STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI ANTONIO ZANFARINO * 1. Diritti individuali e libertà economiche Le idee politiche di ispirazione liberale sono nella teoria e nella pratica sempre impegnate a valutare se i diritti individuali e i limiti al potere (che sono ragioni essenziali del liberalismo) facciano tutt’uno con i diritti e le ragioni del liberismo (parola che peraltro non esiste in altre lingue) o se non sia criticamente più corretto ed eticamente più persuasivo distinguere i vari ordini e le varie forme della libertà umana in modo da stabilire senza abusive interscambiabilità la natura dei loro rapporti. Il dibattito tra Croce e Einaudi su questo tema non ha solo un interesse storico, ma può ancora incidere sulle rimeditazioni delle vocazioni e delle obbligazioni attuali del liberalismo. Ci sono concezioni etico-politiche liberali che considerano inficiate di unilateralismo quelle teorie della libertà che per malfondata coerenza con i principi dell’individualismo o perché fiduciose nell’automatica conversione della dialettica dei particolarismi in benefici pubblici, considerano non distinguibili le libertà esistenziali da quelle economiche private, e su tale indistinzione fondano ogni possibilità di progresso, ogni valore della modernità, ogni garanzia contro il dispotismo. Sembra a queste concezioni che il liberalismo, che ha lottato storicamente contro tanti dogmatismi, anche se rispettabili e accreditati, non debba accettare come assiomatica l’idea che ogni forma di libertà abbia il suo riscontro, il suo sostegno, o addirittura il suo fattore causativo nella libertà economica privata, e che la positività dell’evoluzione sociale dipenda in modo determinante dal grado di liberalizzazione delle attività produttive. La reciproca immanenza tra liberalismo e liberismo – argomentano queste dottrine – ha motivazioni e legittimazioni di fatto in un insieme più o meno vasto di situazioni storiche, ma non costituisce la categoria esplicativa di una concezione globale del liberalismo, che deve invece rimanere più aperta, più problematica, più umanistica rispetto a ogni sua formula riduttiva e a ogni sua contingente esigenza polemica. È vero che non c’è pen————————————— * Ordinario di Filosofia della politica nell’Università di Firenze. 7 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 siero liberale se non si accorda una certa priorità logica ed etica all’individualità, ma una cosa è impegnarsi nella difesa di condizioni essenziali della vita, della libertà e della creatività personale, e altra cosa è applicare indiscriminatamente a tutto una logica individualistica, e voler difendere l’individuo con assolutizzazioni di forme e di combinazioni economiche che con i diritti personali possono avere delle relazioni privilegiate in vari contesti di situazioni storiche, ma non necessariamente, allo stesso modo, in ogni tempo e in ogni luogo. Poiché le idee liberali riconoscono alla storia possibilità continue di correzione e di innovazione, esse non dovrebbero teorizzare leggi economiche munite di quei caratteri di compiutezza e di intangibilità che il liberalismo – sempre disposto ad ammettere che nessuna verità è completa se non contiene almeno una parte del suo contrario – non riconosce ad altri sistemi di valori umani e di regole sociali. Arrestare la ricerca degli scopi e dei significati di una politica liberale alle soglie delle ragioni inderogabili e sempre ottimali del liberismo, dopo che il sapere critico liberale ha messo in discussione tante presunte ontologie variamente disseminate nell’intelligenza e nella realtà, comporterebbe un’abusiva semplificazione culturale, morale e scientifica della dialettica della libertà. Altre concezioni pur appartenenti alla stessa famiglia ideologica considerano però imperfettamente liberali quelle forme di liberalismo troppo inclini a scindere la scienza e l’etica della libertà dalle garanzie della libera intrapresa economica. Per questi diversi orientamenti non vi sono né diritti individuali, né limiti al potere, né libere ricerche, né fruizioni di beni spirituali e materiali se contestualmente non si riconosce e non si valorizza un ordine economico principalmente affidato all’impiego privato dei fattori produttivi. Le astrazioni ideologiche, le involuzioni parassitarie, le minacce autoritarie si contrastano se la libertà moderna assume come suo banco di prova una progressiva liberalizzazione dell’economia. Si può radicalizzare in senso liberista questa posizione, argomentando che non solo la libertà economica è la legittima prosecuzione delle libertà personali, civili e politiche, ma che è la loro matrice principale. Essa sarebbe un bene in sé, e insieme la