Non solo bianco I segreti e le meraviglie del riso rosso o nero by

Spedizione in Abb.Post. D.L. 353/2003 (N.46 2004) art.1 comma 2 E 3 • ANNO 2014 N. 2
2/2014
II quadrimestre
maggio/agosto
2014
Non solo bianco
I segreti
e le meraviglie
del riso rosso o
nero by Piemonte
Cellule staminali e
cardiologia
Alle Molinette
in campo anche gli
Amici del Cuore
I medicinali sono
preziosi ma guai
a chi dimentica
di rispettare
le prescrizioni
Arterie coronariche
Quanto l’imaging
ha migliorato la
nostra capacità
di curarle
pp. 3-5
pp. 15-17
pp. 22-23
N. 2 maggio/agosto 2014
Sommario
___________________________________ pag
Ricerca: cardiologia e cellule staminali,
c’è anche l’aiuto della nostra Onlus___ 3
EDITORIALE
Farmaci e inquinamento ___________ 5
UNO STRETTO LEGAME CHE RICORDA UN MATRIMONIO
Cuore e rene vanno insieme
nella buona e cattiva sorte_________ 6
GRANDE AIUTO PER CHI SOFFRE DI
IPERTENSIONE ARTERIOSA
Con il te una tazza di benessere_____ 9
DOPO L’ACQUA IL TE È LA BEVANDA
PIÙ BEVUTA AL MONDO
Quella foglia di origine cinese______ 11
VARIETÀ CHE NASCONO ANCHE NELLE RISAIE
DEL PIEMONTE
Il riso, una perla per la salute
Rosso o nero è speciale_________ 13
LA MANCATA ADERENZA ALLA TERAPIA
PRESCRITTA ESPONE A GRAVI RISCHI
Attenti: prendere le medicine
è di capitale importanza__________ 15
FOCUS - INNOVATIVO SISTEMA PER
DIAGNOSTICARE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE
Il minimonitor che salva la vita_____ 16
STUDI E RICERCHE PER UN PROBLEMA DI NON
FACILE SOLUZIONE
Nella malattia coronarica acuta più
difficile la diagnosi per le donne____ 19
UN SINTOMO ALLARMANTE MA NON È IL CUORE
A FARE MALE
Il dolore al torace fa paura.
E se fosse un attacco cardiaco?____ 21
Quanto l’imaging ha migliorato
la nostra capacità di curare
le arterie coronariche____________ 24
CARDIO-TOSSICITÀ E TERAPIA ANTI-NEOPLASTICA
Oncologia e Cardiologia. Lo scenario
dei trattamenti__________________ 27
L'APPROFONDIMENTO
A Torino interessante convegno
periodico tra specialisti___________ 28
IN CAMPO CON LA NOSTRA ONLUS
Cardiologie aperte 14 febbraio 2014__ 32
Toccato il traguardo dei 400 soci,
seimila ore di volontariato_________ 33
Sintesi di bilancio 2013___________ 34
2 - Cardio Piemonte
Il Consiglio Direttivo
Amici del Cuore onlus
Presidente
Danilo Danielis
Vice Presidente
Sebastiano Marra
Caterina Racca
Tesoriere
Michelangelo Chiale
Segreteria
Carla Giacone
Consiglieri
Fiorenzo Ardizzone, Ezio Bosco, Luciana
Cerrini, Michelangelo Chiale, Luisella Chiara,
Danilo Danielis, Ida Fonnesu, Fiorenzo Gaita,
Carla Giacone, Sebastiano Marra, Guglielmo
Moretto, Marcella Pinna, Ornella Pittà,
Caterina Racca, Enrico Zanchi
Sindaci
Cesarina Arneodo e Giuseppe Mamoli
Comitato Scientifico
prof. Fiorenzo Gaita
dr. Sebastiano Marra
dr. Marco Sicuro
dr. Tullio Usmiani
dr. Armando De Berardinis
dr. Maurizio D'Amico
dr. Roberto Grimaldi
Comitato di Redazione
Ezio Bosco, Michelangelo Chiale,
Carla Giacone
Coordinatrice volontari
Caterina Racca
Progetto grafico della rivista
Roberta Serasso
Segreteria di redazione: Carla Giacone
Fotografie: Fiorenzo Ardizzone
Webmaster
Candeloro Buttiglione, Antonio Cirillo
CARDIO PIEMONTE - ANNO X - N. 27 (2014)
Tribunale di Torino 4447 del 26-02-92
Direttore Responsabile: Michele Fenu
ORGANO UFFICIALE DE
AMICI DEL CUORE PIEMONTE • Associazione Onlus
Associazione di Volontariato, no-profit, per la prevenzione e la ricerca
delle malattie cardiovascolari
Sede A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino
Corso Bramante, 88 • 10126 Torino • Tel. 011.633.55.64
Reparto di Cardiologia 2 dr. Sebastiano Marra
Presidente: Danilo Danielis
www. amicidelcuore.ideasolidale.org
e-mail: [email protected]
cell. vicepresidenza 346/1314392
Tipografia: Grafart s.r.l. - Venaria Reale (TO)
Foto di copertina: Fiorenzo Ardizzone; San Bartolomeo, risaie, A.S.Bongo.
N. 2 maggio/agosto 2014
Ricerca: cardiologia e cellule
staminali, c’è anche l’aiuto
della nostra Onlus
di Sebastiano Marra
Quando si parla di terapie con cellule staminali si rischia di suscitare due sentimenti: stupore e delusione. Lo stupore è sicuramente
secondario alle attese verso una nuova e non
ben conosciuta forma di crescita di terapia
verso malattie e patologie che al momento
non hanno una buona attesa di risultati dalle
terapie oggi disponibili e codificate da ben definite linee guida internazionali. La delusione,
accantonando gli scandali da inappropriatezza e non conformità etica, nasce da una storia
nata circa 15-20 anni fa in eccellenti Laboratori di ricerca che non è stata ancora traslata
in una vera efficacia clinica.
Per nostre limitazioni culturali, tratteremo qui
lo stato attuale della ricerca nel solo campo
cardiologico. Mi piace ricordare comunque
che in esso abbiamo una naturale varietà di
quadri clinici di possibile applicazione. Cerchiamo di fare un po' di ordine e di chiarire
cosa sono le cellule staminali.
Iniziamo spiegando che quelle staminali sono
cellule molto indifferenziate e che quindi
hanno una totipotenza differenziativa legata al tessuto nel quale vengono innestate (si
chiama “HOMING”). Ovviamente bisogna tener conto che le cellule staminali progenitrici
(EPC) hanno dei recettori (antigeni) che le differenziano dando loro caratteristiche peculiari
che le rendono affini più ad un tessuto che
ad un altro.
Da dove provengono queste
cellule progenitrici (EPC)
Derivano da vari tessuti, ma prevalentemente dal midollo osseo, dal tessuto adiposo, dal
tessuto mioblastico scheletrico. Come è intui-
tivo, questi tessuti hanno un
altissimo turn-over di ricambio
cellulare e quindi necessitano
di un continuo rinnovamento
delle cellule che li costituiscono. Tenete conto che un globulo rosso ha una vita media
di circa 30 giorni.
Pensate come il tessuto adiposo si forma e scompare rapidamente e quindi pensate alla
vitalità nel ricambio strutturale
che questo possiede.
Ma bisogna sapere che la
stessa struttura cardiaca contiene, nell'apice
del ventricolo sinistro e nell'atrio destro e sinistro, in piccole quantità cellule progenitrici residenti che provvedono ad un “ricambio
fisiologico”, ma ovviamente non in grado di
supportare alle necessità di un grosso danno
distruttivo come quello di un infarto.
Dott. Sebastianno
Marra, Direttore del
nuovo Dipartimento
Cardiovascolare e
Toracico della Città
della Salute e della
Scienza
La terapia con cellule staminali consiste nel
prelevare alcune cellule (dal midollo osseo,
dal tessuto adiposo), selezionarle cercando di
avere una popolazione con caratteristiche antigeniche idonee, quindi arricchirle in modo
da avere una quantità elevata (concetto relativo perchè si rischia di avere qualche decina
di milioni di cellule, quando il danno infartuale colpisce miliardi di cellule).
Quindi questa popolazione selezionata va
iniettata con modalità idonee, cioè direttamente nel circolo coronarico, oppure iniettando direttamente nel muscolo cardiaco
mediante tecnica cardiochirurgica con apertura del torace, oppure con cateteri che si
introducono all'interno del ventricolo sinistro
Cardio Piemonte - 3
N. 2 maggio/agosto 2014
e mediante microaghi vengono a infiltrare il
tessuto cardiaco che si vuole trattare.
Quali solo le grandi patologie che
si è cercato di trattare con queste
terapie?
Finora, il quadro clinico più trattato è stato
l'Infarto Miocardico Acuto. I benefici derivanti
sono stati modesti e non sempre convincenti
per tanti motivi.
Questi studi hanno metodologie differenti,
con popolazioni cellulari differenti, con tempi
d'intervento diversi in pazienti con vari quadri
di danno funzionale.
Bisogna riconoscere che il quadro acuto infartuale ad oggi ha un così ben definito schema
di terapia, che l'uso di queste terapie va focalizzato su quei pazienti che comunque non
hanno un vero beneficio del trattamento di
angioplastica primaria.
Un altro quadro clinico in cui si sta valutando
l'efficacia è l'ischemia cronica che porta a sintomi anginosi persistenti e successivamente
4 - Cardio Piemonte
allo scompenso cardiaco. Il nostro centro ha
iniziato nel 2003 una esperienza con 8 pazienti trattati in un quadro di Infarto Cardiaco
Acuto, ha sviluppato una ricerca di laboratorio sui topolini con l'Istituto Mario Negri di
Milano, ha già trattato 60 pazienti affetti da
angina refrattaria con le shock waves (onde
d'urto) che ha un effetto neoangiogenetico
stimolando l'homing di cellule staminali circolanti.
Nel 2013 ha avuto, in collaborazione con il
Centro Cardiologico Monzino (Milano) nella
persona del Dott. Giulio Pompilio, l'approvazione da parte dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e da parte dell'AIFA sull'uso delle
cellule staminali a provenienza midollare e
ad impiantarle attraverso cateteri particolari
all'interno delle pareti del ventricolo sinistro
sofferente di ischemia refrattaria e scompenso
cardiaco. Queste cellule prelevate dallo stesso
paziente vengono inviate alla CELL FACTORY dell'Ospedale San Gerardo di Monza che
provvede a selezionarle, purificarle e ad ar-
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ricchire in modo da avere un prodotto puro e
altamente efficace nella sua potenzialità.
Tale studio prevede l'arruolamento di 5 pazienti per Centro (noi Molinette, Monzino e
San Gerardo di Monza) per un totale di 15
soggetti. Verrà valutata l'efficacia a distanza
mediante strumenti quali la Scintigrafia Cardiaca, la Risonanza Magnetica Cardiaca per
considerare i miglioramenti clinici e quelli
strumentali.
Siamo orgogliosi di fare il primo trial italiano
con terapie cellulari nella cardiopatia ischemica cronica in quanto trattandosi di una terapia che prevede un trapianto di cellule (anche
se dello stesso paziente) in un organo diverso
da quello che le ha generate. Tale procedura
richiede una assoluta chiarezza etica, rigore
scientifico ed esperienza tecnica nel campo.
Ciò ha permesso a ISS e AIFA di dare un giudizio positivo. Ricordo i miei viaggi a Roma
per ottenere l'approvazione che riteniamo difficilissima da conseguire e quindi meritevole
di grande riguardo.
Lo studio, che è stato appena approvato anche dal nostro Comitato Etico, sta per iniziare.
Consideriamo di trattare il primo paziente tra
la fine di giugno e l'inizio di luglio p.v. Ovviamente questo studio necessita di un notevole supporto economico (circa 20.000 Euro
a paziente) che ci viene dalla nostra ONLUS
Amici del Cuore Piemonte. Un socio ha dato
dimostrazione di grandissima generosità finanziando l'intero Progetto con una donazione di 100.000 Euro.
È nostra intenzione dimostrare il massimo
rigore scientifico e il massimo sforzo tecnico
organizzativo per dare la più ampia possibile
attendibilità nei dati che ricaveremo.
Ringraziando tutti i nostri Soci e i nostri Soci
benefattori, si conferma come la possibilità di
una ricerca avanzata è sempre e soltanto legata a sponsorizzazioni liberali, disinteressate
e profondamente etiche.
Editoriale
Farmaci e inquinamento
di Michele Fenu
La raccolta differenziata è una pratica importante sotto molti aspetti e, in particolare, per
la protezione ambientale e quindi per la salute
collettiva, a maggior ragione per chi non sta
bene. È una pratica che si si sta affermando con una certa fatica e con percentuali di
diffusione che variano sul territorio. Secondo recenti statistiche, al Nord Est le famiglie
che l’hanno adottata sono oltre il 77% contro
il 75% del Nord Ovest, il 48% del Centro e
il 45% del Sud e Isole. È chiaro, o almeno
dovrebbe esserlo, che in questo quadro un
peso rilevante ha lo smaltimento dei farmaci.
Quante volte medicine scadute o ancora valide ma di cui non facciamo più uso per un
motivo o per l’altro finiscono nei cassonetti o,
addirittura, in quei mucchi di spazzatura che
purtroppo costellano i bordi delle strade. C’è
una maggiore attenzione rispetto al passato
rilevano gli osservatori di Federfarma, ma il
problema non è ancora risolto. I farmaci scaduti sono rifiuti urbani non recuperabili perché
sono composti da principi attivi che possono
alterare in forma più o meno grave gli equilibri naturali dell’ambiente. Può sembrare una
esagerazione, specie se li paragoniamo ad altri
drammatici tipi di inquinamento come la Terra
dei Fuochi in Campania, ma i danni ci sono,
eccome. Per il sottosuolo, per i fiumi, per i
pozzi d’acqua potabile, per i depuratori delle
reti fognarie. Nel nostro Paese i farmaci scaduti per la loro potenziale tossicità vanno gettati
negli appositi contenitori presso le farmacie
o portati nei centri ecologici. E le medicine
“avanzate” perché si è cambiata terapia o, meglio ancora, si è guariti? Si va diffondendo l’uso
di altri contenitori dove depositarle dopo aver
controllato l’integrità della confezione e la data
di scadenza: questi farmaci saranno conferiti
al Banco Farmaceutico per la distribuzione a
enti assistenziali. Si evitano sprechi e si aiutano malati in difficoltà. Ricordiamo, ancora,
che le confezioni di carta vanno smaltite nei
cassonetti dedicati ai materiali cartacei. C’è da
augurarsi che la raccolta differenziata dei farmaci sia sempre più osservata. È un’abitudine virtuosa, che, magari, ci evita di assumere
senza saperlo medicinali trasformati i veleni.
Cardio Piemonte - 5
N. 2 maggio/agosto 2014
UNO STRETTO LEGAME CHE RICORDA UN MATRIMONIO
Cuore e rene vanno insieme
nella buona e cattiva sorte
Due organi che interagiscono: il funzionamento dell’uno influenza l’altro.
E le problematiche da risolvere diventano duplici.
di Tullio Usmiani
dott. Tullio Usmiani
Responsabile UTIC
Cardiologia 2
A.O. Città della Salute e
della Scienza di Torino
Il legame esistente tra cuore
e rene è veramente assimilabile ad un matrimonio ed a
loro ben si adatta la formula
di celebrazione; il funzionamento dei due organi è molto
condizionato uno dall’altro e
reciprocamente si coinvolgono nella buona o nella cattiva
sorte.
Per meglio comprendere questa affermazione vorrei esporre in modo molto semplice e
sintetico il funzionamento del
rene, tralasciando quello del cuore che i lettori, essendone per definizione amici, sostanzialmente conoscono.
Il rene ha il compito di depurare il sangue
dalle “scorie” dell’organismo e dai fluidi. Per
fare ciò ciascun rene è costituito da unità funzionali, chiamate nefroni; ogni rene ha un patrimonio di circa un milione di nefroni.
Anatomicamente il nefrone ha inizio con il
glomerulo nella parte superficiale dell’organo
chiamata corticale, poi prosegue con un tubulo nella parte più interna del rene, la midollare, con una lunga ansa a forma di "U"
chiamata Ansa di Henle per poi tornare nella
parte corticale e di lì confluire con gli altri tubuli a formare le vie urinarie. (Fig. 1)
Al nefrone arriva sangue attraverso un’arteriola e questo svolge tre funzioni:
1.Filtrare il plasma facendo passare acqua,
sali, sostanze del catabolismo di piccolo
peso molecolare.
2.Riassorbire le sostanze utili e l’eccesso di
6 - Cardio Piemonte
liquidi: il processo avviene nel tubulo contorto prossimale e distale.
3.Concentrare il filtrato per formare l’urina.
Ora che si è compreso a grandi linee come
funziona, bisogna ancora tener presente che
il rene, come tutti gli organi del nostro corpo,
ha dei sistemi di monitorizzazione e di autoregolazione del proprio funzionamento; cioè
ha dei “sensori” di rilevazione di volume e
pressione del sangue che arriva ed è in grado
di rispondere producendo sostanze che fanno
aumentare entrambi.
Quindi per compensare un insufficiente afflusso ematico, il rene è in grado di produrre e
mettere in circolo sostanze che, aumentando
la pressione arteriosa, gli fa arrivare più sangue per aumentare la filtrazione.
