Spedizione in Abb.Post. D.L. 353/2003 (N.46 2004) art.1 comma 2 E 3 • ANNO 2014 N. 2 2/2014 II quadrimestre maggio/agosto 2014 Non solo bianco I segreti e le meraviglie del riso rosso o nero by Piemonte Cellule staminali e cardiologia Alle Molinette in campo anche gli Amici del Cuore I medicinali sono preziosi ma guai a chi dimentica di rispettare le prescrizioni Arterie coronariche Quanto l’imaging ha migliorato la nostra capacità di curarle pp. 3-5 pp. 15-17 pp. 22-23 N. 2 maggio/agosto 2014 Sommario ___________________________________ pag Ricerca: cardiologia e cellule staminali, c’è anche l’aiuto della nostra Onlus___ 3 EDITORIALE Farmaci e inquinamento ___________ 5 UNO STRETTO LEGAME CHE RICORDA UN MATRIMONIO Cuore e rene vanno insieme nella buona e cattiva sorte_________ 6 GRANDE AIUTO PER CHI SOFFRE DI IPERTENSIONE ARTERIOSA Con il te una tazza di benessere_____ 9 DOPO L’ACQUA IL TE È LA BEVANDA PIÙ BEVUTA AL MONDO Quella foglia di origine cinese______ 11 VARIETÀ CHE NASCONO ANCHE NELLE RISAIE DEL PIEMONTE Il riso, una perla per la salute Rosso o nero è speciale_________ 13 LA MANCATA ADERENZA ALLA TERAPIA PRESCRITTA ESPONE A GRAVI RISCHI Attenti: prendere le medicine è di capitale importanza__________ 15 FOCUS - INNOVATIVO SISTEMA PER DIAGNOSTICARE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE Il minimonitor che salva la vita_____ 16 STUDI E RICERCHE PER UN PROBLEMA DI NON FACILE SOLUZIONE Nella malattia coronarica acuta più difficile la diagnosi per le donne____ 19 UN SINTOMO ALLARMANTE MA NON È IL CUORE A FARE MALE Il dolore al torace fa paura. E se fosse un attacco cardiaco?____ 21 Quanto l’imaging ha migliorato la nostra capacità di curare le arterie coronariche____________ 24 CARDIO-TOSSICITÀ E TERAPIA ANTI-NEOPLASTICA Oncologia e Cardiologia. Lo scenario dei trattamenti__________________ 27 L'APPROFONDIMENTO A Torino interessante convegno periodico tra specialisti___________ 28 IN CAMPO CON LA NOSTRA ONLUS Cardiologie aperte 14 febbraio 2014__ 32 Toccato il traguardo dei 400 soci, seimila ore di volontariato_________ 33 Sintesi di bilancio 2013___________ 34 2 - Cardio Piemonte Il Consiglio Direttivo Amici del Cuore onlus Presidente Danilo Danielis Vice Presidente Sebastiano Marra Caterina Racca Tesoriere Michelangelo Chiale Segreteria Carla Giacone Consiglieri Fiorenzo Ardizzone, Ezio Bosco, Luciana Cerrini, Michelangelo Chiale, Luisella Chiara, Danilo Danielis, Ida Fonnesu, Fiorenzo Gaita, Carla Giacone, Sebastiano Marra, Guglielmo Moretto, Marcella Pinna, Ornella Pittà, Caterina Racca, Enrico Zanchi Sindaci Cesarina Arneodo e Giuseppe Mamoli Comitato Scientifico prof. Fiorenzo Gaita dr. Sebastiano Marra dr. Marco Sicuro dr. Tullio Usmiani dr. Armando De Berardinis dr. Maurizio D'Amico dr. Roberto Grimaldi Comitato di Redazione Ezio Bosco, Michelangelo Chiale, Carla Giacone Coordinatrice volontari Caterina Racca Progetto grafico della rivista Roberta Serasso Segreteria di redazione: Carla Giacone Fotografie: Fiorenzo Ardizzone Webmaster Candeloro Buttiglione, Antonio Cirillo CARDIO PIEMONTE - ANNO X - N. 27 (2014) Tribunale di Torino 4447 del 26-02-92 Direttore Responsabile: Michele Fenu ORGANO UFFICIALE DE AMICI DEL CUORE PIEMONTE • Associazione Onlus Associazione di Volontariato, no-profit, per la prevenzione e la ricerca delle malattie cardiovascolari Sede A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino Corso Bramante, 88 • 10126 Torino • Tel. 011.633.55.64 Reparto di Cardiologia 2 dr. Sebastiano Marra Presidente: Danilo Danielis www. amicidelcuore.ideasolidale.org e-mail: [email protected] cell. vicepresidenza 346/1314392 Tipografia: Grafart s.r.l. - Venaria Reale (TO) Foto di copertina: Fiorenzo Ardizzone; San Bartolomeo, risaie, A.S.Bongo. N. 2 maggio/agosto 2014 Ricerca: cardiologia e cellule staminali, c’è anche l’aiuto della nostra Onlus di Sebastiano Marra Quando si parla di terapie con cellule staminali si rischia di suscitare due sentimenti: stupore e delusione. Lo stupore è sicuramente secondario alle attese verso una nuova e non ben conosciuta forma di crescita di terapia verso malattie e patologie che al momento non hanno una buona attesa di risultati dalle terapie oggi disponibili e codificate da ben definite linee guida internazionali. La delusione, accantonando gli scandali da inappropriatezza e non conformità etica, nasce da una storia nata circa 15-20 anni fa in eccellenti Laboratori di ricerca che non è stata ancora traslata in una vera efficacia clinica. Per nostre limitazioni culturali, tratteremo qui lo stato attuale della ricerca nel solo campo cardiologico. Mi piace ricordare comunque che in esso abbiamo una naturale varietà di quadri clinici di possibile applicazione. Cerchiamo di fare un po' di ordine e di chiarire cosa sono le cellule staminali. Iniziamo spiegando che quelle staminali sono cellule molto indifferenziate e che quindi hanno una totipotenza differenziativa legata al tessuto nel quale vengono innestate (si chiama “HOMING”). Ovviamente bisogna tener conto che le cellule staminali progenitrici (EPC) hanno dei recettori (antigeni) che le differenziano dando loro caratteristiche peculiari che le rendono affini più ad un tessuto che ad un altro. Da dove provengono queste cellule progenitrici (EPC) Derivano da vari tessuti, ma prevalentemente dal midollo osseo, dal tessuto adiposo, dal tessuto mioblastico scheletrico. Come è intui- tivo, questi tessuti hanno un altissimo turn-over di ricambio cellulare e quindi necessitano di un continuo rinnovamento delle cellule che li costituiscono. Tenete conto che un globulo rosso ha una vita media di circa 30 giorni. Pensate come il tessuto adiposo si forma e scompare rapidamente e quindi pensate alla vitalità nel ricambio strutturale che questo possiede. Ma bisogna sapere che la stessa struttura cardiaca contiene, nell'apice del ventricolo sinistro e nell'atrio destro e sinistro, in piccole quantità cellule progenitrici residenti che provvedono ad un “ricambio fisiologico”, ma ovviamente non in grado di supportare alle necessità di un grosso danno distruttivo come quello di un infarto. Dott. Sebastianno Marra, Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza La terapia con cellule staminali consiste nel prelevare alcune cellule (dal midollo osseo, dal tessuto adiposo), selezionarle cercando di avere una popolazione con caratteristiche antigeniche idonee, quindi arricchirle in modo da avere una quantità elevata (concetto relativo perchè si rischia di avere qualche decina di milioni di cellule, quando il danno infartuale colpisce miliardi di cellule). Quindi questa popolazione selezionata va iniettata con modalità idonee, cioè direttamente nel circolo coronarico, oppure iniettando direttamente nel muscolo cardiaco mediante tecnica cardiochirurgica con apertura del torace, oppure con cateteri che si introducono all'interno del ventricolo sinistro Cardio Piemonte - 3 N. 2 maggio/agosto 2014 e mediante microaghi vengono a infiltrare il tessuto cardiaco che si vuole trattare. Quali solo le grandi patologie che si è cercato di trattare con queste terapie? Finora, il quadro clinico più trattato è stato l'Infarto Miocardico Acuto. I benefici derivanti sono stati modesti e non sempre convincenti per tanti motivi. Questi studi hanno metodologie differenti, con popolazioni cellulari differenti, con tempi d'intervento diversi in pazienti con vari quadri di danno funzionale. Bisogna riconoscere che il quadro acuto infartuale ad oggi ha un così ben definito schema di terapia, che l'uso di queste terapie va focalizzato su quei pazienti che comunque non hanno un vero beneficio del trattamento di angioplastica primaria. Un altro quadro clinico in cui si sta valutando l'efficacia è l'ischemia cronica che porta a sintomi anginosi persistenti e successivamente 4 - Cardio Piemonte allo scompenso cardiaco. Il nostro centro ha iniziato nel 2003 una esperienza con 8 pazienti trattati in un quadro di Infarto Cardiaco Acuto, ha sviluppato una ricerca di laboratorio sui topolini con l'Istituto Mario Negri di Milano, ha già trattato 60 pazienti affetti da angina refrattaria con le shock waves (onde d'urto) che ha un effetto neoangiogenetico stimolando l'homing di cellule staminali circolanti. Nel 2013 ha avuto, in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino (Milano) nella persona del Dott. Giulio Pompilio, l'approvazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e da parte dell'AIFA sull'uso delle cellule staminali a provenienza midollare e ad impiantarle attraverso cateteri particolari all'interno delle pareti del ventricolo sinistro sofferente di ischemia refrattaria e scompenso cardiaco. Queste cellule prelevate dallo stesso paziente vengono inviate alla CELL FACTORY dell'Ospedale San Gerardo di Monza che provvede a selezionarle, purificarle e ad ar- N. 2 maggio/agosto 2014 ricchire in modo da avere un prodotto puro e altamente efficace nella sua potenzialità. Tale studio prevede l'arruolamento di 5 pazienti per Centro (noi Molinette, Monzino e San Gerardo di Monza) per un totale di 15 soggetti. Verrà valutata l'efficacia a distanza mediante strumenti quali la Scintigrafia Cardiaca, la Risonanza Magnetica Cardiaca per considerare i miglioramenti clinici e quelli strumentali. Siamo orgogliosi di fare il primo trial italiano con terapie cellulari nella cardiopatia ischemica cronica in quanto trattandosi di una terapia che prevede un trapianto di cellule (anche se dello stesso paziente) in un organo diverso da quello che le ha generate. Tale procedura richiede una assoluta chiarezza etica, rigore scientifico ed esperienza tecnica nel campo. Ciò ha permesso a ISS e AIFA di dare un giudizio positivo. Ricordo i miei viaggi a Roma per ottenere l'approvazione che riteniamo difficilissima da conseguire e quindi meritevole di grande riguardo. Lo studio, che è stato appena approvato anche dal nostro Comitato Etico, sta per iniziare. Consideriamo di trattare il primo paziente tra la fine di giugno e l'inizio di luglio p.v. Ovviamente questo studio necessita di un notevole supporto economico (circa 20.000 Euro a paziente) che ci viene dalla nostra ONLUS Amici del Cuore Piemonte. Un socio ha dato dimostrazione di grandissima generosità finanziando l'intero Progetto con una donazione di 100.000 Euro. È nostra intenzione dimostrare il massimo rigore scientifico e il massimo sforzo tecnico organizzativo per dare la più ampia possibile attendibilità nei dati che ricaveremo. Ringraziando tutti i nostri Soci e i nostri Soci benefattori, si conferma come la possibilità di una ricerca avanzata è sempre e soltanto legata a sponsorizzazioni liberali, disinteressate e profondamente etiche. Editoriale Farmaci e inquinamento di Michele Fenu La raccolta differenziata è una pratica importante sotto molti aspetti e, in particolare, per la protezione ambientale e quindi per la salute collettiva, a maggior ragione per chi non sta bene. È una pratica che si si sta affermando con una certa fatica e con percentuali di diffusione che variano sul territorio. Secondo recenti statistiche, al Nord Est le famiglie che l’hanno adottata sono oltre il 77% contro il 75% del Nord Ovest, il 48% del Centro e il 45% del Sud e Isole. È chiaro, o almeno dovrebbe esserlo, che in questo quadro un peso rilevante ha lo smaltimento dei farmaci. Quante volte medicine scadute o ancora valide ma di cui non facciamo più uso per un motivo o per l’altro finiscono nei cassonetti o, addirittura, in quei mucchi di spazzatura che purtroppo costellano i bordi delle strade. C’è una maggiore attenzione rispetto al passato rilevano gli osservatori di Federfarma, ma il problema non è ancora risolto. I farmaci scaduti sono rifiuti urbani non recuperabili perché sono composti da principi attivi che possono alterare in forma più o meno grave gli equilibri naturali dell’ambiente. Può sembrare una esagerazione, specie se li paragoniamo ad altri drammatici tipi di inquinamento come la Terra dei Fuochi in Campania, ma i danni ci sono, eccome. Per il sottosuolo, per i fiumi, per i pozzi d’acqua potabile, per i depuratori delle reti fognarie. Nel nostro Paese i farmaci scaduti per la loro potenziale tossicità vanno gettati negli appositi contenitori presso le farmacie o portati nei centri ecologici. E le medicine “avanzate” perché si è cambiata terapia o, meglio ancora, si è guariti? Si va diffondendo l’uso di altri contenitori dove depositarle dopo aver controllato l’integrità della confezione e la data di scadenza: questi farmaci saranno conferiti al Banco Farmaceutico per la distribuzione a enti assistenziali. Si evitano sprechi e si aiutano malati in difficoltà. Ricordiamo, ancora, che le confezioni di carta vanno smaltite nei cassonetti dedicati ai materiali cartacei. C’è da augurarsi che la raccolta differenziata dei farmaci sia sempre più osservata. È un’abitudine virtuosa, che, magari, ci evita di assumere senza saperlo medicinali trasformati i veleni. Cardio Piemonte - 5 N. 2 maggio/agosto 2014 UNO STRETTO LEGAME CHE RICORDA UN MATRIMONIO Cuore e rene vanno insieme nella buona e cattiva sorte Due organi che interagiscono: il funzionamento dell’uno influenza l’altro. E le problematiche da risolvere diventano duplici. di Tullio Usmiani dott. Tullio Usmiani Responsabile UTIC Cardiologia 2 A.O. Città della Salute e della Scienza di Torino Il legame esistente tra cuore e rene è veramente assimilabile ad un matrimonio ed a loro ben si adatta la formula di celebrazione; il funzionamento dei due organi è molto condizionato uno dall’altro e reciprocamente si coinvolgono nella buona o nella cattiva sorte. Per meglio comprendere questa affermazione vorrei esporre in modo molto semplice e sintetico il funzionamento del rene, tralasciando quello del cuore che i lettori, essendone per definizione amici, sostanzialmente conoscono. Il rene ha il compito di depurare il sangue dalle “scorie” dell’organismo e dai fluidi. Per fare ciò ciascun rene è costituito da unità funzionali, chiamate nefroni; ogni rene ha un patrimonio di circa un milione di nefroni. Anatomicamente il nefrone ha inizio con il glomerulo nella parte superficiale dell’organo chiamata corticale, poi prosegue con un tubulo nella parte più interna del rene, la midollare, con una lunga ansa a forma di "U" chiamata Ansa di Henle per poi tornare nella parte corticale e di lì confluire con gli altri tubuli a formare le vie urinarie. (Fig. 1) Al nefrone arriva sangue attraverso un’arteriola e questo svolge tre funzioni: 1.Filtrare il plasma facendo passare acqua, sali, sostanze del catabolismo di piccolo peso molecolare. 2.Riassorbire le sostanze utili e l’eccesso di 6 - Cardio Piemonte liquidi: il processo avviene nel tubulo contorto prossimale e distale. 