sistema nel suo complesso non è soggetto a campi antisimmetrici rispetto all’inversione t → −t. Un esempio importante di campi di questo genere sono i campi magnetici. Se i coefficienti fenomenologici dipendono parametricamente dal campo magnetico la relazione di Onsager va riscritta come Lji (B) = Lij (−B). Se viceversa i campi magnetici entrano direttamente nelle coppie forza–flusso, come accade ad es. per i fenomeni di termomagnetismo (effetto Nernst-Ettingshausen), allora è facile verificare che αi (t − τ ) = −αi (t + τ ) e quindi la relazione di Onsager va corretta come Lji = −Lij . 149 150 13.2 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Applicazioni delle relazioni di Onsager Nella Sezione 12.2 si è anticipata la possibilità che le relazioni fenomenologiche lineari abilitassero l’esistenza di flussi dovuti a forze non ad essi coniugate. L’argomento può ora essere ripreso in vista delle relazioni di Onsager. In una dimensione ∂ (1/T (x)) F (x) + LqQ Jq = Lqq ∂x T F (x) ∂ (1/T (x)) + LQQ JQ = LQq ∂x T Per F = 0 la legge di Fourier fornisce Jq = − Lqq ∂T (x) ∂T (x) = −γ T 2 ∂x ∂x da cui γ = Lqq /T 2 . Analogamente la legge di Ohm, integrando su x, fornisce LQQ = T /ρ. [Nota che i coefficienti fenomenologici sono delle costanti e non dipendono quindi da T .] I coefficienti incrociati permettono di valutare i flussi di carica generati da differenze di temperatura e i flussi di calore prodotti da differenze di potenziale elettrico. A corrente nulla (circuito aperto) −LQq ∂T /∂x + LQQ F T = 0 per cui, integrando su x, LQq ∆T = −LQQ T ∆φ. Allora (effetto Seebeck) LQq = −LQQ T T2 ∆φ = − αS ∆T ρ A temperatura uniforme, viceversa Jq = LqQ F (x) T JQ = LQQ F (x) T per cui Jq /JQ = LqQ /LQQ . Ma LQQ = T /ρ e quindi il flusso di calore prodotto dal passaggio di una corrente Π (effetto Peltier) è pari a ρ T2 Π B Jq /JQ = − αS × = −T αS ρ T 13.3 Limiti di validità del regime lineare Si è già avuto modo di discutere i limiti delle relazioni fenomenologiche lineari in connessione con l’assunzione che i coefficienti fenomenologici siano costanti. In questa sezione può essere interessante estendere l’analisi ai limiti intrinseci delle relazioni fenomenologiche lineari per valutare la possibilità di esistenza e osservabilità di processi dissipativi non lineari. termodinamica lineare La determinazioni delle condizioni nelle quali è effettivamente rispettata la relazione lineare tra forze e flussi dipende pesantemente dalla natura delle forze termodinamiche considerate. In generale la q condizione Jk = i Lik Xi sottende che nell’espansione in serie di poåi sia lecito scrivere tenze rispetto ad opportune forze adimensionate X åi ) = Jk (0) + Jk = Jk (X 3 ∂Jk åi ∂X 4 åi =0 X åi + o(X å 2) X i (13.26) å 2 ) sia minore del termine lineare, ovvero X åi ≤ 1. dove o(X i Nella maggior parte dei processi fisici la stima dell’intervallo di validità del regime lineare richiede l’impiego della Meccanica Statistica. Una valutazione grossolana può tuttavia essere ottenuta, ad es. per i processi diffusivi, ragionando come segue. In un fenomeno diffusivo è noto che, in una dimensione, J = Jq e X = (1/T )dµ/dx, per cui J =L 1 dµ T dx (13.27) å è dove L è il coefficiente fenomenologico. Una possibile scelta di X quindi å = ü dµ X (13.28) RT dx dove ü è la lunghezza del sistema. Risulta pertanto che il flusso può essere riscritto in funzione della nuova forza adimensionata come J =− LR å X ü (13.29) Se consideriamo il caso di un gas perfetto, sotto l’ipotesi di equilibrio locale risulta lecito scrivere 4 3 p(x) 0 (13.30) µ(x) = µ + RT ln p0 Assumendo che sia T ≈ cost. si ricava allora å = dp(x) / p(x) X dx ü (13.31) che è evidentemente una quantità sempre molto inferiore a 1 per gradienti di pressione realistici. La conclusione cui si può giungere (e che è ampiamente verificata sperimentalmente) è che nei processi fisici i