Anche il cuore ha molti meccanismi di controllo e compenso; uno di questi, ad esempio,
è a livello degli atrii che possono anche rilasciare un diuretico “endogeno” per aumentare la diuresi e ridurre il volume di fluidi.
Fig. 1: anatomia macro e microscopica del rene e della sua unità
funzionale il nefrone
N. 2 maggio/agosto 2014
Da questi semplici esempi si comprende
come vi sia un’intensa interazione tra i due
organi: uno, il rene depura e mantiene il volume dei fluidi, l’altro, il cuore, fa circolare
i fluidi ed insieme controllano la pressione
del sistema cardiovascolare come qualsiasi
circuito idraulico. Insieme controllano che il
circuito mantenga una stabilità e se questa
per qualche motivo si altera, mettono in atto
meccanismi di compenso. Purtroppo talora i
meccanismi di compenso, creatisi nell’evoluzione e quindi finalizzati al miglioramento
delle possibilità di sopravvivenza di un essere, possono creare a loro volta dei danni perché la più comune conseguenza di questi sistemi di compenso è l’ipertensione arteriosa.
Come si sa l’ipertensione arteriosa, nel tempo
porta a danno cardiaco, è un fattore di rischio
per lo sviluppo di malattia aterosclerotica coronarica, di ictus, è un fattore molto comune
di genesi di dilatazione dell’atrio di sinistra
e di sviluppo di quell’aritmia, la fibrillazione
atriale, che necessita di anticoagulanti, antiaritmici, cardioversione e anche di procedure
di ablazione. Se perdura per anni, oppure se
è stata complicata ad esempio da un infarto
oppure da un danno valvolare si può giungere all’insufficienza cardiaca che a sua volta,
facendo diminuire la quantità di sangue che
arriva ai vari organi, e quindi anche al rene,
contribuisce a generare insufficienza renale
con conseguente stimolo a produrre ancora di
più sostanze per aumentare la pressione arteriosa e ad amplificare il danno cardiaco. In
questo caso si genera un circolo vizioso dove
si ottiene danno alla funzione renale e danno
alla funzione cardiaca. Naturalmente in condizioni come quelle sopradescritte il medico
può intervenire con farmaci per spezzare il
circolo vizioso: si tratta di utilizzare degli ACE
inibitori, dei sartanici, diuretici, beta bloccanti
ed altri ancora per far mantenere un equilibrio
tra i due organi che altrimenti, lasciati a se
stessi, si trascinerebbero in un vortice di vicendevole danno.
Possiamo ora immaginare scenari di malattie
cardiache che creando una riduzione della
portata (cioè di quanti litri di sangue il cuore
fa “circolare” al minuto – normalmente circa
5); ve ne sono di tipo acuto come l’infarto,
la miocardite, l’endocardite con malfunzionamento acuto di un apparato valvolare con un
improvviso ipoafflusso al rene che può essere
di entità tale da dare anche ipossia e necrosi
tubulare. Si può arrivare ad avere quindi non
solo un danno funzionale ma anche un danno strutturale del rene. In molti di questi casi,
bisogna anche dire, che c’è la possibilità di
un recupero totale della funzione renale una
volta risolto il problema cardiaco. (Fig. 2)
Vi sono poi delle malattie cardiache croniche
come ad esempio la cardiomiopatia dilatativa ipocinetica, malattie valvolari con andamento cronico non ancora con indicazione a
trattamento cardiochirurgico (cito la stenosi
o l’insufficienza aortica, la stenosi o l’insufficienza mitralica) che provocano una costante
riduzione della portata cardiaca e quindi un
cronico ridotto apporto di sangue e ossigeno
agli organi. Logicamente il deterioramento
del rene in questi casi è lento, progressivo ed
inizia con uno stato di infiammazione subclinica, con una lenta impercettibile perdita di
unità funzionali, i nefroni descritti sopra, con
danno endoteliale e con l’aumento delle resistenze vascolari renali che progressivamente
Fig. 2 interazione tra cuore e rene in caso di insufficienza cardiaca
(ACE=inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina; ANP=peptide
natriuretico atriale; BNP=peptide natriuretico tipo B; CO=portata cardiaca;
GFR=filtrato glomerulare; KIM=kidney injury molecule; N-GAL=lipocalina
neutrofila gelatinasi associata; RAA=sistema renina angiotensina aldosterone. Da C. Ronco et al JACC 2008;52:1527
Cardio Piemonte - 7
N. 2 maggio/agosto 2014
portano ad un quadro di fibrosi del rene.
Andando avanti nel tempo il rene funzionando meno provocherà un aumento di fluidi
(si accumuleranno nei polmoni causando
dispnea o nelle gambe creando gli edemi),
tachicardia, deposito nelle arterie di calcio e
fosforo provocandone rigidità con progressione dell’aterosclerosi.
D’altra parte in pazienti che hanno primitivamente una malattia renale si possono sviluppare danni cardiaci secondari; dobbiamo tenere in considerazione anche in questo caso
se il “primum movens” è una malattia renale
acuta, ad esempio una glomerulonefrite, una
necrosi tubulare, una pielonefrite oppure un
improvviso ostacolo della vie urinarie. In questi casi si verifica un accumulo di fluidi, una
Fig. 3 Fisiopatologia della interazione tra rene (a seconda del grado di insufficienza) e cuore. La nefropatia cronica contribuisce a diminuire la funzione
cardiaca e a creare ipertrofia miocardica. BMI=indice di massa corporea;
EPO=eritropoietina; LDL=lipoproteina a bassa densità. Da C. Ronco et al
JACC 2008;52:1527
8 - Cardio Piemonte
vasocostrizione e un’attivazione del sistema
simpatico con conseguente ipertensione arteriosa e possibile scompenso cardiaco fino
all’edema polmonare, aritmie e insufficienza
cardiaca, anche in cuori non precedentemente compromessi. Anche in questo caso,
trattata la malattia acuta del rene è possibile
il recupero completo della funzione cardiaca.
(Fig. 3)
Nel caso di una malattia cronica, per danno
glomerulare o interstiziale, l’insufficienza renale si può aggiungere ai fattori classici di rischio
per aterosclerosi potenziando l’ipertensione
arteriosa e provocando placche e calcificazioni
diffuse sulle coronarie che provocano un quadro di cronica ischemia cardiaca.
Un altro fattore negativo per il sistema cardiocircolatorio dato dall’insufficienza renale è
l’anemia; il rene produce una sostanza, l’eritropoietina, che stimola il midollo osseo alla
produzione di globuli rossi. Se il rene non la
produce vi è minor produzione di globuli rossi
con conseguente anemia che può essere anche significativa. Con questo tipo di anemia
il cuore ha un compito maggiore perché deve
far circolare più velocemente il minor patrimonio di emoglobina per poter ossigenare a
dovere i vari organi; al posto di 4-5 litri al
minuto ne dovrà far circolare anche 6-7 tramite il compenso della tachicardia. È questo
però un maggior lavoro per il cuore che unitamente all’ipertensione, al sovraccarico di
fluidi, alle coronarie danneggiate e all’anemia
stessa, più facilmente può andare incontro a
danni permanenti.
Abbiamo quindi visto come strettamente nel
caso di rene e cuore la funzione di un organo
condizioni quella dell’altro; quanto sopra decritto naturalmente può essere modificato nella sua evoluzione dal trattamento medico che
consente, con appropriati farmaci, interventi
e provvedimenti dietetici e comportamentali
a interrompere il circolo vizioso che si può instaurare e a ristabilire equilibri con la miglior
funzione possibile dei due organi.
Come in ogni matrimonio ci possono essere
crisi, ma ci sono i modi per superarle e per
mantenere il rapporto di coppia a lungo efficiente: ovviamente ci vogliono attenzione e
rispetto l’uno dell’altro.
Salute in tavola
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prev ciazio TE ON
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GRANDE AIUTO PER CHI SOFFRE DI IPERTENSIONE ARTERIOSA
Con il te una tazza di benessere
Può essere bevuto a ogni età e nelle persone anziane migliora la densità ossea.
Gli effetti benefici dei suoi componenti sono molteplici:
aumenta anche le difese immunitarie
di Virginia Bicchiega
Il tè consiste in un infuso o decotto ricavato dalle foglie della Camellia Sinensis un arbusto sempreverde.
I tè possono essere classificati sulla base di diversi
fattori come la zona di produzione, il periodo dell’anno in cui avviene la raccolta delle foglie, il mercato
di destinazione. Tuttavia il fattore più rilevante è dato
dal metodo di lavorazione che le foglie subiscono
dopo la raccolta. In base alla fermentazione, ovvero,
al grado di ossidazione delle foglie si distinguono i
tè verdi (non fermentati), i tè bianchi (leggermente
fermentati), i tè oolong (semifermentati) e i tè neri
(completamente fermentati). I tè possono essere
successivamente “rilavorati” come nel caso di quelli
aromatizzati e profumati ai fiori, pressati o deteinati (decaffeinati). I tè maggiormente consumati sono
quello verde ottenuto dalle foglie fresche e quello
nero ottenuto facendo seccare le foglie, rollandole,
sottoponendole a fermentazione ed infine essiccandole con aria calda. Nella lavorazione del tè bianco
le foglie subiscono una lunga fase di appassimento.
Questo tipo si chiama così perché per ottenerlo vengono utilizzate piante i cui germogli sono ricoperti da
una lanugine bianca particolarmente folta. Infine il
tè oolong si ottiene con una lavorazione intermedia
tra quella del tè nero e quella del tè verde.
• F
lavonoidi: nutrienti vegetali
con azione antiossidante della
famiglia dei polifenoli. Sono
capaci di disattivare i radicali
liberi** potenzialmente dannosi per l’organismi. Il tè è ricco di catechine, in particolare
gallato ed epigallocatechina
gallato (EGCG), thearubigins e
tannino, un flavonoide che da
inoltre potere astringente e gusto amaro al tè.
• Vitamine: tiamina (vitamina
B1), riboflavina (vitamina B2),
inositolo (vitamina B7), biotina
(vitamina B8), niacina (vitamina PP), A, D ed E.
• Oligoelementi: è ricco in potassio e povero di sodio, condizione che lo rende una bevanda perfetta
per le persone che soffrono di Ipertensione Arteriosa. Contiene anche calcio, selenio, rame, zinco
e magnesio. Inoltre il tè può fornire il 70% del
fabbisogno giornaliero di fluoruro indispensabile
nel processo di mineralizzazione delle ossa ed importante nella prevenzione della carie dentaria.
Cosa c’è in una tazza di tè
Gli effetti del tè cambiano a seconda del tipo e della
modalità di infusione (temperatura e durata). Un’infusione breve (circa 2 minuti) estrae dalle foglie di
tè soprattutto caffeina ed ha proprietà stimolanti.
Un’infusione più lunga (3-5 minuti) estrae anche
acido tannico che disattiva la caffeina combinandosi
con essa e attenuando così l’effetto stimolante.
I flavonoidi vengono rilasciati nel primo minuto di
infusione. Tempi di preparazione più brevi corrispondono al rilascio di minori quantità degli stessi.
Il tè non contiene significative sostanze nutrizionali
ed il suo valore energetico è quasi uguale a zero,
tuttavia contiene differenti elementi molto utili per il
benessere dell’organismo, rendendolo così una bevanda perfetta per i consumatori di oggi.
I principali componenti del te sono:
• Metilxantine teina, teobromina e teofillina: alcaloidi stimolanti il sistema nervoso centrale. È
importante sottolineare che al contrario di quello
che credono in molti, la teina non è altro che un
sinonimo della caffeina.
• Teanina: amminoacido psicoattivo che incrementa i livelli di dopamina* nel cervello, riduce
lo stress mentale e fisico, può produrre una sensazione di rilassamento e migliora la sfera cognitiva e caratteriale se assunta in combinazione
con la caffeina.
Il tè e la nostra salute
Il tè può essere bevuto a qualsiasi età, oprattutto nel
caso si conduca una vita stressante proprio per le
sue caratteristiche anti-ossidanti che contrastano i
radicali liberi.
Negli ultimi anni si sono scoperti numerosi effetti
benefici di questa bevanda, soprattutto del tè ver-
Dott.ssa Virginia
Bicchiega
Nutrizionista
Posta:
v.bicchiega@
auxologico.it
*Dopamina: neurotrasmettitore rilasciato
dal cervello che
partecipa a numerose
funzioni tra cui la
memoria, l’apprendimento, il movimento,
l’attenzione, il sonno,
l’umore.
** Radicali liberi:
molecole reattive che
derivano dall’ossigeno
implicate nel danno
cellulare e che partecipano allo sviluppo di
malattie cardiovascolari, infiammazioni,
artriti, cataratta, tumori
ed accelerano i processi di invecchiamento.
Cardio Piemonte - 9
Salute in tavola
Camellia Sinensis
Bibliografia
Marangoni F. Tè e salute.
Prevenzione e stili di vita
Arab L., liu W., Elashoff
D. Green and black tea
consumption and risk of
stroke: a meta-analysis.
Stroke 2009; 40:1786-92
Gardner EJ., Ruzton CH.,
Leeds AR. Black teahelpful or harmful? A review of the evidence. Eur
J Clin Nutr 2007; 61: 3-18
Chung S., Yang and Jenelle
M. Landau Effects of tea
consumption on nutrition
and health. J. Nutr.2000;
130:2409-2412
N. 2 maggio/agosto 2014
de, legati alle sue proprietà antiossidanti
grazie all’elevato contenuto in catechine
(ne costituiscono il 20-40% del peso
secco). Sembra che il tè serva per
fluidificare il sangue regolando l’attività piastrinica, leucocitaria e stimolando le risposte antinfiammatorie; migliorare la funzionalità
delle arterie mantenendo le
pareti elastiche con conseguente riduzione della
pressione, in particolare è
emerso che il consumo costante di
tè nero si possa associare alla riduzione dei livelli sia sistolici che diastolici
in pazienti moderatamente ipertesi;
inoltre sembra che prevenga osteoporosi e dolori articolari e aumenti le difese
immunitarie. La teina e i tannini hanno effetto sul
sistema nervoso centrale stimolando l’attività intellettuale e alleviando la fatica. La presenza di teina
e teofillina stimolano la funzione renale favorendo
l’eliminazione delle tossine e di altre sostanze nocive
per l’organismo.
I sali minerali contenuti nel tè hanno tutti un ruolo
nella corretta omeostasi dell’organismo: il potassio
è importante per regolarizzare il ritmo cardiaco, lo
zinco rafforza il sistema immunitario, calcio e magnesio agiscono su ossa e denti, il manganese aiuta
a metabolizzare zuccheri e grassi, fissa il calcio sulle
ossa e previene l’osteoporosi, il fluoro aiuta a rafforzare lo smalto dei denti e contribuisce alla riduzione
della formazione della placca.
Da diversi studi è emerso che soprattutto nelle donne
anziane, quattro o più tazze al giorno di tè migliorerebbero la densità ossea, mentre negli uomini il
consumo di tè sembrerebbe rappresentare un fattore
protettivo indipendente per il rischio di frattura all’anca. Si suppone che il tè contribuisca ad apportare
fluoruri, in parte presenti nelle foglie che li hanno assorbiti dal suolo ed in parte presenti nell’acqua con la
quale viene preparato, e che a loro volta ridurrebbero
la progressione dell’osteoporosi. Inoltre, sembra che
il tè abbia proprietà dimagranti grazie al suo contenuto in metilxantine (teina, teobromina e teofillina)
capaci di stimolare la lipolisi e quindi l’eliminazione
dei grassi e in catechine che stimolano la termogenesi nel tessuto adiposo bruno. Le stesse sostanze sono
anche in grado di aumentare il metabolismo e hanno
anche un notevole effetto diuretico.
Un caso particolare: il tè verde
Una tazza di tè verde fornisce circa 200 mg di flavonoidi. Tra le catechine degna di nota è l’EGCG che
in studi sperimentali sui topi sembra partecipare
all’inibizione della crescita e della proliferazione delle cellule tumorali. Diversi studi hanno dimostrato
che gli estratti del tè verde partecipano all’inibizione
10 - Cardio Piemonte
dell’angiogenesi tumorale ovvero lo sviluppo dei vasi
tumorali necessari per la crescita e lo sviluppo a distanza (metastasi) del tumore stesso.
Sempre l’EGCG si suppone che sia in grado di ridurre i livelli di colesterolo LDL (il “colesterolo cattivo”
che depositandosi nelle arterie aumenta il rischio di
malattie cardiovascolari) e di trigliceridi, esercitando
per questo un’ azione protettiva dalle malattie cardiovascolari. Maggior effetto si ottiene bevendo il tè
ai pasti in quanto sembra che possa aiutare a ridurre
la quota di grassi assorbiti. In pazienti moderatamente ipercolesterolemici, che consumavano una
dieta controllata secondo le indicazioni del programma educazionale nazionale per il controllo della colesterolemia (NCEP: National Cholesterol Education
Program Step I), l’assunzione quotidiana di 5 tazze
di tè, indipendentemente dalla presenza di caffeina,
ha comportato la riduzione della colesterolemia totale (-6,5%) e del colesterolo LDL (-11,1%).
Alcune ricerche hanno evidenziato che la regolare
assunzione di tè verde si associa ad una riduzione
dello sviluppo di artrite. Sembra infatti che sia impedita la migrazione di cellule infiammatorie nelle articolazioni. Inoltre è stato riscontrato che può inibire
il deterioramento della cartilagine. Questo potrebbe
spiegare il dato che in Cina ed India la diffusione
dell’artrite è inferiore rispetto all’Occidente. I tannini contenuti nel tè verde sono alla base della sua
azione calmante sulla mucosa gastrointestinale ed
essendo una bevanda alcalina neutralizza e combatte l’iperacidità gastrica. L’uso costante può dare un
miglioramento della sintomatologia in pazienti con
malattie di origine nervosa od infiammatoria del tratto digerente. Inoltre è un eccellente rimedio naturale
nelle diarree perché oltre all’effetto calmante agisce
anche come antibatterico.