condizione insostituibile della libertà generale, e dovrebbe perciò essere preferita e difesa perfino se il suo rendimento materiale fosse minore. Si attribuisce così alla libertà economica un forte ascendente simbolico e funzionale, fino a farne il fattore preponderante di organizzazione e di garanzia della libertà umana, della società aperta e del governo democratico. Se l’economia è libera, cioè essenzialmente affidata all’iniziativa privata, tutte le altre libertà ne traggono vantaggio, se l’economia non è libera, nessuna libertà può esplicarsi e radicarsi. Si accentua così la rilevanza della base economica della vita politica e sociale rispetto a mediazioni di altra natura, ma poiché tale base economica sarebbe costituita da libere attività individuali, con tutti i 8 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI loro valori culturali e morali, essa rappresenterebbe comunque un antidoto contro il materialismo. L’attivazione dei processi di privatizzazione economica impedirebbe soprattutto l’assolutizzazione del potere politico, costretto anch’esso a formarsi e a legittimarsi attraverso competizioni, controlli e limiti. Il sistema di mercato – si argomenta nella prospettiva liberista – ha portato alla maggiore riduzione di poteri arbitrari mai raggiunta nella storia, e perciò la liberalizzazione dei fenomeni economici sosterrebbe la democratizzazione politica e sarebbe il massimo ostacolo alle degenerazioni autoritarie del governo e della legislazione. La rilevanza qualitativa e pratica che il liberismo accorda alle libertà economiche individuali nell’esperienza complessiva della libertà e nello sviluppo generale della società si fonda per un verso su una visione ottimistica delle potenzialità creative e distributive di un’economia di mercato, ma per altri versi è improntata a un realismo antropologico che denuncia come illusorie e mistificanti le immagini di mondi economici in grado di funzionare attraverso criteri e moventi troppo dissimili da quelli che orientano le imprese alla ricerca di un profitto. L’elemento ottimistico consiste nella presunzione che nessun’altra combinazione economica e sociale riuscirebbe a produrre più del mercato; che la competitività sia sempre garanzia di emancipazione e di impiego razionale delle risorse; che il mercato possa selezionare, in ogni ambito di esperienza, i valori di più alta qualità; che in esso il lavoro umano si adatti meglio alle sue molteplici e mutevoli applicazioni; che tutto questo consenta una progressiva eliminazione di privilegi e parassitismi e favorisca perciò una sostanziale democratizzazione della società civile; e che, inoltre, il maggior reddito sociale prodotto dalle libere iniziative economiche sia utilizzabile anche per sostenere le forze più deboli e più svantaggiate della società e per promuovere una certa uguaglianza dei punti di partenza, sapendo tuttavia che queste operazioni di giustizia sociale, cioè di redistribuzione di risorse a favore di certe categorie, non si fanno secondo le leggi di mercato, ma extra-mercato, e sono tenute, per avere effetto, a non alterare troppo le regole della vita produttiva. Ma se tutto questo apparisse eccessivamente ottimistico, il liberismo potrebbe difendere il principio della libertà economica individuale con motivazioni più realistiche, argomentando che anche se ci fosse il dubbio sulle sue qualità morali e culturali, o si accertassero aspetti deteriori nell’esercizio concreto di tali libertà, tutto ciò sarebbe comunque un prezzo da pagare per garantire la generale produttività delle azioni sociali ed ottenere la massima quantità di bene netto; per evitare più gravi forme di degenerazione economica, politica e morale provocate dallo statalismo e dal dirigismo; per non abusare di astratte elucubrazioni ideologiche che, scambiando le idee per realtà, si illudono che gli individui e i gruppi siano dotati di prerogative di benevo9 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 lenza, di filantropia e di solidarietà tali da permettere una integrale rigenerazione e disalienazione di se stessi e della società. E il liberismo può anche sostenere – non senza qualche forzatura di difficile assimilazione etica – che poiché nel sistema di mercato noi riceviamo dei vantaggi che non abbiamo meritato, questo ci impone di accettare talvolta diminuzioni di redditi senza averli meritati. Sul ruolo comparativo delle diverse forme di libertà il dibattito tra due insigni protagonisti della cultura e della politica liberale come Benedetto Croce e Luigi Einaudi è ancora aperto e i loro saggi in materia – la più recente riproposizione è quella a cura di Giovanni Malagodi nel 1988 nelle edizioni Ricciardi, dal titolo Liberismo e liberalismo – contengono spunti e fermenti da rimeditare anche nelle mutate condizioni del confronto culturale e della lotta politica. 