3.Concentrare il filtrato per formare l’urina. Ora che si è compreso a grandi linee come funziona, bisogna ancora tener presente che il rene, come tutti gli organi del nostro corpo, ha dei sistemi di monitorizzazione e di autoregolazione del proprio funzionamento; cioè ha dei “sensori” di rilevazione di volume e pressione del sangue che arriva ed è in grado di rispondere producendo sostanze che fanno aumentare entrambi. Quindi per compensare un insufficiente afflusso ematico, il rene è in grado di produrre e mettere in circolo sostanze che, aumentando la pressione arteriosa, gli fa arrivare più sangue per aumentare la filtrazione. Anche il cuore ha molti meccanismi di controllo e compenso; uno di questi, ad esempio, è a livello degli atrii che possono anche rilasciare un diuretico “endogeno” per aumentare la diuresi e ridurre il volume di fluidi. Fig. 1: anatomia macro e microscopica del rene e della sua unità funzionale il nefrone N. 2 maggio/agosto 2014 Da questi semplici esempi si comprende come vi sia un’intensa interazione tra i due organi: uno, il rene depura e mantiene il volume dei fluidi, l’altro, il cuore, fa circolare i fluidi ed insieme controllano la pressione del sistema cardiovascolare come qualsiasi circuito idraulico. Insieme controllano che il circuito mantenga una stabilità e se questa per qualche motivo si altera, mettono in atto meccanismi di compenso. Purtroppo talora i meccanismi di compenso, creatisi nell’evoluzione e quindi finalizzati al miglioramento delle possibilità di sopravvivenza di un essere, possono creare a loro volta dei danni perché la più comune conseguenza di questi sistemi di compenso è l’ipertensione arteriosa. Come si sa l’ipertensione arteriosa, nel tempo porta a danno cardiaco, è un fattore di rischio per lo sviluppo di malattia aterosclerotica coronarica, di ictus, è un fattore molto comune di genesi di dilatazione dell’atrio di sinistra e di sviluppo di quell’aritmia, la fibrillazione atriale, che necessita di anticoagulanti, antiaritmici, cardioversione e anche di procedure di ablazione. Se perdura per anni, oppure se è stata complicata ad esempio da un infarto oppure da un danno valvolare si può giungere all’insufficienza cardiaca che a sua volta, facendo diminuire la quantità di sangue che arriva ai vari organi, e quindi anche al rene, contribuisce a generare insufficienza renale con conseguente stimolo a produrre ancora di più sostanze per aumentare la pressione arteriosa e ad amplificare il danno cardiaco. In questo caso si genera un circolo vizioso dove si ottiene danno alla funzione renale e danno alla funzione cardiaca. Naturalmente in condizioni come quelle sopradescritte il medico può intervenire con farmaci per spezzare il circolo vizioso: si tratta di utilizzare degli ACE inibitori, dei sartanici, diuretici, beta bloccanti ed altri ancora per far mantenere un equilibrio tra i due organi che altrimenti, lasciati a se stessi, si trascinerebbero in un vortice di vicendevole danno. Possiamo ora immaginare scenari di malattie cardiache che creando una riduzione della portata (cioè di quanti litri di sangue il cuore fa “circolare” al minuto – normalmente circa 5); ve ne sono di tipo acuto come l’infarto, la miocardite, l’endocardite con malfunzionamento acuto di un apparato valvolare con un improvviso ipoafflusso al rene che può essere di entità tale da dare anche ipossia e necrosi tubulare. Si può arrivare ad avere quindi non solo un danno funzionale ma anche un danno strutturale del rene. In molti di questi casi, bisogna anche dire, che c’è la possibilità di un recupero totale della funzione renale una volta risolto il problema cardiaco. (Fig. 2) Vi sono poi delle malattie cardiache croniche come ad esempio la cardiomiopatia dilatativa ipocinetica, malattie valvolari con andamento cronico non ancora con indicazione a trattamento cardiochirurgico (cito la stenosi o l’insufficienza aortica, la stenosi o l’insufficienza mitralica) che provocano una costante riduzione della portata cardiaca e quindi un cronico ridotto apporto di sangue e ossigeno agli organi. Logicamente il deterioramento del rene in questi casi è lento, progressivo ed inizia con uno stato di infiammazione subclinica, con una lenta impercettibile perdita di unità funzionali, i nefroni descritti sopra, con danno endoteliale e con l’aumento delle resistenze vascolari renali che progressivamente Fig. 2 interazione tra cuore e rene in caso di insufficienza cardiaca (ACE=inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ANP=peptide natriuretico atriale; BNP=peptide natriuretico tipo B; CO=portata cardiaca; GFR=filtrato glomerulare; KIM=kidney injury molecule; N-GAL=lipocalina neutrofila gelatinasi associata; RAA=sistema renina angiotensina aldosterone. Da C. Ronco et al JACC 2008;52:1527 Cardio Piemonte - 7 N. 2 maggio/agosto 2014 portano ad un quadro di fibrosi del rene. Andando avanti nel tempo il rene funzionando meno provocherà un aumento di fluidi (si accumuleranno nei polmoni causando dispnea o nelle gambe creando gli edemi), tachicardia, deposito nelle arterie di calcio e fosforo provocandone rigidità con progressione dell’aterosclerosi. D’altra parte in pazienti che hanno primitivamente una malattia renale si possono sviluppare danni cardiaci secondari; dobbiamo tenere in considerazione anche in questo caso se il “primum movens” è una malattia renale acuta, ad esempio una glomerulonefrite, una necrosi tubulare, una pielonefrite oppure un improvviso ostacolo della vie urinarie. In questi casi si verifica un accumulo di fluidi, una Fig. 3 Fisiopatologia della interazione tra rene (a seconda del grado di insufficienza) e cuore. La nefropatia cronica contribuisce a diminuire la funzione cardiaca e a creare ipertrofia miocardica. BMI=indice di massa corporea; EPO=eritropoietina; LDL=lipoproteina a bassa densità. Da C. Ronco et al JACC 2008;52:1527 8 - Cardio Piemonte vasocostrizione e un’attivazione del sistema simpatico con conseguente ipertensione arteriosa e possibile scompenso cardiaco fino all’edema polmonare, aritmie e insufficienza cardiaca, anche in cuori non precedentemente compromessi. Anche in questo caso, trattata la malattia acuta del rene è possibile il recupero completo della funzione cardiaca. (Fig. 3) Nel caso di una malattia cronica, per danno glomerulare o interstiziale, l’insufficienza renale si può aggiungere ai fattori classici di rischio per aterosclerosi potenziando l’ipertensione arteriosa e provocando placche e calcificazioni diffuse sulle coronarie che provocano un quadro di cronica ischemia cardiaca. Un altro fattore negativo per il sistema cardiocircolatorio dato dall’insufficienza renale è l’anemia; il rene produce una sostanza, l’eritropoietina, che stimola il midollo osseo alla produzione di globuli rossi. Se il rene non la produce vi è minor produzione di globuli rossi con conseguente anemia che può essere anche significativa. Con questo tipo di anemia il cuore ha un compito maggiore perché deve far circolare più velocemente il minor patrimonio di emoglobina per poter ossigenare a dovere i vari organi; al posto di 4-5 litri al minuto ne dovrà far circolare anche 6-7 tramite il compenso della tachicardia. È questo però un maggior lavoro per il cuore che unitamente all’ipertensione, al sovraccarico di fluidi, alle coronarie danneggiate e all’anemia stessa, più facilmente può andare incontro a danni permanenti. Abbiamo quindi visto come strettamente nel caso di rene e cuore la funzione di un organo condizioni quella dell’altro; quanto sopra decritto naturalmente può essere modificato nella sua evoluzione dal trattamento medico che consente, con appropriati farmaci, interventi e provvedimenti dietetici e comportamentali a interrompere il circolo vizioso che si può instaurare e a ristabilire equilibri con la miglior funzione possibile dei due organi. Come in ogni matrimonio ci possono essere crisi, ma ci sono i modi per superarle e per mantenere il rapporto di coppia a lungo efficiente: ovviamente ci vogliono attenzione e rispetto l’uno dell’altro. Salute in tavola N. 2 maggio/agosto 2014 PIEM Asso ON prev ciazio TE ON en zio ne di LUS ne dellevolon ma tariat lat tie o per card la iov asc ola ri GRANDE AIUTO PER CHI SOFFRE DI IPERTENSIONE ARTERIOSA Con il te una tazza di benessere Può essere bevuto a ogni età e nelle persone anziane migliora la densità ossea. Gli effetti benefici dei suoi componenti sono molteplici: aumenta anche le difese immunitarie di Virginia Bicchiega Il tè consiste in un infuso o decotto ricavato dalle foglie della Camellia Sinensis un arbusto sempreverde. I tè possono essere classificati sulla base di diversi fattori come la zona di produzione, il periodo dell’anno in cui avviene la raccolta delle foglie, il mercato di destinazione. Tuttavia il fattore più rilevante è dato dal metodo di lavorazione che le foglie subiscono dopo la raccolta. In base alla fermentazione, ovvero, al grado di ossidazione delle foglie si distinguono i tè verdi (non fermentati), i tè bianchi (leggermente fermentati), i tè oolong (semifermentati) e i tè neri (completamente fermentati). I tè possono essere successivamente “rilavorati” come nel caso di quelli aromatizzati e profumati ai fiori, pressati o deteinati (decaffeinati). I tè maggiormente consumati sono quello verde ottenuto dalle foglie fresche e quello nero ottenuto facendo seccare le foglie, rollandole, sottoponendole a fermentazione ed infine essiccandole con aria calda. Nella lavorazione del tè bianco le foglie subiscono una lunga fase di appassimento. Questo tipo si chiama così perché per ottenerlo vengono utilizzate piante i cui germogli sono ricoperti da una lanugine bianca particolarmente folta. Infine il tè oolong si ottiene con una lavorazione intermedia tra quella del tè nero e quella del tè verde. • F lavonoidi: nutrienti vegetali con azione antiossidante della famiglia dei polifenoli. Sono capaci di disattivare i radicali liberi** potenzialmente dannosi per l’organismi. Il tè è ricco di catechine, in particolare gallato ed epigallocatechina gallato (EGCG), thearubigins e tannino, un flavonoide che da inoltre potere astringente e gusto amaro al tè. • Vitamine: tiamina (vitamina B1), riboflavina (vitamina B2), inositolo (vitamina B7), biotina (vitamina B8), niacina (vitamina PP), A, D ed E. • Oligoelementi: è ricco in potassio e povero di sodio, condizione che lo rende una bevanda perfetta per le persone che soffrono di Ipertensione Arteriosa. Contiene anche calcio, selenio, rame, zinco e magnesio. Inoltre il tè può fornire il 70% del fabbisogno giornaliero di fluoruro indispensabile nel processo di mineralizzazione delle ossa ed importante nella prevenzione della carie dentaria. Cosa c’è in una tazza di tè Gli effetti del tè cambiano a seconda del tipo e della modalità di infusione (temperatura e durata). Un’infusione breve (circa 2 minuti) estrae dalle foglie di tè soprattutto caffeina ed ha proprietà stimolanti. Un’infusione più lunga (3-5 minuti) estrae anche acido tannico che disattiva la caffeina combinandosi con essa e attenuando così l’effetto stimolante. I flavonoidi vengono rilasciati nel primo minuto di infusione. Tempi di preparazione più brevi corrispondono al rilascio di minori quantità degli stessi. Il tè non contiene significative sostanze nutrizionali ed il suo valore energetico è quasi uguale a zero, tuttavia contiene differenti elementi molto utili per il benessere dell’organismo, rendendolo così una bevanda perfetta per i consumatori di oggi. I principali componenti del te sono: • Metilxantine teina, teobromina e teofillina: alcaloidi stimolanti il sistema nervoso centrale. È importante sottolineare che al contrario di quello che credono in molti, la teina non è altro che un sinonimo della caffeina. • Teanina: amminoacido psicoattivo che incrementa i livelli di dopamina* nel cervello, riduce lo stress mentale e fisico, può produrre una sensazione di rilassamento e migliora la sfera cognitiva e caratteriale se assunta in combinazione con la caffeina. Il tè e la nostra salute Il tè può essere bevuto a qualsiasi età, oprattutto nel caso si conduca una vita stressante proprio per le sue caratteristiche anti-ossidanti che contrastano i radicali liberi. Negli ultimi anni si sono scoperti numerosi effetti benefici di questa bevanda, soprattutto del tè ver- Dott.ssa Virginia Bicchiega Nutrizionista Posta: v.bicchiega@ auxologico.it *Dopamina: neurotrasmettitore rilasciato dal cervello che partecipa a numerose funzioni tra cui la memoria, l’apprendimento, il movimento, l’attenzione, il sonno, l’umore. ** Radicali liberi: molecole reattive che derivano dall’ossigeno implicate nel danno cellulare e che partecipano allo sviluppo di malattie cardiovascolari, infiammazioni, artriti, cataratta, tumori ed accelerano i processi di invecchiamento. Cardio Piemonte - 9 Salute in tavola Camellia Sinensis Bibliografia Marangoni F. Tè e salute. Prevenzione e stili di vita Arab L., liu W., Elashoff D. Green and black tea consumption and risk of stroke: a meta-analysis. Stroke 2009; 40:1786-92 Gardner EJ., Ruzton CH., Leeds AR. Black teahelpful or harmful? A review of the evidence. Eur J Clin Nutr 2007; 61: 3-18 Chung S., Yang and Jenelle M. Landau Effects of tea consumption on nutrition and health. J. Nutr.2000; 130:2409-2412 N. 2 maggio/agosto 2014 de, legati alle sue proprietà antiossidanti grazie all’elevato contenuto in catechine (ne costituiscono il 20-40% del peso secco). Sembra che il tè serva per fluidificare il sangue regolando l’attività piastrinica, leucocitaria e stimolando le risposte antinfiammatorie; migliorare la funzionalità delle arterie mantenendo le pareti elastiche con conseguente riduzione della pressione, in particolare è emerso che il consumo costante di tè nero si possa associare alla riduzione dei livelli sia sistolici che diastolici in pazienti moderatamente ipertesi; inoltre sembra che prevenga osteoporosi e dolori articolari e aumenti le difese immunitarie. La teina e i tannini hanno effetto sul sistema nervoso centrale stimolando l’attività intellettuale e alleviando la fatica. La presenza di teina e teofillina stimolano la funzione renale favorendo l’eliminazione delle tossine e di altre sostanze nocive per l’organismo. I sali minerali contenuti nel tè hanno tutti un ruolo nella corretta omeostasi dell’organismo: il potassio è importante per regolarizzare il ritmo cardiaco, lo zinco rafforza il sistema immunitario, calcio e magnesio agiscono su ossa e denti, il manganese aiuta a metabolizzare zuccheri e grassi, fissa il calcio sulle ossa e previene l’osteoporosi, il fluoro aiuta a rafforzare lo smalto dei denti e contribuisce alla riduzione della formazione della placca. Da diversi studi è emerso che soprattutto nelle donne anziane, quattro o più tazze al giorno di tè migliorerebbero la densità ossea, mentre negli uomini il consumo di tè sembrerebbe rappresentare un fattore protettivo indipendente per il rischio di frattura all’anca. Si suppone che il tè contribuisca ad apportare fluoruri, in parte presenti nelle foglie che li hanno assorbiti dal suolo ed in parte presenti nell’acqua con la quale viene preparato, e che a loro volta ridurrebbero la progressione dell’osteoporosi. Inoltre, sembra che il tè abbia proprietà dimagranti grazie al suo contenuto in metilxantine (teina, teobromina e teofillina) capaci di stimolare la lipolisi e quindi l’eliminazione dei grassi e in catechine che stimolano la termogenesi nel tessuto adiposo bruno. Le stesse sostanze sono anche in grado di aumentare il metabolismo e hanno anche un notevole effetto diuretico. Un caso particolare: il tè verde Una tazza di tè verde fornisce circa 200 mg di flavonoidi. Tra le catechine degna di nota è l’EGCG che in studi sperimentali sui topi sembra partecipare all’inibizione della crescita e della proliferazione delle cellule tumorali. Diversi studi hanno dimostrato che gli estratti del tè verde partecipano all’inibizione 10 - Cardio Piemonte dell’angiogenesi tumorale ovvero lo sviluppo dei vasi tumorali necessari per la crescita e lo sviluppo a distanza (metastasi) del tumore stesso. Sempre l’EGCG si suppone che sia in grado di ridurre i livelli di colesterolo LDL (il “colesterolo cattivo” che depositandosi nelle arterie aumenta il rischio di malattie cardiovascolari) e di trigliceridi, esercitando per questo un’ azione protettiva dalle malattie cardiovascolari. Maggior effetto si ottiene bevendo il tè ai pasti in quanto sembra che possa aiutare a ridurre la quota di grassi assorbiti. In pazienti moderatamente ipercolesterolemici, che consumavano una dieta controllata secondo le indicazioni del programma educazionale nazionale per il controllo della colesterolemia (NCEP: National Cholesterol Education Program Step I), l’assunzione quotidiana di 5 tazze di tè, indipendentemente dalla presenza di caffeina, ha comportato la riduzione della colesterolemia totale (-6,5%) e del colesterolo LDL (-11,1%). Alcune ricerche hanno evidenziato che la regolare assunzione di tè verde si associa ad una riduzione dello sviluppo di artrite. Sembra infatti che sia impedita la migrazione di cellule infiammatorie nelle articolazioni. Inoltre è stato riscontrato che può inibire il deterioramento della cartilagine. Questo potrebbe spiegare il dato che in Cina ed India la diffusione dell’artrite è inferiore rispetto all’Occidente. I tannini contenuti nel tè verde sono alla base della sua azione calmante sulla mucosa gastrointestinale ed essendo una bevanda alcalina neutralizza e combatte l’iperacidità gastrica. L’uso costante può dare un miglioramento della sintomatologia in pazienti con malattie di origine nervosa od infiammatoria del tratto digerente. Inoltre è un eccellente rimedio naturale nelle diarree perché oltre all’effetto calmante agisce anche come antibatterico. Il tè verde ha un’ azione antiossidante maggiore rispetto agli altri tipi di tè anche grazie alla presenza della vitamina C. Questa vitamina, con forte potere antiossidante e stimolante le difese immunitarie, normalmente è inattivata dal calore ma grazie all’azione protettiva delle catechine è rilevabile nel tè verde anche dopo bollitura. In conclusione anche se in una tazza di tè non si trova nulla