Il tè verde ha un’ azione antiossidante maggiore rispetto agli altri tipi di tè anche grazie alla presenza
della vitamina C. Questa vitamina, con forte potere
antiossidante e stimolante le difese immunitarie,
normalmente è inattivata dal calore ma grazie all’azione protettiva delle catechine è rilevabile nel tè
verde anche dopo bollitura.
In conclusione anche se in una tazza di tè non si
trova nulla di miracoloso, si tratta di una bevanda
con numerose caratteristiche apprezzabili che può
tranquillamente rientrare nelle abitudini alimentari
di ogni giorno sia perché contribuisce ad aumentare
l’intake quotidiano di liquidi (una corretta alimentazione prevede il consumo di due litri al giorno) sia
facilitando il controllo dell’elevato stress ossidativo
tipico del nostro stile alimentare e di vita. Bisogna
sottolineare che un uso eccessivo, soprattutto di tè
verde, può causare irritabilità e può dare problemi
sia gastrici (caffeina) che epatici (riscontrati casi di
tossicità legati all’uso degli estratti del tè verde).
Ha partecipato alla stesura di questo articolo: Dott.ssa Paola Belci
Cibo & curiosità
N. 2 maggio/agosto 2014
DOPO L’ACQUA IL TÈ È LA BEVANDA PIÙ BEVUTA AL MONDO
Quella foglia di origine cinese
Una storia millenaria tra imperatori e monaci. Nel ‘700 la domanda
in Inghilterra era così alta da scatenare contrabbando e mercato nero.
E dai semi della pianta si produce un olio da cucina.
di Franco Orlandi
Ho partecipato in un’erboristeria a Rivoli, nella
parte vecchia e suggestiva della città, ad una serie
di serate introduttive sul tè. Professionalità, competenza e affabilità hanno permesso, in un clima
caldo e accogliente, di appropriarmi di tutta una
serie di indicazioni e informazioni sul mondo del
tè. Questo mondo è suggestivo, perché esotico e
carico di storia, utile, per le molteplici implicazioni sulla salute e stimolante dal punto di vista
merceologico, per i diversi tipi di lavorazione delle
foglie di tè che ne determinano il pregio e il costo.
Innanzitutto tutti i tipi di tè traggono origine dalla
lavorazione delle foglie, dei germogli e di altre parti della “Camellia Sinensis”, originaria della Cina,
o della “Camellia Assamica”, originaria dell’India settentrionale. Il tè è la bevanda più bevuta
al mondo, dopo l’acqua. Secondo la leggenda, la
passione per il tè deriva dalla scoperta casuale
delle sue proprietà benefiche da attribuire all’imperatore cinese Shen Nung, studioso erborista
che, ricercando la massima igiene, era solito bere
l’acqua solo dopo averla bollita. Un giorno, nel
lontanissimo 2737 a.C., Shen Nung si era seduto
all’ombra di un albero di tè selvatico. Una leggera
brezza di vento giunse improvvisa e staccò alcune
foglie dall’albero. Queste volteggiarono e finirono
per cadere nell’acqua che l’imperatore stava facendo bollire per sé. Accortosi dell’incidente Shen
Nung, per curiosità, decise di assaggiare l’infuso
che ne era derivato: era buonissimo, rinfrescante e
gli procurò nuova energia. Shen Nung aveva scoperto la bevanda del Tè.
Nella storia della Cina, però il personaggio più importante in assoluto nel mondo del tè è Lu Yu. Denominato “il dio del tè” è considerato dagli orientali il massimo esperto della bevanda, autore del
tradizionale “Il canone del tè”. Una biografia del
personaggio non esiste, ma molto si racconta di
lui. Secondo alcuni sarebbe vissuto nella seconda
metà del VII sec. d.C. Lu Yu nacque nella provincia di Hupei, in Cina, e secondo la storia venne
subito abbandonato dai genitori sulla sponda di
un fiume. Il neonato venne fortunatamente tro-
vato da un abate del Monastero
Zen del Dragone della Nuvola, il
maestro Chi Ch’an che lo adottò
dandogli il nome di Lu Yu, ispirato dal testo dell’I Ching - Libro dei
Mutamenti. Il significato di questo nome è piuttosto complesso:
“L’oca selvatica avanza guardinga
verso la terraferma (Lu). Le sue
piume (Yu) possono essere utilizzate a scopo rituale - buona
fortuna”. Crescendo il ragazzo,
nonostante le sollecitazioni del
monaco, non si interessò alle
dottrine mistiche Zen ma preferì gli insegnamenti di Confucio,
più adatti ad un uomo di stato. Il maestro, per
metterlo in difficoltà, gli assegnò vari compiti umili
come pulire gli orinatoi del monastero e seguire
una mandria di buoi. Il desiderio di conoscenza
del giovane fu più forte. Un racconto lo descrive
a cavallo di un bue mentre si esercita nella scrittura. Venne il momento, nella sua vita che, vinto
dalla noia, decise di abbandonare l’ambiente del
maestro per andare con un gruppo di musicisti
ambulanti. Lu Yu non fu bello d’aspetto ed ebbe
qualche difficoltà di linguaggio, ma riuscì a supplire al problema con una certa dose di umorismo,
inoltre fu piuttosto dotato nello scrivere testi di
spettacoli e poesie. Diventò rinomato musicista e
poeta e sviluppò un’altra grande passione: quella
per il Tè. Dopo un certo periodo da girovago qual
era diventato, ritornò dal maestro ma vi rimase
poco. Ripartì e andò a stabilirsi nella provincia di
Chekiang dove divenne famoso per il suo talento.
Qui visse gli ultimi decenni della sua vita, da solo,
a rivedere i suoi scritti tra i quali spicca appunto
“Il canone del tè”.
La sua opera, unica nel genere, descrive la pianta
del tè e gli strumenti adatti alla coltivazione e gli
utensili necessari per la lavorazione delle foglie.
Inoltre descrive dettagliatamente la preparazione
dell’infuso. Parla del tipo di acqua più adatto e
Franco Orlandi
Cardio Piemonte - 11
Cibo & curiosità
N. 2 maggio/agosto 2014
“Fai una deliziosa ciotola di tè.
Disponi la carbonella in modo
da scaldare l’acqua.
Arrangia i fiori come lo sono
nei campi.
D’estate, evoca la freschezza;
d’inverno, il calore.
Precorri in ogni cosa il tempo.
Preparati alla pioggia.
Dedica ai tuoi ospiti la massima
attenzione.”
(Le sette regole del
tè secondo Sen Rikyu
(1522-1591)- cerimonia
giapponese (CHA NO
YU),di cui i quattro
principi fondamentali
sono armonia, rispetto,
purezza e tranquillità)
dei vari tipi di tè. Dai vari
racconti, quello che risulta evidente è che Lu Yu
rimase il massimo esperto dell’epoca ed ebbe una
capacità unica nel riconoscere la qualità dell’infuso
di tè, al punto da riconoscere se l’acqua usata per
l’infusione veniva presa al
centro di un fiume o nelle
vicinanze della riva. Conferma ulteriore di questa
conoscenza venne dal padre adottivo. Si narra che
all’abate piaceva talmente
l’infuso preparato da Lu Yu
che, quando questi se ne andò per la seconda
volta di casa, smise di bere il tè. Egli amava molto
il suo maestro tanto che in una composizione, nel
ricordare la morte del vecchio, egli con abile suggestione poetica, affermò che, «per quanto ritenga importante l’acqua attinta dalle pure sorgenti
di montagna, berrei volentieri tè preparato con
acqua comune se questa provenisse dal luogo
dove viveva mio padre».
Ma molte sono le curiosità che costellano la storia
di questa pianta. Inizio dicendo che i semi della
Camellia Sinensis possono essere spremuti per ottenere un olio dolciastro usato in cucina, da non
confondersi con l’olio essenziale detto “dell’albero del tè” (tea tree oil in inglese), che in realtà
è estratto da una pianta differente e ha uso cosmetico e medicinale. L’olio di semi del tè viene
spremuto a freddo, ha un elevato punto di fumo
(250°C) ed è l’olio da cucina principale in alcune
province meridionali della Cina, quali lo Hunan.
L’olio di semi di tè assomiglia all’olio d’oliva e all’olio di semi d’uva per le sue eccellenti proprietà di
conservazione e il ridotto contenuto di grassi saturi. Oltre all’impiego come condimento, per salse,
fritture e produzione di margarina, viene utilizzato
per produrre sapone, olio per capelli, lubrificanti,
vernice e un olio antiruggine nonché nella sintesi
di altri composti ad alto peso molecolare. L’olio di
semi di tè giapponese viene impiegato per il trattamento dei capelli dei lottatori di sumo e per la
tempura (pastella per fritture). Durante la dinastia
Tang, dal VII al X sec. si sviluppò in Cina il cosiddetto Tributo del Tè, che consisteva nell’invio di
un quantitativo scelto di tè all’Imperatore che doveva essere destinato al suo consumo personale
e quindi la raccolta (detta “Imperiale”) doveva seguire regole speciali e rigidamente codificate. Tra
queste quella che imponeva alle giovani raccogli-
12 - Cardio Piemonte
trici l’uso di guanti e il divieto assoluto di mangiare
cibi dall’odore troppo intenso, quali cipolle e aglio
e spezie piccanti, per salvaguardare le foglie da
eventuali sgradevoli contaminazioni.
Nel '700 la domanda di tè in Inghilterra era talmente cresciuta che i mercanti non riuscivano a
soddisfare tutte le richieste, soprattutto quelle delle classi più modeste. Per questa ragione si rivolgevano al contrabbando e al mercato nero dell’Olanda. Il pericolo maggiore erano però le truffe
a base di tè adulterato: al tè venivano aggiunte
foglie essiccate di piante come la liquirizia e il frassino, cotte, frantumate e decolorate con melassa
e chiodi di garofano e poi immerse nello sterco di
pecora. Dal 1618, anno in cui per la prima volta
lo zar Michele III ne ricevette in dono, i russi diventarono i principali importatori di tè cinese (nero
e leggermente affumicato). Il tè veniva trasportato
in Russia da grandi carovane composte anche da
300 cammelli, ognuno dei quali arrivava a portare
circa 270 kg di tè. Il viaggio durava da 16 a 18
mesi e alla fine del XVIII sec. i russi consumavano tisane, ogni anno, pari a 6.000 carichi di
cammelli. Alla fine del XVII sec. in Inghilterra il tè
più economico costava 7 scellini la libbra (453
gr.), equivalente a una settimana di paga per un
operaio.
Oggi il tè più caro nel catalogo della prestigiosa
casa francese Mariage Frères è il The Jaune Cinq
Dynasties, che costa 50,00 Euro ogni 20 gr. (cioè
1.132,50 Euro per 1 libbra: lo stipendio mensile
di un impiegato). Il tè giunse in Europa accompagnato dalla fama di potente rimedio contro molte malattie, come sostenevano da secoli i medici
cinesi. Ma non mancavano le opinioni contrarie,
espresse con foga dai detrattori della bevanda. Un
curioso caso coinvolse il re Gustavo III di Svezia
che si fece promotore di un esperimento: a due
condannati a morte venne commutata la pena in
ergastolo ma dovevano sorbire per mesi ben 15
tazze al giorno di tè il primo e di caffè l’altro. Lo
scopo era valutare la supremazia di una bevanda
sull’altra. La sperimentazione, però, ebbe un esito
imprevisto perché entrambi i clinici, incaricati di
seguire le sorti dei condannati, morirono di morte naturale pochi giorni dopo il suo inizio. Prese
il controllo direttamente re Gustavo, assassinato
poco dopo in una congiura di nobili. Le due cavie
da esperimento si salvarono e godettero di ottima salute fino a tarda età, portando a termine la
prova. Infine alcuni modi di dire. In Germania il
termine “bollitore da tè” si usa anche per indicare
una persona pigra o un sempliciotto. Mentre l’espressione “ricevere il proprio tè” significa invece
essere cacciati via, venire liquidati.
N. 2 maggio/agosto 2014
VARIETÀ CHE NASCONO ANCHE NELLE RISAIE DEL PIEMONTE
Il riso, una perla per la salute
Rosso o nero è speciale
I tipi colorati aggiungono ai tanti vantaggi l’azione antiossidante dei pigmenti
utili per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
di Angelo Sante Bongo
Il riso costituisce l’alimento principale per metà della
popolazione mondiale. È ipoallergenico, facilmente
digeribile, manifesta molte proprietà di tipo funzionale. Ma qual è l'origine del riso? Le prime piante
di Oryza sativa nacquero dalla selezione naturale di
un’erba selvatica nelle zone paludose e monsoniche
dell’Asia. Primi a coltivarlo i cinesi, circa 6000 anni
fa, seguiti 3000 anni più tardi, dagli indiani. L'Oryza
sativa ha dato vita a tre sottospecie: Indica, coltivata nell’Asia monsonica e negli USA, Javanica, tipica dell’area indonesiana, Japonica, adatta alle zone
temperate, dalla quale derivano le varietà coltivate
nella Pianura Padana. In europa è arrivato dai paesi arabi che ne acclimatarono la coltivazione e lo
diffusero in Spagna e Sicilia. In Italia, alchimisti e
botanici iniziarono, nel Medioevo, a selezionarne il
seme mentre la coltivazione “massiccia” fu introdotta nel triangolo Novara, Vercelli, Pavia a partire dal
Quattrocento. Per molti asiatici e africani il riso è,
come recita uno degli slogan della Fao “Rice is life”
non un semplice prodotto destinato al consumo, ma
alimento essenziale per la “vita”. La sua crusca abbassa il colesterolo; non mondato o semi integrale,
è adatto in tutte le diete alimentari e per ogni tipo di
malattia; normalizza alcanizzando il pH dell’intestino
favorendo quindi la proliferazione della giusta flora
intestinale. Per l’uso alimentare, il riso integrale o
semi integrale è ottimo e molto più digeribile del frumento. La crusca di riso è importante perché contiene antiossidanti, minerali e vitamine. Poco lavorato,
quindi solo decorticato, cioè non brillato, fa scendere i protidi ed i suoi grassi, mentre i glicidi salgono.
Non esiste malattia che non tragga giovamento con
la terapia alimentare a base di riso integrale o semi
integrale. Per coloro che hanno allergie al “glutine”,
il riso in fiocchi è insostituibile, nelle affezioni della
pelle si raccomanda riso cotto nel latte.
Il riso bollito fino ad ottenere una pastetta, per
cataplasmi da utilizzare su dermatosi, furuncoli,
su emorroidi lenisce il dolore e dà sollievo. Il bagno in vasca con amido di riso 200-500 gr. in un
sacchetto nella vasca, favorisce il
mantenimento della pelle giovanile. Si tratta inoltre di un “cibo
funzionale” (FF: functional food)
ovvero un alimento capace di indurre vantaggi salutistici, al di là
del suo contenuto nutrizionale
classicamente inteso. In una società come la nostra che chiede
vie alternative alla medicina tradizionale per migliorare la salute e
prevenire la comparsa di malattie,
l’inserimento di cibi funzionali in
programmi educazionali e nelle
indicazioni comportamentali nutrizionali diventa sempre più importante. I cibi funzionali contengono una sostanza o
un mix di composti che favorisce una o più funzioni
dell’organismo e/o la prevenzione o il trattamento di
specifiche patologie. In particolar modo suscitano
un notevole interesse, come alimenti salutari e benefici soprattutto per la prevenzione delle malattie
cardiovascolari due varietà di riso “colorate”: il riso
nero ed il riso rosso.
Riso nero. Le antocianine, pigmenti presenti in vari
frutti e vegetali come coloranti naturali, sono antiossidanti idrosolubili appartenenti alla famiglia dei flavonoidi, noti per essere presenti nei frutti di bosco
ma anche nell’uva e nelle melanzane e conferiscono
la colorazione scura di tutti questi alimenti. Nel riso
nero è stata dimostrata la presenza di elevate quantità di tali pigmenti, che hanno dimostrato di possedere elevate proprietà antiossidanti e di “scavenger”
ovvero “spazzini” di radicali liberi in svariati modelli
sperimentali in vitro con prevenzione del danno del
DNA e della ossidazione delle LDL (frazione dannosa del colesterolo). Inoltre, l’estratto di tali pigmenti
è in grado di ridurre la formazione di ossido nitrico,
un potente produttore di radicali liberi, senza indurre
danno cellulare. Gli studi sull’attività antiossidante
delle antocianine contenute nel riso nero sono stati
Dott. Angelo Sante
Bongo
Direttore Cardiologia II
ASOU "Maggiore della
Carità" - Novara
Cardio Piemonte - 13
N. 2 maggio/agosto 2014
effettuati anche su modelli animali. Presso la Scuola
di Salute Pubblica di Guangzhou, nella Repubblica
Popolare Cinese, si è dimostrata la capacità della
frazione pigmentata del riso nero di ridurre la formazione di placche aterosclerotiche. Questi ricercatori
hanno focalizzato l’attenzione su un modello animale spiccatamente aterogenico, caratterizzato da deficienza di Apolipoproteina E. Gli animali sono stati
divisi in tre gruppi trattati con una dieta standard o
con la medesima dieta arricchita con 5 grammi di
frazione pigmentata del riso nero per 100 grammi o
con riso bianco. Il gruppo di animali nutrito con dieta arricchita in frazione pigmentata del riso nero manifestava una componente aterosclerotica ridotta del
48% rispetto al gruppo con dieta standard del 46%
rispetto al gruppo trattato con dieta arricchita in riso
bianco. Si verificava inoltre un incremento statisticamente significativo dell’HDL colesterolo (frazione
utile) e una diminuzione della componente LDL
(frazione dannosa). Questi ed altri dati suggeriscono che il riso nero, una varietà coltivata in Cina da
più di mille anni fino al XIX secolo, prodotta esclusivamente per l’imperatore e la sua corte, mentre i
poveri lo utilizzavano per gli ammalati, i bambini e
le donne prima e dopo il parto, possa manifestare
benefici salutistici associati al controllo dello stress
ossidativo. Questa varietà fino a qualche anno fa
non era coltivabile in Italia, perché non adatta al
clima a causa della sua fotosensibilità e instabilità.