2. Il liberalismo di Croce Più che come una dottrina politica contenutisticamente determinata, il liberalismo di Croce si presenta come un principio etico-politico immedesimato, come segno qualitativo, nel corso degli eventi storici. Negli spazi grandi della storia la libertà svela la supremazia di una sua forza espansiva che si impone anche ai suoi nemici. Le stesse crisi e decadenze della libertà non sono perdite secche, e vanno anzi viste come matrici di ulteriore incivilimento. «In istoria non c’è mai decadenza che non sia insieme formazione e preparazione di nuova vita, e, pertanto, progresso» 1. Tale progresso non è però da misurare con i parametri pratici dell’utilitarismo, dell’economicismo, delle acquisizioni materiali, dell’edonismo, e si connette invece a una più matura consapevolezza della condizione umana, che conosce il perpetuo crescere della propria spiritualità anche perché sa meglio intendere l’alto e complesso dolore della storia. Le formule puramente illuministiche, razionalistiche, individualistiche, così come quelle dell’egualitarismo democratico sono troppo riduttive per cogliere ciò che di qualitativo si forma nel mondo umano. I paradigmi delle convenienze particolaristiche, così come i vacui ideali di giustizia miranti a un regno di perfezione senza contrasti appaiono a Croce modi unilaterali e settari di concepire la storia, la cui interna legge costitutiva – corrispondente alla legge stessa della vita – è espressione della dialettica tra tutte le varie forze che lavorano e producono nella realtà. La storia è storia della libertà, senza bisogno di altre aggiunzioni qualificative. La libertà non chiede ad altre idee e ad altre forze dei contenuti che le manchino. Questi contenuti – che hanno come fine l’elevazione morale – essa deve darseli da sola scoprendoli e valorizzandoli nei vari ordini della creatività umana. Così Croce nega – per motivi logici e non sentimentali – che la nozione di libertà richieda di ————————————— ¹ B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari, 1943, pag. 38. 10 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI essere accompagnata dall’idea di giustizia sociale come sua correttrice o integratrice, come sua amica o sua rivale, ma insieme contesta che la libertà per essere tale debba rifluire nel liberismo e nell’economicismo. « La libertà tutto quanto è da fare moralmente, fa e deve fare da sé, traendo da se stessa e non trovando mai fuori di sé altra forza » 2. Lavorando in proprio la libertà assimila e integra tutti i valori di cui ha bisogno, trasformandoli in uno storicismo che culmina nel liberalismo, inteso come religione della libertà e come vero governo mondiale dell’umanità. Una visione ottimistica ma insieme realistica della storia perché nell’ottimismo del suo liberalismo Croce comprende anche il pessimismo delle diverse situazioni storiche e riassorbe la pesantezza della politica con l’asprezza delle sue lotte, dei suoi intrighi e delle sue distruzioni. In questa sua prospettiva Croce avversa certe semplificazioni proprie della mentalità democratica e socialista in tema di eguaglianza. Il suo liberalismo non persegue miti egualitari e non crede a quel «demagogico romanticismo» che attribuisce alle masse il potere di una rigenerazione globale della società. L’uguaglianza non sarebbe possibile se non nella completa autarchia, dove ciascuno degli uguali non avrebbe nulla da chiedere all’altro. Ma tale uguaglianza non riuscirebbe a fondare uno Stato, perché ogni individuo sarebbe uno Stato a sé, e neppure darebbe vita a una qualche forma di contrattualismo sociale perché a individui uguali e autarchici manca la materia del contrattare, e cioè la diversità su cui fondare i rispettivi diritti e doveri. Dalla uguaglianza non nasce né la libertà né la fraternità. Non vi è «niente di più stupido della libertà e della fraternità attribuite a una fila di fredde, lisce e uguali palle da biliardo » come sarebbero gli individui resi tutti uguali da schematismi matematici e meccanici, sempre « inetti a comprendere il vivente » 3. Se il liberalismo di Croce rifiuta qualunque apriorismo solidaristico e comunitario, rifiuta però, contestualmente, di proporsi in termini semplicemente economicistici e di dare incondizionata giustificazione alla libertà di intrapresa economica privata. Il dibattito con Einaudi verte appunto sulla differenza che Croce pone tra liberalismo e liberismo. Se al liberismo si dà valore di regola e di legge suprema della vita sociale, esso si troverà accanto il liberalismo etico-politico, parimenti convinto di personificare una legge suprema, e Croce non esita ad attribuire a quest’ultimo una priorità qualitativa. Per far avanzare storicamente l’idea della libertà, il liberalismo deve servirsi di tutti i mezzi che si dimostrino più idonei a tale compito, e quindi, all’occorrenza, anche di misure diverse da quelle liberiste. Non esistono per ————————————— ² B. Croce, Revisione filosofica dei concetti di «Libertà» e «Giustizia », in B. Croce e L. Einaudi, Liberismo e liberalismo. ³ B. Croce, Etica e politica, pagg. 125-126. 