di miracoloso, si tratta di una bevanda con numerose caratteristiche apprezzabili che può tranquillamente rientrare nelle abitudini alimentari di ogni giorno sia perché contribuisce ad aumentare l’intake quotidiano di liquidi (una corretta alimentazione prevede il consumo di due litri al giorno) sia facilitando il controllo dell’elevato stress ossidativo tipico del nostro stile alimentare e di vita. Bisogna sottolineare che un uso eccessivo, soprattutto di tè verde, può causare irritabilità e può dare problemi sia gastrici (caffeina) che epatici (riscontrati casi di tossicità legati all’uso degli estratti del tè verde). Ha partecipato alla stesura di questo articolo: Dott.ssa Paola Belci Cibo & curiosità N. 2 maggio/agosto 2014 DOPO L’ACQUA IL TÈ È LA BEVANDA PIÙ BEVUTA AL MONDO Quella foglia di origine cinese Una storia millenaria tra imperatori e monaci. Nel ‘700 la domanda in Inghilterra era così alta da scatenare contrabbando e mercato nero. E dai semi della pianta si produce un olio da cucina. di Franco Orlandi Ho partecipato in un’erboristeria a Rivoli, nella parte vecchia e suggestiva della città, ad una serie di serate introduttive sul tè. Professionalità, competenza e affabilità hanno permesso, in un clima caldo e accogliente, di appropriarmi di tutta una serie di indicazioni e informazioni sul mondo del tè. Questo mondo è suggestivo, perché esotico e carico di storia, utile, per le molteplici implicazioni sulla salute e stimolante dal punto di vista merceologico, per i diversi tipi di lavorazione delle foglie di tè che ne determinano il pregio e il costo. Innanzitutto tutti i tipi di tè traggono origine dalla lavorazione delle foglie, dei germogli e di altre parti della “Camellia Sinensis”, originaria della Cina, o della “Camellia Assamica”, originaria dell’India settentrionale. Il tè è la bevanda più bevuta al mondo, dopo l’acqua. Secondo la leggenda, la passione per il tè deriva dalla scoperta casuale delle sue proprietà benefiche da attribuire all’imperatore cinese Shen Nung, studioso erborista che, ricercando la massima igiene, era solito bere l’acqua solo dopo averla bollita. Un giorno, nel lontanissimo 2737 a.C., Shen Nung si era seduto all’ombra di un albero di tè selvatico. Una leggera brezza di vento giunse improvvisa e staccò alcune foglie dall’albero. Queste volteggiarono e finirono per cadere nell’acqua che l’imperatore stava facendo bollire per sé. Accortosi dell’incidente Shen Nung, per curiosità, decise di assaggiare l’infuso che ne era derivato: era buonissimo, rinfrescante e gli procurò nuova energia. Shen Nung aveva scoperto la bevanda del Tè. Nella storia della Cina, però il personaggio più importante in assoluto nel mondo del tè è Lu Yu. Denominato “il dio del tè” è considerato dagli orientali il massimo esperto della bevanda, autore del tradizionale “Il canone del tè”. Una biografia del personaggio non esiste, ma molto si racconta di lui. Secondo alcuni sarebbe vissuto nella seconda metà del VII sec. d.C. Lu Yu nacque nella provincia di Hupei, in Cina, e secondo la storia venne subito abbandonato dai genitori sulla sponda di un fiume. Il neonato venne fortunatamente tro- vato da un abate del Monastero Zen del Dragone della Nuvola, il maestro Chi Ch’an che lo adottò dandogli il nome di Lu Yu, ispirato dal testo dell’I Ching - Libro dei Mutamenti. Il significato di questo nome è piuttosto complesso: “L’oca selvatica avanza guardinga verso la terraferma (Lu). Le sue piume (Yu) possono essere utilizzate a scopo rituale - buona fortuna”. Crescendo il ragazzo, nonostante le sollecitazioni del monaco, non si interessò alle dottrine mistiche Zen ma preferì gli insegnamenti di Confucio, più adatti ad un uomo di stato. Il maestro, per metterlo in difficoltà, gli assegnò vari compiti umili come pulire gli orinatoi del monastero e seguire una mandria di buoi. Il desiderio di conoscenza del giovane fu più forte. Un racconto lo descrive a cavallo di un bue mentre si esercita nella scrittura. Venne il momento, nella sua vita che, vinto dalla noia, decise di abbandonare l’ambiente del maestro per andare con un gruppo di musicisti ambulanti. Lu Yu non fu bello d’aspetto ed ebbe qualche difficoltà di linguaggio, ma riuscì a supplire al problema con una certa dose di umorismo, inoltre fu piuttosto dotato nello scrivere testi di spettacoli e poesie. Diventò rinomato musicista e poeta e sviluppò un’altra grande passione: quella per il Tè. Dopo un certo periodo da girovago qual era diventato, ritornò dal maestro ma vi rimase poco. Ripartì e andò a stabilirsi nella provincia di Chekiang dove divenne famoso per il suo talento. Qui visse gli ultimi decenni della sua vita, da solo, a rivedere i suoi scritti tra i quali spicca appunto “Il canone del tè”. La sua opera, unica nel genere, descrive la pianta del tè e gli strumenti adatti alla coltivazione e gli utensili necessari per la lavorazione delle foglie. Inoltre descrive dettagliatamente la preparazione dell’infuso. Parla del tipo di acqua più adatto e Franco Orlandi Cardio Piemonte - 11 Cibo & curiosità N. 2 maggio/agosto 2014 “Fai una deliziosa ciotola di tè. Disponi la carbonella in modo da scaldare l’acqua. Arrangia i fiori come lo sono nei campi. D’estate, evoca la freschezza; d’inverno, il calore. Precorri in ogni cosa il tempo. Preparati alla pioggia. Dedica ai tuoi ospiti la massima attenzione.” (Le sette regole del tè secondo Sen Rikyu (1522-1591)- cerimonia giapponese (CHA NO YU),di cui i quattro principi fondamentali sono armonia, rispetto, purezza e tranquillità) dei vari tipi di tè. Dai vari racconti, quello che risulta evidente è che Lu Yu rimase il massimo esperto dell’epoca ed ebbe una capacità unica nel riconoscere la qualità dell’infuso di tè, al punto da riconoscere se l’acqua usata per l’infusione veniva presa al centro di un fiume o nelle vicinanze della riva. Conferma ulteriore di questa conoscenza venne dal padre adottivo. Si narra che all’abate piaceva talmente l’infuso preparato da Lu Yu che, quando questi se ne andò per la seconda volta di casa, smise di bere il tè. Egli amava molto il suo maestro tanto che in una composizione, nel ricordare la morte del vecchio, egli con abile suggestione poetica, affermò che, «per quanto ritenga importante l’acqua attinta dalle pure sorgenti di montagna, berrei volentieri tè preparato con acqua comune se questa provenisse dal luogo dove viveva mio padre». Ma molte sono le curiosità che costellano la storia di questa pianta. Inizio dicendo che i semi della Camellia Sinensis possono essere spremuti per ottenere un olio dolciastro usato in cucina, da non confondersi con l’olio essenziale detto “dell’albero del tè” (tea tree oil in inglese), che in realtà è estratto da una pianta differente e ha uso cosmetico e medicinale. L’olio di semi del tè viene spremuto a freddo, ha un elevato punto di fumo (250°C) ed è l’olio da cucina principale in alcune province meridionali della Cina, quali lo Hunan. L’olio di semi di tè assomiglia all’olio d’oliva e all’olio di semi d’uva per le sue eccellenti proprietà di conservazione e il ridotto contenuto di grassi saturi. Oltre all’impiego come condimento, per salse, fritture e produzione di margarina, viene utilizzato per produrre sapone, olio per capelli, lubrificanti, vernice e un olio antiruggine nonché nella sintesi di altri composti ad alto peso molecolare. L’olio di semi di tè giapponese viene impiegato per il trattamento dei capelli dei lottatori di sumo e per la tempura (pastella per fritture). Durante la dinastia Tang, dal VII al X sec. si sviluppò in Cina il cosiddetto Tributo del Tè, che consisteva nell’invio di un quantitativo scelto di tè all’Imperatore che doveva essere destinato al suo consumo personale e quindi la raccolta (detta “Imperiale”) doveva seguire regole speciali e rigidamente codificate. Tra queste quella che imponeva alle giovani raccogli- 12 - Cardio Piemonte trici l’uso di guanti e il divieto assoluto di mangiare cibi dall’odore troppo intenso, quali cipolle e aglio e spezie piccanti, per salvaguardare le foglie da eventuali sgradevoli contaminazioni. Nel '700 la domanda di tè in Inghilterra era talmente cresciuta che i mercanti non riuscivano a soddisfare tutte le richieste, soprattutto quelle delle classi più modeste. Per questa ragione si rivolgevano al contrabbando e al mercato nero dell’Olanda. Il pericolo maggiore erano però le truffe a base di tè adulterato: al tè venivano aggiunte foglie essiccate di piante come la liquirizia e il frassino, cotte, frantumate e decolorate con melassa e chiodi di garofano e poi immerse nello sterco di pecora. Dal 1618, anno in cui per la prima volta lo zar Michele III ne ricevette in dono, i russi diventarono i principali importatori di tè cinese (nero e leggermente affumicato). Il tè veniva trasportato in Russia da grandi carovane composte anche da 300 cammelli, ognuno dei quali arrivava a portare circa 270 kg di tè. Il viaggio durava da 16 a 18 mesi e alla fine del XVIII sec. i russi consumavano tisane, ogni anno, pari a 6.000 carichi di cammelli. Alla fine del XVII sec. in Inghilterra il tè più economico costava 7 scellini la libbra (453 gr.), equivalente a una settimana di paga per un operaio. Oggi il tè più caro nel catalogo della prestigiosa casa francese Mariage Frères è il The Jaune Cinq Dynasties, che costa 50,00 Euro ogni 20 gr. (cioè 1.132,50 Euro per 1 libbra: lo stipendio mensile di un impiegato). Il tè giunse in Europa accompagnato dalla fama di potente rimedio contro molte malattie, come sostenevano da secoli i medici cinesi. Ma non mancavano le opinioni contrarie, espresse con foga dai detrattori della bevanda. Un curioso caso coinvolse il re Gustavo III di Svezia che si fece promotore di un esperimento: a due condannati a morte venne commutata la pena in ergastolo ma dovevano sorbire per mesi ben 15 tazze al giorno di tè il primo e di caffè l’altro. Lo scopo era valutare la supremazia di una bevanda sull’altra. La sperimentazione, però, ebbe un esito imprevisto perché entrambi i clinici, incaricati di seguire le sorti dei condannati, morirono di morte naturale pochi giorni dopo il suo inizio. Prese il controllo direttamente re Gustavo, assassinato poco dopo in una congiura di nobili. Le due cavie da esperimento si salvarono e godettero di ottima salute fino a tarda età, portando a termine la prova. Infine alcuni modi di dire. In Germania il termine “bollitore da tè” si usa anche per indicare una persona pigra o un sempliciotto. Mentre l’espressione “ricevere il proprio tè” significa invece essere cacciati via, venire liquidati. N. 2 maggio/agosto 2014 VARIETÀ CHE NASCONO ANCHE NELLE RISAIE DEL PIEMONTE Il riso, una perla per la salute Rosso o nero è speciale I tipi colorati aggiungono ai tanti vantaggi l’azione antiossidante dei pigmenti utili per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. di Angelo Sante Bongo Il riso costituisce l’alimento principale per metà della popolazione mondiale. È ipoallergenico, facilmente digeribile, manifesta molte proprietà di tipo funzionale. Ma qual è l'origine del riso? Le prime piante di Oryza sativa nacquero dalla selezione naturale di un’erba selvatica nelle zone paludose e monsoniche dell’Asia. Primi a coltivarlo i cinesi, circa 6000 anni fa, seguiti 3000 anni più tardi, dagli indiani. L'Oryza sativa ha dato vita a tre sottospecie: Indica, coltivata nell’Asia monsonica e negli USA, Javanica, tipica dell’area indonesiana, Japonica, adatta alle zone temperate, dalla quale derivano le varietà coltivate nella Pianura Padana. In europa è arrivato dai paesi arabi che ne acclimatarono la coltivazione e lo diffusero in Spagna e Sicilia. In Italia, alchimisti e botanici iniziarono, nel Medioevo, a selezionarne il seme mentre la coltivazione “massiccia” fu introdotta nel triangolo Novara, Vercelli, Pavia a partire dal Quattrocento. Per molti asiatici e africani il riso è, come recita uno degli slogan della Fao “Rice is life” non un semplice prodotto destinato al consumo, ma alimento essenziale per la “vita”. La sua crusca abbassa il colesterolo; non mondato o semi integrale, è adatto in tutte le diete alimentari e per ogni tipo di malattia; normalizza alcanizzando il pH dell’intestino favorendo quindi la proliferazione della giusta flora intestinale. Per l’uso alimentare, il riso integrale o semi integrale è ottimo e molto più digeribile del frumento. La crusca di riso è importante perché contiene antiossidanti, minerali e vitamine. Poco lavorato, quindi solo decorticato, cioè non brillato, fa scendere i protidi ed i suoi grassi, mentre i glicidi salgono. Non esiste malattia che non tragga giovamento con la terapia alimentare a base di riso integrale o semi integrale. Per coloro che hanno allergie al “glutine”, il riso in fiocchi è insostituibile, nelle affezioni della pelle si raccomanda riso cotto nel latte. Il riso bollito fino ad ottenere una pastetta, per cataplasmi da utilizzare su dermatosi, furuncoli, su emorroidi lenisce il dolore e dà sollievo. Il bagno in vasca con amido di riso 200-500 gr. in un sacchetto nella vasca, favorisce il mantenimento della pelle giovanile. Si tratta inoltre di un “cibo funzionale” (FF: functional food) ovvero un alimento capace di indurre vantaggi salutistici, al di là del suo contenuto nutrizionale classicamente inteso. In una società come la nostra che chiede vie alternative alla medicina tradizionale per migliorare la salute e prevenire la comparsa di malattie, l’inserimento di cibi funzionali in programmi educazionali e nelle indicazioni comportamentali nutrizionali diventa sempre più importante. I cibi funzionali contengono una sostanza o un mix di composti che favorisce una o più funzioni dell’organismo e/o la prevenzione o il trattamento di specifiche patologie. In particolar modo suscitano un notevole interesse, come alimenti salutari e benefici soprattutto per la prevenzione delle malattie cardiovascolari due varietà di riso “colorate”: il riso nero ed il riso rosso. Riso nero. Le antocianine, pigmenti presenti in vari frutti e vegetali come coloranti naturali, sono antiossidanti idrosolubili appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, noti per essere presenti nei frutti di bosco ma anche nell’uva e nelle melanzane e conferiscono la colorazione scura di tutti questi alimenti. Nel riso nero è stata dimostrata la presenza di elevate quantità di tali pigmenti, che hanno dimostrato di possedere elevate proprietà antiossidanti e di “scavenger” ovvero “spazzini” di radicali liberi in svariati modelli sperimentali in vitro con prevenzione del danno del DNA e della ossidazione delle LDL (frazione dannosa del colesterolo). Inoltre, l’estratto di tali pigmenti è in grado di ridurre la formazione di ossido nitrico, un potente produttore di radicali liberi, senza indurre danno cellulare. Gli studi sull’attività antiossidante delle antocianine contenute nel riso nero sono stati Dott. Angelo Sante Bongo Direttore Cardiologia II ASOU "Maggiore della Carità" - Novara Cardio Piemonte - 13 N. 2 maggio/agosto 2014 effettuati anche su modelli animali. Presso la Scuola di Salute Pubblica di Guangzhou, nella Repubblica Popolare Cinese, si è dimostrata la capacità della frazione pigmentata del riso nero di ridurre la formazione di placche aterosclerotiche. Questi ricercatori hanno focalizzato l’attenzione su un modello animale spiccatamente aterogenico, caratterizzato da deficienza di Apolipoproteina E. Gli animali sono stati divisi in tre gruppi trattati con una dieta standard o con la medesima dieta arricchita con 5 grammi di frazione pigmentata del riso nero per 100 grammi o con riso bianco. Il gruppo di animali nutrito con dieta arricchita in frazione pigmentata del riso nero manifestava una componente aterosclerotica ridotta del 48% rispetto al gruppo con dieta standard del 46% rispetto al gruppo trattato con dieta arricchita in riso bianco. Si verificava inoltre un incremento statisticamente significativo dell’HDL colesterolo (frazione utile) e una diminuzione della componente LDL (frazione dannosa). Questi ed altri dati suggeriscono che il riso nero, una varietà coltivata in Cina da più di mille anni fino al XIX secolo, prodotta esclusivamente per l’imperatore e la sua corte, mentre i poveri lo utilizzavano per gli ammalati, i bambini e le donne prima e dopo il parto, possa manifestare benefici salutistici associati al controllo dello stress ossidativo. Questa varietà fino a qualche anno fa non era coltivabile in Italia, perché non adatta al clima a causa della sua fotosensibilità e instabilità. Per questo motivo il riso nero è stato incrociato con varietà locale allo scopo di ottenere un riso a pericarpo nero, adatto all’ambiente climatico italiano. In Cina si dice…. Senza fatica non si mangia neppure un granellino di riso. Uno lavora e nove mangiano riso. Il riso conserva sempre l’odore della terra in cui è maturato. Gli uomini morirebbero per i soldi come gli uccelli per indigestione di riso. Dividere il proprio riso con un amico sincero sazia e disseta il doppio. Nonostante tu possa estendere i tuoi campi all’infinito, non potrai mai mangiare più di tanto riso al giorno; e nonostante possa rendere la tua casa grande come un castello, quando ti sdraierai non occuperai più spazio di prima. Se fai piani per un anno, semina riso. Se fai piani per dieci anni, semina un albero. Se fai piani per una vita, educa le persone. 