Per questo motivo il riso nero è stato incrociato con
varietà locale allo scopo di ottenere un riso a pericarpo nero, adatto all’ambiente climatico italiano.
In Cina si dice….
Senza fatica non si mangia neppure un
granellino di riso.
Uno lavora e nove mangiano riso.
Il riso conserva sempre l’odore della terra in cui è maturato.
Gli uomini morirebbero per i soldi come gli uccelli per
indigestione di riso.
Dividere il proprio riso con un amico sincero sazia e disseta
il doppio.
Nonostante tu possa estendere i tuoi campi all’infinito, non
potrai mai mangiare più di tanto riso al giorno; e nonostante
possa rendere la tua casa grande come un castello, quando ti
sdraierai non occuperai più spazio di prima.
Se fai piani per un anno, semina riso. Se fai piani per dieci
anni, semina un albero. Se fai piani per una vita, educa le
persone.
14 - Cardio Piemonte
È stato prodotto, quindi, dopo alcuni anni di lavoro
per ottenere una linea stabile dopo gli incroci artificiali, un riso nero, regolarmente iscritto al registro
nazionale con il nome “Venere” e coltivato in alcune
zone del nostro Paese.
Riso Rosso. Il riso rosso contiene procianidina acetilata, un’antocianina con dimostrate attività antiradicali liberi. Il riso rosso, fermentato mediante l’azione del lievito Monascus purpureus, è utilizzato
in Cina sia come cibo che come rimedio medicinale
da alcune centinaia di anni, oltre che sotto forma
di polvere, come colorante per cibi quali formaggi,
pesce e bevande alcoliche. Attualmente numerosi
studi condotti in vitro hanno dimostrato che questo
lievito presenta la caratteristica di inibire l’attività
dell’enzima HMG-CoA redattasi, il quale è coinvolto nei meccanismi che determinano l’aumento
della colesterolemia. Agli studi in vitro sono seguite
esperienze cliniche nell’uomo che hanno dimostrato
come l’assunzione di riso rosso fermentato per dodici settimane determini una significativa diminuzione
dei livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi e un aumento dei valori di HDL. Il pigmento
rosso del riso rosso fermentato in presenza di Monascus purpureus fornisce delle sostanze chiamate monacoline, statine naturali, capaci di inibire la
produzione di colesterolo. Tuttavia, la preparazione e
la produzione di monacoline rappresentano un processo biologico che deve essere controllato e standardizzato in termini di qualità. Heber e Colli, hanno
recentemente analizzato, presso il center for Human
Nutrition della UCLA di Los Angeles, più campioni
di riso rosso, dimostrando una marcata varietà nella
quantità di monacolina presente (da 0% a 0.58%),
con evidenza della completa varietà di 10 monacoline in una sola delle nove preparazioni testate.
Occorre quindi cautela e attenzione nell’affrontare
il problema; occorre standardizzare la tecnologia di
preparazione del riso rosso per garantire la disponibilità di supplementi dietetici attivi ed efficaci e,
nel contempo, limitare la produzione di sottoprodotti
negativi della fermentazione, quali la citrinina.
Conclusioni
Il riso costituisce non solo un ottimo alimento ma
rappresenta un cibo funzionale ovvero che apporta
benefici alla salute di chi lo assume. I tipi di riso
colorati aggiungono ai tanti vantaggi salutistici di
questo straordinario alimento, l’azione antiossidante
dei pigmenti che ne determinano il colore. Migliorare la qualità del riso dipende dallo sviluppo di nuove varietà, che ottimizzino le proprietà e i vantaggi
funzionali di questo alimento. Il riso del futuro sarà,
quindi, non solo di qualità, ma permetterà al consumatore di associare ai piaceri della tavola un’azione
di prevenzione sulla propria salute.
In primo piano
N. 2 maggio/agosto 2014
LA MANCATA ADERENZA ALLA TERAPIA PRESCRITTA ESPONE A GRAVI RISCHI
Attenti: prendere le medicine
è di capitale importanza
«I farmaci non funzionano nei pazienti che non li assumono» (C. Everett Koop)
di Roberto Grimaldi
Cosa significa “assumere le medicine ovvero
aderenza alla Terapia”?
L’aderenza è assumere i farmaci consigliati, seguire una dieta e/o realizzare dei cambiamenti
nello stile di vita. In genere il paziente è considerato “aderente al trattamento” se assume più
dell’80% dei farmaci prescritti.
Nei paesi occidentali, l’aderenza al trattamento
terapeutico prescritto, arriva solo al 50%. La
non aderenza si manifesta principalmente nel
non assumere alcune dosi di uno o più farmaci
prescritti.
La scarsa aderenza al trattamento si colloca,
per tutte le malattie, tra le cause principali di
risultati clinici sub-ottimali. La miglior terapia
prescritta, può diventare, a causa della scarsa assunzione, non efficace, così da esporre il
paziente a rischi, sia con un impatto negativo
sulla qualità di vita, sia con un aumento del
numero di ricoveri e perfino con un aumento della mortalità. Ma quali sono i motivi che
fanno si che un paziente sia poco aderente ad
una terapia?
Motivi legati al paziente
Una scarsa aderenza verso i consigli medici
ed all’assunzione della terapia prescritta sono
dovuti alla non accettazione della malattia da
parte del paziente o alla scarsa comprensione
della necessità di ricorrere a delle cure, o alla
mancanza di fiducia nel proprio medico (atteggiamento che porta al cosiddetto “nomadismo
medico”, alla ricerca cioè del medico che dica
quello che il paziente vorrebbe sentirsi dire).
L’aderenza è influenzata anche dal valore che
i pazienti attribuiscono al trattamento e alla
motivazione a seguirlo. I sintomi della malattia devono essere significativi da far avvertire il
bisogno al trattamento e devono essere percepiti come acuti e trattabili, e il trattamento deve
offrire una rapida diminuzione
dei sintomi stessi. L’aderenza
si è dimostrata più bassa nelle
malattie asintomatiche.
Vi sono inoltre ulteriori motivi
per una scarsa aderenza da
parte del paziente alla terapia
come ad esempio una errata
interpretazione della prescrizione, una dimenticanza, lo
scetticismo sulla necessità
dell’assunzione del farmaco e
anche motivazioni inconsce
(incolpare il farmaco di eventi avversi). Sicuramente per i
pazienti meno motivati, anche le vie di somministrazioni (iniezioni, compresse difficili da
deglutire) hanno la loro importanza nella riduzione o nell’abbandono della terapia prescritta.
La lettura dei “bugiardini” con i lunghi elenchi
dei possibili effetti collaterali crea più allarmismo che fiducia nella risoluzione della sintomatologia da parte del farmaco da assumere.
Un’altra causa è la paura della dipendenza dal
nuovo farmaco.
Dott. Roberto Grimaldi
Cardiologia
Universitaria
Motivi legati alla malattia
L’aderenza alla terapia diminuisce con il passare del tempo, quindi più la terapia si protrae
più il paziente tende a non seguirla o non seguirla completamente. Inoltre dopo i periodi di
fase acuta quando il paziente si sente meglio
tende a non essere più rigoroso nella assunzione dei farmaci.
La gravità della malattia, la presenza di sintomi, l’andamento della malattia, la comorbidità,
la percezione del paziente della sua patologia
sono perciò elementi fondamentali dell’aderenza alla terapia.
Cardio Piemonte - 15
In primo piano
N. 2 maggio/agosto 2014
Motivi legati al medico
«Scrivere una ricetta è facile, parlare con chi
soffre è molto più difficile» (F. Kafka)
Anche i medici possono essere i responsabili
della non aderenza dei loro pazienti, quando
prescrivono complesse terapie con assunzione
di molti farmaci ogni giorno.
Se un paziente dovrà assumere 10 farmaci
in una giornata, sarà più probabile che se ne
dimentichi qualcuno, rispetto a un paziente
che deve assumere un solo farmaco. Talvolta i
medici non riescono a comunicare in maniera
efficace con i propri pazienti, per tale motivo il
paziente non comprende la natura e la gravità
della propria malattia, non capisce i rischi della
patologia per la sua sopravvivenza e per la sua
qualità di vita.
Fattori economici di aderenza
Ultimo, ma non ultimo in quanto importanza,
è il “fattore costo” del farmaco. Tale problema,
nel nostro paese è meno sentito rispetto ad altri, dal momento che viviamo in un sistema sa-
nitario efficiente che copre gran parte dei costi
dei farmaci che consumiamo.
Tuttavia in molti casi non è così! Il sistema
sanitario, infatti, spesso copre solo una parte
del costo del farmaco e una parte dev'essere
comunque pagata dal cittadino sotto forma di
ticket. Si tratta spesso di cifre modeste, ma in
determinate situazioni economiche tali cifre
possono costituire un problema all’aderenza
verso il farmaco.
Sono stati fatti molti studi per valutare quanto
il costo totale o parziale dei farmaci influisca
sull’aderenza. Per scoprirlo si è cercato di ridurre o eliminare i costi dei medicinali. Un’influente studio vede come protagonisti pazienti
dimessi con diagnosi di infarto del miocardio.
La popolazione dello studio è stata divisa in
due gruppi: al primo gruppo i farmaci di prevenzione venivano dati gratuitamente, al secondo gruppo, invece, a pagamento.
Si è visto che l’aderenza al farmaco è stata modesta in entrambi i gruppi, anche se migliore
(di circa il 6%) nel gruppo a cui farmaci veni-
Focus
INNOVATIVO SISTEMA PER DIAGNOSTICARE LA FIBRILLAZIONE ATRIALE
Il minimonitor che salva la vita
Impiantato sottocute con una siringa controlla fino a 100 milioni di battiti
La fibrillazione atriale è un’aritmia cardiaca
comune che colpisce fino al 10 per cento
della popolazione over 60: nel 2050 si stima
che tale aritmia coinvolgerà più di 28 milioni
di persone. La fibrillazione atriale è caratterizzata dalla perdita della normale regolarità
del ritmo cardiaco e viene generalmente percepita come batticuore irregolare che spesso
si accompagna ad affaticamento fisico. Nelle
sue fasi iniziali può essere di breve durata
(parossistica), ma con il passare del tempo
tende a peggiorare e i sintomi diventano quotidiani (persistente).
Oltre a provocare sintomi, è associata a un
rischio tromboembolico, soprattutto a livello
cerebrale. La fibrillazione atriale è infatti responsabile di un terzo degli ictus che si ve-
16 - Cardio Piemonte
rificano ogni anno. Si sospettava inoltre, senza
averne dimostrazione, che la fibrillazione atriale
potesse essere correlata alla presenza di piccole lesioni cerebrali ischemiche, apparentemente silenti, e che queste potessero essere causa
di decadimento cognitivo e demenza precoce.
Il legame diretto tra fibrillazione atriale, danno
cerebrale e declino cognitivo è stato per la prima volta dimostrato da uno studio pubblicato
sul numero del 19 novembre 2013 del “Journal
of the American College of Cardiology”. Tale
studio, grazie al coordinamento del Professor
Fiorenzo Gaita, di un gruppo di cardiologi e
neuroradiologi dell’Ospedale di Asti e della Città
della Salute e della Scienza di Torino, ha coinvolto pazienti affetti da fibrillazione atriale e un
gruppo di controllo. Il dato più eclatante è che,
In primo piano
N. 2 maggio/agosto 2014
vano dati gratuitamente. Quindi anche il fattore
economico può essere importante nell’aderenza alla terapia. Importante è ricordare come le
spese sostenute dal sistema sanitario nel fornire i farmaci a costo gratuito, vengono controbilanciate dal risparmio in termini di cure ospedaliere evitate, perchè i pazienti che assumono
correttamente i farmaci sono pazienti che tendono ad essere ricoverati meno frequentemente rispetto ai pazienti che non gli assumono. I
farmaci tenuti negli armadietti fino alla data di
scadenza e mai assunti non sono di beneficio
nè al paziente nè al sistema sanitario.
Esistono metodi per misurare la
"Non Aderenza"?
Esistono moltissimi metodi per misurare la
scarsa aderenza alla terapia, essi si dividono in
metodi diretti e metodi indiretti.
I metodi diretti includono l’osservazione diretta
del paziente che assume il farmaco o misurazioni della concentrazione di farmaco nel sangue attraverso un prelievo.
I metodi indiretti, molto meno invasivi, includono questionari e/o diari auto-compilati dai
pazienti, oppure il conteggio delle compresse
ancora rimanenti nella scatola dopo un certo
periodo di trattamento, o la raccolta delle ricette mediche consegnate da un paziente alla
propria farmacia e infine i metodi di monitoraggio elettronici. Il sistema di monitoraggio elettronico dell’aderenza è una sorta di contenitore
per compresse “intelligente”. Esso registra su
un chip quante volte il coperchio del contenitore viene aperto. Si può così capire quante volte
il farmaco sia stato usato. Dalla complessità di
questi metodi si capisce però come il miglior
metodo è avere un paziente motivato e correttamente informato.
Cosa può succedere al paziente
che non è aderente alla terapia?
Per quanto riguarda le situazioni cliniche acute
l’esempio più eclatante riguarda l’assunzione
degli antibiotici.
Il rischio è non assumere più le medicine non
di Fiorenzo Gaita
alla risonanza magnetica cerebrale, i pazienti
con fibrillazione atriale parossistica presentano
un numero di lesioni cerebrali più che doppio rispetto al gruppo di controllo e il numero di lesioni aumenta ulteriormente quando la fibrillazione
atriale diventa quotidiana. In aggiunta, il numero di lesioni cerebrali, apparentemente silenti, è
risultato essere proporzionale alla performance
cognitiva. Queste evidenze confermano che il
fisiologico decadimento della funzione cognitiva
è sicuramente aggravato dal danno tromboembolico cerebrale correlato alla presenza e durata
della fibrillazione atriale.
È necessario prevenire i rischi di eventi cerebrali sintomatici (ictus) o apparentemente silenti
ma correlati a decadimento cognitivo, con la
diagnosi precoce e la cura preventiva, anche
proponendo una terapia radicale dell’aritmia tramite l’ablazione transcatetere, metodica nata nel
1996 a opera del Professor Gaita in Piemonte e
del Professor Haissaguerre in Gironda e rapidamente diffusa in tutto il mondo (oltre 300 mila
pazienti all’anno).
Solo il 6 per cento dei pazienti con fibrillazione
atriale viene, tuttavia, correttamente diagnosticato tramite l’holter cardiaco esterno, che il
paziente indossa per qualche giorno. Grazie
ad un nuovo innovativo sistema, il Reveal
LINQ, la percentuale di diagnosi corretta sale
al 98,5 per cento: si tratta del più piccolo
monitor cardiaco impiantabile che, iniettato
sottocute con una siringa, rivoluziona il monitoraggio cardiaco migliorando la diagnosi
per alcune delle patologie più pericolose e
difficili da riconoscere quali la sincope e la
fibrillazione atriale. Il piccolissimo monitor è
una vera e propria “scatola nera” del cuore
che, monitorando fino a circa 100 milioni di
battiti cardiaci, consente una diagnosi certa
ed un controllo costante e indispensabile per
impostare la miglior terapia possibile per la
fibrillazione atriale e per verificarne l’efficacia.
Il Reveal LINQ ha da poco ottenuto l’autorizzazione CE alla commercializzazione in
Europa ed è stato impiantato con successo
presso l’Ospedale Molinette su due pazienti
con sospetta fibrillazione atriale silente.
Cardio Piemonte - 17
In primo piano
N. 2 maggio/agosto 2014
appena il disturbo svanisce, o assumerle per
un periodo più breve di quello consigliato dal
medico curante.
Ciò può portare a conseguenze a volte anche
gravi sia perché c’è il rischio di non debellare l’infezione, sia perché l’assunzione per un
periodo più breve del necessario può indurre
una “resistenza” all’antibiotico precocemente
sospeso con la ricomparsa dell’infezione non
debellata e l’instaurarsi di ceppi di batterici più
virulenti e la necessità di ricorrere a un nuovo
e più potente antibiotico. Stesso discorso può
essere fatto per l’errato uso degli antibiotici, per
esempio, durante una infezione virale, quando
il loro uso è inutile. La questione si complica ulteriormente quando devono essere curate
malattie croniche che necessitano dell’assunzione di un numero elevato di farmaci protratti
spesso per tutta la vita. Anche dopo un evento
così importante come l’infarto miocardico molti
pazienti non seguono i comportamenti, le norme dietetiche e farmacologiche a cui dovrebbero attenersi per evitare o ridurre le recidive
di tale evento.