11 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 Croce leggi economiche intrinsecamente collegate a un’idea predeterminata del bene pubblico e della produzione e distribuzione delle ricchezze. Tutti i beni, tutte le combinazioni produttive valgono se diventano strumenti di elevazione umana. La libertà di cui si intende il liberalismo – egli sostiene – « è indirizzata a promuovere la vita spirituale nella sua interezza, e perciò in quanto vita morale. Ciò posto, il problema si configura, per il liberalismo, nel determinare, secondo luoghi e tempi e nel caso dato, non già se un certo provvedimento sia “liberistico” (meramente o astrattamente economico), ma se sia “liberale”; non se sia quantitativamente produttivo, ma se sia qualitativamente pregevole; non se la sua qualità sia gradevole a uno o più, ma se sia salutare all’uno, ai più e ai tutti, all’uomo nella sua forza di dignità di uomo. Il liberalismo può approvare molte richieste del liberismo, ma esso le approva non per ragioni economiche, ma per ragioni etiche, e con queste le sancisce » 4. In questa prospettiva Croce ammette che le istanze liberali possono avere delle convergenze anche con quelle socialiste, quando esse fossero parimenti rivolte alla promozione della libertà. C’è però una seria opposizione di principio del liberalismo nei confronti del socialismo. Quest’ultimo ha l’ambizione di costituire la società attraverso un modello da realizzare anche con misure di carattere autoritario, mentre il liberalismo assume invece come suo unico ambiente la storia e qui sperimenta i suoi valori senza dedurli da paradigmi di verità esterne. Un’altra distanza culturale tra i due movimenti di pensiero concerne la qualificazione e l’uso polemico della nozione di «borghesia ». Il liberalismo non pone la borghesia come categoria costitutiva della sua vocazione etica e politica, e respinge perciò gli attacchi che il socialismo gli rivolge in questo senso. Sostiene però che dietro questa borghesia che si vorrebbe caricaturare per renderla antipatica c’è tutta la civiltà che si è venuta maturando nella società moderna. Ciò che si chiama borghesia è una formazione non solo economicistica, ma variamente umana, e da essa sono nate idee speculative, estetiche, morali, che possono anche essere storicamente criticate e superate per ragioni intrinseche connesse al sorgere di nuove coscienze morali, ma non demolite con furori ideologici. Croce non accetta quindi questa nozione di borghesia come un dato scientifico contro cui si legittima l’attacco scientificamente motivato di nozioni opposte che fanno del borghese tutto ciò che di negativo sussiste nella vita umana e sociale e che presumono che dalla sua eliminazione violenta derivi una palingenesi sociale. « Accogliere il concetto polemico di “borghese” come verità scientifica vale inconsapevolmente accogliere l’ideologia antiliberale, sia reazionaria, sia socialistica» 5. ————————————— ⁴ Ibidem, pagg. 316-319. ⁵ Ibidem, pag. 330. 12 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI La politica liberale si ispira dunque per Croce a una esigenza di misura e di proporzione e la sua disposizione al « buon gusto del governo » non ammette programmi a contenuto invariabile, siano essi improntati a canoni liberistici, o a ideali di astratta giustizia sociale. Allo stesso modo, la mentalità liberale non si schiera aprioristicamente a favore né del conservatorismo né del progressivismo, e cerca di comprendere e di mediare con criteri di imparzialità anche ragioni avverse. « Chiunque abbia riverenza al vero non oserà mai porsi assolutamente, ossia unilateralmente, conservatore, ma nemmeno allo stesso modo riformatore e rivoluzionario; e si affermerà l’uno e l’altro insieme, che è senza dubbio un’affermazione complessa e difficile, ma soltanto perché la vita è cosa complessa e difficile » 6. Se non mancano in Croce considerazioni pratiche di politica liberale, queste non smentiscono però la sua preminente vocazione a vedere il liberalismo più come « metapolitica» che come specifico sistema dottrinario. Il liberalismo dialoga con la storia, e le sue vicende non si misurano nei tempi brevi e nei luoghi