fenomeni non di equilibrio sono quasi sempre ben descritti dall’approssimazione della termodinamica lineare. Nel caso delle reazioni chimiche la situazione può essere differente. Per un sistema dissipativo monodimensionale sede di reazioni chimiche è J = v e X = A/T . Un criterio analogo alla (13.31) risulta della forma A/RT ¹ 1. Considerando tuttavia che a temperatura ambiente RT ≈ 0.6 kcal/mol, è facile verificare come, diversamente dai sistemi 151 152 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio sedi di processi strettamente fisici, i sistemi in cui decorrano reazioni chimiche possano facilmente uscire dal regime della termodinamica lineare, dando luogo a fenomeni non più descrivibili secondo la tl. Questo vale sia nel caso di sistemi sedi esclusivamente di reazioni chimiche sia nel caso in cui processi chimici siano accoppiati a fenomeni fisici (ad es. diffusivi). Nel capitolo 15 verranno brevemente analizzati alcuni semplici esempi di processi chimico–fisici decorrenti in regime non lineare. 14 Condizioni di stabilità in sistemi non in equilibrio Si definisce stazionario un macrostato invariante nel tempo. È stato già osservato che tutti i sistemi in equilibrio sono anche stazionari. È peraltro sperimentalmente noto che sistemi chiusi e aperti possono essere mantenuti in condizioni stazionarie anche lontano dall’equilibrio. Nel regime lineare è ovvio osservare che, dato che flussi e forze sono linearmente dipendenti tra loro, vincoli stazionari al contorno impongono al sistema il posizionamento in uno stato stazionario1 . La stazionarietà dello stato non implica tuttavia la sua stabilità sotto l’applicazione di perturbazioni esterne infinitesime. Equivalentemente, non è immediatamente ovvio che un sistema in stato stazionario risponda a fluttuazioni delle variabili di stato riportandosi nelle condizioni iniziali. Infatti, diversamente da quanto accade all’equilibrio, il potenziale entropia associato allo stato non è necessariamente in un punto di minimo e, conseguentemente, il secondo principio della termodinamica non garantisce lo smorzamento delle perturbazioni–fluttuazioni sperimentate dal sistema. Oggetto principale di questo capitolo sarà quindi quello di individuare eventuali criteri di stabilità generali per i sistemi in regime lineare. 14.1 Teorema di minima produzione di entropia Uno degli obiettivi più importanti di una teoria termodinamica dei sistemi fuori equilibrio è connesso alla individuazione di criteri di stabilità fuori equilibrio. La dimostrazione che in regime lineare tutti i sistemi si portano verso una condizione di minima produzione di entropia (anche se non di minima entropia) fa sì che la produzione di entropia giochi in termodinamica lineare un ruolo simile a quello dell’entropia nei sistemi all’equilibrio. Il teorema di minima produzione di entropia (tmpe) fu enunciato senza dimostrazione da Rayleigh (1873). La sua dimostrazione venne quindi abbozzata da Onsager (1931) e completata da Prigogine (1947). 1 Questo non è necessariamente vero in regime non lineare 154 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Enunciato: In regime lineare la produzione di entropia P [S ] = s di S/dt = σdV assume un valore minimo in corrispondenza dello stato stazionario di non equilibrio. Dato un sistema in cui sono presenti r forze accoppiate ai corrispondenti flussi, il funzionale rateo di produzione di entropia P [S ] è di S P [S ] = = dt Ú dV V r Ø xi (r)ji (r) (14.1) i=1 dove xi (r) e ji (r) sono rispettivamente le forze e i flussi locali. In regime lineare risulta Ø ji (r) = Lik xk (r) (14.2) k Pertanto Ú dV V Ø xi (r)ji (r) = Ú dV V i Ø Lik xi (r)xk (r) (14.3) ik Si ripartiscano ora i flussi locali jk secondo due componenti, una (indicata con l’apice ‘a’) relativa agli scambi con l’ambiente e una (indicata con l’apice ‘s’) relativa a scambi interni al sistema: jk = jks + jka . Dato che il rateo di produzione di entropia P [S ] [come pure il rateo di produzione di entropia per unità di volume σ – cf. (12.20)] è riferito alla sola componente irreversibile della variazione entropica di S, la somma nella (14.3) può essere riscritta come Ú Ú Ø Ø s s dV xi (r)ji (r) = dV Lik xsi (r)xsk (r) (14.4) V V i ik dove anche le forze sono state riscritte di modo da garantire che q jis (r) = k Lik xsk (r). Allora, Ú Ú Ø ∂P [S ] s Í = 2 dV x ( r ) = 2 dV jks Í (r) (14.5) L ik i ∂xskÍ i per ogni k Í . Ma nello stato stazionario i flussi interni sono nulli. Ne consegue che Ú ∂P [S ] = 2 dV jks Í (r) = 0 (14.6) ∂xskÍ per ogni k Í . Questo dimostra che in uno stato stazionario il funzionale P [S ] è in un estremante nello spazio delle forze termodinamiche xskÍ . Tale estremante deve essere necessariamente un minimo dato che P [S ] = di S/dt ≥ 0 e che nello stato stazionario la condizione jks Í = 0 implica P [S ] = 0. Il teorema appena dimostrato associa la natura stazionaria degli stati con quella di stati caratterizzati da P [S ] minima. Esso tuttavia non stabilisce ancora un criterio di stabilità. condizioni di stabilità in sistemi non in equilibrio 14.2 Stabilità degli stati stazionari Dimostriamo ora che, stante il tmpe, gli stati stazionari in regime lineare sono stabili, ovvero che nessuna fluttuazione può spostare stabilmente un sistema dal suo stato stazionario. 3 Lemma: Detto Jk ≡ dξk /dt, h B ∂Xi ∂ξj 4 è una matrice definita ij non positiva2 Si consideri un sistema all’equilibrio. È Ø Ø dξ Xk k Jk Xk = σ= dt 2 (14.7) k k Esprimendo Xk in funzione di (. . . , ξi , . . .) si può scrivere che per una fluttuazione attorno all’equilibrio 2 Ø ∂Xk 1 (fl) (eq ) ξi − ξi Xk = (14.8) ∂ξi i con ovvio significato degli apici. La produzione di entropia associata ad uno scostamento dallo stato di equilibrio è peraltro esprimibile dalla (14.7) come Ú (fl) Ø Ú (fl) Ø Ú (fl) 2 ∂Xk 1 (fl) (eq ) ξi − ξi dξk Xk dξk = di S = ∆i S = ∂ξi (eq ) (eq ) (eq ) ki k (14.9) ovvero ∆i S = Ø ∂Xk 1 ki ∂ξi (eq ) ξi (fl) − ξi 21 (eq ) ξk (fl) − ξk 2 (14.10) Dato che lo stato di equilibrio massimizza l’entropia, ∆i S ≤ 0. Per∂Xi tanto la matrice h definita come (h)ik = è definita non positiva: ∂ξk T ¸ hxi ≤ 0. Tale conclusione vale complessivamente all’equilibrio ma resta valida localmente in regime lineare in virtù dell’ipotesi di equilibrio locale. Sulla scorta di questo lemma è ora possibile dimostrare il seguente teorema: Enunciato: In regime lineare gli stati stazionari sono sempre stabili, dP [S ] ≤ 0. ovvero in un intorno dello stato stazionario dt La produzione di entropia può essere scritta come Ø di S Xk Jk (14.11) = P [S ] = dt k mentre per ipotesi Jk = Ø i Lki Xi (14.12) cioè vT h v ≤ 0 per ogni v , 0 155 156 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio Si esprima poi il flusso k–simo in forma esplicita come Jk ≡ dξk /dt. Dato che Xk è funzione dei flussi (. . . , Ji , . . .), è anche Xk = Xk (. . . , ξi , . . .). Pertanto è possibile scrivere il differenziale di Xk come Ø ∂Xk dξj (14.13) Ø ∂Xk dξj dXk = dt ∂ξj dt (14.14) dXk = j ovvero ∂ξj j Peraltro, sostituendo la (14.12) nella (14.11) si ricava Ø P [S ] = Lki Xi Xk (14.15) ik che, derivata rispetto al tempo, porge Ø d Ø dXk dP [S ] = Lki Xi Xk = 2 Lki Xi dt dt dt ik (14.16) ik In vista della (14.14) risulta quindi Ø Ø ∂Xk dξj dP [S ] =2 Lki Xi dt ∂ξj dt (14.17) j ik che, riordinata, consente di scrivere Ø ∂Xk dξj dP [S ] Jk =2 dt ∂ξj dt (14.18) kj Ricordando la definizione di ξj è immediato ottenere che Ø ∂Xk dP [S ] =2 Jk Jj = 2JT hJ dt ∂ξj (14.19) kj dove il vettore J è qui da intendere come collezione dei flussi scalari (. . . , Ji , . . .). Sulla scorta del lemma si può affermare che la sommatoria è una quantità non positiva per ogni valore dei flussi. Quindi dP [S ]/dt ≤ 0 in un intorno dello stato stazionario. Ciò prova