In America un grosso studio chiamato PREMIER ha seguito circa 2000 pazienti che avevano avuto un infarto miocardico. A questi
pazienti alla dimissione venivano prescritti farmaci (aspirina, betabloccanti e statine) aventi
lo scopo di ridurre i fattori di rischio che avevano portato all’evento infartuale e ridurre la
possibilità di una recidiva.
Purtroppo già alla visita di controllo del primo
mese circa un terzo dei pazienti si era autosospeso uno o addirittura tutti e tre i farmaci
prescrittigli. Ma è importante assumere i farmaci prescritti dopo un infarto? Noi crediamo
di sì se si pensa che tra i pazienti che dopo
un anno si erano autosospesi i farmaci morivano il 12% in più rispetto a quelli che avevano assunto correttamente tutta la terapia. Tra i
farmaci che vengono prescritti nel post infarto
gli ipolipemizzanti, ovvero le statine, vengono
frequentemente sospese.
In uno studio basato su circa 20.000 pazienti
post infartuati, ben il 60% interrompe la terapia
a base di statine entro due anni dall’ospedalizzazione. Conseguenza della scarsa aderenza,
purtroppo, anche in questo caso è l’aumento
della mortalità.
Anche malattie dilaganti nelle società occidentali, come la malattia diabetica, presentano una
scarsa aderenza alle norme dietetiche e a quelle farmacologiche. Recenti studi evidenziano
18 - Cardio Piemonte
come nei soggetti con diabete di tipo 2 (quello
più propriamente legato all’età e a regimi alimentari non corretti perché ricchi di zuccheri)
solo tre quarti assume correttamente i farmaci
più frequentemente prescritti: gli ipoglicemizzanti orali. Ma non va meglio ai pazienti in
terapia insulinica dove l’assunzione corretta
nell’eseguire la terapia insulinica oscilla tra il
20 e l’80%. L’adesione alle raccomandazioni
dietetiche è invece di circa il 65%. Ancor più
bassa (minore del 30%) è l’aderenza all’esercizio fisico consigliato, essendo noto come esso
possa contrastare il peggiorare della malattia. È
importante ricordare come una scarsa aderenza
ha sempre ricadute negative, anche se possono
non essere immediatamente manifeste.
Anche per quanto riguarda l’ipertensione,
(chiamata altresì “pressione alta”), la non aderenza alla terapia medica causa un cattivo controllo dei valori pressori.
Per contro l’elevata aderenza alla terapia antipertensiva si associa ad una riduzione significativa del 38% del rischio di eventi cardio vascolari, quali possono essere, ad esempio, un
infarto o uno scompenso cardiaco.
Concludendo...
In questo articolo abbiamo cercato di porre
l’accento su alcune questioni, da noi ritenute
degne di nota, ma purtroppo trascurate. L’aderenza alla terapia, è importante!
Certo è molto difficile essere aderenti a una terapia quando si debbano assumere 10 o 12
compresse al giorno, e di nessuna o di poche
di queste si conoscono quali malattie curano
e quali effetti collaterali possono provocare.
Spesso i pazienti non riconoscono i farmaci dal
nome, ma dalla forma e dal colore della compressa, non conoscono quale malattia curino
né i potenziali effetti collaterali. Questa condotta, tuttavia, può rivelarsi nociva per la salute
dei pazienti. Infatti può capitare che, durante
un episodio febbrile, per evitare di assumere
troppi farmaci, venga sospesa la “compressa
bianca” piuttosto che “quella gialla”.
Potrebbe, tuttavia, essere stata sospesa inavvertitamente l’assunzione di farmaci fondamentali per la vita, con conseguenze anche
molto gravi. Il ruolo dei medici, pertanto dovrebbe essere quello di cercare di spiegare al
meglio “la funzione” dei farmaci che vengono
prescritti rispetto alla patologia, in modo che il
paziente li assuma con maggiore consapevolezza migliorando lo stato di salute.
N. 2 maggio/agosto 2014
STUDI E RICERCHE PER UN PROBLEMA DI NON FACILE SOLUZIONE
Nella malattia coronarica acuta
più difficile la diagnosi
per le donne
Notevole la differenza con il sesso maschile. L’insidia nasce dall’assenza di
sintomatologia o dalla presenza di segnali fuorvianti come quelli relativi alla
depressione la cui prevalenza è maggiore in campo femminile
di Armando De Berardinis
Molti anni fa, durante un turno di notte in
Unità Coronarica, venni contattato dal Pronto
Soccorso per effettuare una valutazione cardiologica in una donna di circa 60 anni che si era
presentata per una sintomatologia poco chiara
insorta, in modo intermittente, da giorni.
Il mio contributo di cardiologo veniva richiesto, assieme a molte altre varie consulenze ed
esami, con una tecnica molto poco scientifica
e talora molto pericolosa che si basa sul principio: a chiedere tanti esami si fa peccato, ma
a volte qualcosa salta fuori.
Fu così che alle 3 del mattino mi portarono
in reparto la paziente, in quel momento asintomatica ed in buone condizioni, che lamentava da alcuni giorni eruttazioni solo durante
il cammino. Dal giorno prima il sintomo si ripresentava anche a riposo e durava al massimo 10 minuti, motivo per cui la donna si era
recata in Ospedale. Tutti gli esami effettuati
in Pronto Soccorso, compreso l'ECG, erano di
norma. L'esame cardiologico che effettuai era
del tutto normale. Stavo già concludendo la
visita quando la paziente iniziò nuovamente a
lamentare il disturbo.
Decisi allora di effettuare un nuovo ECG: i
miei maestri mi avevano insegnato che la diagnosi di malattia coronarica nelle donne poteva essere molto difficile e spesso fuorviante,
e quel sintomo mi lasciava molte perplessità.
Fu con una certa, permettetemi, soddisfazione che notai nel tracciato i segni della presen-
za di una sindrome coronarica
acuta. La somministrazione di
Nitroglicerina sublinguale fece
scomparire le alterazioni ECG
ed il sintomo.
Era già noto allora, seppur
in modo molto empirico, che
esisteva una certa differenza
uomo-donna nella presentazione sintomatologica della
coronaropatia, condizione che
giocava sfavorevolmente nel
sesso femminile sia in termini
di diagnosi erronea e/o tardiva, sia di maggiore mortalità e minore beneficio dei trattamenti.
Ma perchè? Si trattava solo di una erronea
percezione oppure c'era realmente qualcosa
di diverso nella presentazione e decorso di
una malattia comune?
Più recentemente queste problematiche hanno ricevuto un'attenzione crescente.
Nel 1995 è stato pubblicato un libro intitolato
"Men are from Mars, women are from Venus"
(gli uomini vengono da Marte, le donne da
Venere) in cui si afferma che nei due sessi
le differenze fondamentali psicologiche inducono un rapporto col mondo ed una risposta
alle situazioni in modi totalmente distinti.
È quindi possibile che la stessa cosa possa
succedere nella malattia coronarica acuta?
È proprio per cercare di dare una risposta a
Dr. Armando
De Berardinis
Cardio Piemonte - 19
N. 2 maggio/agosto 2014
questi quesiti che nel corso degli ultimi anni
sono stati pubblicati articoli, commenti e ricerche scientifiche.
Il National Registry of Myocardial Infarction
(NRMI), ad esempio, ha raccolto ed analizzato i dati di 2.160.671 pazienti [42% di
sesso femminile] ricoverati per infarto miocardico (IMA) nel periodo 1977-2006 negli
Stati Uniti d'America ed in Cina. Si tratta di
uno dei registri più numerosi esistenti nell'IMA. Il dato più interessante è stata la percentuale totale di soggetti con diagnosi positiva
presentatisi senza sintomi (35,4%), significativamente maggiore nelle donne (42% vs
30%, p<0,001) ed in particolare al di sotto
dei 65 anni. E, a conferma di quanto sopra
detto, proprio in queste pazienti si è verificata la maggiore mortalità durante il ricovero.
Complessivamente, in questo studio, il decorso ospedaliero è stato comunque più complicato rispetto agli uomini.
Per spiegare queste differenze è stato invocato
un meccanismo biologico genere-dipendente:
ad esempio nel Framingham Heart Study le
manifestazioni iniziali della malattia coronarica nelle donne erano l'angina stabile o instabile, mentre negli uomini erano la morte
improvvisa o l'IMA.
Inoltre nelle giovani donne il dato anatomico prevalente era costituito da un minor restringimento del lume coronarico rispetto alle
donne anziane o agli uomini, segno che la
sindrome coronarica acuta poteva essere la
conseguenza di uno stato di ipercoagulabilità,
infiammazione, spasmo coronarico o rottura
di una placca aterosclerotica.
Nello studio APACE (Advantageous Predictors
of Acute Coronary Syndrome Evaluation) in20 - Cardio Piemonte
vece, condotto in Svizzera, Spagna e Italia,
nel tentativo di capire se vi fossero dei sintomi
genere-specifici, sono stati raccolti i dati provenienti da pazienti ricoverati per IMA sulla
base del sintomo. Sono stati definiti ben 34
tipi di dolore/disturbo toracico. Solo per due di
essi tuttavia è stata rilevata una significativa
differenza uomo-donna: la durata del dolore
(>30') era più frequente nelle donne, così
come la riduzione dell'intensità col passare
dei minuti (nell'uomo il dolore più spesso tendeva a persistere immutato anche per ore).
Non vi era invece differenza di rilievo per gli
altri sintomi analizzati e correlati alla diagnosi
di IMA. Tuttavia, alcuni dei disturbi registrati,
come la presenza di dolore sensibile alla palpazione, mancanza di fiato, dolore irradiato
alla gola o al dorso o comparsa improvvisa,
non avevano alcuna correlazione con l'IMA
ed erano significativamente più frequenti nelle donne.
Se ci si sposta dal piano dell'emergenza di
un pronto soccorso a quello ambulatoriale
di diagnostica preventiva, e cioè prima che
compaia l'Infarto, le cose non sono per nulla
più semplici. Si pensi, ad esempio, che da
una raccolta personale di dati relativi a donne
afferenti ad un ambulatorio territoriale di cardiologia, circa il 60% >50 anni si era presentata per dispnea da sforzo ed affaticamento,
contro una percentuale molto bassa (20%)
negli uomini.
Poichè, come è noto dalla letteratura scientifica, tali sintomi sono anche tra le più frequenti
manifestazioni della depressione, la cui prevalenza, incidenza e morbilità è maggiore nel
sesso femminile, è del tutto evidente quali
possano essere le difficoltà interpretative e
diagnostiche della malattia coronarica.
È pertanto chiaro che, come si è visto, il dolore toracico non può essere considerato come
l'esclusivo sintomo dell'infarto soprattutto
nelle donne. L'identificazione però di sintomi
genere-specifici rimane una sfida.
Fino ad allora non potremo che dire: «gli uomini vengono dalla Terra... Le donne pure».
Bibliografia
- JAMA, 2012;307(8): 813-822
- JAMA Intern Med, 2014;174(2): 241-250
- BJPsych, 2000;177:486-492.
N. 2 maggio/agosto 2014
UN SINTOMO ALLARMANTE MA NON È IL CUORE A FARE MALE
Il dolore al torace fa paura
E se fosse un attacco cardiaco?
In realtà solo una bassa percentuale di pazienti ha una sindrome coronarica acuta.
Le ragioni sono altre: disturbi respiratori quali l’embolia polmonare, la pleurite o lo
pneumatorace. Frequenti e molteplici le cause esofagee come il reflusso
di Luca Dughera
Il dolore toracico può manifestarsi improvvisamente ed in qualsiasi momento. Spesso si tenta
di ignorarlo in un primo momento, ma il dolore
toracico di solito spaventa e preoccupa. Non è
insolito che chi è affetto da un dolore toracico
pensi: «Potrebbe essere un attacco di cuore? Si
deve andare al pronto soccorso?».
Il dolore toracico è uno dei più comuni e allarmanti sintomi per i quali i pazienti afferiscono ai
dipartimenti di emergenza, potendo dare conto
del 5-7% del totale degli accessi. Il dolore toracico comprende un’ampia varietà di sensazioni,
da quelle meno gravi a quelle che sono ad alto
rischio per la vita del paziente, ma solamente
una bassa percentuale dei pazienti che si presentano con questo sintomo ha una sindrome
coronarica acuta.
È essenziale che, soprattutto quando non si è
più giovani, si prenda coscienza dell’importanza
dell’insorgenza di un dolore toracico che prima
non si era mai verificato. Questo vale specialmente per le persone anziane, in particolare se
di sesso maschile, fumatori, ipercolesterolemici,
ipertesi, o con una famigliarità positiva per coronaropatia. In genere è molto difficile che un
dolore toracico, in un giovane o in soggetti di
età inferiore a 40 anni, sia di origine coronarica.
Nella donna è più frequente dopo la menopausa. Ma qualche volte non è comunque il cuore!
Esistono infatti diverse condizioni cliniche (Tabella 1) in grado di determinare un dolore toracico spesso non distinguibile da quello della
sindrome coronarica, che viene denominato dolore toracico non cardiaco (Non Cardiac Chest
Pain, NCCP). Tra le cause non cardiache si
riconoscono disturbi respiratori quali l’embolia
polmonare, la pleurite e lo pneumotorace. L’embolia si verifica quando un coagulo di sangue
entra nell’arteria polmonare, bloccando il flusso
di sangue al tessuto polmonare. È una patologia estremamente grave, che raramente si
verifica senza precedenti fattori
di rischio, come ad esempio
interventi chirurgici recenti o
immobilizzazione.
La pleurite si determina quando la membrana che riveste la
cavità toracica e copre i polmoni si infiamma più frequentemente per infezione virale o
batterica.
Sempre imprevedibile, la variante spontanea dello pneumotorace è probabilmente
la forma più comune, che affligge soprattutto
maschi giovani dalla corporatura esile e longilinea. Responsabile di difficoltà respiratorie anche importanti e di improvviso dolore toracico,
lo pneumotorace spontaneo delinea un quadro
clinico complesso, consistente nell’accumulo di
aria o gas nel cavo pleurico e nel conseguente
collasso del polmone.
Altre cause, abbastanza frequenti sono dolori
toracici di origine neuro-muscolare-scheletrica,
che sono diffusi, persistenti, accentuati dalla
pressione locale sui muscoli o sulle coste, variabili a seconda della posizione del soggetto,
mai accompagnati da malessere generale; dolori spesso molto localizzati e circoscritti alla parte
sinistra dello sterno, i quali possono durare ore
e giorni specie in pazienti con artrosi cervicodorsale.
Sono infine causa assai frequenti di NCCP diversi disturbi digestivi quali l’esofagite, l’ernia
iatale, il reflusso gastroesofageo, lo spasmo ed
altri disturbi della motilità esofagea e gastrica,
l’ulcera gastrica e duodenale e la calcolosi della
Dottor Luca Dughera
SS Motilità ed
endoscopia
digestiva
Medicina indirizzo
urgenza 2
Città della Scienza
e della Salute
Cardio Piemonte - 21
N. 2 maggio/agosto 2014
colecisti. In questa breve esposizione si vuole
focalizzare l’attenzione sulle cause esofagee di
NCCP, che rappresentano senza dubbio quelle
più comuni e meno distinguibili dalla sindrome
coronarica. Si stima che in Europa la malattia
da reflusso (MRGE) interessi, nel suo complesso comprendendo anche le forme lievi, circa il
40% della popolazione. La prevalenza di MRGE
è uguale nei due sessi. Il picco di incidenza della patologia si registra intorno ai 35-45 anni. Le
situazioni più gravi, con complicanze, sono oggi
meno rare nei soggetti giovani e più frequenti
nella terza e quarta età. La MRGE determina
bruciore (pirosi) localizzato in sede retrosternale (a causa dell’azione acida del contenuto gastrico sulla mucosa dell’esofago), il rigurgito di
materiale acido ed il dolore epigastrico (avvertito
poco sotto lo sterno. Più del 50% di soggetti con
NCCP secondo una recente presenta reflusso
gastroesofageo. La sintomatologia dolorosa appare correlata all’azione irritativa diretta del refluito, acido e non-acido, sulla mucosa esofagea
ed è spesso indistinguibile dal dolore anginoso
dell’ischemia cardiaca, ma si attenua
Tabella 1
o spesso si risolve
CAUSE DI DOLORE TORACICO
completamente con
NON CARDIACO (NCCP)
l’assunzione di antiacidi. Se trascurata, la
Dissezione aortica
MRGE può compliMalattie polmonari
carsi e dare luogo ad
esofagite erosiva ed
•Embolia polmonare
all’esofago di Barrett,
•Pleurite, polmonite
quest’ultima trasfor•Pneumotorace
mazione della mu•Tumori polmonari o mediastinici
cosa esofagea che si
Malattie muscolo - scheletriche
verifica dopo reflusso
•Artrite, borsite
molto prolungato nel
•Costocondrite
tempo e che rappresenta un fattore di
•Patologie del disco intervertebrale
rischio per sviluppa•Spasmi muscolari
re l’adenocarcinoma
Malattie neurologiche
dell’esofago.
•Neurite intercostale
Gli esami per dia•Herpes Zoster
gnosticare la MRGE
sono soprattutto l’eMalattie gastrointestinali
sofagogastroduode•Disturbi della motilità esofagea
noscopia (EGDS) e la
•Malattia da reflusso
pH-metria esofagea
gastroesofageo (MRGE)
delle 24ore.