delimitati della politica contingente. Anche se Croce non vorrebbe entificare l’idea della libertà e farne, alla maniera hegeliana, incarnazione dello spirito assoluto, non sembra tuttavia affidarle solo il compito di svolgere il suo lavoro nella molteplicità particolaristica della fenomenicità reale. Vale anche per la libertà l’esigenza costante del suo pensiero di «salvare il giudizio storico» dalle contaminazioni con la politica pratica 7. Il liberalismo di Croce supera così le dimensioni empiriche, economicistiche, e anche istituzionali della politica («se manca l’animo libero, nessuna istituzione serve, e se quell’animo c’è, le varie istituzioni possono secondo tempi e luoghi rendere buon servigio ») 8. Dovendo perseguire tutto ciò che si rivela vantaggioso per l’incivilimento umano, la libertà ha un compito inesauribile e non vincolabile a contenuti e fini predeterminati. Posizione questa che ha consentito alla filosofia crociana di esercitare influenze e suggestioni anche in altri orientamenti di pensiero e in altre vocazioni politiche e sociali. Il relativo disimpegno dell’idea di libertà dall’obbligo della conoscenza e del soddisfacimento dei bisogni particolari dell’esperienza comune determina anche qualche ambiguità sull’effettiva rilevanza che nel liberalismo di Croce assumono i valori e i significati dell’individualità. Non mancano in Croce eloquenti difese della realtà sensibile e concreta degli individui e della loro storicità esistenziale. « Chi taglia fuori dalla storia gli individui, osservi bene, e si accorgerà che o non li ha tagliati punto via, come immaginava, o ha tagliato fuori, ————————————— ⁶ Ibidem, pag. 186. ⁷ Ibidem, pag. 249. ⁸ B. Croce, Elementi di politica, Bari, 1974, pagg. 124-125. 13 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 con essi, la storia stessa » 9. Sembra però che Croce non veda la realtà individuale scindibile dall’universale storico, da lui inteso come realtà indecomponibile nella somma delle singole parti. Nelle tendenze a spiegare il mondo storico in riferimento alle determinazioni finite delle libere esistenze e alle individualizzazioni delle situazioni storiche, Croce ravvisa rischi di egotismo, di morboso romanticismo e di decadentismo. 3. Il liberismo di Einaudi Einaudi si riferisce a Croce come a un suo maestro, ma introduce nelle idee liberali alcuni significativi elementi di correzione rispetto allo storicismo crociano. Più sensibile alla tradizione del pragmatismo amglosassone che alle suggestioni idealistiche di derivazione hegeliana, Einaudi considera la libertà non come una pura concettualizzazione, e neppure come la risultante – che sempre trionfa nella storia – della lotta tra il bene e il male, tra il progresso e il regresso, ma come una vocazione e un impegno a conoscere nelle loro concrete determinazioni i bisogni della vita reale, e a commisurarli e mediarli attraverso sistemi istituzionali e criteri normativi atti a impedire violenza, frode e tirannia. La libertà si svolge non in un’astratta sfera universale, ma nelle dimensioni sociali ed economiche, di cui non deve paventare le contaminazioni. In particolare, Einaudi stabilisce un rapporto di mutua implicazione tra liberalismo etico-politico e liberalismo economico o liberismo, sostenendo che quest’ultima espressione non ha niente di infamante, non deturpa e non offende i valori e i sentimenti morali, ma rivela anzi esigenze e condizioni senza le quali la libertà non mette radici nella storia e non opera positivamente nella società. Se si sceglie la soluzione liberista, non è per assoggettare all’economicismo il mondo culturale e spirituale, ma perché tale soluzione si dimostra più conveniente di altre per garantire alla libertà l’esplicazione delle sue potenzialità globali. Come per altri teorici neoliberali – da Friedrich Hayek, a Ludwig von Mises, a Wilhelm Röpke – anche per Einaudi la libertà del pensiero, della coscienza e della scienza presuppone una certa dose di liberismo economico. Lo spirito libero cerca di creare un’economia consona a questo spirito, e non indulge perciò a soluzioni economiche statalistiche e dirigiste, in cui una volontà egemonica diventerebbe intollerante nei confronti delle altre volontà. Liberalismo vuol dire coesistenza di una molteplicità di forze vive, munite di una loro originalità creativa, e i mezzi economici di cui queste forze si servono sono indicazioni esteriori della tendenza ideale e morale dei cittadini alla libertà. Gli aspetti istituzionali, politici, culturali del liberalismo funzionano tanto meglio quanto più la libertà è ————————————— ⁹ B. Croce, Teoria e storia della storiografia, Bari, 1927, pag. 93. 