14 - Cardio Piemonte È stato prodotto, quindi, dopo alcuni anni di lavoro per ottenere una linea stabile dopo gli incroci artificiali, un riso nero, regolarmente iscritto al registro nazionale con il nome “Venere” e coltivato in alcune zone del nostro Paese. Riso Rosso. Il riso rosso contiene procianidina acetilata, un’antocianina con dimostrate attività antiradicali liberi. Il riso rosso, fermentato mediante l’azione del lievito Monascus purpureus, è utilizzato in Cina sia come cibo che come rimedio medicinale da alcune centinaia di anni, oltre che sotto forma di polvere, come colorante per cibi quali formaggi, pesce e bevande alcoliche. Attualmente numerosi studi condotti in vitro hanno dimostrato che questo lievito presenta la caratteristica di inibire l’attività dell’enzima HMG-CoA redattasi, il quale è coinvolto nei meccanismi che determinano l’aumento della colesterolemia. Agli studi in vitro sono seguite esperienze cliniche nell’uomo che hanno dimostrato come l’assunzione di riso rosso fermentato per dodici settimane determini una significativa diminuzione dei livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi e un aumento dei valori di HDL. Il pigmento rosso del riso rosso fermentato in presenza di Monascus purpureus fornisce delle sostanze chiamate monacoline, statine naturali, capaci di inibire la produzione di colesterolo. Tuttavia, la preparazione e la produzione di monacoline rappresentano un processo biologico che deve essere controllato e standardizzato in termini di qualità. Heber e Colli, hanno recentemente analizzato, presso il center for Human Nutrition della UCLA di Los Angeles, più campioni di riso rosso, dimostrando una marcata varietà nella quantità di monacolina presente (da 0% a 0.58%), con evidenza della completa varietà di 10 monacoline in una sola delle nove preparazioni testate. Occorre quindi cautela e attenzione nell’affrontare il problema; occorre standardizzare la tecnologia di preparazione del riso rosso per garantire la disponibilità di supplementi dietetici attivi ed efficaci e, nel contempo, limitare la produzione di sottoprodotti negativi della fermentazione, quali la citrinina. Conclusioni Il riso costituisce non solo un ottimo alimento ma rappresenta un cibo funzionale ovvero che apporta benefici alla salute di chi lo assume. I tipi di riso colorati aggiungono ai tanti vantaggi salutistici di questo straordinario alimento, l’azione antiossidante dei pigmenti che ne determinano il colore. Migliorare la qualità del riso dipende dallo sviluppo di nuove varietà, che ottimizzino le proprietà e i vantaggi funzionali di questo alimento. Il riso del futuro sarà, quindi, non solo di qualità, ma permetterà al consumatore di associare ai piaceri della tavola un’azione di prevenzione sulla propria salute. In primo piano N. 2 maggio/agosto 2014 LA MANCATA ADERENZA ALLA TERAPIA PRESCRITTA ESPONE A GRAVI RISCHI Attenti: prendere le medicine è di capitale importanza «I farmaci non funzionano nei pazienti che non li assumono» (C. Everett Koop) di Roberto Grimaldi Cosa significa “assumere le medicine ovvero aderenza alla Terapia”? L’aderenza è assumere i farmaci consigliati, seguire una dieta e/o realizzare dei cambiamenti nello stile di vita. In genere il paziente è considerato “aderente al trattamento” se assume più dell’80% dei farmaci prescritti. Nei paesi occidentali, l’aderenza al trattamento terapeutico prescritto, arriva solo al 50%. La non aderenza si manifesta principalmente nel non assumere alcune dosi di uno o più farmaci prescritti. La scarsa aderenza al trattamento si colloca, per tutte le malattie, tra le cause principali di risultati clinici sub-ottimali. La miglior terapia prescritta, può diventare, a causa della scarsa assunzione, non efficace, così da esporre il paziente a rischi, sia con un impatto negativo sulla qualità di vita, sia con un aumento del numero di ricoveri e perfino con un aumento della mortalità. Ma quali sono i motivi che fanno si che un paziente sia poco aderente ad una terapia? Motivi legati al paziente Una scarsa aderenza verso i consigli medici ed all’assunzione della terapia prescritta sono dovuti alla non accettazione della malattia da parte del paziente o alla scarsa comprensione della necessità di ricorrere a delle cure, o alla mancanza di fiducia nel proprio medico (atteggiamento che porta al cosiddetto “nomadismo medico”, alla ricerca cioè del medico che dica quello che il paziente vorrebbe sentirsi dire). L’aderenza è influenzata anche dal valore che i pazienti attribuiscono al trattamento e alla motivazione a seguirlo. I sintomi della malattia devono essere significativi da far avvertire il bisogno al trattamento e devono essere percepiti come acuti e trattabili, e il trattamento deve offrire una rapida diminuzione dei sintomi stessi. L’aderenza si è dimostrata più bassa nelle malattie asintomatiche. Vi sono inoltre ulteriori motivi per una scarsa aderenza da parte del paziente alla terapia come ad esempio una errata interpretazione della prescrizione, una dimenticanza, lo scetticismo sulla necessità dell’assunzione del farmaco e anche motivazioni inconsce (incolpare il farmaco di eventi avversi). Sicuramente per i pazienti meno motivati, anche le vie di somministrazioni (iniezioni, compresse difficili da deglutire) hanno la loro importanza nella riduzione o nell’abbandono della terapia prescritta. La lettura dei “bugiardini” con i lunghi elenchi dei possibili effetti collaterali crea più allarmismo che fiducia nella risoluzione della sintomatologia da parte del farmaco da assumere. Un’altra causa è la paura della dipendenza dal nuovo farmaco. Dott. Roberto Grimaldi Cardiologia Universitaria Motivi legati alla malattia L’aderenza alla terapia diminuisce con il passare del tempo, quindi più la terapia si protrae più il paziente tende a non seguirla o non seguirla completamente. Inoltre dopo i periodi di fase acuta quando il paziente si sente meglio tende a non essere più rigoroso nella assunzione dei farmaci. La gravità della malattia, la presenza di sintomi, l’andamento della malattia, la comorbidità, la percezione del paziente della sua patologia sono perciò elementi fondamentali dell’aderenza alla terapia. Cardio Piemonte - 15 In primo piano N. 2 maggio/agosto 2014 Motivi legati al medico «Scrivere una ricetta è facile, parlare con chi soffre è molto più difficile» (F. Kafka) Anche i medici possono essere i responsabili della non aderenza dei loro pazienti, quando prescrivono complesse terapie con assunzione di molti farmaci ogni giorno. Se un paziente dovrà assumere 10 farmaci in una giornata, sarà più probabile che se ne dimentichi qualcuno, rispetto a un paziente che deve assumere un solo farmaco. Talvolta i medici non riescono a comunicare in maniera efficace con i propri pazienti, per tale motivo il paziente non comprende la natura e la gravità della propria malattia, non capisce i rischi della patologia per la sua sopravvivenza e per la sua qualità di vita. Fattori economici di aderenza Ultimo, ma non ultimo in quanto importanza, è il “fattore costo” del farmaco. Tale problema, nel nostro paese è meno sentito rispetto ad altri, dal momento che viviamo in un sistema sa- nitario efficiente che copre gran parte dei costi dei farmaci che consumiamo. Tuttavia in molti casi non è così! Il sistema sanitario, infatti, spesso copre solo una parte del costo del farmaco e una parte dev'essere comunque pagata dal cittadino sotto forma di ticket. Si tratta spesso di cifre modeste, ma in determinate situazioni economiche tali cifre possono costituire un problema all’aderenza verso il farmaco. Sono stati fatti molti studi per valutare quanto il costo totale o parziale dei farmaci influisca sull’aderenza. Per scoprirlo si è cercato di ridurre o eliminare i costi dei medicinali. Un’influente studio vede come protagonisti pazienti dimessi con diagnosi di infarto del miocardio. La popolazione dello studio è stata divisa in due gruppi: al primo gruppo i farmaci di prevenzione venivano dati gratuitamente, al secondo gruppo, invece, a pagamento. Si è visto che l’aderenza al farmaco è stata modesta in entrambi i gruppi, anche se migliore (di circa il 6%) nel gruppo a cui farmaci veni- Focus INNOVATIVO SISTEMA PER DIAGNOSTICARE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE Il minimonitor che salva la vita Impiantato sottocute con una siringa controlla fino a 100 milioni di battiti La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca comune che colpisce fino al 10 per cento della popolazione over 60: nel 2050 si stima che tale aritmia coinvolgerà più di 28 milioni di persone. La fibrillazione atriale è caratterizzata dalla perdita della normale regolarità del ritmo cardiaco e viene generalmente percepita come batticuore irregolare che spesso si accompagna ad affaticamento fisico. Nelle sue fasi iniziali può essere di breve durata (parossistica), ma con il passare del tempo tende a peggiorare e i sintomi diventano quotidiani (persistente). Oltre a provocare sintomi, è associata a un rischio tromboembolico, soprattutto a livello cerebrale. La fibrillazione atriale è infatti responsabile di un terzo degli ictus che si ve- 16 - Cardio Piemonte rificano ogni anno. Si sospettava inoltre, senza averne dimostrazione, che la fibrillazione atriale potesse essere correlata alla presenza di piccole lesioni cerebrali ischemiche, apparentemente silenti, e che queste potessero essere causa di decadimento cognitivo e demenza precoce. Il legame diretto tra fibrillazione atriale, danno cerebrale e declino cognitivo è stato per la prima volta dimostrato da uno studio pubblicato sul numero del 19 novembre 2013 del “Journal of the American College of Cardiology”. Tale studio, grazie al coordinamento del Professor Fiorenzo Gaita, di un gruppo di cardiologi e neuroradiologi dell’Ospedale di Asti e della Città della Salute e della Scienza di Torino, ha coinvolto pazienti affetti da fibrillazione atriale e un gruppo di controllo. Il dato più eclatante è che, In primo piano N. 2 maggio/agosto 2014 vano dati gratuitamente. Quindi anche il fattore economico può essere importante nell’aderenza alla terapia. Importante è ricordare come le spese sostenute dal sistema sanitario nel fornire i farmaci a costo gratuito, vengono controbilanciate dal risparmio in termini di cure ospedaliere evitate, perchè i pazienti che assumono correttamente i farmaci sono pazienti che tendono ad essere ricoverati meno frequentemente rispetto ai pazienti che non gli assumono. I farmaci tenuti negli armadietti fino alla data di scadenza e mai assunti non sono di beneficio nè al paziente nè al sistema sanitario. Esistono metodi per misurare la "Non Aderenza"? Esistono moltissimi metodi per misurare la scarsa aderenza alla terapia, essi si dividono in metodi diretti e metodi indiretti. I metodi diretti includono l’osservazione diretta del paziente che assume il farmaco o misurazioni della concentrazione di farmaco nel sangue attraverso un prelievo. I metodi indiretti, molto meno invasivi, includono questionari e/o diari auto-compilati dai pazienti, oppure il conteggio delle compresse ancora rimanenti nella scatola dopo un certo periodo di trattamento, o la raccolta delle ricette mediche consegnate da un paziente alla propria farmacia e infine i metodi di monitoraggio elettronici. Il sistema di monitoraggio elettronico dell’aderenza è una sorta di contenitore per compresse “intelligente”. Esso registra su un chip quante volte il coperchio del contenitore viene aperto. Si può così capire quante volte il farmaco sia stato usato. Dalla complessità di questi metodi si capisce però come il miglior metodo è avere un paziente motivato e correttamente informato. Cosa può succedere al paziente che non è aderente alla terapia? Per quanto riguarda le situazioni cliniche acute l’esempio più eclatante riguarda l’assunzione degli antibiotici. Il rischio è non assumere più le medicine non di Fiorenzo Gaita alla risonanza magnetica cerebrale, i pazienti con fibrillazione atriale parossistica presentano un numero di lesioni cerebrali più che doppio rispetto al gruppo di controllo e il numero di lesioni aumenta ulteriormente quando la fibrillazione atriale diventa quotidiana. In aggiunta, il numero di lesioni cerebrali, apparentemente silenti, è risultato essere proporzionale alla performance cognitiva. Queste evidenze confermano che il fisiologico decadimento della funzione cognitiva è sicuramente aggravato dal danno tromboembolico cerebrale correlato alla presenza e durata della fibrillazione atriale. È necessario prevenire i rischi di eventi cerebrali sintomatici (ictus) o apparentemente silenti ma correlati a decadimento cognitivo, con la diagnosi precoce e la cura preventiva, anche proponendo una terapia radicale dell’aritmia tramite l’ablazione transcatetere, metodica nata nel 1996 a opera del Professor Gaita in Piemonte e del Professor Haissaguerre in Gironda e rapidamente diffusa in tutto il mondo (oltre 300 mila pazienti all’anno). Solo il 6 per cento dei pazienti con fibrillazione atriale viene, tuttavia, correttamente diagnosticato tramite l’holter cardiaco esterno, che il paziente indossa per qualche giorno. Grazie ad un nuovo innovativo sistema, il Reveal LINQ, la percentuale di diagnosi corretta sale al 98,5 per cento: si tratta del più piccolo monitor cardiaco impiantabile che, iniettato sottocute con una siringa, rivoluziona il monitoraggio cardiaco migliorando la diagnosi per alcune delle patologie più pericolose e difficili da riconoscere quali la sincope e la fibrillazione atriale. Il piccolissimo monitor è una vera e propria “scatola nera” del cuore che, monitorando fino a circa 100 milioni di battiti cardiaci, consente una diagnosi certa ed un controllo costante e indispensabile per impostare la miglior terapia possibile per la fibrillazione atriale e per verificarne l’efficacia. Il Reveal LINQ ha da poco ottenuto l’autorizzazione CE alla commercializzazione in Europa ed è stato impiantato con successo presso l’Ospedale Molinette su due pazienti con sospetta fibrillazione atriale silente. Cardio Piemonte - 17 In primo piano N. 2 maggio/agosto 2014 appena il disturbo svanisce, o assumerle per un periodo più breve di quello consigliato dal medico curante. Ciò può portare a conseguenze a volte anche gravi sia perché c’è il rischio di non debellare l’infezione, sia perché l’assunzione per un periodo più breve del necessario può indurre una “resistenza” all’antibiotico precocemente sospeso con la ricomparsa dell’infezione non debellata e l’instaurarsi di ceppi di batterici più virulenti e la necessità di ricorrere a un nuovo e più potente antibiotico. Stesso discorso può essere fatto per l’errato uso degli antibiotici, per esempio, durante una infezione virale, quando il loro uso è inutile. La questione si complica ulteriormente quando devono essere curate malattie croniche che necessitano dell’assunzione di un numero elevato di farmaci protratti spesso per tutta la vita. Anche dopo un evento così importante come l’infarto miocardico molti pazienti non seguono i comportamenti, le norme dietetiche e farmacologiche a cui dovrebbero attenersi per evitare o ridurre le recidive di tale evento. In America un grosso studio chiamato PREMIER ha seguito circa 2000 pazienti che avevano avuto un infarto miocardico. A questi pazienti alla dimissione venivano prescritti farmaci (aspirina, betabloccanti e statine) aventi lo scopo di ridurre i fattori di rischio che avevano portato all’evento infartuale e ridurre la possibilità di una recidiva. Purtroppo