•Ulcera gastrica e duodenale
L’EGDS è l’analisi del
•Litiasi della colecisti e vie biliari
lume
dell’esofago,
dello stomaco e del
Ansia e iperventilazione
duodeno attraverso
22 - Cardio Piemonte
un apposito strumento a fibre ottiche che consente una visione diretta, universalmente noto
come “gastroscopio”. La sua importanza clinica
è fondamentale nella diagnosi precoce e nella
valutazione delle affezioni gastroenterologiche.
Alcune delle più comuni patologie che possono
essere diagnosticate tramite l’EGDS sono l’ernia
iatale, l’esofagite, la gastrite/gastroduodenite e
l’ulcera peptica, gastrica o duodenale.
La pH-metria esofagea delle 24 ore è l’esame più sensibile e specifico per la diagnosi di
MRGE. Grazie alla pH-metria è possibile valutare il grado ed il tempo di esposizione dell’esofago
al reflusso, l’intervallo impiegato dall’organo per
ripulirsi dall’acido, la relazione del disturbo e dei
suoi sintomi con i pasti e l’entità degli stessi. Durante la pH-metria, un sondino in gomma viene
infilato nella narice del paziente e fatto scendere
sino al termine dell’esofago o nel lume dello stomaco; durante la procedura il paziente rimane
seduto su un lettino e viene invitato a deglutire
ripetutamente piccoli sorsi d’acqua in modo da
favorire la discesa della sonda. L’esame, sostanzialmente, non è doloroso e al più provoca sensazioni fastidiose al passaggio del sondino nella
gola; per questo motivo, prima di procedere, viene spruzzata una piccola quantità di anestetico
spray in una narice del paziente. Raggiunta la
sede anatomica desiderata, il tratto di sonda che
fuoriesce dal naso viene fissato con alcuni cerotti
e collegato ad un registratore portatile. All’altro
capo del sondino, grazie all’ausilio di un elettrodo collegato a tale estremità, vengono rilevati i
valori di pH, puntualmente trasmessi al registratore. Il giorno successivo tutta l’apparecchiatura
viene tolta e i dati registrati nelle 24 ore vengono
quindi analizzati al computer e confrontati con
le informazioni annotate dal paziente (viene generalmente chiesto di riportare su un apposito
diario gli orari di inizio e fine pasto, le variazioni
posturali, le pause di riposo ed i periodi di insorgenza di eventuali sintomi).
Immediatamente dopo la MRGE, i disordini
da accentuata motilità peristaltica dell’esofago
rappresentano una causa piuttosto frequente di
NCCP. Sono caratterizzati dalla presenza di contrazioni muscolari da avanzamento del bolo alimentare (le così dette onde peristaltiche), che si
presentano violente e/o non coordinate tra loro,
e dall’incapacità di rilascio dello sfintere esofageo. Poiché le contrazioni spastiche dell’esofago
possono raggiungere intensità molto elevate, di
solito il dolore toracico è molto intenso, costrittivo, postprandiale e più spesso notturno, spesso
N. 2 maggio/agosto 2014
realmente non distinguibile da quello di origine
cardiaca coronarica.
L’esofago “a schiaccianoci” e l’esofago “a cavaturaccioli” sono disturbi abbastanza rari, caratterizzati da una incrementata motilità esofagea dell’esofago e la cui causa non è per lo
più determinabile; nell’esofago a schiaccianoci
si hanno contrazioni normalmente coordinate,
ma con ampiezza e durata media eccedenti la
norma, che vengono avvertite in maniera fortemente dolorosa. L’esofago a cavaturaccioli (o
spasmo esofageo diffuso, SED) si caratterizza
per numerose contrazioni non coordinate e non
peristaltiche, simultanee e quindi non propulsive, che si manifestano dopo la deglutizione
con dolore intenso pseudo anginoso. Si tratta di
disturbi associati sovente a condizioni di stress
psico-fisico, diagnosticabili solo mediante l’esame manometrico e lo studio radiologico seriato
del transito alimentare nell’esofago (Figura 1).
Un’altra causa non rara di NCCP è rappresentata dalla acalasia, malattia nella quale il mancato rilascio dello sfintere esofageo inferiore è di
solito associato ad un ridotto e non coordinato
movimento dell’esofago. È frequentemente causato dalla deplezione dei neuroni inibitori del
tono muscolare ed il sintomo più indicativo è la
disfagia, ovvero la sensazione di arresto del bolo
alimentare “dietro lo sterno”, spesso doloroso. Si
tratta di un genere di disfagia detta paradossa,
in quanto coinvolge sia l’ingestione dei liquidi
che dei solidi, e pertanto si differenzia dalla disfagia progressiva che riguarda prevalentemente i liquidi; si accompagna frequentemente al
rigurgito di materiale alimentare. La diagnosi
viene posta tramite la manometria esofagea e lo
studio radiologico del transito.
La manometria è un esame “funzionale”, in
quanto studia le funzioni toniche o contrattili
del viscere in studio. La manometria esofagea
misura le funzioni toniche delle strutture pressorie presenti nell’esofago, lo sfintere esofageo
inferiore (LES) e superiore (UES) e le variazioni pressorie provocate dai movimenti esofagei,
siano essi spontanei o evocati da boli standard
di liquido. Nella acalasia la manometria dimostra sia l’assenza di movimento muscolare
esofageo che l’aumento della pressione dello
sfintere esofageo inferiore. La manometria utilizza un catetere collegato con un tubo flessibile,
collegato ai trasduttori. Il catetere ha dei buchi
lungo la sua parete attraverso i quali fuoriesce
della soluzione fisiologica. In caso di contrazione dell’esofago, un segnale “di ritorno” è captato
Figura 1 - SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO: Aspetti radiologici e manometrici tipici
dai vari trasduttori, amplificato, e condotto ad
un pennino o ad un computer che elabora una
grafica. L’esame dura 20 minuti ed il paziente
è sveglio e deve restare sul lettino sdraiato. Il
catetere passa attraverso una narice e raggiunge lo stomaco e la pressione viene misurata a
diversi livelli.
La diagnosi accurata di questi disturbi della motilità esofagea è di grande importanza, in primis
per rassicurare il paziente sulla natura “non cardiaca”, in secondo luogo per un trattamento del
sintomo, che è comunque invalidante in ragione
della sua ripetitività e scarsa prevedibilità.
La terapia è di pertinenza specialistica, gastroenterologica ed eventualmente chirurgica. Ad
oggi purtroppo non esistono farmaci specifici
per trattare i disturbi esofagei causa di NCCP;
per i disturbi primitivi vengono di solito sfruttati
aspetti secondari di farmaci che hanno indicazione primaria in disturbi del sistema nervoso
centrale, quali antidepressivi, ansiolitici e miorilassanti. Sono anche possibili trattamenti endoscopici (iniezione di Botox o dilatazione) ed
anche chirurgici (miotomia), a seconda dello
specifico quadro motorio che si sia identificato.
In caso di disturbo secondario alla MRGE l’aspetto preminente è il trattamento del reflusso,
sia con terapia medica farmacologica, endoscopica (trattamento con radiofrequenza dello
sfintere esofageo inferiore) o chirurgica (plastica
anti-reflusso laparoscopica).
Il Sevizio di Motilità ed Endoscopia Digestiva
della Città della Salute e della Scienza opera da
anni nel campo della diagnostica e della terapia dei disturbi motori esofagei con strumentario avanzato e tecniche di avanguardia ed è in
grado oggi di offrire una completa assistenza a
quei pazienti che, dopo un accesso in Pronto
Soccorso per dolore toracico, vengono dimessi
perché “non è il cuore a fare male”.
Cardio Piemonte - 23
N. 2 maggio/agosto 2014
Quanto l’imaging ha migliorato
la nostra capacità di curare
le arterie coronariche
di Maurizio D’Amico
Dott. Maurizio
D'Amico,
Responsabile
Laboratorio
Emodinamica
Cardiologia 2
A.O. Città della Salute
e della Scienza di
Torino
La principale tecnica di imaging per l’esecuzione di procedure di cardiologia interventistica coronarica è ovviamente
l’angiografia. Le moderne apparecchiature attualmente a
nostra disposizione ci consentono la valutazione quantitativa delle stenosi coronariche e
del calibro dei vasi (QCA).
Queste misurazioni permettono al cardiologo interventista
di scegliere il calibro e la lunghezza dei palloncini da utilizzare e le dimensioni e la lunghezza degli stent
endocoronarici da impiantare. Altre tecniche
si sono progressivamente aggiunte e sono entrate nella pratica interventistica quotidiana.
Due tecniche in particolare da alcuni anni ci
permettono di indagare i vasi coronarici.
La prima chiamata IVUS è un’ecografia intracoronarica e ci permette di avere informazioni
morfologiche sulla struttura del vaso; la seconda chiamata FFR, che utilizza una guida
in grado di misurare la pressione all’interno
della coronaria, ci fornisce informazioni fun-
zionali sul grado di severità della lesione che
stiamo indagando.
Ecografia Intravascolare - IVUS
L’angiografia non fornisce informazioni sul
processo patologico della parete vasale, l’imaging ecografico intravascolare (IVUS) consente la valutazione del processo aterosclerotico
e il monitoraggio delle modificazioni di parete
indotte dagli interventi terapeutici offrendo
informazioni complementari all’angiografia.
L’ecografia endocoronarica permette una visualizzazione diretta del lume, delle strutture
parietali con alta risoluzione, fornendo informazioni per la misurazione della placca e del
vaso.
Le principali indicazioni per l’IVUS sono:
•Valutazione di lesioni calcifiche
•Dimensioni del vaso
•Analisi della placca aterosclerotica e grado
di patologia
•Posizionamento e scelta dello stent
•Studio della funzione endoteliale.
Le misurazioni delle dimensioni è uno dei più
grandi vantaggi dell’IVUS.
Tali misurazioni sono accurate e precise e le
più frequentemente utilizzate sono:
•Diametro del lume e del vaso
•Diametro percentuale di stenosi
•Area del lume
•Area percentuale di stenosi.
L’IVUS è indicata soprattutto dove esiste una
discrepanza tra la presentazione angiografica
24 - Cardio Piemonte
N. 2 maggio/agosto 2014
e quella clinica. L’immagine IVUS è più precisa dell’angiografia nell’identificazione dell’area del lume e del grado di rimodellamento
del vaso.
Fractional Flow Reserve – FFR
Si tratta di una procedura basata su di un
filo guida endocoronarico che può accuratamente misurare la pressione sanguigna in
uno specifico punto di un’arteria coronarica.
La misurazione della fractional flow reserve si
è dimostrata utile nella valutazione del grado
funzionale di severità di una lesione coronarica. Questa valutazione, durante l’esecuzione di una coronarografia diagnostica, è fondamentale in quanto permette al cardiologo
interventista, quando incontra lesioni angiograficamente intermedie, di interrogarle funzionalmente e di decidere quindi di eseguire
o meno una angioplastica o se il paziente può
essere lasciato in modo sicuro in sola terapia
medica.
Per esempio una lesione appare all’angiografia misurabile come 60% in paziente completamente asintomatico per angina, il cardiologo e lo stesso paziente potrebbero essere
tentati di scegliere la via del trattamento della
lesione per diverse ragioni.
In fondo c’è un restringimento, perché non
preoccuparsene?
Pochi minuti di misurazione con uno speciale
filo guida possono rivelare che un intervento
su quella lesione non avrà un significativo impatto clinico e quindi evitarlo.
Essere in grado di selezionare meglio i nostri
casi non solo ha un effetto benefico sui costi
del sistema sanitario, ma soprattutto contribuisce ad una più appropriata cura del paziente.
Numerosi studi come il COURAGE, il DEFER
e più recentemente lo studio FAME hanno
portato alla riduzione di 1/3 del trattamento
delle stenosi che fossero solo state valutate
con l’angiografia. Questo comportamento virtuoso è associato a migliori risultati clinici per
i pazienti.
Tomografia Ottica Computerizzata
– OCT
FFR = Pd/Pa (Pd = pressione distale alla lesione, Pa = pressione
prossimale alla lesione)
La tomografia ottica computerizzata (OCT) è
una nuova tecnica che genera immagini ad
alta risoluzione delle lesioni coronariche. La
metodica si basa sull’utilizzo di un catetere
intracoronarico ad invio di un fascio di luce
ad infrarossi e sulla riflessione della stessa da
parte delle strutture che vengono incontrate.
Il miglioramento della risoluzione delle immaCardio Piemonte - 25
N. 2 maggio/agosto 2014
gini OCT, rispetto a quelle IVUS, è considerevole.
La tecnica è pertanto in grado di studiare
strutture di dimensioni molto contenute che
sono al di là delle capacità risolutive dell’ultrasonografia.
Studi in-vitro di recente pubblicazione dimostrano che l’OCT è in grado di identificare
le componenti della placca aterosclerotica
con altissima sensibilità e specificità. In un
recente studio le immagini OCT sono state
confrontate con la valutazione istologica eseguita in diversi segmenti arteriosi autoptici
con aterosclerosi. Le placche fibrose erano
indicate come zone ecogene in modo omogeneo, quelle fibrocalcifiche come poco ecogene
e ben delineate (bordi netti) ed infine quelle
lipidiche come porzioni a debole ecogenicità
e meno definite (bordi meno distinti). Le tre
componenti della placca venivano individuate
con una sensibilità e specificità superiore al
90%.
Fig. - Esempi di definizione della placca aterosclerotica mediante IVUS e OCT. Il riquadro in alto a sinistra, ottenuto mediante OCT, mostra una formazione lipidica (freccia). Si può apprezzare l’alta definizione dell’immagine. Il riquadro in alto a destra, ottenuto mediante IVUS, rivela un pool lipidico,
anch’esso indicato da una freccia. La definizione delle immagini ottenuta mediante IVUS, non consente tuttavia di effettuare misurazioni relative all’area
della formazione lipidica e dello spessore della capsula fibrosa. Il riquadro in basso a sinistra, ottenuto mediante OCT, evidenzia con estrema chiarezza
una formazione trombotica intraluminale. Il rilievo IVUS di trombi intracoronarici risulta molto difficoltoso poiché l’ecoriflettenza del trombo è simile a
quella delle componenti lipidiche della placca. Il riquadro in basso a destra si riferisce al rilievo OCT di placca calcifica (freccia).
26 - Cardio Piemonte
N. 2 maggio/agosto 2014
CARDIO-TOSSICITÀ E TERAPIA ANTI-NEOPLASTICA - seconda parte
Oncologia e Cardiologia
Lo scenario dei trattamenti
a cura di
D.Ottaviani, C.Oliva, S.Chiadò Cutin, A.Boglione, P.Pochettino,
P.Bergnolo, O.Dal Canton, A. Comandone
L’epirubicina, derivato semisintetico della doxorubicina, dispone di un profilo di tossicità più favorevole.
Si suppone che il motivo sia legato alla fase terminale di eliminazione dal plasma, più breve rispetto
a quella della doxorubicina. Il rischio di cardiotossicità rimane comunque correlato alla dose cumulativa somministrata, manifestandosi clinicamente con
insufficienza cardiaca congestizia legata al danno
miocardico cronico irreversibile, con un’incidenza
del 3% (con dose cumulativa di 900 mg/mq) o 10%
(per 1000 mg/mq). Inoltre la dose cumulativa deve
essere calcolata tenendo presente eventuali precedenti trattamenti con antraci cline.
Menzione particolare meritano le formulazioni liposomiali della doxorubicina, sviluppate con il duplice
obiettivo di ridurre la cardiotossicità e aumentarne
l’indice terapeutico. L’inclusione del farmaco in liposomi ne aumenta la stabilità e la permanenza a
livello del circolo sistemico a basse concentrazioni
plasmatiche, con accumulo in tessuti irrorati da vasi
con aumentata permeabilità endoteliale, quali quelli
neoplastici, e riducendo l’esposizione di tessuti sani
tra cui il miocardio. La ridotta cardiotossicità è stata
inizialmente confermata in 3 studi clinici condotti su
pazienti affette da neoplasia mammaria avanzata.
Distinguiamo ulteriormente la doxorubicina liposomiale non-peghilata e peghilata. La prima viene
utilizzata allo stesso dosaggio e schedula della doxorubicina e per questo sono confrontabili in termini di
efficacia e tossicità: sono stati condotti diversi studi
clinici randomizzati con forte evidenza di significativa
riduzione, ma non scomparsa, della cardiotossicità.
La doxorubicina liposomiale peghilata, al contrario,
prevede una schedula di somministrazione a dosaggio inferiore rispetto alla forma libera con valutazione
diretta, pertanto, difficile. Comunque i dati di letteratura a disposizione dimostrano una riduzione della
cardiotossicità, sia in termini di incidenza che di gravità della cardiomiopatia dose-correlata.
Il più attivo degli analoghi delle antracicline, antracenedioni, è il mitoxantrone, sviluppato alla fine degli
anni settanta con l’obiettivo di ottenere un farmaco dal profilo di attività simile alle antracicline ma
con una minore cardiotossicità. In realtà il raggio di
azione antineoplastico è meno ampio ma il profilo di
cardiotossicità è notevolmente inferiore e questo probabilmente per la
ridotta capacità di produrre radicali
liberi. Dati di letteratura riportano
una percentuale di eventi cardiaci
che oscilla tra il 1.5 e il 5%, con
quadro clinico caratterizzato da
aritmie, scompenso cardiaco, infarto del miocardio e alterazioni
dell’ECG.