14 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI in atto nella società. Ma ciò presuppone la garanzia della libertà economica. «L’idea della libertà vive, sì, indipendentemente da quella norma pratica contingente che si chiamò libertà economica, ma non si attua se non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero essere moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di organizzazione economica adatti a quella vita libera» 10. I liberisti non formano perciò una setta economicistica che non capisce il valore spirituale della libertà, ma sanno che non sussiste alcuna corrispondenza reale tra l’idea della libertà e una società libera se uno Stato leviatano si impadronisce delle leve del comando economico, e se i cittadini diventano solo una massa di amministrati. C’è liberismo quando i cittadini sono moralmente capaci di prendere delle decisioni, ivi comprese quelle economiche, accettando quei rischi che servono al miglioramento delle loro capacità e che insieme tornano di vantaggio agli altri. Il dirigismo non giova invece al perfezionamento della vita personale e sociale, ma solo all’interesse esclusivo dei gruppi che detengono il potere. La coscienza liberale non vive per Einaudi solo di emozioni idealistiche e di perorazioni moralistiche. Essa è la combinazione di molte cose, in cui c’è certamente il sentimento etico, l’amore per la patria, i doveri verso la comunità, il senso dello Stato, ma c’è anche una certa fierezza individuale, il riconoscimento del valore della indipendenza economica e l’accettazione degli sforzi necessari per raggiungerla. L’imperativo che impone agli uomini di rinunciare ai vantaggi che possono venire dal danno altrui è la base etica anche del liberalismo, ma ciò non comporta la rinuncia dei soggetti ad assumere in proprio i rischi di attività economiche che, per essere produttive, non possono svolgersi all’insegna di solidarismi prestabiliti. Sul piano dell’etica, del sapere e della politica il liberalismo rifugge da tutti i dogmatismi, e quindi da tutte le presunte sistemazioni ottimali del reale. La verità liberale è sempre incompiuta, può essere sempre fatta oggetto di critica, e «vive solo perché può essere negata» 11. Ma queste vocazioni ideali vanno appunto per Einaudi nella stessa direzione di quelle del liberalismo economico. Il sistema di mercato non è solo condizione di razionalità produttiva, non è solo una condizione per la minore dispersione possibile dei beni e delle risorse, ma è anche sostegno di una serie indefinita di altre libertà. Il dirigismo economico parte da un principio sbagliato, e cioè che «l’equità nella distribuzione del reddito sia più importante dell’abbondanza della produzione» 12. Ma il sistema di austerità coatta che ————————————— ¹⁰ L. Einaudi, Dei diversi significati del concetto di liberismo economico e dei suoi rapporti con quello di liberalismo, in B. Croce - L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, pag. 150. ¹¹ L. Einaudi, Prediche inutili, Torino, 1974, pag. 202. ¹² Ibidem, pag. 304. 15 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 così si determina ha, oltre che scarso valore morale, anche poca utilità sociale; esso « non è sinonimo del risparmiare dopo aver prodotto » 13, ma può semplicemente significare non produrre. C’è una demagogia del sociale e della socialità che fa di queste espressioni un semplice riempitivo di un lessico politico superficiale e ingannevole. In un mondo che affida i suoi valori all’autodisciplina e alla competizione l’esistenza può apparire talvolta affannosa e provocare penosi contraccolpi individuali; ma di ciò che crea una economia libera potranno profittare le future generazioni, beneficiarie di vantaggi politici e sociali che non avrebbero se il presente si ostinasse a imporre attraverso il dirigismo un egualitarismo costrittivo e un assistenzialismo parassitario. Malgrado le sue mistificazioni, lo statalismo economico – sostiene Einaudi – continuerà tuttavia a suggestionare gli spiriti mediocri e le ideologie enfatiche. C’è molta gente, anche se onesta, che è troppo disposta alla ricerca e all’accettazione passiva di tutele governative, senza rendersi conto che nel campo sociale un certo tipo di onestà e di moralità derivante solo dalla refrattarietà all’intraprendenza e alla paura del rischio provoca passività e conformismo, e fa correre molti pericoli ai diritti umani. Dove il dirigismo domina la legislazione e l’attività di governo, le forze indipendenti che sostengono una società libera sono impedite ed espropriate. Come si vede, Einaudi concede molto poco alla presunta maestosità di una libertà etica che celebra il suo trionfo nella storia universale, senza compromissioni prosaiche con i problemi delle concrete