già alla visita di controllo del primo mese circa un terzo dei pazienti si era autosospeso uno o addirittura tutti e tre i farmaci prescrittigli. Ma è importante assumere i farmaci prescritti dopo un infarto? Noi crediamo di sì se si pensa che tra i pazienti che dopo un anno si erano autosospesi i farmaci morivano il 12% in più rispetto a quelli che avevano assunto correttamente tutta la terapia. Tra i farmaci che vengono prescritti nel post infarto gli ipolipemizzanti, ovvero le statine, vengono frequentemente sospese. In uno studio basato su circa 20.000 pazienti post infartuati, ben il 60% interrompe la terapia a base di statine entro due anni dall’ospedalizzazione. Conseguenza della scarsa aderenza, purtroppo, anche in questo caso è l’aumento della mortalità. Anche malattie dilaganti nelle società occidentali, come la malattia diabetica, presentano una scarsa aderenza alle norme dietetiche e a quelle farmacologiche. Recenti studi evidenziano 18 - Cardio Piemonte come nei soggetti con diabete di tipo 2 (quello più propriamente legato all’età e a regimi alimentari non corretti perché ricchi di zuccheri) solo tre quarti assume correttamente i farmaci più frequentemente prescritti: gli ipoglicemizzanti orali. Ma non va meglio ai pazienti in terapia insulinica dove l’assunzione corretta nell’eseguire la terapia insulinica oscilla tra il 20 e l’80%. L’adesione alle raccomandazioni dietetiche è invece di circa il 65%. Ancor più bassa (minore del 30%) è l’aderenza all’esercizio fisico consigliato, essendo noto come esso possa contrastare il peggiorare della malattia. È importante ricordare come una scarsa aderenza ha sempre ricadute negative, anche se possono non essere immediatamente manifeste. Anche per quanto riguarda l’ipertensione, (chiamata altresì “pressione alta”), la non aderenza alla terapia medica causa un cattivo controllo dei valori pressori. Per contro l’elevata aderenza alla terapia antipertensiva si associa ad una riduzione significativa del 38% del rischio di eventi cardio vascolari, quali possono essere, ad esempio, un infarto o uno scompenso cardiaco. Concludendo... In questo articolo abbiamo cercato di porre l’accento su alcune questioni, da noi ritenute degne di nota, ma purtroppo trascurate. L’aderenza alla terapia, è importante! Certo è molto difficile essere aderenti a una terapia quando si debbano assumere 10 o 12 compresse al giorno, e di nessuna o di poche di queste si conoscono quali malattie curano e quali effetti collaterali possono provocare. Spesso i pazienti non riconoscono i farmaci dal nome, ma dalla forma e dal colore della compressa, non conoscono quale malattia curino né i potenziali effetti collaterali. Questa condotta, tuttavia, può rivelarsi nociva per la salute dei pazienti. Infatti può capitare che, durante un episodio febbrile, per evitare di assumere troppi farmaci, venga sospesa la “compressa bianca” piuttosto che “quella gialla”. Potrebbe, tuttavia, essere stata sospesa inavvertitamente l’assunzione di farmaci fondamentali per la vita, con conseguenze anche molto gravi. Il ruolo dei medici, pertanto dovrebbe essere quello di cercare di spiegare al meglio “la funzione” dei farmaci che vengono prescritti rispetto alla patologia, in modo che il paziente li assuma con maggiore consapevolezza migliorando lo stato di salute. N. 2 maggio/agosto 2014 STUDI E RICERCHE PER UN PROBLEMA DI NON FACILE SOLUZIONE Nella malattia coronarica acuta più difficile la diagnosi per le donne Notevole la differenza con il sesso maschile. L’insidia nasce dall’assenza di sintomatologia o dalla presenza di segnali fuorvianti come quelli relativi alla depressione la cui prevalenza è maggiore in campo femminile di Armando De Berardinis Molti anni fa, durante un turno di notte in Unità Coronarica, venni contattato dal Pronto Soccorso per effettuare una valutazione cardiologica in una donna di circa 60 anni che si era presentata per una sintomatologia poco chiara insorta, in modo intermittente, da giorni. Il mio contributo di cardiologo veniva richiesto, assieme a molte altre varie consulenze ed esami, con una tecnica molto poco scientifica e talora molto pericolosa che si basa sul principio: a chiedere tanti esami si fa peccato, ma a volte qualcosa salta fuori. Fu così che alle 3 del mattino mi portarono in reparto la paziente, in quel momento asintomatica ed in buone condizioni, che lamentava da alcuni giorni eruttazioni solo durante il cammino. Dal giorno prima il sintomo si ripresentava anche a riposo e durava al massimo 10 minuti, motivo per cui la donna si era recata in Ospedale. Tutti gli esami effettuati in Pronto Soccorso, compreso l'ECG, erano di norma. L'esame cardiologico che effettuai era del tutto normale. Stavo già concludendo la visita quando la paziente iniziò nuovamente a lamentare il disturbo. Decisi allora di effettuare un nuovo ECG: i miei maestri mi avevano insegnato che la diagnosi di malattia coronarica nelle donne poteva essere molto difficile e spesso fuorviante, e quel sintomo mi lasciava molte perplessità. Fu con una certa, permettetemi, soddisfazione che notai nel tracciato i segni della presen- za di una sindrome coronarica acuta. La somministrazione di Nitroglicerina sublinguale fece scomparire le alterazioni ECG ed il sintomo. Era già noto allora, seppur in modo molto empirico, che esisteva una certa differenza uomo-donna nella presentazione sintomatologica della coronaropatia, condizione che giocava sfavorevolmente nel sesso femminile sia in termini di diagnosi erronea e/o tardiva, sia di maggiore mortalità e minore beneficio dei trattamenti. Ma perchè? Si trattava solo di una erronea percezione oppure c'era realmente qualcosa di diverso nella presentazione e decorso di una malattia comune? Più recentemente queste problematiche hanno ricevuto un'attenzione crescente. Nel 1995 è stato pubblicato un libro intitolato "Men are from Mars, women are from Venus" (gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere) in cui si afferma che nei due sessi le differenze fondamentali psicologiche inducono un rapporto col mondo ed una risposta alle situazioni in modi totalmente distinti. È quindi possibile che la stessa cosa possa succedere nella malattia coronarica acuta? È proprio per cercare di dare una risposta a Dr. Armando De Berardinis Cardio Piemonte - 19 N. 2 maggio/agosto 2014 questi quesiti che nel corso degli ultimi anni sono stati pubblicati articoli, commenti e ricerche scientifiche. Il National Registry of Myocardial Infarction (NRMI), ad esempio, ha raccolto ed analizzato i dati di 2.160.671 pazienti [42% di sesso femminile] ricoverati per infarto miocardico (IMA) nel periodo 1977-2006 negli Stati Uniti d'America ed in Cina. Si tratta di uno dei registri più numerosi esistenti nell'IMA. Il dato più interessante è stata la percentuale totale di soggetti con diagnosi positiva presentatisi senza sintomi (35,4%), significativamente maggiore nelle donne (42% vs 30%, p<0,001) ed in particolare al di sotto dei 65 anni. E, a conferma di quanto sopra detto, proprio in queste pazienti si è verificata la maggiore mortalità durante il ricovero. Complessivamente, in questo studio, il decorso ospedaliero è stato comunque più complicato rispetto agli uomini. Per spiegare queste differenze è stato invocato un meccanismo biologico genere-dipendente: ad esempio nel Framingham Heart Study le manifestazioni iniziali della malattia coronarica nelle donne erano l'angina stabile o instabile, mentre negli uomini erano la morte improvvisa o l'IMA. Inoltre nelle giovani donne il dato anatomico prevalente era costituito da un minor restringimento del lume coronarico rispetto alle donne anziane o agli uomini, segno che la sindrome coronarica acuta poteva essere la conseguenza di uno stato di ipercoagulabilità, infiammazione, spasmo coronarico o rottura di una placca aterosclerotica. Nello studio APACE (Advantageous Predictors of Acute Coronary Syndrome Evaluation) in20 - Cardio Piemonte vece, condotto in Svizzera, Spagna e Italia, nel tentativo di capire se vi fossero dei sintomi genere-specifici, sono stati raccolti i dati provenienti da pazienti ricoverati per IMA sulla base del sintomo. Sono stati definiti ben 34 tipi di dolore/disturbo toracico. Solo per due di essi tuttavia è stata rilevata una significativa differenza uomo-donna: la durata del dolore (>30') era più frequente nelle donne, così come la riduzione dell'intensità col passare dei minuti (nell'uomo il dolore più spesso tendeva a persistere immutato anche per ore). Non vi era invece differenza di rilievo per gli altri sintomi analizzati e correlati alla diagnosi di IMA. Tuttavia, alcuni dei disturbi registrati, come la presenza di dolore sensibile alla palpazione, mancanza di fiato, dolore irradiato alla gola o al dorso o comparsa improvvisa, non avevano alcuna correlazione con l'IMA ed erano significativamente più frequenti nelle donne. Se ci si sposta dal piano dell'emergenza di un pronto soccorso a quello ambulatoriale di diagnostica preventiva, e cioè prima che compaia l'Infarto, le cose non sono per nulla più semplici. Si pensi, ad esempio, che da una raccolta personale di dati relativi a donne afferenti ad un ambulatorio territoriale di cardiologia, circa il 60% >50 anni si era presentata per dispnea da sforzo ed affaticamento, contro una percentuale molto bassa (20%) negli uomini. Poichè, come è noto dalla letteratura scientifica, tali sintomi sono anche tra le più frequenti manifestazioni della depressione, la cui prevalenza, incidenza e morbilità è maggiore nel sesso femminile, è del tutto evidente quali possano essere le difficoltà interpretative e diagnostiche della malattia coronarica. È pertanto chiaro che, come si è visto, il dolore toracico non può essere considerato come l'esclusivo sintomo dell'infarto soprattutto nelle donne. L'identificazione però di sintomi genere-specifici rimane una sfida. Fino ad allora non potremo che dire: «gli uomini vengono dalla Terra... Le donne pure». Bibliografia - JAMA, 2012;307(8): 813-822 - JAMA Intern Med, 2014;174(2): 241-250 - BJPsych, 2000;177:486-492. N. 2 maggio/agosto 2014 UN SINTOMO ALLARMANTE MA NON È IL CUORE A FARE MALE Il dolore al torace fa paura E se fosse un attacco cardiaco? In realtà solo una bassa percentuale di pazienti ha una sindrome coronarica acuta. Le ragioni sono altre: disturbi respiratori quali l’embolia polmonare, la pleurite o lo pneumatorace. Frequenti e molteplici le cause esofagee come il reflusso di Luca Dughera Il dolore toracico può manifestarsi improvvisamente ed in qualsiasi momento. Spesso si tenta di ignorarlo in un primo momento, ma il dolore toracico di solito spaventa e preoccupa. Non è insolito che chi è affetto da un dolore toracico pensi: «Potrebbe essere un attacco di cuore? Si deve andare al pronto soccorso?». Il dolore toracico è uno dei più comuni e allarmanti sintomi per i quali i pazienti afferiscono ai dipartimenti di emergenza, potendo dare conto del 5-7% del totale degli accessi. Il dolore toracico comprende un’ampia varietà di sensazioni, da quelle meno gravi a quelle che sono ad alto rischio per la vita del paziente, ma solamente una bassa percentuale dei pazienti che si presentano con questo sintomo ha una sindrome coronarica acuta. È essenziale che, soprattutto quando non si è più giovani, si prenda coscienza dell’importanza dell’insorgenza di un dolore toracico che prima non si era mai verificato. Questo vale specialmente per le persone anziane, in particolare se di sesso maschile, fumatori, ipercolesterolemici, ipertesi, o con una famigliarità positiva per coronaropatia. In genere è molto difficile che un dolore toracico, in un giovane o in soggetti di età inferiore a 40 anni, sia di origine coronarica. Nella donna è più frequente dopo la menopausa. Ma qualche volte non è comunque il cuore! Esistono infatti diverse condizioni cliniche (Tabella 1) in grado di determinare un dolore toracico spesso non distinguibile da quello della sindrome coronarica, che viene denominato dolore toracico non cardiaco (Non Cardiac Chest Pain, NCCP). Tra le cause non cardiache si riconoscono disturbi respiratori quali l’embolia polmonare, la pleurite e lo pneumotorace. L’embolia si verifica quando un coagulo di sangue entra nell’arteria polmonare, bloccando il flusso di sangue al tessuto polmonare. È una patologia estremamente grave, che raramente si verifica senza precedenti fattori di rischio, come ad esempio interventi chirurgici recenti o immobilizzazione. La pleurite si determina quando la membrana che riveste la cavità toracica e copre i polmoni si infiamma più frequentemente per infezione virale o batterica. Sempre imprevedibile, la variante spontanea dello pneumotorace è probabilmente la forma più comune, che affligge soprattutto maschi giovani dalla corporatura esile e longilinea. Responsabile di difficoltà respiratorie anche importanti e di improvviso dolore toracico, lo pneumotorace spontaneo delinea un quadro clinico complesso, consistente nell’accumulo di aria o gas nel cavo pleurico e nel conseguente collasso del polmone. Altre cause, abbastanza frequenti sono dolori toracici di origine neuro-muscolare-scheletrica, che sono diffusi, persistenti, accentuati dalla pressione locale sui muscoli o sulle coste, variabili a seconda della posizione del soggetto, mai accompagnati da malessere generale; dolori spesso molto localizzati e circoscritti alla parte sinistra dello sterno, i quali possono durare ore e giorni specie in pazienti con artrosi cervicodorsale. Sono infine causa assai frequenti di NCCP diversi disturbi digestivi quali l’esofagite, l’ernia iatale, il reflusso gastroesofageo, lo spasmo ed altri disturbi della motilità esofagea e gastrica, l’ulcera gastrica e duodenale e la calcolosi della Dottor Luca Dughera SS Motilità ed endoscopia digestiva Medicina indirizzo urgenza 2 Città della Scienza e della Salute Cardio Piemonte - 21 N. 2 maggio/agosto 2014 colecisti. In questa breve esposizione si vuole focalizzare l’attenzione sulle cause esofagee di NCCP, che rappresentano senza dubbio quelle più comuni e meno distinguibili dalla sindrome coronarica. Si stima che in Europa la malattia da reflusso (MRGE) interessi, nel suo complesso comprendendo anche le forme lievi, circa il 40% della popolazione. La prevalenza di MRGE è uguale nei due sessi. Il picco di incidenza della patologia si registra intorno ai 35-45 anni. Le situazioni più gravi, con complicanze, sono oggi meno rare nei soggetti giovani e più frequenti nella terza e quarta età. La MRGE determina bruciore (pirosi) localizzato in sede retrosternale (a causa dell’azione acida del contenuto gastrico sulla mucosa dell’esofago), il rigurgito di materiale acido ed il dolore epigastrico (avvertito poco sotto lo sterno. Più del 50% di soggetti con NCCP secondo una recente presenta reflusso gastroesofageo. La sintomatologia dolorosa appare correlata all’azione irritativa diretta del refluito, acido e non-acido, sulla mucosa esofagea ed è spesso indistinguibile dal dolore anginoso dell’ischemia cardiaca, ma si attenua Tabella 1 o spesso si risolve CAUSE DI DOLORE TORACICO completamente con NON CARDIACO (NCCP) l’assunzione di antiacidi. Se trascurata, la Dissezione aortica MRGE può compliMalattie polmonari carsi e dare luogo ad esofagite erosiva ed •Embolia polmonare all’esofago di Barrett, •Pleurite, polmonite quest’ultima trasfor•Pneumotorace mazione della mu•Tumori polmonari o mediastinici cosa esofagea che si Malattie muscolo - scheletriche verifica dopo reflusso •Artrite, borsite molto prolungato nel •Costocondrite tempo e che rappresenta un fattore di •Patologie del disco intervertebrale rischio per sviluppa•Spasmi muscolari re l’adenocarcinoma Malattie neurologiche dell’esofago. •Neurite intercostale Gli esami per dia•Herpes Zoster gnosticare la MRGE sono soprattutto l’eMalattie gastrointestinali sofagogastroduode•Disturbi della motilità esofagea noscopia (EGDS) e la •Malattia da reflusso pH-metria esofagea gastroesofageo (MRGE) delle 24ore. •Ulcera gastrica e duodenale L’EGDS è l’analisi del •Litiasi della colecisti e vie biliari lume dell’esofago, dello stomaco e del Ansia e iperventilazione duodeno attraverso 22 - Cardio Piemonte un apposito strumento a fibre ottiche che consente una visione diretta, universalmente noto come “gastroscopio”. La sua importanza clinica è fondamentale nella diagnosi precoce e nella valutazione delle affezioni gastroenterologiche. Alcune delle più comuni