che lo stato stazionario è un punto di minimo di P [S ] ma prova anche ogni stato termodinamico che minimizza P [S ] è uno stato stazionario (in regime lineare). Quindi ogni fluttuazione sposta il sistema dal minimo verso uno stato che, non minimizzando P [S ], non è stazionario. Pare opportuno osservare che la validità del teorema (e della sua dimostrazione) è stata ed è ampiamente contestata nella letteratura più recente. Che vi siano sistemi ben descrivibili sulla scorta della minimizzazione della produzione di entropia è evidente e verrà mostrato di seguito in questo stesso capitolo. Che il teorema abbia una condizioni di stabilità in sistemi non in equilibrio validità universale e che nei sistemi fuori equilibrio e in regime lineare la produzione di entropia svolga realmente un ruolo analogo a quello giocato dall’entropia nei sistemi all’equilibrio (e universale quanto questo) sembra una affermazione eccessivamente confidente. Le principali critiche al tmpe (anche nella sua forma attenuata di teorema di minima–massima produzione di entropia che fa cadere l’identificazione dell’estremante con un punto di minimo nello spazio delle forze) si accentrano su tre punti: 1. il teorema è valido unicamente se i vincoli al contorno non dipendono dal tempo; 2. l’estensione locale (14.2) della relazione fenomenologica lineare è critica dato che localmente l’ipotesi che i coefficienti fenomenologici siano costanti è di dubbia validità. Si consideri infatti il caso ricorrente che a stretto rigore sia Lik = Lik (T ). In forma non–locale questo implica che Lik = Lik (T (r)) = Lik (r). Dato che xi = xi (r) la (14.6) non è valida; 3. l’assunzione che nello stato stazionario i flussi interni siano identicamente nulli è meno universale di quanto possa apparire a prima vista, e questo limita in maniera significativa la generalità del teorema. Di seguito si farà in ogni caso uso del teorema per verificare, entro gli eventuali limiti di validità, le possibilità di dimostrare la stabilità di sistemi dissipativi in condizioni stazionarie. 14.3 Applicazioni del criterio di stabilità Il tmpe consente di ricavare alcuni risultati elementari ma non banali della cinetica chimica, come pure di analizzare sistemi stazionari di non equilibrio in altri settori delle scienze. Se ne daranno di seguito due esempi di rilievo generale. 14.3.1 Cinetiche di reazione Sia data la reazione 1 2 A X B che decorre in presenza di flussi di A e B tali da mantenere i relativi potenziali chimici costanti. Allora A1∪2 = A1 + A2 =cost. e inoltre vi = Lii Ai /T . Se il sistema è composizionalmente omogeneo, allora A1 A2 A1 A1∪2 − A1 P [S ] = v1 + v2 = v1 + v2 V T T T T Pertanto A2 P [S ] (A1∪2 − A1 )2 = L11 12 + L22 V T T2 (14.20) (14.21) 157 158 appunti di meccanica statistica e di termodinamica di non equilibrio che ha un minimo ∂P [S ] =0 ∂A1 per A2 A1 − L22 =0 T T cioè v1 = v2 . Le condizioni stazionarie coincidono quindi con quelle per cui il rateo delle due reazioni è lo stesso. Si osservi che il risultato è in sé banale ma che è stato ottenuto non sulla scorta di una analisi cinetica della reazione ma sulla base di strette considerazioni termodinamiche. L11 14.3.2 Circuiti elettrici Siano dati N generatori di tensione elettrica in serie, ciascuno erogante una tensione elettrica Vk . È: Vk T (14.22) Ø Vk Ik (14.23) Ik = Lkk mentre la produzione di entropia è P [S ] = T k Detta V = P [S ] q k = = Vk la tensione totale ai capi del circuito, risulta 1 T A N Ø Vk Ik k =1 B 1 = 2 T B A N −1 1 Ø Lkk Vk2 T2 k =1 A N Ø Lkk Vk2 k =1 + LN N A B V− N −1 Ø k =1 Vk B2 Imponendo il criterio di stabilità ∂P [S ]/∂Vj = 0 si ottiene Ljj Vj = LN N A V− N −1 Ø k =1 Vk B (14.24) (14.25) per ogni j — ovvero Ljj Vj /T = Ij =cost.. Questo implica che tutte le correnti che fluiscono nel circuito sono uguali, cioè che non sono possibili accumuli di carica nel circuito.