libertà economiche. La mentalità di Einaudi non è però conservatrice, e il suo liberalismo vuole prendere le distanze dal liberalismo padronale così come dal puro liberalismo di Stato. Non solo egli critica il dirigismo socialistico, ma polemizza animosamente anche contro quel capitalismo – a suo giudizio troppo diffuso nel mondo occidentale – che « dà a un numero decrescente di capi, scelti per qualità non economiche, il privilegio esclusivo di governare gli strumenti materiali della produzione » 14. Tale capitalismo che fa apparire come libera intrapresa ciò che è solo monopolio e rendita parassitaria è la negazione del liberalismo, e ha gli stessi difetti del comunismo perché deriva da una stessa logica esclusivistica. « Comunismo e capitalismo monopolistico tendono a uniformizzare e conformizzare le azioni, le deliberazioni, il pensiero degli uomini» 15. Se si vuole essere liberi non ci deve essere monopolio. « La lotta diuturna per la libertà contro la tirannia dei monopolisti privati e del monopolista collettivo è la premessa di una società economicamente e socialmente più equa» 16. Il ————————————— ¹³ Ibidem, pag. 305. ¹⁴ Liberismo e liberalismo, pag. 144. ¹⁵ Ivi. ¹⁶ Il buongoverno, Bari, 1954, pag. 122. 16 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI liberalismo non ammette quindi la concentrazione dei capitali e dei poteri economici. A tal fine stabilisce dei vincoli all’operare degli uomini, chiedendo tuttavia che tali vincoli si rivolgano contro il monopolio e non contro la libertà. Come lo intende Einaudi, il liberalismo ha molto riguardo per le lotte di emancipazione degli operai e dei proletari, appunto perché non è una dottrina al servizio dei beati possidentes, ma mira a diffondere i germi di una rivoluzione liberale in tutti i settori della vita sociale. Non vi è nulla di contrario al liberalismo nelle generose aspirazioni dei lavoratori che vogliono difendere i loro diritti e che tentano – senza violenza e imposizione autoritaria – di fondare un ordine diverso da quello attuale. « L’uomo liberale plaude ad esperimenti condotti secondo regole diverse da quelle ordinarie; e non esclude anzi augura che dagli esperimenti nascano tipi forse più alti di vita associata. Ma aborre da tutto ciò che è coattivo » 17. Egli mostra rispetto e ammirazione soprattutto per i grandi movimenti cooperativi che hanno creato « istituti vivi e fecondi di stupendo elevamento materiale e morale per le classi operaie» 18. È un punto qualificante del liberalismo di Einaudi anche l’esigenza di creare le condizioni per rendere più reale l’uguaglianza dei punti di partenza. « Ogni uomo deve essere posto nella medesima situazione di ogni altro uomo: sicché egli possa riuscire a conquistare quel posto morale, economico, politico che è proprio delle sue attitudini di intelletto, di carattere morale, di rigore lavorativo, di coraggio, di perseveranza » 19. È per Einaudi una grossolana mistificazione affermare che liberalismo significhi assenza dello Stato e indifferenza per questi problemi di eguaglianza, allo stesso modo con cui è arbitrario esaurire il socialismo nella socializzazione e statalizzazione integrale dei mezzi di produzione. La differenza che comunque sussiste tra il liberalismo e il socialismo è che il primo vede i limiti all’operare economico come delle cornici, mentre il secondo tende a prescrivere in modo vincolante i contenuti delle attività sociali ed economiche. Questo interventismo diretto presenta però dei rischi connessi soprattutto alla costituzione di monopoli. Un insieme di monopoli di fatto, pubblici e anche privati, traggono origine proprio dall’opera dello Stato. Nella vita sociale ci sono due principi: quello della libertà della persona – libertà morale, di pensiero, di iniziativa economica, e quello della cooperazione sociale deliberata e programmata, principi personificati rispettivamente dal liberalismo e dal socialismo. Poiché l’uomo è un essere unitario, egli sente nella sua interiorità entrambe que————————————— ¹⁷ Prediche inutili, pag. 241. ¹⁸ Liberismo e liberalismo, pag. 177. ¹⁹ Ibidem, pag. 210. 