Gli agenti alchilanti rappresentano
una delle classi farmacologiche più
utilizzate nel trattamento delle neoplasie, sia solide che ematologiche. Sono farmaci non fase specifici, in grado di alterare direttamente
la struttura e la funzione del DNA,
rendendoli pertanto attivi soprattutto su cellule in rapida proliferazione ma non scevri di danno a livello
del cuore. La ciclofosfamide viene attivata a livello
epatico dal CYP-450 e si è rivelata cardiotossica
quando somministrata a dosaggi più alti con quadro clinico acuto caratterizzato da pancardite acuta
con emorragie interstiziali, versamento pericardico,
edema ed emorragie epicardiche, endocardiche e
miocardiche per danno all’endotelio dei capillari forse associato a danno diretto alle fibre miocardiche,
determinando rapidamente insufficienza cardiaca
grave e resistente, nella maggior parte dei casi, ai
trattamenti cardiologici con exitus dopo pochi giorni.
Quadro clinico acuto, però raro, mentre è più frequente riscontrare alterazioni elettrocardiografiche,
anomalie dell’onda T e tratto ST, aritmie e temporanei aumenti del volume del ventricolo sx. Fattori
che possono facilitare tali quadri clinici sono rappresentati da precedente trattamento con antracicline
o esposizione dell’area cardiaca a radioterapia. Da
ricordare inoltre come può essere il responsabile di
effetti cardiovascolari tardivi quali ipertensione, ipertrofia ventricolare sx, ischemia e infarto miocardico,
ipercolesterolemia anche a distanza di diversi anni,
come evidenziato in studi sul trattamento del tumore
del testicolo dopo 20 anni dalla remissione completa. La tossicità da mitomicina C (cardiomiopatia congestizia che si riscontra in circa il 10% dei pazienti
Dottor Davide
Ottaviani estensore
dell’articolo e membro
del team di Oncologia
medica del Presidio
Sanitario Gradenigo
guidato dal dottor
Alessandro
Comandone
Cardio Piemonte - 27
N. 2 maggio/agosto 2014
trattati con dose cumulativa di 30 MG7mq) sembra
essere correlata alla formazione di radicali liberi, che
causano lesioni a carico del DNA e di strutture lipidiche cellulari.
Obiettivo terapeutico degli antimetaboliti, quali
5-fluorouracile e capecitabina, è quello di interferire
con la sintesi degli acidi nucleici. Il 5FU è largamente utilizzato in oncologia in diverse schedule di trattamento, differenti tra loro per dose, durata di infusione e associazione con altri farmaci antineoplastici.
Eventi avversi cardiovascolari non sono frequenti con
incidenza di 1.2-7.6% e <1% sono fatali. Il più noto
di questi è la comparsa di dolore toracico anginoso
da ischemia miocardica, dovuto a vasospasmo coronarico che può determinare anche infarto miocardico
acuto. Ma si possono manifestare anche pericardite,
edema polmonare, aritmie e modificazioni del tratto
S-T e dell’onda T. Generalmente si tratta di un quadro
clinico reversibile quando si cessa la somministrazione; ma con la ri-esposizione al farmaco è possibile il
ripresentarsi della sintomatologia. A sostegno dell’eziopatogenesi da vasocostrizione è stata osservata
contrazione dell’arteria brachiale ed elevati livelli di
endotelina-1, anche se quest’ultimo riscontro non
è chiaro se rappresenta un epifenomeno primario o
secondario. L’incidenza poi aumenta in presenza di
comorbidità quali pregressa cardiopatia ischemica,
ipertensione arteriosa, RT sul mediastino.
La capecitabina è un pro-farmaco del 5FU, somministrato per os e successivamente convertito nel
farmaco attivo. Semba caratterizzato da un profilo di
cardiotossicità meno importante di quello associato
al 5FU ma sono state riportate sindromi coronariche
acute (con meccanismo similare), angina, infarto
miocardico, aritmie e cardiomiopatie.
Cardiotossicità da piccole molecole e
anticorpi monoclonali
Più intrigante è il discorso della cardiotossicità da
nuove molecole utilizzate in oncologia, quali anticorpi monoclonali e inibitori delle tirosin-kinasi.
Le tirosin-kinasi (TK) sono proteine che controllano,
attraverso la fosforilazione, molte vie del segnale intracellulare. Così come le cellule normali, anche le
cellule neoplastiche utilizzano diverse vie di trasduzione intracellulare del segnale per garantire le funzioni fondamentali per la sopravvivenza. In alcune
neoplasie specifiche TK sono costitutivamente attivate come conseguenza di mutazioni genetiche acquisite (Bcl/Abl traslocazione in LMC, EGFR). I recettori
di TK rappresentano importanti bersagli delle terapie
antitumorali e i farmaci TK inibitori (TKI) sono in
grado di interferire selettivamente contro specifiche
molecole della via intracellulare o contro recettori posti sulla superficie cellulare. Tali agenti si dividono
L'Approfondimento
A Torino interessante convegno
periodico tra specialisti
La collaborazione di Cardiologi e Oncologi migliora la qualità della vita dei pazienti
Perchè un secondo corso di Cardio-Oncologia? Le risposte sono multiple ed incrociate.
Il principale obbiettivo di questo secondo corso era il migliorare la comunicazione e dibattere esplicitamente quali priorità devono darsi
i Cardiologi e gli Oncologi nel gestire i Pazienti
con problemi su entrambi i settori.
I partecipanti erano fondamentalmente provenienti da tre Centri Cardiologi ed Oncologici: Città della Salute e della Scienza, l'Istituto
(IRCCS) di Candiolo, l'Ospedale Gradenigo
che rappresentano i poli fondamentali nella
“Rete Oncologica Regionale”.
I Cardiologi arrivano dai primi due Presidi e
28 - Cardio Piemonte
dal territorio. I principali temi sono stati sostanzialmente come riconoscere molto precocemente i possibili danni da chemioterapia e
da radioterapia e sull' Apparato Cardiovascolare e soprattutto sulla funzione cardiaca.
La precocità è l'elemento fondamentale per
poter indirizzare in stadi non avanzati eventuali correzioni di dosi o di farmaci in modo
da ottenere il massimo beneficio senza creare
danni.
I Cardiologi hanno dimostrato grande sensibilità a questo problema documentando che la
percentuale di valutazioni cliniche e strumentali che vengono fatti a pazienti del Diparti-
Medi
icina & Storia N. 2 maggio/agosto 2014
in due classi generali: piccole molecole TK inibitori
e anticorpi monoclonali umanizzati (MOAB) diretti
contro il recettore TK o loro ligando.
I TKI sono piccole molecole in grado di attraversare
la membrana citoplasmatica e di bloccare direttamente il sito ATP, con inibizione della fosforilazione
e blocco del segnale di attivazione a valle. Dirette
conseguenze sono l’inibizione della proliferazione
cellulare, della diffusione delle cellule tumorali, promuovere l’apoptosi e diminuire la radio e chemioresistenza. Target, invece, degli anticorpi sono epitopi espressi sulle cellule tumorali, attraverso i quali
possono riconoscere selettivamente le cellule tumorali che esprimono EGFR (recettore del fattore di crescita epidermoidale) o VEGFR (recettore del fattore
di crescita vascoalre endoteliale). Quindi oltre alla
tossicità cardiovascolare ormai dimostrata dovuta ai
classici agenti chemioterapici, non sono da trascurare i possibili eventi avversi dovuti a queste nuove
molecole. Alcuni di questi agenti si sono dimostrati
potenzialmente cardiotossici e possono determinare
insufficienza cardiaca congestizia conclamata (CHF)
e/o disfunzione ventricolare sx asintomatica.
Pochi studi clinici hanno esaminato la cardiotossicità
da TKI e MOAB con relativa nostra grande lacuna, in
termini di conoscenza dei tipi e del rischio di tossicità
cardiovascolare per la maggior parte di questi agenti.
L’inibizione dell’angiogenesi rappresenta un’approc-
di Sebastiano Marra
mento Oncologico sta diventando sempre più
importante.
La sensibilità di entrambi gli Specialisti, Oncologi e Cardiologi sta aumentando con grande beneficio dei Pazienti.
Si è affrontata anche la relazione fondamentale tra Specialisti e Cardiologi territoriali e
Medici di famiglia.
Le nuove metodologie diagnostiche nel campo dell'Ecocardio, della Risonanza Magnetica,
della Scintigrafia ci mette in condizioni di fare
diagnosi precoci e di suggerire agli Oncologi
eventuali variazioni di indirizzo terapeutico.
Gli Oncologi hanno sviluppato terapie sempre
più raffinate, mirate, ma la relativa comparsa
di effetti collaterali cardiologici non è sempre
prevedibile nel singolo Paziente.
Il continuo crescere di dialogo, interazione
e scambio di informazioni porta al miglioramento della capacità di gestione dei nostri
Pazienti.
cio terapeutico antineoplastico efficace, sebbene
associato a un profilo di tossicità cardiovascolare
importante, costituito da ipertensione arteriosa, disfunzione ventricolare sx, insufficienza cardiaca,
ischemia miocardica, infarto, prolungamento dell’intervallo Q-T. L’ipertensione rappresenta l’evento avverso più comunemente descritto nei trials clinici e si
può manifestare fino al 30% dei casi: ciò sottolinea
l’importanza del ruolo fisiologico di VEGF nella regolazione del tono vasomotorio e nel mantenimento
della pressione ematica. Il principale meccanismo
consiste nella aumentata sintesi endoteliale e di conseguenza dell’angiogenesi. Il blocco di tale pathway
determinerebbe vasocostrizione e ipertensione.
Inibitori di tirosin-kinasi. Imatinib rappresenta uno
dei primi TKI approvato per l’uso clinico, con impatto
significativo sulla prognosi dei tumori gastrointestinali stromali (GIST) e leucemie mieloidi croniche.
Inibisce la chinasi ABL, si lega alla conformazione
inattivata (non fosforilata) del dominio chinasico
ABL; inibisce anche ARG (ABL 2), PDGFR alfa/beta
e c-KIT. Studi preclinici condotti su cavie trattate con
imatinib hanno evidenziato lo svilupparsi di disfunzione ventricolare sx, con significativa alterazione
mitocondriale dei cardiomiociti che ha indotto stress
del reticolo endoplasmatico, collasso della membrana mitocondriale, rilasciocitosolico del cit C, con conseguente riduzione del contenuto cellulare di ATP e
inevitabile morte cellulare. Ma determina anche un
significativo incremento dell’espressione di una proteina chinasica C delta (PKC delta) con effetti proapoptotici all’interno dell’organo cardiaco. Pertanto è
possibile che PKC delta rivesta qualche ruolo nella
cardiotossicità da imatinib. Inoltre nella praticaclinica è stato riportato anche un significativo edema
con possibile severa ritenzione idrica e conseguente
formazione di versamenti pericardici, pleurici o stati
ascitici anasarcatici. In merito la letteratura è però
contradditoria - in un’ampia casistica di 946 pazienti
affetti da GIST in trattamento con imatinib 400-800
mg, solo nello 0.2% si è osservata cardiotossicità
(scompenso cardiaco).
Sunitinib è una piccola molecola somministrata per
via orale che inibisce molteplici recettori TK e trova
indicazione nel trattamento del carcinoma renale,
GIST metastatico e tumori neuroendocrini pancreatici avanzati. I suoi target molecolari sono rappresentati da VEGFR 1-3, PDGFR, c-KIT, FLT3. Gli unici
bersagli molecolari di sunitinib espressi dai cardiomiociti adulti sono PDGFR e VEGFR. Come altri
TKI, i suoi effetti principali portano a una interruzione delle vie di segnale intracellulare. Recenti studi
hanno dimostrato il suo ruolo nell’inibire la chinasi
ribosomiale S6 con successiva liberazione di BCL-2
e citocromo C ad attività proapoptotica. La tossicità
cardiaca da sunitinib è rappresentata da ischemia
miocardica, disfunzione ventricolare sx, ipertensione, edema periferico, prolungamento dell’intervallo
QT e torsioni di punta. Il prolungamento dell’interval-
Cardio Piemonte - 29
N. 2 maggio/agosto 2014
lo QT è raro negli studi classici e sembra essere dose
correlato,mentre l’incidenza della torsione di punta
è stata <0.1%. In uno studio di Motzer si è osservata un’incidenza dell’80% di ipertensione grado
3-4 in pazienti con carcinoma renale in trattamento
con sunitinib vs interferone alfa; nello stesso studio
il 21% dei pazienti trattati con sunitinib e il 12%
dei pazienti trattati con interferone andavano incontro ad una diminuzione della LVEF significativa. In
un successivo studio retrospettivo Chu et al hanno
dimostrato un’incidenza maggiore di ipertensione e
tossicità cardiaca. L’analisi multivariata evidenziava
come i pazienti con precedente nota malattia cardiovascolare avevano un rischio maggiore di incorrere in
un evento cardiovascolare.
È stato ipotizzato che l’ipertensione sunitinib-correlata giochi un ruolo chiave nell’insorgenza di eventi
cardiovascolari ma è anche noto che in molti pazienti
con franca cardiotossicità non si è mai verificata ipertensione, suggerendo così l’eventuale co-responsabilità di ulteriori meccanismi quali l’inibizione diretta
di 5-AMPK. Inoltre è anche importante sottolineare
come diversi studi hanno dimostrato una migliore
risposta al trattamento in pazienti che hanno sviluppato ipertensione, suggerendo così un suo ipotetico
ruolo di “biomarker” dell’efficacia antitumorale degli
agenti multi-target. Anche sorafenib agisce su bersagli multipli: VEGFR, PDGFR, c-KIT, FLT3, ma caratteristica peculiare della molecola è l’azione a livello
di un ulteriore target, le chimasi intracellulari RAF
e BRAF, determinando il blocco del segnale intracellulare RAF-MEK-ERK. Da segnalare al riguardo il
ruolo svolto da ERK come azione pro-sopravvivenza,
particolarmente importante per la sopravvivenza dei
miocardiociti.
Sorafenib è indicato nel trattamento del carcinoma
renale metastatico e dell’epatocarcinoma. Negli studi registrativi venivano esclusi i pazienti con eventi
cardio-cerebrovascolari negli ultimi sei mesi. Nello
studio registrativo per il tumore renale l’incidenza di
infarto o di ischemia cardiaca durante il trattamento
era maggiore nel gruppo di pazienti in terapia con
sorafenib (2.9%) che in quello in terapia con placebo (0.4%). In quello per il carcinoma epatico l’incidenza è stata rispettivamente del 2.7% vs 1.3 %.
Un recente studio prospettico di fase I di valutazione
degli effetti cronici del farmaco su alcuni parametri cardiovascolari, ha evidenziato una complessiva
minima o nulla variazione della frazione di eiezione,
minimo prolungamento di QT, lieve aumento della
pressione arteriosa (11-12 mm Hg). Inoltre un’analisi dei dati retrospettiva dello studio EAP (expanded
access) europeo di sorafenib ha evidenziato l’assenza di un incremento di cardiotossicità in pazienti
con nota storia cardiovascolare al basale, eccetto
un incremento dell’incidenza di ipertensione. Un recente studio retrospettivo di Shurtz ha poi rilevato
un’incidenza dell’1.4% di eventi trombo-embolici in
pazienti trattati con sunitinib e sorafenib: questo si
30 - Cardio Piemonte
traduce in un rischio relativo del 3% di sviluppare
trombo-embolia.
Il pathway mediato da EGFR regola la proliferazione
cellulare, sopravvivenza, differenziazione. Mutazioni
a carico di EGFR sono comuni in molti tumori solidi
e in particolare della mammella, colon-retto, ovaio e
polmone.
Erlotinib è in TK inibitore di EGFR, utilizzato in particolare nel trattamento del tumore del polmone non a
piccole cellule. Negli studi clinici sono stati descritti
rari casi di tossicità cardiaca che si può determinare a
causa della disfunzione mitocondriale, alterazione del
potenziale di membrana o eventualmente aumentato
rilascio di citocromo c. Il profilo di tossicità cardiovascolare è sicuramente meno importante di quello di
altri TKI nonostante sia stata osservata in uno studio
clinico una maggiore incidenza di infarto del miocardio in associazione a trombosi venosa profonda.
Anche pazopanib caratterizzata da un’attività inibitoria multichinasica, con target VEGFR1, VEGFR2,
VEGFR3, PDGFR 1 e 2, c-KIT. Il farmaco è approvato per il trattamento delle neoplasie renali metastatiche in prima linea e per il trattamento dei sarcomi.
Pazopanib è stato associato a disfunzioni cardiache
(ad esempio diminuzione della frazione di eiezione)
riscontrata in una percentuale <1% dei pazienti affetti da neoplasia renale cosi come torsioni di punta
in una percentuale <1% dei pazienti in trattamento.
L’attività anti-angiogenica del pazopanib potrebbe
causare ipertensione e ischemia. L’ipertensione si
è verificta nell’88% dei pazienti con RCC entro le
prime 18 settimane di trattamento; meno frequentemente angina e ictus.
Il dasatinib è un potente inibitore di tutte le chinasi
della famiglia Src, oltre ad inibire ABL, ARG, PDGFR
alfa e beta e c-KIT. Si è dimostrato clinicamente responsabile di modeste alterazioni dell’ECG, come un
prolungamento QT e solo raramente di un significativo stato di ritenzione idrica di grado III e IV. In studi
di fase I sono stati riportati versamenti pericardici nel
5% dei casi con circa il 9% di dispnea secondaria ad
edma polmonare non cariogeno. Avendo come target
principale ABL si può supporre che tali agenti possano essere responsabili di cardiotossicità significativa:
il 4% dei pazienti in trattamento con dasatinib da
oltre sei mesi ha sviluppato scompenso cardiaco o
disfunzione ventricolare sx che nella metà dei casi
era di grado III-IV.