patologie che possono essere diagnosticate tramite l’EGDS sono l’ernia iatale, l’esofagite, la gastrite/gastroduodenite e l’ulcera peptica, gastrica o duodenale. La pH-metria esofagea delle 24 ore è l’esame più sensibile e specifico per la diagnosi di MRGE. Grazie alla pH-metria è possibile valutare il grado ed il tempo di esposizione dell’esofago al reflusso, l’intervallo impiegato dall’organo per ripulirsi dall’acido, la relazione del disturbo e dei suoi sintomi con i pasti e l’entità degli stessi. Durante la pH-metria, un sondino in gomma viene infilato nella narice del paziente e fatto scendere sino al termine dell’esofago o nel lume dello stomaco; durante la procedura il paziente rimane seduto su un lettino e viene invitato a deglutire ripetutamente piccoli sorsi d’acqua in modo da favorire la discesa della sonda. L’esame, sostanzialmente, non è doloroso e al più provoca sensazioni fastidiose al passaggio del sondino nella gola; per questo motivo, prima di procedere, viene spruzzata una piccola quantità di anestetico spray in una narice del paziente. Raggiunta la sede anatomica desiderata, il tratto di sonda che fuoriesce dal naso viene fissato con alcuni cerotti e collegato ad un registratore portatile. All’altro capo del sondino, grazie all’ausilio di un elettrodo collegato a tale estremità, vengono rilevati i valori di pH, puntualmente trasmessi al registratore. Il giorno successivo tutta l’apparecchiatura viene tolta e i dati registrati nelle 24 ore vengono quindi analizzati al computer e confrontati con le informazioni annotate dal paziente (viene generalmente chiesto di riportare su un apposito diario gli orari di inizio e fine pasto, le variazioni posturali, le pause di riposo ed i periodi di insorgenza di eventuali sintomi). Immediatamente dopo la MRGE, i disordini da accentuata motilità peristaltica dell’esofago rappresentano una causa piuttosto frequente di NCCP. Sono caratterizzati dalla presenza di contrazioni muscolari da avanzamento del bolo alimentare (le così dette onde peristaltiche), che si presentano violente e/o non coordinate tra loro, e dall’incapacità di rilascio dello sfintere esofageo. Poiché le contrazioni spastiche dell’esofago possono raggiungere intensità molto elevate, di solito il dolore toracico è molto intenso, costrittivo, postprandiale e più spesso notturno, spesso N. 2 maggio/agosto 2014 realmente non distinguibile da quello di origine cardiaca coronarica. L’esofago “a schiaccianoci” e l’esofago “a cavaturaccioli” sono disturbi abbastanza rari, caratterizzati da una incrementata motilità esofagea dell’esofago e la cui causa non è per lo più determinabile; nell’esofago a schiaccianoci si hanno contrazioni normalmente coordinate, ma con ampiezza e durata media eccedenti la norma, che vengono avvertite in maniera fortemente dolorosa. L’esofago a cavaturaccioli (o spasmo esofageo diffuso, SED) si caratterizza per numerose contrazioni non coordinate e non peristaltiche, simultanee e quindi non propulsive, che si manifestano dopo la deglutizione con dolore intenso pseudo anginoso. Si tratta di disturbi associati sovente a condizioni di stress psico-fisico, diagnosticabili solo mediante l’esame manometrico e lo studio radiologico seriato del transito alimentare nell’esofago (Figura 1). Un’altra causa non rara di NCCP è rappresentata dalla acalasia, malattia nella quale il mancato rilascio dello sfintere esofageo inferiore è di solito associato ad un ridotto e non coordinato movimento dell’esofago. È frequentemente causato dalla deplezione dei neuroni inibitori del tono muscolare ed il sintomo più indicativo è la disfagia, ovvero la sensazione di arresto del bolo alimentare “dietro lo sterno”, spesso doloroso. Si tratta di un genere di disfagia detta paradossa, in quanto coinvolge sia l’ingestione dei liquidi che dei solidi, e pertanto si differenzia dalla disfagia progressiva che riguarda prevalentemente i liquidi; si accompagna frequentemente al rigurgito di materiale alimentare. La diagnosi viene posta tramite la manometria esofagea e lo studio radiologico del transito. La manometria è un esame “funzionale”, in quanto studia le funzioni toniche o contrattili del viscere in studio. La manometria esofagea misura le funzioni toniche delle strutture pressorie presenti nell’esofago, lo sfintere esofageo inferiore (LES) e superiore (UES) e le variazioni pressorie provocate dai movimenti esofagei, siano essi spontanei o evocati da boli standard di liquido. Nella acalasia la manometria dimostra sia l’assenza di movimento muscolare esofageo che l’aumento della pressione dello sfintere esofageo inferiore. La manometria utilizza un catetere collegato con un tubo flessibile, collegato ai trasduttori. Il catetere ha dei buchi lungo la sua parete attraverso i quali fuoriesce della soluzione fisiologica. In caso di contrazione dell’esofago, un segnale “di ritorno” è captato Figura 1 - SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO: Aspetti radiologici e manometrici tipici dai vari trasduttori, amplificato, e condotto ad un pennino o ad un computer che elabora una grafica. L’esame dura 20 minuti ed il paziente è sveglio e deve restare sul lettino sdraiato. Il catetere passa attraverso una narice e raggiunge lo stomaco e la pressione viene misurata a diversi livelli. La diagnosi accurata di questi disturbi della motilità esofagea è di grande importanza, in primis per rassicurare il paziente sulla natura “non cardiaca”, in secondo luogo per un trattamento del sintomo, che è comunque invalidante in ragione della sua ripetitività e scarsa prevedibilità. La terapia è di pertinenza specialistica, gastroenterologica ed eventualmente chirurgica. Ad oggi purtroppo non esistono farmaci specifici per trattare i disturbi esofagei causa di NCCP; per i disturbi primitivi vengono di solito sfruttati aspetti secondari di farmaci che hanno indicazione primaria in disturbi del sistema nervoso centrale, quali antidepressivi, ansiolitici e miorilassanti. Sono anche possibili trattamenti endoscopici (iniezione di Botox o dilatazione) ed anche chirurgici (miotomia), a seconda dello specifico quadro motorio che si sia identificato. In caso di disturbo secondario alla MRGE l’aspetto preminente è il trattamento del reflusso, sia con terapia medica farmacologica, endoscopica (trattamento con radiofrequenza dello sfintere esofageo inferiore) o chirurgica (plastica anti-reflusso laparoscopica). Il Sevizio di Motilità ed Endoscopia Digestiva della Città della Salute e della Scienza opera da anni nel campo della diagnostica e della terapia dei disturbi motori esofagei con strumentario avanzato e tecniche di avanguardia ed è in grado oggi di offrire una completa assistenza a quei pazienti che, dopo un accesso in Pronto Soccorso per dolore toracico, vengono dimessi perché “non è il cuore a fare male”. Cardio Piemonte - 23 N. 2 maggio/agosto 2014 Quanto l’imaging ha migliorato la nostra capacità di curare le arterie coronariche di Maurizio D’Amico Dott. Maurizio D'Amico, Responsabile Laboratorio Emodinamica Cardiologia 2 A.O. Città della Salute e della Scienza di Torino La principale tecnica di imaging per l’esecuzione di procedure di cardiologia interventistica coronarica è ovviamente l’angiografia. Le moderne apparecchiature attualmente a nostra disposizione ci consentono la valutazione quantitativa delle stenosi coronariche e del calibro dei vasi (QCA). Queste misurazioni permettono al cardiologo interventista di scegliere il calibro e la lunghezza dei palloncini da utilizzare e le dimensioni e la lunghezza degli stent endocoronarici da impiantare. Altre tecniche si sono progressivamente aggiunte e sono entrate nella pratica interventistica quotidiana. Due tecniche in particolare da alcuni anni ci permettono di indagare i vasi coronarici. La prima chiamata IVUS è un’ecografia intracoronarica e ci permette di avere informazioni morfologiche sulla struttura del vaso; la seconda chiamata FFR, che utilizza una guida in grado di misurare la pressione all’interno della coronaria, ci fornisce informazioni fun- zionali sul grado di severità della lesione che stiamo indagando. Ecografia Intravascolare - IVUS L’angiografia non fornisce informazioni sul processo patologico della parete vasale, l’imaging ecografico intravascolare (IVUS) consente la valutazione del processo aterosclerotico e il monitoraggio delle modificazioni di parete indotte dagli interventi terapeutici offrendo informazioni complementari all’angiografia. L’ecografia endocoronarica permette una visualizzazione diretta del lume, delle strutture parietali con alta risoluzione, fornendo informazioni per la misurazione della placca e del vaso. Le principali indicazioni per l’IVUS sono: •Valutazione di lesioni calcifiche •Dimensioni del vaso •Analisi della placca aterosclerotica e grado di patologia •Posizionamento e scelta dello stent •Studio della funzione endoteliale. Le misurazioni delle dimensioni è uno dei più grandi vantaggi dell’IVUS. Tali misurazioni sono accurate e precise e le più frequentemente utilizzate sono: •Diametro del lume e del vaso •Diametro percentuale di stenosi •Area del lume •Area percentuale di stenosi. L’IVUS è indicata soprattutto dove esiste una discrepanza tra la presentazione angiografica 24 - Cardio Piemonte N. 2 maggio/agosto 2014 e quella clinica. L’immagine IVUS è più precisa dell’angiografia nell’identificazione dell’area del lume e del grado di rimodellamento del vaso. Fractional Flow Reserve – FFR Si tratta di una procedura basata su di un filo guida endocoronarico che può accuratamente misurare la pressione sanguigna in uno specifico punto di un’arteria coronarica. La misurazione della fractional flow reserve si è dimostrata utile nella valutazione del grado funzionale di severità di una lesione coronarica. Questa valutazione, durante l’esecuzione di una coronarografia diagnostica, è fondamentale in quanto permette al cardiologo interventista, quando incontra lesioni angiograficamente intermedie, di interrogarle funzionalmente e di decidere quindi di eseguire o meno una angioplastica o se il paziente può essere lasciato in modo sicuro in sola terapia medica. Per esempio una lesione appare all’angiografia misurabile come 60% in paziente completamente asintomatico per angina, il cardiologo e lo stesso paziente potrebbero essere tentati di scegliere la via del trattamento della lesione per diverse ragioni. In fondo c’è un restringimento, perché non preoccuparsene? Pochi minuti di misurazione con uno speciale filo guida possono rivelare che un intervento su quella lesione non avrà un significativo impatto clinico e quindi evitarlo. Essere in grado di selezionare meglio i nostri casi non solo ha un effetto benefico sui costi del sistema sanitario, ma soprattutto contribuisce ad una più appropriata cura del paziente. Numerosi studi come il COURAGE, il DEFER e più recentemente lo studio FAME hanno portato alla riduzione di 1/3 del trattamento delle stenosi che fossero solo state valutate con l’angiografia. Questo comportamento virtuoso è associato a migliori risultati clinici per i pazienti. Tomografia Ottica Computerizzata – OCT FFR = Pd/Pa (Pd = pressione distale alla lesione, Pa = pressione prossimale alla lesione) La tomografia ottica computerizzata (OCT) è una nuova tecnica che genera immagini ad alta risoluzione delle lesioni coronariche. La metodica si basa sull’utilizzo di un catetere intracoronarico ad invio di un fascio di luce ad infrarossi e sulla riflessione della stessa da parte delle strutture che vengono incontrate. Il miglioramento della risoluzione delle immaCardio Piemonte - 25 N. 2 maggio/agosto 2014 gini OCT, rispetto a quelle IVUS, è considerevole. La tecnica è pertanto in grado di studiare strutture di dimensioni molto contenute che sono al di là delle capacità risolutive dell’ultrasonografia. Studi in-vitro di recente pubblicazione dimostrano che l’OCT è in grado di identificare le componenti della placca aterosclerotica con altissima sensibilità e specificità. In un recente studio le immagini OCT sono state confrontate con la valutazione istologica eseguita in diversi segmenti arteriosi autoptici con aterosclerosi. Le placche fibrose erano indicate come zone ecogene in modo omogeneo, quelle fibrocalcifiche come poco ecogene e ben delineate (bordi netti) ed infine quelle lipidiche come porzioni a debole ecogenicità e meno definite (bordi meno distinti). Le tre componenti della placca venivano individuate con una sensibilità e specificità superiore al 90%. Fig. - Esempi di definizione della placca aterosclerotica mediante IVUS e OCT. Il riquadro in alto a sinistra, ottenuto mediante OCT, mostra una formazione lipidica (freccia). Si può apprezzare l’alta definizione dell’immagine. Il riquadro in alto a destra, ottenuto mediante IVUS, rivela un pool lipidico, anch’esso indicato da una freccia. La definizione delle immagini ottenuta mediante IVUS, non consente tuttavia di effettuare misurazioni relative all’area della formazione lipidica e dello spessore della capsula fibrosa. Il riquadro in basso a sinistra, ottenuto mediante OCT, evidenzia con estrema chiarezza una formazione trombotica intraluminale. Il rilievo IVUS di trombi intracoronarici risulta molto difficoltoso poiché l’ecoriflettenza del trombo è simile a quella delle componenti lipidiche della placca. Il riquadro in basso a destra si riferisce al rilievo OCT di placca calcifica (freccia). 26 - Cardio Piemonte N. 2 maggio/agosto 2014 CARDIO-TOSSICITÀ E TERAPIA ANTI-NEOPLASTICA - seconda parte Oncologia e Cardiologia Lo scenario dei trattamenti a cura di D.Ottaviani, C.Oliva, S.Chiadò Cutin, A.Boglione, P.Pochettino, P.Bergnolo, O.Dal Canton, A. Comandone L’epirubicina, derivato semisintetico della doxorubicina, dispone di un profilo di tossicità più favorevole. Si suppone che il motivo sia legato alla fase terminale di eliminazione dal plasma, più breve rispetto a quella della doxorubicina. Il rischio di cardiotossicità rimane comunque correlato alla dose cumulativa somministrata, manifestandosi clinicamente con insufficienza cardiaca congestizia legata al danno miocardico cronico irreversibile, con un’incidenza del 3% (con dose cumulativa di 900 mg/mq) o 10% (per 1000 mg/mq). Inoltre la dose cumulativa deve essere calcolata tenendo presente eventuali precedenti trattamenti con antraci cline. Menzione particolare meritano le formulazioni liposomiali della doxorubicina, sviluppate con il duplice obiettivo di ridurre la cardiotossicità e aumentarne l’indice terapeutico. L’inclusione del farmaco in liposomi ne aumenta la stabilità e la permanenza a livello del circolo sistemico a basse concentrazioni plasmatiche, con accumulo in tessuti irrorati da vasi con aumentata permeabilità endoteliale, quali quelli neoplastici, e riducendo l’esposizione di tessuti sani tra cui il miocardio. La ridotta cardiotossicità è stata inizialmente confermata in 3 studi clinici condotti su pazienti affette da neoplasia mammaria avanzata. Distinguiamo ulteriormente la doxorubicina liposomiale non-peghilata e peghilata. La prima viene utilizzata allo stesso dosaggio e schedula della doxorubicina e per questo sono confrontabili in termini di efficacia e tossicità: sono stati condotti diversi studi clinici randomizzati con forte evidenza di significativa riduzione, ma non scomparsa, della cardiotossicità. La doxorubicina liposomiale peghilata, al contrario, prevede una schedula di somministrazione a dosaggio inferiore rispetto alla forma libera con valutazione diretta, pertanto, difficile. Comunque i dati di letteratura a disposizione dimostrano una riduzione della cardiotossicità, sia in termini di incidenza che di gravità della cardiomiopatia dose-correlata. Il più attivo degli analoghi delle antracicline, antracenedioni, è il mitoxantrone, sviluppato alla fine degli anni settanta con l’obiettivo di ottenere un farmaco dal profilo di attività simile alle antracicline ma con una minore cardiotossicità. In realtà il raggio di azione antineoplastico è meno ampio ma il profilo di cardiotossicità è notevolmente inferiore e questo probabilmente per la ridotta capacità di produrre radicali liberi. Dati di letteratura riportano una percentuale di eventi cardiaci che oscilla tra il 1.5 e il 5%, con quadro clinico caratterizzato da aritmie, scompenso cardiaco, infarto del miocardio e alterazioni dell’ECG. Gli agenti alchilanti rappresentano una delle classi farmacologiche più utilizzate nel trattamento delle neoplasie, sia