17 STUDI E NOTE DI ECONOMIA 2/96 ste sollecitazioni, accentuando di volta in volta il suo orientamento liberale o socialista. Tra questi principi c’è un contrasto, sia nelle singole esistenze, sia nella vita collettiva, ma è un contrasto fecondo perché essi sono entrambi essenziali al progresso sociale. Per parte sua, il liberale è sempre in guardia contro il rischio che l’idea socialista portata alle estreme conseguenze faccia confluire in un incondizionato autoritarismo monopolio economico e monopolio politico. Certo non è facile individuare e definire apriori i punti critici oltre i quali l’allargamento dell’egualitarismo e della cooperazione non volontaria minaccia l’esistenza della libertà; ma anche se diverso da tempo a tempo, da paese a paese, questo punto critico esiste e una società libera è impegnata a valutarlo realisticamente 20. Come si vede, Einaudi propone un intendimento del liberalismo che si oppone ad altre dottrine liberali troppo inclini a concettualizzazioni onnicomprensive. Rivendicando l’incidenza dei fattori economici in tutti gli ambiti significativi della vita sociale, egli vuole costringere il liberalismo a fare i conti con il mondo dei bisogni e degli interessi, nel convincimento che ciò consenta anche un dialogo più proficuo con le istanze socialiste. La religione della libertà non deve per lui sfociare in uno storicismo assolutistico ed esaurirsi nell’ottimismo di una conclusione universalistica indifferente alla concreta operosità che fa progredire le reali situazioni dell’esperienza. Nell’astratto idealismo liberale possono sussistere, a suo giudizio, aspetti sovraliberali ed anche antiliberali. Per Einaudi le forze della libertà che hanno sfidato il dispotismo tradizionale devono impegnarsi anche contro forme nuove di autoritarismo, soprattutto accentrate nelle posizioni ostili alla circolarità sociale; posizioni sempre abili nell’attribuire allo Stato e al parastato funzioni ritardatrici che ricostruiscono e diffondono privilegi e protezionismi corporativi. Il pensiero di Einaudi aderisce alle ragioni liberiste per rendersi sicuro assertore della mobilità in sede economica e sociale. Il liberalismo gli sembra infatti prosperare in situazioni dinamiche, dove la stabilità del lavoro e la stabilità della proprietà perdono certe loro tradizionali configurazioni perché i diversi raggruppamenti, rimuovendo i loro status immobilistici, si sentono emancipati e garantiti soprattutto dallo stesso movimento che assicura alla creatività individuale e collettiva di entrare e uscire liberamente dai circuiti produttivi. In questo orientamento, le classi medie perdono i loro originali limiti classisti e possono ampliarsi per accogliere chiunque abbia interesse a promuovere una intensa dinamicità sociale contro i fautori dell’interventismo, del corporativismo e del protezionismo. ————————————— ²⁰ Ibidem, pag. 242. 18 A. ZANFARINO, LIBERALISMO E LIBERISMO. IL CONFRONTO CROCE-EINAUDI 4. La struttura composita della libertà Se il mondo contemporaneo vede nella liberalizzazione delle attività sociali uno strumento per allentare i vincoli coercitivi del potere e della società chiusa, si comprende come il liberalismo etico-politico non possa non considerare momenti essenziali della sua evoluzione anche principi che possono qualificarsi liberisti, almeno per ciò che essi contengono di accertamento veritiero di istanze concrete di libertà individualmente determinate. La vocazione critica e culturale di un liberalismo consapevole non abusa tuttavia della ragione economica, e non si affida esclusivamente agli automatismi dell’ordine spontaneo. Il liberalismo sa che la struttura simbolica e funzionale della libertà è composita, e che in essa il non impedimento, il garantismo, le regole del gioco, la partecipazione, l’equità, la tutela, il dato, il vissuto, il costruito, le mediazioni collettive involontarie e le cooperazioni deliberate si articolano e si intrecciano in una pluralità di combinazioni. Nelle grandi connessioni della vita storica il liberalismo fa valere la dignità degli individui come esseri reali e sensibili dell’esperienza, e vede nei loro diritti e nelle loro libertà il limite politico, giuridico e morale di ogni pubblica autorità, ma l’intransigente opposizione liberale contro ogni esorbitante interferenza dello Stato e della massa nella vita dei singoli non deve convertirsi nella mitica esaltazione dell’autostabilità e dell’autosufficienza individualistica. È riduttivo legare il liberalismo a una pregiudiziale di indiscriminata privatizzazione di ogni spazio sociale, senza considerare che nella concezione liberale il senso dello Stato è la garanzia suprema della legalità. Le regole della società liberale sono non al servizio del particolarismo, ma degli interessi collettivi. Liberalismo etico-politico e liberalismo economico rivelano intrinseche solidarietà quando lottano contro le corruzioni dello statalismo, del corporativismo e del parassitismo sociale, e quando ridestano energie umane assopite o espropriate. Ma compete al liberalismo riaccreditare sempre il valore delle sue funzioni pubbliche, e comprendere che questo valore dipende non dal minimalismo degli interventi, ma dalla qualità complessiva delle misure protettive – indirette e dirette – di cui ha bisogno la società moderna. 19