Nilotinib è una piccola molecola inibitore di ABL,
ARG, KIT, PDGFR alfa e beta, con indicazione al
trattamento della leucemia mieloide cronica in caso
di resistenza/intolleranza all’imatinib. Lo spettro di
eventi avversi cardiaci da nipotini è più ristretto di
quello di altri TKI, limitato per lo più al prolungamento dell’intervallo QTc e sviluppo di edema periferico,
come evidenziato da diversi studi clinici. Il prolungamento di QT può determinare lo scatenarsi di torsioni
di punta o, in extremis, sincope, convulsioni e morte
(osservate solo nello 0.6% dei pazienti): per questo
N. 2 maggio/agosto 2014
è raccomandato, prima di iniziare il trattamento con
nipotini, uno screening per squilibri elettrolitici.
Lapatinib è una piccola molecola ad azione inibitoria
di EGFR (erbB 1 e 2) utilizzata nel trattamento delle
neoplasie della mammella HER2 positive metastatiche. Nonostante la sua attività anti-erb B2 (con dimostrato ruolo cruciale nello sviluppo e funzionalità
dei cardiomiociti), non possiede un profilo di tossicità
cardiaca paragonabile a quello del trastuzumab. Tale
differenza può essere spiegata dalla diversa attività:
lapatinib attiva AMPK con aumentata produzione di
ATP e di protezione dei cardiomiociti contro l’apoptosi indotta da TNF alfa. Al contrario trastuzuamb
inibisce AMPK, favorendo apoptosi dei cardiomiociti. Gli effetti avversi cardiovascolari lapatinib indotti
sono rappresentati da disfunzione ventricolare (1.52.2%), prolungamento QTc (1%), angina.
Il trastuzumab è, tra gli anticorpi monoclonali, quello
maggiormente studiato. Il suo target è rappresentato
da HER2, iperespresso in circa il 25% dei carcinomi della mammella, con significato prognostico negativo e forte valore predittivo di risposta. Il legame
anticorpo-HER2 determina un blocco del pathway di
trasduzione del segnale di crescita con arresto della proliferazione cellulare. Inoltre HER2 è espresso
anche a livello cardiaco dove ricopre un ruolo chiave nello sviluppo e nei processi di riparazione delle
cellule miocardiche. Gli studi preclinici non avevano
evidenziato eventi avversi cardiovascolari e per questo non era previsto un monitoraggio cardiaco nei
primi trials clinici. Ma dopo l’approvazione del farmaco emerse, da analisi retrospettive, il sospetto di
cardiotossicità data la significativa incidenza di insufficienza cardiaca congestizia. Da qui la necessità di
studi clinici sul trastuzuamb in adiuvante con sistematico e prospettico monitoraggio della funzionalità
cardiaca. La tossicità cardiaca è rappresentata dalla
riduzione della frazione di eiezione asintomatica fino
allo scompenso con dispnea, edema polmonare,
cardiomegalia. L’incidenza è relativamente bassa
(circa 4%) quando somministrato in ionoterapia, per
aumentare significativamente quando la somministrazione avviene in associazione a chemioterapici e
precisamente paclitaxel (13%) o antracicline (27%).
Attualmente circa il 5% dei pazienti sviluppa vari
gradi di disfunzione sistolica e l’1% insufficienza cardiaca congestizia. In considerazione dell’importanza
di HER2 come meccanismo di riparazione-recupero
del danno cardiaco, si è osservato un maggior rischio
di eventi avversi cardiovascolari dalla sequenza trastuzumab-antracicline rispetto alla sequenza opposta.Il danno cardiaco trastuzumab-correlato detrmina
un quadro sintomatologico per lo più lieve-moderato
e che tende a regredire con adeguata terapia medica
e la sospensione del farmaco dopo circa sei settimane; tanto è vero che che la re-esposizione del paziente al trastuzumab è generalmente possibile. Tale
reversibilità di danno può essere spiegato dal fatto
che il trastuzumab non causa la morte dei miociti
ma solo una temporanea disfunzione a carico della
struttura delle proteine contrattili. Fattori di rischio
sono rappresentati dall’età >50 anni, esposizione
concomitante o precedente ad antracicline, dispnea
superiore alla classe II della scala NYHA.
Infine prendiamo in esame MOAB anti-EGFR quali il
cetuximab e inibitori di M-TOR (temsirolimus ed everolimus). Il cetuximab è un anticorpo anti-EGFR (epidermal growth factor receptor) approvato in ionoterapia o in associazione a chemio-radioterapia per il
trattamento del carcinoma del colon-retto metastatico e per i tumori della regione capo-collo. In realtà
non è previsto un suo profilo di cardiotossicità particolare, ma può presentare effetti avversi cardiovascolari nell’ambito di una reazione severa all’infusione
(circa il 3% dei pazienti) caratterizzata clinicamente
da broncospasmo, reazione orticarioide e ipotensione. Studi condotti in vitro e in vivo hanno dimostrato
la capacità di cetuximab di ridurre il cross-talking tra
cellule endoteliali interferendo di conseguenza nella
costruzione del microambiente capillare, con potenziale effetto cardiotossico a lungo termine.
Target del temsirolimus è rappresentato da M-TOR
che gioca un ruolo chiave nel pathway di controllo
della sintesi proteica e del ciclo cellulare. Il blocco
di M-TOR determina l’arresto della divisione delle
cellule tumorali, rallentando crescita e diffusione del
tumore. Finora non sono stati descritti effetti cardiotossici diretti, ma non sono da escludere effetti
analoghi con meccanismi indiretti: infatti sono stati
descritti nello studio registrativo ipertensione (7%
vs 1% braccio placebo), ipertrigliceridemia (87%),
ipercolesterolemia (83%). M-TOR rappresenta il target terapeutico anche di everolimus. Al contrario del
farmaco precedente, nello studio registrativo everolimus ha determinato scompenso cardiaco (1%) e
tachicardia (3%).
Tutto questo rappresenta solo un breve excursus del
potenziale rischio di cardiotossicità cui vanno incontro i nostri pazienti affetti da neoplasia quando si
pone indicazione a trattamento chemioterapico.
Viene da sé quindi la necessità di una attenta valutazione anamnestica di ogni paziente così come
sempre più opportuna si palesa l’indicazione a una
minuziosa valutazione cardiologica prima di avviare
qualsiasi trattamento chemioterapico potenzialmente
tossico a livello cardiovascolare, specie nei soggetti
maggiormente a rischio e con determinate comorbidità. Nell’era di un approccio sempre più multidisciplinare, la collaborazione tra oncologo e cardiologo
diventa fondamentale. E non solo quando si tratta di
intervenire in maniera attiva di fronte a una tossicità
emersa durante un trattamento oncologico, quanto più importante è l’aspetto di valutazione iniziale
collegiale. Si potrebbe quindi configurare una nuova
disciplina, quella della cardio-oncologia, in cui i due
attori (il cardiologo e l’oncologo), ognuno con le sue
competenze ma “insieme”, prendono in carico il paziente.
Cardio Piemonte - 31
N. 2 maggio/agosto 2014
In campo con la nostra
Onlus
Cardiologie aperte
14 febbraio 2014
In occasione della giornata nazionale Cardiologie Aperte, la nostra associazione con i cardiologi Dottor Federico Conrotto (Cardiologia
2) e Dottor Roberto Grimaldi (Cardiologia 1)
ha organizzato una giornata colma di appuntamenti.
Al mattino, nell’atrio dell’ospedale presso il
Banchetto della Salute dell’Associazione, è
stato distribuito un questionario con i seguenti quesiti:
1 Fai una domanda al cardiologo. Ti risponderà durante l’incontro del Pomeriggio del
14 febbraio.
2Conosci gli stili di vita da rispettare per
avere un cuore sano?
3In famiglia hai avuto dei famigliari (padre,
madre, fratelli) con problemi cardiovascolari?
L’invito era esteso a tutti i cittadini che si trovassero presso l’ospedale in quella giornata.
Alla conferenza del pomeriggio l’affluenza è
stata ottima con notevole partecipazione dei
pazienti della Cardiologia. Il nostro Presidente
Giornata nazionale Cardiologie Aperte. Il Banchetto della Salute dell’Associazione nell'atrio
delle Molinette.
32 - Cardio Piemonte
Dottor Danilo Danielis ha ringraziato tutti ed
ha presentato i 2 cardiologi.
Prima Il Dottor Federico Conrotto e poi il
Dottor Roberto Grimaldi hanno risposto alle
precise domande del pubblico che ha seguito con estrema attenzione e partecipazione
all’incontro.
Nella seconda parte del pomeriggio i cardiologi hanno presentato le rispettive cardiologie.
Al termine della conferenza si è percepito, tra
i partecipanti, molta soddisfazione e la speranza che queste giornate continuino a coinvolgere tutta la popolazione.
C.G.
Giornata nazionale Cardiologie Aperte. Il tavolo dei relatori durante l'intervento del
Presidente dott. Danielis.
N. 2 maggio/agosto 2014
L’ASSEMBLEA ANNUALE DELLA ONLUS
Toccato il traguardo
dei 400 soci, seimila ore
di volontariato
«Nell’assemblea del 2013 ci eravamo proposti molti obiettivi, sono stati raggiunti?» Nella
relazione annuale dello scorso aprile il dott.
Danilo Danielis ha fatto il punto sulla situazione degli Amici del Cuore, ricordando che ci
eravamo proposti di cercare nuovi soci ‘giovani’, di raggiungere una maggior coesione tra
i volontari, di rianimare il centro incontri di
corso Moncalieri 18, di svolgere una attività
più efficace di informazione sulla nostra associazione presso i pazienti e i loro parenti e di
aumentare il numero dei membri della Onlus.
«Come al solito – ha detto il presidente - ci
sono luci e ombre». Il numero dei ‘giovani’ è
rimasto invariato: in alcuni casi chi ha trovato
un lavoro ha dedicato ad esso il suo tempo; il
rapporto tra i volontari è certamente migliorato ma molte cose sono ancora da realizzare;
il centro incontri di corso Moncalieri è decisamente poco frequentato e ogni sforzo per
stimolare la presenza di soci è stato vano.
Chi ha proposte le avanzi. Ancora: l’azione
presso pazienti e famigliari per incrementare
le adesioni al 5xmille e far conoscere lo spirito della nostra Onlus avrebbe meritato uno
sforzo maggiore. Per contro, è stata efficace la
ricerca di nuovi Amici del Cuore. «Oggi - ha
sottolineato Danielis - superiamo i 400. Un
traguardo raggiunto con contatti tramite la rivista, le visite alle farmacie, l’assidua attività
del Dottor Marra, i convegni e gli eventi nelle
piazze».
L’attività principale dell’anno trascorso si è
sviluppata nelle giornate della salute. Abbiamo partecipato a 23 giornate nelle piazze, a
12 giornate nelle farmacie, con forte presenza nei convegni da noi organizzati. Abbiamo
inoltre sviluppato corsi per i ragazzi delle
scuole medie e medie superiori e contribuito
direttamente a eventi curati dalla Circoscrizione 8.
Nelle giornate di prevenzione abbiamo contattato oltre 2000 persone di cui un buon numero sottoposto a visita cardiologica ed ECG.
I giovani incontrati nei corsi a loro appositamente organizzati, sono stati circa 1000.
Il Presidente ha ringraziato i soci per il lavoro
svolto e ricordato che a ottobre scadrà il Consiglio Direttivo. È quindi necessario, sin d’ora.
che si cominci a pensare alle sostituzioni. Danielis ha invitato tutti a compiere uno sforzo
per ottenere più adesioni al 5xmille, «Ciascuno di noi deve diventare “cercatore di noci”
affinchè anche importi modesti pervengano
e si aggiungano all’attività benemerita del
Banchetto della Salute». Le ore di volontariato nel 2013 sono state 6.276. All’assemblea
sono intervenuti con contributi interessanti i
soci Enrico Zanchi, Caterina Racca e Antonio
Palmitessa. Il dottor Marra ha svolto una relazione sul volontariato ospedaliero: «È un’attività complessa ma se ben organizzata può
dare molto ai pazienti, alla struttura ospedaliera e riempie l’animo di positività». Questa
frase riassume bene tutto il significato della
presentazione. Il Vice Presidente ha concluso
il suo intervento, illustrando con slides il tema
“I benefici dell’attività fisica”.
L’assemblea è terminata con la presentazione del Bilancio Consuntivo 2013 e di quello
Preventivo 2014, approvati all’unanimità dai
soci insieme con la relazione del Presidente.
C.G.
Cardio Piemonte - 33
N. 2 maggio/agosto 2014
Sintesi di bilancio
PIEMONTE ONLUS
Associazione di volontariato per la
prevenzione delle malattie cardiovascolari
BILANCIO 2013
Attività
Immobilizzi Immateriali
Immobilizzi Materiali
Circolante
Attività finanziarie
Ratei e Risconti attivi
Passività
e
e
e
e
e
Totale Attività
e
4.604,00
14.158,00
105.262,00
233.557,00
2.498,00
Fondo di dotazione
Risultato a nuovo
Fondi ammortamento
Fornitori
Ratei passivi
e
e
e
e
e
41.218,00
122.576,00
4.451,00
8.834,00
261,00
Totale passività
Risultato Gestione
e
e
177.340,00
182.739,00
e
360.079,00
Rivista
Erogazioni liberali
Supporto diagnostica
Donazioni di Beni
Spese Generali
Ammortamenti
e
e
e
e
e
e
19.092,00
105.900,00
28.548,00
29.800,00
37.637,00
7.253,00
Totale oneri
Risultato Gestione
e
e
228.230,00
182.739,00
e
410.969,00
360.079,00 Totale a pareggio
RENDICONTO GESTIONALE 2012
Proventi
Quote sociali
Contributi da privati e soci
Racc.fondi Banch/Farmac.
Proventi vari
Cinque per Mille
Totale
Oneri
e
e
e
e
e
e
11.715,00
341.018,00
9.679,00
2.981,00
45.576,00
410.969,00 Totale a pareggio
5 per mille a favore degli
Amici del Cuore
La Legge Finanziaria stabilisce di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno del VOLONTARIATO, delle ONLUS.
• È possibile effettuare una sola scelta di destinazione
• La scelta del 5 per mille non comporta un aggravio delle imposte da
versare da parte del contribuente
Vogliamo ringraziarti per aver letto questa informativa e se desideri sostenerci
scegliendo la nostra associazione, nella tua dichiarazione dei redditi dovrai inserire il nostro codice fiscale:
97504090016
34 - Cardio Piemonte
PIEMONTE ONLUS
Associazione di volontariato per la
prevenzione delle malattie cardiovascolari
Da spedire a:
A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino - CARDIOLOGIA 2
C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO
Tel. 011.633.55.64 - Cell. 346.1314392
SCHEDA ISCRIZIONE A SOCIO
Il sottoscritto/a:
Codice Fiscale:
Nato a
il
Residente a
Via/corso/piazza:
CAP:
Telefono:
Cellulare:
E-mail:
Chiede di poter far parte come Socio/a della Onlus e provvede a versare l’importo di Euro……………………. Quale socio:
(socio ordinario € 25 - socio sostenitore € 100+25 - socio benemerito, sopra i € 500+25)
Verso la quota in:
contanti
con bonifico bancario Banca Intesa Sanpaolo - IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305
per conto corrente postale n. 19539105
Intestato a : AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS - Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO
N.B. Il versamento della quota per donazione deve essere effettuato a mezzo bonifico bancario
Firma
Data
CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI AI SENSI DEL CODICE SULLA PRIVACY D.L.196/03
Apponendo la firma in calce al presente modulo, manifesto il mio consenso al trattamento dei dati, nel solo ambito delle finalità
e modalità dell’attività sociale dell’associazione. Autorizzo il Presidente a informatizzare il mio nome nell’elenco Soci, che non
verrà comunicato a terzi, fuori dall’ambito della stessa associazione. Mi riservo di tutelare i miei diritti, in ogni momento, qualora
tale disposizione non venga osservata.
Firma
CUORE: CONVEGNO MONDIALE A TORINO
Ancora una volta Torino si appresta a ospitare un
evento mondiale in campo medico. Dal 23 al 25
ottobre, presso il Centro Congressi dell’Unione
Industriale, sono in programma le XXVI Giornate
Cardiologiche Torinesi sotto la direzione del prof.
Fiorenzo Gaita e del dottor Sebastiano Marra in
rappresentanza dell’Università degli Studi e della
Città della Salute e della Scienza.
Al congresso, dedicato in particolare ai temi legati
alle aritmie (Advances in Cardiac Arrhythmias) e
alle innovazioni (Great Innovations in Cardiology),
saranno presenti centinaia di specialisti
provenienti da tutti i continenti.
In primo piano il Gruppo Mayo Clinic, che
partecipa insieme con cardiologi tedeschi, francesi
e svizzeri, al Comitato Scientifico.
Con la regia del prof. Gaita e del dottor Marra,
raffigurati all’ombra della Mole nella divertente
vignetta a fianco, verranno sviluppati temi,
relazioni, memorie che permetteranno di fare il
punto sui progressi della cardiologia.
Il convegno, che ha unito in uno sforzo comune
impegno e competenze di Università e Città della
Salute, costituisce l’ennesimo esempio delle
tradizioni e della vitalità della scuola medica
torinese.