solide che ematologiche. Sono farmaci non fase specifici, in grado di alterare direttamente la struttura e la funzione del DNA, rendendoli pertanto attivi soprattutto su cellule in rapida proliferazione ma non scevri di danno a livello del cuore. La ciclofosfamide viene attivata a livello epatico dal CYP-450 e si è rivelata cardiotossica quando somministrata a dosaggi più alti con quadro clinico acuto caratterizzato da pancardite acuta con emorragie interstiziali, versamento pericardico, edema ed emorragie epicardiche, endocardiche e miocardiche per danno all’endotelio dei capillari forse associato a danno diretto alle fibre miocardiche, determinando rapidamente insufficienza cardiaca grave e resistente, nella maggior parte dei casi, ai trattamenti cardiologici con exitus dopo pochi giorni. Quadro clinico acuto, però raro, mentre è più frequente riscontrare alterazioni elettrocardiografiche, anomalie dell’onda T e tratto ST, aritmie e temporanei aumenti del volume del ventricolo sx. Fattori che possono facilitare tali quadri clinici sono rappresentati da precedente trattamento con antracicline o esposizione dell’area cardiaca a radioterapia. Da ricordare inoltre come può essere il responsabile di effetti cardiovascolari tardivi quali ipertensione, ipertrofia ventricolare sx, ischemia e infarto miocardico, ipercolesterolemia anche a distanza di diversi anni, come evidenziato in studi sul trattamento del tumore del testicolo dopo 20 anni dalla remissione completa. La tossicità da mitomicina C (cardiomiopatia congestizia che si riscontra in circa il 10% dei pazienti Dottor Davide Ottaviani estensore dell’articolo e membro del team di Oncologia medica del Presidio Sanitario Gradenigo guidato dal dottor Alessandro Comandone Cardio Piemonte - 27 N. 2 maggio/agosto 2014 trattati con dose cumulativa di 30 MG7mq) sembra essere correlata alla formazione di radicali liberi, che causano lesioni a carico del DNA e di strutture lipidiche cellulari. Obiettivo terapeutico degli antimetaboliti, quali 5-fluorouracile e capecitabina, è quello di interferire con la sintesi degli acidi nucleici. Il 5FU è largamente utilizzato in oncologia in diverse schedule di trattamento, differenti tra loro per dose, durata di infusione e associazione con altri farmaci antineoplastici. Eventi avversi cardiovascolari non sono frequenti con incidenza di 1.2-7.6% e <1% sono fatali. Il più noto di questi è la comparsa di dolore toracico anginoso da ischemia miocardica, dovuto a vasospasmo coronarico che può determinare anche infarto miocardico acuto. Ma si possono manifestare anche pericardite, edema polmonare, aritmie e modificazioni del tratto S-T e dell’onda T. Generalmente si tratta di un quadro clinico reversibile quando si cessa la somministrazione; ma con la ri-esposizione al farmaco è possibile il ripresentarsi della sintomatologia. A sostegno dell’eziopatogenesi da vasocostrizione è stata osservata contrazione dell’arteria brachiale ed elevati livelli di endotelina-1, anche se quest’ultimo riscontro non è chiaro se rappresenta un epifenomeno primario o secondario. L’incidenza poi aumenta in presenza di comorbidità quali pregressa cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, RT sul mediastino. La capecitabina è un pro-farmaco del 5FU, somministrato per os e successivamente convertito nel farmaco attivo. Semba caratterizzato da un profilo di cardiotossicità meno importante di quello associato al 5FU ma sono state riportate sindromi coronariche acute (con meccanismo similare), angina, infarto miocardico, aritmie e cardiomiopatie. Cardiotossicità da piccole molecole e anticorpi monoclonali Più intrigante è il discorso della cardiotossicità da nuove molecole utilizzate in oncologia, quali anticorpi monoclonali e inibitori delle tirosin-kinasi. Le tirosin-kinasi (TK) sono proteine che controllano, attraverso la fosforilazione, molte vie del segnale intracellulare. Così come le cellule normali, anche le cellule neoplastiche utilizzano diverse vie di trasduzione intracellulare del segnale per garantire le funzioni fondamentali per la sopravvivenza. In alcune neoplasie specifiche TK sono costitutivamente attivate come conseguenza di mutazioni genetiche acquisite (Bcl/Abl traslocazione in LMC, EGFR). I recettori di TK rappresentano importanti bersagli delle terapie antitumorali e i farmaci TK inibitori (TKI) sono in grado di interferire selettivamente contro specifiche molecole della via intracellulare o contro recettori posti sulla superficie cellulare. Tali agenti si dividono L'Approfondimento A Torino interessante convegno periodico tra specialisti La collaborazione di Cardiologi e Oncologi migliora la qualità della vita dei pazienti Perchè un secondo corso di Cardio-Oncologia? Le risposte sono multiple ed incrociate. Il principale obbiettivo di questo secondo corso era il migliorare la comunicazione e dibattere esplicitamente quali priorità devono darsi i Cardiologi e gli Oncologi nel gestire i Pazienti con problemi su entrambi i settori. I partecipanti erano fondamentalmente provenienti da tre Centri Cardiologi ed Oncologici: Città della Salute e della Scienza, l'Istituto (IRCCS) di Candiolo, l'Ospedale Gradenigo che rappresentano i poli fondamentali nella “Rete Oncologica Regionale”. I Cardiologi arrivano dai primi due Presidi e 28 - Cardio Piemonte dal territorio. I principali temi sono stati sostanzialmente come riconoscere molto precocemente i possibili danni da chemioterapia e da radioterapia e sull' Apparato Cardiovascolare e soprattutto sulla funzione cardiaca. La precocità è l'elemento fondamentale per poter indirizzare in stadi non avanzati eventuali correzioni di dosi o di farmaci in modo da ottenere il massimo beneficio senza creare danni. I Cardiologi hanno dimostrato grande sensibilità a questo problema documentando che la percentuale di valutazioni cliniche e strumentali che vengono fatti a pazienti del Diparti- Medi icina & Storia N. 2 maggio/agosto 2014 in due classi generali: piccole molecole TK inibitori e anticorpi monoclonali umanizzati (MOAB) diretti contro il recettore TK o loro ligando. I TKI sono piccole molecole in grado di attraversare la membrana citoplasmatica e di bloccare direttamente il sito ATP, con inibizione della fosforilazione e blocco del segnale di attivazione a valle. Dirette conseguenze sono l’inibizione della proliferazione cellulare, della diffusione delle cellule tumorali, promuovere l’apoptosi e diminuire la radio e chemioresistenza. Target, invece, degli anticorpi sono epitopi espressi sulle cellule tumorali, attraverso i quali possono riconoscere selettivamente le cellule tumorali che esprimono EGFR (recettore del fattore di crescita epidermoidale) o VEGFR (recettore del fattore di crescita vascoalre endoteliale). Quindi oltre alla tossicità cardiovascolare ormai dimostrata dovuta ai classici agenti chemioterapici, non sono da trascurare i possibili eventi avversi dovuti a queste nuove molecole. Alcuni di questi agenti si sono dimostrati potenzialmente cardiotossici e possono determinare insufficienza cardiaca congestizia conclamata (CHF) e/o disfunzione ventricolare sx asintomatica. Pochi studi clinici hanno esaminato la cardiotossicità da TKI e MOAB con relativa nostra grande lacuna, in termini di conoscenza dei tipi e del rischio di tossicità cardiovascolare per la maggior parte di questi agenti. L’inibizione dell’angiogenesi rappresenta un’approc- di Sebastiano Marra mento Oncologico sta diventando sempre più importante. La sensibilità di entrambi gli Specialisti, Oncologi e Cardiologi sta aumentando con grande beneficio dei Pazienti. Si è affrontata anche la relazione fondamentale tra Specialisti e Cardiologi territoriali e Medici di famiglia. Le nuove metodologie diagnostiche nel campo dell'Ecocardio, della Risonanza Magnetica, della Scintigrafia ci mette in condizioni di fare diagnosi precoci e di suggerire agli Oncologi eventuali variazioni di indirizzo terapeutico. Gli Oncologi hanno sviluppato terapie sempre più raffinate, mirate, ma la relativa comparsa di effetti collaterali cardiologici non è sempre prevedibile nel singolo Paziente. Il continuo crescere di dialogo, interazione e scambio di informazioni porta al miglioramento della capacità di gestione dei nostri Pazienti. cio terapeutico antineoplastico efficace, sebbene associato a un profilo di tossicità cardiovascolare importante, costituito da ipertensione arteriosa, disfunzione ventricolare sx, insufficienza cardiaca, ischemia miocardica, infarto, prolungamento dell’intervallo Q-T. L’ipertensione rappresenta l’evento avverso più comunemente descritto nei trials clinici e si può manifestare fino al 30% dei casi: ciò sottolinea l’importanza del ruolo fisiologico di VEGF nella regolazione del tono vasomotorio e nel mantenimento della pressione ematica. Il principale meccanismo consiste nella aumentata sintesi endoteliale e di conseguenza dell’angiogenesi. Il blocco di tale pathway determinerebbe vasocostrizione e ipertensione. Inibitori di tirosin-kinasi. Imatinib rappresenta uno dei primi TKI approvato per l’uso clinico, con impatto significativo sulla prognosi dei tumori gastrointestinali stromali (GIST) e leucemie mieloidi croniche. Inibisce la chinasi ABL, si lega alla conformazione inattivata (non fosforilata) del dominio chinasico ABL; inibisce anche ARG (ABL 2), PDGFR alfa/beta e c-KIT. Studi preclinici condotti su cavie trattate con imatinib hanno evidenziato lo svilupparsi di disfunzione ventricolare sx, con significativa alterazione mitocondriale dei cardiomiociti che ha indotto stress del reticolo endoplasmatico, collasso della membrana mitocondriale, rilasciocitosolico del cit C, con conseguente riduzione del contenuto cellulare di ATP e inevitabile morte cellulare. Ma determina anche un significativo incremento dell’espressione di una proteina chinasica C delta (PKC delta) con effetti proapoptotici all’interno dell’organo cardiaco. Pertanto è possibile che PKC delta rivesta qualche ruolo nella cardiotossicità da imatinib. Inoltre nella praticaclinica è stato riportato anche un significativo edema con possibile severa ritenzione idrica e conseguente formazione di versamenti pericardici, pleurici o stati ascitici anasarcatici. In merito la letteratura è però contradditoria - in un’ampia casistica di 946 pazienti affetti da GIST in trattamento con imatinib 400-800 mg, solo nello 0.2% si è osservata cardiotossicità (scompenso cardiaco). Sunitinib è una piccola molecola somministrata per via orale che inibisce molteplici recettori TK e trova indicazione nel trattamento del carcinoma renale, GIST metastatico e tumori neuroendocrini pancreatici avanzati. I suoi target molecolari sono rappresentati da VEGFR 1-3, PDGFR, c-KIT, FLT3. Gli unici bersagli molecolari di sunitinib espressi dai cardiomiociti adulti sono PDGFR e VEGFR. Come altri TKI, i suoi effetti principali portano a una interruzione delle vie di segnale intracellulare. Recenti studi hanno dimostrato il suo ruolo nell’inibire la chinasi ribosomiale S6 con successiva liberazione di BCL-2 e citocromo C ad attività proapoptotica. La tossicità cardiaca da sunitinib è rappresentata da ischemia miocardica, disfunzione ventricolare sx, ipertensione, edema periferico, prolungamento dell’intervallo QT e torsioni di punta. Il prolungamento dell’interval- Cardio Piemonte - 29 N. 2 maggio/agosto 2014 lo QT è raro negli studi classici e sembra essere dose correlato,mentre l’incidenza della torsione di punta è stata <0.1%. In uno studio di Motzer si è osservata un’incidenza dell’80% di ipertensione grado 3-4 in pazienti con carcinoma renale in trattamento con sunitinib vs interferone alfa; nello stesso studio il 21% dei pazienti trattati con sunitinib e il 12% dei pazienti trattati con interferone andavano incontro ad una diminuzione della LVEF significativa. In un successivo studio retrospettivo Chu et al hanno dimostrato un’incidenza maggiore di ipertensione e tossicità cardiaca. L’analisi multivariata evidenziava come i pazienti con precedente nota malattia cardiovascolare avevano un rischio maggiore di incorrere in un evento cardiovascolare. È stato ipotizzato che l’ipertensione sunitinib-correlata giochi un ruolo chiave nell’insorgenza di eventi cardiovascolari ma è anche noto che in molti pazienti con franca cardiotossicità non si è mai verificata ipertensione, suggerendo così l’eventuale co-responsabilità di ulteriori meccanismi quali l’inibizione diretta di 5-AMPK. Inoltre è anche importante sottolineare come diversi studi hanno dimostrato una migliore risposta al trattamento in pazienti che hanno sviluppato ipertensione, suggerendo così un suo ipotetico ruolo di “biomarker” dell’efficacia antitumorale degli agenti multi-target. Anche sorafenib agisce su bersagli multipli: VEGFR, PDGFR, c-KIT, FLT3, ma caratteristica peculiare della molecola è l’azione a livello di un ulteriore target, le chimasi intracellulari RAF e BRAF, determinando il blocco del segnale intracellulare RAF-MEK-ERK. Da segnalare al riguardo il ruolo svolto da ERK come azione pro-sopravvivenza, particolarmente importante per la sopravvivenza dei miocardiociti. Sorafenib è indicato nel trattamento del carcinoma renale metastatico e dell’epatocarcinoma. Negli studi registrativi venivano esclusi i pazienti con eventi cardio-cerebrovascolari negli ultimi sei mesi. Nello studio registrativo per il tumore renale l’incidenza di infarto o di ischemia cardiaca durante il trattamento era maggiore nel gruppo di pazienti in terapia con sorafenib (2.9%) che in quello in terapia con placebo (0.4%). In quello per il carcinoma epatico l’incidenza è stata rispettivamente del 2.7% vs 1.3 %. Un recente studio prospettico di fase I di valutazione degli effetti cronici del farmaco su alcuni parametri cardiovascolari, ha evidenziato una complessiva minima o nulla variazione della frazione di eiezione, minimo prolungamento di QT, lieve aumento della pressione arteriosa (11-12 mm Hg). Inoltre un’analisi dei dati retrospettiva dello studio EAP (expanded access) europeo di sorafenib ha evidenziato l’assenza di un incremento di cardiotossicità in pazienti con nota storia cardiovascolare al basale, eccetto un incremento dell’incidenza di ipertensione. Un recente studio retrospettivo di Shurtz ha poi rilevato un’incidenza dell’1.4% di eventi trombo-embolici in pazienti trattati con sunitinib e sorafenib: questo si 30 - Cardio Piemonte traduce in un rischio relativo del 3% di sviluppare trombo-embolia. Il pathway mediato da EGFR regola la proliferazione cellulare, sopravvivenza, differenziazione. Mutazioni a carico di EGFR sono comuni in molti tumori solidi e in particolare della mammella, colon-retto, ovaio e polmone. Erlotinib è in TK inibitore di EGFR, utilizzato in particolare nel trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule. Negli studi clinici sono stati descritti rari casi di tossicità cardiaca che si può determinare a causa della disfunzione mitocondriale, alterazione del potenziale di membrana o eventualmente aumentato rilascio di citocromo c. Il profilo di tossicità cardiovascolare è sicuramente meno importante di quello di altri TKI nonostante sia stata osservata in uno studio clinico una maggiore incidenza di infarto del miocardio in associazione a trombosi venosa profonda. Anche pazopanib caratterizzata da un’attività inibitoria multichinasica, con target VEGFR1, VEGFR2, VEGFR3, PDGFR 1 e 2, c-KIT. Il farmaco è approvato per il trattamento delle neoplasie renali metastatiche in prima linea e per il trattamento dei sarcomi. Pazopanib è stato associato a disfunzioni cardiache (ad esempio diminuzione della frazione di eiezione) riscontrata in una percentuale <1% dei pazienti affetti da neoplasia renale cosi come torsioni di punta in una percentuale <1% dei pazienti in trattamento. L’attività anti-angiogenica del pazopanib potrebbe causare ipertensione e ischemia. L’ipertensione si è verificta nell’88% dei pazienti con RCC entro le prime 18 settimane di trattamento; meno frequentemente angina e ictus. Il dasatinib è un potente inibitore di tutte le chinasi della famiglia Src, oltre ad inibire ABL, ARG, PDGFR alfa e beta e c-KIT. Si è dimostrato clinicamente responsabile di modeste alterazioni dell’ECG, come un prolungamento QT e solo raramente di un significativo stato di ritenzione idrica di grado III e IV. In studi di fase I sono stati riportati versamenti pericardici nel 5% dei casi con circa il 9% di dispnea secondaria ad edma polmonare non cariogeno. Avendo come target principale ABL si può supporre che tali agenti possano essere responsabili di cardiotossicità significativa: il 4% dei pazienti in trattamento con dasatinib da oltre sei mesi ha sviluppato scompenso cardiaco o disfunzione ventricolare sx che nella metà dei casi era di grado III-IV. Nilotinib è una piccola molecola inibitore di ABL, ARG, KIT, PDGFR alfa e beta, con indicazione al trattamento della leucemia mieloide cronica in caso di resistenza/intolleranza all’imatinib. Lo spettro di eventi avversi cardiaci da nipotini è più ristretto di quello di altri TKI, limitato per lo più al prolungamento dell’intervallo QTc e sviluppo di edema periferico, come evidenziato da diversi studi clinici. Il prolungamento di QT può determinare lo scatenarsi di torsioni di punta o, in extremis, sincope, convulsioni e morte (osservate solo nello 0.6% dei pazienti): per questo N. 2 maggio/agosto 2014 è raccomandato, prima di iniziare il trattamento con nipotini, uno screening per squilibri elettrolitici. Lapatinib è una piccola molecola ad azione inibitoria di EGFR (erbB 1 e 2) utilizzata nel trattamento delle neoplasie della mammella HER2 positive metastatiche. Nonostante la sua attività anti-erb B2 (con dimostrato ruolo cruciale nello sviluppo e funzionalità dei cardiomiociti), non possiede un profilo di tossicità cardiaca paragonabile a quello del trastuzumab. Tale differenza può essere spiegata dalla diversa attività: lapatinib attiva AMPK con aumentata produzione di ATP e di protezione dei cardiomiociti contro l’apoptosi indotta da TNF alfa. Al contrario trastuzuamb inibisce AMPK, favorendo apoptosi dei cardiomiociti. Gli effetti avversi cardiovascolari lapatinib indotti sono rappresentati da disfunzione ventricolare (1.52.2%), prolungamento QTc (1%), angina. Il trastuzumab è, tra gli anticorpi monoclonali, quello maggiormente studiato. Il suo target è rappresentato da HER2, iperespresso in circa il 25% dei carcinomi della mammella, con significato prognostico negativo e forte valore predittivo di risposta. Il legame anticorpo-HER2 determina un blocco del pathway di trasduzione del segnale di crescita con arresto della proliferazione cellulare. Inoltre HER2 è espresso anche a livello cardiaco dove ricopre un ruolo chiave nello sviluppo e nei processi di riparazione delle cellule miocardiche. Gli studi preclinici non avevano evidenziato eventi avversi cardiovascolari e per questo non era previsto un monitoraggio cardiaco nei primi trials clinici. Ma dopo l’approvazione del farmaco emerse, da analisi retrospettive, il sospetto di cardiotossicità data la significativa incidenza di insufficienza cardiaca congestizia. Da qui la necessità di studi clinici sul trastuzuamb in adiuvante con sistematico e prospettico monitoraggio della funzionalità cardiaca. La tossicità cardiaca è rappresentata dalla riduzione della frazione di eiezione asintomatica fino allo scompenso con dispnea, edema polmonare, cardiomegalia. L’incidenza è relativamente bassa (circa 4%) quando somministrato in ionoterapia, per aumentare significativamente quando la somministrazione avviene in associazione a chemioterapici e precisamente paclitaxel (13%) o antracicline (27%). Attualmente circa il 5% dei pazienti sviluppa vari gradi di disfunzione sistolica e l’1% insufficienza cardiaca congestizia. In considerazione dell’importanza di HER2 come meccanismo di riparazione-recupero del danno cardiaco, si è osservato un maggior rischio di eventi avversi cardiovascolari dalla sequenza trastuzumab-antracicline rispetto alla sequenza opposta.Il danno cardiaco trastuzumab-correlato detrmina un quadro sintomatologico per lo più lieve-moderato e che tende a regredire con adeguata terapia medica e la sospensione del farmaco dopo circa sei settimane; tanto è vero che che la re-esposizione del paziente al trastuzumab è generalmente possibile. Tale reversibilità di danno può essere spiegato dal fatto che il trastuzumab non causa la morte dei miociti ma solo una temporanea disfunzione a carico della struttura delle proteine contrattili. Fattori di rischio sono rappresentati dall’età >50 anni, esposizione concomitante o precedente ad antracicline, dispnea superiore alla classe II della scala NYHA. Infine prendiamo in esame MOAB anti-EGFR quali il cetuximab e inibitori di M-TOR (temsirolimus ed everolimus). Il cetuximab è un anticorpo anti-EGFR (epidermal growth factor receptor) approvato in ionoterapia o in associazione a chemio-radioterapia per il trattamento del carcinoma del colon-retto metastatico e per i tumori della regione capo-collo. In realtà non è previsto un suo profilo di cardiotossicità particolare, ma può presentare effetti avversi cardiovascolari nell’ambito di una reazione severa all’infusione (circa il 3% dei pazienti) caratterizzata clinicamente da broncospasmo, reazione orticarioide e ipotensione. Studi condotti in vitro e in vivo hanno dimostrato la capacità di cetuximab di ridurre il cross-talking tra cellule endoteliali interferendo di conseguenza nella costruzione del microambiente capillare, con potenziale effetto cardiotossico a lungo termine. Target del temsirolimus è rappresentato da M-TOR che gioca un ruolo chiave nel pathway di controllo della sintesi proteica e del ciclo cellulare. Il blocco di M-TOR determina l’arresto della divisione delle cellule tumorali, rallentando crescita e diffusione del tumore. Finora non sono stati descritti effetti cardiotossici diretti, ma non sono da escludere effetti analoghi con meccanismi indiretti: infatti sono stati descritti nello studio registrativo ipertensione (7% vs 1% braccio placebo), ipertrigliceridemia (87%), ipercolesterolemia (83%). M-TOR rappresenta il target terapeutico anche di everolimus. Al contrario del farmaco precedente, nello studio registrativo everolimus ha determinato scompenso cardiaco (1%) e tachicardia (3%). Tutto questo rappresenta solo un breve excursus del potenziale rischio di cardiotossicità cui vanno incontro i nostri pazienti affetti da neoplasia quando si pone indicazione a trattamento chemioterapico. Viene da sé quindi la necessità di una attenta valutazione anamnestica di ogni paziente così come sempre più opportuna si palesa l’indicazione a una minuziosa valutazione cardiologica prima di avviare qualsiasi trattamento chemioterapico potenzialmente tossico a livello cardiovascolare, specie nei soggetti maggiormente a rischio e con determinate comorbidità. Nell’era di un approccio sempre più multidisciplinare, la collaborazione tra oncologo e cardiologo diventa fondamentale. E non solo quando si tratta di intervenire in maniera attiva di fronte a una tossicità emersa durante un trattamento oncologico, quanto più importante è l’aspetto di valutazione iniziale collegiale. Si potrebbe quindi configurare una nuova disciplina, quella della cardio-oncologia, in cui i due attori (il cardiologo e l’oncologo), ognuno con le sue competenze ma “insieme”, prendono in carico il paziente. Cardio Piemonte - 31 N. 2 maggio/agosto 2014 In campo con la nostra Onlus Cardiologie aperte 14 febbraio 2014 In occasione della giornata nazionale Cardiologie Aperte, la nostra associazione con i cardiologi Dottor Federico Conrotto (Cardiologia 2) e Dottor Roberto Grimaldi (Cardiologia 1) ha organizzato una giornata colma di appuntamenti. Al mattino, nell’atrio dell’ospedale presso il Banchetto della Salute dell’Associazione, è stato distribuito un questionario con i seguenti quesiti: 1 Fai una domanda al cardiologo. Ti risponderà durante l’incontro del Pomeriggio del 14 febbraio. 2Conosci gli stili di vita da rispettare per avere un cuore sano? 3In famiglia hai avuto dei famigliari (padre, madre, fratelli) con problemi cardiovascolari? L’invito era esteso a tutti i cittadini che si trovassero presso l’ospedale in quella giornata. Alla conferenza del pomeriggio l’affluenza è stata ottima con notevole partecipazione dei pazienti della Cardiologia. Il nostro Presidente Giornata nazionale Cardiologie Aperte. Il Banchetto della Salute dell’Associazione nell'atrio delle Molinette. 32 - Cardio Piemonte Dottor Danilo Danielis ha ringraziato tutti ed ha presentato i 2 cardiologi. Prima Il Dottor Federico Conrotto e poi il Dottor Roberto Grimaldi hanno risposto alle precise domande del pubblico che ha seguito con estrema attenzione e partecipazione all’incontro. Nella seconda parte del pomeriggio i cardiologi hanno presentato le rispettive cardiologie. Al termine della conferenza si è percepito, tra i partecipanti, molta soddisfazione e la speranza che queste giornate continuino a coinvolgere tutta la popolazione. C.G. Giornata nazionale Cardiologie Aperte. Il tavolo dei relatori durante l'intervento del Presidente dott. Danielis. N. 2 maggio/agosto 2014 L’ASSEMBLEA ANNUALE DELLA ONLUS Toccato il traguardo dei 400 soci, seimila ore di volontariato «Nell’assemblea del 2013 ci eravamo proposti molti obiettivi, sono stati raggiunti?» Nella relazione annuale dello scorso aprile il dott. Danilo Danielis ha fatto il punto sulla situazione degli Amici del Cuore, ricordando che ci eravamo proposti di cercare nuovi soci ‘giovani’, di raggiungere una maggior coesione tra i volontari, di rianimare il centro incontri di corso Moncalieri 18, di svolgere una attività più efficace di informazione sulla nostra associazione presso i pazienti e i loro parenti e di aumentare il numero dei membri della Onlus. «Come al solito – ha detto il presidente - ci sono luci e ombre». Il numero dei ‘giovani’ è rimasto invariato: in alcuni casi chi ha trovato un lavoro ha dedicato ad esso il suo tempo; il rapporto tra i volontari è certamente migliorato ma molte cose sono ancora da realizzare; il centro incontri di corso Moncalieri è decisamente poco frequentato e ogni sforzo per stimolare la presenza di soci è stato vano. Chi ha proposte le avanzi. Ancora: l’azione presso pazienti e famigliari per incrementare le adesioni al 5xmille e far conoscere lo spirito della nostra Onlus avrebbe meritato uno sforzo maggiore. Per contro, è stata efficace la ricerca di nuovi Amici del Cuore. «Oggi - ha sottolineato Danielis - superiamo i 400. Un traguardo raggiunto con contatti tramite la rivista, le visite alle farmacie, l’assidua attività del Dottor Marra, i convegni e gli eventi nelle piazze». L’attività principale dell’anno trascorso si è sviluppata nelle giornate della salute. Abbiamo partecipato a 23 giornate nelle piazze, a 12 giornate nelle farmacie, con forte presenza nei convegni da noi organizzati. Abbiamo inoltre sviluppato corsi per i ragazzi delle scuole medie e medie superiori e contribuito direttamente a eventi curati dalla Circoscrizione 8. Nelle giornate di prevenzione abbiamo contattato oltre 2000 persone di cui un buon numero sottoposto a visita cardiologica ed ECG. I giovani incontrati nei corsi a loro appositamente organizzati, sono stati circa 1000. Il Presidente ha ringraziato i soci per il lavoro svolto e ricordato che a ottobre scadrà il Consiglio Direttivo. È quindi necessario, sin d’ora. che si cominci a pensare alle sostituzioni. Danielis ha invitato tutti a compiere uno sforzo per ottenere più adesioni al 5xmille, «Ciascuno di noi deve diventare “cercatore di noci” affinchè anche importi modesti pervengano e si aggiungano all’attività benemerita del Banchetto della Salute». Le ore di volontariato nel 2013 sono state 6.276. All’assemblea sono intervenuti con contributi interessanti i soci Enrico Zanchi, Caterina Racca e Antonio Palmitessa. Il dottor Marra ha svolto una relazione sul volontariato ospedaliero: «È un’attività complessa ma se ben organizzata può dare molto ai pazienti, alla struttura ospedaliera e riempie l’animo di positività». Questa frase riassume bene tutto il significato della presentazione. Il Vice Presidente ha concluso il suo intervento, illustrando con slides il tema “I benefici dell’attività fisica”. L’assemblea è terminata con la presentazione del Bilancio Consuntivo 2013 e di quello Preventivo 2014, approvati all’unanimità dai soci insieme con la relazione del Presidente. C.G. Cardio Piemonte - 33 N. 2 maggio/agosto 2014 Sintesi di bilancio PIEMONTE ONLUS Associazione di volontariato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari BILANCIO 2013 Attività Immobilizzi Immateriali Immobilizzi Materiali Circolante Attività finanziarie Ratei e Risconti attivi Passività e e e e e Totale Attività e 4.604,00 14.158,00 105.262,00 233.557,00 2.498,00 Fondo di dotazione Risultato a nuovo Fondi ammortamento Fornitori Ratei passivi e e e e e 41.218,00 122.576,00 4.451,00 8.834,00 261,00 Totale passività Risultato Gestione e e 177.340,00 182.739,00 e 360.079,00 Rivista Erogazioni liberali Supporto diagnostica Donazioni di Beni Spese Generali Ammortamenti e e e e e e 19.092,00 105.900,00 28.548,00 29.800,00 37.637,00 7.253,00 Totale oneri Risultato Gestione e e 228.230,00 182.739,00 e 410.969,00 360.079,00 Totale a pareggio RENDICONTO GESTIONALE 2012 Proventi Quote sociali Contributi da privati e soci Racc.fondi Banch/Farmac. Proventi vari Cinque per Mille Totale Oneri e e e e e e 11.715,00 341.018,00 9.679,00 2.981,00 45.576,00 410.969,00 Totale a pareggio 5 per mille a favore degli Amici del Cuore La Legge Finanziaria stabilisce di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno del VOLONTARIATO, delle ONLUS. • È possibile effettuare una sola scelta di destinazione • La scelta del 5 per mille non comporta un aggravio delle imposte da versare da parte del contribuente Vogliamo ringraziarti per aver letto questa informativa e se desideri sostenerci scegliendo la nostra associazione, nella tua dichiarazione dei redditi dovrai inserire il nostro codice fiscale: 97504090016 34 - Cardio Piemonte PIEMONTE ONLUS Associazione di volontariato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari Da spedire a: A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino - CARDIOLOGIA 2 C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO Tel. 011.633.55.64 - Cell. 346.1314392 SCHEDA ISCRIZIONE A SOCIO Il sottoscritto/a: Codice Fiscale: Nato a il Residente a Via/corso/piazza: CAP: Telefono: Cellulare: E-mail: Chiede di poter far parte come Socio/a della Onlus e provvede a versare l’importo di Euro……………………. Quale socio: (socio ordinario € 25 - socio sostenitore € 100+25 - socio benemerito, sopra i € 500+25) Verso la quota in: contanti con bonifico bancario Banca Intesa Sanpaolo - IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305 per conto corrente postale n. 19539105 Intestato a : AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS - Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO N.B. Il versamento della quota per donazione deve essere effettuato a mezzo bonifico bancario Firma Data CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI AI SENSI DEL CODICE SULLA PRIVACY D.L.196/03 Apponendo la firma in calce al presente modulo, manifesto il mio consenso al trattamento dei dati, nel solo ambito delle finalità e modalità dell’attività sociale dell’associazione. Autorizzo il Presidente a informatizzare il mio nome nell’elenco Soci, che non verrà comunicato a terzi, fuori dall’ambito della stessa associazione. Mi riservo di tutelare i miei diritti, in ogni momento, qualora tale disposizione non venga osservata. Firma CUORE: CONVEGNO MONDIALE A TORINO Ancora una volta Torino si appresta a ospitare un evento mondiale in campo medico. Dal 23 al 25 ottobre, presso il Centro Congressi dell’Unione Industriale, sono in programma le XXVI Giornate Cardiologiche Torinesi sotto la direzione del prof. Fiorenzo Gaita e del dottor Sebastiano Marra in rappresentanza dell’Università degli Studi e della Città della Salute e della Scienza. Al congresso, dedicato in particolare ai temi legati alle aritmie (Advances in Cardiac Arrhythmias) e alle innovazioni (Great Innovations in Cardiology), saranno presenti centinaia di specialisti provenienti da tutti i continenti. In primo piano il Gruppo Mayo Clinic, che partecipa insieme con cardiologi tedeschi, francesi e svizzeri, al Comitato Scientifico. Con la regia del prof. Gaita e del dottor Marra, raffigurati all’ombra della Mole nella divertente vignetta a fianco, verranno sviluppati temi, relazioni, memorie che permetteranno di fare il punto sui progressi della cardiologia. Il convegno, che ha unito in uno sforzo comune impegno e competenze di Università e Città della Salute, costituisce l’ennesimo esempio delle tradizioni e della vitalità della scuola medica torinese.